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Corto/lungo metraggio, Michele Canosa, Dispense di Filologia

Riassunto ben fatto del libro di Michele Canosa

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 31/05/2021

mariasoleromano
mariasoleromano 🇮🇹

4.5

(24)

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Scarica Corto/lungo metraggio, Michele Canosa e più Dispense in PDF di Filologia solo su Docsity! Corto/lungo metraggio (Michele Canosa) Al di sotto della soglia dei 1600 metri, un film (in formato 35mm) è ancora un cortometraggio; al di sotto dei 290 metri, un film non è apprezzabile, per la legge. La Lex dice che il lungo-metraggio è un film della lunghezza di 1500-3500 metri, mentre il corto-metraggio è un film fino a 1500 metri. Secondo la Lex, un film inferiore ai 290 metri è troppo poco; invece, secondo la lexis, un film superiore ai 3500 metri è abnorme. La Lex decide la soglia minima del lungometraggio, che è superiore ai 1600 metri, la Iexis decide il tetto massimo del cortometraggio, che è fino a 1500 metri. Queste definizioni impongono uno standard universale. Lo stesso termine "metraggio" prevale su "metratura" proprio con riferimento allo standard. Tale standard è un prodotto della storia del cinema. Per il "lungometraggio", una diversa estensione viene proposta dagli studi filmografici: 1000 metri. Aldo Bernardini dice che il cortometraggio è un film che non superava mai la lunghezza di una bobina di 200-250 metri, mentre il lungometraggio è un film che superava le quattro bobine e i 1000 metri. La definizione di lungometraggio fa riferimento all'emergenza e all'affermazione del film di lungo metraggio agli inizi degli anni '10, fino alla sua definitiva istituzionalizzazione. L'Italia fu il paese che diede i maggiori contributi all'affermazione e alla diffusione del lungometraggio, precedendo cinematografie ben più e agguerrite com'erano quelle degli Stati Uniti. Il primo lungometraggio italiano è La Divina Commedia: Inferno (di Padovan, Bertolini e De Liguoro). Il lungometraggio è materia elastica e se un film in due rulli è già avvertito come lungo, non lo è più nel decennio successivo. La misura della rilevazione filmometrica non coincide con la percezione di lunghezza e della sua durata di proiezione. La lunghezza non è solo quantità, ma qualità (chiamasi lunghezza percepita). Il lungometraggio è inteso come il film a gran spettacolo (feature film). Nel dopoguerra (Grande Guerra) si stabilizza l'unità di durata media del film: 90 minuti, tutt'ora vigente. Il termine "cortometraggio" non è speculare a "lungometraggio" ma, da questo, finisce per dipendere. Si segna per differenza. Tutta la produzione pristina si ritrova ridotta a cortometraggi, persino le "vedute animate" Lumière, come dire: il cinematografo nasce "corto". In verità, ciascuna pellicola girata dai Lumière non è affatto un "cortometraggio" (né un "lungometraggio"), è solo uguale a se stessa, cioè al suo standard. È il lungometraggio a inventare il cortometraggio. La séance Lumiè'? La séance Lumière ha luogo il 28 dicembre 1895 a Parigi, presso il Salon Indien del Grand Café. È composto da un programma che prevede dieci soggetti: a ciascun titolo corrisponde una singola inquadratura di 17 metri circa, pari a meno di un minuto di proiezione; in totale, una ventina di minuti di spettacolo, compresi gli intervalli. Tuttavia, l'attrazione risiede meno in queste singole scenette animate, in quanto lo spettacolo è la macchina, l’apparecchio. Nei primi anni del secolo, la fotografia animata guadagna le città e le province italiane, il nord e il sud del paese, a opera di piccole imprese itineranti. Il cinematografo Lumière è caratterizzato da un numero d'illusionismo e da una curiosità scientifica. Il «Cinematografo Lumière con Nuove Proiezioni» è un programma multiplo: la nuova attrazione partecipa dello spettacolo delle "varietà". Successivamente, dall'ordine della trovata, della novità, della curiosità ottico-meccanica, il cinematografo passa all'ordine della rappresentazione: l'unità spettacolare rimane il programma. La rappresentazione cinematografica si svolge in un sistema di spettacolarità indifferenziata. Le singole vedute restano comunque brevi. Senza titoli di testa, senza crediti, senza "autore", in quanto è l'operatore stesso a porgere il programma. Già dalla metà del primo decennio si assiste al suo declino in favore dell'esercizio stabile e specializzato. L'attività stanziale assicura la formazione di una presenza fissa (pubblico pagante, fidelizzato: affezionata clientela), di massa, popolare e urbana. II primo prodotto di manifattura italiana si deve a Filoteo Alberini: La presa di Roma (20 settembre 1870), produzione Alberini & Santoni: si pone, oggi, come un mito di fondazione, come un fantasma d'identità nazionale. Il film attua un io netto nei confronti del cinema ambulante e va subito alla conquista del pubblico urbano. La presa di Roma si schiera con i prodotti delle cinematografie più referenziate (francese e americana), pur essendo sotto il rispetto della lunghezza: 250 metri. In questi anni '10 un film è un millepiedi: nel 1907 gli spettatori preferiscono ancora il programma multiplo e la «corta seduta». Una domenica piovosa e mite… La più bella pagina della storia patria è dovuta ad Alberini e dai tre film prodotti dalla Pathé francese: scene drammatiche e realistiche per 60 metri, Le bonjuge (1906); un dramma sociale in cinque quadri, 135 metri, La Grève (1904) di Ferdinand Zecca; una comica di 95 metri, Tribulations d'un pompier (1906). Si tratta di un programma esemplare. Il Cinematografo si presenta come uno spettacolo edificante o divertente, con la durata di venti minuti o una mezz'ora, compresi gli intervalli. Nello stesso anno, 1907, gli fa eco Giovanni Papini che, del cinematografo, apprezza la virtù economica e sostiene che, rispetto al teatro, il cinematografo ha il vantaggio di essere uno spettacolo più breve, meno faticoso e meno costoso. Alla fine del 1907, il cinematografo in Italia può contare su una clientela fissa che cominciava a frequentare con regolarità le sale di proiezione. Traduzione, tradizione Nel 1906 spicca Il romanzo di un Pierrot, realizzato da Mario Caserini per l'Alberini & Santoni; è un film di successo che vanta sei quadri e 350 metri. Nello stesso anno, sempre Caserini, per la trasformata Alberini & Santoni ora Società Italiana Cines, manda a effetto la prima riduzione shakespeariana della cinematografia italiana: Otello, realizzato con Velle, 210 metri di film. Da William Shakespeare, nel 1908, si segnalano Giulietta e Romeo (Cines), La bisbetica domata (Società Italiana Pineschi) e due Amleto: 257 metri per la Luca Comerio e C., 260 metri per la Cines. È la procedura della riduzione dei classici a esigere una espansione delle strutture drammatico-narrative e a produrre l'effetto di una dilatazione della durata. Prende corso la politica della trasposizione delle opere della tradizione teatrale e letteraria. La pratica della traduzione, ovvero dell'adattamento cinematografico, va a svilupparsi negli anni immediatamente successivi e, innestata nel genere storico-mitologico-biografico, consentirà alla cinematografia nostrana di allargare il proprio pubblico agli strati borghesi e di penetrare i mercati internazionali. Il cinema italiano si candida alla propria legittimazione per superfetazione estetica e sguardo retrovisivo. L'antichità romana è lo spazio elevato del genere in costume ("storico") ad alto tasso spettacolare. Da qui, la storia del film come arte: pur dentro un modo di rappresentazione primitivo, offre un "prodotto differenziato", che si distingue per qualità dalla produzione corrente. Film d'arte Il 1909 è un anno rigoglioso per la cinematografia nazionale. All'espansione e mutamento dello spettacolo cinematografico risponde, nel 1909-1910, una terza
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