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Critica, letteratura e società/ Turchetta, Appunti di Critica Letteraria

Appunti/ Riassunto del libro Critica, letteratura e società

Tipologia: Appunti

2015/2016
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Caricato il 19/12/2016

Camilla9797
Camilla9797 🇮🇹

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Scarica Critica, letteratura e società/ Turchetta e più Appunti in PDF di Critica Letteraria solo su Docsity! 27/10/16 Ci sono anche altre correnti per la critica della letteratura, come ad esempio il Decostruzionismo, che volgeva il compito di decostruire un’opera per cogliere tutti i significati. Dopo questo poi si arriverà anche al Nichilismo con Jacque Jerrida. Tutto ciò ci porta verso la questione dell’interpretazione, con l’Ermeneutica, una corrente che insiste molto sul lettore, che analizza un testo all’interno, quindi, della società. Interessa il ruolo svolto dal lettore, che alla fine è colui che avvia e crea il significato di un determinato testo. L’ottica della sociologia si è sviluppata molto negli ultimi anni e ragiona sul rapporto tra critica sociologica (che tratta il rapporto tra letteratura e società, inizia dalla società per valutare poi autore e opera) e la sociologia della letteratura (che è una disciplina che organizza quel metodo. Che si occupa della produzione, della circolazione, dell’uso dell’opera letteraria. Quindi verranno analizzate le istituzioni, come nasce il determinato testo e come circola nelle nostre mani, le diversità di come avviene oggi e di come avveniva allora.). La sociologia della letteratura si occupa di tutti i testi. Il testo è inteso come fatto sociale. E’ il modo in cui la società è nel testo e di come, viceversa il testo influenza la società. Questo approccio è diventato molto importante negli ultimi anni però è sempre stato attivo. Ci si chiede a seconda delle epoche, delle lingue quali differenze comportano in un testo (La risposta occidentale moderna è quella del Positivismo ovvero che, data una ‘razza’ è ovvio che ci sia un diverso risultato culturale. Opposto di Croce). Ci sono opere studiate come documenti sociali, cioè che, leggendo un romanzo conosciamo la società di un’epoca. La letteratura però non è solo uno specchio della vita perché la verità sociale di un’opera non è sempre un valore, non è sempre un realismo assoluto anche se il romanzo (come genere predominante nella cultura occidentale) spinge comunque verso il realismo. In questo ambito come in tutti gli ambiti c’è una tradizione, quindi delle convenzioni ,ad esempio gli autori non fanno parlare i personaggi nel loro dialetto specifico, questo non diminuisce i piaceri dell’opera però si crea questa convenzione con il lettore. Gli autori, immersi nella società, fanno nascere anche una sociologia degli autori. Un modello che gli autori seguono è quello della ‘Comunicazione di Jakobson’ (strutturalista inglese) che parla di 6 posizioni: il mittente, il messaggio, il codice , il canale, il destinatario e il contesto. La letteratura è un caso particolare dell’universo della comunicazione e possiamo riutilizzare questo schema come: Autore, Testo, Lingua, Modalità di scrittura (scritta, orale), Lettore e Contesto. Il codice è anche qualcosa di più oltre alla Lingua, fanno parte anche quei termini tipici di una determinata società che rientrano comuni a tutti, questo richiede una competenza specifica. Tra codice e contesto c’è la tradizione, nella quale l’autore deve creare un mondo in cui il lettore può immergersi, da una parte c’è un dinamismo da parte dell’autore: AutoreTestoPubblico. Ma sia su di noi che sull’autore agiscono delle convenzioni, sull’autore ad esempio c’è la ‘committenza’ ed è condizionato anche dalle attese del lettore, quindi si crea la dinamica: PubblicoTestoAutore. La comunicazione letteraria si svolge in due segmenti: mittente-messaggio e messaggio-destinatario, vuol dire che tutto il processo di creazione di un libro si svolge in tempi diversi, da una parte c’è l’autore che scrive il libro e dall’altra c’è il lettore che lo legge. C’è questa asimmetria. Un testo si può studiare in tanti modi diversi (stilistico, comparato, le fonti ecc.) ,anche la trasmissione può essere studiata in vari modi (editoria, la storia ..) e anche il destinatario (luoghi della sociabilità, il periodo..) L’AUTORE è il nesso tra un testo e la società in cui viene prodotto. L’autore nasce in una società e crea un testo che si svolgerà in un ulteriore società. L’autore prima nasce come uomo e poi diventa scrittore. Il mondo personale e il mondo delle opere di uno scrittore sono due mondi diversi. Ogni testo subisce diversi passaggi prima di arrivare al lettore (scritto, pubblicato, traduzione, ritraduzione, estratti ecc.) questa è la mediazione editoriale. Ci sono opere di autori sconosciuti, o di autori non originali, scritti da altri, quindi ci sono diversi tipi di autore. Le idee su questo personaggio sono cambiate nel tempo, quando c’era la trasmissione orale ad esempio, l’autore era una figura meno rilevante era solo colui che trasmetteva. Fino a Dante gli autori non erano individui ma Autorità, possessori di un sapere. È solo durante il rinascimento che si rivoluziona l’idea di autore, durante il romanticismo (1700/1800) l’autore si pone in primo piano (Le confessioni di Rousseau apre il mondo autobiografico) e si bassa sulla tripla identità: narratore, autore e protagonista. Fino a quell’epoca c’era un’idea diversa di proprietà intellettuale (i plagi erano all’ordine del giorno). Lo statuto professionale dello scrittore è diffuso con la nascita del copyright. Queste difficoltà diminuiscono dopo l’unità d’Italia. Prima dell’epoca moderna non si comprava l’opera ma si comprava l’artista più tardi invece prenderà forma il mercato editoriale dove il pubblico diverrà il mecenate dello scrittore ed è grazie al pubblico che lo scrittore si arricchisce (Zola: È il denaro che ci ha resi liberi). Nella società moderna capitalistica invece si finanzia attraverso i diritti, si segue un contratto che può essere o diretto o in base al numero di copie vendute o entrambi. Per leggere un testo bisogna conoscere l’autore? Dipende, quello che conosciamo dell’autore influenza la nostra lettura però è vero che noi non leggiamo per arrivare a conoscere l’autore. Poi si aggiunge anche il problema della differenza tra realtà e realtà dell’opera. Spesso le storie letterarie, come quindi ci viene insegnata la letteratura, sono organizzate come sequenze di autori (si annulla il rapporto con l’opera). La storia della letteratura inizia nell’800 e viene utilizzata come convenzione politica, serviva per dare un’identità culturale per chi andava a scuola (unità d’Italia), la letteratura è stata utilizzata come scelta politica perché considerata formidabile per dare una coesione alla società. Nella storiografia letteraria sono importanti i cambiamenti del metodo di studio. All’inizio si studiava solo storia militare e economica, ci sono aspetti che ora vengono trascurati e viceversa. La scelta di periodizzare ogni cosa è sempre una scelta politica. MARX Nasce nel 1818 e muore nel 1883 a Londra. Fondatore del socialismo utopistico ha avuto un forte impatto con molte culture del mondo. Sul rapporto tra cultura e società non abbiamo delle riflessioni specifiche ma ne abbiamo molte sparse che poi sono state raccolte negli anni 60 in Marx: scritti sull’arte a cura di Salinari. ‘Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere ma è il loro essere che determina la loro coscienza’ . Per Marx tutto deriva dalle condizioni materiali, esiste una struttura economica ed esiste una sovrastruttura ideologica. Secondo lui la storia della società è una continua lotta di classe (dove non si ha niente da perdere se non la propria classe). Marx usa il termine ideologia parlando della visione del mondo come mistificazione, mascheramento della realtà. Dice che ogni ideologia si tende a rappresentare come totalmente indipendente, come frutto autonomo degli intellettuali. Marx fonda la ‘scuola del sospetto’ dove ogni società tende a giustificare le condizioni presenti infatti vorrà una società senza classi, senza divisione del lavoro e senza proprietà privata perché dice che l’alienazione impedisce lo sviluppo dell’uomo. Gli oggetti di questa teoria possono essere usati o come valore d’uso o come valori di scambio. Per interpretare la cultura di una determinata epoca, in questo caso quella di Marx, bisogna partire da due concetti base: struttura, ovvero le basi materiali della vita, i rapporti di antagonismo tra le classi, la proprietà dei mezzi di produzione, la dimensione economica e i rapporti economici della società, e sovrastruttura di cui fanno parte invece le leggi, la politica, il sacro, la religione e tutte le manifestazioni della cultura comprese arte e letteratura. Quindi la letteratura equivale a sovrastruttura che dipende però dalla struttura quindi dalle condizioni socioeconomiche. Questa interpretazione è stata ripresa e reinterpretata da molti critici, alcuni sono caduti in un’interpretazione deterministica cioè se c’è una certa struttura dipenderà una certa letteratura. E così hanno sovrapposto giudizio estetico e giudizio politico. Marx e Engels non hanno mai fatto un consumo italiano di questo periodo Sandokan e anche Jules Verne). In nessuno di questi generi c’è una produzione nazionale italiana consistente e credibile però i lettori che richiedono questo sono sempre di più ed è in questi nuovi lettori che bisogna cercare una base per una nuova letteratura che soddisfi le loro esigenze. Nella letteratura in Italia ma anche in ogni altra cosa italiana non troviamo un ‘nazionale popolare’ . L’unica cosa è il melodramma nella musica. E’ attraverso il melodramma che si inizia ad imparare l’italiano in Italia. Noi siamo succubi di un’egemonia straniera. G. nota come a livello popolare il popolo spesso guarda molto di più al nome dell’eroe rispetto a quello dello scrittore stesso. L’eroe acquista la validità del personaggio storico e quindi da qui nascono le serie. G. chiama l’eroe ‘super uomo’ che sembrerebbe un termine preso da Nietzsche però lui si ispira al Conte di Montecristo e dice che anche N. si è ispirato a lui. Però eliminando il melodramma soprattutto dai romanzi che si diffondono questi tipi di ideali (fuga dalla realtà, piccoli borghesi che vogliono fuggire verso una realtà di gloria e eroismo). Il romanzo però è trattato di più da un altro autore, un sociologo tedesco degli stessi anni di Gramsci: BENJAMIN WALTER Tedesco di origine ebraica, nato nel 92 in un contesto diverso da quello di G., B. nasce a Berlino una famiglia di borghesia ebraica. Viene associato alla scuola di Francoforte però ha delle diversità da essa. La S.d.F. è un gruppo do sociologi che partono dal Marxismo e lo integrano ad altre teorie e alla sociologia. Ragionano sulla società di massaindustria culturale. L’idea di fondo è quella per cui l’industria culturale provoca l’alienazione (Adorno) e degrada l’arte e la letteratura che vengono poi mercificate. B. è d’accordo solo in parte. Questi studiosi elaborano le loro idee durante un periodo difficile, vanno in esilio e lasciarono la Germania e andarono a Parigi fino agli anni 40 (quando la Germania occupa la Francia) dove cercheranno di andare negli USA ma in Spagna vengono scoperti e Gramsci pur di non cadere nelle mani dei nazisti si uccide. Le sue idee sono diverse rispetto a quelle della S.d.F. e lo notiamo nella sua opera l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica’. Partono dallo stesso presupposto la constatazione di una perdita. Cos’era un tempo l’esperienza estetica? Era un’esperienza che aveva a che fare con qualcosa di autentico, in una dimensione quasi sacrale. Definisce la sua aura come l’apparizione improvvisa distante e ora con l’industria culturale è cambiata, la tecnologia consente la riproducibilità di un’opera e questo stravolge il rapporto che abbiamo con essa. Nell’epoca della riproducibilità crolla l’unicità dell’opera d’arte, crolla l’arte, lui confronta il teatro al cinema dove la pellicola riprodurrà sempre lo stesso film. Questa situazione può essere interpretata in vari modi. La scuola di Francoforte la vede in modo solo negativo mentre B. dice che la caduta di quest’aura ha un’ambivalenza, causa in noi una sorta di straniamento che può aprire nuove strade all’arte. B. rifiuta la mercificazione da un lato però dall’altro dice che non ci dobbiamo opporre ad essa perché questi nuovi mezzi possono essere portatori di una nuova conoscenza e di una coscienza di classe. La caduta dell’aura potrà portare alla democratizzazione della cultura. B. prende come esempio Baudelaire e sulla Parigi di Baudelaire. Poco prima della morte scrive un saggio chiamato Di alcuni motivi che sarà poi pubblicato dopo la guerra. Era molto famoso anche all’estero, nel 62 viene pubblicato l’ Angelus Novus (si ispira a Klee) ovvero l’angelo della storia, il vento lo spinge avanti ma la testa continua a guardare all’indietro. Lui voleva Parigi ‘capitale’ di un epoca , laboratorio dell’uomo moderno e questo lo ritroviamo appunto nella poesia di Baudelaire. Questa poesia è per lui una profonda geniale anticipazione di un’arte priva di aura. Analizza il poemetto ‘Perdita d’aureola’ dove un passeggiatore perde la sua aureola per strada, tra le carrozze, nel fango della vita moderna, e la lascia lì così che adesso poteva fare quello che voleva e andare in un bordello (rappresentazione dell’amore mercificato). Sono due i poeti fondamentali per capire la società moderna, da una parte Baudelaire con I fiori del mare 1857 e dall’altra Foglie d’erba di Whitman. Whitman si voleva far interprete di molto mentre Baudelaire è l’opposto perché ha il disprezzo verso la borghesia. B. ci parla di questa ambivalenza, la città moderna era completamente diversa da quella delle campagne. I 2 poeti devono far conto dell’avanzata delle masse e della folla. La folla diventa un personaggio, c’è un’idea diversa di folla, diventa pubblico. Lo scrittore scrive per essa. La letteratura quindi deve mescolarsi alla folla e perdere l’aura. B. insiste molto sull’esperienza dello shock dato dall’esperienza reale ed è lo shock che si acquisisce quando apprendi la modernità. Ciò che distrugge e mette in discussione le nostre credenze più radicate, quando si entra nel vortice della modernità urbana (in Baudelaire c’è anche uno shock linguistico). Per B. La poesia dei fiori rappresenta la trasformazione di questo universo urbano che modifica noi stessi e anche la nostra percezione del tempo. Però è fondamentale il romanzo quindi per capire a fondo una società dobbiamo parlare delle idee di un critico russo: BACHTIN Lui è fondamentale per capire il ruolo dei romanzi all’interno della società. E’ del 1895, nato anche lui lontano dalle città, in una cittadina a 400 km da Mosca. Poi si spostò in Lituania, poi a Odessa e poi dal 1917 si ritira a Vitebsk (patria di Chagall). Bachtin delinea la sua filosofia di dialogo: l’essenza del linguaggio è la struttura che fonda la nostra identità. Lui riprende molto Dostoevskij, parla di lui in un libro ma poco dopo viene arrestato considerato un dissidente e viene mandato nei gulag. Volevano sapere notizie del suo circolo letterario. Venne esiliato in un paesino sperduto della Russia ma fu fortunato e trovò lavoro come insegnante, in questo periodo scrisse dei libri che poi saranno pubblicati dopo la guerra. Quando arriva ai 70 anni circa torna a Mosca e venne riscoperto e i suoi libri cominciarono a circolare in tutto il mondo. Nel 65 venne pubblicato un libro del 40 in cui affronta la cultura del carnevale L’opera di Rabeais e la cultura popolare: riso, carnevale e festa’ B. dice che il carnevale nega in modo radicale tutto ciò che ritenuto sacro e inattaccabile. Il carnevale dissacra, toglie il fumo, è radicalmente critico nei confronti di qualunque sapere. Non prevede distinzioni tra attori e spettatori, tutti nel paese partecipano e tutti mettono in scena una sorta di mondo alla rovescia (abolire l’ordine gerarchico, unire sacro e profano). Tutto può essere parodia ma per un dato momento perché poi torna alla normalità. In questo momento però viene alla luce la cultura popolare che rievoca i valori dal basso (corporale, grottesco ecc.) . B. dice che il romanzo è l’erede di questa tradizione carnevalesca, li rende familiari, li smaschera, il romanzo moderno nasce dalla carnevalizzazione della letteratura cioè dall’abolizione di ogni vincolo. Il romanzo non ha regole a differenza dell’epica, il romanzo è l’unico genere in divenire, ancora incompiuto. Gli altri generi nascono nella storia (hanno origini orali), il romanzo invece nasce nell’epoca moderna e resta limitato al mondo della scrittura. Il romanzo non ha una lingua unitaria, c’è una mescolanza di vari strati del linguaggio. Di questo ne parla in La lingua come concezione del mondo scritto alla fine degli anni 30. Ciascuno di noi quando usa il linguaggio utilizza uno strumento che non gli appartiene del tutto ma gli preesiste, comunicare è citare parole altrui che noi percepiamo come già riempite di contenuto ma ogni volta che le utilizziamo gli diamo un nuovo orientamento. Qui nasce un nuovo concetto, quello di plurilinguismo/dialogismo Nel romanzo moderno il plurilinguismo diventa un elemento primario, nel romanzo è proprio tipica la mescolanza di stili/lingue ma quando parla di dialogismo intende un'altra cosa: le parole hanno l’aroma dei contesti sociali in cui vivono, i protagonisti dei romanzi sono uomini che parlano, immersi nella storia, le loro parole riflettono un loro punto di vista sul mondo, quindi sono sempre degli ideologi (come Gramsci diceva che ognuno di noi è un intellettuale). I dialogati sono sempre fatti tra due o più persone quindi tra due o più lingue (intese come linguaggio, anche quando è sempre italiano, perché l’esprimersi tradisce sempre la nostra appartenenza sociale, geografica, d’età... e stratifica il nostro linguaggio) La parola del romanzo è bivoca ovvero noi scorgiamo due significati, vediamo quello che fa e pensa il personaggio ma anche ciò che l’autore vuole farci vedere, due intenzioni che a volte possono scontrarsi. La caratteristica del romanzo è la polifonia di voci che dovrebbero armonizzarsi all’interno di esso. B. oppone il romanzo ai generi alti della tradizione (come l’epica). Questi generi sono più vecchi della scrittura e del libro (orali). Il romanzo invece è più giovane ed è adatto alla lettura muta e ci arriva solo attraverso la scrittura e alla stampa. Il romanzo non ha un canone, è metamorfico. I tentativi di chiuderlo in una definizione sono destinati a fallire quindi B. definisce ciò che NON è un romanzo confrontandolo all’epica (nell’epica si utilizzavano i versi mentre il romanzo è in prosa, nell’epica c’è un’idea differente di ‘autore’). B. indica 3 peculiarità che differiscono il romanzo: 1)Il plurilinguismo/dialogismo 2)Vicinanza: Nel romanzo si ha un cambiamento radicale nelle coordinate temporali. L’epica si occupa del passato, fonda e conferma la tradizione. L’epica ci parla di un mondo separato dal nostro, che per noi è inaccessibile, fatto per essere venerato e celebrato. E’ un mondo sacro, esiste anche una distanza epica, che nel romanzo crolla. Il romanzo ci parla del nostro tempo, si, ci sono anche romanzi storici ma la vicinanza non è intesa solo cronologicamente ma perché ci parla di cose a noi vicine pur essendo lontane, ci sono comunque familiari, quotidiane perché il romanzo affonda le sue radici nei generi bassi e parla di un presente o di un passato che ha contatti con il presente stesso. 3) Incompiutezza: Nel romanzo esplode una realtà ‘non ufficiale’, i personaggi sono colti in vesti non ufficiali. In ambito epico il presente era una realtà inferiore, col romanzo il passato è un passato che ha effetti sul presente. <Nel romanzo non è ancora stata detta né la prima né l’ultima parola>. Nel romanzo il significato dobbiamo scoprirlo, entra in scena il dubbio. Ha potenzialità di vario tipo. Questa incompiutezza porta a una compiutezza a livello dell’intreccio. C’è un inizio, uno svolgimento e una fine. Nell’epica si può ‘iniziare a piacere’ e la fine anche. L’epica resta conclusa anche senza una fine. B., come G., vedeva la centralità del romanzo nel sistema di generi. ‘Romanzo’ è un termine che può avere tante accezioni, all’inizio indicava una lingua neo-latina, un volgare in opposizione al latino: una lingua romanza. Poi passa ad indicare la lingua cortese in versi e ancora dopo indicherà i romanzi cavallereschi. E’ solo nel 700 che indicherà un romanzo come lo indichiamo noi. L’affermazione del romanzo ha dato luogo a effetti clamorosi, ha sconvolto il sistema dei generi. Il romanzo si distingue perché non esce e non torna nella tradizione orale. Il romanzo trascende la nozione di genere, è polimorfa, ibrida. Non ha un ‘antenato’ o un ideale a cui fare riferimento. Il romanzo nega l’idea stessa di genere. E’ da qui che nasce la condanna stessa del genere romanzo in certe culture (che è una doppia condanna). Il romanzo evoca una censura sia di tipo estetico che di tipo morale perché il romanzo mente, non racconta la verità, è falso e frivolo, può corrompere i costumi (le donne iniziano a leggere da sole e compaiono in mente idee prese dai romanzi) senza il controllo sociale. Molti autori ci pensavano prima di andare a scrivere il romanzo però si sviluppano velocemente perché c’era un pubblico più ampio. Il romanzo non ha un canone però è possibile trovare 5 enunciati che possiamo associare tipicamente al romanzo: E’ in prosa E’ una narrazione, racconta qualcosa Può avere rapporti di vario tipo con la realtà ma ci deve essere un nucleo finzionale. Costruisce un mondo (uguale o diverso dalla realtà) E’ un testo di considerevole estensione(Con l’eccezione di Manganelli, 100 piccoli romanzi) È solo nel 700/800 che troviamo le 3 caratteristiche di Bachini. Il romanzo si oppone anche alla novella, altro genere sviluppatosi in ‘ogni’ cultura (come base in Italia si pone Boccaccio). Per il romanzo l’Italia arriva molto in ritardo e lo vediamo con: WATT prospettica, punto di vista dal quale si raccontano le vicende (flusso di coscienza o mondo interiore ecc.). Ci sono anche cose irreali, raccontate però in modo completamente realistico (Kafka). Questo allarga l’idea di realismo. I romanzi si incaricano di dare un senso alla realtà quotidiana che ci circonda, inventano un destino e un ‘come va a finire’ che noi non abbiamo . L’autore he più insiste su questo concetto di realismo è: AUERBACH Lui dice che esistono criteri per definire una realtà credibile e riflette sul modo in cui essi modificano il nostro modo di vedere il tempo. Questo lo scrive in Mimesis. Nasce nel 1882, anche lui è tedesco e ebreo come Benjamin ma ha una formazione diversa perché era un filologo. Nel 1937 scappa in Turchia a seguito delle persecuzioni raziali e insegna all’università di Istanbul fino al 46. ‘Mimesis’ vuol dire imitazione/rappresentazione, verosimile. In italiano è tradotto con Il realismo nella letteratura occidentale ma in realtà dovrebbe essere la rappresentazione della realtà. Lo scrive a Istanbul durante la guerra in una città che fa da ponte tra oriente e occidente dove non aveva la sua biblioteca a portata. Questo favorì la realizzazione di una sintesi di straordinaria portata. A. prende in considerazione tutte le letterature europee. E’ una rassegna che tiene in considerazione il modo in cui viene rappresentata la realtà nelle varie letteratura. Comincia dalla cicatrice di omero fino alla scena di Virginia Woolf in cui c’è la misurazione di un calzino per bambini. Scrive questo libro ‘per campioni’, estrapola un estratto di un libro che ritiene importante e lo esamina. Costruisce i rapporti tra il brano e l’opera, l’opera studia il variare dei modi di rappresentare la realtà. Il realismo è una convenzione, è storicamente variabile e cerca di vedere se ci sono delle regole di base e perché esse cambiano. I vari modi vengono individuati tramite la teoria dei livelli stilistici di rappresentazione. Questa teoria può essere resa attraverso la ruota di Virgilio. Ne parla in Mimesis, e rappresenta la separazione degli stili. Individua una logica del cambiamento. A. individua i vari modi della rappresentazione della realtà attraverso la teoria dei livelli stilistici. Sono idee organizzate per la prima volta nel medioevo, dove avevano usato Virgilio per individuare 3 livelli. L’idea è: dato un certo argomento bisogna usare un certo stile. Quindi in ogni livello viene individuato ciò che è più adatto. Stile sublime: (Eneide), siamo nell’ambito dell’epica, con argomenti tragici e seri, con personaggi nobili. Stile medio: (Georgiche) si compone di argomenti quotidiani e ci possono essere delle persone comuni con un livello stilistico adeguato. Stile umile: (Bucoliche) qui si può scendere anche al grottesco e al comico e si parla in volgare. Questa è la teoria della separazione degli stili. I classici canonizzano questa separazione, diventa un principio e viene ripresa in ogni corrente classicista. La realtà quotidiana poteva trovar posto solo nella cornice di uno stile adeguato (umile9. Questa regola è una regola di lunga durata ma che viene periodicamente infranta nella cultura occidentale, si alternano fasi di separazione e mescolanza degli stili. La prima breccia di questa teoria si ebbe alla fine del mondo antico con la diffusione del vangelo. Con questa mescolanza spregiudicata di realtà quotidiana e tragedia si rompe la teoria, mescola quotidiano e sublime. A. riconosce l’importanza culturale di questa rottura. Cristo è salvatore dell’umanità e allo stesso tempo è figlio di un falegname. E’ scritto poi in modo da esser capito a tutti (quando dovrebbe seguire lo stile del sublime). A. studia Dante per introdurre la nozione di realismo figurale. Dice che già nel medioevo c’era il realismo però in modo diverso da quello odierno. Il realismo figurale è quando succede sulla terra un fatto ma questo prefigura anche qualcos’altro. Cioè ha anche un altro significato da riconoscere. Nel medioevo era un realismo religioso, quello moderno no. Il realismo di Dante è sia concreto che allegorico, questo è il realismo medioevale. Il realismo moderno è opposto a questo e si oppone alla teoria. Possiamo parlare di romanzi moderni dall’inizio dell’800 (con Balzac ecc.). E’ un periodo di mescolanza degli stili, è connessa quindi la rigida imitazione delle storie antiche. Ora col romanzo dell’800 diventano oggetto di rappresentazione seria/tragica delle persone comuni colte nella vita quotidiana condizionata dal contesto in cui vivono. Cambiamento fondamentale che infrange la teoria e dura tutt’ora. E dura perché il moderno è l’epoca del romanzo e il romanzo è l’idea dell’ibrido e salta la ruota di Virgilio e le distinzioni gerarchiche di stile. Il romanzo si è spinto molto in là col realismo nell’800’Verismo’, ‘Naturalismo’ allargano i confini del rappresentabile, la povera gente può diventare protagonista, ‘invasione di brutti’ c’è la rappresentazione anche di diversi canoni di bellezza, il realismo finisce col mettere a fuoco anche il brutto, gli aspetti meno nobili dell’umanità. E lo fa senza fini comici. Verso la fine dell’800 A. ci mostra come questo realismo entra in crisi. Lui chiude il suo percorso con la scrittrice Virginia Woolf. Questo realismo entra in crisi perché nel narrare entrano scene sulla vita interiore. Parla della W. (1882-1930/40) perché è fondamentale per far vedere l’ultimo cambiamento del realismo e lo notiamo in ‘Gita al faro’ che è costituito da 3 pannelli uniti attraverso questa gita. Questa famiglia nel 14 progetta una gira al faro e al figlio piccolo sembra un luogo magico, ma visto che si scatena la guerra c’è l’impossibilità di andarci. I superstiti della guerra faranno questa gita e la pittrice potrà finire un quadro iniziato 10 anni prima. A. estrae il campione dal I capitolo in cui c’è la signora Ramsey che ha promesso al figlio la gita al faro se sarà bello il tempo e preparano dei regali per gli abitanti del faro e prova un calzerotto sul figlio. Ma la testa della signora Ramsey va sul passato e intanto il calzerotto è troppo corto e lei continua a pensare e vengono invocate varie immagini che non ci fanno capire. Ci sono gesti semplici, naturali che occupano il romanzo moderno e addirittura occupano diverse pagine. A. analizza questo, la descrizione di cose semplici che si uniscono a moti interiori. Non c’è tempo c’è più il solito narratore esterno ma è filtrato dal punto di vista dei personaggi. Una volta i narratori ci facevano da guida, tradizionalmente erano onniscienti, erano un’autorità affidabile. Invece adesso si usano ‘forse’, per avvicinarsi alla realtà tramite molte mentalità, vari punti di vista in base ai quali la signora Ramsey viene osservata. La W. Fa uso del flusso di coscienza, monologo interiore. Si contrappone il tempo dell’orologio e quello della memoria, solo la memoria può connettere. La base del realismo moderno è proprio la misurazione del tempo, la realtà dura meno della lettura delle pagine perché ci sono delle digressioni. Quello che succede nella testa è molto più ricco di ciò che succede fuori. I personaggi pensando portano all’analessi, ai flashback, del tempo interiore. Il fluire della coscienza porta passato, presente e futuro e il romanzo cerca di metterlo tutto in una pagina. Il calzerotto è solo un movente, l’importante è ciò che fa nascere nella testa. Anche Proust in Alla ricerca del tempo perduto, insiste sui ricordi provocati anche da fatti minimi come un biscotto inzuppato nel tè, che gli ricorda la zia e lo porta nel tempo dell’infanzia. P. parla in prima persona e gioca sulla differenza tra il sé reale il sé che racconta. Confronta sempre ieri e oggi cercando di vedere come cambia la nostra visione delle cose tra presente e passato. Nel 20esimo secolo esplodono narrative soggettivistiche, gli uomini sono più consapevoli delle varietà di culture. Nell’800 tutti i dettagli erano funzionali alla storia, avevano un senso per qualcosa che sarebbe dovuto succedere. Nel romanzo del 900 invece no, hanno un’importanza in sé. Joyce nell’Ulisse parla delle 24 ore di un personaggio qualunque, anche qui c’è la stratificazione dei ricordi. Questo è un grosso cambiamento nella letteratura perché dice che qualunque elemento della vita può contenere cose importanti. Questo realismo mostra la profonda dignità della vita quotidiana. Il realismo si trasforma perché è cambiata l’idea di individuo. La letteratura è un’arte che si basa sull’idea del tempo, ci parla di eventi in una successione temporale, questo ha spostato l’obbiettivo sul lettore. Non ci si può limitare all’analisi, contenuto ecc. ma bisogna tenere presente che è un fatto sociale, che i libri circolano all’interno di una società. La letteratura è un processo e possiamo riconoscere un progetto dello scrittore, un mezzo per produrre il progetto e anche un destinatario. Questo lettore si può considerare in diversi modi: si può considerare sia la sua psicologia individuale che considerarlo come membro di una società. La lettura è un processo che costruisce il senso delle cose tramite continui sguardi nel presente e nel passato. Questo l’hanno studiato soprattutto i teorici della ricezione della Scuola di Costanza (anni 60-70) però questo problema è più antico, già Aristotele ne parlava. I testi distanti oggi rischiano di perdere immediatezza quindi per farli tornare si danno delle nuove interpretazioni, delle ricezioni, ci sono dei mediatori quindi tra noi e il testo se vogliamo un ponte tra noi e il passato. Dopo l’invenzione della stampa ci sono state le traduzioni di Lutero. Anche nell’illuminismo ci sono. Il soggetto diventa importante. Uno dei poeti più famosi del 900, Valerì disse che i suoi versi hanno un senso che uno gli da, siamo noi che gli diamo un senso. SARTRE (1905-1980) E’ un precursore della scuola di Costanza. Nasce a Parigi. E’ uno dei maestri dell’Esistenzialismo, mette l’uomo al centro. Insiste sul concreto esistere. Dopo il 1945 accentua i suoi caratteri etico/ politici dell’esistenza e ne fede una vera e propria dottrina dell’Impegno. Divenne l’emblema dell’intellettuale europeo affascinato dalla Cina. Riprende sempre il concetto della responsabilità dell’uomo nelle sue azioni (Rifiuta il Nobel). Scrive anche libri teorici legati all’interpretazione ‘che cos’è la letteratura?’, vuole porsi delle domande diverse dal passato. Esce nel 47, c’è un clima ottimistico di lasciarsi alle spalle le tragedie. Il titolo è generico, inizia con ‘Perché si scrive?’ e spiega che ci sono tanto motivi ma la spinta di fondo è quella di essere essenziali di creare un mondo alla quale diamo un ordine. Dentro di noi sappiamo sempre che si può cambiare l’opera. Quindi dice che la letteratura è una strana trottola che esiste solo quando è in movimento, cioè per farla nascere occorre un atto concreto la lettura. Al di fuori della lettura esistono solo macchie nere sulla carta. La letteratura esiste grazie a noi. Non si colloca alla fine della catena ma al centro tra autore e lettore, scrittura e lettura sono due aspetti di un unico evento. Lo scrittore non può collaudare quello che scrive perché se si rilegge sa già quello che l’aspetta. Gli manca il punto cruciale dell’attività di lettura porre delle ipotesi su quello che potrebbe succedere. Allora entra in gioco il lettore. Si dice che dallo sforzo congiunto di queste due identità nasce l’opera. L’arte esiste per gli altri e per mezzo degli altri. Nella lettura da una parte abbiamo il lettore che da una parte di realtà all’opera perché svela e crea un’opera. Supera quei piccoli vuoti di senso che il testo propone. Tutto è da fare e tutto è già stato fatto. Lo scrittore è costretto ad affidare ad altri il compimento della sua opera. Fa appello al lettore, che mette in pratica il messaggio. Il lettore non è passivo. Il libro esige la nostra libertà. Diventa un fine. L’arte non esiste se non la si guarda/legge. La nostra vita è una condanna a continue scelte però i sentimenti che proviamo leggendo li prendiamo in prestito e facciamo questo patto perché ci immergiamo in essa, è un sogno libero ma possiamo scegliere se crederci o no. Nella lettura quanto più sentiamo la nostra libertà tanto più riconosciamo quella altrui. L’opera è sia esigenza che dono perché nasce dallo sforzo congiunto di due libertà creatrici. L’opera è un imperativo morale, perché ci fa entrare in un mondo. Se amiamo questo mondo rappresentato, leggendo, desideriamo appartenga alla realtà. Se invece ci indigna, leggendo, scaturisce in noi il desiderio di cambiare quel mondo. Perché leggere attiva una componente emotiva, è un atto di generosità in cui prestiamo i sentimenti. Queste idee portano conseguenze paradossali. La letteratura portatrice di razzismo ecc. ci porta il desiderio di cambiare questo mondo. Secondo S. è impossibile scrivere un capolavoro esaltando il razzismo, l’antisemitismo. S. dice che sarebbe paradossale. Nel momento in cui collaudo la mia libertà sarebbe assurdo che io esalti l’asservimento di un uomo su un altro. Scrivere è sempre scrivere per qualcuno. La libertà di scrivere implica la libertà del cittadino (non si scrive per gli schiavi). S. si pone anche un’altra domanda ‘Per chi si scrive?’ Risponde dicedo che si scrive per un lettore universale, tutti gli uomini, ma soprattutto per i contemporanei. Fa un esempio con il libro ‘Black boy’ di Wright (1945) che parla di protesta contro la situazione dei neri in America. A chi scrive Wright? Scrive per questo campo cambia in ogni cultura e nel tempo. Nel primo campo la letterarietà è senza giudizi, un sonetto è un sonetto per tutti. Nel secondo campo ci sono invece delle condizioni, dei criteri d’ammissione (motivi stilistici, scoperte fatte). La teoria della ricezione si biforca: ci sono degli studi che riguardano l’atto individuale della lettura, altri invece insistono sulla componente collettiva. J. Insiste su quest’ultima. Iser invece insiste sulla risposta individuale. E’ un autore che nel 76 scrive L’atto della lettura, una teoria della risposta estetica’ che condivide gli stessi presupposti estetici di J. Però soffermandosi sulal ricezione individuale. Guarda i meccanismi che scattano nel lettore, attivati dal testo. L’opera è un evento, qualcosa che accade, è un processo che prende forma nella mente del lettore. Ci sono due poli, da una parte c’è il polo artistico(il testo, l’opera) e dall’altra c’è il polo estetico(concretzzazione dell’opera nella mente del lettore). Il lettore fa continue ipotesi su ciò che seguirà aggiustandole di continuo e dall’altra parte ricorda quanto precede proiettandoci nuova luce in base a ciò che scopre. La lettura è piena di attese e ricordi continuamente variati, non è solo l’autore che prende decisioni selettive ma anche il lettore concentrando la mente su una determinata cosa o anche scegliendo una determinata interpretazione. Significa che ogni lettura è un attuzione individuale del testo, una singola lettura non può esaurire le proprietà contenute in un’opera. Infatti quando rileggiao notiamo cose che prima non avevamo notato. Queste idee di I. sono sempre più sviluppate in ambito anche scientifico con la psicologia cognitiva. Possiamo distinguere 3 tipi di letteratura: Ingenua: che è quella che scambia la finzione per la verità, è un fraintendimento disponibile: che è quella di chi sa di leggere una storia fittizia ma è disposto a sospendere la propria incredulità accettandola come se fosse vera, c’è un investimento delle emozioni. La scuola di Francoforte era contro quest’investimento, perché volevano una lettura critica. J. Sviluppa invece tutta una tipologia dell’identificazione delle nostre interazioni con l’eroe. Distingue un’identificazione di tipo ammirativo, simpatica e catartica ovvero la nostra commozione. L’arte è una funzione sociae anche perché ci consente di fare investimenti emotivi, conoscere culture che non sono nostre, tempo che non sono nostri. critica: è quella che vuole indagare criticamente mettendo in campo strumenti di valutazione. Leggendo noi partiamo muniti di un certo bagaglio storico culturale che ci portiamo nel leggere e mettiamo in campo delle strategie. Per capire la lettura bisogna andae verso l’interpretazione. Quante ce ne sono di un testo? Quese idee della teoria della ricezione hanno creato un grande dibattito, in Italia abbiamo Umberto Eco che scrive alla fine degli anni 70 Lector infabula e nel 90 I limiti dell’interpretazione . Lui diceva che il testo è una macchina pigra, che ha bisogno di cooperazione da parte del lettore. Mentre lo leggiamo ci rendiamo conto di ciò che dobbiamo fare, diventiamo dei ‘lettori modelli’. Una delle posizioni più provocatorie è quella di Fish. Autore di Cè un testo in questa classe?, risponde di no perché non c’è un solo testo perché chi legge non analizza i signifiati ma i lettori costruiscono dei significati. Ogni nostra percezione è un’interpretazione. Noi vediamo solo ciò che i nostri principi interpretativi riescono a vedere. Ognuno di noi con una diversa formazione valirizza quacosa di più, è come se avessimo degli occhiali. E’ un convenzionalismo assoluto. Abbiamo sempre un punto di vista. Le interpretazioni dipendono dalle istituzioni, esse le legittimano. Le nostre strategie interpretative non sono proprietà di un singolo ma derivano dalla comunità a cui apparteniamo. Apparteniamo a una comunità interpretativa, in questo caso letteraria. Sviluppa questa nozione della comunità scientifica solo applicata al campo letterario dove quindi si creano delle credenze e l’addestramento di chi vuole entrare in una comunità. Questi insiemi variano nel tempo. Le comunità letterarie saranno meno compatte di quelle scientifihe, pochi avranno una competenza attiva ma quella passiva sarà ancora più diffusa. Questo è un concetto in cui si discute moltissimo. Perché sono molti gli studiosi che insistono sulla necessità di ricostruire le modalità concrete di appropriazione dei testi, nel tempo cambiano i modi di utilizzazione, le maniere di leggere. Significa anche ragionare sul modo in cui cambiano i testi, le modalità ecc. E’ fondamentale il paratesto (copertina, titolo, autore ecc.), questi elementi ci orientano prima di leggere. Ognuno di noi può essere orientato a leggere un libro anche per questo. Arrivano nuovi lettori, che non erano previsti e anche significati non previsti. Il lettore è come un cacciatore, cerca e trova significati non previsti dall’autore. L’approvazione è sempre una cosa creativa. L’atto della lettura varia storicamente, anche dal punto di vista fisiologico. Ci sono state varie rivoluzioni della lettura: la prima fu nel passaggio tra la lettura oralizzata a quella silenziosa (medioevo), prima dei copisti. Un’altra tappa è a metà 1400 con l’invenzione della stampa: nelle società antiche il rapporto tra autore e lettore era omogeneo, i lettori erano pochi e di solito rientravano comunque nel campo della letteratura, erano colti. C’erano limiti oggettivi per rendere più amplia la lettura, c’era l’analfabetismo, non c’era il supporto per sviluppare tante copie e in versione economica. Con la stampa le cose cambiano, si possono raggiungere più lettori e crolla l’analgabetismo, nasce la società borghese urbana, c’è sempre più differenziazione del pubblico. Autori fuori dai ceti alti. Un’altra rivoluzione è a metà del 700 con la prima rivoluzione industriale dove nuovi ceti si avvicinano alla lettura, si diffondono i giornali, ci sono libri in formato più piccolo e più economico. Ci fu un ‘furore di leggere’ in Europa. Si passa da lettura intensiva a lettura estensiva. Non si legge più lo stesso libro numerose volte, ma si leggono libri diversi anche per una volta sola, per intrattenimento. Al centro di questa rivoluzione nasce il romanzo e si impone ovunque. Ed è in esso che c’è la letteratura popolare/di massa. Nel sistema letterario abbiamo un primato della prosa e nella lettura mentale. Questa nuova passione per la fiction si diffonde sempre di più a macchia d’olio conquistando sempre più nuove masse. L’ultima rivoluzione è tra fine 900 e oggi ed è dovuta dall’espansione del testo elettronico. L’unico suo precedente è stato il passaggio tra volumen a codex. Nella lettura dal tablet scorriamo dall’alto verso il basso’. L’invenzione della stampa è meno travolgente perché è sempre codex cambia solo la modalità di diffusione. Ci sono altri cambiamenti dovuti alla video lettura. Cambia anche la nostra percezione, non lo percepiamo più come oggetto chiuso ma come testo privo di un luogo specifico. La lettura di sicuro, aldilà delle rivoluzioni, non smette di esistere. La lettura non è più l’unico strumento di acculturazione però. Questo nella teoria della ricezione ha delle conseguenze perché se vogliamo capire il passato dobbiamo tener conto dei vecchi sistemi di supporto. Molte collezioni di romanzi popolari della prima metà del 900 sono irreperibili. Questa esplosione di scrittura segue un secolo in cui scrittori e lettura hanno seguito un boom straordinario. Molti studiosi hanno cercato di recuperare le vecchie modalità. Tra cui: ESCARPIT Nato nel 1918 e morto nel 2000. Ha insegnato quasi tutta la vita all’università di Bordeaux in Francia. Escarpit ha scritto moltissimi saggi, è tradotto in oltre trenta libri. I libri più importanti sono Letteratura e società del 1970 e Sociologia della letteratura degli anni 50. Insiste sul versante della sociologia quantitativa, cioè sugli studi delle ricerche statistiche, sugli acquirenti, sulle strategie editoriali, sui bestsellers. Fu tra i primi a prendere in esame gli aspetti distribuitivi del testo editoriale, il momento della ricezione è inteso anche in termini economici. Il pubblico viene inteso prima di tutto come insieme di consumatori. Questo ci porta ad una riflessione su un ruolo molto importante, cioè quello dell’editore. Nell’epoca della cultura di massa emerge sempre di più il ruolo del produttore dell’imprenditore che spera di ricavare un lucro. E’ dall’editore che passa la sezione dei testi, il processo di continua selezione che l’editore proponeva al libraio che a loro volta scelgono quali vendere e quali no. Il bibliotecario non può comperare tutti i libri, deve sceglierne alcuni. Ma in ogni paese ci sono delle copie di deposito obbligatorio. In Italia ce ne sono tre, una alla biblioteca di Roma, una in quella di Firenze e una a Brera a Milano. A parte queste tre copie i librai e i bibliotecari fanno una selezione che si basa in ambito imprenditoriale sul fatto che l’imprenditore cerca il rischio minimo, il che è particolarmente difficile nell’ambito dei libri. L’editoria libraria è un settore a bassi margini e alto rischio. L’editore deve guadagnare dai lettori che comprano i libri altrimenti fallisce. Ma nel campo librario è difficile prevedere il giro delle vendite. Gli editori come fanno a diminuire questo rischio? Cercano i libri che hanno una vendibilità costante ad esempio quelli che riescono ad entrare nelle antologie scolastiche. Bisogna costruire un catalogo di libri ad alta vendibilità. Se noi però entriamo nelle librerie ci rendiamo conto della grande differenziazione dell’offerta libraria, ci sono testi diversi, autori diversi, per destinatari diversi, questa varietà causa grandi polemiche, si pensa che si stampi troppo ma in realtà questa differenziazione corrisponde ad un aumento della domanda, parzializzazione dei gusti. E’ chiaro che per scegliere ci vuole una bussola ma per orientare ci possono aiutare anche gli editori. Una funzione di orientamento è data dalle collane. Ancora una volta vediamo l’importanza del paratesto. La mediazione editoriale ha un ruolo chiave per l’interpretazione dei testi. La rete propone situazioni diverse in cui si tende a saltare questa mediazione. Questo cambiamento ha delle conseguenze: aumenta la responsabilità del lettore, perché deve trovarsi da solo le fonti affidabili (è una delle competenze di un mediatore). Questo ha cambiato il ruolo dell’editore. E’ difficile considerare gli affari attorno a un libro, si fa merce di caratteristiche difficilmente individuabili. In mezzo, tradizionalmente, c’è un editore che fa da mediatore tra autore e pubblico. E’ l’editore che paga lo scrittore. Nell’antichità non c’erano imprenditori, esisteva già l’editore ma in un modo completamente diverso, gli editori erano sia quelli che stampavano i libri sia quelli che li vendevano. L’autore si rivolgeva a lui per stampare i libri. Oggi questo non è più un compito unico ma è diviso in due: il tipografo e il libraio. Il tipografo stampa e il libraio vende, mentre l’editore trova il libro. Certi editori poi hanno delle librerie, come la Mondadori o la Feltrinelli. L’editore è una figura di coordinamento di vari processi produttivi che sono esterni all’azienda. Oggi l’editore fisicamente non fa quasi nulla, ma decide tutto, coordina, non sempre hanno librerie, vedono in altre librerie però continuano ad avere dei magazzini. Il libraio può restituire i libri all’editore, quindi può permettersi di sbagliare, l’editore invece no. Nel 900, c’è un’espansione verso il basso della letteratura. Anche l’alfabetizzazione arriva in questo periodo. C’è però un abbassamento di livello e un aumento della nostalgia verso il passato. La situazione dinamica dell’Italia rappresenta uno stato fisiologico. Questa estrema differenziazione è normale in una società complessa perché ognuno di noi ha una domanda diversa, esigenze diverse, la modernità porta anche omologazione. L’irrompere di nuove esigenze porta allo sviluppo del libraio e dei libri di intrattenimento perché il lettore a seconda del momento in cui si trova può avere esigenze diverse. Questo ha cambiato la letteratura perché è diventata sempre più ampia e complessa. C’è una relativizzazione dei valori estetici, cioè che i valori estetici sono visti in modo diverso da ogni fascia di pubblico. Così però è più difficile creare dei ‘classici’. C’è stata una democratizzazione dell’istituzione letteraria. Il lettore colto può leggere quello che vuole in base al momento in cui si trova mentre il lettore non colto è confinato nei prodotti che sono alla sua portata. Però anche i prodotti di basso livello hanno delle differenziazioni, a ogni livello i lettori hanno delle preferenze. Su questi temi si sofferma anche: VITTORIO SPINAZZOLA È un critico e sociologo della letteratura milanese (Ancora in vita). È stato tra i primi a introdurre in Italia queste teorie. È autore di La democrazia letteraria (1984) e Critica della letteratura (1952). Scrive un annuario che esce ogni anno dal titolo Tirature nel quale tratta argomentazioni di ogni genere. Parte da un’idea già trovata in Gramsci cioè quella per cui i gusti delle persone vanno esaminati con attenzione. Bisogna fare una distinzione importante, quella di pubblico della poesia, che è molto ristretto (oggi è più importante la poesia della musica), e pubblico della prosa, dove il campo è molto più complesso. Il romanzo è un genere polimorfo e si adatta in modi diversi alla società, ci sono vari generi. L’affermazione del romanzo si deve al formarsi di nuove esigenze, nuovo pubblico e nuova editoria. Molti movimenti ai tempi non avevano avuto molto successo (Verga). Nel 900 ci sono stati molti tentativi di conquistare fasce più ampie di lettori (D’annunzio, Marinetti), cercavano di entusiasmare i lettori senza conoscenze tecniche. Anche il fascismo punta esistere ma non hanno un impatto forte sull’immaginario perché oggi tutto questo è scontato, diventa la norma. Allora alle avanguardie è successo la stessa cosa che succede a un lettore di gialli quando capisce la fine, chiude il libro perché è prevedibile. Le avanguardie sono vittime del loro successo, perché quello che esaltavano è successo, hanno anche trionfato ma come avanguardie hanno esaurito la loro funzione. C’è stata una banalizzazione dovuta al troppo successo e questo dice B. ha costretto gli artisti a dover lavorare sul versante della morale (per scandalizzare), toccare cose intoccabili bambini, religioni. Per fare scandalo sono costretti ad uscire dal campo dell’arte. Questo però ha delle conseguenze, ha partire dagli anni 80 ha preso sempre più piede una rivalutazione della leggibilità, quindi rivalutazione di generi contemporanei (come oggi il giallo). Vediamo come la mediazione dell’editoria non è solo di matrice economica ma anche culturale, deve capire i momenti più propizi. Oggi i generi letterari non sono più ritenuti un ostacolo ma uno stimolo per la creazione. Questo alla fine del millennio scorso, quando si parla di post-moderno, il fatto che ci sia un post- qualcosa fa vedere la difficoltà di definire qualcosa. Il modernismo in Italia non è mai stato trattato (in Francia, Inghilterra, Spagna) quindi come si fa a parlare di post- modernismo? B. infatti parla di post-avanguardie sottolinea il fatto che nasce il fatto del problema di traducibilità, non solo linguisticamente parlando ma anche culturalmente parlando. Ad esempio Gadda sembra quasi rifiutare la traduzione, in contrapposizione a Calvino o Moravia. La mediazione editoriale affida a un esperto la traduzione, ci sono molte differenze di testo e titoli e a volte sembrano romanzi differenti. I testi di culture che circolano in altre culture è una cosa fondamentale. Se guardiamo a un esempio chiaro per tutti: il premio Nobel, ci accorgiamo del tempo di effetto che può avere una cultura tradotta, a vincere questo premio non sono stati sempre gli scrittori più noti in Italia ad esempio, però tradotti possono avere dei riscontri differenti (Renata Viganò, ha avuto più successo in Cina che in Italia). Il critico spesso oggi è anche traduttore, nella cultura contemporanea hanno sempre più spazio gli insegnamenti di letteratura comparata, dove mettono a confronto due letterature diverse. La comparazione tra culture può occuparsi anche di casi semplici, di influenze dirette come Dante/Virgilio, o studiare la circolazione internazionale di un’opera. Si può studiare anche come viene vista un’opera in tempi diversi. Tutti i teorici della ricezione tengono conto di tutto questo e spostano l’interesse sul socializzarsi dell’opera, sulla capacità di raggiungere il pubblico a cui è indirizzata, su come viene valorizzata. Ci riflette molto anche Spinazzola. Perché una società valorizza un testo piuttosto che un altro? (Perché noi studiamo a scuola un testo piuttosto che un altro, qualcun altro l’ha scelto per noi perché?) Empiricamente possiamo riconoscere gli stadi del processo attraverso cui una società attribuisce valore a un testo. In ogni stadio agiscono delle figure sociali differenti. Il primo stadio: ci deve essere un diritto di pubblicabilità, questo lo decidono le persone che lavorano all’interno di una casa editrice. Una volta che lo si stampa bisogna decidere dove metterlo (Secondo stadio), in che collana ecc.. Terzo stadio: il successo editoriale, ci sarà un gruppo più o meno ampio che lo preferisce. Quarto: è il gradino della fama. Non è sempre una cosa positiva, ci sono autori famosissimi che però sono disprezzati. La fama è stima da parte dei lettori che leggono i tuoi libri. Quinto: L’entrata nei programmi scolastici. Questo lo decide il personale tecnico amministrativo, decide questo elenco di testi che si tiene opportuno che le nuove generazioni conoscano. Questi sono i 5 stadi per durare nel tempo, tutti gli altri libri cadono nel dimenticatoio. Di questo ne parla anche Escarpit (anni 70), perché scrive un libro che si chiama Successo e durata delle opere letterarie, lui si chiede se il libro è una cosa duratura. Risponde si, perché lo si rilegge e non è mai la stessa cosa. La letteratura dovrebbe essere un bene di riuso, sia dal punto di vista individuale che da quello della comunità, però la diffusione e la sopravvivenza dei testi letterari non è affatto scontata e dipende da molti fattori. Dimostra che gli indici di sopravvivenza dei testi sono bassissimi, su circa 100000 scrittori francesi, i lettori colti ne conoscono un centinaio, 0,1% per un lettore medio ne conoscono poche decine, quelli più bassi ancora ¾. E la maggior parte di noi ne parla per sentito dire, non per lettura diretta. Oggi la situazione è ancora peggiore, almeno il 95% è destinato all’oblio. Solo un 5% ha la possibilità di sopravvivere e magari diventare un classico (ambito letterario). Il successo è legato a gruppi sociali, anche generazionali, passati questi gruppi la maggior parte degli scrittori tramonta, il loro successo invecchia con il pubblico che lo causa. Un’altra chiave fondamentale del riuso delle opere letterarie sta nella possibilità di essere tradite, magari ritradotti, notando aspetti che una volta non erano stati notati. Le società sono in rapida evoluzione, è un continuo cambiamento di pensiero su quali testi possono ossurgere a una valorizzazione unica nei nostri libri scolastici. E’ fondamentale il concetto di canone: un insieme delle letture. In italiano ci sono Manzoni, Ariosto, Dante ecc. Sono letture ‘obbligate’ per chi va alla scuola dell’obbligo. Su questa c’è molta discussione, soprattutto negli stati uniti dove si studia anche la cultura occidentale, chiedono perché devono studiare questo e non classici americani o anche asiatici? Quali devono essere i classici di una cultura in una società in rapida trasformazione. C’è un movimento anche di tipo geografico, c’è attenzione alle differenze sociali, etnico-culturali, di genere. Questo si intreccia anche con l’attenzione verso prodotti diversi, di intrattenimento, di massa. Si possono avere due reazioni diverse: entusiastiche o di disgusto. Anche in Italia le cose stanno cambiando, da noi si è formato il canone quando si è formata la nazione. All’inizio non si studiava la storia della letteratura ma come si costruivano i sonetti, ogni stato aveva il suo programma ecc. Il canone fotografa l’identità culturale che una nazione vuole darsi. In ogni cultura il canone si muove, si muove di più in corrispondenza di grandi cambiamenti storici e politici. In Italia il canone ha avuto sostanzialmente una sua uniformità e continuità dal risorgimento fino alla seconda guerra mondiale, il fascismo accentuare gli aspetti patriottici che già c’erano dal Risorgimento. Nel canone la parte più importante, fino alla metà del 900, l’ha fatta la poesia, solo dopo il 1945 la prosa narrativa a un’importanza paragonabile alla poesia. Tutt’ora nei programmi scolastici la poesia ha un peso molto superiore che all’interno della società. Abbiamo una lacuna sulla letteratura e la storia moderna, che purtroppo è un buco anche nella società non solo a scuola. Nella scuola italiana c’è sempre stata questa grande frattura con la contemporaneità. Rispetto ad altre culture in italia ha molta più importanza ‘il manuale’ e abbiamo una capacità a storicizzare meglio delle altre culture, però leggiamo molto meno rispetto agli altri. Questo ci porta a tornare sul tema della valorizzazione per affrontare l’ultimo autore: BORDIEU Era un sociologo francese, nato nel 1930 morto nel 2002, elabora una serie di concetti utili per navigare in questo campo. Era originario di Bordeaux, sud-ovest della Francia. Si trova nel processo di colonizzazione, una parte del territorio francese si chiamava Algeria e c’era la guerra per l’indipendenza dell’Algeria. Insegnò in tante università rimanendo lì. Poi tornò in Francia e insegnò a Parigi. E’ il sociologo più influente tra la fine del 900 e i nostri anni, è quello più studiato al mondo. B. insiste sull’analisi delle strutture del potere, sia della letteratura che politico, tutti i poteri che organizzano e gerarchizzano la società nei vari campi a partire dal diritto di parola. C’è un libro suo che si chiama Ciò che la parola e ragiona su chi parla e chi ascolta, siamo sempre di fronte a situazioni di questo tipo, questo dipende dalle scelte di una società. Analizza tutti questi codici, se prendere la parola è socialmente legittimo ecc. Sulla base di questo B. critica Sartre, che parlava di autonomia dell’intellettuale, viene molto criticata da B., dice che quest’autonomia è un’illusione. Rispetto alla filosofia tradizionale fa qualcosa di diverso, punta l’attenzione sull’analisi del funzionamento delle strutture sociali, solo analizzando come funzionano possiamo pensare un giorno di cambiarle se le riteniamo ingiuste. Studia con grande attenzione i meccanismi del dominio in tutti i settori. Prima di negare le gerarchie occorre spiegarle, la sociologia di B. è quindi di tipo relazionale, si basa sui rapporti tra le varie figure in azione nel campo intellettuale. Campo è la base dei suoi racconti, è uno spazio di possibilità in continua trasformazione. Ognuno di noi decide di scendere in uno o più campi e in essi, confrontandosi con gli altri, spende un insieme di valori e competenze, questo è quello che B. chiama gioco sociale. Il gioco sociale in qualunque campo venga esercitato dipende sempre da meccanismi di dominio e concorrenza, non possiamo dire ‘ci piace/non ci piace’ perché questi meccanismi sono al centro di noi, ognuno di noi li acquisisce e li trasforma in una seconda natura, li diamo per scontati, ovvi nella società in cui ci muoviamo. Quest’insieme di condizionamenti li chiama ABITUS, organizza dall’interno i comportamenti degli individui, ci dice come comportarci in ogni situazione, poi uno può ribellarsi. Rendere esplicite queste cose non significa renderle fatali ma servono a chiarire questi meccanismi del dominio, è il primo passo del cambiamento. Ogni campo è un microcosmo, è legato agli altri ma anche dotato di leggi proprie, cioè al suo interno gli individui devono padroneggiarne le regole, i codici specifici e dietro questi ci sono spesso lotte. B. scrive Le regole dell’arte (1992) tradotto da una decina d’anni in italia, lui qui cerca di delimitare il campo della letteratura. Dice che a fine 800 l’arte delle culture europee ha cominciato a cercare di emanciparsi, di rivendicare la propria autonomia. Tanti grandi scrittori hanno cercato di fare questo ‘l’arte per l’arte’. L’arte cercava di diventare un capo autonomo, cerca di imporsi contro delle pretese che arrivano da fuori, contro delle pretese che provenivano da un universo extraletterario. Queste pretese arrivavano dal campo del potere e dal campo del mercato (E’ il denaro che fa la letteratura moderna Zola). Si afferma l’idea di disinteresse, di libertà della creazione contro l’industria culturale. Allora si crea una popolazione che vengono addestrate a riconoscere questi prodotti, si crea una popolazione di amatori, di conoscitori, di esperti che sono in grado di trovare nell’opera la purezza (scuola, musei). L’autonomia dell’arte sia dal punto di vista del produttore che del fruitore è un assurdo, questi per B. sono dei tentativi di nascondere e mascherare le origini sociali di ogni esperienza estetica. Ogni libro che leggiamo, ogni cosa che facciamo ha a che fare con la nostra origine sociale, col nostro posto della società anche se non ce ne rendiamo conto. Di questo ne parla ne La distinzione. Si sofferma sul dare un’idea di insieme. Vuole individuare dove si producono i gusti, dove si modella l’identità. Parla di modi di appropriazione, che possono essere legittimi o illegittimi. In ogni luogo dobbiamo utilizzare una certa strategia, anche per avvicinarci alla cultura. Si occupa di tutti i territori della cultura. Usa il termine in senso ampio, in ogni settore secondo le caratteristiche specifiche di quel campo si costituisce un gusto ‘legittimo’. Un gusto legittimo riconosce ciò che si è gia conosciuto, ciò che ci è stato insegnato che è bello. B. parte da un’indagine sperimentale in cui cerca di ricostruire gli abitus ma nell’ambito della cultura e del giudizio estetico. B. lega tutto questo alla classe socio-economica a cui apparteniamo. Nel 900 la nostra appartenenza sociale veniva negata, l’esperienza estetica veniva staccata. B. si oppone a questo, perché dice che questi fattori hanno a che queso è per forza legato alla nostra posizione nella società, non è un giudizio disinteressato. Questo giudizio puro nasce da un gusto impuro, da un rifiuto dei gusti aaltrui. Leggendo, ad eempio, non dobbiamo per forza esprimerci però è una cosa normale quindi anche il valore attribuito a ciò che si orscura nasce da un desiderio di distinzione, per tenere a distanza chi non ha ricevuto un determinato ‘addestramento’ B. ritiene significativa una prova fattaPropone una fotografia che rappresentava le mani di una donna anziana e chiede la reazione al pubblico. Si accorge che le rispste si polarizzano in due gruppi: 1) Di tipo contenutistico 2) Di tipo formativo. Le risposte di tipo contenutistico contengono il gusto popolare che si caratterizza per l’incapacità di staccare gli oggetti dalle azioni pratiche e le persone colte sanno che devono mettere tra parentesi ogni narrazione ingenua. Le risposte di tipo formativo invece appartengono alla classe socio- economica, c’è una distanza dalle urgenze pratiche, c’è una fuga dai gusti importi dalla necessità, sono ritenuti volgari. Il gusto è disgusto per i gusti popolari. Esiste sempre un gusto popolare che fa da punto di respinta. Nel campo dell’arte tutto nasce da un rifiuto per tutto ciò che è facile, che quindi è accessibile, che quindi è per tutti e di conseguenza non ci possiamo distinguere. C’è una tendenza a distinguere complessità e valore, in base a questo facciamo determinate scelte nell’intento di valorizzarci dinanzi agli altri e a noi stessi. Anche per rispetto dei nostri propri confronti. Il gusto è il principio di tutto quello che si ha ma anche di tutto quello che si è. Non possiamo sfuggire a tutto questo, al limite si può non essere consapevoli. Perché non sempre la
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