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D'Acunto_La lotta per le investiture, Sintesi del corso di Storia Medievale

Sintesi per capitoli della monografia.

Tipologia: Sintesi del corso

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Caricato il 23/08/2021

pietrom91
pietrom91 🇮🇹

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Scarica D'Acunto_La lotta per le investiture e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! D’ACUNTO, “LA LOTTA PER LE INVESTITURE” INTRODUZIONE Scopo del volume di D’Acunto è quello di fare luce su un periodo cui la storiografia, specialmente italiana, ha recentemente dedicato sempre meno interesse, quello della lotta per le investiture. Il volume desidera riprendere le fila di un discorso estremamente complesso e variegato, che molto spesso viene sintetizzato con etichette di comodo come quella di “riforma gregoriana”, “riforma ecclesiastica”, “lotta per le investiture”, il che mostra chiaramente come, in sede storiografica, si sia tentato il più possibile di semplificare un fenomeno estremamente sfaccettato e che però, proprio per questo, richiede un’analisi puntuale e trasversale delle fonti. Un altro punto toccato da D’Acunto nell’Introduzione è quello della possibilità di applicare il concetto di “rivoluzione” alla lotta per le investiture. Quella della lotta per le investiture, come viene puntualmente chiarito, fu una “war of words” di parole scritte e declamate e di idee che prorompevano dal chiuso delle corti fino alle piazze e nelle chiese cittadine e che, così facendo, finirono per coinvolgere le masse popolari, mobilitate attorno a un progetto non solo di Chiesa ma anche di società che portò al rafforzamento delle monarchie nazionali e alla nascita dei Comuni. Inoltre, le fonti ci celano la portata rivoluzionaria perché sono per lo più quelle dei suoi fautori che hanno tutti i motivi per celare la re-formatio, concetto negativo di ristrutturazione profonda, di cambiamento, secondo la mentalità medievale. I PRESUPPOSTI DELLA RIVOLUZIONE La situazione del XI vede l’imperatore Enrico III particolarmente preoccupato dalle alienazioni perpetrate dai laici nei confronti delle Res Ecclesiae. Il rapporto tra imperatore e vescovi era un sodalizio importante che permetteva di uniformare culturalmente e liturgicamente gli ecclesiastici ma anche di mantenere un contatto stretto e proficuo con le realtà locali (la fondazione di monasteri episcopali fu in questo senso importantissima, anche in termini di recupero del patrimonio ecclesiastico altrimenti disperso). La figura di Enrico III quindi molto apprezzata dagli ecclesiastici e anche da figure di spicco tra questi come Pier Damiani. L’apice della tutela delle Res Ecclesiae da parte di Enrico III si ha con il sinodo di Sutri del 1046, volto a ridare efficienza al papato di fronte alla situazione di conflittualità endemica che affliggeva l’aristocrazia romana. Si erano infatti succeduti poco prima del sinodo: - Benedetto IX - Silvestro III - Gregorio VI, deposto appunto a Sutri per simonia. Tutte figure legate all’aristocrazia romana. Enrico, come protettore della Chiesa, elegge Clemente II che nel Natale 1046 lo incorona con la corona imperiale. La storiografia nota che la funzione di Enrico fu quella propria dell’intervento avvocatizio dell’Impero nei fatti di Chiesa: spettava all’Imperatore fare ordine tra gli abusi perpetrati dagli stessi chierici. La figura di Pier Damiani, che amava l’operato di Enrico III e lo opponeva a quello dei precedenti imperatori, fures et latrones, merita approfondimento. Si ritirò nell’eremo di Santa Croce di Fonte Avellana (diocesi di Gubbio), di cui divenne priore nel 1043, e scrive una Vita di Romualdo (suo maestro spirituale vissuto il secolo prima, “santo in movimento che voleva trasformare il mondo in eremo” e cui è spesso attribuita la fondazione di Camaldoli, importante centro provvisto di cenobio ed eremo). Diventa poi nel 1057 cardinal-vescovo di Ostia, ruolo che gli permette naturalmente di inserirsi con sempre maggiore incisività nell’ambito della curia romana. È importante far riferimento a questa figura per capire quanto sia stata determinante per le lotte alle investiture anche una concezione che legava strettamente centri cenobitici alle istanze della riforma. L’excursus che qui fa D’Acunto è comunque volto a sottolineare la complessità del quadro del monachesimo italiano dell'XI sec. D’Acunto insiste ad es. sulle differenze che intercorrevano tra i Vallombrosani (il cui centro era stato fondato da Giovanni Gualberto) e i Camaldolesi. Nella Vita di Giovanni Gualberto di Andrea di Strumi si mette per es. in luce come Giovanni Gualberto avesse scontato un’iniuria proprio durante la sua residenza a Camaldoli (forse legata al fatto che avesse esagerato con le accuse di simonia vs. l’abate fiorentino di San Miniato al Monte) che lo portò appunto a spostarsi da Camaldoli e fondare Vallombrosa (di cui Pier Damiani non parla bene). Ci fu sicuramente un nesso importante tra monachesimo e riforma che vale la pena tener presente. Non bisogna però enfatizzare nello specifico il ruolo di Camaldoli perché, dato il suo stretto legame coni vescovi di Arezzo legati all'impero, più di tanto non poté contribuire alle istanze riformatrici. LE NUOVE REGOLE DEL GIOCO Nel 1049, Enrico III elegge Leone IX (vescovo di Toul). La riforma di Leone IX va nella direzione dell’imperializzazione del papato attraverso cui la curia assorbì diverse caratteristiche imperiali (e in questo, paradossalmente, ebbe un ruolo fondamentale l’imperatore stesso che diede l'opportunità a Leone IX di organizzarsi in questo modo). Nasce attorno a Leone IX una cerchia di “buoni”, una classe dirigente di uomini perlopiù provenienti dalla Lotaringia (cfr. tra questi anche Ildebrando di Soana stesso, cui nel Liber ad amicum Bonizone di Sutri, militante gregoriano; Umberto di Silva Candida) che oppongono la simonia e che, così facendo, anticipano le istanze di Gregorio VII. In questa fase, il papato non si stacca dall’impero, semmai lo imita. La curia prende le forme di una corte e si gettano le basi dell’indipendenza del sacerdotium dal regnum pur senza alcun tipo di riferimento ostile all’impero. Non è questa una fase di scontri. Di certo, si sviluppa una pluralità di posizioni all’interno di una più ampia riflessione teologica, sulla simonia come su altri temi (D’Acunzio cita l'omosessualità e il problema del profilo militare del papa, il “papa in armi”). Pier Damiani per es. aveva posizioni piuttosto moderate in tema di simonia e chiede direttamente al papa di dare ascolto alle proprie posizioni in una serie di scritti (vs. per es. quelle di Umberto di Silva Candida, certamente più rigorista, per cui “i simoniaci pensano di poter acquistare lo Spirito Santo come il mago Simone negli Atti degli Apostoli”). Alla fine, le posizioni più moderate di Pier Damiani (secondo cui l’auctor del sacramento era Cristo e non l'amministratore del sacramento e quindi il sacerdote era un mero ministro, la gerarchia ecclesiastica non aveva potere nel trasmettere la grazia attraverso il sacramento) ebbero più seguito nonostante il fervore delle riflessioni più dure sul tema ispirarono i patarini milanesi e i vallombrosani. È proprio il tema della simonia che diventa non più oggetto di riflessione teologico-canonica (qual era, dove stava il confine tra simoniaco e non simoniaco? Gli scambi di risorsi e offici ecclesiastici era fino a quel momento stato del tutto normale! Quali sarebbero state le conseguenze di un’applicazione indiscriminata della casistica simoniaca? Tutto questo anima il dibattito, probabilmente anche molto acceso della metà dell'XI) ma anche politica, specialmente dagli anni ’70 del XI. È quello della simonia uno dei tanti aspetti che rientrano nel nocciolo della questione delle competenze, della potestas imperiale vs. papale e che segnerà lo scontro acceso tra Enrico IV e Gregorio VII. A esso si aggiunge l’altro macro-tema del nicolaismo (Nicola, diacono di Pietro, si era espresso a favore delle unioni matrimoniali). Erano accettate le concubine degli ecclesiastici in quanto i loro figli erano illegittimi e non potevano rivendicare diritti ereditari. Ma presto si trovarono i modi e raggiri perché questo avvenisse. Laici iniziarono a intascarsi beni ecclesiastici, producendo un modello antitetico di uomo di fede rispetto a quello monacale che finiva per paralizzare le strutture ecclesiastiche. Leone IX reagì rigidamente al problema vietando matrimoni per gli ecclesiastici nonché andando contro i concubinari. In questo senso, la lettera di Pier Damiani a Niccolò II sviluppa metafore dell’incesto e della profanazione del rapporto ecclesiastico/Chiesa (relazione sponsale). La questione del nicolaismo è naturalmente parte delle critiche alla Chiesa d’Oriente con la quale si arriverà allo scisma nel 1054 (cfr. anche Greg. VII, il quale definirà come sacrilego nel Concilio Pictavense del 1078 l’uso del patrimonio ecclesiastico). Tutto ciò porta alla formazione di una profonda antitesi tra uomo di Chiesa e laico. Sempre parlando dello scisma, va ricordato che fu Leone IX a chiedere a Umberto di Silva Candida la traduzione del pamphlet contro l’obbligo dell’impiego del pane azzimo nella liturgia, che fu considerato un affronto alla Chiesa di Enrico, temendo la censura papale. Ci sono pressioni dei principi tedeschi perché Gregorio salga in Germania ma Enrico lo anticipa scendendo a Canossa, nel cui castello abitavano Matilde, titolare del più importante distretto pubblico del nord d’Italia, la marchesa Adelaide di Susa e l’abate di Cluny. Enrico penitente (scalzo, in misero abbigliamento, senza le insegne regali e vestito di lana — stette 3 giorni fuori dal castello piangendo e impetrando perdono) viene riammesso nella Chiesa romana dopo aver rispettato il cerimoniale della riconciliazione (dal forte valore politico ai tempi). Ne uscì penitente da ribelle e il papa tiranno da offeso. La situazione non si placa neanche così (il papa dà la comunione all’imperatore e lo scioglie dalla scomunica ma non è chiaro se sia poi di fatto re-integrato nei suoi poteri regali). I principi tedeschi non sono soddisfatti dell’esito di Canossa e proclamano re di Germania Rodolfo di Svevia. Nel frattempo, a Roma, il prefetto urbano Cencio di Giovanni Tignoso, esponente della nobiltà papale vicina a Gregorio, viene ucciso dallo zio di Cencio di Stefano, già attentatore del papa. Cencio diventa una specie di martire dei gregoriani e apre un dibattito complesso sulla militia Christi, sulla liceità del combattere per gli ecclesiastici. Autori del tempo come Bonizone sono per il sì (vs. per es. Guido da Ferrara). Comunque sia, questo è un problema proprio delle riflessioni dell’XI che spianerà la strada alla stagione delle crociate del secolo a venire. Nella seconda scomunica del 1080, inserita del Regesto, il papa sviluppa un’enfatico e rigoroso discorso, non privo di spunti biblici, volta a convalidare la legittimità della propria scelta vs. Enrico. È in questo documento che si esplicita invece il sovrano che il papa riconosce: Rodolfo di Svevia, che gli è fedele e che quindi il papa assolve dai peccati. È di questa fase anche tutta un’epistolografia (per es. a Ermanno di Metz, 1076) che insiste sulla desacralizzazione del potere politico, in cui perfino il re sta sotto la potestas ligandi et solvendi e il regnum rappresenta l’anti- Cristo vs. il sacerdotium. Arriviamo così al 25 giugno 1080 in cui si celebra il Concilio di Bressanone tra vescovi italiani, tedeschi e borgognoni, che eleggono l’antipapa Clemente III (Guiberto di Ravenna). Gregorio viene dichiarato come autoeletto con frode e il suo appoggio a Berengario di Tours condannato. Enrico IV gode quindi di un sostegno episcopale. Nel 1084 Clemente III viene intronizzato a Roma ed Enrico incoronato mentre Gregorio viene imprigionato ad Anagni, quindi liberato da Roberto il Guiscardo e portato a Salerno, dove muore nel 1085. Non abbiamo grandi fonti libellistiche filoimperiali, pertanto conosciamo poco più che la sola damnatio memoriae di Guiberto. METAMORFOSI E TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE A Gregorio subentra Vittore III (cioè Desiderio, abate di Montecassino) nel 1087 cui succede Urbano Il (Odone di Chatillon, cluniacense e cardinale-vescovo di Ostia dal 1080) nel 1088. Urbano rafforza i rapporti con il Sud (cfr. sinodo di Melfi, 1089, per rilanciare l’azione riformatrice) dove tenta di convertire le Chiese greche + ha una forte tendenza all’episcopalismo (= riconsolida le circoscrizioni ecclesiastiche parrocchiali, plebane e diocesane): voleva continuare la riforma ma in modo più silenzioso. Nel 1096 accoglie al Concilio di Clermont la richiesta dei legati di Alessio Comneno I che al Concilio di Piacenza (1095) lo avevano invitato a inviare un esercito alla riscossa di Gerusalemme vs. i Turchi selgiuchidi. Enrico IV sconfigge Cremona e Canossa (1092) e chiede riconoscimento di Clemente III a Matilde di Canossa, la quale lo nega. Enrico insedia così suo figlio Corrado a Milano e Milano, Lodi, Cremona e Piacenza si alleano in una lega vs. di lui. Da qui deriva il fallimento di Enrico che aveva tentato invano di insediare Clemente a Roma e controllare il nord. È questa una fase di regolarizzazione dei monaci che si disciplinano con leggi e in termini di liturgie. I Vallombrosani in particolare sintonia col papa (grazie anche al cardinale Bernardo degli Uberti) e godono di diversi privilegi (1090; 1113). Hanno ora una rigorosa congregatio e fanno rigido ritorno alla Regola di San Benedetto. A Milano, con l’arcivescovo, c’è la prima attestazione del comune (civitas) nelle carte. A_ fine secolo non sono più al centro i temi della simonia e del nicolaismo. Le scomuniche sono piuttosto indirizzate a chi viola la pax. La nascita dei Comuni si lega a un compromesso tra diverse forze in campo. Di certo fu il popolo delle città italiane a ribellarsi alle figure più losche tra gli arcivescovi locali. Quindi il sentimento della lotta per le investiture li prese e li agitò. Sia nella documentazione di Pisa che in quella di Milano, una situazione di assestamento. Ci fu un incipit di pataria pisana con camaldolesi e vallombrosani vs. Daiberto, vescovo (che era diventato poi legato del papa per la crociata del 1099). Ma Urbano II stroncò sul nascere questi tentativi. A Milano invece si tenta in tutti modi di mantenere una situazione di pace e concordia, con la scomunica usata proprio vs. chi attentasse alla stabilità cittadina (non più nicolaismo e simonia). Da un lato c’è l’arcivescovo del papa, Anselmo IV da Bovisio; dall’altro però non mancavano nell’area milanese vescovi vicini a Clemente III/Enrico IV. Nel 1099 muore Urbano II, nel 1100 Clemente III, nel 1106 Enrico IV. Anche se il successore Enrico V cercherà di insediare suoi papi (cfr. Silvestro II), di fatto si installa Pasquale II, che dà stabilità a Roma e controllerà Gerusalemme. Nessun antipapa riuscì più ad avere la credibilità di Clemente III. Non ci saranno inoltre più scismi per motivi teologici ma semmai solo politici. Si arriva al 1111. con il concordato di Sutri, per cui i sacerdoti non dovevano implicarsi in faccende mondane o processi né potevano intromettersi nella gestione dei regalia. Veniva stilato un elenco delle attribuzioni. Enrico V doveva rinunciare alle chiese non regie. Pasquale II decreta così la fine della rivoluzione (con la scusa che voleva salvare il popolo dalle violenze del re). Il Pravilegium Sutri conferma tutto ciò: i vescovi e gli arcivescovi potevano consacrare quanti fossero già stati investiti dal re e di fatto le res Ecclesiae non erano più alienate dai regalia. I Comuni finiscono così per schierarsi per l’uno o per l’altro vescovo, delegittimando così la figura stessa del vescovo. Ci sarà un’inutile rivolta dei vescovi gregoriani dopo Sutri. Enrico mette come antipapa Gregorio VIII e a Pasquale II succede Callisto II. A_Worms, 1122, a Enrico viene dato il controllo della nomina die vescovi. Un documento deludente che gli lasciava ampio margine di manovra. EPILOGO L’Italia ne esce mutata: disarticolazione dell’ordinamento pubblico e del sistema politico- ecclesiastico incentrato sulla collaborazione vescovi/imperatore di età ottoniana e salica. Trionfò davvero l’idea della centralità romana, del papato? A tratti. I vescovi appunto si legarono di comune in comuni alle realtà locali e questo portò a una realtà molto frammentata. Ciò che si attesta come macro-trasformazione è però la desacralizzazione del potere regale e la distinzione netta tra ecclesiastici e laici in termini di condotta spirituale e morale, perlomeno in via teorica.
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