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Crisi di fine secolo in Italia e il governo Giolitti, Dispense di Storia

Dispensa sulla crisi di fine secolo e il governo della Sinistra storica sotto Giolitti

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 23/11/2020

giuliamoro1304
giuliamoro1304 🇮🇹

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Scarica Crisi di fine secolo in Italia e il governo Giolitti e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! Crisi di fine secolo La crisi di fine secolo è un periodo che va dalla fine del governo Crispi (1896) all'inizio del nuovo secolo (1900). I successori di Crispi portarono avanti il suo modello di ​governo autoritario​ attraverso alcune legislazioni per ​limitare il parlamento​ e ​arricchire l'esercito​. Gli italiani si opposero con decisione alla riduzione dei poteri del parlamento e chiedevano un ampliamento di questo organo, cosa che non venne fatta perché si credeva che il popolo volesse votare uno dei partiti socialisti. Dal 1898 iniziano scioperi e manifestazioni popolari a seguito dell'aumento del prezzo del pane. Tra il 6 e il 9 maggio il generale Bava Beccaris apre il fuoco sui civili con armi e cannoni e arresta gli esponenti del partito socialista, accusandoli di aver scatenato queste rivolte: questo evento rimarrà nella storia con il nome di ​eccidio di Milano​. Ancora per due anni il governo continuerà a ridurre le libertà del popolo italiano. 29 luglio 1900​: durante una sfilata a Monza Gaetano Bresci uccide ​Umberto I​ per vendicare le vittime dell'eccidio (Regicidio: uccisione di un re). Sale così al trono ​Vittorio Emanuele III​, che deve decidere se accordarsi con le masse e affidare il governo a partiti progressisti di sinistra o proseguire con il governo di stampo autoritario. Il sovrano decise di avviare un nuovo corso della politica, affidando il comando del governo al moderato ​Giuseppe Zanardelli​ nel 1901. Lui era un liberale progressista, sostenitore della monarchia costituzionale, che voleva cominciare una serie di riforme che diedero impulso alla nascita della fase liberal-democratica dell’Italia. Zanardelli scelse la figura di Giovanni Giolitti​ come ministro dell’interno, che nel 1903 diventerà capo del governo fino al 1914. Giolitti al governo Ministro dell'interno​ (1901-1903) Giolitti voleva portare l'attenzione delle classi dirigenti sull'integrazione delle masse in quanto convinto del fatto che solo migliorando le condizioni del popolo (ottenendo cioè la pace sociale​) si sarebbe riusciti a creare un governo efficiente. Per fare questo, lo stato doveva essere neutrale nei confronti dei conflitti tra proletari e padroni. Giolitti riconobbe ai lavoratori il diritto di sciopero, di associazione e l'aumento salariale, che ampliò la domanda e il mercato interno. Primo ministro ​(1903-1914) Nel 1903 Zanardelli, gravemente malato, affida la carica di primo ministro a Giolitti, che invitò il capo del partito socialista italiano (P.S.I.) a far parte della sua compagine. In questo partito coesistevano due movimenti: - i ​riformisti​, ovvero coloro che volevano riforme a favore della classe operaia ottenute attraverso elezioni e leggi, quindi in maniera legale e dall’alto (dai ceti dirigenti); - i ​massimalisti​, o rivoluzionari, che volevano che avvenisse una rivoluzione proletaria che portasse al raggiungimento di queste riforme attraverso la rivoluzione armata, in maniera illegale e dal basso (dal popolo). (in questo periodo l’altro gruppo di partiti di massa erano i ​partiti cattolici​, i quali avevano come principi il pacifismo e l’aiuto per il prossimo ed erano votati soprattutto nelle campagne) Al momento dell’inizio del governo Giolitti prevaleva la corrente riformista ed era stato ideato il piano ideale di riforme sul sistema capitalistico italiano: si voleva ampliare il suffragio, migliorare la legislazione sociale, decentrare l’amministrazione e fare una riforma tributaria. Giolitti prende in considerazione questo progetto perché fiducioso di riuscire ad isolare i massimalisti, riducendo l’opposizione e ottenendo la pace sociale. Al rifiuto dei socialisti di entrare il governo, Giolitti inizia ad utilizzare la tecnica del trasformismo​ per mantenere la maggioranza in parlamento. Modernizzazione dell’Italia Sotto il governo Giolitti avviene la modernizzazione economica e sociale del paese. Per risollevare l’economia italiana continua innanzitutto con il ​protezionismo​, ma soprattutto fa lavorare i borghesi e i proletari del Nord: ciò avveniva attraverso ​commesse pubbliche dove i privati venivano pagati dallo stato per costruire strade ed infrastrutture, il che li spingeva a simpatizzare per il governo, assicurandogli il voto. In tutto ciò, però, Giolitti continua ad ignorare le esigenze del Sud: sorge l’aspetto dualistico dello statista che asseconda il Nord ma continua a sopprimere le rivolte del meridione senza ascoltare i civili. Le grandi migrazioni Nel primo decennio del novecento l’economia italiana non era progredita in maniera uniforme, in particolare si erano sviluppati tre grandi centri commerciali al Nord-Ovest (il famoso triangolo Milano-Torino-Genova) ed erano rimaste arretrate le regioni del Sud. Avvenne così che gli italiani iniziarono ad ​emigrare all’estero​ alla ricerca di lavoro, in particolare in Brasile e in Argentina. I risparmi che accumulavano, ovvero le ​“rimesse”​, venivano trasferiti in patria, il che contribuì ad aumentare il circolo di denaro in Italia. Movimento nazionalista Il fatto che un numero crescente di italiani fosse costretto ad abbandonare la propria nazione era divenuto uno dei motivi per cui si formò il ​movimento nazionalista​ contro il governo giolittiano, in quanto presieduto da una classe politica senza ideali e incapace di farsi valere nello scenario internazionale. L'obiettivo principale dei nazionalisti era di instaurare un governo autoritario​ che fosse in grado di mostrare la grandezza dell’Italia, soprattutto attraverso le ​imprese coloniali​. Il nuovo governo di Giolitti (1911) - 1912, introduzione del​ suffragio universale maschile​: per la prima volta le masse entrano in politica, dando voti anche ai partiti di massa (socialisti, cattolici e nazionalisti); - trasforma l’opposizione nazionalista in maggioranza con un’​impresa coloniale vittoriosa in Libia​, che era all’epoca territorio dell’ormai decadente impero ottomano. L’italia dichiarò guerra alla Turchia e nel 1912, con la pace di Losanna, ottenne i territori libici. Il popolo italiano era entusiasta di questa nuova campagna di conquiste e anche il poeta Giovanni Pascoli, seppur socialista, si dimostrò favorevole. Sulla carta tutta la Libia diventa italiana, ma mano a mano che ci si addentra nella zona desertica ci si rende conto che ci sono poche risorse e il dominio diventa sempre più blando perché le popolazioni si ribellavano.
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