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CORSO IGIENE GENERALE ED APPLICATA SCIENZE MOTORIE UNIPEGASO, Appunti di Scienze Motorie

31) Educazione ambientale, inquinanti e rischi per la salute dell’uomo 32) Operatività dell’educazione sanitaria: come comunicare 33) Protezione, educazione e promozione della salute 34) Sorveglianza delle infezioni nosocomiali 35) Il complesso Torch 36) Igiene delle strutture scolastiche 37) Patologie frequenti in età scolare 38) Prevenzione delle malattie a scuola 39) Attività fisica, sport e promozione della salute 40) Impianti natatori: requisiti delle piscine 41) Importanza de

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 17/02/2021

Mariantonietta1989
Mariantonietta1989 🇮🇹

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Scarica CORSO IGIENE GENERALE ED APPLICATA SCIENZE MOTORIE UNIPEGASO e più Appunti in PDF di Scienze Motorie solo su Docsity! Pag. 1 a 63 EDUCAZIONE AMBIENTALE INQUINANTI E RISCHI PER LA SALUTE DELL’UOMO CAPITOLO 31 L’educazione ambientale va adoperandosi anche per obbiettivi squisitamente ecologici: “un ambiente sano per un uomo sano” Definizione di ECOLOGIA HEACKEL 1866 “Studio delle relazioni tra gli organismi e il loro ambiente”, vede l'uomo inserito in un equilibrio tra le realtà animate ed inanimate che compongono un ambiente. Le modificazioni ambientali possono ripercuotersi negativamente sulla specie umana, nel senso che un danno ecologico irreversibile, inevitabilmente provoca un abbassamento della qualità della vita ed, a volte, anche danni alla salute. R. NIXON 1969, relazione sullo stato dell’ambiente: “L’ambiente nuovo problema centrale dell’umanità” L'ecologia come disciplina tende ovviamente a tutelare la vita in ogni sua forma e nei suoi perenni equilibri. L'uomo, facendo parte a pieno titolo dell'ambiente, ricade entro le finalità generali di questa disciplina, anche se l'uomo è l'unica specie animale che può andare ad incidere positivamente o negativamente sugli equilibri degli ecosistemi. Gli obiettivi di tutela dell'ambiente e di tutela della salute dell'uomo dovrebbero essere concordi, anche se a volte possono apparire conflittuali. Una gestione, non day-by-day, ma strategica, tende ad evitare l'esplodere del conflitto ed, attraverso l'applicazione della dottrina dello "sviluppo sostenibile", garantisce fin dall'inizio la tutela dell'ambiente e della salute. Alcuni dei principi su cui si basa l'educazione ambientale ed ecologica, scaturiti dalla conferenza organizzata dall'UNESCO a Tbilisi nel 1980, sono:  considerare l'ambiente nella sua globalità, naturale ed artificiale, tecnologica e sociale;  instaurare un processo educativo continuo che duri tutta la vita, cominciando a livello prescolastico e seguendo livelli formali ed informali, sia all'interno che all'esterno della scuola;  seguire un approccio interdisciplinare, riassumendo gli specifici contenuti di ogni disciplina in una prospettiva bilanciata ed olistica;  esaminare i maggiori problemi ambientali dai punti di vista locale, regionale, nazionale ed internazionale, ai fini di non trascurare le implicazioni di altre aree geografiche ("pensare globalmente agendo localmente");  mettere in relazione all'età degli allievi, ed alla loro crescente sensibilità ambientale, i contenuti dell'educazione ecologica. La grande attualità dell'educazione ambientale ed ecologica è certamente legata alle proporzioni drammatiche che sta assumendo il degrado ambientale sotto la crescente pressione dell'impatto antropico. Le Nazioni Unite in questi ultimi anni hanno dato un segnale positivo, con la Carta di Francoforte dell'OMS/Europa, adottata ormai da quasi tutti i Paesi, che apertamente indica i modi per la soluzione del problema ambientale vista come una priorità assoluta ai fini della tutela della salute. Più di recente, in Italia, la Federazione delle industrie chimiche ha ufficialmente fatto proprio il concetto che l'ambiente, deve essere tutelato non con il disinquinamento, ma attraverso un'opera di "non inquinamento attivo", guidato dalla consapevolezza e quindi dall'educazione ambientale. Ne è nato il programma "Responsible Care", lanciato già nel 1994. ECOSISTEMA I sistemi ecologici sono unità funzionali che comprendono la comunità, cioè tutti gli organismi che vivono e interagiscono in una determinata area, e le componenti ambientali non viventi, abiotiche, rappresentate da acqua, suolo, luce e temperatura. Organismi e ambiente abiotico sono entrambi necessari per il funzionamento dei sistemi ecologici. Si definisce comunità biologica l'insieme degli organismi che popolano un habitat; sono costituite dalle popolazioni biologiche (individui della stessa specie che occupano lo stesso territorio). All’interno delle comunità si instaurano innumerevoli tipi di interazioni tra i diversi individui della stessa specie o di specie diverse. Pag. 2 a 63 Gli organismi appartenenti a specie diverse possono associarsi per sfruttare meglio le risorse ambientali. Se analizziamo questo tipo di legame prende il nome di SIMBIOSI, ossia un’associazione di organismi appartenenti a specie diverse che interagiscono tra loro e in cui almeno uno ne trae un vantaggio. Negli ecosistemi vi sono due livelli trofici principali trofico=relativo alla nutrizione  uno autotrofo, che comprende gli organismi in grado di trasformare l’energia luminosa proveniente dal Sole in energia chimica e di sintetizzare sostanze organiche complesse a partire da sostanze inorganiche semplici e sono suddivisi in fotoautotrofi e chemiosintetici;  uno eterotrofo, in cui gli organismi non sono in grado di produrre sostanze organiche. Essi dipendono, per il nutrimento, da altri esseri viventi e sono suddivisi in biofagi, che si nutrono di altri organismi viventi, e saprotrofi che si nutrono di sostanze morte. STRATO AUTOTROFO= predomina la fissazione dell’energia luminosa e la produzione di materia organica, a partire da sostante inorganiche semplice STRATO ETEROTROFO= predomina la trasformazione, la decomposizione e la riduzione delle sostanze organiche. CATENA ALIMENTARE DELLA MATERIA: 1. Tutto parte degli organismi autotrofi (vegetali), che attraverso la luce solare, hanno la capacità di sviluppare la sostanza organica 1° livello trofico 2. Questa viene utilizzata dai microrganismi eterotrofi (o consumatori), come gli erbivori (2° livello trofico) e carnivori (3° livello trofico) 3. infine troviamo i decompositori (funghi e batteri) e i detritivori ( insetti, acari, miriapodi) che consumano le spoglie degli erbivori e/o carnivori I decompositori sono organismi eterotrofi che utilizzano sostanze organiche provenienti da esseri viventi morti o delle sostanze di rifiuto. Essi demoliscono tali sostanze trasformandole nuovamente in materiale inorganico che sarà nuovamente a disposizione dei produttori. I funghi e batteri sono degli organismi decompositori. Tra i detritivori troviamo vermi, lombrichi, molluschi che si nutrono della necromassa presente sulla superficie del suolo. La biodiversità è varietà delle forme di vita vegetali e animali presenti negli ecosistemi del pianeta, e si misura a livello di geni, di specie, di popolazioni e di ecosistemi. Parliamo di una varietà di organismi, esseri piccolissimi, piante, animali e ecosistemi tutti legati l’uno all’altro, TUTTI INDISPENSABILI. LE ALTERAZIONI DEGLI ECOSISTEMI sono la causa di numerosi problemi ambientali e perciò la CAUSA DI PATOLOGIE PER L’UOMO. Da dati recenti emerge che:  circa il 60% degli ecosistemi del pianeta è danneggiato;  circa il 25% della superficie delle terre emerse è coltivata;  lo sfruttamento delle risorse idriche è aumentato del 50% negli ultimo 40 anni  circa il 40-50% dell'acqua dolce disponibile è soggetto a utilizzi vari;  circa il 25% degli stock ittici è sovra-sfruttato e a rischio di estinzione. La quantità e la qualità delle acque sono un requisito fondamentale per lo sviluppo della società; gli usi dell’acqua sono condizionati soprattutto dal grado di inquinamento sia chimico che microbiologico. L’inquinamento chimico delle acque si manifesta con un incremento della quantità (concentrazione) e/o della reattività dell’elemento o della sostanza in esame, per esempio l’aumento della concentrazione dei fosfati disciolti è responsabile del processo dell’eutrofizzazione ( che non è un fattore positivo) Il termine eutrofizzazione deriva dal greco e significa “Buona nutrizione”: indica un processo degenerativo delle acque lentiche caratterizzato da un incremento della produzione vegetale, innescato da un aumento della disponibilità di azoto e fosforo. Pag. 5 a 63  far apprezzare loro lo stile di vita orientato al benessere, sia fisico che psicologico;  alla prevenzione delle malattie infettive in quanto cura e rispetto di se stessi. La formazione di una moderna e corretta coscienza sanitaria, è essenziale per favorire le conoscenze e pratiche che hanno relazione con il vivere bene l'ambiente in cui si è inseriti e in cui si esplicano le attività vitali. OPERATIVITA’ DELL’EDUCAZIONE SANITARIA COME COMUNICARE CAPITOLO 33 Per comunicazione si intende una modalità attraverso cui si instaurano, si strutturano, si sviluppano relazione sociali. La comunicazione si inserisce all'interno di un contesto culturale di riferimento in cui un emittente, trasmette un contenuto tramite un canale ed un codice condivisi con il ricevente e può ricevere dal destinatario un feedback comunicativo. “La comunicazione è lo strumento principale di relazione che l’uomo ha a disposizione per creare e mantenere l’interazione con i suoi simili”. Dal latino “communio” indica l’azione del mettere in comune; può essere inteso come trasmissione di informazioni stabilendo la qualità delle relazioni. La comunicazione è una condizione essenziale dello sviluppo umano, del crescere, del farsi adulti; La comunicazione è parte integrante della vita di ogni singolo individuo è presente nella quotidianità, in ogni ambiente della vita umana e gruppo sociale. Il concetto comporta la presenza di un'interazione tra soggetti diversi, si tratta di un'attività che presuppone un certo grado di cooperazione. La trasmissione di un messaggio avviene attraverso 5 elementi: 1. EMITTENTE: colui che invia il messaggio; 2. RICEVENTE: colui al quale il messaggio è rivolto, è destinatario o comunque perviene 3. CODICE: insieme di regole che consentono di decodificare il significato di un messaggio; 4. CANALE: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore, elettromagnetiche, scrittura ecc.), la modalità di trasmissione del messaggio; 5. IL MESSAGGIO: ciò che l’emittente mette in comune con il ricevente, con o senza intenzionalità. In questi 5 elementi non dobbiamo trascura il CONTESTO, cioè l’ambiente in cui avviene la comunicazione, perché è fondamentale per stabilire una comunicazione efficace. La comunicazione, inoltre, ha più modalità espressive: può essere pubblica, privata, politica o sociale, interpersonale o mediatica, faccia a faccia oppure on-line. Dobbiamo quindi ricordare quali sono gli assiomi della comunicazione, elaborati dalla scuola di Palo Alto (California), ed indicano degli elementi sempre presenti in una comunicazione. Essi sono: 1° Assioma: È impossibile non comunicare. In qualsiasi tipo di interazione tra persone, anche il semplice guardarsi negli occhi, si sta comunicando sempre qualche cosa all'altro soggetto. 2° Assioma: In ogni comunicazione si ha una metacomunicazione che regolamenta i rapporti tra chi sta comunicando. 3° Assioma: Le variazioni dei flussi comunicativi all'interno di una comunicazione sono regolate dalla punteggiatura utilizzata dai soggetti che comunicano. 4° Assioma: Le comunicazioni possono essere di due tipi: analogiche (ad esempio le immagini, i segni) e digitali (le parole). 5° Assioma: - Le comunicazioni possono essere di tipo simmetrico, in cui i soggetti che comunicano sono sullo stesso piano (ad esempio due amici), e di tipo complementare, in cui i soggetti che comunicano non sono sullo stesso piano (ad esempio la mamma con il figlio). La COMUNICAZIONE VERBALE E’ COSTITUITA DAL LINGUAGGIO, uno strumento di cui ci si serve per tradurre l'esperienza interna in concetti e per esprimere i propri pensieri e trasformarli in processo interpersonale e sociale. Si va a trasformare il nostro pensiero in parole: è il vettore delle parole, del contenuto puro e semplice, privato delle varie modalità con cui può essere trasmesso. La parola contiene caratteristiche distintive che possono essere Pag. 6 a 63 utilizzate in modo diverso secondo la forza con cui esprimere le proprie intenzioni; la scelta delle parole forma il registro linguistico. L'atto linguistico riguarda i mezzi linguistici che le persone usano per compiere le più comuni azioni sociali ed evidenza il carattere d'azione del linguaggio che ha la capacità di provocare effetti sul ricevente, si esprimono i sentimenti interiori. I cinque atti linguistici sono: 1. VERDETTIVI: constatare, descrivere, dire a qualcuno come stanno le cose; 2. ESERCITIVI: cercare di far fare qualcosa a qualcuno; 3. COMMISSIVI: impegnarsi a fare qualcosa, assumere impegni; 4. ESPOSITIVI: esprimere i propri sentimenti interiori; 5. COMPORTATIVI: causare cambiamenti attraverso le parole. COMUNICAZIONE ANALOGICA: Il linguaggio offre una rappresentazione analogica e continua del contenuto che si intende comunicare e caratterizza le COMUNICAZIONI NON VERBALE E PARAVERBALE. La comunicazione analogica non può essere isolata dalla comunicazione verbale perché le due forme di comunicazione costituiscono un insieme non separabile se non artificialmente per fini didattici. La comunicazione paraverbale è il tono che utilizziamo per definire un concetto, può essere più acuto o più grave, più caldo o più freddo, può esprimere entusiasmo, disappunto, noia, interesse. La comunicazione non verbale è il linguaggio del corpo: riguarda la postura, la prossemica, le espressioni del viso, movimenti delle braccia e delle mani e le comunicazioni cinesiche. Si manifesta ogni volta che una persona trasmette un’informazione ad un’altra attraverso lo sguardo, i gesti, utilizzando uno o più indicatori non verbali contemporaneamente. “La comunicazione non verbale lascia filtrare contenuti profondi e parla come il linguaggio non sa parlare” (Gullotta) L’INTERVENTO EDUCATIVO consiste in un processo di comunicazione basato su di un linguaggio e sul passaggio di informazioni, è dunque compito di chi trasmette adottare un linguaggio adeguato alle opportunità dell'ambiente sociale e culturale cui si rivolge. Molti fattori influenzano la capacità di comunicare, ed il più importante è, senza dubbio, la disponibilità a dialogare, senza la quale anche il migliore dei messaggi non giunge a segno. Questa disponibilità si conquista attraverso un'impostazione di accettabilità globale del messaggio educativo che, oltre ad essere comprensibile, deve anche interessare. LA COMUNICAZIONE ALL’INTERNO DI UN GRUPPO Un gruppo viene definito dalle caratteristiche dei suoi componenti, nonché dagli obbiettivi che esso si propone. IL GRUPPO SOCIALE è costituito da un numero di individui che hanno instaurato:  Interdipendenza: un evento che influenza un membro del gruppo, influenza tutti;  Relazioni interpersonali: gli appratenti ad un gruppo interagiscono fra di loro, ossia entrano in relazione;  Senso di appartenenza: pur non interagendo, i membri di un gruppo devono avere una percezione collettiva della loro unità;  Scopi comuni: i gruppi esistono per una ragione;  Motivazione: nel gruppo i singoli individui cercano di soddisfare una propria soddisfazione mediante questa associazione;  Influenza reciproca: i membri si influenzano uno con l’altro  Relazioni strutturate: che ci vengono dati dai ruoli e dalle norme. Quando un membro del gruppo assume una posizione predominante, ostacola la comunicazione circolare e determina una comunicazione gerarchica, meno proficua, che può portare alla contestazione dell'informazione oppure al mancato recepimento dell’informazione. Pag. 7 a 63 Un intervento di educazione sanitaria si attua attraverso l'espletamento di quattro differenti fasi: 1. Analisi dei problemi e dei bisogni: la prima fase si basa sulla raccolta dei dati demografici e socio-sanitari, sullo studio delle modalità di aggregazione della comunità destinataria dell'intervento, scuola, gruppo religioso, associativo od occupazionale e sulla presenza in esso di leader, sul rilievo dei bisogni individuali e di gruppo, percepiti e non, espressi e non. 2. Programmazione: prevede l'identificazione della gamma delle soluzioni possibili, esaminate ciascuna sotto il profilo dei vantaggi e degli svantaggi, e la definizione, in rapporto con gli obiettivi comportamentali prefissati, degli obiettivi educativi, anche in considerazione degli altri elementi culturali, psicologici e sociali che caratterizzano la comunità su cui si opera. Infine, sempre a livello della seconda fase, occorre prefissare i criteri di valutazione dei risultati. Sarebbe scorretto definirli ad operazione conclusa ed a risultati raggiunti. 3. Operatività o attuazione dell'intervento: la terza fase, operativa, consiste nella realizzazione della soluzione prescelta secondo criteri di priorità e di fattibilità; tra più obiettivi possibili, ed all’interno dello stesso obiettivo tra differenti soluzioni, si pone il problema della scelta 4. Valutazione o verifica dei risultati raggiunti: la quarta fase valutativa presenta differenti momenti e criteri di attuazione. La valutazione di efficienza, tesa a verificare se il programma prescelto sia stato realizzato con la minima spesa possibile; la verifica di efficacia, consistente nel controllare se siano stati raggiunti gli obiettivi comportamentali come adozione di stili di vita più congrui, eliminazione di fattori comportamentali di rischio, nonché gli obiettivi di salute in termine di riduzione dei tassi di incidenza. Il termine educazione sanitaria comprende gli interventi, individuali o collettivi, volti a far sì che i componenti della comunità adottino comportamenti intesi a migliorare la propria salute, ad eliminare i fattori di rischio e ad evitare la comparsa di malattie. Questi comportamenti devono derivare da una comunicazione ed informazione esaustiva, l'informazione deve riguardare: le cause di malattia ed i fattori che danneggiano la salute; i progressi della medicina preventiva e della medicina curativa, i vantaggi ed i limiti dei singoli interventi preventivi e delle pratiche di diagnosi e di cura, nonché il primato di uno stile di vita che dia buona forma fisica e benessere psico-sociale. La popolazione deve essere informata di tutti i servizi disponibili e delle relative modalità di accesso attraverso una campagna informativa, basata sul successo comunicativo. SORVEGLIANZA DELLE INFEZIONI NOSOCOMIALI CAPITOLO 34 Le infezioni ospedaliere, le infezioni nosocomiali e le ICA (Infezioni Correlate all’Assistenza sanitaria) sono la complicanza più frequente e grave dell’Assistenza Sanitaria. Si riferiscono alle infezioni insorte durante il ricovero in ospedale o dopo la dimissione del paziente, che però al momento dell’ingresso non erano manifeste clinicamente né erano in incubazione; le persone più a rischio sono i pazienti, ma in misura minore possono essere anche i medici, gli infermieri… Tra le condizioni che vanno ad aumentare la suscettibilità delle infezioni sono: l’età, altre infezioni o patologie concomitanti, la malnutrizione, traumi, ustioni o una condizione di immunodepressione. MODALITA’ DI TRASMISSIONE: tantissime; possono essere trasmissibili contemporaneamente a più persone attraverso un veicolo comune contaminato (cibo, sangue, liquidi di infusione), via aerea ma soprattutto per CONTATTO DIRETTO TRA UNA PERSONA SANA ED UNA PERSONA INFETTA tramite le mani. Le ICA sono importanti perché, da un punto di vista economico, portano ad una maggiore degenza del paziente in ospedale e lo sono, in maniera evidente, in termini di salute. Occorre quindi attuare programmi di controlli su diversi livelli (nazionale, regionale, locale) per garantire la messa in opera di quelle misure che si sono dimostrate efficaci nel RIDURRE AL MINIMO il rischio di complicanze infettive. La SORVEGLIANZA DELLE INFEZIONI NOSOCOMIALI è la base di ogni programma di prevenzione della azienda sanitaria; consiste in un processo dinamico di raccolta, organizzazione, analisi e comunicazione dei dati e/o degli avvenimenti specifici su una popolazione definita. Pag. 10 a 63 Quando fra gli alunni si dovesse manifestare un caso di malattia infettiva, è compito del medico scolastico decidere quali interventi di prevenzione occorre attuare per evitare la diffusione dell'infezione. La vaccinazione è il solo modo per prevenire la maggior parte delle malattie infettive che si manifestano nell'infanzia. Il bambino vaccinato, non solo è protetto esso stesso dalla malattia, ma, in una certa misura, protegge anche gli altri bambini giacché non può trasmettere l'infezione non infettandosi. Viceversa, il bambino non vaccinato è esposto ad ammalarsi e costituisce una sorgente d'infezione per gli altri. Per alcune malattie infettive vige l’obbligo della vaccinazione che deve essere documentata, da un apposito certificato, nel momento dell’iscrizione a scuola. Durante il primo anno di vita verrà somministrato, al bambino, un vaccino ESAVALENTE costituito da: difterite, poliomielite, tetano, epatite B, pertosse ed haemophilus influenzae di tipo B (1° dose entro il terzo mese, 2° dose al quinto mese e la 3° dose all’undicesimo mese). Le parassitosi scolastiche si distinguono in:  endoparassitosi sono causate da protozoi o da elminti (vermi), che invadono l'organismo e si localizzano in determinati organi interni o apparati  ectoparassitosi si localizzano sulla superficie esterna del corpo. ENDOPARASSITOSI In passato i bambini soffrivano di parassitosi intestinali, specialmente la giardiasi, causata dal protozoo Giardia lamblia e le elmintiasi causate da diverse specie di elminti (vermi). La Taenia bovina, appartiene alla classe dei Cestodi, è un parassita obbligato di animali, ma infesta anche l’uomo. Tipicamente ha un ciclo vitale con uno o più ospiti intermedi e un ospite definitivo di specie diversa. Nell’ospite intermedio si incista nei muscoli e altri organi come metacestode o cisticerco. Nell’ospite definitivo, rappresentato dall’uomo, il metacestode si rovescia e la testa (scolice) aderisce saldamente alla parete dell’intestino tramite uncini e ventose e resta nell’intestino, dove si accresce fino a oltre 10 m di lunghezza, e con le feci vengono espulse all’esterno proglottidi mature piene di uova. La tenia dei maiali (Taenia solium) è potenzialmente più pericolosa per l’uomo perché può utilizzarlo come ospite intermedio, formando cisticerchi nei muscoli, fegato, cervello e altri organi. OSSIURIASI: l’infezioni da ossiuri (Enterobius vermicularis) si manifestano comunemente con prurito a carico della zona rettale, soprattutto notturno, quando i vermi femmina sono più attivi e migrano per depositare le uova. Ogni verme femmina può produrre più di 10.000 uova durante il corso della sua vita. A seguito del grattamento dovuto al prurito, le uova del parassita possono trasferirsi nella zona sottostante l'unghia ed essere diffuse a qualsiasi oggetto toccato successivamente. Se un individuo sospetta la presenza di ossiuri, può ricorrere all'impiego di un test detto "scotch test" (Test di Graham). Non sono infezioni pericolose e si risolvono con una terapia farmacologica. ECTOPARASSITOSI Se parliamo di ectoparassitosi, parliamo di organismi che si localizzano sulla superfice esterna del corpo e sono causate da cimici, pulci e pidocchi. PEDICULOSI: sono infestazioni causate da ARTROPODI EMATOFAGI che vivono come ectoparassiti nell’uomo, sono parassiti obbligati e permanenti perché lontano dall’ospite muoiono in breve tempo. Tra i più parassiti artropodi parassiti dell’uomo, quelli con maggiore interesse medico sono i PIDOCCHI. Ne esistono oltre 200 specie ma solo tre infestano l’uomo: Pediculus capitis, rimane sempre e solo sulla testa; è un insetto di piccole dimensioni 1,5 per 0,7 mm il maschio, 2,3 per 1 mm la femmina. Pediculus corporis si annida nei vestiti e si sposta sulla pelle delle altre parti del corpo solo per nutrirsi, succhiando il sangue della persona infestata. Pag. 11 a 63 Phthirus pubis (pidocchio del pube) vive di solito sulla cute del pube, ma può estendersi ad altre regioni ricoperte da peli. Depone le sue uova, circa 3 al giorno, cementandole alla base dei peli (per un totale di circa 26). Il pidocchio del pube o piattola è più piccolo circa 0,8 - 1,2 mm,ha l’addome molto corto ed il primo paio di arti meno sviluppato degli altri. Attualmente, le infestazioni che si verificano maggiormente in età scolare, sono quelle causate dal pidocchio del capo. La femmina vive circa 30 giorni e durante la sua vita depone da 50 a 100 uova oblunghe (0,9 per 0,35 mm) con un opercolo ad una delle estremità, bianche e lisce, dette lendini, che si fissano tenacemente ai capelli grazie ad un sostanza cementante. Il pidocchio del capo passa facilmente da un soggetto all'altro per occasionali contatti tra i rispettivi capelli, più difficilmente, attraverso veicoli di vario genere, come pettini, spazzole, cappelli, biancheria del letto. È questo il motivo per cui la diffusione all’interno del nucleo familiare e delle comunità scolastiche avviene con molta frequenza. IGIENE DELLE STRUTTURE SCOLASTICHE CAPITOLO 36 Con riferimento all’igiene nella scuola, l’età evolutiva si può intendere limitata al periodo che va dai 3 anni, quando il bambino inizia la scuola, ai 18 anni, quando termina il ciclo della scuola secondaria di II grado. In questo ampio periodo il bambino trascorre gran parte del suo tempo nell'ambiente familiare e in quello scolastico (prima la scuola dell’infanzia e poi quella dell'obbligo). Dopo l'ambiente domestico è l'ambiente scolastico, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di primo grado, quello in cui si ha la maggiore permanenza durante l'età evolutiva. Per la formazione degli alunni sono importanti l’educazione fisica e la pratica sportiva perché favoriscono l’armonico sviluppo psicofisico del bambino o dell'adolescente, la maturazione della struttura scheletrica con aumento della densità ossea e muscolare e il potenziamento del sistema cardiorespiratorio. I possibili interventi di promozione e prevenzione in ambito scolastico vanno perseguiti nelle varie strutture educative da parte dei Servizi di Medicina di Comunità delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) in sinergia con il personale docente. Nelle ASL italiane i Servizi di Medicina Scolastica sono stati istituiti nel 1961 (DPR n. 624) L'ambiente scolastico è costituito dall'edificio scolastico con tutte le sue componenti interne, dalle strutture annesse e dagli arredi. In Italia i requisiti strutturali degli edifici scolastici sono fissati dal D.M. 18 dicembre 1975: "Norme tecniche aggiornate relative all'edilizia scolastica". AULA SCOLASTICA: L'aula scolastica deve avere forma rettangolare, con larghezza massima di 6 m e un'altezza minima di 3 m; L'illuminazione, sia quella naturale che quella artificiale, deve assicurare agli studenti la massima visibilità; Le finestre devono essere ampie, così da permettere il massimo di penetrazione della luce solare ed essere situate su un lato affinché la luce naturale arrivi agli alunni da sinistra; La temperatura minima durante l'inverno deve essere di circa 20 °C. Secondo quanto previsto dal D.M. 18 dicembre 1975 e dalle normative successive, sono indispensabili i seguenti arredi dell'aula: - tavoli e sedie per gli studenti e per l'insegnante – lavagna - armadi (per il materiale didattico, biblioteca di classe ecc.) - apparecchi per la visione (lim, PC, proiettori, TV ecc.). È opportuno che gli attaccapanni siano posizionati fuori dall'aula; Particolare attenzione va posta alla scelta dei tavoli, delle sedie e dei banchi scolastici perché se non idonei possono portare una serie di malesseri e patologie. Attualmente si è orientati ad arredare l'aula con singoli tavolini con piano orizzontale e sedie senza braccioli. La corretta posizione del corpo dell'alunno è legata al rapporto tra il piano del tavolo e quello della sedia. SERVIZI IGIENICO SANITARI costituiti da bagno (gabinetto) e antibagno. Tali servizi sono previsti sia nella sede con le aule sia nella palestra; i bagni sono preceduti da antibagni e sono separati per sesso, sia per gli insegnanti che per gli studenti; il numero dei bagni deve essere proporzionato al numero delle classi. Il locale antibagno deve essere Pag. 12 a 63 provvisto di lavabo con rubinetti per l'acqua calda e fredda con comando a pedale, di fontanelle per bere e finestre che si aprono direttamente sull'esterno. REFEZIONE SCOLASTICA la mensa, le annesse dispense e la cucina devono rispettare gli stessi requisiti dei locali adibiti alla preparazione, somministrazione e consumo degli alimenti. Con l'allestimento di un "menù tipo", in grado di soddisfare le esigenze nutritive degli studenti, sia qualitative (principi nutritivi) sia quantitative (calorie), si può approfittare di questo momento conviviale per attuare un'attività di educazione alimentare volta a contrastare l'aumento dei casi di sovrappeso e di obesità tra i giovani. PALESTRA: sono strutture in cui viene praticata la ginnastica libera, correttiva ed attrezzistica; devono essere presenti in ogni scuola di ogni ordine e grado al fine di promuovere nei giovani l'educazione fisica, vale a dire educarli alla forma fisica e al benessere. AUDITORIUM: nella scuola deve essere presente una grande sala per le riunioni generali e le manifestazioni. Questo ambiente deve essere adeguatamente capiente in rapporto alla popolazione studentesca che frequenta la scuola. FATTORI DI RISCHIO NEGLI AMBIENTI SCOLASTICI Si possono distinguere fattori fisici, chimici e biologici che possono insidiare il benessere degli alunni e produrre, in certi casi, uno stato di malattia. FATTORI FISICI Per i bambini delle scuole dell’infanzia gli eventi nocivi più frequenti sono rappresentati dai traumi, dall'ingestione di corpi estranei o dalla loro introduzione nella laringe, nella trachea ed in orifizi del corpo (condotto uditivo, narici). Eventi traumatici sono relativamente frequenti anche tra gli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado. Altri fattori fisici responsabili di disagi e di malessere sono: un microclima non ottimale, una illuminazione difettosa, una rumorosità eccessiva. FATTORI CHIMICI Abitualmente, nell'ambiente scolastico non vi è presenza di sostanze tossiche. FATTORI BIOLOGICI La vita in comune in ambienti chiusi facilita, la trasmissione di virus e batteri: virus del morbillo, della rosolia, della parotite, della varicella, dell'influenza, del raffreddore comune, batteri della meningite, streptococchi, pneumococchi, ecc. Facile è anche la trasmissione di ectoparassiti come i pidocchi. I principali provvedimenti di profilassi sono:  Allontanamento dalla scuola ed eventuale chiusura della scuola, è un provvedimento che si adotta per i malati e i casi sospetti di infezione trasmissibile. Qualora insorgano malattie infettive altamente epidemiche e gravi, può risultare indispensabile da parte dell'autorità competente chiudere la scuola  Disinfezione degli ambienti scolastici, è opportuno effettuare almeno una volta all'anno una disinfezione ambientale di tutti i locali della scuola, servizi compresi.  Vaccinazioni permette di instaurare nella comunità scolastica un’immunità di gruppo in grado di ostacolare lo sviluppo di focolai epidemici.  Sorveglianza generale, si avvale del controllo delle assenze degli studenti al fine di individuare i casi di malattie trasmissibili, nonché della sorveglianza della salute degli alunni e degli insegnanti in collaborazione con i servizi di Medicina di Comunità delle ASL. PATALOGIE FREQUENTI IN ETA’ SCOLARE CAPITOLO 37 CARIE DENTALE è un processo distruttivo dovuto alla solubilizzazione dei sali minerali dello smalto, del cemento e della dentina con decalcificazione e con progressiva distruzione anche della componente organica, localizzata in determinati punti dei denti. I denti presentano una parte fissata nell'osso, detta radice, ed una parte sporgente, detta corona. Ha una genesi multifattoriale:  Fattori predisponenti individuali irregolarità nella morfologia e nell'allineamento dei denti o da una predisposizione familiare. Pag. 15 a 63 TOXOPLASMOSI È una zoonosi ubiquitaria, con la caratteristica di non possedere una specificità d'ospite, che può essere quindi rappresentato da qualsiasi mammifero e dai volatili; nell’uomo difficilmente si manifesta ma l’infezione è molto diffusa e frequente. I contributi sperimentali degli ultimi anni hanno chiarito alcuni aspetti della toxoplasmosi, relativi al ciclo biologico del parassita, alla sua collocazione sistematica ed alla trasmissione da animale ad animale e da questi all'uomo. Di fondamentale importanza è stata la dimostrazione (1970) di una fase sessuata nel ciclo riproduttivo del protozoo, che si compie nell'intestino del gatto e che ha permesso di considerare questo animale come l'unico ospite definitivo fino ad ora identificato. L'agente eziologico è il protozoo Toxoplasma gondii, parassita endocellulare obbligato dell’uomo, che possiede 2 cicli riproduttivi differenti: 1. Il ciclo asessuato o schizogonico si svolge in una gran varietà di mammiferi (compreso l'uomo) e di uccelli, che rappresentano altrettanti ospiti intermedi. In questa fase il toxoplasma si presenta in due forme: vegetativa e cistica. Nella forma vegetativa (proliferativa, trofozoitica) ha un’estremità appuntita e l'altra arrotondata, si riproduce attivamente per scissione binaria. La forma cistica (pseudocistica) si forma dopo la fase iniziale di intensa riproduzione del trofozoita, in concomitanza con la risposta anticorpale. Le pseudocisti, restano localizzate nei tessuti (in particolare nel cervello, muscoli ed occhio), dove sono capaci di sopravvivere per anni. 2. Il ciclo sessuato o gamogonico si svolge nell'intestino del gatto, che è quindi l'unico ospite definitivo. L'animale si infetta in seguito all'ingestione di piccoli roditori (topi, ratti) e di uccelli parassitati dal toxoplasma. Dopo 10-15 giorni dall'infezione, le oocisti passano nel lume intestinale e vengono eliminate con le feci nell'ambiente esterno, sono estremamente resistenti all’ambiente esterno e possono infettare l’uomo che le ingerisce attraverso alimenti infetti. Si distinguono due forme di toxoplasmosi: la connatale o congenita e l'acquisita o primaria. La TOXOPLASMOSI CONNATALE (o congenita) si contrae in gravidanza; è conseguente ad un’infezione acuta che spesso è asintomatica nella madre; durante i primi 3 mesi di gravidanza è molto pericolosa perché, può estendersi al feto per passaggio transplacentare e provocare un ABORTO SPONTANEO, la NASCITA DI UN FETO MORTO, LA NASCITA DI UN FETO VIVO MA CON ALTERAZIONI. La possibilità di trasmissione al feto è minore nei primi mesi di gravidanza (20-30%), ma appare più frequente nell'ultimo trimestre (oltre il 50%), con conseguenze più gravi nei primi mesi di gravidanza. La TOXOPLASMOSI ACQUISITA è un’infezione primaria contratta con l’ingestione di carni crude o poco cotte di animali infetti contaminati da cisti, oppure verdure crude contaminate da feci di gatti infatti; generalmente è asintomatica. Le rare forme cliniche possono presentare interessamento cerebrale (encefalite acuta, con cefalea e vomito, convulsioni) ma più frequentemente LINFOADENOPATIE E POLMONITI. HERPESVIRUS Appartengono alla famiglia HERPESVIRIDAE, parassitari dell’uomo e dell’animale, sono provvisti di un involucro esterno (envelope) e di un tegumento; con DNA a doppio filamento e un nucleo capside. Restano resistenti alle radiazioni e ai comuni disinfettanti. L’infezione da HSV 1 si contrae sovente nella prima infanzia per contagio interumano diretto da soggetti portatori di lesioni evidenti clinicamente o da soggetti con infezione asintomatica o da eliminatori del virus mediante la saliva. L’infezione da HSV 2 è prevalentemente a trasmissione sessuale e quindi tipica della vita adulta. Tale virus è il maggior responsabile dell’herpes genitale, localizzato sulla cute o sulle mucose genitali femminili e maschili. La trasmissione in gravidanza o in fase perinatale è più frequente nell’infezione primaria. Le forme da HSV 2 conseguono generalmente al contatto con secrezioni vaginali materne infette al momento del parto, più di rado è stato documentato il passaggio transplacentare del virus (5%), in questi casi può derivare aborto o prematurità. Pag. 16 a 63 Può determinare microcefalia, microoftalmia, calcificazioni intracraniche e corioretinite. La trasmissione attraverso il canale del parto è più frequente e viene a determinarsi per l’intimo contatto madre-feto nella fase del parto. Il 75%-90% dei neonati con HSV nascono da donne asintomatiche. Le lesioni da infezione connatale da virus herpes simplex possono dare una forma gravissima caratterizzata da poliviscerite, anemia emolitica. Una forma grave con infezione sistemica del prodotto del concepimento caratterizzata da meningoencefalite.Una forma lieve caratterizzata da lesioni vescicolare cutanee e mucose. CITOMEGALOVIRUS (CMV) Il citomegalovirus appartiene alla famiglia degli Herpesvididae. Il suo genoma è costituito da una singola macromolecola di DNA a doppia elica e si trasmette attraverso secrezioni contaminate, trapianti di tessuti infetti, trasfusioni, rapporti sessuali. L’infezione primaria durante la gravidanza può provocare una trasmissione intrauterina del virus nel 40% dei casi, e i neonati possono soffrire di patologie gravi nel 10% dei casi. L’infezione, proprio con Herpes Umano di tipo 2, può avvenire sia tramite il passaggio transplacentare, sia nel canale del parto tramite il contatto del neonato con le secrezioni infette della madre. Le manifestazioni di fetopatia possono essere di lieve entità così come di notevole alterazione del sistema nervoso centrale: -ritardo di sviluppo intrauterino - epatosplenomegalia - anomalie ematologiche (specialmente trombocitopenia) - manifestazioni cutanee, comprese petecchie e porpora - microcefalia - ritardo psicomotorio- mentale; - atrofia cerebrale - sordità neuro-sensoriale - calcificazioni intracerebrali con distribuzione periventricolare. VIRUS DELLA ROSOLIA La rosolia è una malattia infettiva moderatamente contagiosa, ad eziologia virale, che colpisce prevalentemente, ma non esclusivamente, il bambino. L’agente infettivo è un Togavirus a RNA. La trasmissione è interumana tra un soggetto malato ed uno sano, avviene per via inalatoria per la mucosa nasale e congiuntivale. E’ caratterizzata da esantema maculo-papuloso e da tumefazioni linfoghiandolari, retronucali, retrocervicali. Ha abitualmente un decorso benigno. L’infezione acuta primaria e la vaccinazione determinano immunità permanente. L’infezione acuta primaria e la vaccinazione determinano immunità permanente. Contratta durante la gravidanza può determinare la morte del feto o la comparsa di gravi malformazioni (rosolia congenita). Il rischio di embriopatia malformativa varia a seconda dell’epoca gestazionale in cui è stata contratta l’infezione materna. Il passaggio transplacentare avviene:  In percentuale superiore al 60% se la prima infezione avviene entro le prime 4 settimane di gestazione.  Diminuisce al 40-50% se l’infezione avviene nelle prime 5-8 settimane.  Si riduce fra il 10 e il 20% tra le 9 e le 12 settimane  si riduce ulteriormente al di sotto del 10% se l’infezione primaria avviene dopo la 12 settimana. I PRINCIPALI REQUISITI DELLE STRUTTURE SPORTIVE CAPITOLO 39 Per quanto riguarda la localizzazione di un impianto sportivo, si può inserire in vari contesti, tra cui:  impianto autonomo inserito in un'area non urbanizzata (spesso la periferia di un centro abitato);  impianto urbano all'interno di un complesso di strutture di servizi sociali;  impianto integrato all'interno di una struttura sportiva già esistente;  impianto all'interno di una struttura scolastica. La costruzione di un impianto autonomo in area non urbanizzata, occorre innanzitutto effettuare la scelta dell'area: Pag. 17 a 63 1. tenere conto della natura del terreno, poiché non deve essere soggetto a inondazioni o smottamenti, deve risultare stabile e permeabile, non deve contenere radon 2. delle condizioni dell'ambiente in cui si inserisce: un'area sufficientemente ampia da permettere l'inserimento dell'impianto e dei parcheggi; deve essere salubre e quindi lontano da insediamenti industriali, da fonti di inquinamento atmosferico; deve essere facilmente raggiungibile con i pubblici servizi, 3. dei fattori climatici, direzione e velocità dei venti predominanti, adeguata esposizione al sole, umidità relativa compatibile con le attività degli sportivi e del pubblico. Le varie attività sportive possono essere raggruppate in tre grandi aree:  Terra, per esempio: calcio, atletica leggera, golf, tennis, ginnastica, pallavolo, pallacanestro, rugby (hanno spazi regolamentari, grandi campi all'aperto, piccoli campi, sale per allenamento)  Acqua, per esempio: nuoto, tuffi, pallanuoto, sci nautico, sci, pattinaggio (vasche regolamentari, piste di neve e di ghiaccio)  Aria, per esempio: paracadutismo, deltaplano. (Necessitano di ampi spazi naturali) Le condizioni igieniche, delle moderne strutture adibite all'attività sportiva al chiuso (indoor) e all'aperto (outdoor), dipendono da un insieme di requisiti che influenzano positivamente il benessere degli atleti e delle persone che le frequenteranno attivamente. Fra tali parametri quelli di maggior rilievo sono la coibentazione termica, acustica e la porosità/permeabilità all'aria e all'acqua dei materiali, che condizionano l'umidità della struttura. Particolari sono alcuni problemi igienici posti dalle strutture prefabbricate dove si pone principalmente il problema della coibentazione acustica sia della quasi totale assenza di ventilazione e ricambio d'aria attraverso le pareti degli elementi prefabbricati. Per il benessere e il confort ambientale nelle strutture al coperto (indoor) destinate all'attività motoria la realizzazione di una ventilazione naturale idonea integrabile, se necessario, con una ventilazione artificiale, e un adeguato irraggiamento solare e/o un'appropriata illuminazione artificiale. La presenza di ampie finestre laterali favorisce l'illuminazione naturale e tuttavia comporta una maggiore dispersione termica e acustica. Occorre considerare che un eccessivo irraggiamento solare diretto si ripercuote negativamente sulla termoregolazione dell'atleta e sulla sua capacità visiva. Nelle strutture sportive all'aperto si pone il problema della direzione dei venti dominanti e della loro velocità, che può ostacolare fortemente una prestazione o influenzare l'andamento di una gara, oltre che incidere negativamente sul benessere termico e sul consumo energetico dell'atleta/sportivo. PALESTRE La palestra è costituita da una sala per l'attività ginnico-sportiva dotata dei principali attrezzi ginnici. Gli spazi possono essere organizzati in vari modi: in maniera lineare, con le gradinate per il pubblico poste lungo i due lati lunghi della sala di attività e i locali di servizio situati sotto la sala in forma centralizzata, con le gradinate per il pubblico poste ad anello intorno alla sala di attività e i locali di servizio sotto la sala, e su più livelli, sala attività e servizi per atleti al piano terra e spazi per il pubblico posti ai piani superiori. PALESTRE SCOLASTICHE (A1 A2) con un campo da pallavolo e/o minibasket PALESTRE SPORTIVE (B1 B2) devono essere dotate di un campo regolamentare di pallacanestro CAMPI SPORTIVI La forma deve essere regolare e pianeggiante, l'orientamento deve essere con l'asse longitudinale in direzione nord-sud, il microclima dell'area deve assicurare una scarsa presenza di venti e un buon soleggiamento. Il terreno di gara deve avere una superficie uniforme ed essere drenante ed elastico, preparato in funzione del tipo di sport praticato. Pag. 20 a 63 La CONGIUNTIVITE è un'infiammazione acuta delle congiuntive caratterizzata da arrossamento per vasodilatazione e secrezione congiuntivale abbondante; quelle causate da virus sono molto frequenti nei bambini, mentre le forme indotte da batteri prevalgono negli adulti. La congiuntivite da piscina (o emorragica) è una diffusa infiammazione acuta delle congiuntive indotta da infezione virale da adenovirus, la patologia è caratterizzata dallo sviluppo di follicoli linfoidi e da emorragie sottocongiuntivali e ha un decorso di 7-14 giorni (8 in media). La prevenzione della congiuntivite delle piscine si basa sulla clorazione dell'acqua, che è in grado di inattivare efficacemente gli adenovirus; è bene poi evitare, negli ambienti di servizio, di maneggiare oggetti in comune come asciugamani, asciugacapelli ecc. Le OTITI sono infezioni dell'orecchio esterno e medio, in cui l'impianto dei microrganismi viene favorito dal ristagno dell'acqua nel condotto uditivo esterno e dalla macerazione dell'epitelio. Molti sono gli agenti causali: stafilococchi (foruncoli), streptococchi e virus (infiammazioni del timpano), miceti (infezioni dell'orecchio esterno). Le VERRUCHE (PAPILLOMI) Sono neoplasie epiteliali benigne che si presentano come una lesione papillomatosa, unica o plurima. Sono causate dal papillomavirus umano (HPV), di cui si conoscono oltre 100 sierotipi. Il virus provoca sulla cute piccole escrescenze con superficie villosa o "a melone" (indicate comunemente come verruche o porri) e sulle mucose i papillomi e i condilomi acuminati, ricchi di virus. L'infezione è caratterizzata da autoinoculabilità in altre parti del corpo (con il grattamento) e da contagiosità. DERMATOMICOSI casate da miceti che prediligono ambienti umidi come le piscine e le docce e alcuni di essi colonizzano la cute e le mucose dell'uomo. Si definiscono funghi dermatofiti quelli che si riproducono utilizzando le strutture epidermiche ricche di cheratina, come lo strato corneo, le unghie, i peli e i capelli. Il contagio avviene in genere attraverso materiale da bagno contaminato (accappatoi, teli ecc.). La candidosi della cute e delle mucose è un'infezione causata da miceti lievitiformi del genere Candida (solitamente C. albicans) che si manifesta con arrossamento diffuso, desquamazione e prurito. Le aree cutanee e mucose più colpite sono quelle intorno all'ano, all'inguine, alle ascelle, ai solchi sottomammari delle donne, alle unghie. Nella donna è possibile anche l'infezione vaginale, caratterizzata da prurito e da perdite bianche. Si definisce, infin, LEGIONELLOSI ogni malattia infettiva causata dal batterio Legionella, il serbatoio delle legionelle è l'ambiente acquatico. L'uomo contrae l'infezione attraverso aerosol, cioè quando inala acqua contaminata da una sufficiente quantità di batteri; quando questa entra a contatto con i polmoni, insorge l'infezione polmonare. Si distinguono clinicamente ed epidemiologicamente due diverse legionellosi: la febbre di Pontiac (legionellosi non polmonare) e la malattia dei legionari (polmonite interstiziale). La malattia dei legionari si trasmette per via aerea e, dopo circa 2-10 giorni dal l'infezione, compaiono sintomi quali anoressia, febbre elevata, malessere, mialgia, cefalea, dolore toracico e tosse, che si accompagnano a polmonite interstiziale, spesso multilobare. Un altro rischio tipico della piscina è rappresentato da alcuni tipi di infortuni (traumi, ferite, annegamento ecc.), per evitarli esistono molte norme di sicurezza e, inoltre, è prevista la presenza dell'assistente bagnanti, un operatore abilitato al salvataggio, al primo soccorso e alla vigilanza della sicurezza in vasca e nelle vicinanze. ATTIVITA’ FISICA, SPORT E PROMOZIONE DELLA SALUTE CAPITOLO 41 L'attività fisica regolare aiuta a mantenere la forma fisica e psichica; è considerata un'importante componente di un sano stile di vita e ciò in linea con la massima "muoversi per star bene". Nei Paesi sviluppati si è assistito a una sempre maggiore tendenza all'inattività fisica o sedentarietà; studi sia clinici sia epidemiologici indicano come lo stile di vita sedentario, tipico delle popolazioni più sviluppate, esponga le persone a numerose condizioni e patologie, quali le malattie cardiovascolari (infarto miocardico, ictus cerebrale, ipertensione), il diabete e l'obesità. Al contrario, una serie molto ampia di altri studi clinici ed epidemiologici e di rassegne ha messo in evidenza come l'attività fisica praticata regolarmente produca effetti positivi ormai ben noti: incide in modo significativo sulla qualità della vita migliorando lo stato di salute, riducendo il rischio di mortalità generale, producendo benefici fisiologici con conseguente riduzione del rischio di insorgenza di condizioni e patologie importanti. Abbiamo anche benefici su muscoli, ossa e articolazioni, attraverso un'attività fisica regolare anche di moderata intensità: un minimo di 30 minuti di cammino svelto o 15 minuti di corsa per almeno 5 giorni alla settimana. Pag. 21 a 63 Attività fisica (physical activity): può essere definita come ogni movimento corporeo prodotto dalla contrazione di muscoli scheletrici che comporta dispendio energetico. L'attività fisica aerobica (aerobicphysical activity) è quell'attività in cui i grandi muscoli si muovono in maniera ritmica per un periodo di tempo prolungato; sono esempi di attività aerobica: la camminata svelta, il jogging, il ciclismo, il nuoto, la danza, il golf, il tennis. L'attività fisica di potenziamento muscolare (aumento della massa muscolare) e l'attività fisica aerobica svolgono effetti benefici; quella aerobica, in particolare, incrementa la forma cardiorespiratoria. Esercizio fisico (exercise): una sottocategoria dell'attività fisica in cui i movimenti del corpo sono ripetitivi, programmati e strutturati al fine di migliorare o mantenere la forma fisica (fitness) e la salute. L'esercizio fisico può essere di tipo sportivo (con competitività) o non sportivo (senza competitività). Forma fisica (physical fitness, fitness): l'abilità a svolgere le varie attività giornaliere con prestanza fisica, vigore e brillantezza, senza affaticamento e con energia adeguata per praticare i passatempi preferiti e rispondere a eventuali imprevisti. Sport: attività fisica agonistica (in gare atletiche, incontri sportivi). La pratica sportiva si caratterizza per la competitività, in quanto nello sport è insito lo scopo dell'affermazione personale o di gruppo. Ginnastica (gymnastics, gym): disciplina motoria che insegna l'arte di eseguire de terminati esercizi fisici correttamente. Educazione fisica (physical education): insegnamento che attraverso corsi a tema e pratici (l'attività fisica e quella sportiva) si prefigge di ottenere lo sviluppo psicofisico armonico e sano dell'organismo. Si rivolge in particolare ai giovani nella scuola al fine di educarli alla forma fisica, al benessere e alla promozione della salute da mantenere nel tempo, nella convinzione che "nessuna educazione sia possibile senza educazione fisica". L'esercizio fisico mantiene ossa e muscoli in buone condizioni, rallenta il processo di invecchiamento, migliora la forma e aumenta il tono e l'elasticità muscolare, lasciando nella persona che lo pratica una sensazione complessiva di benessere, autostima e sicurezza. Se viene eseguito con impegno e in modo regolare:  favorirà l'efficienza di cuore e polmoni e diminuirà significativamente il rischio di incorrere in malattie cardiache (coronaropatie o infarto miocardico)  migliora la circolazione del sangue nei muscoli  vengono rafforzati sia i muscoli sia i legamenti che li ancorano alle ossa, migliorando la resistenza e la mobilità delle articolazioni  il grasso immagazzinato nei tessuti viene metabolizzato e riutilizzato con conseguente riduzione del peso. Alla base di ogni attività atletica vi è la capacità funzionale dei muscoli: quanta forza sono in grado di sviluppare al momento dovuto, quanta potenza possono raggiungere nell'esecuzione di un dato lavoro e per quanto tempo possono continuare nella loro attività (resistenza allo sforzo). Vi sono poi i tre diversi sistemi energetici che vengono impiegati nella contrazione muscolare: 1. sistema aerobico che fornisce energia mediante l'ossidazione (con 02) di substrati energetici (glucosio) 2. sistema del fosfageno che si basa invece sull'energia immagazzinata nel composto creatinfosfato (creatina + ione fosfato) 3. sistema glicogeno-acido lattico nel quale il glicogeno immagazzinato nel muscolo viene scisso in glucosio e questo è poi utilizzato a scopo energetico. I vari esercizi fisici possono essere raggruppati in sei tipi principali sulla base dei diversi obiettivi che si prefiggono: 1. ESERCIZI AEROBI sono esercizi dinamici finalizzati ad aumentare la resistenza all'esercizio e allo sforzo e al miglioramento del l'attività cardiaca e polmonare. 2. ESERCIZI ISOMETRICI sono esercizi statici finalizzati a potenziare qualità e quantità della massa muscolare corporea, senza influenzare l’efficienza o l'efficienza cardiovascolare. Pag. 22 a 63 3. ESERCIZI ISOTONICI sono invece esercizi in cui il corpo lavora con il suo stesso peso (es. calistenici) o un peso esterno (sollevamento pesi). 4. ESERCIZI ISOCINETICI sono esercizi eseguiti di solito con l'ausilio di apparecchi piuttosto sofisticati presenti solo in palestra e nei centri sportivi. 5. ESERCIZI DI RILASSAMENTO che hanno lo scopo di rilassare la muscolatura e la persona. 6. ESERCIZI TERAPEUTICI sono quelli che si prefiggono il recupero funzionale di una parte del corpo danneggiata da lesioni o malattie, al fine di riportarla alla sua condizione di normalità. L'attività di potenziamento muscolare ha tre componenti: intensità (quanto peso o quanta forza vengono usati in relazione alla capacità della persona di eseguire esercizio di sollevamento), frequenza e ripetizione. L'attività fisica rappresenta pertanto uno dei mezzi più importanti che ciascuno di noi ha per conservare e promuovere la propria salute e a ciò può contribuire in vari modi: 1. Occorre iniziare l'attività fisica in modo graduale (start slowly) e aumentare gradualmente il livello dell'attività fisica; 2. in presenza di patologie croniche è opportuno far valutare i limiti delle proprie condizioni, entro cui svolgere l'attività fisica, dal medico curante. Pertanto è fondamentale evitare l'inattività: anche 60 minuti alla settimana di attività aerobica di moderata intensità sono sufficienti per promuovere la propria salute; 3. l'attività fisica controbilancia i rischi di ammalarsi. BENEFICI DEL MOVIMENTO Controllare il peso corporeo: per mantenere il peso occorre che per ogni settimana vengano effettuati 150 minuti di attività fisica aerobica di moderata intensità. Per perdere peso occorre un'elevata quantità di attività fisica, mentre nel contempo si segue un piano dietetico teso a riequilibrare la dieta e a ridurre la quantità di calorie ingerite con il cibo e le bevande. Ridurre le malattie cardiovascolari; un'attività fisica regolare può ridurre il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 e la sindrome metabolica. La sindrome metabolica è una condizione caratterizzata da una quantità elevata di adipe intorno alla vita, pressione arteriosa elevata, colesterolo HDL basso, trigliceridi elevati o alta quantità di zuccheri nel sangue (glicemia elevata). In presenza di diabete di tipo 2, un'attività fisica praticata con regolarità può influire positivamente sul controllo dei livelli di glucosio nel sangue. Riduce il rischio in almeno quattro tipi di cancro (colon, mammella, dell’endometrio e polmonare). Ricerche dimostrano che svolgere un'attività fisica aerobica di potenziamento delle ossa e della muscolatura può evitare patologie come l’osteoporosi, i soggetti che svolgono un'attività aerobica di moderata intensità per 120- 300 min/settimana presentano un minor rischio di frattura del femore. Per quanto concerne l'artrite, alcune ricerche di mostrano che un'attività aerobica di moderata intensità e basso impatto, di 130- 150 min/settimana, non solo consente di migliorare la capacità di controllare il dolore e di svolgere i lavori quotidiani, ma può anche migliorare la qualità della vita. Migliora la salute mentale e l'umore, aiuta a concentrarsi, a studiare, ad apprendere e a mantenere una vivace capacità critica anche in età senile; può anche ridurre il rischio di stress, ansia e depressione e aiuta a riposare e dormire meglio. IMPORTANZA DELL’ATTIVITA’ MOTORIA: PREVENZIONE RISCHIO E NORMATIVA CAPITOLO 42 Negli impianti sportivi tali rischi sono molteplici e connessi con tre diverse condizioni inevitabili: eventi imprevedibili (rischio infortuni); attività fisica intensa competitiva (rischio doping); affollamento (rischio infezioni e infestazioni). Per svolgere movimento in sicurezza e ridurre il rischio di infortuni occorre:  valutare il rischio e avere confidenza con l'attività fisica che si desidera svolgere;  scegliere l'attività motoria più appropriata al proprio livello di forma fisica e agli scopi sanitari prefissi, dato che alcune attività sono più sicure di altre; Pag. 25 a 63 PAPILLOMAVIRUS: CARATTERISTICHE, RISCHI E PREVENZIONE CAPITOLO 43 Il Papilloma Virus Umano o HPV (acronimo di "Human Papilloma Virus") è un virus a DNA appartenente alla famiglia dei Papillomaviridae; è molto comune infatti il 70% della popolazione lo incontra almeno una volta nella propria vita. Solitamente l'infezione provocata da questo virus non causa nessuna grave alterazione e si risolve da sola; in una minoranza di casi invece provoca delle lesioni a livello del collo dell'utero. Il Papillomavirus è circondato da un guscio proteico (capside) composto da 360 copie di una proteina detta L1 e 12 copie della proteina L2. IL GENOMA DELL’HPV E’ COSTITUITO DA UNA SINGOLA MOLECOLA DI DNA CIRCOLARE A DOPPIA ELICA. I Papillomavirus non infettano solo l’uomo, infatti sono stati isolati in numerose altre specie animali ma hanno la tendenza ad essere SPECIE SPECIFICI (l’infezione avviene tra due organismi della stessa specie). Sono isolati in tutte le regioni del corpo compresa la cute, la testa, il collo, il tratto respiratorio e quello genitale. I papillomavirus umani sono piccoli virus a Dna, ad oggi sono stati identificati oltre 200 tipi di HPV, ognuno dei quali viene identificato con un numero (HPV-1 HPV-2). Tra questi, circa 40 sono risultati associati a patologie del tratto anogenitale, e 15 (ad alto rischio) sono implicati nello sviluppo del cancro invasivo del collo dell’utero. I tipi più importanti dal punto di vista clinico sono il 16 e il 18, vengono considerati ad alto rischio perché sono responsabili di oltre il 70% di casi di cancro invasivo del collo dell’utero. Il tipo 16 è il Papillomavirus con maggiore prevalenza nel mondo, seguito dal tipo 18. I tipi 6 ed 11, invece, sono considerati a basso rischio perché associabili a malattie meno severe, come i condilomi genitali, il loro impatto comunque non va sottovalutato perché i condilomi sono tra le malattie sessuali più diffuse. Il virus Hpv si trasmette per via sessuale, attraverso il contatto con cute o mucose, anche i microtraumi che avvengono durante i rapporti sessuali potrebbero favorire la trasmissione; il preservativo quindi non protegge totalmente dal rischio di infezione perché anche la cute non protetta può essere infettata. L’HPV rimane attivo anche dopo anni dal contatto sessuale con un partner infetto, la maggior parte delle persone che sono state contagiate non sanno di esserlo e nemmeno di trasmettere il virus al proprio partner. La maggior parte dei pazienti affetti dal papilloma virus non presenta né sintomi né problemi di salute ad esso collegati: nel 90 % dei casi il sistema immunitario distrugge l’HPV naturalmente nel giro di due anni. Ci sono alcuni sintomi e segni che ci possono far pensare ad un'infezione uterina, tra i più comuni ricordiamo:  sanguinamento o flusso vaginale inconsueto (soprattutto dopo il rapporto sessuale)  dolore nella parte bassa della schiena  dolore quando si urina (particolarmente in concomitanza a dolore nella parte inferiore dell'addome)  dolore durante i rapporti sessuali. In alcuni casi, però, alcuni tipi di papillomavirus possono causare:  CONDILOMI (verruche genitali) sia negli uomini sia nelle donne;  più raramente si formano anche verruche nella gola, questo disturbo è detto papillomatosi respiratoria ricorrente (RRP).  cancro del collo dell’utero  anche altre forme di tumori, meno comuni che colpiscono la vulva, la vagina, il pene, l’ano e alcune zone della testa e del collo (lingua, tonsille e gola) Le verruche genitali di solito si presentano con un aumento incontrollato della proliferazione delle cellule epiteliali. Per diagnosticarle è sufficiente una normale visita ginecologica o andrologica. Le verruche possono apparire settimane o mesi dopo il contatto sessuale con un partner infetto, anche se il partner non presenta alcun sintomo visibile. Se non vengono curate possono scomparire, rimanere come sono oppure aumentare di dimensione e di numero. Pag. 26 a 63 Le lesioni cervicali intraepiteliali si verificano quanto vengono infettate le cellule dell’epitelioche rivestono la cervice uterina, si originano delle neoplasie cervicali intraepiteliali (CIN) di severità diversa. Alcune proteine del papillomavirus sono in grado di aumentare la velocità di proliferazione delle cellule ospiti, e di inibire i meccanismi di controllo che consentono a quest’ultime di eliminare le cellule con anomalie. Il cancro invasivo del collo dell’utero è molto pericoloso e, se non diagnosticato in tempo, può essere mortale. Le analisi per il papilloma virus attualmente in commercio sono usate soltanto per lo screening del tumore del collo dell’utero, non esiste infatti alcun test valido per entrambi i sessi ed in grado di fornire una risposta di “positività” o “negatività” all’HPV, e nemmeno esiste un esame in grado di individuare con certezza il virus sui genitali, nella bocca o nella gola. Il PAP-TEST consente la diagnosi precoce di anomalie cellulari, di forme precancerose e del cancro invasivo del collo dell’utero. È un esame economico, di semplice esecuzione e indolore pertanto è adottato come il principale strumento di screening nel mondo, ha consentito una diminuzione della mortalità per questa patologia. In Europa, attualmente, muoiono ancora 40 donne al giorno per carcinoma cervicale. COLPOSCOPIA: viene richiesta in caso di positività al PAP test. Il medico può applicare alla cervice alcuni liquidi che servono a visualizzare meglio eventuali anomalie cellulari. Test DNA HPV: Questo test cerca direttamente il materiale genetico (DNA) di HPV in un campione di cellule. Nel caso degli uomini non esistono altrettanti approcci, può in alcuni casi essere consigliata la peniscopia, una tecnica non invasiva per valutare approfonditamente eventuali anomalie cellulari sulla superficie esterna del pene. PREVENZIONE PRIMARIA: il nuovo vaccino ha dimostrato un’efficacia protettiva fino al 100%, contro le malattie associate ai tipi: 6, 11, 16 e 18 di Papillomavirus, in giovani donne di età dai 16-26 anni (e consigliabile comunque vaccinare già dai 9 ai 15 anni). Vengono somministrati in tre dosi ed è importante riceverle tutte per essere protetti al meglio; sono più efficaci se ricevuti prima di iniziare ad avere rapporti, cioè prima della possibile esposizione al virus. Nel caso in cui si è già stati a contatto con uno dei quattro virus, è possibile comunque eseguire la vaccinazione per essere protetti dai rimanenti virus. Non si conosce ancora la tempistica di protezione del vaccino, da alcuni studi già effettuati si è visto che a 5-9 anni dalla vaccinazione i livelli di protezione sono ancora elevati. In Italia la vaccinazione è offerta attivamente e gratuitamente alle ragazze nel dodicesimo anno di vita dal 2007, con un’adesione di circa il 70%. SALMONELLOSI E TOSSINFEZIONE ALIMENTARE CAPITOLO 44 La SALMONELLA è un batterio a bastoncello, è mobile, gram negativo, asporigeno ed ampiamente diffuso in natura. Il nome deriva da quello del patologo veterinario - Daniel Salmon - che isolò, per la prima volta nel 1886 in un caso di peste suina, la specie Salmonella choleraesuis dall'intestino di un suino. La salmonella è presente in natura con più di 2000 varianti (i cosiddetti sierotipi), ma i ceppi più frequentemente diffusi nell’uomo e nelle specie animali sono Salmonella enteritidis e Salmonella typhimurium. Le specie di Salmonella possono ritrovarsi nel tratto intestinale dell’uomo o degli animali (mammiferi, rettili, uccelli e insetti) sia come commensali sia come patogeni. La Salmonella typhi e la Salmonella paratyphi sono responsabili della febbre tifoide e delle febbri enteriche, in genere sono a circolazione esclusivamente umana. I principali serbatoi dell’infezione sono rappresentati dagli animali e i loro derivati e l’ambiente (acque non potabili) rappresentano i veicoli di infezione. Possono fungere da serbatoi: polli, suini, bovini e roditori, tartarughe, iguane, cani, gatti e pulcini. Anche l’uomo, quando è colpito da forme lievi o in periodo di convalescenza, può rappresentare un serbatoio di salmonelle. I casi di portatori cronici sono più frequenti tra gli animali che tra gli uomini. Pag. 27 a 63 L'ingestione di cibo pesantemente contaminato da ceppi di Salmonella, provoca una tossinfezione alimentare nota come salmonellosi, caratterizzata da dolori addominali, nausea e diarrea. La gravità della malattia è stabilita in relazione:  al sierotipo infettante;  al numero di microrganismi ingeriti e a fattori di resistenza del paziente, ad esempio a livelli di acidità gastrica ridotti corrispondono maggiori probabilità di manifestare diarrea.  I batteri che non vengono neutralizzati dalla secrezione acida dello stomaco suscitano una reazione infiammatoria nell’intestino che provoca il fenomeno diarroico. MODALITA’ DI TRASMISSIONE: Oro-fecale, Contaminazione ambientale Nell'uomo la salmonellosi ha un tempo di incubazione che varia fra le 12 e le 72 ore; la gravità dei sintomi è variabile. Si va da semplici disturbi intestinali che si risolvono nell'arco di 24 ore, sino a forme gravi di diarrea con disidratazione, insufficienza renale, febbre elevata, con esito fatale in alcuni casi. La via più comune d'infezione è quella orale (ingestione di cibi o liquidi contaminati), ma l'infezione si può verificare anche attraverso ferite, tagli o ulcere, per contatto di materiale contaminato con le congiuntive, od altre mucose. Anche i rettili possono trasmettere l’infezione, si calcola che circa il 90% dei rettili sia portatore di salmonelle. In ogni caso, per un adulto sano, le possibilità di contrarre l’infezione a seguito di un contatto con tali microrganismi sono piuttosto basse. L’eliminazione dei germi con le feci può persistere per 1-6 mesi. La diagnosi di certezza si ha con l’isolamento del microrganismo da coltura di feci, sangue, urina, o essudati, mentre la diagnostica sierologica ha scarsa importanza pratica. A causa della grande varietà di Salmonelle non-tifoidee esistenti non è stato ancora possibile mettere a punto un vaccino.  Sintomatologia gastroenterica caratterizzata da un breve periodo d’incubazione, scariche di feci non molto voluminose senza sangue e muco.  A tale sintomatologia si accompagna febbre con brividi, nausea, cefalea e mialgie.  La sintomatologia può regredire spontaneamente in circa 10 giorni, ma in casi particolari può provocare disidratazione o dare localizzazioni extra intestinali (endocardio, sistema nervoso centrale, polmoni, ossa, articolazioni), specie in neonati, anziani o soggetti immunodepressi. La trasmissione avviene solitamente: per ingestione di alimenti contaminati da feci di uomini o animali infetti. In particolare uova crude e poco cotte o preparazioni gastronomiche che utilizzino uova crude come maionese, zabaione e gelati preparati in casa, ma anche carne e derivati della carne, latte crudo e latticini e acqua contaminata. Aldilà del tratto intestinale, le salmonelle si possono riscontrare anche in altri tessuti, comprese le carni. Si moltiplicano, ad esempio, nell'uovo di gallina, per contaminazione dell'animale (diffusione dell'infezione a livello ovarico) o per porosità del guscio contaminato da materiale fecale. Anche il latte ed i frutti di mare sono considerati alimenti a rischio. CONTAMINAZIONE CROCIATA tra cibi crudi e cibi cotti All’apparenza il cibo contaminato non presenta nessuna alterazione organolettica e bisogna dire che il batterio è sensibile agli agenti chimici e fisici. La refrigerazione, se avviene a temperature inferiori ai 5° C, impedisce la moltiplicazione batterica senza uccidere i microorganismi. Il congelamento, oltre ad impedirne la crescita, determina una moderata inattivazione. La cottura degli alimenti, al contrario, abbatte drasticamente il rischio di infezione, dal momento che i batteri vengono distrutti dal calore. La principale misura terapeutica è rappresentata dalla generosa reidratazione dei liquidi e dei sali minerali perduti con le scariche diarroiche. Per l'elevato pericolo di contagiosità, le gastroenteriti da salmonella sono soggette a denuncia obbligatoria. La profilassi si basa sulle precauzioni di ordine igienico e comportamentale. Pag. 30 a 63 delle coprocolture dovesse risultare positiva, la terapia antibiotica va ripresa da capo. Anche i conviventi e i contatti, del malato, vanno sottoposti a sorveglianza. PARATIFO è una malattia infettiva in buona parte simile al più noto tifo addominale. Anche il paratifo si contrae con l`ingestione di cibi contaminati in cui si riscontra la presenza di salmonelle.  AGENTE CAUSALE sierotipi definiti con il nome di salmonella paratifo A e salmonella paratifo B. Si ricorda che per sierotipo s’intende la specificità di reazione che i batteri hanno se messi a contatto con sieri umani sensibilizzati, cioè contenenti anticorpi specifici, che sono stati prodotti dopo una prima infezione da salmonelle. Queste salmonelle, come quella del tifo, sono batteri Gram negativi, si colorano di rosso con la colorazione di Gram, e la loro azione patogena è provocata da una endotossina, cioè una sostanza tossica prodotta dai batteri. Le salmonelle penetrano nella mucosa intestinale e raggiungono i linfonodi mesenterici da cui arrivano nel sangue, che le veicola ad organi come la milza ed il fegato ove si moltiplicano per il periodo d’incubazione; quando il loro numero si fa consistente si riversano di nuovo nel sangue e ritornano ancora nella mucosa intestinale dove questa volta si localizzano definitivamente provocando importanti danni.  TRASMISSIONE oro fecale diretta o indiretta  INCUBAZIONE di una quindicina di giorni  COMPLICANZE come nel tifo, sono rappresentate da emorragie e perforazioni intestinali che, in epoca pre- antibiotica, erano spesso mortali. Le febbri enteriche, tifo compreso, sono malattie caratteristiche delle zone a scarso sviluppo socio-economico per le precarie condizioni igieniche sia alimentari che personali, e sono tipiche dei mesi caldi poiché le mosche rappresentano un importante vettore per il contagio, portando le salmonelle direttamente dalle feci ai cibi.  VACCINAZIONE in genere si esegue per via intramuscolare valida contemporaneamente contro il tifo e il paratifo A e B. L’immunità dura da sei mesi a un anno: è quindi necessario eseguire richiami periodici, se si vuole restare protetti contro queste malattie. UNA ZOONOSI DI ELEVATA LETALITA’: LA RABBIA CAPITOLO 46 La Rabbia è una zoonosi ad alta letalità provocata da un virus, come tutte le zoonosi, si può trasmettere dagli animali all'uomo. Si trasmette attraverso il contatto diretto con la saliva di animali infetti (morsi, ferite, graffi, soluzioni di continuo della cute o contatto con mucose anche integre). Quando compaiono i sintomi della Rabbia ormai il soggetto colpito (uomo/animale) è destinato a morire, in quanto i danni provocati dal patogeno sono irreversibili. È una malattia infettiva che colpisce il SNC, è sporadica nell’uomo (la contrae a seguito del morso di animali infetti) e più frequente negli animali domestici e selvatici.  AGENTE PATOGENO: è un virus a RNA, che appartiene alla famiglia dei Rhabdoviridae e al genere Lyssavirus Resite per settimane a + 4° e all’interno del glicerolo per mesi. Può essere disattivato da radiazioni, raggi solari, gli alcali e la formaldeide.  MORFOLOGIA: vibrione a forma di “proiettile” munito di rivestimento proteico con proiezioni.  TRASMISSIONE: attraverso il morso di un animale infetto ad uno sano, mediante la saliva. Può avvenire anche mediante aerosol ma viene inattivato nell’intestino dal Ph acido. Di questo si riconoscono 7 genotipi (distinti in base alla sequenziazione genetica) e 4 sierotipi (distinti in base alla siero neutralizzazione, ovvero con l'utilizzo di anticorpi). Il sierotipo più diffuso in Europa è il tipo 1 (detto virus strada), che colpisce sia carnivori domestici che selvatici. Generalmente, il punto di penetrazione del virus è un arto, o comunque una zona ricca di muscoli dove c'è, per breve tempo, un'iniziale replicazione del patogeno. Successivamente il virus della Rabbia migra, attraverso le strutture che innervano il muscolo colpito (i prolungamenti dei neuroni che nel loro insieme formano il nervo) per Pag. 31 a 63 raggiungere il midollo spinale. Da qui, dopo essersi ulteriormente replicato, raggiunge l'encefalo: questa fase dell'infezione è definita migrazione centripeta del virus, perché dalla periferia (punto di penetrazione), si porta a livello centrale (cervello). A questo punto inizia la cosiddetta migrazione centrifuga: ovvero il virus della Rabbia, che si è localizzato nell'encefalo, tramite il nervo che termina sulle ghiandole salivari, le raggiunge, replicandosi massivamente. Giunti a questa fase, l'animale, anche se non mostra sintomi evidenti, può già eliminare il virus della Rabbia con la saliva. Per concludere, il virus si diffonde poi a tutto il sistema nervoso centrale, determinando fenomeni paralitici che porteranno a morte per asfissia (impedimento delle normali funzioni respiratorie), conseguente a paralisi respiratoria. L'autopsia (post-mortem) mostra un intasamento vasale con emorragie puntiformi nelle meningi e nel cervello; l'esame microscopico mostra raccolte perivascolari di linfociti con distruzione minima delle cellule nervose. La Rabbia è considerata una malattia a diffusione mondiale, il virus può colpire tutti gli animali a sangue caldo (mammiferi e uccelli), ma a seconda della specie animale coinvolta, vengono distinti due diversi cicli epidemiologici (di diffusione) della Rabbia: 1. CICLO URBANO si identifica tra gli animali domestici e trova nel fenomeno del randagismo la principale fonte di conservazione e trasmissione del virus. 2. CICLO SILVESTRE vede coinvolte nella trasmissione del virus diverse specie animali, a seconda dell'area geografica interessata. Trasmessa da animali selvatici, in Europa soprattutto dalla volpe rossa (seguono roditori, pipistrelli, procioni, puzzole) Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale di sanità (Oms) ogni anno, a causa di questa malattia, muoiono più di 55 mila persone. Di questi decessi, il 95% si registra in Asia e Africa. Il 99% dei casi di rabbia nell’uomo dipendono da rabbia canina e circa il 30-60% delle vittime di morsi di cane sono bambini minori di 15 anni. Inoltre, oltre 10 milioni di persone ogni anno vengono sottoposte a trattamento post-esposizione a seguito di contatto a rischio con animali sospetti rabidi. Negli Stati Uniti nel 2008, 49 Stati, il Distretto di Columbia e Porto Rico hanno testato oltre 121 mila animali e riportato ai Cdc più di 6800 casi di rabbia tra gli animali e 2 casi nell’uomo. Il totale dei casi riferiti è sceso di circa il 3,1% rispetto al 2007. Il 93% dei casi registrati nel 2008 riguarda animali selvatici e il 7% animali domestici. Il numero dei decessi tra gli uomini è di circa 2-3 all’anno. La rabbia in Europa è prevalentemente rabbia silvestre: alle specie selvatiche è attribuito l’80% di tutti i casi di rabbia. Di questi, più dell’80% è legato a volpi rosse (Vulpes vulpes). La vaccinazione orale delle volpi, sviluppata ormai quasi 25 anni fa, ha offerto una nuova prospettiva per il controllo della rabbia tra le specie selvatiche.  PERIODO DI INCUBAZIONE è assai variabile, oscillando da 7 giorni a più di un anno (in media 1-2 mesi). I tassi di infezione e la mortalità sono elevati a seguito di morsi sul capo o sul tronco, minori in occasione di morsi sugli arti inferiori.  MANIFESTAZIONE CLINICA si configura in 4 stadi: 1. Sindrome prodromica aspecifica: dura circa da 1 a 4 giorni ed è caratterizzata da febbre, cefalea, malessere, mialgie, astenia ingravescente, anoressia, nausea e vomito; un sintomo fortemente suggestivo, presente nel 50-80% dei pazienti, è rappresentato dalla comparsa di parestesie (alterazione della sensibilità degli arti o di altre parti del corpo) e/o fascicolazioni(la contrazione spontanea, rapida e a intervalli regolari di una o più unità motorie) nella sede dell’inoculo; 2. Fase encefalitica acuta, generalmente preceduta da periodi di iperattività motoria, ipereccitabilità e agitazione. 3. Fase encefalitica di tipo rabico da profonda alterazione dei centri del tronco encefalico: l’interessamento dei nervi cranici causa diplopia, paralisi facciali, neurite ottica e la caratteristica difficoltà alla deglutizione; questa, associata all’eccessiva salivazione, dà luogo al tipico quadro di “bava alla bocca”; nel 50% dei casi compare idrofobia, ovvero una dolorosa, violenta contrazione involontaria del diaframma e dei muscoli respiratori accessori, faringei e laringei, scatenata dall’ingestione di liquidi; il paziente diventa comatoso e l’interessamento dei centri respiratori determina una morte per apnea. Pag. 32 a 63 4. Morte, o in rari casi, guarigione: in assenza di una terapia rianimatoria, la sopravvivenza media dall’esordio dei sintomi è di quattro giorni. La guarigione è eccezionale e quando si verifica è graduale. Il controllo della rabbia si identifica nella rigorosa attuazione degli interventi codificati da norme di polizia veterinaria, specificamente mirati alla protezione dell’uomo nei confronti della malattia.  PREVENZIONE si basa sulla vaccinazione preventiva degli animali domestici, sulla lotta al randagismo e su altri provvedimenti finalizzati a impedire contatti a rischio con le popolazioni selvatiche. LA PROFILASSI SI DIVIDE IN:  ASPECIFICA comprende tutte le precauzioni da mettere in atto nei confronti di un soggetto contagiato da animale rabido o sospettato di esserlo; avviene con IMMUNOFLORESCENZA che individua gli antigeni virali con antisieri marcati con FLUOROSCENINA e attraverso PROVE BIOLOGICHE  SPECIFICA post e pre esposizione umana. In fase POST esposizione comprende siero e vaccino profilassi intrapresa considerando la specie dell’animale morsicatore, la conoscenza dello stesso, la situazione endemica della zona e il tipo di lesione. In caso di morsicatura gravo o forte sospetto va associata una profilassi locale: infiltrazione intorno alla ferita del siero antirabbico o globuline immuni umane specifiche, ENTRO 5 ORE DAL MORSO. La vaccinazione è l’unica terapia possibile perché la rabbia ha una lunga incubazione quindi è possibile la comparsa di specifici anticorpi protettivi, prima che venga raggiunto il SNC.  SPECIFICA degli animali Nell’uomo, la prevenzione della malattia si basa sulla vaccinazione preventiva per chi svolge attività professionale “a rischio specifico” (veterinari, guardie forestali, guardie venatorie ecc.), sulla vaccinazione pre-contagio e sul trattamento vaccinale post-esposizione che sarà considerato di volta in volta in funzione della tipologia di esposizione verificatasi. Il primo vaccino fu preparato da Pasteur nel 1885 che isolò il virus da un animale infetto (virus da strada) e lo attenuò mediante ripetuti passaggi su encefalo di coniglio (virus fisso). Negli anni sono stati preparati diversi vaccini, come: 1. Semple : virus vivi attenuati su cellule di animali adulti 2. Fermi :o vaccino fenicato 3. DEV : Virus coltivati su tessuti viventi o su embrione di anatra 4. HDCV : Virus coltivati su cellule diploidi umane I vaccini Semple e Fermi davano complicanze (letalità complicanze nervose) dovute a virus non completamente inattivati. I vaccini DEV e HDCV di ultima generazione presentano minori rischi, HDCV ha migliori proprietà immunogene e minori reazioni collaterali rispetto al DEV. La sieroprofilassi è indispensabile perché fornisce protezione immediata, rallenta la diffusione del virus e permette all’organismo di produrre anticorpi, in seguito alla vaccinazione, prima che il virus attacchi il S.N.C. DENUNCIA OBBLIGATORIA ANCHE PER IL SOLO SOSPETTO ISOLAMENTO NECESSARIO ANCHE SE IL CONTAGIO INTERUMANO E’ RARISSIMO (eliminazione salivare o di urina) DISINFEZIONE della stanza e di tutti gli effetti INCHIESTA volta a riconoscere gli animali e gli uomini a contatto con essa L’Oms raccomanda, infine, l’osservazione dell’animale sospetto per 10 giorni, perché i primi sintomi nei cani e nei gatti non sono molto specifici. Francia, Spagna e Inghilterra raccomandano 14 giorni di osservazione. All'insorgenza dei sintomi neurologici la rabbia non è curabile. Pag. 35 a 63  i soggetti cutinegativi, dal 5° al 15° anno di età, figli di tubercolotici o coabitanti in nuclei familiari di ammalati o ex ammalati di tubercolosi;  soggetti cutinegativi, figli del personale di assistenza in servizio presso ospedali sanatoriali;  i soggetti cutinegativi, dal 5° al 15° anno di età, che si trovano in zone depresse ad alta morbosità tubercolare  i soggetti cutinegativi, addetti ad ospedali, cliniche ed ospedali psichiatrici;  gli studenti di medicina, cutinegativi, all'atto della loro iscrizione alle università;  i soldati, cutinegativi, all'atto dell'arruolamento. L'esecuzione della vaccinazione antitubercolare è subordinata in ogni soggetto alla verifica della risposta negativa al saggio cutaneo tubercolinico effettuato da non oltre 30 giorni, inoltre, deve eseguita a distanza di almeno 30 giorni da ogni altra vaccinazione. L'unico vaccino attualmente disponibile, prescritto anche in Italia con D.M. 25/6/1976 è il B.C.G. (Bacillo di Calmette e Guérin): è un vaccino costituito da un ceppo di M. bovis vivo ed attenuato. La via di inoculazione è quella intradermica in quanto il vaccino iniettato nello strato sottocutaneo provoca facilmente ascessi, la regione scelta di solito è la deltoidea bassa. La reazione normale alla inoculazione intradermica del B.C.G. è rappresentata dalla formazione di una papula eritematosa che compare dopo 2-3 settimane e permane per circa 2 mesi. La vaccinazione con il B.C.G. conferisce un grado di protezione che si può valutare intorno al 90% e della durata di 5-10 anni circa. Di fondamentale importanza per l'applicazione delle misure di profilassi e per la lotta contro la TBC è stata a suo tempo l'istituzione dei Consorzi Provinciali Antitubercolari (CPA - L. 26/6/1927, n. 1276) e dell'Assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi (R.D.L. 27/10/1927, n. 2055). I CPA, che avevano lo scopo di coordinare e disciplinare tutte le attività necessarie alla difesa contro la tubercolosi attraverso strutture operative diverse, sono stati assorbiti dalla Unità Sanitaria Locale. PATOLOGIE TUBERCOLARI E NON TUBERCOLARI CAPITOLO 48 Se una infezione tubercolare diventa attiva, molto probabilmente coinvolge i polmoni (in circa il 90% dei casi). I sintomi possono includere dolore al petto e una tosse prolungata con produzione di espettorato. Circa il 25% delle persone può non avvertire alcun sintomo. Di tanto in tanto, le persone possono tossire sangue (emottisi) in piccole quantità, e in casi molto rari, l'infezione può erodere l'arteria polmonare, con conseguente emorragia massiva (aneurisma di Rasmussen). La tubercolosi può diventare una malattia cronica e causare cicatrici estese nei lobi superiori dei polmoni. I lobi polmonari superiori sono, infatti, più frequentemente colpiti rispetto a quelli inferiori. Nel 15-20% dei casi attivi, l'infezione si diffonde al di fuori delle vie respiratorie, causando altri tipi di tubercolosi, indicate come "TUBERCOLOSI EXTRAPOLMONARE”; si verificano più comunemente nei soggetti immunocompromessi e nei bambini piccoli. Negli individui affetti da HIV, ciò si verifica in più del 50% dei casi. Le infezioni extrapolmonari da Mycobacterium tuberculosis possono interessare tutto l'organismo anche se, essendo micobatteri aerobi, colpiscono maggiormente organi concavo cavernosi. Siti più frequenti di infezione extrapolmonare includono la pleura (pleurite tubercolare), sistema nervoso centrale (meningite tubercolare), sistema linfatico (adenite tubercolare), apparato genito-urinario (tubercolosi urogenitale) e nelle ossa e articolazioni (Malattia di Pott). Quando vi è un coinvolgimento dell'apparato scheletrico, la malattia prende il nome di "tubercolosi ossea", una forma di osteomielite. Studi sui gemelli negli anni cinquanta mostravano che il percorso dell'infezione tubercolare era altamente dipendente dalla genetica. A quell'epoca infatti era molto raro che uno dei gemelli identici sopravvivesse e l'altro morisse: entrambi subivano lo stesso destino. Il trattamento per la tubercolosi utilizza gli antibiotici per uccidere i micobatteri, quelli più utilizzati sono la rifampicina, la pirazinamide, l'etambutolo e l'isoniazide. Sono i 4 farmaci che si usano nei primi due mesi di terapia, nella cosiddetta "fase d'attacco". Dopo i due mesi, i farmaci che si usano sono i soli isoniazide e rifampicina, per almeno altri 4 mesi. Infatti, rispetto Pag. 36 a 63 al breve periodo di cure di antibiotici tipicamente utilizzato per altre infezioni batteriche, la TBC necessita di periodi molto più lunghi (dai 6 ai 12 mesi) per eliminare completamente i micobatteri dall'organismo. Il trattamento per la TBC latente utilizza solitamente un singolo antibiotico (chemioprofilassi preventiva), mentre la TBC attiva viene curata in modo più efficace con la combinazione di diversi antibiotici, per ridurre la possibilità che i batteri sviluppino una resistenza agli antibiotici. TRATTAMENTI DELLA TUBERCOLOSI RESISTENTE AI FARMACI Si classificano come:  multiresistente (MDR-TB), quando non vi è risposta ai due farmaci di prima linea (rifampicina e isoniazide)  estensivamente resistente (XDR-TB), quando la somministrazione di tre o più dei farmaci di seconda linea non risulta efficace  totalmente resistente ai farmaci (TDR-TB), quando non è curabile con nessun farmaco attualmente esistente Il trattamento della MDR-TB consiste nell'assunzione di una terapia farmacologica multipla contemporanea per un periodo di almeno 21 mesi. Nei primi tre mesi, i pazienti ricevono una combinazione di cinque diversi farmaci. Le possibilità di successo del trattamento della tubercolosi multiresistente è inferiore al trattamento della tubercolosi semplice, anche se i pazienti ricevono una terapia più efficace. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno fornito agli operatori sanitari delle raccomandazioni contro l'utilizzo di rifampicina e isoniazide per il trattamento dell'infezione tubercolosa latente, a causa dell'alto numero di ospedalizzazioni e decessi da danni al fegato associati con l'utilizzo combinato di questi due farmaci. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, circa due miliardi di persone, cioè un terzo della popolazione mondiale, sono stati esposti al patogeno della tubercolosi. Nel 2008, in Italia sono stati registrati 4418 casi di Tubercolosi. Ci sono vari fattori noti che rendono le persone più suscettibili a questa malattia: nel mondo la causa maggiore è l’HIV. La co-infezione da con HIV della tubercolosi è un problema soprattutto nell’Africa subsahariana, per l’elevato numero di persone infette da HIV. Fumare 20 sigarette al giorno aumenta il rischio di TBC da due a quattro volte; anche il diabete mellito è un fattore di rischio importante. Comunque, negli ultimi decenni, la mortalità e la morbosità di questa patologia hanno fatto registrare una diminuzione notevole ovunque, grazie alle terapie chemio-antibiotiche e al generale miglioramento delle condizioni di vita. Malgrado questo, secondo l’OMS almeno 8 milioni di persone ogni anno si ammalano (2 milioni sono bambini di età inferiore ai 5 anni) e circa 3 milioni muoiono di Tubercolosi. In passato la malattia era predominante soprattutto per la mortalità nei primi anni di vita, successivamente questo dato si è spostato ad età più avanzate. LA MALATTIA E’ PIU’ FREQUENTE NEGLI UOMINI. L’incidenza di TBC varia notevolmente fra stati confinanti, a causa delle differenti assistenze sanitarie adottate; l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato la TBC un'emergenza sanitaria globale nel 1993, e la Stop TB Partnership ha sviluppato un "Piano mondiale di lotta alla Tubercolosi" che prevede di salvare 14 milioni di vite. I micobatteri non tubercolari (MOTI, Mycobacteria Other Than Tuberculosis) comprendono bacilli acido-alcol- resistenti molto diffusi nell'ambiente esterno e capaci di provocare nell'uomo processi infettivi a localizzazione polmonare o extrapolmonare (Micobatteriosi). La definizione dei caratteri principali della maggior parte di tali Micobatteri ha consentito una classificazione che tiene conto delle diverse proprietà delle singole specie e del loro significato clinico. La vecchia classificazione di Runyon del 1959, basata soltanto sulla rapidità di crescita e la produzione di pigmento, può trovare attualmente una indicazione come primo orientamento nella identificazione delle diverse specie. Secondo questo schema, i micobatteri vengono distinti in 4 gruppi: Pag. 37 a 63 1. fotocromogeni, a lenta crescita e capaci di produrre una pigmentazione gialla o rossa soltanto in presenza di luce; 2. scotocromogeni, a lenta crescita e capaci di produrre pigmento anche al buio; 3. non cromogeni, a lenta crescita; 4. a rapida crescita, cromogeni e non. Di questo gruppo fanno parte anche specie commensali e saprofite. La patogenicità è legata sia ad alcune sostanze micobatteriche analoghe a quelle che si ritrovano nel M. tuberculosis (acido micolico, acido tubercolo-stearico), sia alla recettività dell'ospite a sua volta dipendente da fattori locali (pregressi processi polmonari acuti e cronici, silicosi, ecc.) e generali (malattie infettive, trattamenti immunosoppressori, ecc.). Come i micobatteri tubercolari, anche questi microrganismi sono in grado di indurre nell'ospite uno stato di ipersensibilità di tipo ritardato. I casi di AIDS hanno modificato l'incidenza e la distribuzione geografica delle micobatteriosi, che da qualche anno appaiono decisamente in aumento nei soggetti con infezione da HIV, nei quali ormai rappresentano un importante problema clinico. Tra questi micobatteri, un ruolo di notevole rilievo ha assunto il M. avium intracellulare complex, tanto da apparire in alcune casistiche addirittura nel 40-50% dei casi di AIDS. Nel nostro paese la percentuale di comparsa di queste micobatteriosi si calcola intorno al 20%. COLERA: CARATTERISTICHE, SINTOMATOLOGIA E PREVENZIONE CAPITOLO 49 Il colera è una malattia diarroica acuta e contagiosa causata dal VIBRIONE COLERICO capace di produrre una enterotossina molto attiva. L'agente eziologico è il Vibrio cholerae, appartenente al genere Vibrio, della famiglia delle Vibrionaceae. Il genere Vibrio comprende specie patogene per l'uomo (V. cbolerae, V. parahaemolyticus, V. vulnificus), specie patogene opportuniste (V. alginolyticus, V. mimicus, ecc.) ed altre saprofite isolate dalle acque dolci e marine (V. anguillarum, V. fischeri, ecc.), che possono essere confuse con i vibrioni umani. VIBRIO CHOLERAE si presenta morfologicamente come un bastoncello Gram negativo, tipicamente incurvato a virgola, lungo 1,5-3 µm e largo 0,4-0,6 µm, non sporigeno e privo di capsula, mobile per la presenza di un ciglio ad una estremità. Nelle vecchie colture appare spesso diritto e con notevole pleomorfismo. È fortemente aerobio e cresce alla temperatura ottimale di 37 °C. È un batterio poco esigente, si coltiva facilmente sui terreni di coltura più semplici anche in ambiente alcalino. Di V. cholerae sono noti diversi biotipi, di cui il più importante è il biotipo eltor, che provoca nell'uomo una malattia del tutto simile al colera. Fu isolato per la prima volta nel 1905 da portatori sani nella stazione quarantenaria di El Tor in Egitto ed il suo significato rimase a lungo incerto fino alla descrizione dei casi a sintomatologia similcolerica verificatisi nell'isola di Celebes a partire dal 1937. Nel 1992, nel corso di episodi epidemici in India e nel Bangladesh, è stato identificato un nuovo ceppo tossigeno di vibrione colerico non O1, denominato V. cholerae O139, capace di produrre un quadro clinico sostanzialmente identico a quello causato dal V. cholerae classico. CAPACITA’ DI RESISTENZA DEL BATTERIO NELL’AMBIENTE  Nell’acqua potabile può resistere da 7 a 13 giorni  soltanto 1-2 giorni nell’acqua contaminata dei fiumi  nei frutti di mare o nel latte fino a 14 gg a temperatura di frigorifero Viene distrutto rapidamente dall’essicamento e dai comuni disinfettanti. I vibrioni penetrano attraverso il tubo gastro-enterico e si localizzano nell'intestino tenue. Poiché sono altamente sensibili agli acidi, il loro passaggio attraverso lo stomaco è possibile solo se l'acidità del succo gastrico viene almeno temporaneamente neutralizzata (come avviene, ad esempio, dopo un pasto proteico). Si moltiplicano attivamente senza invadere la mucosa intestinale ed esplicano la loro azione attraverso la produzione di una enterotossina di natura proteica, che è la responsabile del quadro clinico diarroico della malattia. Pag. 40 a 63 L'infezione si svolge principalmente nel l'intestino tenue e interessa l'epitelio dei villi; dopo un periodo di incubazione di 24-48 ore, che può in certi casi arrivare fino a 7 giorni, la malattia nei bambini si manifesta con vomito seguito da diarrea acquosa; in non più del 50% dei casi si osserva modesto aumento della temperatura. La sintomatologia regredisce spontaneamente in 5-7 giorni. Solo in rari casi è necessario intervenire per il manifestarsi di uno stato di grave disidratazione e di squilibrio elettrolitico. GASTROENTERITI DA AGENTE DI NORWALK E DA ALTRI POSSIBILI AGENTI VIRALI Un episodio epidemico accaduto a Norwalk (Ohio-USA) nel 1968 ha dato modo di definire alcune caratteristiche cliniche ed epidemiologiche e di dimostrare la natura virale dell'agente responsabile. Nel corso dell'episodio furono colpiti il 50% degli scolari e degli insegnanti di una scuola elementare ed il 32% dei familiari. I sintomi più frequenti furono: nausea (85%), vomito (84%), crampi addominali (52%), diarrea (44%), febbre (32%). Tali sintomi ebbero in media la durata di 12-24 ore e regredirono senza necessità di particolari cure. Il periodo di incubazione fu di 48 ore. L'agente etiologico è stato visualizzato nel 1972 al microscopio elettronico: si tratta di particelle virali di 27nm, di forma rotondeggiante leggermente allungata, morfologicamente simili ai parvovirus, non ancora coltivate in vitro. Alcuni sierotipi di adenovirus, astrovirus, calicivirus e coronavirus e, più recentemente, gli agenti SRVs (small, round, virus-like objects) sono stati segnalati come possibili agenti di diarree infettive o di "vomito epidemico invernale" sulla base di osservazioni al microscopio elettronico fatte in occasione di episodi epidemici o per casi apparentemente isolati. In alcuni paesi gli adenovirus enterici sono la causa più frequente di gastroenterite pediatrica (4-10% dei casi). L'infezione è legata a due nuovi sierotipi (40 e 41) e si trasmette per contagio interumano. Il periodo di incubazione è di 8-10 giorni, sensibilmente più lungo di quello dei rotavirus e del virus di Norwalk. TRASMISSIONE E COMPLICANZE DELLE GASTROENTERITI VIRALI Il contagio avviene quando si sta a stretto contatto con una persona infetta, ad esempio condividendo gli alimenti, le bevande o le stoviglie, oppure quando si assumono alimenti o bevande infetti. I norovirus, in particolare, si diffondono mediante contatto con le feci o il vomito di persone infette o attraverso l’acqua o gli alimenti contaminati (soprattutto ostriche o molluschi provenienti da acque contaminate). Il virus può sopravvivere nelle feci fino a due settimane dopo la guarigione; inoltre il paziente può non manifestare sintomi pur essendo malato e può comunque contagiare altre persone. I sintomi di solito durano solo un giorno o due, ma in alcuni casi possono continuare anche per 10 giorni e l’unica complicanza che hanno è la disidratazione. I neonati, gli anziani e le persone con problemi a carico del sistema immunitario possono disidratarsi gravemente se perdono più liquidi di quelli che riescono a reintegrare. Nel loro caso possono essere necessari il ricovero in ospedale e la somministrazione di flebo per reintegrare i liquidi. Cura e terapia: non esiste alcuna terapia efficace per la gastroenterite virale, gli antibiotici non sono efficaci contro i virus e abusarne può contribuire allo sviluppo di ceppi batterici antibioticoresistenti. Per evitare i problemi e prevenire la disidratazione in fase di guarigione si può:  Lasciar riposare lo stomaco e digiunare completamente per alcune ore.  Cercate di mangiare lentamente, bere acqua a piccoli sorsi.  Riabituarsi a mangiare, cominciando dai cibi in bianco, facili da digerire.  Evitare certi alimenti e certe sostanze, come ad esempio: latte e derivati, caffeina, alcol, nicotina, alimenti grassi o molto stagionati. SHIGHELLOSI E ENTERITI BATTERICHE E PARASSITARIE CAPITOLO 51 Il genere SHIGELLA è suddiviso in quattro specie o sottogruppi in base ad alcune caratteristiche biochimiche ed antigeniche: 1. Shigella dysenteriae (che comprende 10 sierotipi) 2. Shigella flexneri (con 6 sierotipi). Pag. 41 a 63 3. Shigella boydii (con 15 sierotipi) 4. Shigella sonnei è la specie oggi più frequente in numerosi paesi occidentali, può essere sottoposta a tipizzazione biochimica, batteriofagica e colicinica. Le shigelle sono batteri patogeni soltanto per l’uomo e la scimmia e colonizzano l'intestino e si isolano soltanto dal muco intestinale e dalle feci dei malati o dei soggetti con infezioni inapparenti; l'emocoltura è abitualmente negativa. Per l'isolamento dalle feci (coprocoltura), la semina in opportuni terreni selettivi solidi (Cagar desossicolato-citrato, agar SS, ecc.) deve essere fatta entro poche ore dall'emissione, giacché questi enterobatteri non sopravvivono a lungo nelle feci acide, specialmente se la temperatura ambiente è elevata. Il calore ed i comuni disinfettanti uccidono rapidamente le shigelle, che, in genere, non sopravvivono a lungo nell'ambiente esterno. Tuttavia, in adatte condizioni ambientali (bassa temperatura ed elevato grado di umidità) possono sopravvivere per diversi giorni e fino a 2-3 settimane. Fra le diverse shigelle, S. sonnei è la più resistente nell'ambiente: può sopravvivere fino a 3 settimane nell'acqua ed in diversi alimenti, inoltre, la possibilità di una sua lunga persistenza nell'ambiente umido dei gabinetti rappresenta un fatto importante ai fini della sua diffusione nelle scuole e nelle comunità in genere. Manifestazione clinica: Le shigelle possono aggredire la mucosa intestinale grazie al loro potere invasivo, che si manifesta con la capacità di penetrare nelle cellule epiteliali e riprodursi, segue il processo infiattario limitato al grosso intestino e può essere di intensità diversa. Nei casi gravi, dovuti in genere a S. dysenteriae ed a S. flexneri, arriva fino alla necrosi. Il periodo di incubazione è usualmente di circa 3 giorni (anche se può oscillare da 1 a 7 giorni) e i sintomi sono in rapporto alla gravità del processo infiammatorio che si svolge nella mucosa del colon fino al retto. Il quadro generale si aggrava rapidamente nei primi due giorni, quando l'ammalato va incontro a disidratazione e squilibrio elettrolitico (dovuta alla perdita di Sali minerali) con acidosi. Epidemiologia: Le shigellosi sono una tipica infezione a trasmissione oro-fecale. La resistenza agli antibiotici: Alla fine della seconda guerra mondiale e negli anni successivi, l'introduzione dei sulfamidici in Giappone produsse una drastica riduzione della mortalità e della morbosità per dissenteria bacillare. Tuttavia, a partire dal 1949, pur continuando la diminuzione della mortalità, si osservò una ripresa dei quozienti di morbosità che raggiunsero il valore più elevato nel 1952. Si osservò nello stesso tempo che la maggior parte delle shigelle era divenuta resistente ai sulfamidici. La resistenza plasmidica agli antibiotici è stata inizialmente denominata "resistenza contagiosa", si è diffusa in pochi anni fra le shigelle e fra altri batteri Gram-negativi (ne è stata già fatta menzione per le salmonelle) con un andamento che si può definire epidemico. ESCHERICHIA COLI La specie Escherichia coli appartiene alla famiglia delle Enterobacteriaceae. A differenza delle salmonelle e delle shigelle, fermenta rapidamente il lattosio con produzione di acidi e gas. La specie E. coli può essere suddivisa in numerosissimi sierotipi distinguibili in base:  agli antigeni somatici O (ne sono noti oltre 160 tipi)  agli antigeni flagellari H (noti 50)  agli antigeni capsulari K I batteri appartenenti a questa specie sono normali ed innocui abitatori dell'intestino dell'uomo e degli animali; anzi, proprio dal loro habitat naturale (il colon) deriva la loro denominazione specifica (E. coli). CLASSIFICAZIONE ESCHERICHIA COLI 1. Enteropatogeni indicati con la sigla EPEC: colonizzano il duodeno, il tratto superiore dell'ileo, dove agiscono mediante una o più enterotossine non ancora identificate, stimolando la produzione di liquidi che dilatano l'intestino e provocano la diarrea. Pag. 42 a 63 2. Enterotossici indicati con la sigla ETEC: sono stati individuati due tipi di enterotossina: una termolabile (LT) immunologicamente correlata con la tossina colerica, l'altra termostabile (ST) non antigenica. 3. Enteroinvasivi indicati con la sigla EIEC: non producono tossine ma derivano la loro patogenicità dalla capacità di invadere le cellule epiteliali. 4. Verocitossigeni o enteroemorragici indicati con la sigla VTEC o EHEC: nel 1982 si ebbero negli Stati Uniti le prime segnalazioni di episodi di colite emorragica dovuti ad uno di questi sierotipi. ENTIRITI DA YERSINIA ENTEROCOLITICA Il genere Yersinia appartiene alla famiglia Enterobacteriaceae e comprende le specie: YERSINIA PESTIS, YERSINIA PSEUDOTUBERCOLOSIS e YERSINIA ENTEROCOLITICA. Y. enterocolitica è un batterio lattosio-negativo, capace di svilupparsi anche nei terreni di isolamento per le salmonelle e le shigelle, agar SS, agar desossicolato, agar di Mac-Conkey, brodo al selenito, meglio a 22-25 °C. Gli animali, sia da allevamento che selvatici, sono considerati i più importanti serbatoi d'infezione. ENTERITI DA CAMPYLOBACTER Indagini epidemiologiche svolte in questi ultimi anni con l'ausilio di opportune tecniche batteriologiche hanno dimostrato che Campylobacter jejuni è uno dei più frequenti agenti batterici di enteriti acute nei paesi sviluppati. Indagini nell'Europa del Nord e negli USA hanno permesso di attribuire a C. jejuni dal 5 al 14% dei casi di diarrea esaminati. Nel genere Campylobacter sono classificati batteri Gram-negativi, sottili, incurvati a spirale, forniti di un unico flagello polare, microaerofili. L'enterite acuta da CAMPLYBACTER JEJUNI è conseguente all'invasione ed alla flogosi della mucosa dell'intestino tenue e del grosso intestino. Secondo alcuni dati sperimentali, i batteri, oltre alla invasività, avrebbero la capacità di produrre una enterotossina. Il batterio si trova presente nelle feci, durante la malattia e fino ad una settimana dopo la guarigione. La sua coltivazione è possibile soltanto se si usano particolari terreni selettivi (terreno di Butzler o di Skirrow), incubati in giara con atmosfera a ridotta tensione di ossigeno ed arricchita di anidride carbonica. DIARREE DI ORIGINE PARASSITARIA Alcuni protozoi e nematodi possono causare infestazioni intestinali che si manifestano con diarrea, questa può avere insorgenza brusca e decorso acuto, come in certi casi di: amebiasi, giardiasi e balantidiasi (in molti casi di amebiasi e di giardiasi il decorso è cronico). Le diarree parassitarie, inoltre, si manifestano più facilmente nelle popolazioni sottoalimentate. GIARDIASI agente eziologico Giardia lamblia, è un protozoo flagellato, che appartiene ad un gruppo di specie che vivono in animali domestici (es. il cane) ed altri mammiferi selvatici e sono comprese sotto la denominazione unica di Giardia intestinalis. La colonizzazione dell'intestino da parte di G. lamblia il più delle volte decorre in modo asintomatico, altre volte, dopo un periodo di incubazione di 1-2 settimane, si manifesta con diarrea e dolori addominali generalmente di modesta entità ma di lunga durata. La gravità delle manifestazioni e delle conseguenze è in rapporto allo stato di nutrizione ed alle condizioni generali dell'ospite. Il veicolo abituale è rappresentato dall'acqua e dagli alimenti contaminati. Questo protozoo è presente anche in paesi a clima temperato dove può occasionalmente essere responsabile di episodi epidemici di origine idrica o alimentare. Infatti, le forme cistiche espulse con le feci sono molto resistenti nell'ambiente, dove sopravvivono fino ad oltre due mesi; nel caso di contaminazione dell'acqua esse possono anche non risentire della clorazione. PREVENZIONE DELLE GASTROENTERITI ACUTE La conoscenza delle sorgenti di infezione e delle vie e modalità di diffusione delle diarree di origine virale, batteriche e protozoarie consente di approntare una opportuna strategia di lotta contro queste infezioni. Pag. 45 a 63 Infezioni delle ferite chirurgiche Le infezioni delle ferite chirurgiche rappresentando circa il 20% di tutte le infezioni ospedaliere. È usanza distinguere gli interventi in: puliti, puliti-contaminati e contaminati. Per questi ultimi (ad esempio, interventi sul colon-retto) la frequenza di infezioni postoperatorie può essere superiore al 10 per cento. Fra le misure atte a ridurre il rischio di infezioni vi sono:  l'accurata disinfezione della pelle nel sito dell'incisione  il contenimento dei tempi dell'intervento  il rispetto scrupoloso dell'asepsi durante l'intervento  l'appropriato posizionamento dei drenaggi  il rispetto scrupoloso dell'asepsi nelle medicazioni postoperatorie. Il massimo di efficacia preventiva si ottiene iniziando a somministrare gli opportuni antibiotici immediatamente prima dell'intervento e proseguendo per non oltre 48 ore. Infezioni delle vie respiratorie Le infezioni ospedaliere broncopolmonari sono al terzo posto, rappresentando il 15-20% di tutte le I.O., ma la gravità della loro evoluzione è superiore a quella delle altre infezioni, anche a causa delle condizioni dei pazienti in cui più spesso essi si presentano. Efficaci misure di prevenzione per ridurre il rischio di infezioni broncopolmonari sono: la frequente detersione delle mani da parte del personale di assistenza o l'uso di guanti sterili, l'accurata decontaminazione delle apparecchiature respiratorie, l'isolamento protettivo dei pazienti a rischio. Batteriemia e fungemia La presenza e la moltiplicazione di batteri nel sangue (detta batteriemia) possono essere primitive, quando avvengono in assenza di localizzazioni in altri siti, o secondarie, se sono conseguenti ad altre localizzazioni come cistiti, infezioni chirurgiche o broncopolmoniti. L'esito letale è più probabile quando la batteriemia è polimicrobica o quando è causata per esempio da Pseudomonas aeruginosa. Le batteriemie e le fungemie primitive hanno origine di solito da cateteri endovasali, a causa di contaminazioni dalle mani del personale di assistenza, per colonizzazione del catetere con microrganismi provenienti dalla pelle del paziente o dall'ambiente. L'unica possibilità di prevenzione delle infezioni è la riduzione del tempo di permanenza in siti del catetere, oltre alla scrupolosa pulizia delle mani del personale di assistenza ed all'accurata disinfezione della cute del paziente. Infezioni pneumococciche L'incidenza della morbosità e della mortalità delle malattie da Streptococcus pneumoniae, per quanto ridotta rispetto al passato dall'avvento dell'antibioticoterapia, rimane ancora rilevante in alcuni gruppi di popolazione. Lo Streptococcus pneumoniae appartiene al genere Streptococcus della famiglia delle Streptococcaceae. Nei materiali patologici si presenta come un cocco delle dimensioni di 1 µm circa, di forma leggermente ovale. È Gram-positivo, immobile, non forma spore e possiede una capsula ben evidenziabile. Si coltiva in terreni di coltura arricchiti con siero o sangue intero, con optimum di pH a 7,6 e di temperatura a 37 °C, meglio se in presenza di CO2. Il pneumococco possiede diversi antigeni:  antigeni polisaccaridici capsulari, in base ai quali sono stati distinti 83 sierotipi diversi, alcuni dei quali riuniti in gruppi. Solubili e facilmente diffusibili nei tessuti, questi antigeni vengono anche indicati come sostanze specifiche solubili (SSS);  un antigene proteico somatico tipo-specifico, eletto antigene M, presente nella parete cellulare;  un antigene polisaccaridico somatico specie-specifico, comune a tutti i ceppi di pneumococco, localizzato nella parete cellulare e denominato sostanza C. Il pneumococco è patogeno, oltre che per l'uomo, per diverse specie di mammiferi ed in particolare per il coniglio ed il topo, nei quali provoca stato setticemico e morte, qualunque sia la via di introduzione. La sua azione patogena è legata principalmente alla presenza delle SSS, che agiscono non come sostanze tossiche, ma svolgendo una intensa Pag. 46 a 63 attività anti-fagocitaria. Ha una resistenza elevata nei materiali patologici (nello sputo fino a 3 mesi), ma assai scarsa al calore (15 minuti a 55 °C) ed ai comuni disinfettanti. È in genere altamente sensibile ai chemio-antibiotici. Nella maggior parte dei casi lo S. pneumoniae, penetrato per via aerea, si localizza sulle mucose respiratorie senza dare origine a manifestazioni cliniche. (fagocitosi è la capacità posseduta da diverse cellule di ingerire materiali estranei e di distruggerli) Fattori che riducono la fagocitosi di superficie e consentono la penetrazione del pneumococco attraverso le mucose sono:  le infezioni virali che provocano alterazioni delle cellule di superficie;  l'eccesso accumulo di muco, favorito da alcune condizioni (ad esempio, situazioni allergiche), che protegge i pneumococchi dalla fagocitosi;  l'alcolismo, il tabagismo, ecc. Le più importanti malattie da S. pneumoniae sono: la polmonite franca lobare, che attualmente si presenta con un quadro clinico diverso da quello tipico tradizionale, per il precoce impiego della terapia antibiotica che attenua la sintomatologia e riduce la durata della malattia; la meningite pneumococcica, che rappresenta la forma clinica più frequente dopo quella polmonare; altre forme cliniche localizzate o generalizzate, quali broncopolmoniti, otiti, stati setticemici più o meno gravi primitivi e secondari, infezioni associate ad interventi chirurgici. La diagnosi di laboratorio si basa sostanzialmente sulla ricerca e l'isolamento del pneumococco, viene eseguita con l'esame microscopico diretto del materiale patologico. In ogni caso si deve procedere anche alla ricerca colturale con l'isolamento dello stipite, che ne consente i saggi di sierotipizzazione e di sensibilità agli antibiotici. I dati sulla diffusione delle infezioni da pneumococco sono scarsi ed imprecisi in molti paesi del mondo, per la mancanza dell'obbligo della denuncia e di valide ricerche microbiologiche, piuttosto trascurate negli ultimi anni verosimilmente nella convinzione che il problema delle pneumococciche fosse stato risolto con l'impiego degli antibiotici. È al primo posto nella eziologia delle polmoniti (50%) e si colloca subito dopo la N. Meningitisdis in quella delle meningiti batteriche, con una frequenza relativa variabile dal 12% al 30 %. La via di penetrazione è quella aerea, la modalità di trasmissione è rappresentata quasi esclusivamente dal contagio diretto interumano. In Italia i dati di mortalità sono conosciuti soltanto per la polmonite e la meningite pneumococciche, mentre non sono ancora disponibili quelli di morbosità. Infatti, solo dal 1980 anche nel nostro paese, sulla scorta di quanto già avvenuto in altri, si è iniziato un programma di sorveglianza delle infezioni pneumococciche allo scopo di identificare i sierotipi prevalenti, individuare i ceppi provvisti di antibiotico-resistenza e definire i soggetti esposti al rischio. PREVENZIONE L'isolamento del malato non è necessario. La disinfezione deve riguardare soltanto quel materiale che consente al germe una più lunga sopravvivenza e può essere eseguita con le metodiche d'uso. I vaccini attualmente in uso sono allestiti con polisaccaridi capsulari purificati, ottenuti da differenti sierotipi di S. pneumoniae. Sono in commercio vaccini pneumococcici polivalenti contenenti 23 sierotipi e un vaccino eptavalente, coniugato ad una proteina di trasporto, immunogeno nei bambini di età inferiore ai 2 anni. La vaccinazione si esegue inoculando la dose per via intramuscolare. La capacità immunogena di questi vaccini è documentata dalla comparsa di un significativo incremento del titolo anticorpale, che si verifica nel 100% dei soggetti vaccinati nei confronti della maggior parte dei sierotipi inclusi nel vaccino e con frequenza variabile dal 70 al 96% per gli altri. NEISSERIA MENINGITIS E LE INFEZIONI MENINGOCOCCICHE CAPITOLO 54 L'infezione meningococcica, che il più spesso decorre in modo inapparente, può presentarsi sotto diverse forme cliniche: manifestazioni infiammatorie delle prime vie aeree, meningite cerebro-spinale, forme settiche fulminanti. Pag. 47 a 63 La meningite cerebro-spinale o meningite meningococcica è una malattia infettiva, acuta e contagiosa, assai temuta soprattutto in passato per la gravità del decorso clinico e per le complicanze; essa è attualmente più controllabile con la terapia antibiotica, purché tempestiva e adeguata. Nella epidemiologia di questa malattia il ruolo determinante è svolto dall'uomo portatore sano, data l'elevata labilità del meningococco al di fuori dell'organismo, che rende pressoché inattuabile il contagio per via indiretta. Il meningococco, Neisseria meningitidis, appartiene al genere Neisseria, che fa parte della famiglia delle Neisseriaceae. Nel genere Neisseria si distinguono diverse specie:  due patogene per l'uomo (N. meningitidis e N. gonorrhoeae)  ed altre commensali, per la maggior parte abitualmente presenti sulle mucose delle prime vie respiratorie dell'uomo (N. sicca, N. subflava, N. flavescens, N. mucosa). I meningococchi si presentano morfologicamente come elementi rotondeggianti delle dimensioni di 0,8-1 μm, non hanno ciglia, non producono spore, sono Gram-negativi. All'esterno della parete cellulare è presente un complesso polisaccaridico, che in taluni siero gruppi appare organizzato a formare una vera e propria capsula. Sono strettamente aerobi, ma la loro crescita è favorita dalla presenza di CO2 ad una temperatura ottimale è di 37 °C. Sulla base degli antigeni polisaccaridici di superficie si distinguono 9 gruppi sierologici: 4 principali e noti da tempo (A, B, C e D) e gli altri cosiddetti minori, identificati successivamente (X, Y, Z, 29E, W135). Al di fuori dell'organismo, il meningococco presenta scarsissima resistenza agli agenti fisici ambientali ed ai comuni disinfettanti. È scarsamente patogeno per gli animali di laboratorio. La via di ingresso della N. meningitidis è rappresentata dalla mucosa rino-faringea, può rimanere anche per lungo tempo senza dar luogo a manifestazioni cliniche, realizzandosi così lo stato di portatore sano. Quando sfocia in malattia il meningococco raggiunge il circolo ematico, avendosi così una batteriemia con diffusione nell'organismo e sepsi fulminante oppure, più spesso, con localizzazione nel sistema nervoso centrale. Qui il meningococco invade gli spazi subaracnoidei, dando origine ad un processo flogistico (infiammazione acuta) che colpisce in particolare l'aracnoide e la pia madre (meningite meningococcica) con formazione di un abbondante essudato (liquido infiammatorio extra vascolare) purulento, che è più esteso e più denso alla base del cervello e del tronco encefalico. La penetrazione del meningococco e la sua successiva colonizzazione nel rinofaringe provocano la formazione di anticorpi circolanti e la comparsa di una immunità gruppo-specifica di incerta durata. DOPO UN PERIODO DI INCUBAZIONE DA 2 A 10 GIORNI insorge bruscamente con febbre elevata accompagnata da brividi, cefalea violenta, vomito insistente, agitazione psicomotoria. Rapidamente compaiono i segni meningei: rigidità della nuca e del rachide e la cosiddetta posizione a “cane di fucile” caratteristica degli arti inferiori; frequenti le paresi e le paralisi dei muscoli estrinseci dell'occhio. Nelle forme acutissime possono anche presentarsi delle petecchie sulla cute, maggiormente nell’interno coscia. Il decorso è notevolmente influenzato dalla terapia: nella maggior parte dei casi si ha la rapida guarigione senza postumi. La malattia, tuttavia, conserva una letalità elevata (5-10%). ACCERTAMENTI DIAGNOSTICI: Il materiale di scelta è rappresentato dal liquor prelevato mediante puntura lombare, ma la ricerca del meningococco può essere eseguita anche nel sangue e nel contenuto delle petecchie cutanee. È importante che le indagini vengano effettuate immediatamente dopo il prelievo, poiché il meningococco va incontro rapidamente ad autolisi. Pag. 50 a 63 faringite, polmonite, cellulite, piodermite, erisipela, impetigine, infezioni delle ferite chirurgiche, sepsi puerperale, sepsi neonatale, endocardite, artrite settica e glomerulonefrite post-streptococcica. Per la terapia sono efficaci penicillina, vancomicina, cefalosporine ed eritromicina. Il gruppo D (generalmente a- o g-emolitici) comprende gli enterococchi E. faecalis, E. durans ed E. faecium e gli streptococchi di gruppo D non-enterococchi, dei quali lo S. bovis e lo S. equinus sono i più diffusi. STREPTOCOCCO PYOGENES, ß-emolitico di gruppo A, può dar forme morbose primitive o a carattere suppurativo, rappresentate da forme respiratorie quali: l'angina streptococcica acuta, complicata o no dalle manifestazioni esantematiche della scarlattina, infezioni cutanee quali erisipela, impetigine ed altre forme di piodermite, ed infine la febbre puerperale, conseguente ad una infezione streptococcica suppurativa post-partum dell'endometrio. Tra le localizzazioni respiratorie prevale per frequenza l'angina streptococcica acuta. (L’angina streptococcica, comunemente nota come mal di gola da streptococco, è una faringite o faringo-tonsillite causata da streptococco. Nella faringite streptococcica la gola è arrossata e dolente e le tonsil le sono gonfie) La localizzazione nasofaringea degli streptococchi beta- emolitici di gruppo A, può determinare una pura e semplice condizione di portatore, forme infiammatorie lievi e sfumate più frequenti tra i soggetti che vivono in famiglia, una faringo-tonsillite acuta (angina streptococcica acuta) frequentemente accompagnata da febbre, anche di notevole intensità. Complicanze suppurative possibili dell'angina streptococcica sono l'otite media, la mastoidite, gli ascessi paritonsillari, la broncopolmonite. NELLE FORME RESPIRATORIE da streptococchi le sorgenti di infezione sono rappresentate da soggetti ammalati, che si ritrovano specialmente nella fascia di età che va da 3 a 15 anni. L'eliminazione dei batteri inizia 24 ore prima della comparsa della sintomatologia, aumenta durante la fase acuta e permane, riducendosi via via, per 2-3 settimane nei pazienti non trattati; cessa invece rapidamente in quelli sottoposti a terapia antibiotica. Non minore è il ruolo del portatore specie quando elimina quantità massive di streptococchi con tosse e starnuti; nella popolazione scolastica la frequenza dei portatori oscilla abitualmente tra il 5% ed il 30%, ma nella stagione invernale può arrivare al 50%. Le modalità di trasmissione sono rappresentate soprattutto dal contatto diretto; trascurabile invece è quello indiretto attraverso oggetti o materiale contaminato, in quanto lo streptococco, anche se capace di sopravvivere a lungo nell'ambiente, con l'essiccamento riduce, fino a perderlo, il suo potere infettante. REUMATISMO ARTICOLARE ACUTO È una malattia sistemica caratterizzata da episodi febbrili, poliartrite migrante ed interessamento cardiaco (pancardite). Raramente si possono associare sintomi a carico del sistema nervoso. L'episodio reumatico si esaurisce dopo 1-4 settimane con regressione completa dei sintomi articolari; spesso, però, residua un danno irreversibile a carico delle strutture cardiache. Un'altra caratteristica importante della malattia è la tendenza a dare delle recidive, con progressivo aggravamento delle lesioni cardiache. Contrariamente a quanto si credeva in passato, non risulta che i fattori climatici abbiano importanza nel determinare la frequenza della malattia. Invece la povertà e le scadenti condizioni socioeconomiche comportano un rischio elevato di reumatismo articolare acuto e di cardiopatia reumatica, probabilmente come conseguenza del sovraffollamento, che implica un aumento di frequenza delle infezioni streptococciche. La mortalità per cardiopatia reumatica che dal 1965 al 1975 era di circa 5.000 casi per anno, è scesa ai giorni nostri a circa 2.000 casi per anno. La notifica della scarlattina è obbligatoria, per curare i malati di scarlattina spesso si usano degli antibiotici come la penicillina o amoxicillina. E ‘importante essere consapevoli che il malato sarà contagioso ancora per 24 ore dopo iniziato il Pag. 51 a 63 trattamento antibiotico e quindi, nel frattempo, dovrebbe evitare di fare vita sociale (scuola, lavoro, ecc.). Per alleviare i sintomi della scarlattina, possiamo:  bere molti liquidi  mangiare cibi morbidi  prendendo del paracetamolo per abbattere la temperatura elevata  utilizzare calamina o antistaminici per alleviare il prurito NON E’ OBBLIGATORIA LA NOTIFICA delle angine streptococciche semplici e, da qualche anno, del reumatismo articolare acuto. La prevenzione primaria mira, attraverso la somministrazione tempestiva di antibiotici ai soggetti con angina streptococcica, ad interrompere il movimento anticorpale verso gli antigeni batterici ed a rimuovere così il principale dei fattori di rischio per il reumatismo articolare acuto. La prevenzione secondaria è la prevenzione delle recidive; deve essere applicata a tutti coloro che hanno avuto un primo attacco reumatico, tenuto conto che un secondo attacco si può presentare anche a seguito di una nuova infezione streptococcica clinicamente poco evidente. Poiché non tutte le angine sono dovute ad infezioni streptococciche, ma, specie nell'infanzia, sono spesso di origine virale e non richiedono alcun trattamento antibiotico, occorre procedere con la massima celerità agli opportuni accertamenti di laboratorio sul materiale prelevato mediante tampone faringeo. Un saggio di agglutinazione al lattice applicabile direttamente al materiale prelevato dal faringe consente di ottenere entro 2 ore una risposta presuntiva sufficientemente attendibile. STERILIZZAZIONE CAPITOLO 56 Al fine di ottenere la distruzione di tutti i microrganismi patogeni e non patogeni presenti in un dato materiale si fa ricorso nella pratica a diversi mezzi fisici, di cui il più generalmente usato è il calore; altri mezzi fisici, come i raggi ultravioletti e le radiazioni gamma hanno specifiche e limitate utilizzazioni. I mezzi chimici, che trovano larga applicazione nel campo della disinfezione, sono meno utili per la sterilizzazione per una serie di inconvenienti cui possono dar luogo, poiché non sempre garantiscono la distruzione delle spore, spesso alterano il materiale con cui vengono in contatto, nel materiale trattato possono restare residui tossici o irritanti ecc. L'unica sostanza chimica che oggi trova applicazione nel campo della sterilizzazione è l'ossido di etilene.  È necessario sterilizzare ai sensi di legge ogni articolo appartenente alla Categoria 1 (Articolo Critici) cioè tutti quegli strumenti e oggetti introdotti nel sangue o in aree del corpo normalmente sterili o che vengono a contatto con cute e mucose non integre necessitano del requisito di sterilità.  Per quanto riguarda gli articoli facenti parte della Categoria 2 (Articoli Semi critici) che comprende strumenti e oggetti che vengono a contatto con mucose integre il requisito è la sterilità desiderabile. STERILIZZAZIONE CON IL CALORE Il calore agisce alterando le sostanze che costituiscono le strutture dei microrganismi; particolarmente sensibili all'azione del calore sono le proteine con funzioni enzimatiche. Le varie specie microbiche presentano diversa resistenza al calore: la maggior parte dei virus, i batteri in forma vegetativa, i miceti ed i protozoi sono, in genere, molto sensibili al calore; molto più resistenti sono le spore, specialmente quelle prodotte da batteri con habitat ambientale e da specie termofile (ad esempio, Clostridium botulinum, Bacillus stearothermophilus). Per la sterilizzazione può essere utilizzato sia il calore secco, sia il calore umido. Il CALORE SECCO può essere applicato come fiamma viva per il flambaggio di superfici ed oggetti (ad esempio le anse da batteriologia) o per l'incenerimento di oggetti contaminati che si vogliono distruggere, ma può essere applicato anche come aria calda o come radiazioni infrarosse. La sterilizzazione avviene attraverso il contatto dell'oggetto con aria calda che agisce per ossidazione dei componenti cellulari; sono utilizzate la stufa a secco o il forno Pasteur. In media, per una sterilizzazione completa è necessario che sia raggiunta una temperatura di 160°C per un'ora o di 180°C per 30 minuti. A questi tempi si devono aggiungere poi i tempi di riscaldamento e raffreddamento che portano un ciclo a 180-240 minuti. Pag. 52 a 63 Per la sterilizzazione con aria calda si impiegano appositi armadietti con doppie pareti, detti stufe a secco, al cui interno si possono raggiungere temperature fino a 200 °C. La sterilizzazione a raggi infrarossi viene effettuata in apposite stufe a pressione normale o in stufe sotto vuoto. Poiché i raggi infrarossi hanno notevole capacità di penetrazione, i tempi di esposizione del materiale da sterilizzare (siringhe, vetreria) sono relativamente brevi. La sterilizzazione mediante CALORE UMIDO è molto più efficace perché consente di uccidere i microorganismi a temperature inferiori a quelle che si devono raggiungere con il calore secco; ciò si può spiegare in base alla maggiore conducibilità termica dell’acqua o del vapore, rispetto all’aria secca. La sterilizzazione mediante calore umido può essere attuata con diversi metodi basati sull’azione di: liquidi caldi (come acqua): bollitura, pastorizzazione; vapore fluente o sotto pressione: sterilizzazione con vapore fluente, sterilizzazione frazionata o tindalizzazione, autoclave.  Bollitura Si ottiene utilizzando liquidi portati alla temperatura di 100°C; permette la distruzione di microrganismi in forma vegetativa e, con un’azione prolungata, anche di alcune spore batteriche.  Pastorizzazione, inventata dal chimico francese Louis Pasteur, non è un vero e proprio processo di sterilizzazione ma viene applicato soprattutto per la riduzione della carica microbica; si conoscono due metodi di pastorizzazione: 1. Low temperature long time (LTLT) detta pastorizzazione lenta, è ottenuta riscaldando il materiale in grossi recipienti alla temperatura di 62,8°C per 30 min. 2. High temperature short time (HTST) detta pastorizzazione rapida, è ottenuta facendo passare attraverso piastre che riscaldano il materiale liquido alla temperatura di 75°C per 15- 20 sec e successivamente si procede al rapido raffreddamento.  Sterilizzazione mediante vapore fluente si intende il vapore acqueo che si forma a pressione atmosferica ordinaria alla temperatura di 100°C. Il vapore possiede un grande potere di penetrazione e può uccidere tutte le forme vegetative e molte forme sporali: in alcune occasioni può avere azione sterilizzante. È una tecnica che sfrutta l'azione del vapore fluente (pentola di Koch) o saturo (autoclave); elimina i microrganismi mediante denaturazione delle loro proteine e altre biomolecole. La sterilizzazione mediante autoclave è quella più diffusa essendo poco costosa e non tossica e data la sua buona capacità di penetrazione.  Sterilizzazione con vapore saturo sotto pressione I microrganismi sono più sensibili al calore quando si trovano in ambiente umido. Ciò è dovuto alla minore stabilità delle proteine, da un lato, ed alla maggiore conducibilità termica e capacità di penetrazione dell'acqua e del vapore rispetto all'aria, dall'altro. Per l'uccisione delle spore dei bacilli patogeni (es. bacillo tetanico, clostridi della gangrena gassosa) e dei bacilli ambientali mesofili con il calore umido è sufficiente la temperatura di 121 °C per poco più di 10 minuti. Ciò si ottiene facendo bollire l'acqua in autoclave, cioè in una caldaia a chiusura ermetica in cui il vapore fa innalzare la pressione man mano che si accumula. L'autoclave è costituita da un recipiente cilindrico con robuste pareti metalliche e coperchio a perfetta tenuta: l'acqua posta nel fondo viene riscaldata, con una resistenza elettrica ed il vapore, passa nella soprastante camera di sterilizzazione attraverso un disco forato su cui viene deposto il materiale da sterilizzare. Sia le stufe a secco, sia le autoclavi devono essere collaudate quando vengono installate per controllarne l'efficacia e per stabilire la durata dei tempi di sterilizzazione in rapporto ai materiali da trattare. Per controllare che la temperatura richiesta venga raggiunta in ogni punto dell'apparecchio si possono disporre, in mezzo al materiale da sterilizzare, delle fialette contenenti sostanze che fondono o cambiano di colore a determinate temperature. Un controllo più idoneo a rivelare l'efficacia della sterilizzazione consiste nell'introduzione di confezioni di spore batteriche termoresistenti: si può fare affidamento sull'autoclave o sulla stufa a secco solo se le spore, messe in adatto terreno di coltura dopo la sterilizzazione, non si sviluppano. STERILIZZAZIONE CON RADIAZIONI E GAS Raggi ultravioletti (UV) La sterilizzazione mediante radiazioni è applicata per alcuni prodotti farmaceutici e prodotti per uso di laboratorio come capsule petri, pipette, ecc. Le radiazioni, per avere effetto sterilizzante apprezzabile, devono essere impiegate ad una lunghezza d’onda inferiore a 300nm. Ad esempio, la sterilizzazione mediante Pag. 55 a 63 ALCOLI Sono correntemente usati l'alcol etilico (etanolo) e l'alcol isopropilico (isopropanolo), che esplicano un intenso e rapido effetto battericida sulle cellule in forma vegetativa, grazie all'azione denaturante sulle proteine, ma non hanno alcuna attività sulle spore. L'attività disinfettante è massima quando sono diluiti in acqua al 50-60%, mentre è molto scarsa da parte degli alcoli anidri: in pratica si usano soluzioni al 70% per la disinfezione della pelle e dei termometri, ma bisogna tener presente che l'azione sulla maggior parte dei virus è scarsa e lenta. ALDEIDI La sostanza più comunemente usata è l'aldeide formica (HCHO), che è rapidamente attiva su tutti i microbi ed è in grado di inattivare anche le spore pur richiedendo per ciò più lunghi tempi di azione e temperature superiori ai 40 °C. Essa agisce per alchilazione sui gruppi aminici, carbossilici, idrossilici e solfidrilici delle proteine formando prodotti di condensazione e legami metilenici. Sotto forma gassosa viene usata per disinfettare ambienti chiusi o oggetti delicati (vestiti, pellicce, libri, ecc.) in apposite camere di disinfezione. Fra le altre aldeidi, solo la glutaraldeide (CHO-CH2-CH2-CHO) è da 2 ad 8 volte più attiva della formaldeide contro le spore e, in soluzione al 2%, esplica una energica azione disinfettare se è lasciata agire per 10-30 minuti (secondo il grado di contaminazione del materiale da disinfettare), mentre assicura un effetto sterilizzante se è lasciata agire per 6-10 ore. FENOLI Il fenolo puro o acido fenico (C6H5OH) fu il primo disinfettante introdotto da Lister nella pratica chirurgica dell'antisepsi, tanto che è stato assunto come termine di paragone per valutare l'attività antibatterica degli altri successivi disinfettanti, mediante la determinazione del coefficiente fenolico. SAPONI Sono costituiti da mescolanze di sali degli acidi oleico, palmitico e stearico. Si producono trattando i grassi animali o vegetali con idrato sodico, per ottenere i saponi duri, o con idrato di potassio per ottenere i saponi molli. Hanno la proprietà di abbassare la tensione superficiale e, pertanto, esplicano azione detersiva e sgrassante, con cui si ottiene l'allontanamento meccanico di parte dei microrganismi presenti sulla pelle o su oggetti (biancheria, pavimenti, ecc.). BIGUANIDI (Clorexidina) La clorexidina è un ottimo disinfettante attivo contro i batteri Gram positivi e Gram negativi, ma non contro le spore. Agisce, infatti a livello della membrana citoplasmatica inattivandone le funzioni. La sua efficacia non è diminuita dalla presenza di proteine. A diverse concentrazioni viene usata per la disinfezione della pelle, di oggetti, pavimenti e superfici varie. In particolare, come soluzione detergente è usata per la decontaminazione delle mani del chirurgo e per la pulizia delle ferite; in soluzione alcolica è usata per la decontaminazione preoperatoria della pelle del paziente. È inclusa anche in pomate ed in polveri. PEROSSIDI Fra i perossidi abbiamo l'acqua ossigenata o perossido d'idrogeno e l'acido peracetico. L'acqua ossigenata (H2O2) è di comune impiego per l'antisepsi e per la disinfezione ed è considerata un prodotto innocuo per l'ambiente. Anche a bassa concentrazione è attiva su virus, batteri e miceti, ma per ottenere un'azione sporicida essa deve essere usata a concentrazioni elevate (dal 10 al 30%). L'acido peracetico ha un'azione microbicida più potente dell'acqua ossigenata ed è attivo a basse concentrazioni (0,2-0,3%) non solo su virus, batteri e miceti, ma anche sulle spore. DETERGENTI SINTETICI Sono composti di sintesi, possiedono un gruppo idrofilo ed uno idrofobo, per cui tendono a concentrarsi nelle interfacce, cioè laddove l'acqua viene a contatto con una fase diversa (solida, liquida, gassosa), adsorbendosi con il gruppo idrofobo alla superficie delle sostanze estranee e rivolgendo il gruppo idrofilo verso l'acqua. In rapporto alla capacità di ionizzazione vengono suddivisi in detergenti non ionici, anionici, cationici ed anfoteri. I detergenti non ionici e quelli anionici hanno scarso potere disinfettante, ma possiedono spiccato potere schiumogeno, emulsionante e detersivo. I detergenti anionici, in particolare, sono utilizzati nella formulazione dei comuni detersivi per uso domestico. I detergenti cationici (cloruro di benzalconio, cloruro di benzoxonio, cetrimide, ecc.) a differenza dei detergenti anionici, presentano l'estremità idrofila della molecola caricata positivamente. Con questa sono adsorbiti dai batteri che hanno carica negativa, mentre con l'estremità idrofoba si fissano alle superfici (ad esempio alla pelle delle mani) che si vogliono disinfettare. Essi sono molto attivi contro i batteri Gram positivi poco attivi contro i Gram negativi, senza alcuna azione sui bacilli tubercolari e sulle spore; l'attività contro i virus è scarsa e variabile. Pag. 56 a 63 APPLICAZIONE DEI DISINFETTANTI E DISINFESTAZIONE CAPITOLO 58 Diversi strumenti ed oggetti usati nella pratica medica possono fungere da veicoli di infezioni (es. aspiratori, cistoscopi, sonde, cateteri, ecc.). Essi vanno sterilizzati in autoclave o con ossido di etilene, in rapporto al materiale di fabbricazione. Quando ciò non è possibile, bisogna almeno procedere alla loro disinfezione. Stoviglie e posate La pulizia in lavastoviglie con temperatura dell'acqua superiore ad 80°C è sufficiente all'inattivazione ed all'allontanamento di eventuali microbi patogeni. In mancanza di ciò si può procedere alla bollitura per 30 minuti o all'immersione prolungata in soluzioni di ipocloriti, di iodofori, di composti dell'ammonio quaternario (dopo lavaggio). Biancheria e coperte Anche per la biancheria la procedura più semplice è la pulizia in lavabiancherie che raggiungano la temperatura di 85-90 °C per almeno 15 minuti. Per i tessuti di fibre sintetiche (nylon, rayon) che non sopportano temperature elevate, si può fare ricorso all'immersione in disinfettanti chimici (soluzioni di fenoli alogenati, di cresolo, di formaldeide) per tempi variabili da 4 a 12 ore a seconda della concentrazione. Materassi e letti I materassi possono essere esposti ai vapori di formaldeide in speciali apparecchiature oppure possono essere spruzzati con soluzione di formalina in un apposito ambiente. Ambienti e superfici Per la disinfezione continua dei pavimenti si può effettuare il lavaggio con soluzioni di ipocloriti o con soluzioni saponose di formaldeide o di fenoli. Si possono adottare anche formulazioni detersive che contengano sostanze battericide. Per la disinfezione dei pavimenti, delle pareti e di altre superfici si possono usare anche soluzioni di iodofori o di composti quaternari dell'ammonio. La disinfezione terminale di tutto l'ambiente può essere fatta con vapori di formalina o mediante nebulizzazione dello stesso disinfettante. L'antisepsi Per antisepsi si intende una pratica finalizzata alla inattivazione dei microrganismi presenti sulla pelle, sulle mucose o su altri tessuti viventi (ferite). Con l'impiego di antisettici è impossibile raggiungere la sterilizzazione delle superfici corporee ma si può ottenere la distruzione di microrganismi patogeni e saprofiti e di una larga quota dei commensali residenti senza provocare alterazioni dei tessuti. Decontaminazione delle mani (antisepsi) La decontaminazione delle mani del chirurgo per la preparazione all'operazione ha lo scopo di eliminare i microrganismi transitori e di ridurre il numero di quelli residenti: con un opportuno trattamento si potrà ottenere una riduzione di oltre il 99,99%, ma non la sterilizzazione della pelle. Decontaminazione della cute (antisepsi) Nella comune pratica iniettiva e per l'effettuazione di prelevamenti di sangue si commette spesso l'errore di ritenere decontaminata la cute dopo un rapido strofinamento con cotone imbevuto di alcol etilico; in realtà è necessario un tempo d'azione di 1-2 minuti per una sufficiente riduzione di microrganismi transitori e residenti. L'azione del disinfettante, inoltre, può essere facilitata dal preventivo sgrassamento, ad esempio con etere. Mucose In caso di contaminazione delle mucose con materiale estraneo è sufficiente procedere ad una delicata pulizia con garza inumidita. È consigliabile evitare l'applicazione di antisettici sulle superfici mucose, per non causarvi alterazioni che diminuirebbero la protezione assicurata dall'epitelio contro la penetrazione di microrganismi. Ferite Le ferite accidentali vanno innanzitutto deterse con soluzione fisiologica sterile per allontanare eventuali sostanze estranee. La DISINFESTAZIONE è definita genericamente come l'insieme di operazioni tendenti alla eliminazione, o per lo meno alla limitazione, dei parassiti (artropodi, muridi e malerbe) e dei loro danni, dalla semplice applicazione di prodotti spray in ambiente domestico, a veri e propri piani di lotta. Le fasi previste sono: 1°) monitoraggio (definizione del problema), con tre sotto fasi: studio dell'ambiente con particolare riguardo alla gravità dell'infestazione, valutazione dei parassiti presenti e progetto del piano di lotta e preventivo economico. 2°) Intervento di lotta vero e proprio, con tecniche e mezzi adeguati alle necessità. Pag. 57 a 63 3°) Monitoraggio di controllo per un'attenta verifica dei risultati e certificazione. Alcuni gas tossici come l'anidride solforosa, l'acido cianidrico, la cloropicrina, il bromuro di metile hanno azione letale sia per gli insetti sia per i roditori e sono stati chiamati disinfestanti integrali. Data la loro pericolosità per l'uomo essi sono usati ormai solo in casi particolari, come per la derattizzazione all’interno delle navi. Il bromuro di metile è anche usato in agricoltura per la disinfestazione e la disinfezione del suolo all'inizio del ciclo colturale nelle colture protette in serre ed il suo uso, che è consentito a ditte autorizzate, interessa l'igiene del lavoro. Per la lotta contro gli insetti vettori, nocivi e fastidiosi si impiegano specifiche sostanze insetticide, mentre per la lotta contro i ratti si usano preparati rodenticidi. Insetticidi Gli insetticidi in uso sono rappresentati dalle piretrine naturali e di sintesi, dai composti organici clorurati, dai composti organici fosforati, dai carbammati e dai tiocianati. I concentrati emulsionabili sono costituiti da soluzioni concentrate dell'insetticida, ottenute con un adatto solvente organico e addizionate con degli agenti tensioattivi, che consentono di ottenere emulsioni stabili diluendo con acqua al momento dell'uso. Per la lotta contro gli insetti in ambiente domestico esistono in commercio delle adatte confezioni (bombole spray) che sfruttano l'azione propellente del freon per la dispersione della soluzione insetticida. Per trattamenti di più ampia portata si utilizzano, invece, opportuni apparecchi disperdenti facendo ricorso anche ad aerei ed elicotteri quando si vogliono disinfestare ampie zone. Infine, per trattamenti particolari come l'applicazione sull'uomo e sugli animali, si impiegano insetticidi in polvere mescolati con talco o altra polvere inerte. PIRETRINE Si usano dei composti naturali (piretrine I e II, cinerine I e II) estratti dai fiori di diverse specie del genere Crysanthemum, e dei composti di sintesi. Si tratta di sostanze insolubili in acqua, solubili in solventi organici che hanno un rapido effetto abbattente sugli insetti, ma non hanno alcuna azione residua. Le piretrine, pertanto, non vanno usate per trattamenti murali, ma per l'eliminazione di insetti presenti al momento dell'applicazione. Poiché sono praticamente prive di tossicità per l'uomo e per gli animali domestici, sono utilizzate per le formulazioni da usare negli ambienti domestici, associate a sostanze come il piperonilbutossido che ne potenziano l'efficacia. COMPOSTI CLORURATI ORGANICI Capostipite di questo gruppo di insetticidi è il dicloro-difenil tricloroetano o DDT, che agisce, sia per contatto, sia per ingestione. Alle concentrazioni d'uso è scarsamente tossico per l'uomo e gli animali a sangue caldo, ma viene assorbito attraverso la cute quando è in soluzione e si accumula nel tessuto adiposo permanendo per tutta la vita; a causa della stabilità della sua molecola persiste a lungo anche nell'ambiente e può essere concentrato attraverso la catena alimentare. E’ VIETATO IN ITALIA PER GLI AMBIENTI DOMESTI E ANCHE PER CERTI IMPIEGHI IN AGRICOLTURA. Composti fosforati organici Anche questi composti agiscono per contatto e per ingestione, ma la maggior parte ha un'azione residua di breve durata. Essi inibiscono la colinesterasi e provocano accumulo di acetilcolina; la notevole tossicità per l'uomo e per gli animali a sangue caldo ne impedisce l'uso nell'ambiente domestico. Carbammati Fra i composti derivati dall'acido carbammico, alcuni mostrano attività insetticida ed hanno una tossicità sufficientemente bassa da poter essere usati nell'ambiente domestico. Fra questi, il propoxur è impiegato contro diversi insetti, ma specialmente contro gli scarafaggi, mentre il sevin è raccomandato contro le zanzare ed i pidocchi. DIVERSI MODI DI LOTTA CONTRO GLI INSETTI L'uso estensivo degli insetticidi chimici ha certamente prodotto enormi vantaggi in campo sanitario ed economico, ma anche degli svantaggi. In particolare, i trattamenti sul campo, specie se estesi a vaste aree, distruggono indiscriminatamente anche gli insetti utili e buona parte dei piccoli animali selvatici, turbando gli ecosistemi naturali. Oltre all'adozione di normative a livello internazionale e nazionale, per il controllo dell'impiego e degli effetti indesiderati degli insetticidi, sono state sperimentate ed applicate tecniche alternative di lotta contro gli insetti. Una di queste consiste nell'allevare un consistente numero di individui della particolare specie che si vuole controllare e renderli sterili, IN MODO DA IMPEDIRNE LA RIPRODUZIONE. Pag. 60 a 63  Impiego risorse naturali: la dieta mediterranea prevede un elevato consumo di cereali, frutta, verdura e legumi, la cui produzione richiede un impiego di risorse naturali (suolo, acqua) e di emissioni di gas serra meno intensivo rispetto ad un modello alimentare basato per lo più sul consumo di carni e grassi animali.  Stagionalità: la dieta mediterranea prevede il consumo degli alimenti rispettando la stagionalità degli stessi. Questo si traduce in una riduzione delle coltivazioni in serra e dei relativi impatti ambientali, così come dell’approvvigionamento e dei costi di trasporto da paesi lontani (food miles).  Biodiversità: rispetta il territorio e la biodiversità, attraverso semine diverse in ogni area e rotazione delle colture, al fine di garantire anche la sicurezza alimentare.  Frugalità: prevede porzioni moderate e consumo di alimenti integrali e freschi, poco trasformati. BENEFICI SOCIALI  Salute: la dieta mediterranea, insieme all’attività fisica, aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari, il diabete e alcuni tipi di tumore (colon retto, mammella, prostata, pancreas, endometrio). Inoltre, l’assunzione di cibi freschi e integrali permette una maggiore disponibilità e utilizzo di micronutrienti e antiossidanti.  Consapevolezza: la dieta mediterranea promuove una maggiore consapevolezza alimentare e legame col territorio, la conoscenza della stagionalità, biodiversità e naturalità degli alimenti.  Convivialità: promuove l’interazione sociale, i pasti comuni sono la pietra angolare delle feste e delle nostre tradizioni sociali.  Identità: la dieta mediterranea è espressione dell’intero sistema storico e culturale del Mediterraneo. È una tradizione alimentare millenaria che si tramanda di generazione in generazione, promuovendo non solo la qualità degli alimenti e la loro caratterizzazione territoriale, ma anche il dialogo tra i popoli. La Dieta Mediterranea a fine novembre 2010 è stata proclamata dall’Unesco “patrimonio culturale immateriale dell’umanità” ed era già stata riconosciuta dall’Oms e dalla Fao quale “modello alimentare salutare, sostenibile e di qualità”. La scelta di alimenti e bevande condiziona la nostra dieta in termini di apporti ed equilibrio nutrizionale. L’etichetta riporta informazioni sul contenuto nutrizionale del prodotto e fornisce una serie di indicazioni per comprendere come i diversi alimenti concorrono ad una dieta corretta ed equilibrata. Il Regolamento (UE) 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori aggiorna e semplifica le norme precedenti sull’etichettatura degli alimenti. Altro aspetto importante dell’etichettatura degli alimenti sono le indicazioni nutrizionali e sulla salute (claims), disciplinate dal Regolamento (CE) 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, allo scopo di garantire ai consumatori l’accuratezza e la veridicità delle informazioni. L’etichetta rappresenta un “qualunque marchio commerciale o di fabbrica, segno, immagine o altra rappresentazione grafica scritto, stampato, stampigliato, marchiato, impresso in rilievo o a impronta sull’imballaggio o sul contenitore di un alimento o che accompagna tale imballaggio o contenitore.” (Art. 1 Reg. 1169/2011). Le indicazioni obbligatorie per i prodotti preconfezionati sono: l’elenco degli ingredienti (in peso o volume), la denominazione del prodotto confezionato, la data di scadenza del prodotto, le modalità di conservazione e di utilizzo, se necessarie nome, ragione sociale o il marchio e la sede del confezionatore o del venditore, la sede dello stabilimento di produzione, il codice lotto o altra indicazione atta a identificare il prodotto. MARCHI DI QUALITA’ IGP= indicazione geografica protetta, la certificazione è accordata ai prodotti riconosciuti come caratteristici di una specifica zona geografica. Ad esempio sono IGP i limoni di Sorrento. DOP= denominazione di origine protetta, la certificazione DOP è a un livello di qualità superiore dell’IGP, infatti prevede che tutte le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione abbiano luogo nella zona da cui il prodotto deriva e rispettino procedure tradizionali e controllate. DOC= denominazione d’origine controllata esiste solo per i vini ed è attribuito a produzioni specifiche per luoghi e procedure. Pag. 61 a 63 STG= specialità tradizionale garantita, è un marchio della Comunità europea assegnato a alimenti caratterizzati da un’ottima qualità e nati da una particolare tradizione storica. In Italia, ad esempio, sono prodotti STG la bresaola e la mozzarella. BIOLOGICO= Indica che almeno il 95% degli ingredienti è di origine biologica e che il produttore rispetta le procedure di qualità stabilite. O.G.M. E SICUREZZA ALIMENTARE – HACCP CAPITOLO 60ù OGM significa “organismo geneticamente modificato”: Sono organismi il cui materiale genetico è stato modificato artificialmente (per esempio rendere il prodotto o una pianta resistenti ad una malattia, un insetto o alla siccità, o ancora un aumento della produttività). Il processo di trasferimento dei geni all’interno della stessa specie o tra specie viene definita “modificazione genetica”. Le colture GM rappresentano uno strumento prezioso per affrontare le sfide socio-economiche in un mondo in continuo cambiamento, con una continua crescita della popolazione, cambiamenti climatici e con la possibilità, in futuro, di carenze alimentari. Tutti gli OGM devono essere autorizzati prima di essere coltivati o utilizzati come alimenti o mangime. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) effettua dei rigorosi controlli sulla sicurezza ed i dati richiesti per la valutazione includono le informazioni che permettono di dimostrare la sicurezza dei prodotti e per analizzare i rischi per gli umani, gli animali e l’ambiente. Se più dello 0,9% di un alimento, o di un ingrediente, è derivato da una fonte GM autorizzata, è richiesto sull’etichetta il riferimento all’origine GM. Sotto questa soglia, i produttori devono essere in grado di fornire la prova che la presenza di qualunque OGM è accidentale o tecnicamente inevitabile. La Commissione Europea ha istituito un registro pubblico on-line in cui i cittadini possono cercare informazioni sugli OGM autorizzati. Attualmente è autorizzata la coltivazione di un unico prodotto GM, il mais resistente agli insetti. La legislazione approvata nel 2015 permette ai singoli stati membro di limitare o vietare nel proprio territorio la coltivazione di vegetali GM approvati dalla UE. Dal 1° gennaio 2016, nell’UE ci sono 61 OGM autorizzati per il commercio come alimenti o mangimi, questi non sono coltivati in territorio Europeo. Questi OGM comprendono:  32 varietà di mais  12 varietà di soia  10 varietà di semi di cotone  4 varietà di semi di colza  1 varietà di barbabietola da zucchero  1 batterio  1 lievito SICUREZZA ALIMENTARE E HACCP La finalità del sistema di controllo degli alimenti è quella di individuare, analizzare pericoli e mettere a punto sistemi adatti per il loro controllo. Prima dell'adozione del sistema HACCP le verifiche venivano effettuate a valle del processo produttivo e spesso il prodotto era consumato prima dell'individuazione dell'irregolarità. Il sistema HACCP, invece, promuovendo il concetto di prevenzione, analizza i possibili pericoli verificabili in ogni fase del processo produttivo e nelle fasi successive come lo stoccaggio, il trasporto, la conservazione e la vendita o somministrazione al consumatore. Lo scopo è quello di individuare le fasi del processo che possono rappresentare un punto critico. Il sistema HACCP venne ideato negli anni sessanta negli Stati Uniti, con l'intento di assicurare che gli alimenti forniti agli astronauti della NASA non avessero alcun effetto negativo sulla salute o potessero mettere a rischio missioni nello spazio. L’espressione inglese “Hazard Analysis Critical Control Point”, da cui deriva la sigla (HACCP), può essere adeguatamente tradotta in italiano come Analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo. Pag. 62 a 63 L'HACCP è stato introdotto in Europa negli anni Novanta, con la Direttiva 43/93/CEE, recepita in Italia con il D.Lgs 155/1997, che prevede l'obbligo di applicazione del protocollo HACCP per tutti gli operatori del settore alimentare. Questa normativa negli anni è stata sostituita dal Reg. CE 852/2004 “igiene dei prodotti alimentari”. TUTTI COLORO CHE SONO INTERESSATI ALLA PRODUZIONE, ALLA PREPARAZIONE, TRASFORMAZIONE, FABBRICAZIONE, CONFESIONAMENTO, DEPOSITO, TRASPORTO, MANIPOLAZIONE, VENDITA O FORNITURA E SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI DEVONO ATTENERSI A QUESTO SISTEMA DI CONTROLLO PER LEGGE. Ricordiamo che anche le bevande rientrano negli alimenti. E’ stato introdotto il cosiddetto “pacchetto igiene”, entrato in vigore il 1° gennaio 2016: è un insieme di quattro testi legislativi recentemente emanati dall’Unione Europea che rappresentano la normativa di riferimento riguardo l’igiene della produzione degli alimenti e dei controlli a cui essi devono essere sottoposti. Le norme che racchiude il pacchetto igiene sono:  Regolamento CE 852/2004-Igiene dei prodotti alimentari  Regolamento CE 853/2004- Igiene degli alimenti di origine animale  Regolamento CE 854/2004- Controlli ufficiali sui prodotti di origine animale  Regolamento CE 882/2004- Controlli ufficiali su mangimi, alimenti, salute e benessere animali;  Reg. n. 183/2005 (Requisiti per l’igiene dei mangimi. Attraverso il pacchetto igiene, infatti, tutti gli Stati Membri hanno gli stessi criteri riguardo l’igiene della produzione degli alimenti e quindi i controlli di natura sanitaria vengono effettuati secondo i medesimi standard su tutto il territorio della Comunità Europea. I punti fondamentali del sistema dell'HACCP sono identificabili in sette principi: 1. Principio 1- Individuazione e analisi dei pericoli 2. Principio 2- Individuazione dei CCP (punti critici di controllo): Un CCP (critical control point) è un punto, una fase, o una procedura in cui è possibile ed indispensabile attuare un controllo al fine di eliminare, prevenire o ridurre a limiti accettabili un pericolo. 3. Principio 3 - Definizione dei limiti critici: Stabilire i limiti critici che devono essere osservati per assicurare che ogni CCP sia sotto controllo. 4. Principio 4 - Definizione delle procedure di monitoraggio: Attuare una serie di osservazioni e misure per tenere sotto controllo e entro i limiti critici i CCP. 5. Principio 5 - Definizione e pianificazione delle azioni correttive: Stabilire in anticipo le azioni da attuare quando il monitoraggio indica che un particolare CCP non è più sotto controllo (fuori dai limiti critici). 6. Principio 6 - Definizione delle procedure di verifica: Stabilire procedure per la verifica che includano prove supplementari e procedure per confermare che il sistema HACCP stia funzionando efficacemente. 7. Principio 7 - Definizione delle procedure di registrazione: Predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell'impresa alimentare, al fine di dimostrare l'effettiva applicazione delle misure precedentemente esposte. Qualsiasi alimento può risultare contaminato già all’origine oppure può contaminarsi durante le varie fasi della produzione fino al consumo. Responsabili delle malattie dovute alla ingestione di cibo contaminato sono microrganismi (batteri, virus, parassiti), ma anche sostanze chimiche (detergenti, pesticidi, sostanze chimiche formatisi in seguito a cotture improprie) o contaminanti particellari (schegge di metallo, legno, vetro), che nelle varie fasi di lavorazione possono contaminare gli alimenti. Il Regolamento (CE) 2073/2005, “criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari”, stabilisce i criteri microbiologici per taluni microrganismi e le norme di attuazione che gli operatori del settore alimentare devono rispettare nella applicazione delle misure di igiene generali e specifiche di cui all’articolo 4 del Regolamento (CE) n. 852/2004. Il Regolamento (CE) 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare; istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
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