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crisi della repubblica romana, Appunti di Storia del Diritto Romano

appunti presi in classe sulla crisi della repubblica romana

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 12/06/2024

-1910732
-1910732 🇮🇹

15 documenti

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Scarica crisi della repubblica romana e più Appunti in PDF di Storia del Diritto Romano solo su Docsity! Crisi della Repubblica. Eventi che preparano quello che sarà un cambiamento di struttura dello Stato romano, cambiamento che sarà traumatico da tutti i punti di visita: sociale, economico, militare … La crisi della Repubblica andrà a porre le basi per l’emersione di un nuovo regime a carattere monarchico. Questo cambiamento, coinvolgendo profondamento tutta la società romana nei suoi assetti, nella sua mentalità e nei suoi principi, non può essere capito se ci limitiamo all’analisi di come cambia la produzione del diritto o di come cambia il modo in cui il potere politico viene esercitato e fatto arrivare ai cittadini. Solitamente si racconta che arriva sulla scena un uomo estremamente ambizioso, prima incarnato da Cesare e poi da Ottaviano, che forte della sua ambizione, del suo carisma, del suo talento e dell’appoggio dell’esercito sostanzialmente chiude la pagina della libera Res publica dei romani e apre un capitolo nuovo in cui tutto il potere è nelle sue mani. Sicuramente si trattava di due uomini con forte personalità e che erano mosse da una grandissima ambizione personale, ma sono stati anche gli interpreti di una necessità di profondo cambiamento dello stato della società romana che inizia ad essere particolarmente evidente negli ultimi due secoli precedenti all’avvento di queste due figure. Cesare e Ottaviano sono, dunque, uomini del loro tempo, non sono figure che arrivano dall’alto e cambiano con la forza della propria volontà le cose a proprio vantaggio; sono semplicemente la manifestazione di una necessità profonda di rinnovamento che le istituzioni repubblicane vivevano. Come si manifesta questo disagio? Abbiamo detto che la struttura triangolare della costituzione repubblicana, quindi, Senato, Comizio e Cursus honorum, era stata particolarmente elogiata come forma di governo perfetta – ma per chi e che cosa? Erano istituzioni emerse per gestire una città-stato, una capitale …, ma certo non per gestire l’intero impero romano (Roma in soli 120 anni conquista tutti i territori che si affacciano sul Mediterraneo). Siamo, quindi, davanti a una sorta di discrasia: le istituzioni repubblicane sono rimaste le stesse, ma il compito che Roma si trova a svolgere è profondamente cambiato. Come gestiva le province\territori al di fuori dell’Italia Roma? Le province erano territori grandi ed estesi, dotati di confini, che prendevano nomi precisi: la Gallia, la Britannia, le zone asiatiche, la Grecia, la Macedonia … Queste province venivano governate da un uomo politico che per la tradizione repubblicana doveva essere un magistrato o un ex magistrato, una persona che aveva avuto esperienza come guida politica di una comunità (soprattutto consoli e pretori), che venivano distaccati a gestire questi territori. Si crea quindi una sorta di doppio binario perché, mentre a Roma continuano a vigere quei principi, quali la gratuità, la collegialità, l’annualità, l’intercessio, la provocatio ad populum … che erano una sorta di limite all’esercizio del potere dei magistrati e una garanzia per i cittadini, i magistrati che, invece, venivano inviati come governatori nelle province non avevano tali limiti. I governatori delle province erano innanzitutto una carica monocratica, quindi, non avevano colleghi; avevano sia l’imperium domi che l’imperium militiae, cioè spettavano loro le più importanti decisioni sia in materia civile che militare; avevano la possibilità di attingere all’erario; in teoria, rispondevano al Senato, ma siccome molto spesso erano persone mandate proprio dal Senato (organo al quale era demandata la gestione della politica estera), si trattava di governatori di nomina senatoria. Inoltre, rimanevano in carica fino a quando non fossero stati sostituiti da un nuovo collega. Quindi, si tratta di una carica che non è annuale, non è collegiale, non ha al suo interno un riparto di competenze tra colleghi … Molti studiosi si sono anche chiesti come mai il Senato non si è accorto del potenziale rischio che questi governatori rappresentavano dal momento che avrebbero potuto creare una sorta di dominio personale sui territori a loro sottoposti. Ovviamente, era più facile controllare i governatori delle province territorialmente più vicine, ma era più difficile, per ragioni di spazio\distanze, controllare i governatori delle province più lontane – es. governatore dell’Asia minore. Vedremo come Silla, che sarà il primo dei dictatores che approfitteranno della crisi della Res publica per prendere il potere, riuscirà a farlo proprio grazie ad una posizione estremamente vantaggiosa dal punto di vista della propria ricchezza e dell’esercito che lo sostiene creatosi all’estero come governatore. È come se il Senato fosse talmente concentrato sul disincentivare delle possibili posizioni di potere personale a Roma da non calcolare che il pericolo poteva venire da fuori, cioè dai governatori delle province, che in molti casi abusavano del proprio potere. Ciò sarà un’ulteriore causa di tensione nella Res publica romana perché i cittadini che abitavano nelle province si trovavano spesso ad essere governati in modo arbitrario da questi governatori senza potersi appellare alla giustizia di Roma. Cicerone, ad esempio, cominciò la sua carriera anche politica diventando un grandissimo avvocato penalista; il primo processo che gli darà fama sarà contro il governatore della Sicilia – Verre – che si era reso colpevole di molteplici vessazioni nei confronti dei cittadini provinciali. Cicerone riuscirà ad ottenere la condanna per corruzione del governatore della Sicilia (Sicilia e Sardegna sono state le prime province sulle quali Roma ha stabilito il proprio dominio. Quindi erano governate da un governatore e non da magistrati romani\locali). Quindi una Roma gestita ancora con la struttura repubblicana che conosciamo e questi vasti territori governati da una carica monocratica che ha la possibilità di governare quasi come se fosse un re. Ciò è importante per capire la provenienza dei futuri dictatores. A Roma nel 133 a. C. viene eletto come tribuno della plebe Tiberio Gracco. Viene eletto in un clima politico che è già in grande fermento – perché? Le guerre puniche si sono protratte molto a lungo; sono state addirittura tre. Nell’anno di elezione di Tiberio Gracco Roma si trova ad essere, dal punto di vista del prestigio mondiale, la Capitale del Mediterraneo, ma dal punto di vista economico Roma è in ginocchio. La situazione produttiva a Roma era infatti una situazione composita perché da un lato c’erano i cavalieri, cioè i massimi esponenti della nobilitas romana, che occupavano le prime classi dell’esercito centuriato e che vivevano dello sfruttamento delle loro terre (no lavori di tipo produttivo), e dall’altro lato c’era il grosso della società romana, composto da piccoli agricoltori, artigiani, commercianti che ingrossavano le file della fanteria. Le guerre puniche e, in particolare la discesa di Annibale in Italia, avevano portato ad un impoverimento dell’esercito romano dal punto di vista del numero dei componenti; l’esercito romano riportò una serie di sconfitte che videro la morte di numerosissimi soldati\cittadini romani. Inoltre, davanti all’avanzata di Annibale, che per poco non riuscì a prendere l’Urbe, i romani disperati avevano della minaccia e della sopraffazione. Corollario di tutto questo, quello che nel tempo ha destato ancora più scandalo dell’omicidio stesso di Tiberio, è il fatto che i mandanti e gli esecutori non sono stati processati. Anche questo era un pilastro della società romana. Dal punto di vista dell’etica è il dato peggiore perché nella sensibilità popolare si va a rompere quel patto fiduciario tra magistrati e cittadini, tra senatori e cittadini. L’omicidio di Tiberio Gracco e dei suoi seguaci crea un enorme scalpore: l’impunità coperta dal Senato e da un ordine sacerdotale (questi dovevano essere i maggiori custodi dello ius e del fas, di che cosa è giusto per gli uomini e di che cosa è giusto per gli dèi) crea una pausa di sospensione perché per molto tempo i tribuni della plebe che vengono dopo Tiberio non osano riproporre la sua legge. Sarà solo nel 123 a. C. che il fratello di Tiberio, Caio Gracco la riproporrà. Se la condizione della plebe urbana era grave nel 133, pensiamo dieci anni dopo … In questa epoca cambia anche il modo di designare le classi sociali. Il clima politico si spacca in due fazioni contrapposte: tutti coloro che erano dalla parte dei senatori, degli aristocratici, dei ricchi venivano chiamati optimates; mentre, tutti coloro che portavano avanti un ideale a favore del popolo\democratico e a questo si associa una volontà riformista delle istituzioni repubblicane della società vengono chiamati populares. Quando parlavamo di patrizi e plebei, questi erano due ceti distinti della società; optimates e populares, invece, sono due fazioni politiche. Ora, l’opinione del cittadino va a riconoscersi o in un ideale aristocratico e conservatore, o in un ideale democratico e riformista. Queste due fazioni politiche non avevano nulla a che fare con la ricchezza posseduta; c’erano, ad esempio, tantissimi aristocratici di famiglia che erano però populares come idea politica – es. Cesare apparteneva alla gens Iulia e sarà un leader dei populares. Si poteva essere ricchi e riconoscersi negli ideali dei populares; più difficile era invece essere un soggetto non particolarmente abbiente ed entrare nella cerchia degli optimates. Caio Gracco, dieci anni dopo la morte del fratello, ripropose un piano di riforme, cercando però di articolarlo su più punti nel tentativo di trovare appoggi e di blindare la sua legge di riforma rendendola meno apparentemente pericolosa per gli interessi della classe dirigente. Mentre, quindi, la legge di Tiberio era una legge di riforma agraria, il piano portato avanti da Caio è più articolato. Caio, inoltre, si rese conto di non poter basare l’approvazione del proprio piano solo sull’appoggio del proletariato che, seppur numeroso, dal punto di vista del prestigio pubblico contava pochissimo. Sempre a seguito delle guerre puniche, a Roma si era formato un nuovo ceto sociale che era quello dei cavalieri\gli uomini nuovi\gli equites; questi non erano né patrizi, né plebei, ma erano cittadini romani che avevano fatto fortuna col commercio d’oltremare. Sono imprenditori diremmo oggi che sfruttano la possibilità che adesso Roma ha, una volta sconfitta Cartagine, di impadronirsi delle rotte commerciali d’importazione ed esportazione merci, che prima erano gestite in modo quasi monopolistico dai cartaginesi e dai fenici, ora i romani s’inseriscono in questo commercio che era molto redditizio dal punto di visto della ricchezza mobiliare che a Roma era stata per lungo tempo non considerata; per i romani infatti la vera ricchezza proveniva dalla proprietà, dal possesso e dallo sfruttamento delle terre. A seguito della sconfitta di Cartagine, Roma si dota di una flotta che non serve solo per presidiare il Mediterraneo dai nemici, ma viene usata anche dai commercianti per esportare quelli che erano i prodotti tipici del territorio come vino, anfore, manufatti … ed importare le merci dai territori provinciali. Questo comportò anche un cambiamento dei consumi a Roma; a Roma inizieranno ad arrivare prodotti da tante parti del mondo. Questo nuovo ceto d’imprenditori – che prendono il nome di equites – era però visto dai senatori con grande disprezzo (la nobiltà storica che disprezza il denaro proveniente dagli affari\dal commercio). Caio pensa di chiedere appoggio a questa nuova classe sociale. Gli equites, infatti, volevano avere la possibilità di ottenere visibilità pubblica a Roma, di entrare in Senato, cioè rivestire la propria ricchezza col prestigio della partecipazione alle massime cariche della città (a tal proposito i senatori faranno votare una legge in base alla quale chiunque si dedicasse al commercio, possedendo navi di una certa grandezza, non avrebbe potuto entrare in Senato, per la ragione in base alla quale chi si dedicava alla vita politica romana doveva dedicarsi a questa al cento per cento, non potendo avere altri interessi di tipo mercantile o affaristico, potendo altrimenti anche alterare le corrette dinamiche della vita politica; un commerciante, infatti, avrebbe potuto usare la propria posizione all’interno del Senato per far approvare leggi\accordi favorevoli ai propri interessi economici). Caio, quindi, chiede ai cavalieri di appoggiarlo: cavalieri e plebe urbano, che erano molto diversi dal punto di vista economico, erano tuttavia accumunati dal fatto di essere disprezzati dai senatori. Caio inoltre rivolgendosi ai cavalieri cerca, promettendo loro una chiave d’accesso al potere politico, un finanziamento delle proprie campagne sia politiche che militari. Per l’economia, infatti, sono tempi abbastanza difficili e anche le campagne politiche iniziano a basarsi su promesse elettorali, che erano volte soprattutto a cercare i voti della plebe urbana, la quale era disposta a votare coloro che gli avrebbero garantito, almeno a parole, una prospettiva di miglioramento della propria condizione. Caio ripropose dapprima la legge agraria di suo fratello. Richiede quindi la restituzione dell’ager pubblicus che le grandi famiglie nobiliari avevano in eccesso. Egli però non si limitò solo a questo: proprio per ingraziarsi i cavalieri propose di togliere ai senatori per darlo agli equites il ruolo di giudici nei processi pubblici per concussione (primo ruolo di pubblico prestigio). I grandi processi romani di quest’epoca sono proprio quelli contro gli atti di corruzione\ concussione compiuti dai magistrati o nei confronti di altri magistrati o dei cittadini o di istituzioni finanziarie. Il ruolo di giudice in questi processi dava un grande prestigio e una grande visibilità. Caio quindi propose di togliere questo ruolo ai senatori per darlo ai cavalieri come primo ruolo di prestigio pubblico e sociale. Inoltre, sempre in appoggio dei cavalieri, propose una riforma della metodologia fino a quel momento seguita per la riscossione delle imposte nelle province. Si trattava di un’attività molto decorosa, che fino al 123 a. C. era gestita dal Senato. Caio propose, invece, di creare una sorta di gara d’appalto pubblica a Roma, alla quale partecipavano coloro che avevano grandi ricchezze mobiliari; chi faceva l’offerta maggiore, aggiudicandosi in questo modo la gara e l’appalto, sarebbe diventato il responsabile per la riscossione delle imposte per una determinata provincia. Era un affare che faceva gola a moltissimi perché una volta che un soggetto vinceva l’appalto per una somma indicativa a Roma, era poi libero d’imporre sul territorio che gli era stato assegnato, le tasse che riteneva più opportune. Si crearono addirittura delle società di capitali apposite, specializzate in questo lavoro, che erano chiamate società dei pubblicani. Erano i cavalieri la cui specializzazione era la raccolta delle imposte dalle province, nella speranza di Caio che i cavalieri si dimostrassero più equi di quanto fossero stati gli uomini di fiducia dei senatori negli anni precedenti. Infine, Caio per cercare di tener buoni gli alleati di Roma (i cd. soci), che erano molto stanchi che i romani pretendessero sempre da loro onestà, lealtà, pagamento delle tasse, partecipazione alle guerre, con la promessa, mai mantenuta dal Senato, che un giorno sarebbero diventati cittadini romani, propose di concedere a questi la cittadinanza, quanto meno agli italiani, anche per rendere le istituzioni di Roma maggiormente rappresentative del tessuto sociale che si era andato ad espandere. Quindi i punti cardine delle proposte di Caio Gracco sono: la riproposizione della legge agraria del fratello (misura per aiutare concretamente gli agricoltori e i contadini e contenere l’abuso compiuto dalle famiglie nobiliari nell’incamerare territori a loro non spettanti). In secondo luogo la concessione ai cavalieri del ruolo di giudice nei processi politici per concussione. Poi la riforma del sistema di riscossione dei tributi nelle province a favore dei cavalieri e a detrimento della classe senatoria. Infine una misura generalizzata di estensione della cittadinanza romana quanto meno a tutte le colonie all’interno dell’intera penisola italica. Caio conta sull’appoggio dei cavalieri per rafforzare la sua posizione politica ma anche in questo caso non ci sarà nulla da fare. La repressione senatoria non tarderà a farsi sentire e ancora una volta il piano di riforma finisce nel sangue. Qui ci sono fonti diverse: alcuni dicono che Caio Gracco sia stato ucciso come il fratello, altri dicono che si fece uccidere dal suo schiavo per non avere una fine misera come quella del fratello. Dunque, la situazione in cui versa Roma in questi anni è drammatica proprio perché la vicenda dei Gracchi, oltre ad essere in sé tragica, segna il naufragio di quel clima di fiducia e collaborazione che, pur nel mantenimento delle rispettive idee tra popolo e aristocratici, era sempre stato improntato quanto meno ad una forma di rispetto e dialettica pubblica, per cui alla fine decideva il popolo nei comizi e il Senato si manteneva all’interno della propria funzione consultiva. L’omicidio dei fratelli Gracchi, invece, produce un danno elevatissimo per l’etica e la società romana; si tratta dell’omicidio di due magistrati romani, la cui persona nella teoria era inviolabile (sacrosantitas), che avviene per ordine del ceto aristocratico (da questo momento la parola aristocratico non indicherà più i migliori). È a partire da questo periodo che i senatori iniziano a far politica con gli strumenti della sopraffazione violenta; questo dato si riflette nella rottura del patto di fiducia tra politici e cittadini, ma anche nello sgretolarsi di quei valori etici che dovevano guidare i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni. Si apre, infatti, la strada per il governo non dei migliori, ma dei peggiori. Non a caso in questo periodo iniziano le congiure, le riunioni segrete; optimates e populares non si fidano più a trovarsi nel foro per discutere civilmente, ma iniziano a chiudersi in luoghi segreti perché c’è sempre la paura di un agguato, d’incursione con le armi. L’Urbe smette di essere un luogo d’incontro e di confronto. Il Foro non è più il cuore pulsante della politica cittadina. S’inizia, invece, a fare politica con idee demagogiche,
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