Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

cristo si è fermato ad eboli, Appunti di Letteratura

riassunto del libro cristo si è fermato ad eboli

Tipologia: Appunti

2019/2020
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 10/02/2020

annaaaaaaaaaaaaaaaaa14
annaaaaaaaaaaaaaaaaa14 🇮🇹

4.3

(24)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica cristo si è fermato ad eboli e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli Notizie sull’autore: Carlo Levi nacque a Torino nel 1902. Dopo aver studiato medicina, si unì al gruppo di giovani intellettuali riuniti intorno a Pietro Gobetti. Dedicatosi alla pittura, espose per la prima volta a Torino nel 1923; nel contempo la sua attività come antifascista lo aveva portato più volte in carcere e all’esilio in Lucania, che gli fu condonato nel 1936. Da questa esperienza nel 1945 nacque l'opera che lo rese celebre, "Cristo si è fermato a Eboli", che ha superato in Italia le venti edizioni ed è stato tradotto in tutte le nazioni. Morì a Roma il 4 gennaio 1975. Periodo storico del racconto: nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale cioè nel 1935. Analisi dello spazio: tutte le vicende si svolgono nella Basilicata nel paesino di Gagliano. Le tecniche che ha usato l’autore: l’autore si è limitato ad usare la narrazione per raccontare le sue avventure. Il titolo: vuole spiegare che a Eboli, città della campagna in provincia di Salerno, si ferma la “via umana” la civiltà, la storia. Il progresso e la libertà, chiamate dall’autore un modo metaforico “Gesù”; quindi questa frase “Cristo si è fermato ad Eboli” sta a significare che Cristo in quei luoghi non è arrivato. L'autore narra in prima persone vicende veramente accadute, che lo vedono protagonista di un'avventura forzata in un mondo solitario e primitivo, lontano duemila chilometri da quello civilizzato, eppure appartenente allo stesso dannatissimo Stato, cioè l'Italia fascista del 1935. Il racconto inizia in medias res quando, dopo aver trascorso alcuni mesi a Grassano, il confinato Carlo Levi, medico e pittore affermato, viene trasferito in Lucania, ad Aliano (o Gagliano); questo paese di montagna "ai confini del mondo conosciuto", circondato dalle desolate e brulle valli dell'Appennino calabrese, è abitato solo da cafoni, contadini poveri - ignoranti superstiziosi – sfruttati – incompresi - cattolici solo per bisogno - vittime dello Stato fascista. RIASSUNTO 1: I nuovi paesaggi che durante il viaggio gli passavano davanti velocemente sembravano tutti sgradevoli. Lasciare Grassano fu un dispiacere enorme. Arrivato ad Aliano, Levi viene consegnato al segretario comunale e successivamente presentato al podestà Malagone e al brigadiere. Per Levi, il primo impatto con il nuovo paese fu molto brusco, una prima occhiata lo convinse che i due anni di confino sarebbero stati molto lunghi e oziosi, l'idea di un paese chiuso e sperduto dal mondo le prevalse nella sua mente. Il letterato che giunge qui sconvolge la loro vita abitudinaria e tediosa, ed essi lo accolgono benevolmente, come se fosse una divinità; persino le autorità fanno a gara per invitarlo a cena e propiziarselo, perché tutti gli attribuiscono un grande potere. Levi infatti è straniero, acculturato, buono d'animo, e conosce la medicina e le arti; la sua figura di uomo potente mette in suggestione gli umili personaggi del villaggio che cercano in lui un protettore e una guida; quello che doveva essere il nemico dello Stato diviene così il migliore amico dei contadini e della borghesia locale. Al suo cospetto tutti, dal podestà alla vecchia più rozza, si mostrano benevoli e ospitali, sicché egli trova presto una comoda sistemazione dalla cognata vedova del segretario comunale e non appena la conobbe abbastanza, incominciò a farle domande e a chiederle notizie sul paese. Dopo essersi ambientato scopre che anche nei cafoni, sotto l'aspetto brutale e le mani rovinate dal lavoro, ci sono uomini bisognosi d'aiuto. La sua prima camminata ebbe come meta la piazza del paese; qui fa la conoscenza dei due medici Gibilisco e Milillo. Loro sono gli unici medici del paese e come ci sottolinea Levi di medicina non sanno nulla. Infatti quando i contadini seppero del suo arrivo per ogni intervento o malattia si rivolgevano a lui. Questa situazione non piacque molto a Levi il quale non si voleva mettere in competizione con i due "medicaciucci" e quindi diventare loro rivale; inoltre Levi non praticava la professione di medico da parecchio e quindi si trovava un po' a disagio e imbarazzato dalle continue e insistenti richieste da parte dei contadini; il Poeta però prende coraggiose decisioni e diviene il medico del paese. Egli svolge la sua attività gratuitamente, ma col massimo impegno, e ottiene il rispetto e l'amore reverenziale di tutti: tanto che il podestà e le famiglie più illustri del paese lo accontentano nei suoi desideri perché questi prenda le loro parti nella guerra tra clan. Il paese è infatti diviso in bande che detengono il potere e cercano ogni mezzo per affermarsi l'una ai danni dell'altra; alla base ci sono odi che risalgono alla notte dei tempi, ma che non si sono mai affievoliti, e che piccole scaramucce rinforzano notevolmente: un letterato come Levi è certamente un prezioso aiuto per il prestigio della famiglia e per il benessere di Gagliano. Le giornate di Levi trascorrevano lente e noiose, passeggiava su e giù per il paese fino al limite concessogli cioè sino al cimitero. Ogni giorno Carlo levi conosceva persone nuove e quindi venne il turno dell'Arciprete; questi era un uomo mal visto da tutti e pertanto bersaglio continuo di scherzi da parte dei ragazzini del posto. Don Trajella, questo era il suo nome, era un uomo solitario ma molto colto come dimostravano i numerosi libri presenti nella sua casa; si era lasciato andare quando divenne parroco di Aliano. Lui odiava tutti e passava il tempo a scrivere epigrammi latini contro le persone del paese. A spezzare quei giorni noiosi, per Levi, fu la notizia dell'arrivo di sua sorella, lui fu molto contento poiché non la vedeva da molto tempo. La permanenza della donna durò solo quattro giorni dopodiché lo scrittore si ritrovò nuovamente solo. Al cimitero non andava solo per ozio, infatti, quello era l'unico posto dove non ci fossero case, e qualche albero variava il monotono paesaggio lucano, per questo lo scelse come soggetto dei suoi quadri. Qui Levi passava i suoi pomeriggi a dipingere in compagnia del suo cane, Barone. Questa nuova attività sembrò sospetta al brigadiere e quindi avvertito il podestà mandò un carabiniere il quale doveva sorvegliarlo. Levi stette dalla vedova per una ventina di giorni dopodiché si trasferì nella sua nuova residenza. La casa apparteneva all'erede del prete, Don Rocco Macioppi. Nella sua nuova abitazione si trovava a proprio agio e gli piaceva molto soprattutto per la posizione lontana da sguardi indiscreti. Dopo poco tempo Levi trovò una domestica, Giulia, l'unica che potesse praticare questo lavoro infatti lei era una "strega". Dico ciò perché la tradizione di Gagliano vietava che una donna entrasse in casa di un uomo non sposato. Il primo periodo di permanenza del suo soggiorno gaglianese, passato a Gagliano di sopra dalla vedova, finì. Ora Levi amava questa sua nuova solitudine ed era contento, nel suo piccolo, di aver "cambiato vita". Ormai Levi si era abituato a quel posto e aveva imparato ad apprezzarne le culture e le tradizioni, come ad esempio la leggenda dei monachicchi ( i bambini morti senza essere battezzati diventerebbero monachicchi, spiritelli dispettosi e dannati; tre spiriti veglierebbero ogni notte sulle misere case, perché non vengano assalite dai lupi, ma occorre fare attenzione a non calpestare quello sulla soglia, perché si spazientirebbe e non ritornerebbe mai più), o del tesoro dei briganti (i briganti erano eroi perché agivano contro lo Stato). Levi, durante i suoi mesi di esilio, conosce a fondo la società contadina e può valutare con un'ottica nuova la politica del fascismo, che allora aveva appena iniziato la campagna d'Africa. Gagliano è un paese alienato dalla realtà del resto d'Italia; qui non sono giunte la medicina, l'istruzione, l'industria e neppure la religione nel vero senso del termine. I contadini sono braccianti indigenti per destino, e neanche l'America li potrà mai rendere benestanti: privi di cultura, essi hanno però una furbizia innata, la furbizia contadina, assai simile all'istinto degli animali. L'istruzione obbligatoria qui non è arrivata, nelle scuole si impara soltanto a osannare il Duce e le sue camicie nere, né il governo centrale ha interesse che avvenga altrimenti, perché una massa ignorante è inoffensiva. Le medicine sono così costose, che possono essere acquistate solo dai galantuomini, e i pochi farmacisti esistenti approfittano dell'ignoranza dei cafoni per aumentare i prezzi. La malaria imperversa perché le condizioni igieniche sono davvero pessime e gli ambienti delle foreste diboscate, divenute paludi malsane, sono i più favorevoli per la proliferazione dei batteri. Levi si occupa di curare i malati, e nonostante la carenza di mezzi, riesce benissimo nel suo lavoro: desta così l'invidia degli altri medici del paese, incapaci ma altezzosi e avidi, che inviano numerose lettere a Matera per denunciare il fatto che un confinato eserciti una professione senza licenza. L'ottusità del podestà e i provvedimenti di una burocrazia lontanissima dai veri problemi della gente impediscono allo scrittore di continuare la sua opera benefica e un uomo, il primo da quando Levi è giunto laggiù, muore. I contadini si ribellano, vorrebbero sfogare gli odi repressi e tenuti troppo a lungo nascosti dietro a un'apparente indifferenza, ma ancora una volta Levi prende il comando della situazione e riporta la pace. I contadini cercano allora nuove vie di espressione, e trovano quella più efficace nel teatro: vengono organizzati spettacoli che mettono in ridicolo il podestà e Roma intera, ma nulla muta; soltanto la malattia che colpisce il figlio di don Luigino offre l'occasione (per la verità si tratta quasi di un ordine) perché Levi torni a curare la povera gente. Egli restava in casa quasi tutto il giorno per evitare i discorsi monotoni con i signorotti del posto. A tenergli compagnia c'era Giulia con i suoi discorsi "stregoneschi". Dopo giorni di lunga attesa, da Matera gli giunge la lettera che il permesso di trasferirsi per poco tempo a Grassano è stato accettato. Levi parte e l'arrivo nel vecchio paese gli fa riaffiorare gli antichi ricordi legati a quel luogo. Lì rincontra i vecchi amici, rivede la locanda di Prisco, si sente nuovamente rinascere e prova una sensazione di libertà che ad Aliano aveva perso. La breve "vacanza" finisce e, come ogni cosa bella, finisce troppo presto. Levi, tornato a Gagliano, recuperò sensazioni di solitudine e monotonia che la permanenza a Grassano riuscì a fargli dimenticare; quel luogo gli sembrava ancor più desolato e sperduto di prima. Ormai l'inverno era alle porte, e Carlo Levi gradiva stare ad ascoltare il rumore del vento e della pioggia. Ad animare quelle giornate tediose fu un evento che tutti i contadini aspettavano da tempo l'arrivo del sanaporcelle. Levi spinto dalla curiosità, decise di andare e assistere alla cura dei maiali che consisteva nel tagliare loro alcuni organi per far sì che questi ingrassassero di più e meglio. La stagione invernale passò velocemente a causa dei vari problemi con i contadini che il suo lavoro clandestino (medico) gli aveva comportato, e le giornate cominciarono ad allungarsi. Il tempo si fece sereno e le giornate calde a poco a poco presero il sopravvento su quelle fredde: era aprile. Levi in questo periodo dovette tornare a Torino per pochi giorni a causa di un lutto familiare. Il viaggio nel suo paese natio fu molto deludente, rivide Torino con un occhio diverso non trovandola più come l'aveva lasciata. Al suo ritorno a Gagliano ci furono molti cambiamenti, dalla scomparsa di Giulia, la domestica, all' allontanamento del parroco Trajella. Il soggiorno ad Aliano durato ben due anni stava ormai volgendo al termine, e quando un giorno riceve la notizia di essere libero e di potere tornare a casa (Torino); i contadini, come tutti in paese, rimasero dispiaciuti per la sua partenza ormai lo consideravano un loro paesano. Levi salutò tutti, il podestà, i contadini, donna Caterina, Milillo, Gibilisco, e una mattina partì quasi a malincuore, e senza fretta, lasciandosi alle spalle i sentimenti di quella gente che tanto lo aveva amato e ripromettendosi di tornare a Gagliano per riscoprire quello che ormai era anche il suo mondo. Ma non vi fece mai ritorno, neanche dopo tanti anni. Riflessioni personali: secondo me è un libro da leggere per le varie tematiche che tratta ma è difficilmente comprensibile per il linguaggio usato. Levi dice che "attraverso il suo balbettio capisco una cosa sola: egli di medicina non sa più nulla., se pure ne ha mai saputo qualcosa". Ha studiato all’università di Napoli, ma i ricordi delle cose studiate sono spariti. I contadini ormai non si rivolgono più a lui per le visite, preferendo le cure con la magia. Dottor Gibilisco: è l’altro dottore del paese. "È’ un uomo anziano, grosso, panciuto, impettito, con una barba grigia a punta e dei baffi che piovono su una bocca larghissima, piena zeppa di denti gialli e irregolari. [...] Porta gli occhiali, una specie di cilindro nero in capo, una redingote nera spelacchiata, e dei vecchi pantaloni neri lisi e consumati. Brandisce un grosso ombrello nero di cotone, quell’ombrello che gli vedrò poi portare sempre aperto, con sussiego, in modo perfettamente verticale, estate e inverno, con la pioggia o col sole, come il sacro baldacchino sul tabernacolo della propria autorità." È indispettito, come il dottor Milillo, dal fatto che i contadini non si rivolgano più a lui per le visite, oppure che non vogliano pagare. Anche lui ci tiene a mostrare la sua conoscenza ma "la sua ignoranza è molto peggiore di quella del vecchio. Egli non sa assolutamente nulla e parla a caso." Egli ritiene che i contadini esistano solamente perché lui li visiti, ma curarli con una o un’altra medicina è per lui indifferente. Una volta aveva una farmacia, che poi è stata chiusa e le restanti medicine vengono vendute, allungate con sabbia o altre polveri, dalle nipoti del dottore. Donna Caterina Magalone Cuscianna: è la sorella di Don Luigino, che la fa conoscere a Levi. "Di viso assomigliava al fratello, ma con un aspetto più volontario e appassionato. Gli occhi aveva nerissimi, come i capelli; la pelle lucida e giallastra e i denti guasti le davano un aspetto malsano". Suo marito era partito volontario per la guerra d’Africa. Aveva un aspetto autoritario e in paese circolava voce che lei fosse la vera detentrice del potere, non il fratello e questa autorità si percepisce già della voce ("Parlava con una voce alta, stridula, sempre tesa ed esagerata"). Si occupa lei di cercare una casa a Don Carlo e di procurargli un’aiutante: la Giulia. Provava inoltre un odio esagerato verso la famiglia del dottor Gibilisco e le donne che tengono la sua farmacia. È anche un’ottima cuoca di dolci e marmellate, come ha modo di provare Levi quando la va a visitare a casa sua. Don Tajella: è il prete del paese, odiato da tutti, come si può ben notare nella sua prima apparizione: "Vedo arrivare zoppicante l’Arciprete, [...] nessuno lo saluta." viene descritto come "un vecchio piccolo e magro, con degli occhiali di ferro a stanghetta su un naso affilato, all’ombra del pendaglio rosso che scendeva dal cappello, e dietro agli occhiali degli occhietti pungenti, che passavano rapidamente da una fissità ossessionata a un brillare brusco di arguzia. La bocca sottile gli cascava in una piega di abituale amarezza". La sua abitudine al bere, che rende il suo sacerdozio inviso a tutti, unita alla poca Fede presente negli abitanti di Gagliano, fa sì che la chiesa durante le messe domenicali sia sempre pressoché vuota, ad eccezione della messa il giorno di Natale, fatale a Don Tajella che, presentatosi ubriaco per la predica, provocherà la sua cacciata da Gagliano. I contadini: vengono descritti con caratteri simili: "piccoli, neri, con le teste rotonde, i grandi occhi e le labbra sottili, nel loro aspetto arcaico essi non avevano nulla dei romani, né dei greci, né degli etruschi, né dei normanni, né degli altri popoli conquistatori passati sulla loro terra, ma mi ricordavano le figure italiche antichissime. Pensavo che la loro vita, nelle identiche forme di oggi, si svolgeva uguale nei tempi più remoti, e che tutta la storia era passata su di loro senza toccarli. Delle due Italie che vivono insieme sulla stessa terra, questa dei contadini è certamente più antica, che non si sa donde sia venuta, che forse c’è sempre stata." Le loro credenze, come i monachicchi e gli spiriti, colpiscono Levi, che le riporta però con una sottile ironia. I contadini ritengono che ogni cosa che viva derivi da Dio: "tutto è realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra". Il loro è un mondo di sofferenza e, colpiti da ogni parte e da ogni cosa, ripongono le loro speranze nella magia, unico strumento utilizzabile per alleviare i dolori. Don Pietro Liguari: è il sostituto di Don Tajella. Prende alloggio nella vecchia casa del prete e subito il giorno dopo il suo arrivo invita Don Carlo a casa sua. "Era un uomo di una cinquantina d’anni, di media statura, grosso e piuttosto grasso, di un grasso pallido e giallastro. Gli occhi erano neri, spagnoli, pieni di astuzia. Aveva un viso grande e complesso, con un naso un po’ arcuato, labbra sottili, capelli neri. [...] L’Arciprete aveva un viso tipico, il più italiano possibile in quegli anni. Altri personaggi: sono Concetta, la bella del paese, Don Cosimino, impiegato delle poste, Maria, la sostituta di Giulia come donna di servizio per Don Carlo, il Sanaporcelle, gli abitanti di Grassano come il tenente della milizia Decunto, il ciclista Carmelo Coiro, il locandiere Prisco e suo figlio, il Capitano. Temi: La questione meridionale I contadini della terra di Lucania non appartenevano ai comuni canoni di civiltà, ma erano inseriti in una storia diversa, che ha un sapore magico e pagano, una storia nella quale Cristo non è mai arrivato. L'immersione nella realtà sociologica del confino a Gagliano e la conseguente analisi dei ritmi della tradizione rurale con particolare riguardo ai suoi rapporti con lo Stato italiano, porta, grazie alla grande capacità osservativa dello scrittore-pittore, ad una profonda analisi della questione meridionale, raccordando l'endemica arretratezza ad un'incapacità storica di comprensione reciproca tra un Nord e un Sud profondamente divisi nel tempo e nella storia. In questo contesto, particolarmente interessante risulta la lucida contestualizzazione del fenomeno del brigantaggio. Messaggio dell’autore: Penso che voglia far conoscere ai suoi contemporanei le condizioni in cui vivevano gli abitanti del Mezzogiorno, per denunciare il bisogno di un intervento da parte dello Stato. Un possibile piano di questo intervento lo fa apertamente anche lui, nella parte finale del libro.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved