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CROMORAMA - RICCARDO FALCINELLI, Sintesi del corso di Elaborazione digitale delle immagini

Riassunto Cromorama di Riccardo Falcinelli

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 02/04/2021

carlotta-belviglio
carlotta-belviglio 🇮🇹

4.4

(5)

11 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica CROMORAMA - RICCARDO FALCINELLI e più Sintesi del corso in PDF di Elaborazione digitale delle immagini solo su Docsity! Le matite gialle, come le conosciamo oggi, sono state introdotte in Francia nel 1790. Ad idearla è Nicolas-Jacques Conté che per risparmiare si inventa di usare grafite in polvere mischiata con l’argilla, impacchettandola nel legno. Tutto ciò servirà appunto per evitare, durante l’utilizzo, di sporcare mani e vestiti. Unica scomodità è quella di doverle temperare. Ancora oggi i due terzi delle matite prodotte e vendute sul pianeta sono gialle. L’industria standardizza la percezione e la serie ci fornisce gli strumenti mentali con cui pensare il mondo. Noi abbiamo deciso che questi oggetti si somiglino fra loro e siamo inclini a preferire quello più uguale agli altri. Vogliamo comprare non il singolo oggetto ma la sua idea. Fare un oggetto di un certo colore può entrare nella mente del pubblico e quindi entra nella nostra fantasia finché poi, nel giro di qualche tempo, quel colore diventa una categoria con cui giudichiamo il resto. Come il giallo di una matita, che diventa appunto il prototipo di matita, anche se non utilizziamo quasi mai matite gialle. Un elenco di tutte le cose gialle ormai famose che contraddistinguono il nostro mondo culturale sono ad esempio le Pagine Gialle, che furono pubblicate così per sbaglio, perché il primo editore non aveva altro colore di carta. Oppure i Girasoli di Van Gogh o i taxi newyorkesi. Nell’arte e nel design i linguaggi che riscuotono maggior successo sono proprio quelli che si colgono “a colpo d’occhio”. La tinta unita è l’uniformità di una superficie in cui è presente lo stesso colore in ogni suo punto. Nel lessico quotidiano ci capita di nominarla anche quando non è realmente così. Questa idea di compattezza è la più importante novità del mondo moderno. Le tinte non unite, quindi il colore disomogeneo era tipico degli artefatti del passato, come l’oreficeria medievale. Anche nelle vetrate gotiche incontriamo effetti lontani dall’uniformità moderna, come il cosiddetto doublé dove sono accoppiati due strati di vetro differenti, che producono effetti differenti a seconda dell’incidenza della luce. L’epoca degli impressionisti è quella dei pigmenti venduti pronti all’uso, tutto ciò dovuto alla nascente società di massa. L’industria vuole semplificare il tutto e quindi realizzare pigmenti moderni creati in laboratorio e privi di impurità. La tinta unita non è quindi solo una scelta, un gusto o una moda, ma una delle conseguenze inevitabili della serializzazione produttiva. L’omogeneo ormai fa parte della nostra vita. Si preferisce un pennarello che traccia tinte unite, rispetto ai colori del passato come matite, gessetti o pastelli. La standardizzazione ci ha portati a usare il colore come un’astrazione. Nel campionato Pantone si dà per scontato che il colore debba avere un tassello compatto ben preciso. Questo può andare bene per oggetti moderni ma non per artefatti del passato. Pensando alle nostre case, ai muri, tessuti, senza superfici uniformi il tutto apparirebbe vecchio, rovinato, sporco. La grafica ha cercato vari modi per acquisire una ricchezza cromatica di altro tipo, che fosse solo sua. Ad esempio l’uso di sovrastampe, ossia quando dopo aver stampato un inchiostro, se ne ribatte un altro, senza annullare quello sotto. Mentre le due tinte di partenza sono “unite”, il nuovo colore rivela una superficie variabile. La nostra mente è da sempre combattuta tra il bisogno di ordine e la necessità di infrangerlo. Da un lato il successo delle tinte moderne è dovuto alla bellezza dell’uniformità, che crea una dimensione quasi matematica, dall’altro però cerchiamo l’imperfezione che renda vivo e umano il colore. Prima della chimica il colore è stato innanzitutto una materia preziosa. Per parecchi millenni i colori sono stati ricavati dal regno minerale, animale e vegetale. I primi pigmenti usati dall’uomo sono le terre, per dare vita alle pitture preistoriche. Dalle piante invece si estraevano le sostanze adatte alla coloritura della carta, cibi e tessuti. Nel Nord Europa si estrae il blu, un colore poco amato nel mondo classico, sia perché difficile da ottenere e fissare, sia perché associato ai popoli barbari che in guerra si tingevano il volto con il colore blu. Altre tinte vengono dal regno animale, come il rosso di cocciniglia, tutt’oggi usato come colorante alimentare, ad esempio per il Campari, gli orsetti gommosi e molti succhi di frutta. Tossicità e instabilità sono i problemi di chi ha a che fare nel mondo premoderno con il colore. Chi maneggia i colori appartiene a una classe inferiore, maleodorante. Sono operai che occupano i gradini più bassi della scala sociale. Il colore più era difficile da ottenere più costava. Nel mondo antico ciascun colore ha un suo prezzo preciso. Il nerofumo che si ottiene dal carbone, facilissimo da rosso, verde e blu che, a seconda dell’intensità con cui si accendono, producono tutti i colori. Lo stesso accade con la stampa tipografica, anch’essa basata su quattro colori mischiati fra loro. Si scoprirà poi sul fondo dell’occhio di tre tipi di recettori, ciascuno sensibile a una gamma dello spettro. I rapidi progressi della stampa a colori determinano anche l’avanzamento di altre tecnologie come la fotografia che cercherà di essere a colori. La tecnica sarà quella di scattare la foto normalmente per poi porre davanti all’obiettivo un filtro verde, rosso e blu. Poi si ricompone l’immagine unendo i vari filtri. La stessa cosa avverrà per il cinema. Le immagini a colori gioveranno molto la stampa, gli editori di moda e la pubblicità. Sorgerà l’idea che esista un’armonia tra certi colori e che alcuni si addicano meglio a certe persone. Le pubblicità e il circo possono concedersi accostamenti disarmonici perché devono attirare subito l’attenzione. È il cervello che costruisce l’esperienza del colore come la conosciamo. Le informazioni visive elaborate dal cervello usano due canali: la via del “cosa” e del “dove”; la prima porterebbe informazioni riguardo alla forma, identità degli oggetti e al colore, mentre l’altra elaborerebbe lo spazio e il nostro movimento nell’ambiente in base alla quantità di luce. La valutazione della luminosità della scena è per il cervello molto più importante del colore, perché ci aiuta a capire la realtà. La luminosità è una qualità che leghiamo ai colori, perché certe tinte ci appaiono più chiare rispetto alle altre. • Il contrasto di quantità consiste nel mettere in contrapposizione una grande superficie di una certa tinta con una piccola quantità di un’altra. In questo caso il poco circondato dal tanto attira subito l’attenzione. • Il contrasto di colori puri consiste nell’affiancare tinte piene, senza mezzitoni, senza sfumature evidenti. La cosa importante è il rapporto tra tinta e tinta. • Il contrasto di qualità fa riferimento al grado di saturazione di una tinta in relazione ad altre simili. “qualità” nel senso di intensità del colore percepito, quando ci sembra che un colore sia più colorato rispetto ad un altro più spento. È un effetto che si trova molto spesso nelle Polaroid, dove sono presenti colorazioni più pallide. Di solito nel contrasto di qualità si evitano il massimo scuro e massimo chiaro. • Il contrasto di complementari dipende dalla capacità del cervello di vedere i colori in modo diverso a seconda di quello che sta intorno. L’accostamento di due tinte antagoniste le esalta a vicenda. • Il contrasto di simultaneità ha luogo quando una tinta vira verso il complementare di quella che gli si pone a fianco. • Il contrasto di cromaticità si ha quando una tinta spicca all’interno di una composizione fatta di toni grigi. • Il contrasto di coppia è quello che si ottiene quando si uniscono due tinte unite, piatte e omogenee, che si contendono il campo con pari dignità. Questo accade ad esempio in tutti i tessuti a righe. Nel caso degli elettrodomestici la plastica colorata serve quasi sempre a proteggere il meccanismo e anche a renderne memorabile la marca. Un brand non è quasi mai la merce ma la sua idea psicologica. Per questo degli oggetti percepiamo l’identità cromatica prima della forma e della funzione. Il colore diventa “pragmatico” perché viene utilizzato in un determinato modo all’interno di un mondo culturale definito. Ad esempio la Pepsi è blu per far capire che non è rossa come la Coca-Cola. La gestione del colore nella progettazione alimentare è cruciale a decretarne il successo. Il blu nel cibo trasmette più un senso di avariato, anche perché viene legato alle muffe. Proprio per questo motivo l’industria alimentare ha investito grossi capitali per provare a spiegare cosa accade nella nostra testa quando ci troviamo di fronte al cibo e alle sue tinte. Non esiste un codice rigido del colore, sono i vari paesi e culture del mondo che legano determinati colori a determinati sapori o cibi. Se pensiamo ai frutti, è noto che quando sono verdi hanno un sapore più aspro, mentre quando tendono al rosso si addolciscono. È come se la natura ci fornisse una scala graduata che ci informa in anticipo su quello che proveremo. Finché il frutto è acerbo si confonde col fogliame, più diventa maturo più spicca invece. La stessa cosa accade nelle bevande somministrate in colori diversi che produce sapori diversi: se è rossa è percepita più dolce, se marrone più amara e se verde più aspra. Si affaccia l’idea che il colore non sia solo un attributo delle merci ma anche del consumatore. Compro un oggetto rosso perché è il mio colore preferito, perché mi piace, perché lo sento affine. “gusto” è prima di tutto un termine che leghiamo ai sapori, ma diventa anche capacità di scegliere, come quando si dice che qualcuno “ha gusto”. Il packaging in questo caso svolge un ruolo importante, decidendo quindi come colorare un determinato oggetto, diventando quindi “gusto psicologico”. Uno degli aspetti cruciali con cui le aziende pensano i colori non consiste solo in cosa piace oggi, ma in cosa piacerà in futuro. Esistono quindi il cosiddetto color forecast, ossia previsioni coloriche, ma sono molto incerte, come le previsioni del tempo. È la qualità della luce a determinare il tono, lo stile, il linguaggio estetico delle cose. È la standardizzazione della luce a consentirci di parlare di oggetti dello stesso colore. Il colore delle cose può presentarsi in diversi modi: • Quello “superficiale” caratteristico di qualsiasi oggetto opaco e che corrisponde ad una tinta uniforme. • Quello “luminoso” come in una lampadina accesa o in ogni oggetto che emani luce. Ci permette di guardare attraverso come accade con un pezzo di vetro, con il vino in un bicchiere. I cambiamenti di chiaro e scuro in base all’addensarsi e rarefarsi della materia. I colori che sono percepibili dall’occhio umano sono circa duecento ma ogni cultura e ogni momento storico hanno bisogno solo delle parole che corrispondono al proprio mondo tecnico, psicologico e sociale. Se il mio interlocutore non ha mai avuto esperienza con un certo colore, non ho modo di spiegarglielo a parole. Oggi tutto il colore è commercializzato tramite il sistema di campioni che però mostra solo alcune prerogative, è tutto un “circa”. Oggi la maggior parte delle immagini con cui abbiamo a che fare emette luce e questo conferisce al colore una vivacità che non c’era mai stata prima. Grazie agli schermi possiamo vedere tinte cariche e brillantissime.
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