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Critica d'arte e buongoverno, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Sintesi di alcune pagine della “Critica d'arte e buongoverno” di Roberto Longhi, utilizzate per la bibliografia del corso di Catalogazione e lavoro nel campo della storia dell'arte.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 04/02/2022

msbeacic
msbeacic 🇮🇹

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Scarica Critica d'arte e buongoverno e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! CRITICA D’ARTE E BUONGOVERNO. EDITORIALE. I CATALOGHI DEI MUSEI. Nel 1951 viene pubblicato il catalogo della National Gallery redatto da Martin Davies, riguardante l’arte del Trecento e del Quattrocento. Questo catalogo fu subito portato all’attenzione di Roberto Longhi, che veniva informato della sua pubblicazione grazie ad una lettera inviatagli da un suo amico che viveva nella capitale inglese. Il catalogo viene descritto come lavoro incomparabile e si auspica che un modello del genere possa, un giorno, essere pubblicato e redatto in Italia. Longhi conviene con l’idea che questo tipo di catalogo sia unico nel suo genere ed è convinto che possa piacere ad Antonio Fornari, critico d’arte della Voce Repubblicana, che sosteneva che un catalogo di galleria fosse utile solo dal punto amministrativo. Al contrario, Longhi affermava che un catalogo di una galleria dovesse possedere anche una parte dedicata alla critica delle opere presentate. Ovviamente, il catalogo di Davies dava ragione all’idea di Fornari; ed è proprio qui che Longhi fa una critica alla metodologia dello storico inglese. Eppure, Roberto Longhi riconosce l’importanza di determinato metodo di ricerca, poiché utile per rintracciare i dati identificativi delle opere, così come riconosce che Martin Davies lavori in modo minuzioso, andando a ricercare i dettagli più particolari di ogni singola opera. Ad esempio, si documenta e fa ricerca su che tipo di legno sia stato utilizzato come supporto, quale sia il sesso dello sparviero dipinto da Jacopo de ‘Barbari o, addirittura, identifica tutti i santi del Paradiso rappresentati nella predella di Beato Angelico per la chiesa di San Domenico a Fiesole. Spesso le voci di catalogo scritte da Martin Davies diventano dei veri e propri trattati a sé. Un esempio è il testo scritto per la Vergine delle rocce di Leonardo, in cui si attesta che è la tavola di Londra ad essere l’originale, realizzata da Leonardo nel 1483, e non quella conservata al Louvre. Questa presa di posizione è data dal fatto che il Davies preferisca l’evidenza documentale. Lo scetticismo di Martin Davies, sempre vigile di fronte ai documenti, non manca quando si tratta della biografia degli artisti, che spesso viene minimizzata a poche tracce di documenti e segnature già accertate. Viene da chiedersi come mai Davies non abbia continuato la ricerca lui stesso. Il fatto è che non appena c’è il bisogno di un suo giudizio critico o storico, Davies perde l’interesse. Tant’è che egli stesso, nella prefazione, dichiara che nel suo catalogo viene dato meno spazio alle vicende attributive. Per Longhi, qui sta il problema di Martin Davies. Lo storico inglese non sembra convinto del fatto che le opinioni sui dipinti siano fatti storici e che, perciò, il tracciarne l’intera vicenda non sia necessario affinché si ricostruisca un’evidenza documentaria corretta. Persino in una raccolta aggiornata e scelta come quella della National Gallery, dice Longhi, la grande maggioranza delle opere resta comunque di provenienza poco certa e il nome di attribuzione è recente. Ora, chi ha potuto dare le informazioni oggi presenti vicino ai quadri di Londra e degli altri musei del mondo, se non l’occhio del conoscitore? Anche se non ci fossero documenti, i buoni conoscitori saprebbero dividere e raggruppare il materiale esistente finché non venga identificata, prima, una serie di persone contraddistinte; poi la tessitura di rapporti interni tra di esse che si traducono in termini di tempo e di luogo anche se non identici a quelli reali. Insomma, è soltanto quando l’opera diventa un documento certo che, nel catalogo, deve essere introdotta anche la critica vera. Sfortunatamente, questa è la parte più assente nel catalogo di Martin Davies. Tant’è che i pochi i punti, in cui egli prova a dare delle opinioni, sono incapaci di assumere un peso decisivo sull’orientamento del lettore o del visitatore. Tuttavia, questo catalogo resta uno strumento di lavoro insuperabile, un modello che in Italia, all’epoca, non era ancora stato imitato. Esisteva, nel nostro paese, una legge che ordinava agli organi periferici delle Belle Arti di stilare cataloghi del patrimonio in loro tutela, a cominciare da quello delle Gallerie. Eppure, il lavoro era soltanto agli inizi. Addirittura, mancavano i cataloghi dei principali musei o gallerie. Longhi, cita, il catalogo della Pinacoteca Sabauda come il miglior catalogo esistente all’epoca, compilato però nel 1899. Cita, poi, i cataloghi di Brera e del Museo Nazionale di Napoli. Infine, ricorda come sotto la guida di Luigi Serra, lo Stato italiano aveva cominciato ad emettere due serie di pubblicazioni sui musei italiani: cataloghi e itinerari a scopo informativo. Tuttavia, l’opera compiuta non fu di egual peso e i cataloghi apparvero di indubbio valore o, addirittura, inutili. RELAZIONE SUL SERVIZIO DI CATALOGO DELLE COSE D’ARTE E SULLE PUBBLICAZIONI CONNESSE. Longhi insiste sull’importanza del servizio di catalogazione delle cose d’arte, sia per la tutela amministrativa, sia per una conoscenza sempre più sicura e precisa del patrimonio artistico. Su questo riconoscimento, il servizio di catalogazione è andato sempre più ad ampliarsi fino a diventare fondamentale per l’attività tecnica dell’Amministrazione delle Antichità e Belle Arti. Il servizio di catalogazione, inoltre, iniziava ad essere utilizzato come giudizio da esercitarsi sul valore delle opere. Di base, già l’idea di accogliere o meno, un’opera nel catalogo, dava un preliminare giudizio di valore. Così, veniva perfezionata la scheda che vigeva ancora ai giorni di Longhi; essa affermava l’appartenenza dell’oggetto alla categoria generica dell’arte, astenendosi a dare un giudizio qualitativo, che deve comunque essere esercitato per decidere su quell’appartenenza; si limitava, invece, a fornire dell’oggetto dati identificativi. Dunque, il materiale che si andava raccogliendo con la redazione di questi cartellini proponeva l’opportunità di rendere chiari i risultati di ricognizione, consegnandoli in apposite pubblicazioni di carattere scientifico, ovvero: Elenco degli Edifici monumentali, Cataloghi, Inventari, Guide e Itinerari di Musei e Gallerie d’Italia. Quindi, collegamento tra il lavoro di elencazione a fini amministrativi e l’elaborazione scientifica del materiale schedato era molto evidente; tale collegamento doveva essere rafforzato e approfondito in rapporto alle accresciute necessità tecniche e culturali. SCHEDARIO DELLE COSE D’ARTE. Le modificazioni necessarie da apportare alla scheda riguardano i dati identificativi, a scopo amministrativo, e i dati qualificativi, a fine scientifico. Si proponeva:  di aggiornare il criterio della vecchia descrizione dell’oggetto, escludendo gli aspetti troppo vaghi e limitandosi ad inserire indicazioni indispensabili: soggetto e particolarità iconografiche, misure esatte, materiale e tecnica usati. Più che di descrizione, si potrà parlare di dati identificativi. A questi dati dovrà accompagnarsi un documento fotografico. Pertanto:  munire la scheda di un sufficiente documento fotografico. Questa esigenza implicava anche la necessità di riorganizzare rapidamente l’attrezzatura e il funzionamento del Gabinetto e dell’Archivio Fotografico. Il Gabinetto dovrà essere messo in condizione di rispondere alle aumentate richieste derivate dalla nuova formula di catalogazione; l’Archivio fotografico dovrà invece raccogliere una documentazione fotografica sempre più ricca ed estesa. Esso dovrà essere fornito di copie: a. tutte le fotografie eseguite dagli uffici periferici dell’amministrazione b. tutte le fotografie eseguite dalle varie firme commerciali Questa fornitura, del materiale fotografico, in modo particolare delle opere italiane fuori d’Italia, potrà avvenire anche attraverso scambi con Musei e Gabinetti stranieri. Per questa via, l’Archivio fotografico potrà diventare una vera e propria Fototeca di Stato. L’abbinamento tra Archivio di schede e Archivio fotografico suggerisce, allora, un’altra modifica:
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