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Cristo si è fermato a Eboli, Appunti di Letteratura Contemporanea

Riassunto del libro capitolo per capito, con analisi del contesto storico e della vita dell'autore.

Tipologia: Appunti

2022/2023
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Caricato il 09/06/2023

linda-angeli
linda-angeli 🇮🇹

4.2

(6)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Cristo si è fermato a Eboli e più Appunti in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! Romanzo: Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi Il romanzo Cristo si è fermato a Eboli racconta l'esperienza di Carlo Levi come confinato politico in Lucania. Ambientato durante il regime fascista, Cristo si è fermato a Eboli racconta la permanenza dell'autore nella regione dove arrivò nel 1935 e dove rimase per più di un anno. Durante il fascismo, per evitare l’arresto e le pesanti condanne del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, diverse figure di spicco furono costrette ad espatriare, ed è questo il caso di Carlo Levi. Quest’opera L’opera alla quale rispecchia più di tutte la sua dedizione verso la difesa dei più deboli e rappresenta una denuncia accorata delle condizioni di miseria, sofferenza e oppressione in cui viveva la popolazione contadina del posto, affrontando così la tematica della questione meridionale secondo una nuova prospettiva di giustizia sociale. Biografia dell’autore: Carlo Levi nacque il 29 novembre 1902 a Torino. I suoi genitori, Ercole Raffaele Levi e Annetta Treves, erano di origine ebraica ed appartenevano alla borghesia torinese. Prima di Carlo, la coppia aveva avuto un’altra figlia, Luisa, che in seguito divenne neuropsichiatra infantile. Lo zio di Carlo, I’onorevole Claudio Treves, era invece noto per essere una figura di rilievo nel Partito socialista. Levi iniziò a dipingere già all’età di tredici anni; di poco successiva fu la sua passione per la scrittura. Studiò al liceo Alfieri di Torino, frequentato in quegli stessi anni da Leone Ginzburg, Massimo Mila, Giulio Einaudi, Giaime Pintor e Cesare Pavese. Dopo aver conseguito il diploma, si iscrisse alla Facoltà di Medicina presso l’Università di Torino. In questo periodo conobbe Piero Gobetti, ed iniziò a collaborare con lui alla rivista La Rivoluzione liberale. A soli ventidue anni Levi si laureò in Medicina. Nello stesso anno, partecipò ai primi gruppi di resistenza contro il fascismo ed espose i suoi quadri alla Biennale di Venezia. Fu uno dei “sei pittori di Torino” (Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio ed Enrico Paulucci), gruppo che aveva come referente artistico Felice Casorati. Tra le altre opere, dipinse il Ritratto del Padre e il levigato nudo di Arcadia. Nello stesso periodo, Levi diventò assistente del professor Micheli presso la Clinica Medica dell’Università di Torino, conducendo lavori sperimentali sulle epatopatie e sulle malattie delle vie biliari. Nel 1931 si unì al movimento antifascista di “Giustizia e libertà”, fondato tre anni prima da Carlo Rosselli. Il suo impegno politico gli costò vari arresti, il primo dei quali avvenne nel marzo 1934, quando trascorse due mesi in prigione per sospetta attività antifascista. Sì mossero in suo favore alcuni artisti residenti a Parigi (Signac, Derain, Léger, Chagall ecc. ), che firmarono un appello per la sua liberazione. Quando fu rilasciato, Levi subì un provvedimento di ammonizione della durata di due anni, e l’invito ad esporre alla Biennale di Venezia che doveva tenersi quello stesso anno gli fu revocato. Nel maggio del 1935, poco prima della guerra contro l’Etiopia, ci furono numerosi arresti tra i membri di “Giustizia e libertà”. Carlo Levi fu fermato come fiancheggiatore insieme a Franco Antonicelli e Cesare Pavese. Il 15 luglio la Commissione provinciale per il confino di Roma condannò Levi al confino di polizia per tre anni “Siccome pericoloso per l’ordine nazionale per aver svolto…attività politica tale da recare nocumento agli interessi nazionali”. 1 Fu così inviato inizialmente nel piccolo centro lucano di Grassano e in seguito, per evitare che fuggisse, fu ridestinato ad Aliano, un piccolo paese in provincia di Matera, a quel tempo quasi inaccessibile per mancanza di vie di comunicazione. Il confino nel paese lucano pose Levi in contatto con la realtà meridionale, a lui del tutto sconosciuta, e lo portò a sperimentare “la miseria profonda di una parte oscura e dolente dell’Italia rimasta sepolta per millenni sotto il peso dell’ingiustizia e dell’indifferenza politica”. Da questa esperienza, che lo colpì profondamente, nacque il suo capolavoro, il già citato “Cristo si è fermato a Eboli”. Tale opera, con il tempo, è divenuta emblematica di una situazione storico-sociale della Basilicata e, più in generale, di alcune zone dell’Italia meridionale. Il libro ottenne un successo straordinario, venendo tradotto in moltissime lingue, tra le quali il cinese, il francese, l’inglese, l’islandese, il greco, il giapponese e lo spagnolo. Dal libro fu, in seguito, tratto un omonimo film di Francesco Rosi (1979), nel quale il personaggio di Levi è magistralmente interpretato da Gian Maria Volontè. Nel maggio del 1936, in occasione della proclamazione dell’Impero, fu disposta la liberazione di Levi dal confino. Nel novembre del 1936 la Galleria del Milione di Milano organizzò una sua mostra personale, dove espose opere realizzate in Lucania durante il confino. Tuttavia, a causa dello strapotere del regime fascista lo scrittore ben presto dovette lasciare l’Italia e si rifugiò in Francia, dove continuò a dedicarsi alla sua attività politica. Nel 1937 fu a New York e dal 1939 al 1941 soggiornò di nuovo a Parigi. Nel 1943 rientrò in Italia, dove si unì al Partito d’azione, venendo ben presto nuovamente arrestato. Dopo l’8 settembre partecipò alla resistenza come membro del Comitato di Liberazione della Toscana. Fu direttore del quotidiano toscano “La Nazione del Popolo” e, nel 1945, a Roma de “L’Italia libera”. Come giornalista, partecipò a vari progetti ed inchieste in ambito politico-sociale. In seguito, lavorò per molti anni con il quotidiano La Stampa di Torino. Nel 1946 Levi pubblicò “Paura della libertà”, opera in cui indaga sulla crisi della cultura europea e si interroga sulle ragioni che hanno condotto l’umanità sull’orlo del precipizio. Nel dopoguerra, Levi conobbe anche il grande amore: Linuccia Saba, figlia dello scrittore Umberto. Tale incontro diede vita ad una lunghissimo legame sentimentale. Professionalmente, gli anni cinquanta furono per lui forieri di un’intensa e proficua attività letteraria, che portò alla pubblicazione di opere significative come “L’orologio”, opera che costituisce un’appassionata testimonianza della caduta del governo Parri nel ’45; seguirono libri di viaggio come “Le parole sono pietre” (1955), sulla Sicilia, “Il futuro ha un cuore antico” (1956), sulla Russia sovietica, “La doppia notte dei tigli” (1959), sulla Germania, e “Tutto il miele è finito” (1964), sulla Sardegna. Nel frattempo, Levi proseguì l’attività artistica, unendosi al movimento neorealista ed esponendo i suoi quadri nel Biennale di Venezia. 2 legano ma non lo uccidono. Tornano a Grassano per uccidere il barone traditore. Il barone uscì ma e si sedette su una panchina di pietra ma teneva in mano un bambino venne ucciso dal fratello del dottor Palese. I liberali si nascosero, vennero arrestati e condannati. Ufficiale esattoriale: Era mal vestito, aveva le scarpe impolverate, ma aveva il colletto e la cravatta e portava un curioso berretto alto e tondo con una visiera di tela cerata, dove sul fondo grigio spiccavano fiammanti su tutta l’altezza due grandi lettere ritagliate e cucite: U. E. Aveva il compito di riscuotere le tasse ma i contadini non pagavano. Sono quasi tutti proprietari a Gagliano anche se la terra è cattiva e rende poco. Sono pieni di debiti, non hanno da mangiare e sono pieni di malaria. A volte l’esattore è costretto a prendere quel poco che hanno (animali) pur di riscuotere una minima parte di quello che devono pagare. Barone Nicola Rotunno: È di Avellino, è uno dei più ricchi proprietari della provincia. Era giovane e magro, sbarbato e con occhiali a pince-nez. Particolarmente spietato nei suoi interessi capace di cacciare un contadino per un debito di poche lire. Era un uomo di chiesa e portava all’occhiello non il solito distintivo fascista ma quello rotondo di Azione Cattolica. (associazione cattolica laica. Nel 1928 Mussolini aveva decretato lo scioglimento di tutte le associazioni che non erano fasciste. Da qui nacque lo scontro tra Vaticano che non accettò lo scioglimento anche dei circoli di Azione Cattolica) Avendo saputo che l’autore era un confinato si offerse subito di farlo liberare cosa per lui facile dato che era amico di un’amica carissima del Senatore Bocchini, Capo della Polizia. Donna Caterina: era una donna di una trentina d’anni, piccola e grassoccia. Gli occhi aveva nerissimi, come i capelli; la pelle lucida e giallastra e i denti guasti le davano un aspetto malsano. Giulia: era una donna alta e formosa, con un vitino sottile come quello di un’anfora, tra il petto e i fianchi robusti. Il viso era ormai rugoso per gli anni e giallo per la malaria. Donna Concetta: una ragazza di diciott’anni, piccolina, con un viso tondo e perfetto di Madonna, dei grandi occhioni languidi, i capelli neri, lisci e abbondanti, ordinati con una riga dritta in mezzo, la pelle bianchissima, la boccuccia rossa, il collo sottile, e una gentile aria ritrosa. Riassunto libro: Capitolo 1: Levi fa la promessa di tornare un giorno trai suoi contadini, ma per ora l’unico modo per essere tra loro è la memoria (trasfigurazione ad espediente reale provocata dal ricordo => piacere). Viene fatto ricordare che essi si riferiscono cristiani come uomini, per diversificarsi dalle bestie e non come fedeli che venerano Cristo, ed il male è visto come un dolore terrestre. In quelle terre sembra non passare mai il tempo e nessuna influenza riesce ad arrivarci e a radicarsi. Levi lascia Grassano, ch’egli descrive come una piccola Gerusalemme su un alto colle bianco e desolato, completamente diverso dal paese in cui sta per arrivare ovvero Galliano, che non lo rallegrava per niente al contrario del viaggio. Egli racconta del primo mito, quello della Banda di Grassano che cadette in un burrone e tutti coloro che ci passano dicono di sentire la musica di essa e poi definisce in generale che quel territorio chiamato Lucania è il regno dei banditi, poiché si basano ancora sullo scambio dei beni e 5 l’unica forma di male fu quello dei briganti di Boryes. Descrive come arriva a Galliano, dicendo che lì la strada finisce e sembrano casette sparse in miseria, ma la cosa particolare e che la diversifica è che si trova sulle pendici di un burrone e non su un monte, come Grassano. Ma la sua impressione era a metà, infatti il paese non era visibile e sembrava un paesaggio lunare per tutta l’argilla bianca che si vedeva. Il paese in quel momento era in lutto e qui avviene un secondo mito: la donna che lo ospitava era la moglie di questo contadino che con la magia fu preso sotto effetto di filtri d’amore, facendo nascere una bambina da questo tradimento, l’uomo lasciò la strega che gli augurò una terribile malattia e il figlio era stato messo in collegio. Con un colpo di scena entrano degli uomini dove lui stava e gli chiesero se fosse un dottore, ma lui non praticava da molto tempo e si rifiutò, ma riuscirono a convincerlo a visitare un uomo che era arrivato da Stigliano dove lo rimandarono in dietro poiché non c’era nulla da fare, e quindi assiste alla sua prima morte nel paese. Capitolo 2: Descrive la vita nella piazzetta, tra contadini e signori del paese che facevano le stesse cose tutti i giorno alle stesse ore, e nel frattempo lo riconosce il maestro delle scuole elementari della città, che ha anche il compito di sorvegliare i confinati del paese. Egli dà a Levi indicazioni sul paese e su come comportarsi con codesti: non li deve mai vedere, è proibito perché è gentaglia, contestualizzando con la guerra in Africa di quegli anni. Galiano, quindi è un paese poco in miseria e con contadini piccoli proprietari, c’è giusto un po’ di malaria ma è il paese più ricco nei dintorni, si deve solo stare attenti alla gente cattiva. Conosce il dottor Milillo, un vecchio preoccupato che gli rubi il lavoro, anche se Levi capisce che di medicina non ne sa più nulla. Gli dice che non deve accettare niente dalle donne poiché ci potrebbero mettere filtri, fatti di sangue e mischiati ad erbe che mettono ovunque. Conosce il dottore della città, dottor Gibilisco, un nemico descritto dai due precedenti, lui dice che i contadini pretendono cure pur non volendo pagare e che non si fidano della medicina moderna ma ben presto capisce che Gibilisco è ancora più cafone e ignorante degli altri due, ed ecco perché la gente non si fida, perché quest’ultimo non si cura di conoscere i farmaci e li usa come se fossero acqua. Incontra il brigadiere che è amante della levatrice, e va verso la casa della mafiosa a cui fa la corte ed incontra anche l’avvocato S, il quale è morto il figlio maschio e ha anche due figlie che non sono più uscite di casa perché qui è usanza che se muore il padre stanno 3 anni recluse, se muore un fratello un anno solo. Ma c’era anche l’avvocato P che dava notizie a Levi, giovane che post-laurea voleva ancora fare lo studente. All’interno di Galliano si passeggiava, si giocava a carte, si chiacchierava e beveva vino, e il momento più aspettato era quello dell’arrivo della posta a cui tutti assistevano. Capitolo 3: Vede la differenza tra l’alimentazione del nord, che mangiano tanto e la sera vanno di avanzi, mentre lì si mangia pane tutto l’anno e la vedova dice che sono tutti galantuomini, ma Levi stesso aveva assistito a comportamenti d’indifferenza, odio e ripudio gli uni con gli altri, che come Grassano, si dividevano in due partiti e le passioni sono elementari poiché nessuno ha potuto emigrare per far furore altrove, rinchiusi a Galliano. A Grassano è tutto più grande mentre qui è più piccolo, e Levi si chiede come farà a passarci 3 anni, ma conobbe un ufficiale in congedo come lui che serviva la Milizia, ma era un delinquente come tutti a Grassano, ma che era simpatico. A Grassano lui faceva la passeggiata per la chiesa in cima 6 alla collina e se lo ritrovava sempre, si accorge che il Fascismo non cambia la situazione, i gentiluomini rimangono tali e i briganti anche, in generazione in generazione, come anche a Matera. Arriva alla conclusione che la borghesia non può vivere in certi modi e che per forza migrano chissà dove, lasciando nel paese gli scarti. Capitolo 4: Descrive i pasti e le usanze in cucina, trovando somiglianze con Grassano (es. come si portava la brocca d’acqua e com’erano le brocche), le donne gli parevano tutte uguali e i loro volti non erano aggraziati ma gravi come soldati, parlanti un dialetto mai sentito. Incontra un ufficiale esattoriale di Stigliano che mangia con lui e lavorava a Galiano, portava sempre nei suoi viaggi un clarinetto che dovette dividere la stanza con lui, facendo la comparazione con Grassano dove era costantemente avverso a queste situazioni poiché essa “è sulla grande strada”. Ricorda come anche gli sia piaciuto il santo di Grassano, San Maurizio e altri santi parlando con un barone che ne era compiaciuto. Descrive la sua nuova stanza con ripudio, piccola, buia e stretta rispetto a Grassano. Ritorna a parlare con il suo compagno di stanza che si lamenta che i contadini in miseria non paghino le tasse e che lui deve portar via quel poco che hanno, vedendo anche il paragone che a Galiano nessun contadino cantava. Capitolo 5: A Galiano non ci sono le campane o pascoli che lo svegliano e già si ritrovò con delle donne che volevano fargli vedere i loro figli per farli curare, colpiti dalla malaria. Questo si ripeteva e Levi non voleva competere con gli altri dottori del paese, ma le donne gli addossarono fiducia per la sua gentilezza e forse perché dava consigli per risolvere la situazione. Incontrò il prete del paese che si lamentava che nel paese nessuno credeva, Don Giuseppe, che però nessuno sopportava nel paese e gli facevano qualsiasi tipo di vigliaccheria, perché secondo le voci aveva libertà troppo ampie con i suoi allievi e abusava. Lui odiava il mondo, era pieno di rancore, gli fece vedere la chiesa ormai in rovina. Descrive la città dalle case dei contadini ad una sola stanza, una casetta moderna che era la caserma, vede il torrente del Sauro fino ad arrivare alla fine del paese o della strada principale che portava ad un campetto, descrivendo la città come un serpente nascosto tra le pietre. Vede un monumento proveniente dal nord che è un pisciatoio e si chiede cosa abbia portato a metterlo in quella piazza in quel posto senza impianti idrici, ma che era frequentato solo da animali o bambini che ci giocavano, l’unica persona che ne apprezzava l’uso era lo stesso Levi. Poi vede uno zoppo che taglia una pecora e gli sembra “una strana metamorfosi dove l’uomo si versasse, a poco a poco, nella bestia”, ma si era fatto un decreto che vedeva le capre come animali che distruggevano l’agricoltura che dovevano essere appunto uccise, ma a Galiano erano l’unica ricchezza in mezzo a quel roccioso paesaggio. Perciò la tassa sulla capra era una sventura poiché questi non potevano pagarla e dovevano uccidere le capre, restando senza niente. Con il nipote dello zoppo si fa accompagnare dove la strada scendeva finchè non si arriva ad un punto in cui i due burroni si avvicinano così tanto che non c’è posto per le case, 100 metri che separano Galiano alta dalla bassa, dove incontra un gruppo di donne alla fontana, immobili al suo passaggio perché lo seguono solo con gli occhi. Levi assiste ad una scena quotidiana di due giovani, uno muratore di Ancona e l’altro studente di Pisa che per via di una legge non potevano vedersi, erano costretti a farsi i pranzi/ cene e lasciarli sul muretto così che l’altro può riprenderli. 7 dove visse lui e come la compose, dicendo che l’unica cosa di quella casa che gli era di più importante era un vero gabinetto in porcellana ma senza acqua, nelle case dei ricchi c’erano ancora i piccoli troni in legno e per i poveri non c’era niente. Infatti, a delle determinate ore, quadri che faceva), una cassa di libri ecc., ma gli serviva una donna che gli cucinava e puliva, anche se contro il costume di Galiano nessuna donna poteva entrare se era solo in casa perché trovarsi insieme è fare l’amore, non esisteva una morale sessuale o amori illeciti e per questo c’era un divieto: nessuna donna poteva frequentare un uomo se non in presenza di altri, infrangerlo è peccato. Le donne sono come animali selvatici, pensano all’amore fisico e ne parlano con semplicità, la maggior parte hanno i mariti in America di cui 2000 sono li, lasciando gli altri 1200 abitanti a Galiano. A Grassano invece, 5000 in America e 5000 in città, considerando che da quelle parti il regime è matriarcale e con poco senso familiare. Le uniche donne che potevano entrare in casa sua erano le streghe (esentate dalle regole comuni, con molti figli di padri incerti, libertà di costumi e che si dedicassero alle cose dell’amore e a pratiche magiche per approcciarlo), la prediletta fu Giulia, di 41 anni con più o meno 17 parti, pulita e onesta, dal viso di carattere arcaico, ella conosceva tutto e sapeva tutto. Era come le bestie uno spirito della terra, non avendo paura ne del tempo, ne degli uomini e ne della fatica, e descrive tutto quello che sapeva fare, dicendo che lei rimaneva nella sua passività, fredda e impassibile. Capitolo 11: Dice che Galiano non era visibile mai tutto per intero, da dove abita lui ha a sinistra il mare e i paesi rocciosi lì vicino, e a destra i burroni dove lui riusciva a distinguere i contadini dai forestieri che entravano/uscivano dal paese. Davanti a lui aveva il Timbone della Madonna degli Angeli come un osso morto o una testa di un femore gigantesco che porta brandelli di carne o pelle, con gli sporadici spruzzi di erba. Al di là di questa, c’era una spanata dove si vedevano tutti coni, monticelli ed erosioni di argilla bianca, come se la terra fosse morta. Racconta il mito del drago abitante di quelle terre spianate e che i suoi corni sono in una chiesa che tutti hanno veduto, che la popolazione fece su richiesta uccidere dal principe di Stigliano che mentre lo affrontava, gli apparve la Madonna che lo aiutò a sconfiggere il drago. Per ricompensa, alcuni proposero le terre ma gli avari abitanti gli cedettero il fiume pensando d’ingannarlo, ma il principe diede via alla servitù per le tasse sull’acqua. A Galiano c’è un mondo indistinto che non vede alcun confine tra mostri e realtà, ad esempio una donna del paese era figlia di una vacca e nessuno osava mettere in dubbio ciò. Addirittura, i sonnambuli divengono lupi e alcuni s’incontrano di notte con gli animali veri, trasformandosi, e quando battono l’uscio per la prima volta non gli si deve aprire e nemmeno la seconda poiché si vedrebbe l’animale e non l’uomo. Solo la terza volta si deve aprire perché si è tornati all’essere umano, poi tanto loro non si ricordano più nulla, questo dualismo genera rispetto come divinità in queste mitologie. Levi ricorda come il suo stesso cane fu trovato su un treno da Napoli a Taranto con un cartellino che non dava informazioni e passò di mano in mano per Grassano considerato come un essere straordinario, poi regalategli come regalo per la sua presenza in quella città. A Galiano lo accolsero con mistero e onorificenze poiché diverso da quello che erano abituati, ma ritorna al presente dicendo che purtroppo è morto e seppellito in Liguria, lo aveva affidato al padre. Riprende un detto che a Galiano dicevano di Barone “mezzo barone mezzo leone”, per riusarlo con la sua situazione dove i potenti vedono in lui una doppia natura. Dice che lì non c’era posto per la religione perché 10 qualunque cosa diviene divina e tutto è magia naturale. Ora ritorna al racconto, dove descrive una processione in onore della Madonna di Viaggiano dal viso nero (non era la madre di Gesù, era vista più come una Persefone contadina) e vestita con abiti eleganti, dove si sparavano i fuochi e i contadini sparavano con i loro fucili e tutti erano eccitati, lui li descrive come “in una pagana smoderatezza”. Poi si facevano le offerte e si attaccavano le lire agli abiti, e appena calata la sera, tutti si affossarono lungo il burrone per vedere le bombe, ella era per venerare i raccolti. Capitolo 12: Descrive la Madonna come impassibile alla volontà dell’uomo visto che tutti la pregarono per la pioggia, ella è nera come la terra: può far tutto distruggere e fiorire ma non conosce nessuno, svolge le sue stagioni secondo la sua volontà incomprensibile (Leopardi-Ginestra). Descrive le case formate da un'unica stanza dove doveva entrare tutto, senza luce e a volte anche comprendeva la loggia degli animali, che stavano sotto il letto, dividendo così la terra per gli animali, il letto per gli uomini e l’aria per i lattanti, che venivano appesi. La cosa che colpiva Levi ogni volta non erano queste, ma gli sguardi fissi dei numi tutelari (Madonna del Viggiano + Roosevelt), la prima come la cattiva e il secondo come il Dio, non vi erano altre immagini al di fuori di queste. Roma per loro è la capitale dei signori, ovvero nulla, Napoli è la loro capitale della miseria e non c’è più niente se non gli imbarchi, poi il regno è finito. Un altro mondo è l’America che ha una doppia natura: è la terra del lavoro, fatica e risparmio ma anche il paradiso o terra promessa, New York diventa la loro capitale del mondo mitologico, unico loro mondo possibile. Gerusalemme è vista come il paradiso, la si può solo contemplare. In America non cambiano le loro abitudini, come vanno così ritornano e lì vivono tra di loro, a parte, essendo vicini al paradiso ma non concerni nell’entrarci. La maggior parte delle volte essi tornano per visitare i parenti, che offrono terre e sposa, facendo scadere il permesso di soggiorno per poi tornare dillà, e tutto quello che hanno guadagnato in America, lo sperperano pagando le altissime tasse, ritornando alla miseria. Il giorno di ritorno è considerato per tutti come il giorno di disgrazia nell’anno 1929, descrivendolo come cataclisma, era l’anno del crollo del dollaro che però non colpiva gli italiani che cambiavano subito in lire, ma lì c’erano anche molti propagandisti che annunciavano lavoro e ricchezza in Italia, tornando però alla miseria. A Galliano il barbiere faceva molte più cose dei medici, come curare lussazioni o punture endovena, in particolare il biondo ex militare e tutti lo amavano, anche se aveva astuti nemici. Descrive l’Italia come il paese dei diplomi/lauree solo per la difesa dell’impiego, non per bravura, ed ecco perché dovevano fare tutto di nascosto. Racconta di Faccialorda, un uomo grosso, era tornato dall’America con tanti soldi guadagnati con abilità perché gli scoppiò un tubo di polvere addosso e fece il sordo permanete per 3 mila dollari, una volta riscattata la fortuna tornò a Galiano, se ne vantava di aver vinto contro i professori americani ma Levi aveva incontrato molti italiani che avevano fatto come lui, battuti contro la volontà assurda dello stato. Come Saracino, un italiano scappato in Inghilterra per non servire il re d’Italia e così fece anche con i suoi figli. Si vede come tutti primo o poi tornano alle origini e tornano a desiderare il paradiso americano, differente da Grassano dove ricorda un signore di mezza età che aveva fatto fortuna in America e stava tutti i giorni seduto sull’uscio della porta di casa, ci tornava una volta ogni 3⁄4 anni e con la guerra d’Africa fuggì per non rimanere bloccato in Italia, dove far gli affari non era conveniente. Dopo il ’29, la Lucania si è divisa in due e coloro rimasti qui vedono 11 l’America sempre più lontana, anche se tutti gli strumenti e le misurazioni arrivavano da lì, infatti a Galiano i contadini misuravano in libre/pollici, arrivava più da oltre oceano che da Roma. Capitolo 13: I maestri delle scuole raccontavano della guerra che era in atto, ma distorcendo il tutto come se fosse per i cittadini di Galiano che avrebbero ottenuto terre o chissà che cos’altro, ma questi non ci credevano. In quel periodo il popolo italiano era più entusiasmato del solito, a Galiano i contadini erano più silenziosi e cupi pensavano della guerra una disgrazia inevitabile e non avevano paura di partire come soldati, la loro vita da cani non sarebbe cambiata. Don Luigino aveva fatto imbandierare tutti gli edifici con il tricolore e la guerra ricominciò ed egli raccontò come Roma fosse intenibile ed invincibile, ma non interessava i contadini che non si lagnavano o pentivano ma ne si vantavano delle guerre passate. I contadini non amavano quei colori a tre, perché loro ne avevano solo uno che era l’oscurità della terra e della morte e la storia non li riguarda, l’unica cosa che li tocca sono le guerre infelici e sempre perse che hanno fatto contro la storia, gli stati ecc, perciò si rassegnano ad essere dominati. L’unica guerra di cui parlavano e che si trasformò in mito era il brigantaggio, finita nel 1865 ma tutti ne parlavano come se fosse successo ieri, poiché non c’era luogo che non fosse stato vissuto o famiglia che abbia contribuito, ma a quel tempo risalgono gli odi che dividono il paese. Di questa guerra essi non conoscono quelli storici, come i motivi dei Borbone o del Papa, ma lo tengono vivo perché ricordano essi come chiusi, solitari e cupi come i contadini di quel paese oggi, con cuore mite ed animo paziente, la loro rivolta è senza limite che difendevano sempre gli stessi contadini che difendevano a loro volta la stessa natura, contro lo stato, ed è per questo che li descrivono come eroi. I contadini facevano la stessa vita di secoli orsono e la storia passa su di loro senza toccarli, era l’Italia umile, vedendo sventure e stagioni sempre uguali, solo le guerre nazionali hanno combattuto ma fallendo. La primissima è quella di Enea, conquistatori fenici che portavano religione e stato, ma anche la religione di stato che non toccava i contadini che vivevano con gli animali, non conoscevano nemmeno il sacrificio. Enea, infatti trovò aiuti negli Etruschi, ma non nelle popolazioni autoctone, che fallirono contro il numerevole esercito. Poi la volta di Roma che cercò di fare lo stesso di Enea, ma i contadini pur fallendo, rimanevano intatta la loro natura. Con l’arrivo del Feudalesimo e ancora dopo il Brigantaggio, che però aveva in mente solo distruzione e morte. Capitolo 14 : Levi dice come quelle terre della Lucania sono state visitate da tanti in tanto tempo, infatti dal terreno escono numerosi tesori come monete, vasi, ecc. ma per i contadini era diverso, infatti c’è un posto in ogni dove che si può trovare oro lucente ma si vanno in contro a forze oscure ed essi dicono che “è inutile frugare a caso la terra, i tesori compaiono a colui che deve trovarli”. Mitologia narra che ciò appare in sogno al contadino, posto preciso, e che egli ci debba andare di notte e da solo perché sennò esso si perde, come racconta l’esperienza di un contadino che non avendo coraggio, andò con un altro incontrato per strada ma quando arrivarono, l’altro si calò per prendere l’immensità di monete che però si trasformarono in carbone. All’interno di quei boschi vivono i monachicchi, piccoli bambini morti senza battesimo, che riempiono quelle terre, e fanno dispetti ai cristiani ma sempre sotto un tono 12 Arrivò a Grassano una banda di attori che avrebbero tenuto un teatro per quei pochi giorni in cui sarebbero rimasti, erano una famiglia siciliana e appena seppero che Levi era un pittore, gli chiesero di dipingere qualche scena. La loro vita era difficile da randagi, il padre sembrava un vecchio attore e le donne delle dee (visi marmorei, volti statuali, ecc ), la madre la paragona ad una Giunone arcaica e le figlie a ninfe dei boschi. Così andò a chiedere il permesso di assistere la sera allo spettacolo e a differenza di Don Luigino, qui i carabinieri si occupavano degli sconfinati e con libertà inaudita e si deve considerare che con due soli dottori a Grassano era l’unico paese che combatteva la malaria, da cui ne deriva miseria e schiavitù, che secondo Levi nasce da un terreno che non dà risorse, per cui si dovrebbero arginare i fiumi, aggiungere alberi e degli ospedali. In quei giorni autunnali visitò le sue conoscenze e racconta come un giorno Prisco, abituato a dormire con occhi chiusi ma orecchi aguzzi durante la siesta, era saltato dal letto per strappare il coltello in mano ad uno che lo aveva per ferire nel gioco della passatella (torneo oratoria contadina dove si sfogano parole, rancori, odi e rivendicazioni con un giro di carte si decide chi è il Re, colui che può decidere a chi servire il vino, e il suo aiutante, colui che toglie i bicchieri. Le loro scelte devono essere giustificate in lunghi discorsi). Rivede la sua casa, con una stanza grande con due finestre con sotto una bottega la cui moglie del falegname gli faceva le faccende, Margherita, che gli voleva tanto bene, una delle donne più intelligenti e colte del paese (fino alla 5 elementare), addirittura gli disse di non esser triste per la mamma lontana e che lei sarebbe stata la sua mamma lì. Ella raccontò che aveva un terzo figlio che un giorno si perse nel bosco ma incontrò la Madonna di Viaggiano dal volto nero che le disse dove trovarlo, lei andò e lo trovò, egli disse che quella donna se ne prese cura e facendolo vedere da un indovino la storia si confermò, ma egli era già prediletto alla morte a soli 6 anni cadendo dalle scale, e così fu. Arriva la sera del teatro e si recitava un opera dannunziana in una piccola e rude cantina, e ciò sorpasso le aspettative poiché recitavano benissimo, al punto tale che lo liberava da ogni estetismo ma soprattutto grazie all’attiva partecipazione dei contadini. D’annunzio era partito da un mondo senza espressione ed era riuscito con la poesia contemporanea, a rendere il tutto espressivo, sensuale e con un senso del tempo, degradando il mondo a puro strumento retorico che però fece nascere un mostro, che però gli attori siciliani presero al contrario: ritrovarono il nocciolo paesano e tornavano a scindersi i due mondi. Si rende conto, parlando con Orlando, fratello di un giornalista, che i contadini vogliono coltivare grano che non permette loro la produttività futura, quando queste terre sarebbero meglio per mandorli o olivi. Le parole che ricorrono sempre sono niente con gli occhi al cielo e domani, questo perché derivava da un canone dei meridionali che si sentivano inferiori e partono da dei confronti che non dovrebbero essere fatti, non ascoltando le loro terre, poi dice addio a Grassano dove non tornò più. Capitolo 18: Quando torna a Galiano, tutti lo aspettano per riprendere la vita abitudinaria a cui erano abituati, in quei giorni pioveva tanto e descrive pittoricamente il tutto. Per la prima volta udì la notizia che arrivava il sanaporcelle, così andò a vedere nella piazza vicino alla chiesa e tutte le donne tenevano al guinzaglio la loro scrofa poiché c’era un uomo che sanava le porcelle, ovvero castrava e ciò richiedeva alta chirurgia, e questa è un arte rara, ce ne sono pochissimi mezzi sacerdoti e mezzi chirurghi. Poi descrive nei dettagli come si fece questa arte, proprio come un medico nella sala parto, il tutto era fatto veloce e con maestria, roba di 15 massimo 5 minuti. Anche qui si giocava a passatella e vede il trasferimento del carabiniere del paese, il nuovo era l’opposto: giovane e nel suo primo servizio, pieno d’idealismo e disinteresse, ma si rese ben presto conto nel mare in cui si era ritrovato a nuotare. Don Cosimino di sua spontaneità, a i confinanti passava le lettere di nascosto e poi le mandava alla procura di Matera, anche se si faceva il contrario, ma poi ci fu una novità: siccome avevano troppo lavoro, s’incaricò di leggere le lettere in partenza e li a Galiano era affidato a Don Luigino, che si sentì ancora più podestà di quanto non lo fosse già. Arrivò un nuovo confinato, un commerciante di Genova ma non cacciato per la politica, ma per la competitività, ed era abituato a scrivere con numeri e abbreviazioni che ovviamente Don Luigino non capiva e pensava ad un qualche complotto, però copiava tutte le lettere di Levi, forse per ammirazione. Capitolo 19: Descrive il medievale strumento chiamato cupo-cupo, un tamburo con un bastoncino di legno che mosso sia in varie direzioni che su e giù creava un suono basso, come un brontolio, che di solito si suonava prima di Natale. Le persone lodate di questa cantilena devono regalare qualcosa e i canti erano sempre uguali, come il suono del mare dentro una conchiglia, descrive i vari balli o tradizioni che ne derivano. Arrivata la festività, Levi vede una tradizione tipica di lì, ovvero i poveri facevano regali ai ricchi, come cosa dovuta e che non siano ricambiati, ma qui non si erano visti né i re magi e ne Cristo, quindi egli non poteva essere scambiato per uno di quelli. La messa che si fece di mezzanotte era disorganizzata e sembrava fatta così per fare, nessun canto o chissà quale discorso, anche se Don Trajella se l’era preparato lo perse, poi pregando davanti a tutti inginocchiato alla croce, avvenne come un miracolo poiché comparve un foglio che lo salvò. Ma tanto nessuno lì dentro lo ascoltava, altri cantavano e lui imperterrito continuava la lettura e i contadini erano compiaciuti di quel discorso che per loro era come africano, e nel frattempo Don Luigino e dei ragazzi gridavano faccetta nera o altre frasi. Poi si passò ad accusare i contadini che erano non credenti e scomunicati, egli non gli augurò la Pax in terra Hominibus poiché loro non partecipavano alla religione, poi prese ed uscì, salì sul mulo e andò a Gaglianello dove avrebbe dovuto dire la messa. Nel frattempo, si commentava l’opera del prete e tutti erano d’accordo, signori e contadini, di denunciarlo e toglierlo di lì perché tutti furono convinti che il prete era ubriaco, che già dal giorno dopo partirono le denunce. Arrivò il giorno in cui si potevano fare e dire cose impossibili che in altri giorni dell’anno, come Giulia che arrivò tutta ripulita e solo nel giorno di Natale ella poteva dire gli incantesimi di morte e di malattie, da dire in segreto e non si possono ripetere se non in quel giorno santo, perché in altri giorni è peccato mortale. Passò Capodanno da solo e con l’orologio fermo, così passò dal 1935 al 1936 come nulla, da un anno uguale all’altro ma incominciò un eclissi di sole, segno del cielo che voleva mandare il messaggio che un triste futuro li aspettava, riferito agli innocenti che pagano per i colpevoli. Capitolo 20: Era un buon tempo per i cacciatori e i lupi passavano anche in città ma non si prese nessun cinghiale ma tante lepri e volpi, con l’osso della lepre si facevano i bocchini dei sigari e lui prese il vizio. Le giornate si differenziavano solo per il mutare del meteo senza posto per la memoria o speranza, che divenì anche per lui vuota pazienza, lontano da storia e tempo. Solo 16 con il dialetto il tempo passa, ad esempio domani è crai, dopodomani è penserai e il giorno dopo ancora è pescrille e via dicendo, questi termini sono specifici quanto ironici creando un elenco grottesco e sono la riprova della inutilità del domani distinguibile. Le uniche distrazioni da quella immutabile solitudine erano i giri di ronda dei carabinieri e il brigadiere e l’avvocato P che a volte andavano a giocare a carte, ma Levi preferiva star solo a leggere o lavorare, ma il problema non c’era visto che questi vennero accusati di fraternizzare con un confinato e non vennero più, solo i contadini malati potevano. Tutti ammiravano Levi, che sia stato per Barone o per la sua arte, i bambini facevano a gara chi doveva essere l’onorato a portare il suo cavalletto da pittura a casa, come la tela o la cassetta, ne ricorda un bambino di nome Giovanni che era super appassionato della sua pittura e lui come altri chiedevano i tubetti finiti o pennelli rovinati per i loro giochi, ma Giovanni era diverso, in cominciò a fare il pittore in segreto e osservava qualsiasi suo movimento poiché essenziale. Egli costruì con pezzi di legno un cavalletto e con delle camicie vecchie tese ci dipingeva cercando di ricopiare la pennellata del suo maestro, ma non erano tutti come lui ma ansi, lui era raro poiché lui ricavava la fiducia dal lavoro credendo che la ripetizione della tecnica come una formula magica che porta il suo frutto. Essi prendevano qualsiasi suo scarto e lo seguivano ovunque, addirittura gli facevano ogni sorta di servigio anche se non richiesto, uno di questi di nome Giovannino non si separava mai dalla sua capra o anche 3 o 4 di essi venivano sempre nella sua casa: il figlio della Parroccola (chiamata così per il suo faccione che sembrava il bastone del parroco, strega gentile ma brutta); Michelino, Tonino (figlio del sarto). Tutti essi avevano qualcosa di singolare, che sia qualcosa di animale o da uomo adulto, erano chiusi e sapevano tacere, rapidi nell’intuire, pieni di desiderio di apprendere e di ammirazione per le cose ignote. Chiesero a Levi se potesse insegnargli a scrivere poiché con i maestri che si ritrovavano ne uscivano analfabeti, e venivano spesso per fare lezione. A Galiano non ci sono né feste e ne giochi, a carnevale si mascheravano da fantasmi in bianco o di nero, quando poi Levi gli disse che ci si poteva travestire con delle maschere vere, chiesero di farle. Capitolo 21: Levi capisce che per combattere la malaria si deve agire entro la fine della primavera e scrive al podestà un memoriale di 20 pagine, tutto nei dettagli, dei lavori che si sarebbero dovuti fare in città. Dopo averlo portato a Matera ne furono felici e dissero che avremmo ricevuto positivamente anche noi confinati, ma in quei giorni arrivò un telegramma che vietava, pena di morte, di esercitare medicina a Gagliano, tale che anche dagli altri paesi venivano per consultarlo quando tornò un contadino che il giorno prima lo aveva già trovato per curare il fratello in una città li vicino, ci volle un pomeriggio per convincere il podestà quando il brigadiere confermò ch’egli poté andare senza alcun indugio. Per il malato ormai non c’era nulla da fare e lui non dormì tutta la notte, per poi la mattina dopo assistere alla disgrazia, mentre poi tornava a Gagliano passò per la frazione di Gaglianello. In esso non c’erano dottori, sicurezza o istituzioni, era un ammasso di case e i contadini aspettavano l’arrivo di Levi. Tornato in paese tutti già sapevano tutto e non credevano nel morto in sua mano dopo tutti quei mesi, forse perché lo vedevano come un uomo miracoloso e avevano dei visi mai visti, pieni di disperazione risoluta poiché pensavano che Roma li volesse far morire come cani e volevano bruciare il municipio e ammazzare il podestà. Essi avevano deciso per una petizione per farlo essere loro medico anziché dell’ira rivoltosa e la parola legittimo lì è 17 Si risveglia in treno ed è già tornato nella Lucania, sono costretti ad una tappa a Grassano per aspettare la macchina, vede il paese sopra la montagna come se lo salutasse, ma si accorge che anche questa volta, qualcosa è cambiato. Riguarda le colline fino alla vetta, incontra con lo sguardo il cimitero che si trova sul fianco e si ricordava una terra grigiastra, ora era verde (colore armonioso e di speranza) ma dava a quella veduta un aspetto artificiale. Paragona ciò sia al rossetto rosso su una contadina e sia agli squilli stonati di una tromba in una marcia funebre. Interessante è la metafora del suo ritorno a Gagliano passando per la valle del Sauro, descrive i monti che si lascia alle spalle come la chiusura dei cancelli di una prigione. Gagliano a rivederla dopo il viaggio gli pare più piccola e triste nella sua atmosfera borbonica, e avviene un qualcosa d’inaspettato: Giulia, che appunto gli faceva le faccende e da mangiare, non poté più tornare da lui perché l’amante la minaccio se fosse andata, così la poté incontrare solo rare volte, ma ella direttamente non gli spiegò mai nulla. Al posto di Giulia venne una vecchia sui 90 anni e che insistette nel fare questa commissione, poi Levi venne a sapere ch’ella era l’amante del padre di Don Luigino e che si era innamorata di lui. Poi arrivò Maria, una strega come Giulia e lui la descrive con l’immagine della befana che si usava descrivere ai bambini. Oltre a ciò, si seppe che Don Trajella fu spedito in definitiva a Gaglianello e il nuovo successore si chiamava Don Liguari, che per Levi sembrava qualcuno di conosciuto e pensandoci gli sembrava un misto tra Mussolini e Ruggero Ruggeri, il più italiano possibile di quei anni. Entrò a prendersi un caffè da quel tale e vide un assortimento di cibi mai visti a Gagliano, come ad esempio il burro fresco, si misero a parlare delle novità che avrebbe fatto come prete, soprattutto immettere la religione nei contadini e battezzare i ragazzi, oltre ciò mano a mano che dialogavano, Levi capì perché lo aveva chiamato. In pratica il problema del prete era come attirare i cittadini ad entrare in chiesa, come rendere il tutto più attraente, e lui aveva un senso di grazia anche verso i poveri confinati che sicuramente dovevano essere tristi, così chiese a Levi di suonare nella sua chiesa per risolvere questa faccenda, il confinato non era emozionato all’idea e quindi si propose di farlo per poche volte. Un pittore in voga in quegli anni affrescò il soffitto della chiesa, era Mornaschi, che girava di paese in paese fino a quando a Gagliano, non gli si offrì un posto alle poste come pagamento, lui accettò e si era unito alla vita di paese immensa e senza tempo. Levi viene a sapere che il barbiere suonava meglio di lui il pianoforte, così cedette il posto volentieri, anche se quella domenica dovette farlo lui e la chiesa era piena, lì vide per la prima volta donna Concetta, la figlia del ricco avvocato S che era in clausura ed era considerata la donna più bella del paese. I contadini dissero a Levi “Tu sei gaglianese ormai, devi sposare donna Concetta. È la zitella più bella e ricca del paese, è fatta per te. E così non te ne andrai più, resterai sempre con noi”. La primavera finisce e Levi si trova in una situazione dove ormai riesce a distinguere ogni suono o voce, lavora, dipinge e cura tutti i giorni fino ad arrivare ad un punto di massima indifferenza. Storicamente, la guerra era finita e l’impero salì sui colli di Roma, Giulia si preparava al matrimonio del figlio e Don Luigino si sentiva più cresciuto. Un mattino arrivò un telegramma dove si leggeva la liberazione dei confinati grazie alla presa di una città africana, l’ultimo nome fu quello di Levi che però da gioioso divenì triste poiché gli dispiaceva partire e promettè di ritornare, ma non poté farlo. Tornò per sempre a Torino, descrivendo il viaggio di ritorno con tutto ciò che ricordava di ogni posto e tristemente pensava, come se fosse una risalita a quel paesaggio più naturale a cui egli era abituato. Ad Ancona guarda il mare dove gli uomini gli paiono le onde, tutte uguali e pensa a quel tempo immobile e quella gente nera (miseria) che aveva abbandonato, lì dove Cristo non era mai arrivato. 20 21
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