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Corso Linguistica Generale 23/24, Dispense di Linguistica Generale

Dispensa completa corso di Linguistica Generale prof Marta Maddalon compresa di parte linguistica storica

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 21/04/2024

jolyne6
jolyne6 🇮🇹

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Scarica Corso Linguistica Generale 23/24 e più Dispense in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! PAMULLDI MERA. MUJI USARLI, ANADOZE, nt959) Capitolo 1 Il linguaggio verbale Fernand de Saussure Grazie ai numerevoli sviluppi culturali dell’epoca tra il 1800 e il 1900, l’uomo rinascimentale inizia a studiare anche confrontando i testi e studiando la lingua. F. De Saussure (1857-1913), famoso linguista svizzero che già in giovane età riuscì a influenzare la storia del pensiero linguistico, a 22 anni scrisse opere sull’indoeuropeo. Nel 1900 fu professore nell’Università di Parigi e di Ginevra, sua città natale. In questo periodo i suoi studenti assemblarono i suoi appunti, che divennero poi la base del metodo chiamato strutturalismo, del quale viene riconosciuto come ideatore. Linguistica , lingue, linguaggio, comunicazione Definizione di linguistica: La linguistica, o per meglio dire: scienza teorica del linguaggio, è il ramo delle scienze umane che studia la lingua. Lo studio della lingua si può dividere in due sottocampi principali: la lin- guistica generale, che si occupa di che cosa sono, come sono fatte e come funzionano le lingue, e la linguistica storica, che si occupa del l'evoluzione delle lingue nel tempo e dei rapporti fra le lingue e fra lin- gua e cultura. Le lingue storico-naturali Oggetto della linguistica sono dunque le cosiddette lingue storico naturali, vale a dire le lingue nate spontaneamente lungo il corso della civiltà umana e usate dagli esseri umani ora o nel passato: si evolvono nel tempo seguendo un processo naturale relativo ai periodi storici. Come le comunità si sviluppano allora allo stesso modo fa il linguaggio utilizzato. L’errore La grammatica normativa descrive la lingua in quel momento e si evolve meno rapidamente rispetto al linguaggio. Pertanto le regole fisse della lingua possono variare. Norma e uso La lingua è costituzione di una norma. Quest’ultima si evolve o si scalfisce per via dell’uso. Motivazione e definizione di codice Vediamo come via via la motivazione diviene sempre più convenzionale e di conseguenza aumenta la specificità culturale. Per essere in grado di interpretare il segno bisogna essere in possesso di un codice, ovvero l'insieme di corrispondenze fissate per convenzione che fornisce le regole per interpretare i segni. Tutti i sistemi di comunicazione sono dei codici. Le proprietà della lingua 1. Biplanarità = Un segno ha due facce che si distinguono in significante che è la parte fisicamente percepibile (la parola pronunciata o scritta) e significato che è la parte non percepibile (il concetto della parola). L’unione tra i due è indissolubile poiché non si può modificare uno senza modificare inevitabilmente l’altro. Facoltà di associazione: associare un significante ad un Xx,,significato per creare il segno Pensiero pre-linguistico: quando ci sono dei concetti (significati) Cc,che esistono, ma a cui non abbiamo associato un’immagine x,,,,acustica. Pertanto sono dei pensieri non ancora sviluppati xx,,lessicalmente. 2. Arbitrarietà = Non vi è alcun legame logicamente motivato fra il significato e il significante, nella natura delle cose non c’è nulla che rimandi al suo nome, che faccia sì che quella cosa si debba o si possa chiamare in tale modo. I legami che costituiscono il codice sono posti per convenzione e dunque arbitrari. 3. Il triangolo semiotico = Si distinguono quattro diversi livelli di arbitrarietà. Questa distinzione viene spesso presentata sotto la forma grafica del triangolo semiotico di Hjelmslev (rapporti tra segno ed elemento esterno). Ai tre vertici abbiamo le tre entità in gioco: un significante, attraverso la mediazione di un significato con cui è associato e che esso veicola (e assieme al quale forma il segno), si riferisce a un elemento della realtà esterna, extralinguistica, un referente. La linea alla base del triangolo è tratteggiata perché il rapporto tra significante e referente non è diretto ma mediato dal significato. Rapporto tra segno e referente • Ad un primo livello, è arbitrario (non motivato naturalmente né logicamente) il rapporto o legame tra segno nel suo complesso e referente: non c’è alcun legame naturale e concreto fra un elemento della realtà esterna e il segno a cui questo è associato. Rapporto tra significante e significato • Ad un secondo livello, è arbitrario il rapporto fra significante e significato: il significante sedia, come sequenza di lettere o suoni, non ha in sé, al di fuori della convenzione posta dalla lingua, nulla a che ve dere con il significato "oggetto d'arredamento che serve per sedersi, ecc." a cui è associato nella lingua italiana. Rapporto tra forma e sostanza del significato • A un terzo e più profondo livello, è arbitrario il rapporto tra forma – struttura, organizzazione interna - e sostanza – materia, mero insieme di fatti concettualizzabili, significabili - del significato: a livello semantico (sinonimia) ogni lingua ritaglia in un modo che le è proprio una certa parte di significato distinguendolo in più entità. Es. l'ital. riconosce e designa diversa- mente tre entità “bosco/legno/legna” (il bosco non è il legno, e il legno non è esattamen te la legna) laddove il francese riconosce una sola entità “bois” e il tedesco due “Wald” (bosco)/“Holz” (legno/ legna). Rapporto tra forma e sostanza del significante • Infine, ad un quarto livello, è altrettanto arbitrario il rapporto fra forma e sostanza del significante: ogni lingua organizza secondo propri criteri la scelta dei suoni pertinenti, distinguendo in una certa maniera, eventualmente diversa da altre lingue, le entità rilevanti della materia fonica. A livello fonico (omonimia) ogni sistema linguistico organizza secondo i propri criteri la scelta dei suoni (es. la quantità vocale in latino e in tedesco dove la durata delle vocali distinguono diverse parole → “Stadt” = città / “Staat” = stato) 4 liveri di Arbitrarieta : Eccezioni (parziali) Le onomatopee Presentano un aspetto più o meno nettamente iconico, producendo nel significante dei caratteri fisici del referente: tintinnare, sussurrare, rimbombare. Cambiano da lingua a lingua, nonostante il referente rimanga identico. Gli ideofoni Più strettamente iconici, sono espressioni imitative o interiezioni descrittive che designano fenomeni naturali o azioni: boom/bum, zac, gluglu. Non è certo che abbiano lo statuto di effettive parole in italiano. Principio di iconismo È stato notato che la formazione del plurale attraverso l'aggiunta di materiale linguistico alla forma del singolare è un dispositivo molto diffuso nelle lingue: l'idea di pluralità, che implica più cose, più materiale, nella realtà, sarebbe evocata o suggerita o riprodotta nella lingua dal fatto che la forma plurale contiene più materiale fonico, linguistico, che non la forma del singolare. (es. romeno: băiat / băieţi). Fonosimbolismo certi suoni avrebbero per la loro stessa natura associati a sé certi significati (es. i, vocale chiusa = qualcosa di piccino). Doppia articolazione Consiste nel fatto che un significante è organizzato e scomponibile in unità più piccole. Prima articolazione Nella prima articolazione il significante è scomponibile in unità più piccole (morfemi) ancora portatrici di significato. Ad esempio gatto diventa gatt- + -o. Seconda articolazione Nella seconda articolazione esse sono, a loro volta, scomponibili in altre unità ancora più piccole (fonemi) che non sono portatrici di significato autonomo, e che combinate insieme danno luogo alle unità di prima articolazione. → Gatto diventa quindi formato da g-a-t-t-o. • Si noti che unità minime di prima e di seconda articolazione possono coincidere nella loro forma, com'è il caso di s- in sforna base lessicale portatore di significato → morfema parte flessibile unità che specifica genere e numero - ⑮ non costituiscono materia continua, ma presentano confini precisi tra un elemento e l’altro. In particolare, sono ben separate le classi di suoni. Una conseguenza di questa discretezza è che non possiamo intensificare il significante per intensificare il significato come facciamo con grida o interiezioni. Nella lingua dunque il significato non varia in proporzione al variare del significante, né viceversa. Confine preciso fra una unità e un’altra, le quali sono distinte e ben separabili fra loro (le classi dei suoni). Onnipotenza semantica L’onnipotenza semantica consisterebbe nel concetto che implica che con la lingua sia possibile dare un’espressione a qualsiasi contenuto; ciò è però difficilmente provabile (si pensi per esempio a certe espressioni artistiche o musicali). È dunque più prudente parlare piuttosto di plurifunzionalità. Funzioni della lingua Per plurifunzionalità si intende che la lingua permette di adempiere a una lista molto ampia di funzioni diverse, le più evidenti e principali sono: • Esprimere il pensiero • Trasmettere informazioni • Instaurare e mantenere rapporti sociali • Manifestare i propri sentimenti e stati d’animo • Risolvere problematiche • Creare differenti possibili realtà (impiego letterario) Lo schema di Jakobson È opportuno menzionare a tal proposito lo schema proposto da R. Jakobson, che identifica sei (classi di) funzioni collegate a sei fattori comunicativi. Funzione emotiva (o espressiva) Un messaggio linguistico volto specificamente ad esprimere sensazioni del parlante (es. “che bella sorpresa”) Funzione metalinguistica Messaggio volto a specificare aspetti del codice o a calibrare il messaggio sul codice (es. “gatto è una parola di cinque lettere”) Funzione referenziale Messaggio volto a fornire informazioni sulla realtà esterna (es. “esistono piante carnivore”) Funzione conativa (dal verbo latino conor, inf. conari, “sforzarsi, darsi da fare) Messaggio volto a far agire in qualche modo il ricevente, ottenendo da lui un certo comportamento (es. “chiudi la porta”) Funzione fàtica (dal verbo latino for, inf. fari, “parlare”: funzione relativa al parlare in sé) Messaggio volto a verificare il canale di comunicazione e/o il contatto fisico o psicologico fra i parlanti (es. “pronto?; ciao, Gianni!) Funzione poetica Messaggio volto a mettere in rilievo e sfruttare le potenzialità insite nel messaggio e i caratteri interni del significante e del significato (es. “la gloria di Colui che tutto muove / per l’universo penetra e risplende / in una parte più e meno altrove”, Dante, Paradiso, I, 1-3) Metalingua e proprietà riflessiva del linguaggio Con la lingua si può parlare della lingua stessa. Più tecnicamente possiamo dire che la lingua si può usare come metalingua (o ‘metalinguaggio’); la lingua di cui parla la metalingua viene in tal caso chiamata ‘lingua-oggetto’. A tale proprietà viene spesso dato il nome di riflessività. La produttività della lingua La produttività del linguaggio, meglio detta creatività regolare, è la funzione che allude alla possibilità della lingua di creare sempre nuovi messaggi combinando in maniera diversa significanti e significati. La produttività è resa possibile dalla doppia articolazione. Detta più precisamente creatività regolare in quanto è una produttività infinita basata su un numero limitato di principi e regole. La ricorsività La ricorsività significa che uno stesso procedimento è riapplicabile un numero teoricamente illimitato di volte. Es → da una parola posso ricavarne un’altra mediante l’aggiunta di un suffisso e così via anche a quest’ultima (atto, attualizzare, attualizzabile, attializzabilità ecc.). Lo stesso si può fare con frasi intere (Gianni corre; Mario vede che Gianni corre; Luisa dice che Mario vede che Gianni corre; ecc.). La ricorsività è solo in teoria applicabile un numero infinito di volte, perché oltre un certo grado di lunghezza e complessità, il segno non sarebbe più economicamente maneggiabile Il distanziamento Per distanziamento si intende la possibilità di poter formulare messaggi relativi a cose lontane nel tempo e/o nello spazio dal momento in cui viene prodotto il messaggio. Ciò non è ad esempio possibile agli animali che, potendo comunicare con versi rispetto a ciò che stanno vivendo, non possono esprimere ciò che hanno sperimentato il giorno prima. Il distanziamento consiste dunque nella possibilità di parlare di un’esperienza in assenza di essa o dello stimolo che la ha provocata. L’indipendenza del linguaggio dagli stimoli La nozione di distanziamento coincide con la libera degli stimoli, aspetto che esprime l’indipendenza della lingua dalla situazione immediata e dai suoi stimoli. Gli aspetti esterni della situazione, e le nostre reazioni interne ad essi, non sono causa né necessaria né sufficiente dell'emissione di un determinato messaggio in un dato momento, a differenza degli animali. Definizione della lingua La lingua è • un codice • che organizza un sistema di segni • dal significante primariamente fonico-acustico • fondamentalmente arbitrari ad ogni loro livello • doppiamente articolati • capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile • posseduti come conoscenza interiorizzata • che permette di produrre infinite frasi a partire da un numero finito di elementi Principi generali per l’analisi della lingua Saussure ipotizzo tre dicotomie frequentemente usate in linguistica Sincronia e diacronia La prima di queste distinzioni è quella fra sincronia e diacronia. I termini si impiegano per indicare due diverse condizioni con le quali si può guardare alle lingue e ai fatti linguistici in relazione all’asse del tempo. • Diacronia: considerazione delle lingue e degli elementi della lingua lungo lo sviluppo temporale, nella loro evoluzione storica. • Sincronia: considerazione delle lingue e degli elementi della lingua facendo un taglio sull’asse del tempo e guardando a come essi si presentano in un determinato momento storico. Un esempio di operazione diacronica: l’etimologia Fare per es. l'etimologia di una parola, cioè trovare la parola normalmente di un'altra lingua precedentemente esistente da cui essa deriva, e cercare di ricostruime la storia e spiegare le modifiche eventualmente avvenute nel si gnificante e nel significato significa fare un'operazione tipicamente di linguistica diacronica. Descrivere il significato che hanno oggi le parole in italiano, o studia- re com'è la struttura sintattica delle frasi semplici in una lingua, sono invece operazioni tipicamente di linguistica sincronica. Complementarietà tra sincronia e diacronia nella lingua • considerazione diacronica → esaminare lo sviluppo nel tempo • considerazione sincronica → descrivere le cose così come si presentano agli occhi dell’osservatore in un dato momento, dal greco syn “insieme” e chrónos “tempo” dal greco diá “attraverso” e chrónos → Def. Di codice → Def. Di segno → trasponibilità di mezzo → Arbitrarietà → doppia articolazione → produttività → trasmissione culturale → linearità, produttività, ricorsività 2 > prescindendo dall’evoluzione che le ha portate a presentarsi così Langue e parole La distinzione tra sistema astratto e realizzazione La seconda importante distinzione è quella tra sistema astratto e realizzazione concreta. La distinzione si è ripresentata secondo tre terminologie principali (3 coppie oppositive): • langue e parole → Saussure • sistema e uso → Hjelmslev • competenza ed esecuzione → Chomsky Col primo termine di tutte le coppie si intende l’insieme di conoscenze mentali, di regole interiorizzate insite nel codice lingua, che costituiscono la nostra capacità di produrre messaggi. Astratto, sociale, è da tutti condivisa. Col secondo termine si intende invece l’atto linguistico individuale, vale a dire la realizzazione concreta di un messaggio verbale in una certa lingua. In particolare, la coppia langue e parole comprende una triplice opposizione fra astratto-sociale-costante da un lato (la langue) e concreto-individuale-mutevole dall’altro (la parole). La norma come intermediaria fra langue e parole Alcuni linguisti pongono una terza entità intermediaria fra il sistema (langue) e l’uso (parole): la norma, che costituirebbe una sorta di filtro tra l’uno e l’altro, specificando quali sono le possibilità del sistema che vengono analizzate nell’uso dei parlanti di una lingua in un certo momento storico. N.B. La lingua è formata da singoli atti linguistici appartenenti a una stessa comunità ed esiste completamente solo nella massa, non individualmente (un singolo non può conoscere interamente la lingua). Tra i due si pone la norma (vedi Norma) con la quale certe combinazioni vengono realizzate ed altre escluse La distinzione fra asse paradigmatico e sintagmatico La terza distinzione preliminare è quella fra asse paradigmatico e as- se sintagmatico. Ogni attuazione di un elemento del sistema di segni in una certa podi- zione nel messaggio implica una scelta in un paradigma (o insieme) di elementi selezionabili in quella posizione: l'elemento che compare ef- fettivamente esclude tutti gli altri elementi che pur potrebbero comparire in quella posizione, e coi quali quel dato elemento ha appunto, allora, rapporti sull'asse paradigmatico (detto quindi anche 'asse delle scelte', o in absentia). D'altra parte, e contemporaneamente, l'attuazione di quell'elemento in una certa posizione implica la presa in conto degli elementi che compaiono nelle posizioni precedenti e susseguenti dello stesso messaggio, coi quali quel dato elemento ha appunto rapporti sull'asse sintagmatico (detto quindi anche 'asse delle combinazioni' o in praesentia), e coi quali quindi deve sussistere una coerenza sintagmatica. Il primo aspetto fornisce per così dire i serbatoi da cui attingere le singole unità linguistiche. Il secondo assicura che le combinazioni di unità siano formate in base alle restrizioni adeguate per ogni lingua. Il mangia gatto → è per esempio una frase mal formata (impossibile) perché non rispetta la coerenza sintagmatica o le svelte paradigmatiche dell’italiano. L'organizzazione secondo i due principi dell'asse paradigmatico e dell'asse sintagmatico è molto importante in quanto dà luogo alla di- versa distribuzione degli elementi della lingua, permettendo di ricono- scere classi di elementi che condividono le stesse proprietà distribuzionali in opposizione a quelli che hanno distribuzione diversa. • Fonema /…/ • Accento con un apice ‘ prima della sillaba su dove cade • Allungamento della vocale o per segnare una doppia consonante : → per la doppia consonante si può anche raddoppiare il simbolo corrispondente: [‘gat:o] = [‘gatto] Vocali Le vocali sono suoni massivamente sonori, quindi emessi senza alcun ostacolo al flusso d’aria e con presente vibrazione delle corde vocali. Le vocali sono diverse per via delle diverse posizioni che assume la cavità orale (es. movimento della bocca). Le posizioni in cui vengono articolate le vocali sono rappresentate con uno schema chiamato “trapezio vocalico”. L’italiano ha 7 vocali, classificate nel trapezio vocalico, sulla base di tre parametri: 1. Posizione della lingua (anteriori, posteriori e centrali); 2. Spostamento della lingua (alte, medio-alte, medio-basse, basse); 3. Posizione/arrotondamento delle labbra (arrotondate o non arrotondate) 4. (Passaggio dell’aria nella cavità nasale - in base alla posizione del velo palatino -). Per sapere cosa rende distintiva una vocale da un’altra si utilizzano i tratti vocalici, i quali fanno sì che nessun elemento sia perfettamente uguale ad un altro. Anteriori i u e o 3 C a Posteriori Alte Medio-alte Medio-basse Basse Dato l’avanzamento o l’arretramento della lingua abbiamo: • vocali anteriori • vocali posteriori Dato l’innalzamento o abbassamento della lingua abbiamo: • vocali alte • vocali medio-alte • vocali medio-basse • vocali basse Data la posizione delle labbra abbiamo: • vocali arrotondate Possono esserci anche vocali nasali. Consonanti Le consonanti si differenziano dalle vocali poiché quando si emette il suono in esse vi è una frapposizione di un ostacolo, parziale o completa, al flusso dell’aria. Per differenziarle fra di loro e categorizzarle si noti il modo e il luogo di articolazione. Modo di articolazione (ostacolo al flusso d’aria) • Occlusive → chiusura completa degli articolatori e apertura improvvisa; • Fricative → accostamento parziale degli articolatori; • Affricate → composte da un’occlusiva e una fricativa (inizia come un’occlusiva e termina come una fricativa). Quando ne si trascrive il fonema, esso sarà un diagramma (composto da due grafemi); • Liquide laterali → l’aria passa solo ai due lati della lingua; • Liquide vibranti → rapidi contatti intermittenti tra la lingua e un altro organo articolatorio; • Nasali → passaggio dell’aria anche attraverso la cavità nasale. Luogo di articolazione • Bilabiali → prodotte dalle o tra le labbra; • Lebiodentali → prodotte fra l’arcata dentaria superiore e il labbro inferiore; • Alveodentali (Dentali o Alveolari) → prodotte a livello dei denti o della lingua che va contro o vicino agli alveoli; • Palatali → prodotte dalla lingua contro o vicino il palato; • Velari → prodotte dalla lingua contro o vicino al velo; • Faringali → prodotte tra la parte finale della lingua e la faringe; • Glottidali → prodotte direttamente nella glottide. • Velari → prodotte dalla lingua contro o vicino al velo; • Faringali → prodotte tra la parte finale della lingua e la faringe; • Glottidali → prodotte direttamente nella glottide. - analizzare, definire e rappresentare i singoli fonemi. Questi sono i tratti distintivi decisi convenzionalmente (per un inventario comune), e per tanto universali ed economici. Le caratteristiche trattate finora sono tratti articolatori (circa il modo e il luogo di articolazione), ma sono soltanto parte dei tratti distintivi. Oltre al modo e al luogo, si considera anche l’aspetto acustico di un fonema. Due fonemi sono differenziati da almeno un tratto fonetico pertinente binario (tertium non datur): valore + “presenza” o valore - “assenza”. Un fonema si distingue dall’altro per valore di almeno un tratto distintivo. A formulare queste proprietà è stato il linguista R. Jakobson che ne individuò 14. Tratti distintivi dell’italiano 1. Sillabico → non di natura fisica, non riferito a caratteristiche articolatorie. 2. Sillaba → tratto che non possiamo tradurre. 3. Sillaba aperta (SA) formata da consonante 4. + vocale 5. Sillaba chiusa (SC) formata da consonante 6. + vocale + consonante 7. Fonemi che possono costituire il nucleo di una sillaba, in italiano sono le vocali (elemento sonoro della sillaba). - Tratti distintivi dell’italiano: 7. 2. Consonantico → tutte le consonanti sono consonantiche, tranne la j e la w che sono semivocali/semiconsonanti. I fonemi che presentano un ostacolo al flusso dell’aria. 3. Sonorante → ha a che fare con il grado di sonorità. I fonemi prodotti con passaggio d’aria relativamente libero e vibrazione delle corde vocali. Hanno questa proprietà le consonanti senza la rispettiva sorda, quindi le nasali, laterali, vibranti e anche vocali e semivocali. 4. Sonoro → vibrazione o meno delle corde vocali. Hanno tale proprietà anche le consonanti con la corrispettiva sorda. La [b], ad esempio, è sonora ma non sonorante. 5. Continuo → fonemi prodotti con una costrizione nella cavità orale, che consente al flusso dell’aria che esce dalla bocca di poter essere protratto nel tempo. Si parla di fricative, laterali, vibranti e semivocali. 6. Nasale → le consonanti prodotte dall’abbassamento del velo e il passaggio dell’aria nella cavità nasale. 7. Rilascio ritardato → fonemi realizzati in due momenti: in un primo momento l’aria è trattenuta nella cavità orale, in un secondo momento rilasciata. Hanno questo tratto le affricate. 8. Laterale → fonemi prodotti con passaggio dell’aria ai lati della cavità orale. 9. Arretrato → corpo della lingua ritratto rispetto alla posizione neutra. Si parla di velari, vocali e semivocali. 10. Coronale → fonemi prodotti con la parte della lingua anteriore sollevata. Hanno questo tratti le alveodentali e alcune palatali. 11. Anteriore → fonemi prodotti da una costrizione alveolare. Lo sono le bilabiali, labiodentali e dentali. 12, 13, 14. Tratti delle vocali: basso, alto, arrotondato. Sillaba La sillaba è una combinazione di fonemi che funzionino come unità pronunciabili e costituiscono la forma fonica della parola. Non va confusa con il morfema. Quest’ultimo è l’unità minima di prima articolazione dotata di significato; la sillaba è la possibilità di creare varie combinazioni di fonemi, privi di significato, secondo le regole della lingua. La vocale, in italiano, è detta “apice di sillaba” o nucleo, piche è il picco sonoro della sillaba. Infatti ogni sillaba è formata da almeno una vocale e un certo numero di consonanti. vocale e un certo numero di consonanti. CV; CCV; CCCV; CVC e molte altre. La combinabilità è sempre limitata secondo le norme della lingua: in italiano, per esempio, in una sillaba CCCV, la prima sarà doverosamente una S; oppure a fine di una parola si ha una vocale o si accetta a volte una consonante nasale o liquida. Si distingue: • sillaba aperta o libera: CV • sillaba chiusa o implicata: CVC o VC La vocale su cui cade l’accento è sempre lunga se la sillaba è aperta. Dittongo Un dittongo è la combinazione e tra una semivocale e una vocale (che costituisce sempre l’apice della sillaba). Si distingue: • dittongo discendente: V + semiV (es. [‘awto]) • dittongo ascendente: semiV + V (es. [‘pjano]) Quando vi sono combinazioni di due semivocali e una vocale, avremo un trittongo (es. [‘ajwɔla]). Si verifica uno iato quando i fonemi combinati sono due vocali piene (es. follia [fo’l:ia]). Accento Per accento si intende la particolare forza o intensità di pronuncia di una sillaba. Questo fa sì che si distinguano le sillabe toniche (sillaba che ha una prominenza fonica) dalle sillabe atone. Una maggiore intensità di pronuncia non vi è solo in una parola, ma anche nelle frasi mentre si parla. La sillaba tonica è tale grazie a un aumento del volume della voce e alla durata più lunga rispetto alle altre (perché ha sempre maggiore intensità). Tono Per tono si intende l’altezza relativa di pronuncia di una sillaba, dipendente dalla velocità e frequenza delle vibrazioni delle corde vocali. In italiano il tono non ha il valore distintivo, ma per le lingue dette tonali sì, come per esempio il cinese mandarino, svedese , ecc. in cui fonte,i uguali, a seconda del tono, assumono significato diverso. Ciascuno dei tre morfemi è suscettibile di entrare come componente di altre parole, in cui si ripresenta portando naturalmente lo stesso significato. La semplice presenza di parti di significante identiche nelle parole non vuol dire che si tratti di un(o stesso) morfema: Il morfema in causa deve ricomparire come isolabile con lo stesso significato, con lo stesso apporto al significato globale della parola che lo contiene. Definizione di morfo Il morfo è la forma del morfema, prima e indipendentemente dalla funzione dell’analisi strutturale. In altre parole è la forma concreta, composta da materiale fonologico, che assume il morfema. Dentale Dente Dentista Dentifricio Mortale Stradale Globale Abile Prede Piede Studente Il morfema -dent- in questa parola non esiste, è priva di significato questa parte della parola Studente Ema = astratto O = concreto Definizione di allomorfo Gli allomorfi sono forme diverse in cui si può presentare uno stesso morfema. Forme che hanno stesso significato e stessa posizione. - - I - & Y - - - - - - - - F ↓ -- In italiano, per esempio, troviamo questo fenomeno con il verbo venire: il morfema ven- (forma più frequente e normale) ha quattro allomorfi diversi (venn-; veng-; ver-; vien-). Lo stesso vale per i suffissi -abil-; -ibil-; -ubil-. Derivazione, flessione e composizione Verbo: venire Venn-ero Veng-o Verr-anno Vien-i Allomorfi del verbo venire Derivazione aggiunge ad una base lessicale, un affisso, variandone così il significato. Agisce prima della flessione, poiché i morfemi derivazionali sono contigui alla radice. Non è obbligatoria (non tutte le parole presentano morfemi derivazionali). Flessione dà alla base lessicale informazioni relative a genere, numero, caso, tempo, modo, diatesi, persona, pertanto non muta il significato delle parole, ma le definisce in un determinato contesto. Agisce dopo la derivazione, difatti i morfemi flessionali non sono direttamente contigui alla base lessicale, tranne quando non vi sono i morfemi derivazionali (per questo la flessione è obbligatoria). Composizione forma nuove parole a partire da due esistenti +- - - * T Classificazione dei morfemi Esistono due classificazioni di morfemi: 1. la claasificazione funzionale; 2. la classificazione posizionale 3. + altri tipi di morfemi 1. Classificazione funzionale 2. Classificazione posizionale A seconda della posizione, i morfemi grammaticali prendono il nome di affissi (un morfema che si combina con la radice) e possono essere: • Prefissi: prima della radice • Suffissi: dopo la radice → quelli flessionali sono detti desinenze • Interfissi • Transfissi (vedi tipologia morfologica) Morfemi Morfemi lessicali: La cosiddetta radice, arricchibile di nuovi elementi Morfemi grammaticali: Classe chiusa, non accolgono nuove entità A loro volta divisibili in Morfemi derivazionali: formano una classe chiusa derivano parole da altre parole Morfemi flessionali: formano una classe chiusa Danno luogo alle diverse forme di una parola - - ↑ re-/ri. locativo: “movimento in senso contrario”: +V (es. respingere, ridare) reversivo: “riporto a uno stato precedente”: +V (es. riabilitare, reintegrare) iterativo: “ripetizione”: +V (es. rifare, rein- (es. gesto cri. ago) cam». vestire), anche con valore intensificativo (es. ripulire) ircorro si e at- (m.) Lt prio Sole puo I criari: gonne di LA e > nominale denominale (NN): “carica, con- - nr Cafriane dizione ”: (es. papato, celibato); “ ingressivo: “acquisizione di uno stato”: +V bito, territorio, sede di N” (es. califfato, (es. scaldare), anche con valore intensifica- tivo (es. svuotare); “strumentalità”: +V (es. sforbiciare) locativo: ‘separazione, allontanamento”: +V (es. scarcerare) negativo: “contrarietà”: +Agg (es. scomo- do); “privazione”: +N (es. sfortuna), +V (es. smascherare), anche con valore peggio- rativo (es. sragionare) reversivo: “riporto a uno stato precedente”: +V (es. sbloccare) SUFFISSI Ti pw Br dub pd” caggi- nominale deverbale CN “attività, ope- razione relativa a V” (es. pattinaggio, la- vaggio); nominale denominale (N>N): “attività tipi- ca di N” (es. crumiraggio, sciacallaggio); “insieme di N” (es. tendaggio) aggettivale denominale(N+Agg): N” (es. selvaggio) “tipico di senso di “che è in grado di essere PP” e/o “che è permesso V”; anche con accezione peggiorativa (es. un vino bevibile), e col si- gnificato di “che va PP” (es. pagabile entro la settimana) aggettivale denominale (N+Agg): “che può essere in N” (es. futuribile), “che può stare in N” (es. tascabile), ecc. ceggi- verbale denominale (NV): “essere, fare (come) N” (es. tiranneggiare, pavoneggia- re); “fare N” (es. danneggiare); “mettere in (a, su) N” (es. posteggiare); “stare in (a, su) N” (es. troneggiare); “svolgere un'attività con N” (es. arpeggiare), “(far) diventare N” (es. sunteggiare) -(i)an- aggettivale denominale (N+Agg): “relativo a N” (es. repubblicano, africano, shake- speariano); “che ha caratteristiche tipiche di commissariato); “attività di N” (es. volonta- riato); “insieme di N” (es. elettorato); aggettivale denominale (N-Agg): “somi- gliante a N” (es. vellutato); “che ha N” (es. mansardato, fortunato) -at- (f.) nominale denominale (N+N): “colpo dato con N” (es. manata); “colpo di N” (es. can- nonata); “movimento (brusco) di N” (es. occhiata, pennellata); “atto tipico di N” (es. stupidata); “quantità che può essere conte- nuta in N” (es. cucchiaiata); “attività 0 av- venimento relativi a N” (es. tombolara, fiac- colata); “serie di N” (es. scalinata); “cibo a base di N” (es. peperonata); “durata di N” (es. nottata) nominale deverbale (V+N): di V” (es. scivolata) “(singolo) atto «(a/i/u)bil- aggettivale deverbale (V+Agg): “che può essere PP” (PP di V; es. percorribile), nel cezze nominale deaggettivale (Agg+N): Agg (disposizione umana)” (es. tristezza); “l'essere Agg (giudizio estetico)” (es. ela- boratezza); “l'essere Agg (stato)” (es. sepa- ratezza) nominale denominale (NN): di N” (es. prodezza) “l'essere “che è tipico “ie aggettivale denominale(N+Agg): “relativo a N” (es. nordico); “pieno di N” (es. eufori- co); “che ha N” (es. diabetico); “che contie- ne N” (es. alcolico); “che dà (ispira, provo- ca, denota) N° (es. simpatico) Pai roma .\\'aggeivo ( pure: n) CETLTA Rae ua ” serì. nominale denominale (N+N): “luogo in cui si vende N” (es. salumeria); “luogo in cui si fa N” (es. grissineria); “insieme di N” (es. argenteria); “l'atto tipico di N” (es. diavo- leria); “che ha caratteristiche tipiche di N” (es. porcheria) nominale deaggettivale (Agg>N): “l’essere Agg”, connotato negativamente (es. cialtro- neria) nominale deverbale (V+N): “l’atto di V” (es. millanteria); “luogo in cui si V” (es. fonderia) sese aggettivale denominale (N>Agg): “di N” (come aggettivo etnico: es. viennese, pu- gliese, francese); “gergo di N” (es. sindaca- lese, burocratese, computerese) -evol- aggettivale deverbale (V-Agg): “che è in grado di V” (es. girevole); “che va PP” (PP di V; es. deplorevole); “che V” (es. ingan- nevole); “che abitualmente V” (es. arrende- vole) aggettivale denominale (N+Agg): “che dà N” (es. confortevole); “che è a N” (es. favo- revole); “che è dotato di N” (es. ragionevo- le), ecc. «ier- nominale denominale (NN): ‘persona che svolge un’attività relativa a N” (es. petrolie- re, cioccolatiere, doganiere, banchiere); “luogo di N” (es. polveriera); “strumento, macchinario, apparecchio relativo a N” (es. caffettiera, mattoniera, pulsantiera). aggettivale denominale (Agg>N): “relativo a N” (es. petroliero) «ific- verbale denominale (NV): ‘fare (mettere, produrre) N” (es. cornificare, panificare) verbale deaggettivale (Agg+V): “rendere (più) Agg” (es. intensificare) «in. nominale denominale (N-+N): “persona che svolge un’attività relativa a N” (es. postino) “seguace, sostenitore di N (personaggi, or- ganizzazioni, movimenti)” (es. garibaldino, cigiellino, sessantottino) nominale deverbale (V+N): “persona ad- detta a V” (es. attacchino); “strumento per V” (es. cancellino) «ism- nominale deaggettivale (Agg+N), nominale denominale (N-+N), nominale deverbale (V-N): “dottrina, tendenza, movimento, atteggiamento, insieme di attività attinenti a Agg, N, V (es. socialismo, giornalismo, al- pinismo, futurismo, pessimismo, dirigismo) «ist nominale denominale (NN), aggettivale denominale (N->Agg): “persona che svolge un'attività relativa a N” (es. giornalista, nutrizionista); “seguace, soste- nitore di N (ideologie, movimenti)” (es. marxista, animalista); “persona che ha comportamenti abituali caratterizzati da N” (es. consumista) «ità (età) nominale deaggettivale (Agg->N): “l’essere Agg” (es. brevità); “relativo all'essere Agg” (es. sanità); “quantità, numero o frequenza di N” (dove N è la radice di Agg, es. salini- tà, mortalità, scolarità); “i, gli, le N” (N ra- dice di Agg; es. gestualità, decisionalità); ecc. “izz> verbale denominale (NV): ‘“(far) diventare N” (es. caregorizzare); “(far) diventare co- me N” (demonizzare, stalinizzare); “fare N” (es. neologizzare); “mettere N” (es. semafo- rizzare); “mettere in (a, su) N” (es. ghettiz- zare) verbale deaggettivale (Agg+V): “(far) di- ventare (più) Agg” (es. normalizzare, acu- tizzare) «(a/i/u)ment- nominale deverbale (V>N): “l’atto di V” (es. insegnamento); “il risultato di V” (es. miglioramento); “il modo di V” (es. porta- mento), ecc. «mente avverbiale deaggettivale (Agg>Avv): “in modo Agg” (es. chiaramente); “in una posi- zione Agg” (es. centralmente); “a intervalli di un(a) N” (dove N è la radice di Agg, es. settimanalmente); “da un punto di vista Agg” (es. biologicamente); “in un periodo Agg” (es. inizialmente), ecc. -on- nominale denominale (NN): “caratterizza to da N vistoso/i, inconsueto/i, o da un lega- me esagerato, inopportuno, con N” (es. baf- fone, mammone); “che ha caratteristiche ti- piche di N” (es. vo/pone) nominale deverbale (V+N): ratamente” (es. mangione) “che V esage- -0s- aggettivale denominale (N+Agg): “dotato di N” (es. muscoloso); “pieno di N” (es. ru- moroso); “relativo a N” (es. fenomeno lumi- noso); “simile a N” (es. ge/atinoso); “che ha N” (es. coraggioso); “che fa N” (es. pauro- so); “che dà N” (es. affannoso); “incline a N” (es. iroso) -(ali/u)(t)iv- nominale deverbale (V- (es. attrattiva); “atti tiva, tentativo) aggettivale deverbale (V+Agg): “che (ser- ve a) V” (es. abrogativo); “relativo all’atto di V” (es. digestivo) aggettivale denominale (N->Agg): “relativo a N” (es. relevisivo) N): “capacità di V” ità oatto di V” (tratta- -(a/i/u)tor- nominale deverbale (V+N): “colui che pro- fessionalmente V” (es. educatore); “colui che abitualmente V” (es. fumatore); “colui che sta V-ando o ha V-ato” (es. rapitore); eccezionalmente, “strumento che V” (es. condizionatore). (a/i/w)(t)o(r)i- nominale deverbale (V+N): “stumento per V” (es. annaffiatoio); “luogo in cui si V” (es. osservatorio, scorciatoia); aggettivale deverbale (V-Agg): “che (ser- ve a) V” (es. liberatorio, propiziatorio); “relativo all’atto di V” (es. circolatorio) «(a/i/u)tric- nominale deverbale (V->N): “strumento che V” (es. lavatrice); eccezionalmente, “colei che V” (es. massaggiatrice). ali/u)tur- nominale deverbale (V+N): “l’attività di V” (es. blindatura); “il risultato di V” (es. can- cellatura); “lo stato di essere PP” (PP di V; Capitolo 4 Sintassi La sintassi è il livello di analisi che si occupa della struttura delle frasi: oggetto di studio è l’ordine delle parole all’interno delle frasi e come esse sono organizzate. Solitamente il ruolo di predicare sta al verbo, di conseguenza esistono verbi che da soli recano significato e costituiscono una frase. In alcuni casi esistono frasi prove di verbo (buona questa torta), chiamate frasi nominali, che funzionano da messaggi autosufficienti e contengono una predicazione. Per analizzare la struttura della frase, in un primo luogo bisogna capire come sono organizzate tra di loro le parole. Ad un livello elementare, si analizzano le concatenazioni e le dipendenze fra i vari elementi di una frase. Questo tipo di analisi prende il nome di analisi in costituenti immediati; alla base di questa analisi ci sono la segmentazione e la sostituzione. Es. Giovanni dorme in camera sua Giovanni + dorme in camera sua (1(2 Giovanni)2 (3 dorme (4 in (5 camera (6 sua)6) 5) 4) 3) 1) Giovanni dorme in camera Sua 1 2 3 4 Senso logico grammaticale -+ uterna -X segmentazione si intende la suddivisione nelle unità componenti re sono Y SINTAEMI , Parole , SILABE E FONEMI T Tcomponenti dell'albero ① ORDINE DELLE PAROLE ② concatenazioni- E DIPENDENTE Il metodo di rappresentazione più diffuso è utile è quello degli alberi etichettati. Un albero è un grafo costituite da nodi da cui si diramano rami; ogni nodo rappresenta un sotto livello di analisi della sintassi e reca il simbolo della categoria a cui appartiene. Un albero è un indicatore sintagmatico di una frase. Gianni legge un libro La valenza (scalise graffi) È facile notare che determinati verbi possono essere accompagnati da un determinato numero di parole. Ad esempio il verbo catturare richiede di essere accompagnato da due nomi; al contrario un verbo come camminare deve essere accompagnato solo da un nome. Esiste quindi una valenza verbale. Verbi monovalenti = verbi intransitivi (camminare) Verbi bivalenti = verbi transitivi (catturare) Verbi avalenti = verbi meteorologici (non sono accompagnati) Verbi trivalenti = come nel caso di “di fare”, “di dire” Gli elementi che sono richiesti obbligatoriamente sono detti argomenti. In una frase però possono essere presenti tanti altri elementi non obbligatori, ma facoltativi. Gli elementi sono detti circostanziali. F SN Sv N Gianni V legge SN Art N un libro · I Numero Specifico di Elementi Di CUi L VERBO Ha BISOGNO Per AVERE CENSO La valenza (Berruto Cerruti) Il termine valenza, introdotto da Tesnière, trasportato dalla chimica, sta ad indicare il numero di elementi linguistici la cui presenza è necessaria affinché la frase risulti ben formata. Nella formulazione di Tesnière tali elementi sono detti attanti, oppure più comunemente argomenti, il cui numero è determinato dal verbo. Possono fungere da argomento sia i sintagmi nominali che i sintagmi preposizionali. In alcuni casi possono valere come argomenti anche intere frasi (Paolo sa che non tornerà). Il verbo e i suoi argomenti costituiscono il nucleo della frase. Sintagmi Un sintagma è definibile come la minima combinazione di parole che funzioni come unità della struttura frasale. I sintagmi sono costruiti intorno ad una testa, che è il minimo elemento che da solo possa costituire un sintagma. Un sintagma nominale è costruito attorno ad un nome, N è la testa di SN; i pronomi possono sostituire un nome, di conseguenza avere funzione di testa. In un SV la testa è V, in un SPrep la testa è Prep. Alcuni criteri per il riconoscimento del sintagma • mobilità = un gruppo di parole rappresenta un sintagma se le parole che lo costituiscono si muovono congiuntamente all’interno di una frase. • Scissione = un gruppo di parole rappresenta un sintagma se può essere separato dal resto della proposizione, costruendo una struttura chiamata frase scissa. • Enunciabilità in isolamento = un gruppo di parole rappresenta un sintagma se da solo può costituire un enunciato, cioè se può essere pronunciato isolatamente. • Coordinabilità = consente di riconoscere quando due o più gruppi di parole rappresentano sintagma dello stesso tipo. I sottocostituenti dei vari tipi di sintagma, cioè gli elementi che possono attaccarsi alla testa, possono dare luogo a sintagmi molto complessi, dotato di una strutturazione interna e vari sottolivelli. + sintatri li una il Sin -> Frast- E' un PARENTAEMADELLA --tRUSE ->IN BASE AL SINTAEMA CAMBIA L TESTA ↓e senza variare l significato della fretSe Chomsky è stato l’ideatore della teoria del generativismo che osserva che una frase può essere interpretata per come essa è strutturata grammaticalmente (componente sintattica) o per come essa esprime un pensiero (componente semantica). La prima è la struttura superficiale, la seconda e la struttura profonda. La struttura profonda è la struttura astratta sottostante che determina l’interpretazione semantica, è comune a tutte le lingue in quanto è un semplice riflesso delle forme di pensiero. La struttura superficiale indica l’organizzazione che determina l’interpretazione fonetica in relazione alla sua forma percepita. Le regole trasformative che convertono le strutture profonde in strutture superficiali possono differire da una lingua all’altra. Capitolo 5 Semantica Significato Il significato non è visibile ed è il punto di sutura fra la lingua, la mente e il mondo esterno. Definire ed analizzare il significato è estremamente difficile e problematico, ma possiamo dire che esistono due modi fondamentali di concepirlo: • concezione referenziale (concettuale) in cui il significato è inteso come un concetto, un’immagine mentale. • Concezione operazionale secondo cui il significato è ciò che accomuna i contesti di impiego e ne permette l’uso appropriato, quindi la totalità dei contesti in cui egli può apparire. Significato = informazione veicolata da un segno o elemento   linguistico. Esistono diversi tipi di significato: • Denotativo, inteso come senso oggettivo, cioè che esprime e rappresenta; corrisponde al valore di identificazione di un elemento della realtà esterna. • Connotativo, significato indotto a soggetto, connesso alle sensazioni suscitate dal segno, non ha valore di identificazione. • Linguistico, quello che un termine ha in quanto elemento di un sistema linguistico codificante una rappresentazione mentale. • Sociale, è quello che può avere un segno, in relazione ai rapporti fra i parlanti, ciò che esso rappresenta in termini di dimensione sociale. • Lessicale, termini che rappresentano entità concrete o astratte, fatti o concetti; sono detti “parole piene” • Grammaticale, i termini che rappresentano concetti o rapporti interni al sistema linguistico; sono detti “parole vuote” Lessico A livello semantico l’unità minima fondamentale è il lessema, il quale corrisponde ad una parola considerata dal punto di vista del significato. L’insieme dei lessemi di una lingua costituisce il lessico; lo studio dei vari aspetti del lessico è compito della lessicologia, mentre la lessicografia è lo studio dei metodi e della tecnica di composizione dei dizionari. : ( ->Identifica Un Qualsiasi Elemento della realta ↑ indotto e Suetettivo - IN =Lazio-Re NE AL CONTESTO SOCIALE - Rapporti di significato tra lessemi Un primo compito della semantica è quello di cercare di mettere ordine in questo insieme disordinato. Un modo per farlo è veder se esistono relazioni di significato o relazioni tra un dato lessema ed uno o più altri. • Omonimia = quei lessemi che con lo stesso significante, ma a cui corrispondono significati diversi, non imparentati tra di loro e non derivabili l’uno dall’altro. A seconda che l’omonimia concerna solo la grafia o anche la pronuncia distinguiamo più precisamente omofoni e omografi. • Polisemia = se i diversi significati associati ad uno stesso significante sono imparentati fra di loro e derivabili l’uno dall’altro. Rapporti di similarità I rapporti possono essere basati sulla compatibilità o vicinanza tra lessemi. • Sinonimia = lessemi diversi aventi lo stesso significato. In realtà avere propriamente lo stesso significato implicherebbe l’essere intercambiabili in tutti i possibili contesti, questo è difficile da soddisfare compiutamente. • Iponimia = si tratta di una inclusione semantica; il significato di un lessema rientra in un significato più ampio e generico. Si ha iponimia tra due lessemi X e y quando tutti gli X sono y ma non tutti gli y sono X. X è detto iponimo di y, y è detto iperonimo di X. carlino è iponimo di cane, cane è iperonimo di carlino. L’iponimo ha un’intensione maggiore, ma per questo ha un’entensione minore rispetto al suo iperonimo. Semantica componenziale Uno dei metodi che si è dimostrato fra i più praticabili per l’analisi del significato dei lessemi è quello dell’analisi componenziale. Il principio su cui si basa tale metodo è del tutto simile alla scomposizione in numeri primi in algebra. Si tratta di scomporre il significato dei lessemi comparandoli gli uni con gli altri. Innanzitutto è necessario analizzare che cosa hanno in comune e cosa li differenzia. NELPARLATO ->nello scritto -> E . DEL"CORNO" O TESTA SUL LIBRO X Stesso SIGNIFICATO CON 2 TERMINI -> + SPECIFICO -IPONMONENSO - SPECCN In ELEMENTI P DICCOLI Capitolo 6 Le lingue nel mondo Tipologia linguistica La tipologia linguistica è quella branca della linguistica che individua ciò che le lingue hanno in comune in base a ciò all’organizzazione e alla struttura. È dunque connessa con lo studio degli universali linguistici, proprietà appunto ricorrente nella struttura delle lingua indipendentemente dai loro rapporti genetici e dagli eventuali condizionamenti reciproci. Un tipo linguistico è ciò che si definisce come un insieme di tratti strutturali correlati gli uni con gli altri, equivale dunque ad un raggruppamento di sistemi linguistici aventi molti caratteri o processi comuni. Nonostante ciò è però bene ricordare che una singola lingua non corrisponde mai totalmente ad un tipo particolare. Un sistema linguistico realizza fondamentalmente un certo tipo linguistico mescolandovi caratteri di altri tipi linguistici ideali. Tipologia motfologica Un primo modo per individuare i tipi linguistici e di classificarli è la morfologia, dunque la struttura della parola. A seconda del rapporto tra parole e morfemi e del tipo e natura di quest’ultimi, si distinguono quattro tipi morfologici fondamentali di lingua. Indice di sintesi L’indice di sintesi, che rappresenta il numero di morfemi per parola, si ottiene dividendo in un dato testo il numero dei morfemi per il numero delle parole. Più tale indice è basso, più la lingua è detta analitica, più è alto e più è detta sintetica. Pa ra m et ro Lingue le cui parole coincidono con i morfemi Lingua che tende a raggruppare più morfemi e a creare parole complesse WHITE CAT CATTO BIANCO - Pale ( & - Efi EAT-O BIANCO emorfem 4 PAROLE - 2 MORFEMi-2 Sintesi - 2:4 RAPPORTO - 2:2 - & A seconda della struttura delle parole si distinguono 4 tipi morfologici. Lingue isolanti È isolante una lingua in cui la struttura della parola è la più semplice possibile: ogni parola è tendenzialmente costituita da un solo morfema, e il suo indice di sintesi è generalmente 1:1 (parole monoformatiche e monosillabi) Es. Vietnamita 1. sách. âi hay = “quel/quei libro/-i è/sono bello/-i” libro dimost. bello = (lett: libro quello, bello) Lingue agglutinanti È agglutinante una lingua in cui le parole sono formate dall’accostamento di più morfemi (non cumulativi, ma che formano una sola fusione grammaticale), che danno luogo ad una catena di morfemi anche lunga. Presentano un indice di sintesi altro, spesso attorno o superiore a 3:1. All’interno della parola i morfemi sono facilmente individuabili e ben separabili l’uno dall’altro. Es. Turco 1. kitoplarimi “i miei libri (compl. oggetto)”: Kitap - lar - im - i “libri” PL poss.1ªSG ACC Lingue flessive o fusive Sono flessive le lingue che presentano parole internamente complesse * costituite tendenzialmente da una base lessicale semplice (una radice) e da uno o più morfemi cumulativi, ossia che raggruppano più fusioni grammaticali. * Rispetto alle lingue agglutinanti le catene di morfemi sono meno lunghe, ma, allo stesso tempo, i singoli morfemi non sono identificabili e separabili. Hanno un indice di sintesi minore (di solito attorno a 2:1 o tra 2:1 e 3:1). *1 ➜ Data la presenza di una morfologia flessionale, quindi la presenza di più forme flesse di una stessa parola S ↓ S 2 *2 ➜ ES. gatt - o = la O sintetizza che si tratta di un maschile e di un singolare Proprio per la caratteristica di riunire più significati su un solo mormefa flessionale e di fondere assieme i morfemi tali lingue vengono chiamate anche fusive. Sono lingue flessive in genere le lingue indoeuropee, quindi le principali lingue parlate in Europa (anche l’italiano). Il sottotipo introflessivo Nel tipo morfologico flessivo si distingue un sottotipo “introflessivo” caratterizzato dal fatto che i fenomeni di flessione avvengono anche dentro la radice lessicale. ES. Arabo Lingue polisintetiche Le lingue polisintetiche sono quelle che hanno la struttura della parola più complessa. Hanno la parola formata da più morfemi attaccati insieme, ma in una stessa parola compaiono una o più radici lessicali. Le parole si queste lingue tengono dunque a corrispondere spesso a ciò che nelle altre lingue sarebbero delle frasi intere. Realizzano perciò nella morfologia valori semantici che di solito sono affidati al lessico. L’indice di sintesi medio nelle lingue polisintetiche è quindi 4:1 o superiore. Presentano inoltre fenomeni di fusione che rendono a volte poco trasparente la struttura della parola. Es. Groenlandese 1. illu sananiqarsimaqqaarpuq “(la) casa fu costruita per prima” illu sana - niqar - sima - qqaar - puq “casa” “Costruire” passivo perf “primo” 3ªsg.ind Poiché in molte di queste lingue si vengono ad avere parole nella cui struttura si trovano una radice verbale e la radice nominale che in una proposizione rappresenterebbe il complemento oggetto o un complemento diretto di questa, le lingue polisintetiche sono a volte La lingua non è un blocco uniforme, ma si presenta in diverse forme, con usi differenti. Tale differenziazione, che si manifesta in ogni lingua, è visibile lungo l’asse del tempo, nella diacronia. Qualsiasi lingua conosce i cambiamenti nel suo lessico e nelle sue strutture, in relazione al tempo e parallelamente alle modificazioni sociali e culturali. L’insieme di tutti i cambiamenti prende il nome di mutamento linguistico; di questo ambito si occupa la linguistica storica. I cambiamenti linguistici sono graduali e progressivi, e conferiscono ad uno “stato di lingua” un rapporto diverso, almeno in alcuni dettagli. Quando lo stato di lingua subisce troppi cambiamenti, da non venire più riconosciuto dai parlanti, diventa una nuova lingua. Questo è l’esempio dell’italiano e delle lingue romanze, che sono nate dal latino in seguito ad una serie di mutamenti. Il fenomeno è avvenuto gradualmente fra il terzo secolo d.C. e l’alto medioevo. Cause del mutamento Le cause possono essere sia interne alla lingua che esterne. Ogni cambiamento significativo nell’ambiente esterno può provocare mutamenti linguistici, compresa la morte di lingue. Una lingua muore quando non ha più parlanti e nell’uso di una comunità viene sostituita da un’altra lingua. Quando muore però lascia tracce nella nuova che subentra. Si tratta di un fenomeno chiamato sostrato. Fenomeni di mutamento I simboli < e > in linguistica storica valgono per: “diventa” e “proviene”. Dal lato aperto della freccia si trova l’etimo, ovvero la forma originaria. Nel mutamento fonetico sono molto frequenti fenomeni di assimilazione: due foni diversi nel corpo della parola tendono a diventare simili o uguali. L’assimilaziome può avvenire anche tra foni non contigui nella catena Capitolo 7 Dialettologia -> NOCTEM (Latio) - Notte Citaiad parlata, come nella metafonia, ovvero la modificazione del timbro di una vocale interna per effetto della vocale finale. Esiste anche il fenomeno contrario, la dissimilazione, quando due foni simili o uguali, non contigui, diventano diversi. Altri fenomeni sono: • Metatesi, spostamento dell’ordine dei foni di una parola • Aferesi, caduta in posizione iniziale • Sincope, caduta in posizione interna • Apocope, caduta in posizione finale • Epentesi, aggiunta nel corpo di una parola • Protesi, aggiunta all’inizio di una parola • Epitesi, aggiunta alla fine di una parola Variazione sincronica La proprietà di cariare la lingua è molto evidente in sincronia, quindi in un dato periodo temporale. La variazione interna alla lingua è il campo specifico della sociolinguistica che studia cosa accade quando un sistema linguistico è celato dietro l’uso fatto dai parlanti, quindi mette in correlazione la lingua con la società e l’uso. Dimensione di variazione Le varianti possono correlare con diversi fattori extra-linguistici. Si riconoscono solitamente con termini del greco classico. Esistono 4 fondamentali dimensioni di variazione: • DIATOPIA = riguarda la variazione nello spazio geografico attraverso i luoghi in cui una lingua è parlata ➜ dialetti regionali • DIASTRATIA = riguarda la variazione nello spazio sociale attraverso le classi e stati sociali ➜ fonetica, lingue italiane influenzate dai dialetti • DIAFASIA = riguarda la variazione attraverso le diverse situazioni comunicative ➜ formale o informale • DIAMESIA = riguarda la variazione attraverso il mezzo o canale di comunicazione Variazioni diatoniche dell’italiano sono i “dialetti regionali”. Variazione diastratica emerge nella fonetica, ed è evidente nel caso di lingue italiane influenzate dai dialetti. Queste variazioni disastriche, nel loro insieme, sono chiamate “Italiano popolare”. La variazione diafonica è la più complessa e fa riferimento ai registri linguistici, che dipendono dal carattere formale o informale del livello della comunicazione Repertori linguistici L’insieme delle varietà di lingua presenti presso una certa comunità sociale costituisce il “repertorio linguistico”. Si hanno variazioni di una sola lingua o anche di più lingue; esistono repertori monolingui e repertori plurilingui. In una determinata comunità esiste una lingua standard, codificata, dotata di norme e manuali di riferimento. In un repertorio linguistico ci sono contrapposti alla lingua standard anche i dialetti. Possono essere dialetti i sistemi linguistici legati alla lingua standard, ma aventi una struttura e storia autonoma (dialetti Italo-romanzi). Possono essere dialetti anche varietà su base territoriale di una certa lingua dopo che questa si è diffusa in un paese. In un repertorio esistono anche lingue di minoranza, parlate da gruppi di dimensione demografica ridotta; vengono dette minoranze linguistiche. Ad una situazione di bilinguismo in cui le due lingue coprono rispettivamente ambiti diversi, ci si riferisce con il termine di diglossia. Nella diglossia una delle lingue è tipicamente usata nello stretto e negli usi formali, insegnata a scuola; l’altra è tipica della vita quotidiana e negli usi informali. Situazioni tipiche di diglossia si rivedono nella Svizzera tedesca o nel mondo arabo magrebino. Lingue pidgin e lingue creole Casi particolari riguardano le lingue pidgin e le lingue creole. Si parla di lingua pidgin quando nasce tra due gruppi che devono comunicare tra loro per motivi ad esempio economici, ma non hanno una lingua comune; la finalità di questa lingua strumentale. Essa da una mescolanza di elementi indigeni e elementi della linguistica sovraimposta (inglese, francese, spagnolo), modificati da forti fenomeni di semplificazione. Queste lingue hanno codici molto semplici, sodi stato -> 1Azione CON UAE IMPORTANTE - ② : F SN Su SN Sp V SN SP ⑮ Del N D So N SP SN P Sn - N con N D Det . N Sn Cong. Si Agg N Si SP Agg . N P SN L'amico di F . e N . hanno app . A il rist. . Con alcune amiche e alc . Amici di Università Il nome Per riferirsi ad un popolo si utilizza o il nome endoetnico (il nome che loro stessi si attribuiscono) o il nome esoterico (attributo da altri popoli). Per gli indoeuropei non è possibile nessuna delle due opzioni in quanto il termine indoeuropeo è stato coniato in seguito, quando gli studi erano già stati “compiuti”. Gli studiosi non si sono fermati nonostante questo limite, infatti hanno cercato nelle lingue indoeuropee delle tracce per una ricostruzione di un possibile nome di questa popolazione. Hanno trovato tracce nelle lingue orientali di un popolo nell’estremo oriente che all’interno del suo vocabolario possedeva il termine “aryas”. In seguito hanno trovato delle similitudini in lingue orientali come il persiano o il sanscrito; in quest’ultima lingua infatti “aryio” voleva dire “signore”, dunque potremmo dire che il popolo aveva scelto questo nome per manifestare una sorta di supremazia rispetto agli altri. In un primo momento si era trovata una similitudine anche in lingue occidentali come nell’islandese “eriu”, ma questa teoria venne screditata da J. Pockorni, che affermò che questo termine derivasse invece da un’altra radice, ovvero “epi-weruon” che significava “isola”. Non esisteva dunque correlazione tra i due termini. Per questo motivo vennero a capo di altre teorie. Il primo studioso fu Jäger, che decise di affibbiare al popolo il nome di “scitoceltici” prendendo in considerazione la lingua più orientale che conosceva, ovvero il persiano (i persiani venivano chiamati sciiti) e come lingua più occidentale il celtico. La seconda teoria fu quella dell’indogermanico che con lo stesso principio utilizzava come popolo più orientale l’India e come più occidentale il popolo germanico (viene utilizzato tuttora questo nome in germania). In fine l’ultimo nome fu quello di indoeuropeo scelto da Thomas Young, il nome più utilizzato e diffuso attualmente. Le scoperte della glottologia Inizialmente i popoli indoeuropei non erano a conoscenza dei vari rapporti linguistici. Infatti i greci consideravano barbari tutti i popoli che parlavano una lingua differente dalla loro. Al contrario, i romani si erano resi conto delle somiglianze con il greco, ma avevano Linguistica storica attribuito ciò al fatto che Enea era il formatore di Roma ed era appunto un greco. Mentre per la religione questa differenza linguistica era un castigo divino a causa della superbia degli uomini. Nel medioevo iniziano i primi interessi nei confronti dell’oriente grazie ai commercianti ed i naviganti che vedevano nell’India un’immagine idealizzata. Il primo ad accorgersi di alcune somiglianze tra il greco, il latino ed il sanscrito fu Filippo Sassetti che le notò nei numerali e nei nomi di parentela (padre, madre..). Al tempo questa somiglianza non era ben vista e soprattutto non esisteva una materia che potesse studiarla. Ci furono due fattori fondamentali alla nascita della glottologia: la colonizzazione da parte della Gran Bretagna nei confronti dell’India e il romanticismo. Vennero pubblicate le prime grammatiche di sanscrito, al tempo considerata la lingua più antica, ed un evento che segnò la nascita della glottologia fu la conferenza tenuta da William Jones “The sanscrit language” nel quale propose l’ipotesi di una lingua comune originaria basandosi sulle affinità sia lessicali che grammaticali. F. Bopp tra queste affinità aggiunse anche quelle di tipo morfologico con delle corrispondenze sistematiche, portate da Rask, che ad oggi chiamiamo prima rotazione consonantica. Da questo procedimento di indagine si poté presumere che le lingue indoeuropee avessero condiviso un unico territorio geografico. Discipline e strumenti La ricerca e lo studio sull’indoeuropeo portarono all’unione di due discipline che insieme avrebbero potuto dare una risposta alla questione dell’indoeuropeo. Fu il caso dell’archeologia e della linguistica: la prima fornisce la cronologia e gli studi dei ritrovamenti antichi, ma non può risalire all’identità di un popolo; la linguistica invece viceversa. Dall’unione di queste due discipline nasce l’archeologia linguistica, grazie a Pictet. Questa disciplina non è stata esente da critiche. La prima che emerse fu riguardo al metodo comparativo: era facile risalire e ricostruire determinate parole ma era quasi impossibile attribuirgli il corretto significato perché nel corso del tempo è probabile che le varie lingue avessero attribuito a determinate parole significati diversi. Però l’archeologia linguistica poteva essere utile se si guardava al lessico comune nel suo insieme. Ad esempio erano presenti termini riguardanti la flora e la fauna nella loro interezza, ma non nello specifico.
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