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D. SCARSCELLI, G. VIDONI, La devianza. Teorie e politiche di controllo, Roma, Carocci, 2008;, Sintesi del corso di Sociologia della devianza

riassunto del libro schematizzato

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Vanessa.Perna
Vanessa.Perna 🇮🇹

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Scarica D. SCARSCELLI, G. VIDONI, La devianza. Teorie e politiche di controllo, Roma, Carocci, 2008; e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia della devianza solo su Docsity! LA DEVIANZA: TEORIE E POLITICHE DI CONTROLLO Un testo di Daniele Scarscelli e Odillo Vidoni Guidoni INTRODUZIONE (da pg9 a pg19) La devianza è la condotta di una persona o di un gruppo che viola le aspettative di ruolo, le norme sociali e i valori della maggioranza dei membri di una collettività e che per questa ragione, suscita (quasi) sempre una reazione sociale. Solitamente, quando le condotte sono percepite dall'opinione pubblica come molto dannose, non soltanto suscitano un forte biasimo, ma sono considerate dei crimini e in quanto tali richiedono sanzioni penali severe. Alcuni studi hanno tuttavia dimostrato come vi siano comportamenti che, pur producendo seri danni ai singoli o alla comunità, sono considerati poco gravi o comunque meno gravi di altri reati (es: colletti bianchi). Tornando alla definizione di devianza, essa è un atto, un comportamento anche verbale. Ne consegue che nessuno può essere considerato deviante in virtù della propria diversità fisica, bensì in ragione dell'attuazione di un comportamento non conforme alle norme sociali della società di riferimento. Ad esempio, uno scippatore di colore è deviante in quanto compie l'azione di scippare, non perché di colore. Deve essere inoltre specificato che nessun atto è di per sé intrinsecamente deviante, ma è giudicato tale in relazione ad uno specifico contesto normativo (es: rubare non è sbagliato fintanto che una legge non lo vieta e non prevede una sanzione per chi ruba). E' quindi facilmente intuibile che la definizione di ciò che è considerato deviante muti nel tempo e nello spazio (es: fino al 1969, in Italia, il codice penale prevedeva il reato di adulterio e di concubinato. In alcuni paesi a prevalenza islamica, questa pratica viene tutt'oggi condannata dall'ordinamento giuridico statale o dai tribunali locali). Spesso nascono dei conflitti in ragione del fatto che all'interno del medesimo contesto territoriale convivano più culture: quella dominante e le subculture, le quali non condividono le stesse rappresentazioni, gli stessi valori, le stesse norme sociali e quindi la stessa concezione di devianza della cultura dominante (es: in Italia, lo spaccio di sostanze illegali è vietato dalla legge dello Stato, ciononostante, da tempo immemore, l'organizzazione mafiosa ha creato una subcultura che sullo spaccio di droghe ci campa). Guidoni ha evidenziato come alcuni reati suscitino la reazione negativa di quasi tutti i membri della collettività – si pensi all'omicidio o la violenza sessuale su minori - mentre altri comportamenti suscitino reazioni differenti - si pensi al gioco d'azzardo, al consumo di droghe illegali, alla prostituzione e all'evasione fiscale; che lo stesso comportamento può essere stigmatizzato nell'ambito di una particolare situazione e tollerato in una situazione differente (es: consumare rapporti sessuali in luogo pubblico è considerato un comportamento deviante, farlo entro le quattro mura di casa è sacrosanto); che la medesima condotta può essere considerata deviante a seconda dello status o del ruolo del suo autore (es: ad un poliziotto è consentito di utilizzare la forza in determinate situazioni, ad un civile no). La sociologia della devianza ruota intorno a 3 questioni fondamentali: • Chi è il deviante • Come e perché si diventa devianti • Come la società reagisce alla devianza E' importante analizzare questi 3 livelli per scegliere determinate politiche di intervento rispetto ad altre. Es: 1) teoria della scelta razionale → il deviante è l'individuo e in quanto causa di ogni male, deve essere punito; 2) devianza svincolata dalla volontà dell'individuo → intervento con finalità di trattamento e/o di prevenzione sociale PRESENTAZIONE DEI CASI - Il caso del tossi codipendente: Mario ha 26 anni, vive con i suoi genitori ed è disoccupato da quasi un anno. Non ha mai avuto problemi con la giustizia, finché durante una perquisizione, gli agenti hanno trovato nella sua macchina una dose di eroina (dose insufficiente per incriminare Mario per spaccio). Gli è stata applicata una sanzione amministrativa, la quale potrà essere archiviata qualora collaborerà con gli operatori sociali e sanitari. Mario ha iniziato a fare uso di droghe leggere all'età di 16 anni. A 20 ha incominciato ad usare saltuariamente l'eroina. Da circa 3 anni ne fa uso quotidiano e si definisce dipendente dalla sostanza. - Il caso del colletto bianco: Luca sta scontando una pena di 4 anni. E' stato condannato per un reato di disastro doloso ambientale. Gli scarichi di produzione dell'azienda chimica di cui era dirigente venivano smaltiti in modo irregolare. Nella zona in cui è stata scoperta la discarica abusiva ci sono stati casi di intossicazione (aumento del numero di tumori fra gli abitanti di quella zona. Ci sono stati dei morti). Dopo 2 anni di detenzione, il suo legale ha richiesto l'affidamento in prova al servizio sociale. Luca ha 45 anni, ha una moglie e due figli. Dopo aver conseguito la laurea in economia e commercio ha cominciato a lavorare per l'azienda di famiglia (agiata). Da circa 10 anni era un dirigente di alto livello presso un'altra impresa, quella chimica appunto. È stato dimostrato che l'azienda chimica smaltisse gli scarti di produzione irregolarmente molto prima dell'arrivo di Luca. Quando fu incaricato di occuparsi lui stesso della faccenda, egli continuò ad utilizzare la stessa procedura illegale, negando di essere a conoscenza di come venissero trattati gli scarti una volta usciti dall'azienda. I giudici tuttavia si convinsero della responsabilità di Luca, il quale disponeva di alcuni elementi utili per accorgersi del reato, che evidentemente ha preferito “non vedere”. Luca non aveva mai avuto problemi con la giustizia prima di questa vicenda ed era (e forse è tutt'ora) considerato una persona responsabile e un collega fidato. - Il caso del criminale predatorio: Mohammed ha scontato 2 anni e mezzo di carcere per furto con “scippo”. Mohammed ha 26 anni e proviene dal Marocco. È arrivato in Italia nel 1995, quando aveva 14 anni, senza permesso di soggiorno. Proviene da una famiglia molto povera. Non ha terminato gli studi. Dopo 3 anni dal trasferimento, Mohammed ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Sfortunatamente 4 anni dopo è stato licenziato. Prima di essere arrestato, viveva in un quartiere periferico di forte immigrazione, era disoccupato e senza permesso di soggiorno. Sta aspettando di essere espulso dal nostro paese. Dopo un anno dal suo arrivo in Italia, Mohammed è stato arrestato per spaccio e detenuto presso il carcere minorile. Non possedendo risorse familiari (no adulti di riferimento), sociali (no rete) o economiche (no soldi), Mohammed ha dovuto scontare interamente la pena, senza accedere alle misure alternative alla detenzione. Terminata la pena, ha ricevuto una borsa lavoro e per i 4 anni successivi ha fatto l'operaio. È stato successivamente licenziato per la necessità di ridurre il personale. Qualche anno fa è stato arrestato per scippo. 1 . IL PARADIGMA CLASSICO E LE TEORIE DELLA SCELTA RAZIONALE (da pg21 a pg48) 1.1 Le teorie I reati sono condotte che violano la norma penale e per le quali è prevista una sanzione. Sono commessi da individui denominati “autori di reato” o semplicemente “rei”, che agiscono in un determinato contesto sociale o situazionale. I protagonisti del reato sono 4 : 1. criminale: soggetto, gruppo od organizzazione che trasgredisce la norma penale 2. vittima: soggetto individuale, collettivo od organizzato che subisce le conseguenze dannose circostanze esterne che precedono o che caratterizzano la commissione di un atto deviante, rendono questo atto più o meno desiderabile. 4 . La teoria degli stili di vita : secondo questo approccio lo stile di vita influenza il rischio di vittimizzazione. Lo stile di vita è l'insieme delle attività quotidiane legate al lavoro, alla scuola, alla gestione della casa o al tempo libero ed è a sua volta influenzato da 3 elementi: 1) dal ruolo sociale che le persone ricoprono nella società (giovani più a rischio perché passano molte ore fuori casa); 2) dalla posizione ricoperta nella società (più è alta, minore è il rischio); 3) dalla razionalità del comportamento (es: sono giovane e provengo da una famiglia modesta, di sera non esco mai se non sono accompagnata da un adulto → comportamento razionale che riduce il rischio di vittimizzazione). Più si frequentano luoghi e persone ad alto rischio criminale più aumenta il rischio di essere vittimizzati. 5. La teoria delle attività abituali : le attività abituali sono le azioni che svolgiamo regolarmente per soddisfare i nostri bisogni e possono mettere in contatto gli aggressori con le vittime. Esse dipendono dalla posizione strutturale che le persone rivestono nella società (lavoro, reddito, comune e quartiere di residenza), nonché dall'età e dal genere. Le differenze nelle attività abituali espongo gli individui a differenti rischi di vittimizzazione (es: una famiglia altolocata costituisce una succosa preda per i ladri di appartamenti). La teoria delle attività abituali, elaborata da Cohen e Felson, alla fine degli anni '70, vuole spiegare la variazione nel tempo e nello spazio dei tassi di criminalità e di vittimizzazione (es. di mutamento delle attività abituali e conseguente aumento del tasso di criminalità: diminuisce il tasso di disoccupazione → più gente fuori casa → aumentano i furti in appartamento). Affinché possa verificarsi un reato deve realizzarsi la convergenza di 3 condizioni: 1) la presenza di una persona disposta a compiere un reato; 2) la presenza di un bersaglio interessante; 3) l'assenza di un guardiano in grado di impedire la commissione del reato. Un soggetto è a rischio nel momento in cui: si situa nelle vicinanze di possibili criminali (prossimità); costituisce un bersaglio interessante (remuneratività); è meno difeso (accessibilità). 1.2 Le politiche Se il criminale è un soggetto razionale che infrange le norme per massimizzare i propri profitti, le politiche di contrasto alla criminalità devono fare in modo che le conseguenze del comportamento criminale procurino un danno maggiore dei benefici che si possono ottenere con tale atto. Forme di prevenzione del crimine: • Scuola classica → “il costo” deve superare “il beneficio” (deterrenza) • teorici focalizzati sulle opportunità che rendono possibile il comportamento criminale → prevenire i crimini intervenendo sulle opportunità (prevenzione situazionale) La deterrenza : la deterrenza si fonda sugli elementi di certezza, prontezza e severità della pena. - I potenziali criminali, esseri razionali, davanti alla certezza di una pena severa, imminente e senza sconti, non infrangono le norme penali per timore delle conseguenze. Diversi studi hanno evidenziato come le caratteristiche di prontezza e di certezza della pena intimidiscano maggiormente i cittadini rispetto alla severità. Prevenzione generale: esperienza indiretta della sanzione → vedere i criminali puniti. Prevenzione speciale: esperienza diretta di sanzione → punito personalmente in quanto criminale. - quando invece l'individuo agisce per abitudine (es: soggetto appartenente ad una subcultura criminale) o senza fare il calcolo costi/ benefici (es: reati di tipo espressivo che nascono da azioni impulsive fini a se stesse), l'efficacia deterrente della sanzione è minore. L'efficacia della pena varia in relazione alla natura dell'atto (strumentale o espressivo) e al grado di coinvolgimento del criminale nella devianza. L'efficacia è alta quando l'atto è strumentale e il potenziale reo ha un basso livello di coinvolgimento (sa di avere possibilità non devianti e teme le conseguenze della scelta criminale). Diversi studi hanno dimostrato che spesso i controlli sociali informali hanno un effetto deterrente più forte sugli individui di quello delle sanzioni formali (es: sentimenti di colpa e di vergogna, timore della disapprovazione dei familiari, degli amici, dei capi, ecc.). La prevenzione situazionale : il comportamento criminale si previene intervenendo sull'ambiente in cui si teme che possa verificarsi un evento delittuoso, con lo scopo di condizionare la decisione del criminale di compiere l'atto. Rendere meno appetibile il bersaglio e più controllato lo spazio sono due modi per aumentare il rischio e la problematicità di realizzare svariati tipi di reato. La prevenzione situazionale è interessante appunto alla situazione e disinteressata al deviante. Programmi di prevenzione situazionale: • programmi di “design ambientale”: hanno lo scopo di ristrutturare gli spazi rendendoli più difendibili e riducendo la possibilità di vittimizzazione (es: migliorare l'illuminazione di un'area urbana); • programmi proteggono i bersagli rendendoli difficilmente raggiungibili (es: obbligo di installare un antifurto); • programmi che coinvolgono i cittadini nella sorveglianza del loro territorio (es: pattugliamento delle strade oppure segnalare alle forze di polizia comportamenti sospetti); • programmi che prevedono un maggior controllo da parte della polizia (es: poliziotto di quartiere); • programmi che informano i cittadini, attraverso i mass media, degli accorgimenti da adottare per ridurre il rischio di vittimizzazione (es: come evitare il borseggio sui mezzi pubblici) → la prevenzione situazionale abbassa il rischio di vittimizzazione, ma non è detto che riduca il numero di atti criminali. Il criminale potrebbe scegliere di : • commettere lo stesso reato in un altro momento (spostamento temporale), in un altro contesto (spostamento geografico), rendendo inefficace la protezione del bene/bersaglio (spostamento tattico), scegliendo un bersaglio meno protetto (spostamento di obiettivo); • di compiere un reato differente (spostamento nell'attività delinquenziale). 1.3. Applicazione della teoria della scelta razionale ai casi ♣ Il caso del tossicodipendente: il consumatore di droghe è un attore razionale che sceglie i mezzi migliori per raggiungere i propri fini. Tuttavia molti ritengono il contrario, cioè che una persona dipendente da sostanze psicoattive, incapace di controllarsi, non si possa configurare come attore razionale. Il caso di Mario: bisogna valutare le ragioni del passaggio dalla cannabis all'eroina (es, per: appartenere ad un gruppo, facilitare le relazioni sociali, migliorare le prestazioni, ridurre gli stati di disagio, alterare gli stati di coscienza, ribellione) e ricostruire il processo decisionale di Mario, alla luce delle decisioni di coinvolgimento e di evento. Qualora il soggetto venga considerato pienamente responsabile della propria condotta, per evitare che l'infrazione della norma si ripeta, possono attuarsi interventi che: sanzionino negativamente i soggetti devianti (sanzione negativa con effetto deterrente); agiscano sulla struttura di opportunità per ridurre la probabilità di assunzione della sostanza (prevenzione situazionale); informino i (potenziali) consumatori sui rischi e sui danni associati al consumo di droga (prevenzione primaria e riduzione del danno). - deterrenza: la paura di incorrere in una sanzione potrebbe indurre i consumatori a non reiterare il loro comportamento e i consumatori potenziali a non adottarlo. La sanzione negativa tuttavia perde di efficacia nel momento in cui l'individuo agisce per abitudine, non rendendosi più conto di commettere un atto illecito. Un modo per aiutare il deviante potrebbe essere quello di premiare i comportamenti conformi e non soltanto di sanzionare quelli sbagliati. - prevenzione situazionale: chiunque potrebbe assumere droga qualora le tentazioni siano troppo forti, pertanto le politiche di contrasto al consumo di droghe non devono focalizzarsi sull'individuo, bensì sull'atto in sé. La prevenzione si ottiene intervenendo sul contesto specifico, sia per ridurre le opportunità che favoriscono l'adozione di tale comportamento, sia per aumentare il rischio di incorrere in una sanzione. I contesti specifici sono individuabili quando si è a conoscenza delle ragioni dei consumatori. Strategie: rendere più difficile l'acquisizione della merce, reprimendo l'offerta di droga; migliorare il controllo sociale formale ed informale dello spazio urbano (es: illuminazione zona di spaccio o di consumo); mobilitazione di cittadini (es: ronde contro gli spacciatori); potenziare il controllo sociale in determinati contesti (es: distribuire ai genitori kit per testare le urine dei propri figli. Bleaah, che palle non ci si può neanche drogare in pace). - prevenzione primaria e riduzione del danno: informare i destinatari sui rischi e sui danni associati al consumo di sostanze psicoattive, al fine di evitare che le persone diventino consumatori (prevenzione primaria) o che i consumatori adottino stili di consumo dannosi per la loro salute e per la loro vita sociale e relazionale (riduzione del danno). Se l'individuo è veramente un attore razionale, non adotterà comportamenti dannosi per sé. ♣ Il caso del criminale dal colletto bianco: sia i white collar (quanto è fico Matt Bomer?!) crime (soggetto che, nell'esercizio della propria attività, compie un reato per promuovere i propri interessi), che i corporate crime (un pezzo grosso di un'impresa commette dei crimini allo scopo di ottenere benefici per l'impresa stessa) possono essere spiegati con la teoria della scelta razionale: i soggetti scelgono il comportamento criminale per ottenere determinati benefici facendo un calcolo costi e benefici. Il comportamento dell'individuo può essere influenzato da: contesto organizzativo nel quale lavora, dalla sua capacità di agire, dalla politica aziendale. Il caso di Luca: il reato di Luca può essere considerato un corporate crime, perché egli ha violato la legge per procurare benefici alla propria azienda. I crimini dai colletti bianchi si possono prevenire alzando i costi che devono sostenere i loro autori (costi/benefici). La decisione di infrangere la legge è influenzata da: il tipo di beneficio che ricaverà dal crimine, dalla percezione del rischio di essere scoperto, dalla severità della sanzione. - deterrenza: la pena deve essere certa e la sanzione deve procurare un costo che ecceda il beneficio. L'azione deviante di Luca è diventata una routine, ma al di fuori del contesto lavorativo è probabile che Luca si sia conformato alle norme sociali (bravo marito e padre di famiglia, stimato vicino bla bla). Luca non vuole vedere rovinata la propria reputazione, per questo motivo la sanzione dovrebbe avere un elevato effetto deterrente. - prevenzione situazionale: intervenire sulle opportunità analizzando il contesto organizzativo dell'impresa nella quale l'individuo lavora. Lo scopo è quello di controllare maggiormente il bersaglio e potenziare la presenza di guardiani. Difficoltà: il criminale non è presente sulla scena del delitto e spesso fra azione criminale ed effetto dannoso passa molto tempo Interventi: aumentare la percezione del rischio di essere scoperti con forme di controllo esterno (es: ispezioni periodiche) e sensibilizzare le potenziali vittime attraverso la loro mobilitazione per vigilare sul comportamento dei dirigenti. ♣ Il caso dell'autore del reato predatorio: l'immigrato infrange la legge perché ritiene che ne ricaverebbe maggiori benefici. Il processo decisionale è influenzato da: vincoli e opportunità del contesto situazionale, dalla sua capacità di agire e pianificare un'azione. Il caso di Mohammed: analizziamo il processo decisionale di Mohammed e successivamente interveniamo per alzare i costi del reato. - deterrenza: l'efficacia della pena dipende dalla natura dell'atto – strumentale o espressivo- e dal grado di coinvolgimento nella devianza. Se Mohammed è molto coinvolto è probabile che l'effetto deterrente della sanzione sarà minore. Il fatto che la pena non abbia alcuna funzione rieducativa potrà indurre Mohammed a pensare che lo Stato lo veda come un rifiuto sociale, irrecuperabile. - prevenzione situazionale: la criminalità degli immigrati non si previene migliorando le condizioni In sintesi ciò che è necessario fare è comprendere il deviante analizzando l'ambiente e la cultura nei quali si inserisce. Al concetto di patologia individuale si viene a contrapporre quello di diversità. Lo scopo della società non è più quello di disfarsi dei soggetti devianti, ma di capirli (capire è diverso da giustificare). 2.2 Le politiche Sono le condizioni sociali e culturali in cui vivono gli individui, che producono la devianza: la società, diminuendo l'influenza delle norme sociali che dovrebbero regolare il comportamento dei suoi membri, “produce devianza”; la disorganizzazione sociale di alcune aree rende possibile lo sviluppo di una tradizione delinquenziale, che viene trasmessa ai più giovani; i processi di urbanizzazione e immigrazione, contribuendo ad unire persone di differenti tradizioni culturali, aumentano seppur indirettamente, la formazione di conflitti. Essendo la società ad essere “patologica” o quantomeno alcune parti di essa, gli interventi non devono focalizzarsi sull'individuo, ma sulla collettività. Le politiche attuabili hanno le seguenti finalità: • rafforzare i legami sociali e rendere più efficace il controllo sociale informale, intervenendo: sulle condizioni che consentono di rafforzare i legami sociali tra i membri di una comunità (es: attività ricreative per i giovani gestite da adulti); sulla capacità di empowerment della comunità (campagne per sensibilizzare i residenti sulla necessità di migliorare le condizioni di vita della comunità, lavorare sull'efficacia collettiva, cioè sulla capacità di mobilitarsi per affrontare questioni di comune interesse); sull'ambiente, allo scopo di rendere più difendibile lo spazio fisico. • rimuovere o rieducare il conflitto culturale, favorendo l'integrazione degli immigrati e l'acquisizione dei valori e delle norme di condotta della cultura dominante. 3 logiche possono guidare il processo di immigrazione: logica dell'immigrazione temporanea (integrazione limitata), logica dell'assimilazione (omologazione culturale), logica pluralista (accettazione delle differenze culturali e modificazione dei comportamenti e delle istituzioni della società ricevente). La socializzazione può avvenire a scuola, al lavoro, nel tempo libero, facendo sport, e deve essere accompagnata dall'integrazione sociale, altrimenti può generare devianza (es: se in una classe di ragazzi si socializza ma non c'è integrazione sociale, i “diversi” si siederanno con i “diversi”, si creeranno 2 o più gruppi caratterizzati da valori e norme differenti e nasceranno dei conflitti). 2.3.1Analisi dei casi alla luce della teoria di Durkheim e della disorganizzazione sociale della S. di C. ♣ Il caso del tossi codipendente : il consumo di droghe è interpretato come un indicatore di anomia o di disorganizzazione sociale. Non sono oggetto di studio le caratteristiche individuali dei consumatori, quanto piuttosto le caratteristiche dei contesti sociali in cui tali consumatori vivono. Il caso di Mario: Mario rappresenta l'eccezione nel suo quartiere o ci sono altre persone che come lui consumano sostanze illegali? Quante persone nel quartiere sono seguite dal SerT? Quante sono state segnalate alla prefettura? Quante sono state arrestate per reati legati al consumo di droghe illegali? Bisogna comparare i dati raccolti con quelli relativi ad altri quartieri della città e verificare che vi siano differenze significative. Qualora il fenomeno sia rilevante, è inoltre necessario verificare se esso sia variato nel corso degli anni. Se nel quartiere di Mario il numero di tossicodipendenti registrati è aumentato negli ultimi anni, si dovrebbe cercare di capire in quale misura tale aumento sia riconducibile al mal funzionamento della società. Ci sono altri indicatori di disorganizzazione sociale/ anomia nel quartiere di Mario (disoccupazione, dispersione scolastica, dipendenza dall'a.s. , n. elevato di stranieri presenti, suicidi, ecc.) ? Se la risposta è affermativa, il problema è a tutti gli effetti un sociale, collettivo, e i ragazzi di questo quartiere avranno maggiori probabilità di diventare a loro volta consumatori. Gli interventi dovranno essere diretti a rafforzare i legami sociali, potenziare il livello di controllo sociale informale e migliorare l'empowerment degli abitanti. Così facendo, si preverrà anche il consumo di droghe. Tornando al caso di Mario, si potrebbe fare in modo che: Mario investa più tempo in attività convenzionali, aiutandolo per esempio nella ricerca di un lavoro (controllo informale da parte di colleghi e datori di lavoro + timore di perdere il proprio status di lavoratore o di rovinare la sua nuova immagine sociale → no ritorno alla devianza); Mario si inserisca in attività ricreative e sportive che lo tengano lontano dalle vecchie abitudini (struttura residenziale?); Mario si convinca che determinate norme sociali hanno un senso e devono quindi essere rispettate. ♣ Il caso del criminale dal colletto bianco: la teoria della disorganizzazione sociale non spiega la criminalità dei membri delle classi superiori. Sarebbe infatti ridicolo sostenere che reati come il falso bilancio si verifichino perché la comunità locale non riesce a controllare gli autori di tali condotte a causa del deterioramento fisico e sociale dell'ambiente urbano. Il concetto di anomia può spiegare invece la devianza sia dei “poveri” che dei “ricchi”. Le persone pensano egoisticamente ai propri interessi quando la società non è più in grado di regolare il comportamento dei propri membri. La ricchezza – dice Durkheim – ci dà l'illusione di far capo esclusivamente a noi stessi e meno ci si sente “limitati”, più insopportabile ci appare ogni limitazione. Il caso di Luca: ricchezza e potere hanno reso Luca meno vincolato ai propri obblighi morali verso gli altri (esaltazione dell'individualismo). Bisogna verificare se il caso di Luca sia isolato o se vi siano altri soggetti che, nella stessa società, infrangono le norme. Qualora il fenomeno fosse statisticamente rilevante e si riscontrasse un incremento negli ultimi anni, la condotta criminale di Luca si spiegherebbe come un sintomo di anomia. Si deve poi valutare se e in quale misura la posizione sociale di Luca lo abbia indotto a perseguire le sue ambizioni in modo immorale. Le politiche di intervento dovrebbero agire su 2 livelli: • livello strutturale: rafforzare i legami sociali e promuovere modalità di controllo che spingano persone ed organizzazioni ad assumere comportamenti conformi alle norme. Es: prevenire e contrastare i crimini dai colletti bianchi attraverso espressioni di disapprovazione, adottare iniziative che rafforzino il legame di Luca con la comunità (serv.soc.) e parallelamente agire sull'impresa di Luca per renderla più sensibile al controllo sociale informale e formale; • livello culturale : promuovere fra i membri potenti della società l'uso responsabile delle risorse e del potere di cui dispongono (etica della responsabilità). Es: percorso di risocializzazione per Luca. ♣ Il caso dell'autore del reato predatorio: la criminalità degli immigrati viene interpretata come un problema sociale, un indicatore di disorganizzazione sociale e di anomia. Non sono oggetto di studio le caratteristiche individuali dei criminali, bensì quelle dei contesti sociali in cui tali soggetti vivono. Gli immigrati sono individui più esposti ai rischi della devianza perché non hanno forti legami con la società che dovrebbe controllarli (no lavoro e poche relazioni con i locali). Il caso di Mohammed: verificare la rilevanza statistica del fenomeno e le eventuali variazioni nel tempo. Se il fenomeno è statisticamente rilevante, è incrementato negli ultimi anni ed è accompagnato da altri indicatori di disorganizzazione sociale o di anomia, l'aumento della criminalità degli immigrati in quello specifico quartiere potrebbe essere spiegato come un effetto dell'indebolimento dei legami sociali. Si dovrà intervenire per rafforzare i legami sociali e promuovere l'empowerment della comunità locale. Nel caso di Mohammed bisognerebbe ricostruire la sua storia per valutare in quale misura il tipo di inserimento sociale che ha sperimentato e il tipo di relazioni che ha sviluppato con i membri della sua comunità abbiano indebolito i legami sociali, che debbono essere quindi rafforzati sia con la comunità italiana sia con quella magrebina, coinvolgendolo in attività convenzionali, aiutandolo ad instaurare relazioni significative e favorendo l'interiorizzazione delle norme sociali convenzionali 2.3.2 Analisi dei casi alla luce della teoria del conflitto culturale ♣ Il caso del tossi codipendente: l consumo di droghe illegali è stigmatizzato o è addirittura promosso dalle norme di condotta della cultura (o subcultura) a cui il soggetto consumatore fa riferimento? Tale comportamento potrebbe essere lecito per i membri della subcultura e illecito per i membri della cultura dominante. Secondo questa prospettiva, il consumo di droghe viene sanzionato perché alcuni gruppi sociali hanno il potere di definire questo comportamento come illegale e di applicare le relative sanzioni ai trasgressori Il caso di Mario: il consumo di droga da parte di Mario è espressione di una determinata subcultura? Da quali norme di condotta è caratterizzata questa subcultura? Bisogna ricostruire la carriera di consumo di Mario: come e dove è avvenuta l'iniziazione all'uso di droghe leggere? È avvenuta in un gruppo? Questo gruppo era portatore di norme di condotta che incitavano all'uso di droghe? Il passaggio all'eroina è avvenuto nello stesso gruppo? Gli interventi attuabili possono essere orientati da due logiche: • atteggiamento tollerante nei confronti degli autori di “reati senza vittima”, nella convinzione che una reazione sociale negativa potrebbe produrre più danni; • favorire l'assimilazione dei valori e delle norme di condotta della cultura dominante da parte dei membri della subcultura. ♣ Il caso del criminale dal colletto bianco: nella cultura dell'impresa, le attività che la normativa definisce illegali sono considerate “normali” pratiche organizzative? Bisogna lavorare affinché i criminali dal colletto bianco siano maggiormente stigmatizzati e sanzionati. Es: tutti riteniamo che il furto in appartamento sia un reato da stigmatizzare, ma in quanti ritengono che l'evasione fiscale debba essere un comportamento da stigmatizzare allo stesso modo? Il caso di Luca: l'inquinamento dell'ambiente è stato un comportamento orientato dalla cultura dell'impresa? La risposta è sì, perché gli scarti di produzione venivano smaltiti illegalmente ancor prima dell'arrivo di Luca, che per così dire si è conformato alle consuetudini dell'azienda (= subcultura). A differenza dei consumatori di droghe, i criminali dal colletto bianco hanno più possibilità di evitare sanzioni. Per questa ragione le politiche devono intervenire: • sul versante culturale, promuovendo fra i lavoratori dell'impresa e non solo la consapevolezza che questi comportamenti siano dannosi per la collettività; • sul versante strutturale, promuovendo politiche di autoregolazione Parallelamente si dovrà intervenire sull'impresa di Luca. ♣ Il caso dell'autore del reato predatorio: l'osservanza delle norme della propria cultura può indurre un soggetto (immigrato) ad adottare un comportamento che viola le norme di condotta della cultura dominante. Il caso di Mohammed: i comportamenti criminali di Mohammed sono atti condannati dalla nostra società ma approvati dalla suo paese di provenienza? Lo spaccio e lo scippo sono stigmatizzati in entrambe le culture, sicché la teoria del conflitto culturale non può essere applicata. 3 . IL PARADIGMA SOCIALE : LA TEORIA DELLA TENSIONE E LE TEORIE DELLE SUBCULTURE (da pg85 a pg118 ← se lo studio ti sta uccidendo chiama questo numero) 3.1 Le teorie Le teorie struttural-funzionaliste studiano la società come una totalità di strutture sociali e culturali tra loro interdipendenti. Secondo la prospettiva funzionalista ogni società è caratterizzata da un sistema normativo condiviso dai propri membri. Attraverso la socializzazione primaria e secondaria tali membri apprendono come agire in modo conforme. Il deviante è un soggetto che, in seguito ad una socializzazione inadeguata, agisce violando tali aspettative. Merton sostiene che la devianza sia un prodotto dell'anomia e che quest'ultima venga a sua volta prodotta dalla tensione fra struttura che possa cavarsela come ladro se non stabilisce rapporti con ricettatori, rigattieri,avvocati, ecc. Slums: la subcultura criminale consistente in una banda, i cui membri utilizzano mezzi illegali per procurarsi il denaro; la subcultura conflittuale è caratterizzata da una banda, i cui membri ricorrono alla violenza per acquisire uno status; la subcultura astensionista consiste in una banda in cui si consumano droghe. Secondo Cloward e Ohlin, i giovani della classe inferiore sono stati indotti a desiderare mete che non posso raggiungere con i mezzi legittimi alla loro portata. Si apre a loro la possibilità di perseguire il successo facendo ricorso ad alternative non conformi. La devianza deriva dalla conformità → è per raggiungere mete socialmente approvate che alcune persone utilizzano mezzi illegittimi ed infrangono le regole. Inoltre non bisogna pensare, secondo i due autori che i gruppi di delinquenti siano meno stabili di quelli fra persone che non delinquono. Es: i mafiosi sacrificano tutto per “la famiglia”. Si genera devianza quando fallimenti nel perseguimento degli scopi convenzionali vengono attribuiti all'ordinamento sociale anziché a difetti o incapacità personali. Viene meno la fiducia nel sistema, dalle cui norme sociali il giovane si aliena. Cloward e Ohlin descrivono il processo di formazione della subcultura delinquente: 1. distaccarsi dall'idea che la distribuzione dei mezzi (delle risorse) attuale sia legittima (perdita di fiducia nell'ordinamento sociale); 2. unirsi ad altre persone che condividono lo stesso problema di adattamento; 3. saper controllare emozioni di colpa e di timore in seguito al compimento di atti devianti ; 4. buona comunicazione all'interno del gruppo. Nelle fasi del processo di formazione di una subcultura delinquente è fondamentale il ruolo della comunità di adulti. Bisogna prestare attenzione alla reazione sociale e alla possibilità di accelerare, seppur involontariamente, il processo di alienazione del ragazzo. Es: un ragazzo ruba 2 pacchetti di sigarette o poco tempo dopo viene sorpreso a imbrattare un muro. Se la reazione degli adulti sarà negativa al punto da etichettare il ragazzo come “malvagio”, è probabile che egli cominci a comportarsi come tale, mettendo in atto comportamenti vandalici sempre più gravi, perché non si sentirà capito. Secondo i due autori l'ambiente sociale influenza la natura del comportamento deviante indipendentemente dalla motivazione e dalla posizione sociale dei criminali. Essi classificano le forme di organizzazione sociale degli slums sulla base di due variabili: • il grado di integrazione fra devianti di età diverse; • il grado di integrazione fra criminali e non-criminali. La subcultura criminale tende a nascere negli slums in cui vi sono stretti legami fra devianti di diverse età e fra soggetti criminali e non-criminali. In questi ambienti si delinque per raggiungere il successo. Il criminale adulto è una persona stimata e rappresenta il modello da imitare. Lo stretto legame dei criminali con la società convenzionale favorisce, inoltre, la persistenza del ruolo criminale (es: se uno continua a comprare una merce a basso prezzo pur intuendo che sia stata rubata, favorisce la commissione di furti). In queste subculture gli adulti criminali vigilano sui giovani criminali, limitando il loro comportamento espressivo (malignità, gratuità) e favorendo comportamenti criminali strumentali (es: rubi per mangiare, non per creare disturbo al sistema). La subcultura conflittuale si sviluppa negli slums caratterizzati da: un'organizzazione sociale instabile; dall'elevato tasso di immigrazione; da frequenti programmi di risanamento urbano. Ai giovani mancano i mezzi legittimi per raggiungere i propri scopri e non hanno nemmeno “l'appoggio” di adulti criminali che mettano a loro disposizione valide alternative illegittime. Questa situazione produce una forte pressione verso il comportamento violento (spesso imprevedibile e gratuito). Le bande combattono per ottenere una reputazione, uno status. La subcultura astensionista è caratterizzata dal doppio fallimento: coloro che fanno parte di questa subcultura non sono riusciti a perseguire il successo né non i mezzi legittimi, né con quelli illegittimi. Questo può accadere quando l'uso di mezzi illegittimi è inibito da proibizioni interiorizzate (comunemente chiamate: “AVERE UNA CAZZO DI COSCIENZA!”) o limitato da ostacoli prodotti dalla struttura sociale. Le attività svolte dai membri della subcultura astensionista sono finalizzate ad ottenere i soldi per la DROCA (c'è chi si fa i soldi infrangendo le leggi e chi li spende per infrangerle.. me cojoni) . 3.2 Le politiche Le politiche di controllo della devianza hanno l'obiettivo di ridurre o rimuovere la dissociazione tra le mete e i mezzi prescritti culturalmente. Possono farlo in 2 modi: 1. strutturalmente, intervenendo sulla ineguale distribuzione delle opportunità; 2. culturalmente, evitando di promuovere il successo personale a qualsiasi costo. Politiche strutturali: maggiore redistribuzione delle risorse in favore dei soggetti appartenenti alle categorie più svantaggiate. Es: creazione di posti di lavoro, miglioramento del rendimento scolastico e riduzione della dispersione scolastica, offerta di servizi sociali, istituzione di programmi di formazione professionale, ecc. Politiche culturali: migliorare l'integrazione dei soggetti con problemi di adattamento modificando la struttura sociale; contrastando i valori che inducono le persone ad attribuire più importanza alle mete che non alle procedure (es: insegnare ai ragazzi l'importanza di studiare duramente per accedere a professioni ben remunerate *ndr: come stiamo facendo noi..* oppure controllare la comunicazione pubblicitaria per limitare la desiderabilità di certi beni di lusso); modificando i valori da perseguire socialmente (es: modificare le mete che la società prescrive). 3.3.1 Applicazione della teoria della tensione di Merton ai casi ♣ Il caso del tossi codipendente: il consumo di droghe è una forma di adattamento deviante alla tensione prodotta tra le mete culturalmente prescritte e i mezzi istituzionalizzati per raggiungerle. Il tossicodipendente è uno che rinuncia, che vuole evadere da se stesso. Nel rinunciatario, il senso di sconfitta e la rassegnazione si traducono proprio in desiderio di evasione. Il caso di Mario: il comportamento di Mario è riconducibile alla tensione? Mario vive nella convinzione di non poter perseguire legittimamente i propri scopi perché, per la sua posizione sociale, gli è precluso l'accesso ai mezzi istituzionalizzati? Mario ritiene di essere incapace di utilizzare mezzi illeciti per via delle proibizioni che ha interiorizzato? Mario appartiene alla classe media. La tensione può derivare da un senso di fallimento prodotto dall'incapacità di conformarsi all'imperativo culturale (della classe media specialmente) del successo economico. Le droghe sono uno strumento per evadere dalla necessità di doversi sempre sentire all'altezza (l'abbandono dell'università potrebbe essere un altro episodio considerato da Mario un fallimento dal quale scappare). La società non aiuta perché ”se fallisci, è colpa tua !” Per prevenire l'uso di droghe come strumento di evasione, si deve ridurre lo squilibrio fra struttura culturale e struttura sociale. Dal punto di vista strutturale si possono redistribuire le opportunità fra tutti i membri della società (es: aiutare Mario a terminare il suo percorso scolastico); mentre da un punto di vista culturale, si può evitare di promuovere il successo personale a qualsiasi costo (es: percorso educativo per aiutare Mario a ridefinire le proprie ambizioni utilizzando le risorse a sua disposizione). ♣ Il caso del criminale dal colletto bianco: anche i membri delle classi superiori possono subire gli effetti della tensione fra l'aspettativa di raggiungere il successo economico e la difficoltà di accedere ai mezzi istituzionalizzati a causa della scarsa disponibilità di essi. In conseguenza della limitatezza dei mezzi legittimi, alcuni dirigenti prendono in considerazione strumenti alternativi, illegali → massimizzazione a qualunque costo. Si crea così una situazione di anomia: le norme perdono il potere di regolare il comportamento e ogni mezzo diventa ammissibile per raggiungere i propri obiettivi (es: imporre salari bassissimi, sfruttare il lavoro minorile, inquinare l'ambiente, evadere il fisco, falsificare bilanci, ecc.). Il caso di Luca: Luca ha smaltito illegalmente gli scarti di produzione per massimizzare i benefici per la propria azienda. Bisogna chiedersi allora se egli operasse in un contesto improntato sul perseguimento della massimizzazione del profitto e poco sull'importanza delle norme istituzionali. Per prevenire e contrastare i corporate crimes si devono affrontare le cause che esercitano una pressione tale da indurre determinati soggetti ad adottare un comportamento non conforme. Tali cause devono essere individuate analizzando la “struttura sociale” dell'impresa (es: in quale contesto economico fa affari l'azienda, le ideologie che orientano le azioni dell'impresa, il tipo di regolazione istituzionale al quale essa è soggetta). Quali interventi potrebbero essere efficaci? Una possibilità di rieducativa per Luca in modo tale che egli interiorizzi i valori istituzionali. ♣ Il caso dell'autore del reato predatorio: gli immigrati sperimentano spesso una condizione di tensione per il fatto di non poter realizzare le aspettative di successo economico ricorrendo ai mezzi istituzionali. Essi possono dirsi pertanto degli innovatori nel modo di adattarsi alla società ospitante, perché ne interiorizzano le mete culturali, ma per raggiungerle fanno uso di mezzi illegittimi. Il caso di Mohammed: Mohammed, attraverso la socializzazione anticipatoria ha interiorizzato lo stile di vita dei giovani occidentali. Le mete gli sembravano facilmente raggiungibili, ma una volta arrivato in Italia da solo e illegalmente, si è reso conto delle difficoltà a intraprendere le vie istituzionali. Ha cominciato dapprima a spacciare e dopo essere stato licenziato ha commesso il reato predatorio. Per prevenire il comportamento deviante degli immigrati, si può intervenire su più livelli: • punto di vista strutturale : redistribuire le opportunità istituzionali, favorendo il processo di integrazione sociale degli immigrati (es: creare opportunità di lavoro, favorire l'inserimento scolastico, migliorare l'accessibilità al servizio sociale, progettare corsi di riqualificazione professionale); • punto di vista culturale : evitare di promuovere aspirazioni che enfatizzino il perseguimento del successo personale a qualunque costo (es: favorire un processo di socializzazione anticipatoria che metta in evidenza non soltanto le mete, ma anche i mezzi per raggiungerle; progettare un intervento rieducativo su Mohammed). 3.3.2 Applicazione delle teorie delle subculture delinquenti (Cloward e Ohlin) ai casi ♣ Il caso del tossi codipendente: secondo Cloward e Ohlin, i giovani maschi delle classi inferiori farebbero uso di droghe avendo fallito nel tentativo di acquisire uno status sia con i mezzi legittimi che con quelli illegittimi (doppio fallimento). Il caso di Mario: Mario fa parte di un gruppo legato al consumo di droghe illegali? Il fatto che Mario abbia condotto uno stile di vita sotto molti aspetti convenzionale (maturità, iscrizione all'uni, attività lavorativa, ecc.), lascia presumere che egli non appartenga ad una subcultura astensionista. La sua vita non ruota intorno al mondo della droga, non è quindi un tossicodipendente di strada. Si presume inoltre che, non avendo mai avuto precedenti penali, Mario non abbia una carriera criminale fallita alle spalle. Il consumo di droga di Mario non può essere quindi spiegato attraverso la teoria del doppio fallimento. ♣ Il caso del criminale dal colletto bianco: le teorie di Cloward e Ohlin non possono essere utilizzate per spiegare i reati dei colletti bianchi. Esiste però una teoria basata sulle subculture organizzative. Le subculture organizzative espongono i propri membri a particolari visioni del mondo che, rendendo inefficaci sentimenti di colpa o di vergogna, consentono agli individui di mettere in atto determinate attività illegali, considerandole normali pratiche organizzative. Le subculture organizzative possono favorire il comportamento criminale in 2 modi: 1. fornendo ai propri membri le razionalizzazioni per compiere gli atti, aiutandoli cioè a spiegato alla luce di questo (es: non tutti i poveri sono ladri, quindi la povertà non è causa diretta dei furti). Due elementi fondamentali caratterizzano la teoria dell'associazione differenziale: • il processo, attraverso il quale avviene l'apprendimento del comportamento criminale; • il contenuto di ciò che si apprende. Il processo si apprendimento avviene attraverso la comunicazione con altri soggetti, non per forza criminali (si possono imparare modelli devianti da persone non criminali e modelli di comportamento conformi da teppisti). Tale apprendimento non avviene per imitazione, né attraverso modalità di comunicazione impersonali come la visione di un film o la lettura di un giornale, ma grazie al principio dell'associazione differenziale◦. Più un soggetto frequenta bande criminali e si isola dai modelli di comportamento legittimi, più sarà difficile che trovi svantaggioso deviare dalle norme della cultura dominante. Sutherland e la criminalità dei colletti bianchi: è possibile spiegare la criminalità dei colletti bianchi facendo riferimento alla teoria dell'associazione differenziale. Sutherland definisce i crimini dei colletti bianchi come reati premeditati, commessi da persone rispettabili e di elevata condizione sociale, nel corso della propria occupazione. Secondo l'autore, il criminale dal colletto bianco è il tipico uomo pecuniario, senza scrupoli, incurante delle conseguenze delle proprie azioni. È recidivo, è ammirato dai propri colleghi, prova disprezzo per la legge, tutte caratteristiche tipiche del ladro professionista. L'unica differenza fra quest'ultimo e il criminale dal colletto bianco è che il ladro si considera un criminale e il giudizio della collettività su di lui non è diverso. L'uomo d'affari, viceversa, si considera un cittadino responsabile e nel complesso questa è anche l'opinione della collettività. I criminali dal colletto bianco, in virtù della loro posizione sociale e dell'appartenenza ad un'organizzazione legittima, sono in grado di contrastare il processo di criminalizzazione (stigma). Il criminale dal colletto bianco apprende il proprio comportamento interagendo con soggetti che definiscono tale comportamento favorevolmente (associazione differenziale). NB: Definizioni favorevoli = razionalizzazioni Matza e Sykes e la teoria della neutralizzazione: il comportamento criminale è appreso nell'ambito di un processo di comunicazione sociale. Due elementi fondamentali: 1. le tecniche per commettere i reati; 2. le definizioni favorevoli alla violazione della legge (precedono l'atto criminale rendendolo possibile e agiscono anche a reato compiuto per proteggere l'attore dai sensi di colpa). Matza e Sykes e la subcultura della delinquenza: i due autori contestano le teorie delle subculture delinquenti, che raffigurano il ragazzo delinquente come un soggetto il cui comportamento è regolato da norme e valori opposti a quelli della cultura dominante. La loro opinione è che non si possa trascurare il fatto che il microcosmo del ragazzo sia collocato nel più ampio mondo di coloro che osservano le leggi e che egli frequenti membri della società convenzionale (insegnanti, educatori dei campi estivi ecc.) → influenza reciproca ! Il soggetto non può dirsi completamente socializzato ad uno stile di vita alternativo o non si spiegherebbe perché spesso provi vergogna o rimorso per le proprie azioni, perché ammiri coloro che rispettano la legge o perché interrompa la carriera criminale entrando nell'età adulta. Secondo Matza, per analizzare la subcultura della delinquenza, bisogna capire i meccanismi sottesi all'integrazione della subcultura nella società: • neutralizzazione delle norme che si intendono violare, mantenendo contemporaneamente l'adesione al sistema normativo e valoriale della società; • convergenza fra i valori della subcultura della delinquenza e quelli della cultura dominante Le tecniche di neutralizzazione (giustificazioni) descritte da Matza e Sykes sono 5: 1. negazione della responsabilità: l'individuo non ritiene di essere responsabile delle proprie azioni devianti perché esse sono il prodotto di forze che non può controllare (es: “Non è stata colpa mia ero sotto l'effetto di droghe”); 2. negazione del danno: l'individuo è convinto di non aver arrecato danno a nessuno con le proprie azioni devianti (es: “Non ho fatto del male a nessuno”); 3. negazione della vittima: l'individuo non nega la propria responsabilità, bensì l'esistenza di una vittima, perché la vittima meritava di subire il danno. Negare la vittima significa attribuire alla stessa la responsabilità del danno (es: “Era una persona malvagia, meritava di morire”); 4. condanna di chi condanna: l'individuo sposta l'attenzione su coloro che l condannano (es: “Ce l'hanno con me”); 5. richiamo a realtà più alte: infrangendo la norma sociale il soggetto ritiene di essersi conformato alle richieste del gruppo al quale appartiene (es: “L'ho fatto per il bene dell'impresa”). Matza e Sykes sostengo che nella cultura dominante ci siano dei valori sotterranei in cui si riconoscono anche gli appartenenti alle subculture devianti: divertimento, avventura, uso di alcol e di droghe illegali, guidare senza patente, marinare la scuola ecc. → ritenuti ammissibili dalla maggioranza delle persone e quindi accettati. Pertanto, per commettere un reato non serve essere socializzati ad un sistema normativo antitetico a quello convenzionale, ma basta acquisire i valori sotterranei della cultura dominante. Matza e la volontà del deviante: le norme e i valori della subcultura deviante costituiscono valide giustificazioni per infrangere le leggi. Drift (deriva): si allenta il legame morale del soggetto e la delinquenza diventa una possibilità. Nella condizione di deriva, al soggetto si aprono 2 strade: infrangere la norma o non infrangerla. La spinta per realizzare l'atto deviante è fornita dalla volontà dell'attore. Matza descrive il deviante come soggetto a cui nulla accade suo malgrado. Nessuno è “costretto” a diventare deviante. La volontà non è però libero arbitrio, poiché essa non è separata dal contesto. Il deviante sceglie all'interno del suo ambiente, il suo agire è situato. La quantità di libertà delle persone è variabile, dipende dalle circostanze, dal contesto, dalla situazione, dalla loro storia ecc. La volontà di trasgredire una norma può essere attivata da 2 condizioni: 1. la preparazione, che fornisce l'impulso a ripetere vecchie infrazioni → il soggetto sceglie di infrangere la norma, perché ha imparato dall'esperienza quali tecniche adottare per neutralizzarla e come gestire l'apprensione; 2. la dispersione, che offre la spinta per commettere nuovi reati → il soggetto sceglie di infrangere la norma pur non sapendo a cosa andrà incontro. 4.2 Le politiche Le teorie descritte in questo ultimo capitolo hanno in comune alcuni punti: • il comportamento deviante è appreso nell'interazione con altre persone; • il soggetto apprende tecniche, valori, norme, giustificazioni e moventi che regoleranno la sua condotta deviante. Le politiche dovranno essere caratterizzate da 2 finalità: 1. preventiva: scopo di isolare gli individui dai modelli normativi non convenzionali e/o di favorire l'associazione con modelli normativi convenzionali; 2. educativa: scopo di allontanare gli individui devianti dai modelli normativi non convenzionali , facendoli entrare in contatto con soggetti/ gruppi convenzionali, o di modificare i contenuti dei modelli normativi delle subculture devianti. Isolare gli individui dai modelli normativi devianti: prevenire il comportamento deviante evitando che le persone entrino in contatto con soggetti in grado di trasmettergli modelli normativi non conformi. Per fare ciò bisogna individuare i soggetti a rischio. Secondo Sutherland l'intervento non deve essere di tipo clinico, ma deve modificare le relazioni di gruppo per essere efficace. Poiché le associazioni differenziali variano per frequenza, durata, priorità e intensità, le strategie di prevenzione devono intervenire anche su queste dimensioni. (es: se l'associazione con modelli di comportamento non conformi avviene spesso in età precoce, si deve cercare di prevenire questa associazione promuovendo il contatto con gruppi sociali portatori di modelli normativi conformi, come il dopo scuola). 2 questioni da non sottovalutare: 1. Sutherland non si concentra sulle caratteristiche personali dei soggetti che si associano, bensì sui modelli di comportamento che tali associazioni forniscono. Si possono apprendere comportamenti devianti da persone non criminali e viceversa; 2. non ci sono gruppi sociali immuni alla devianza (es: colletti bianchi), per questo motivo gli interventi di prevenzione dovrebbero essere rivolti a tutti, non soltanto a fasce di popolazione “disagiate”. Teoria della neutralizzazione e interventi: secondo la teoria della neutralizzazione i devianti sono individui comuni che, attraverso tecniche di neutralizzazione delle norme, compiono atti illeciti, senza vergognarsene o sentirsi in colpa. Gli interventi di prevenzione hanno lo scopo di rendere inefficaci queste tecniche. La rieducazione del deviante: se il deviante ha appreso la condotta trasgressiva nell'associazione con un gruppo di persone per le quali tale condotta era già consolidata, gli interventi dovranno mirare all'affiliazione con gruppi di persone rispettosi delle norme, che riescano a “convertirlo”. La rieducazione si può ottenere attraverso 2 processi: l'alienazione dell'autore del reato dai gruppi che sostengono modelli criminali e, l'assimilazione dell'autore di reato a gruppi che diffondono modelli conformi. L'assimilazione può essere raggiunta tramite 2 tipi di intervento: 1. le persone vengo avvicinante nel loro contesto sociale (i rappresentanti delle istituzioni entrano in contatto con i gruppi nel loro ambiente e tentano di modificarne le relazioni sociali, rendendole più ricettive alle regole sociali convenzionali); 2. le persone vengono inserite in particolari organizzazioni (i soggetti devianti vengono inseriti all'interno di specifiche strutture residenziali o semiresidenziali, come comunità o centri diurni, nelle quali si adottano programmi educativi). Poiché, secondo la teoria dell'associazione differenziale un intervento non può dirsi efficacie se non modifica la natura delle relazioni sociali del deviante, è bene esplicitare che l'intervento rieducativo (apparentemente clinico/ individuale) serve nella misura in cui permette al soggetto deviante di apprendere nuove abilità che gli permettano di avvicinarsi a persone rispettose della legge (es: impara un mestiere e durante le ore di lavoro incontra nuovi gruppi). Alcune forme di intervento, come la mediazione penale, attribuiscono un valore educativo all'incontro fra l'autore del reato e la vittima dello stesso. Mostrando la vittima al criminale, si ritiene di poter contrastare la neutralizzazione che ha reso possibile l'atto dannoso (faccia da gufo incazzato della Stella) . Prevenzione e interventi sul contesto sociale e culturale: le teorie descritte attribuiscono importanza anche al contesto sociale in cui si apprendono i contenuti devianti. Secondo la teoria dell'associazione differenziale, il tasso di criminalità è determinato dal grado con cui una comunità è organizzata contro il crimine o a favore di esso. Anche la teoria della neutralizzazione attribuisce valore al contesto sociale nella misura in cui considera le tecniche di neutralizzazione come costruzioni prodotte dall'ambiente sociale e culturale in cui il deviante agisce. La teoria dell'associazione differenziale e il contesto sociale: dice Sutherland che quando una comunità è fortemente organizzata in favore del crimine, gli individui avranno maggiori probabilità comportamento economico: si rafforzerebbero le regole e così pure la valutazione negativa di tali comportamenti da parte della collettività. Questo servirebbe a rendere meno efficaci le razionalizzazioni utilizzate dai colletti bianchi per infrangere le norme senza per questo sentirsi colpevoli. Criminalità dei colletti bianchi e cultura organizzativa: la subcultura di un'impresa può promuovere e consolidare il comportamento deviante all'interno dell'organizzazione, fornendo definizioni favorevoli alla condotta criminale. Nel nostro caso, l'impresa di Luca, in nome del lasseiz-faire, ha sempre giustificato lo scarico illegale degli scarti. In questo senso, sono coerenti quegli interventi che incidono sugli aspetti culturali e organizzativi dell'impresa, e che favoriscono l'associazione differenziale con modelli normativi non criminali (es: sensibilizzare i lavoratori sulla gravità di certi comportamenti, favorire l'autoregolazione responsabile, ecc). Il trattamento del singolo criminale dal colletto bianco: utile nella misura in cui consenta al criminale dal colletto bianco di affiliarsi con gruppi di persone rispettosi della legge. L'affidamento in prova al Servizio sociale potrebbe rappresentare un'occasione per Luca di associarsi con gruppi e persone (assistenti sociali, giudici di sorveglianza, volontari, ecc.) portatori di una cultura della legalità e della responsabilità. Tale nuova associazione potrebbe alzare il costo morale di determinate condotte e rendere inefficaci le razionalizzazioni. Interventi psicosociali potranno renderlo “meglio equipaggiato”. Per modificare le associazioni differenziali di Luca bisognerebbe isolarlo da modelli normativi non conformi e/o avvicinarlo a modelli normativi conformi. Nel primo caso, Luca dovrebbe cambiare gruppo di lavoro oppure dovrebbe modificarsi la cultura di quel gruppo. Nel secondo caso, Luca dovrebbe approfittare della vicenda giudiziaria (per lui negativa) per affiliarsi a nuovi gruppi caratterizzati da modelli normativi conformi. ♣ Il caso dell'autore del reato predatorio: lo scippatore è un soggetto che è stato esposto ad un eccesso di modelli normativi sfavorevoli alla legge. Egli è diventato un autore di reato predatorio apprendendo le tecniche, i moventi e le razionalizzazioni dell'azione stessa, attraverso l'interazione con altre persone in un processo di comunicazione. I progetti migratori dei ragazzi possono essere di 2 tipi: quello del ragazzo che emigra sostenuto dalla propria famiglia e quello del ragazzo che decide autonomamente di emigrare. Nel primo caso, il ragazzo arriva nel paese di destinazione accompagnato da una persona che diventerà il suo punto di riferimento. Se il ragazzo è affiliato con un gruppo potatore di modelli devianti è molto probabile che apprenda definizioni favorevoli alla violazione della legge. Nel secondo caso, il ragazzi solitamente provengono da contesti sociali degradanti, e il più delle volte sono già stati esposti nel paese di origine a modelli normativi criminali. Il caso di Mohammed: bisogna ricostruire il processo di apprendimento attraverso cui Mohammed è diventato un criminale. I problemi con la giustizia si sono manifestati nel periodo in cui egli era presente in modo irregolare nel nostro paese. La situazione di clandestino non è di per sé criminogena, ma sono potenzialmente criminogene le associazioni che tale condizione può favorire. Ci si deve poi chiedere cosa Mohammed abbia appreso e come le sue associazioni differenziali siano cambiate nel tempo. La prima volta è stato arrestato per spaccio, la seconda volta per scippo. Due reati diversi, che richiedono tecniche e razionalizzazioni differenti, ed è probabile che siano state apprese da gruppi diversi. Lo scippo a differenza dello spaccio è un'azione violenta. L'intervento dovrà fare in modo che Mohammed entri in contatto con modelli normativi sfavorevoli alla violazione della legge. Si possono individuare 2 tipi di intervento: 1. interventi rivolti alla comunità nella quale vive, con lo scopo di promuovere un'organizzazione sociale in cui prevalgano modelli normativi conformi. Per fare questo si devono realizzare interventi che rafforzino l'integrazione sociale ed economica delle comunità di immigrati nella società che li ospita: • migliorando le condizioni sociali, abitative, sanitarie di tali comunità e rafforzando la capacità dei residenti di mobilitarsi per controllare e prevenire la devianza giovanile (prospettiva ecologica); • favorendo l'accesso ai mezzi istituzionalizzati attraverso il riconoscimento dei diritti della cittadinanza (teorie strutturali); 2. interventi rieducativi nei confronti di Mohammed, con il fine di promuovere una sua affiliazione con gruppi di persone non criminali. 4.3.2 Applicazione della teoria della neutralizzazione ai casi ♣ Il caso del tossicodipendente: i consumatori di droghe illegali sono attori sociali (non diversi dai non consumatori per caratteristiche personali, condizioni sociali e valori di riferimento) che neutralizzano le norme che vietano e/o stigmatizzano l'uso di determinate sostanze psicoattive. Molti consumatori non si definiscono devianti (grazie alle giustificazioni) e non abbracciano un sistema normativo e valoriale antitetico rispetto a quello dominante. Utilizzando il concetto dei valori sotterranei, il consumo di droghe illegali può essere considerato un comportamento sostanzialmente accettato anche dalla cultura dominante (milioni di consumatori di psicofarmaci). Il caso di Mario: si devono individuare le giustificazioni a cui Mario è ricorso per neutralizzare le norme che stigmatizzano l'uso di determinate sostanze psicoattive. Mario non ha mai avuto problemi con la giustizia; il suo consumo di droghe sembrerebbe non avere interferito negativamente con gli altri ambiti della sua vita. Quali tecniche di neutralizzazione può avere adottato? Lo hanno influenzato i valori sotterranei della cultura dominante (droga = bravata/ avventura/ divertimento)? In quale misura? Gli interventi possibili sono 3: 1. prevenzione primaria: convincere potenziali consumatori che l'uso di stupefacenti è un comportamento rischioso e rendere inefficaci le tecniche di neutralizzazione apprese dai consumatori; 2. interventi di riduzione del danno: promuovere rappresentazioni responsabili di sé. Basta incentivare giustificazioni del tipo: “Ah cazzo, non scusate non volevo uccidere Salvatore, è stata la droga che avevo in corpo. Non ero responsabile delle mie azioni”; 3. trattamento del singolo consumatore: lo scopo del trattamento è quello di rendere inefficaci le tecniche di neutralizzazione evidenziando l'immoralità del comportamento in questione, la sua pericolosità sociale, i rischi per la salute o i danni associati a particolari stili di consumo. Si deve combattere contro le rappresentazioni sociali che vedono i tossicodipendenti come persone incapaci di intendere e di volere. ♣ Il caso del criminale dal colletto bianco: Luca ha deciso di commettere un reato, dopo aver utilizzato delle strategie per giustificare il proprio comportamento criminale. Una delle più comuni tecniche di neutralizzazione utilizzate dai colletti bianchi è la negazione dell'offesa. Il soggetto nega che il suo comportamento possa essere criminale poiché non ha danneggiato nessuno (illegale, ma non criminale). Spesso le persone coinvolte in questi crimini sostengono che le norme violate siano ingiuste, che limitino l'iniziativa imprenditoriale. Un'altra comune razionalizzazione è la lealtà all'organizzazione a cui appartengono. Collegata a questa c'è anche il trasferimento di responsabilità dell'atto ad un gruppo di riferimento vagamente definito. Tale giustificazione consente di non sentirsi responsabili per le proprie azioni, perché adottate al fine di soddisfare aspettative altrui. Infine, gli autori dei crimini occupazionali giustificano i loro reati facendo riferimento al loro bisogno di denaro. La neutralizzazione serve ai colletti bianchi per infrangere la legge e per reagire al processo di criminalizzazione evitando di compromettere la propria reputazione sociale. La loro efficacia nel contrastare il processo di criminalizzazione si deve soprattutto al fatto che il pubblico è disposto ad accettare le razionalizzazioni del deviante. È molto diffusa l'idea che la criminalità dei colletti bianchi faccia molti meno danni di quella di tipo predatorio. Pertanto, è importante intervenire non soltanto sul singolo criminale, ma anche a livello culturale, per modificare quelle credenze che favoriscono la neutralizzazione delle norme nella misura in cui raffigurano i crimini dei colletti bianchi come atti non dannosi, non violenti, non criminali. Il caso di Luca: bisogna valutare quali tecniche di neutralizzazione abbia utilizzato. È probabile che egli non si ritenga un criminale, ma un dirigente aziendale leale e affidabile, che ha agito conformandosi alle procedure aziendali e che non era a conoscenza di come venissero smaltiti gli scarti di produzione. Si possono individuare 3 tipi di intervento: 1. interventi sulla società, con lo scopo di modificare le rappresentazioni sociali sui reati dei colletti bianchi affinché siano maggiormente stigmatizzati; 2. interventi sui gruppi di riferimento (es: imprese) dei colletti bianchi, realizzando programmi educativi e/o implementando codici di autoregolazione; 3. interventi sul singolo autore di reato per far maturare in Luca la consapevolezza che egli ha commesso un crimine grave e che ha danneggiato numerose persone. Tale consapevolezza è il presupposto indispensabile per ogni intervento di riabilitazione che sia finalizzato a prevedere la recidiva. ♣ Il caso dell'autore del reato predatorio: secondo la teoria della neutralizzazione, per diventare criminali non è necessario interiorizzare norme e valori opposti a quelli della cultura dominante, ma si può diventarlo neutralizzando temporaneamente le norme violate. Il caso di Mohammed: il comportamento di Mohammed è stato determinato da credenze presenti nel suo contesto sociale e culturale? Tali credenze possono aver incoraggiato un atteggiamento irresponsabile? Secondo Matza, le rappresentazioni sociali della criminalità che tendono a deresponsabilizzare l'autore del reato possono facilitare la condizione della deriva. Quali tecniche di neutralizzazione può aver utilizzato Mohammed? Per esempio, potrebbe aver giustificato lo spaccio negando l'esistenza di una vittima, oppure potrebbe aver giustificato lo scippo incolpando le vittime di essere la causa della sua povertà e quindi della sua necessità di scippare. Il comportamento deviante si può prevenire modificando a livello sociale determinate rappresentazioni della delinquenza; mentre, per quanto riguarda le finalità del trattamento individuale, l'intervento deve avere lo scopo di modificare la struttura motivazionale del deviante, rendendo inefficaci le tecniche di neutralizzazione che egli ha appreso (es: mostrare a Mohammed che il suo comportamento procura un danno e come le sue vittime non meritino questa offesa). 5. LA TEORIA DELLA RELAZIONE SOCIALE E DELL'ETICHETTAMENTO (da pg161 a pg192) 5.1 La teoria Quando una persona agisce in modo non conforme alla legge o alle norme sociali si ritiene che debba essere sanzionata, perché la società deve proteggersi dalle conseguenze della devianza. La reazione sociale dello Stato contribuisce a proteggere la società perché: • riduce i comportamenti criminali : scoraggia il criminale dall'infrangere nuovamente la legge (deterrenza speciale), scoraggia i rei potenziali dall'imitare i criminali (deterrenza generale), rieduca i criminali, segrega i delinquenti in modo tale che essi non possano mettere in atto comportamenti dannosi per la collettività (carcere); • rafforza la coesione sociale perché favorisce il sorgere di sentimenti collettivi contro la trasgressione della norma, consolidando indirettamente il consenso su ciò che è interesse comune tutelare. Il controllo sociale sembrerebbe quindi indispensabile per prevenire e contrastare i comportamenti I passaggi da una fase all'altra della carriera possono dipendere da fattori causali, ambientali o individuali e possono essere più o meno improvvisi e radicali. Becker suddivide la carriera in 4 fasi: 1. prima fase della carriera deviante: commissione di un atto non conforme, consapevolmente o inconsapevolmente; 2. seconda fase della carriera deviante: sviluppo di motivazioni, interessi, definizioni favorevoli alla trasgressione di determinate norme sociali; 3. terza fase della carriera deviante: etichettamento pubblico del soggetto come deviante (passaggio dalla devianza primaria a quella secondaria). L'etichettamento può contribuire a fare in modo che lo status di deviante diventi quello egemone: il soggetto etichettato verrà considerato un deviante per tutti gli aspetti della sua vita, anche per quelli antecedenti alla commissione del reato. Il deviante assume progressivamente lo status e l'identità suggerita dallo stigma sociale, diventando quello che è stato descritto essere; 4. quarta fase della carriera deviante: entrare a fare parte di un gruppo deviante organizzato. Lo stigma allontana il soggetto dai gruppi convenzionali e lo avvicina a quelli non convenzionali. Attraverso l'affiliazione al gruppo deviante si consolida l'identità deviante. Questo è possibile grazie all'acquisizione di ulteriori razionalizzazioni, motivazioni, tecniche di azione ecc. Il ruolo delle istituzioni nella creazione della devianza (es: carceri): • impediscono lo scambio sociale e l'uscita verso il mondo esterno; • spogliano dei ruoli sociali abituali (es: un lavoratore impossibilitato per un lungo periodo perché trattenuto in carcere, rischia di perdere le capacità per ricoprire quel ruolo sociale); • mortificano l'Io (persone svuotate di senso); • attribuiscono un etichetta che limita le opportunità di vita anche all'esterno (gli anni di carcere non fanno curriculum). Talvolta, lo stigma può trasformarsi in una giustificazione (es: “Sono un bidone umano, non posso far altro che rubare. Non ho un lavoro e non so badare a me stesso”). Un esempio di stigma negativo è la medicalizzazione → definire la situazione di una persona come una condizione patologica (es: ritenere che il tossicodipendente sia agito dalla droga, incapace di intendere e di volere). La carriera deviante non deve essere analizzata in maniera deterministica, poiché nessuna carriera deviante è uguale ad un' altra e il loro sviluppo non segue fasi predeterminate e inevitabili. Gli sviluppi delle carriere devianti sono condizionati: • dalla capacità dei soggetti di contrastare i processi di criminalizzazione primaria e secondaria, ad esempio spostando la reazione sociale (sull'immigrazione clandestina piuttosto che la corruzione politica), influenzando il processo di formazione delle norme, rendendo meno efficace il controllo sociale formale; • dalla capacità di evitare di essere scoperti e stigmatizzati; • se scoperti, dal potere di contrastare l'etichettamento attraverso l'occultamento dei propri reati, la neutralizzazione della disapprovazione sociale e l'adozione di strategie finalizzate alla conservazione della rispettabilità sociale; • se etichettati e trattati come devianti, dalla capacità di dimostrare pubblicamente di aver ricostruito un'identità sociale non deviante La carriera deviante può essere rappresentata attraverso l'immagine di un corridoio. La direzione della persona è condizionata dal suo status e dalle sue risposte alla reazione sociale. Non è detto che il deviante percorra il corridoio per intero. Può buttarsi a capofitto nel mondo della devianza saltando alcune fasi, così come può uscirvi prima di arrivare alla creazione definitiva di un'identità deviante. Tuttavia, in ogni fase della carriera deviante (o stanza del corridoio) il soggetto incontrerà persone o vivrà situazioni che lo indurranno il più delle volte a proseguire corridoio. Inoltre non è affatto semplice uscire, perché durante il cammino si perdono gli affetti, la propria “facciata”, le abilità per sopravvivere in maniera convenzionale ecc. Le opportunità di vita delle persone etichettate si riducono poiché lo stigma innesca processi di esclusione sociale (es: ex carcerato esce dalla prigione, ha perso tutto – la famiglia, i soldi, gli amici la rispettabilità, non ha un lavoro onesto da tempo immemore – cosa fa? Come può uscire dal corridoio della devianza?) 5.2 Le politiche Se lo Stato favorisce lo sviluppo della carriera deviante, si deve ridurre l'intrusione delle istituzioni nella vita dei devianti (critica all'intervento statale non soltanto repressivo ma anche assistenziale). Attraverso la rieducazione, lo Stato non “cura”soltanto il reo ma anche i soggetti che gli sono vicini, i quali, pur non avendo mai commesso reati, subiscono il processo di etichettamento, che potrebbe indurli ad iniziare a loro volta una carriera deviante. I teorici dell'etichettamento invitano a non reagire in maniera eccessiva nei confronti di condotte devianti. La parola chiave è “tolleranza”. 3 tipi di politiche per ridurre l'impatto della reazione sociale sulla vita dei soggetti etichettati come devianti: 1. depenalizzazione; 2. diversion ; 3. deistituzionalizzazione. La depenalizzazione: secondo i teorici dell'etichettamento, le norme penali riflettono gli interessi e le visioni del mondo di alcuni attori sociali. Alcune di esse sono espressione di un consenso diffuso sulla necessità di salvaguardare interessi e bene. Altre norme, invece, sanzionano comportamenti per proteggere beni cari soltanto ad alcuni gruppi sociali, aventi il potere di imporre la propria visione del mondo a tutta la collettività. Appartengono a questa categoria i reati senza vittima (es: prostituzione, consumo di droghe illegali ecc.). La criminalizzazione dei reati senza vittima produce il crimine in vari modi: • tutti coloro che infrangono queste leggi diventano criminali; • la criminalizzazione spinge a commettere reati connessi al comportamento vietato dalla norma (es: il tossicodipendente per comprarsi la dose ruba o spaccia); • la criminalizzazione, proibendo l'acquisizione legale di beni e servizi, promuove lo sviluppo di mercati illegali gestiti dalla criminalità organizzata; • l'esistenza di tali mercati illegali rappresenta un forte incentivo per la corruzione degli agenti di controllo sociale, i quali possono essere pagati “per guardare da un'altra parte”; • le persone, entrando nel circuito penale, subiscono un processo di stigmatizzazione che può avere un impatto negativo sulla loro vita sociale e relazionale. I teorici della reazione sociale sostengono pertanto che si dovrebbero depenalizzare alcuni reati, soprattutto quelli senza vittima, in modo tale da ridurre l'etichettamento. La diversion: non tutti i reati possono essere depenalizzati, perché in alcuni casi vi è consenso unanime sulla necessità di sanzionare determinate condotte. Ma se l'etichettamento deve essere evitato come possiamo comportarci in questi casi? Le persone non dovrebbero vivere l'esperienza del processo penale, né della detenzione (evitare la “prigionizzazione” nota pg 181). Ad esempio, per i minori autori di reato c'è la possibilità di sospendere il processo e di avviare la messa alla prova. Alcune misure alternative sono previste anche per gli adulti: la liberazione condizionale, l'affidamento in prova al Servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà ecc. Secondo il principio della diversion, l'applicazione delle norme del processo penale deve essere finalizzata alle esigenze educative e riabilitative del soggetto. 2 effetti delle politiche della diversion: • allargamento della rete del controllo sociale: le politiche della diversion non hanno ridotto le carcerazioni né l'etichettamento, ma hanno esteso la rete del controllo sociale. Le misure della diversion si sono aggiunte a quelle penali già esistenti (più persone vengono “punite”); • carattere selettivo delle misure di diversion: esse sono utilizzate principalmente per i soggetti meno deprivati da un punto di vista sociale, familiare ed economico, mentre si ricorre maggiormente al carcere per sanzionare i poveracci. La deistituzionalizzazione: abolizione delle istituzioni totali! Si tratta di luoghi chiusi, che impediscono lo scambio sociale. Al loro interno le persone sono trattate allo stesso modo e sono obbligate a fare le stesse cose. I soggetti subiscono un processo di mortificazione del sé attraverso il quale l'identità personale viene sostituita dall'identità dell'istituzione, un processo si spoliazione dei ruoli (perdono progressivamente le abilità per svolgere adeguatamente i loro ruoli abituali, come ad esempio di lavoratore o di genitore) e di spersonalizzazione (le persone internate, una volta etichettate, assumono uno status, esperimento Rosenhan). In sintesi le persone internate acquisiscono i valori e le norme dell'istituzione e perdono le capacità e le risorse per vivere nel mondo esterno. Per questa ragione le carceri non redimono, i manicomi non guariscono, gli orfanotrofi non educano. Anzi, favoriscono l'acquisizione di identità devianti Le politiche di deistituzionalizzazione hanno: • promosso pratiche di lavoro sociale che consentissero alle persone di essere assistite pur continuando a vivere nel proprio ambiente sociale e familiare (es: assistenza domiciliare); • istituito luoghi “aperti” di trattamento, in cui è favorito lo scambio sociale con l'esterno (es: comunità alloggio). 5.3 Apllicazione della teoria della reazione sociale e dell'etichettamento ai casi ♣ Il caso del tossicodipendente: sono oggetto di studio i processi sociali attraverso i quali i membri di una società definiscono e trattano il consumo di droghe come deviante e le conseguenze di tale etichettamento sui consumatori. Il caso di Mario: Mario è un deviante? Se sì, quali norme sociali ha trasgredito? Ha fatto uso di eroina. Ha violato altre norme sociali? Perché la cantante del mio moroso si imballa di xanax e non è considerata deviante? Il consumo di determinate sostanze psicoattive (alcolici e psicofarmaci) non viene stigmatizzato nella misura in cui non procura danni a terzi, mentre non si tollera l'uso nemmeno strettamente personale di altre sostanze. Quali sono i criteri per individuare cosa è deviante e cosa non lo è? Quali sono le sostanze “buone” e quali quelle “cattive”? Chi ha il potere di etichettare il consumatore come deviante? Bisogna sfatare il mito: “tossicodipendenti=malati” e ripercorrere la carriera di consumo di Mario, focalizzando l'attenzione sia sui cambiamenti nel corso della carriera, sia sulle tipologie di interazione sociale che egli ha sperimentato. Non si dovranno ricercare le cause del consumo di droga, ma ricostruire la carriera morale di Mario (nota pg 186) e valutare l'impatto della reazione sociale sulla sua vita. Mario non ha mai avuto problemi con la giustizia precedentemente. Sembrerebbe che Mario sia stato in grado di evitare che la condizione di tossicodipendente diventasse lo status egemone. È opportuno distinguere fra: • problemi primari prodotti dalla tossicità di ogni singola droga; • problemi secondari causati dalle politiche di tipo proibizionista → la compromissione dei funzionamenti sociali non è l'esito naturale della loro tossicodipendenza, bensì si tratta di una costruzione sociale Per questa ragione, secondo i teorici dell'etichettamento, si dovrebbe ridurre l'impatto della reazione sociale sulla vita dei consumatori di droghe:
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