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Da Boncompagni a Casati: la costruzione del sistema scolastico nazionale, Sintesi del corso di Storia della scuola e istituzioni educative

Da Boncompagni a Casati: la costruzione del sistema scolastico nazionale (1848-1861)

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 12/03/2020

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Scarica Da Boncompagni a Casati: la costruzione del sistema scolastico nazionale e più Sintesi del corso in PDF di Storia della scuola e istituzioni educative solo su Docsity! Da Boncompagni a Casati: la costruzione del sistema scolastico nazionale (1848-1861) 1. La legge Boncompagni (1848) A partire dagli anni 40 dell’Ottocento vi è una progressiva presa di coscienza del ruolo dell’istruzione, collegata alla maturazione politica e alla crescita economica della società. L’importante funzione della scuola nella formazione di una nuova figura di cittadino e di lavoratore emerge anche dalla lettura di giornali e riviste dell’epoca, non solo a carattere pedagogico educativo, come ad esempio: • l’Educatore primario (1845 - 1846), diventato poi l’Educatore (1847 - 1848), uno dei primi periodici piemontesi che, rivoltosi alla classe magistrale, era fautore dell’istituzione di corsi post-elementari e tecnici come via alternativa all’istruzione secondaria; così come anche del potenziamento della scuola popolare, concepita come ciclo a sé. • La Gazzetta del popolo, che individuava nell’istruzione delle masse popolari lo strumento idoneo a porre le premesse politiche dell’unità nazionale e le basi culturali ed economiche dei processi di industrializzazione. Inizia ad emergere, quindi, la volontà dello Stato di intervenire direttamente nella gestione del sistema scolastico, settore che era stato fino ad allora controllato esclusivamente dal clero e dalle congregazioni religiose. Si tratta, comunque, di un processo graduale che: 1. avviato con l’istituzione della scuola superiore di metodo (1844); 2. a cui segue il modello scolastico della legge Boncompagni del 1848; 3. la legge Lanza del 1857, momento chiave per il passaggio al modello Casati; 4. La legge Casati del 1859. La svolta fu determinata dall’apertura, nella capitale del regno, di un corso mensile di metodica che, diretto da Ferrante Aporti, era riservato agli istitutori primari in possesso della patente di idoneità e a coloro che intendevano sostenere l’esame da maestro. L’interesse suscitato dalle lezioni indusse il Magistrato della Riforma (organo collegiale a cui era affidata la direzione e il controllo dell’istruzione in Piemonte) ad estendere l’esperimento torinese alle altre province del regno (dal 1845) : • alla Scuola Superiore di Torino, destinata a formare in 8 mesi i professori di metodica, • si affiancò una scuola a carattere provinciale che, aperta da agosto ad ottobre, aveva il compito di riqualificare il personale in servizio e di preparare quanti aspiravano a diventare maestri elementari. L’istituzione delle scuole di metodo incontrò forti resistenze negli ambienti conservatori e in parte della Chiesa. L’ostilità delle autorità ecclesiastiche dipendeva dalla diffidenza verso ogni iniziativa laica che si configurava agli occhi delle forze reazionarie e di alcuni settori del mondo cattolico, come un fattore di destabilizzazione sociale e un pericolo per la religione. Gran parte delle critiche erano rivolte contro Ferrante Aporti, figura associata anche alla diffusione degli asili infantili, istituzioni a cui gran parte delle figure ecclesiastiche erano avverse. Infatti per quanto riguarda la Società degli Asili infantili, associazione nata per iniziativa di Boncompagni, ottenne l’autorizzazione ad aprire scuole solo dopo lunghe trattative con il governo e dopo aver garantito la scelta di personale religioso. Comunque, le forti opposizioni della destra piemontese nel mondo cattolico, non impedirono allo Stato di ottenere un ruolo sempre più presente e incisivo in materia d’istruzione, come testimoniano i diversi provvedimenti legislativi emanati: (1) Nel biennio 1847-1848, le Regie Patenti volute da Carlo Alberto, istituivano il Ministero della Pubblica Istruzione. Le Regie patenti del novembre 1847 furono importanti perché rappresentavano la volontà di garantire un indirizzo uniforme all’istruzione nelle diverse zone del regno, oltre a riconoscere a questo settore della vita pubblica un’autonomia e un proprio bilancio. (2) La legge dell’agosto del 1848 garantì l’espulsione dallo Stato piemontese dei Gesuiti e delle Dame del Sacro Cuore, impegnati nel settore dell’istruzione secondaria; (3) La legge Boncompagni che sanciva la riorganizzazione dell’intero sistema scolastico e l’ampliamento e la caratterizzazione in senso popolare e nazionale del corso primario. Tale legge poneva le condizioni affinché il progetto di assicurare allo Stato un ruolo in campo educativo trovasse una pratica attuazione attraverso una riforma generale degli studi. Questa scelta non sorprende se si considera da un lato la figura di Boncompagni, convinto del valore dell’istruzione collegata al progresso della società civile, e dall’altro se si tiene contro del contesto storico che portava la classe politica liberale ad attribuire alla scuola nuovi compiti e nuove responsabilità connesse alla formazione, nei ceti popolari, di una coscienza nazionale. Infatti, nella data di presentazione della Boncompagni, era in atto la prima guerra d’indipendenza. Il passaggio delle scuole di ogni ordine e grado dal controllo delle autorità ecclesiastiche a quello del ministero delle Pubblica Istruzione comportò anche l’abolizione di alcuni privilegi concessi al clero in materia d’insegnamento. Ciò però non costituì anche l’eliminazione dell’insegnamento religioso all’interno delle scuole, anzi il programma del corso di religione fino ad allora circoscritto al catechismo, venne ampliato. Per quanto riguarda, invece, l’idea di scuola a cui aspirava Boncompagni, questa a suo parere doveva essere caratterizzata dal seguente assetto amministrativo: • Al ministro, assistito nelle sue funzioni dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, dovevano essere affiancati 6 organi collegiali, composti da insegnanti e autorità scolastiche e amministrative locali (garanzia da un lato delle competenza in merito alle questioni pedagogiche e didattiche, dall’altro dell’adeguata conoscenza delle realtà territoriali); • A livello di istruzione superiore erano introdotti i consigli universitari e i consigli di facoltà, ad essi subordinati; 2. la Deputazione provinciale per le scuole, che si doveva occupare di affari di minor rilievo, altrimenti destinati a gravare sul ministero. I membri erano di nomina ministeriale, in carica per un periodo non superiore a 12 mesi. Gli ispettori e i provveditori erano posti alle dipendenze del ministro come cooperatori costanti nell’esecuzione delle leggi e dei regolamenti, nella vigilanza continua della sfera dell’insegnamento pubblico. Ne deriva, quindi, una struttura amministrativa gerarchica, articolata su 3 livelli: 1. il Ministro, che con l’aiuto del Consiglio Superiore della pubblica istruzione, avanzava proposte di legge e deliberava relativamente ad ogni grado d’istruzione; 2. il Consultore universitario, l’Ispettore generale delle scuole secondarie e quello delle scuole magistrali ed elementari, con funzioni di coordinamento e di controllo estese all’intero territorio nazionale; 3. il Regio provveditore che, affiancato dalla Deputazione e dall’ispettore provinciale, rappresentava il governo a livello locale. La giurisdizione dei funzionari ministeriali era estesa anche alle scuole private, così come non erano esclusi nemmeno Seminari e Collegi vescovili, pena la mancata ammissione dei propri allievi agli esami e ai corsi tenuti presso le scuole statali. Di fatto il ministro prendeva posizione sulla libertà d’insegnamento, negandola poi in nome di una concezione dello Stato come principale e quasi esclusivo promotore dell’istruzione nazionale. La proposta Lanza suscitò una forte opposizione in Parlamento e nella stampa, da parte di coloro che non si riconoscevano nell’identificazione operata dal ministro tra istruzione pubblica e istruzione nazionale. Tra questi si ricordano: • Domenico Berti, il quale rivendicava alle famiglie, alle associazioni e alle amministrazioni operanti sul territorio, il diritto di istituire e gestire proprie scuole in aperta concorrenza con quelle statali; • Nicolò Tommaseo, redattore dell’Istitutore, rivista pedagogico scolastica che era nota agli ambienti culturali piemontesi, e il comitato di redazione denunciavano la volontà di Lanza di accentrare nella propria persona il controllo e la gestione dell’intero sistema scolastico in nome della “responsabilità ministeriale”. L’iter lungo e travagliato della proposta Lanza, convertita in legge solo il 22 giugno 1857 (20 mesi dopo la presentazione al Senato), dà l’esatta misura di quanto fosse radicato nella classe politica e nell’opinione pubblica l’atteggiamento critico verso una concezione della scuola come prerogativa dello Stato. La decisione del governo di sospendere per circa un anno il dibattito sulla riforma amministrativa era dettata dalla volontà di temporeggiare in attesa di una ridefinizione degli equilibri politici. Il presidente del Consiglio, Camillo Benso conte di Cavour, mantenendo lo status quo dell’istruzione privata e accettando la proposta di rivedere quegli articoli che contrastavano con la volontà di riordino del settore pubblico del disegno di legge, riuscì a vincere le resistenze del Parlamento senza affrontare il nodo cruciale della questione: il contrasto tra l’istruzione centralistica della scuola e un’istruzione fondata sulla sinergia tra le forze sociali. Fu proprio la consapevolezza della difficoltà di promuovere una riforma basata sul principio di una costante e progressiva intromissione dello Stato in campo educativo a indurre Lanza a presentare contemporaneamente al Senato e alla Camera due distinte proposte di legge relative ad aspetti particolari, anziché un codice completo e organico volto a regolamentare ogni grado di scuola, oltre che l’assetto amministrativo. La crescente statalizzazione auspicata dall’esponente politico piemontese era strettamente connessa alla preoccupazione di formare nelle masse popolari e nelle elites, una coscienza nazionale. Lanza ricordava che il regno sardo rappresentava l’Italia, quindi il re doveva considerare suoi concittadini tutti gli italiani e bisognava prima conquistare l’Italia moralmente per agevolare il compito con le armi. Risulta significativo, quindi, l’introduzione delle seguenti discipline: • in alcune facoltà universitarie della capitale, delle cattedre di letteratura francese, di geografia e di filosofia della storia. Quest’ultima doveva preparare per le classi di grammatica e le scuole speciali docenti di storia in grado di imprimere all’insegnamento della propria disciplina un indirizzo nazionale. • Nei programmi per le scuole speciali e per il corso elementare redatti nel 1856, così come in quelli delle scuole secondarie e degli esami di magistero dello stesso anno e in quelli delle scuole normali datati 1858, l’accento era posto su materie quali: italiano, storia e geografia. • A livello di scuola elementare si auspicava all’eliminazione della nomenclatura come materia a sé, considerandola semplice premessa alla lettura, concepita in termini di approccio ragionato alla lingua, consentiva un corretto utilizzo dell’idioma nazionale come veicolo del patrimonio di tradizioni e di valori proprio degli abitanti della penisola. • Nell’ambito dell’istruzione secondaria, si ribadiva la centralità dello studio dell’italiano che diventava obbligatorio nei collegi dei capoluoghi di provincia della Savoia, di Aosta e Oulx, dove era sempre stato utilizzato il francese sia dai professori che dagli alunni. • Nel programma delle scuole normali, finalizzate alla formazione degli insegnanti, vengono inseriti “elementi di letteratura nazionale”: in grado di consentire la conoscenza della propria nazione, attraverso l’accostamento al pensiero e alle opere degli autori classici e moderni, oltre a rendere più facile il maneggio della lingua nazionale. • Importanti anche i programmi di storia: nel corso elementare venivano introdotti cenni di storia patria in ordine cronologico, dove il termine “patria” o “nazione” indicava l’Italia; nelle scuole speciali primarie e in quelle normali, entrambe triennali, la Storia nazionale costituiva una delle materie fondamentali. • L’istruzione religiosa, esclusa dai programmi delle scuole secondarie e impartita nei collegi soltanto la domenica e i giorni festivi, era circoscritta nel corso primario a una dimensione etico-civile (doveri verso la famiglia, la società e la patria). Veniva dato poco spazio allo studio del catechismo e della storia sacra, attraverso brevissimi racconti sul Nuovo e Vecchio Testamento. (Nelle intenzioni del Ministro l’insegnamento della storia sacra sarebbe dovuto essere addirittura abolito). Per quanto riguarda i libri di testo, il ministro decise di intervenire direttamente sulla scelta dei manuali scolastici per i diversi ordini di scuola, nell’intento di garantire in tutto il regno un’istruzione il più possibile omogenea. I manuali, così come i programmi, infatti, rappresentavano un importante strumento per la costruzione di una coscienza italiana. Occorrevano dei testi che fossero in grado di comunicare i diversi contenuti in maniera chiara ed efficace. Diventava importante, a questo punto, anche la formazione di una classe docente professionalmente preparata, alla quale spettava il compito di promuovere nelle giovani generazioni l’assimilazione delle conoscenze e delle nozioni che, indicate nei programmi, erano veicolate dai compendi, dalle grammatiche e dalle antologie. Il maestro e il professore si configuravano come contraltare laico del sacerdote: anch’essi infatti avevano un credo e una religione che si manifestava nel “culto” della patria. La consapevolezza del ruolo dei docenti nella formazione dell’identità nazionale portò a riqualificare l’operato degli istitutori scolastici, soprattutto nell’ambito della scuola elementare, in grado di raggiungere in maniera capillare ampi strati della popolazione. Tuttavia la maggior parte degli insegnanti era priva di competenze adeguate, a causa della brevità dei corsi e del programma degli studi delle scuole magistrali, nonché, secondo Lanza, della scelta di affidare l’apertura e la gestione di tali istituti alle province, incapaci, per propria natura, di rispondere ad un esigenza considerata espressione di un interesse generale, superiore e anteposto a quello delle realtà locali. Per Lanza, infatti, diventava compito dello Stato preoccuparsi della preparazione dei docenti e quindi veniva favorita la frequenza di scuole normali governative a scapito di quelle provinciali. La legge del 1858, relativa alla formazione della classe magistrale, si configurava, pertanto, come il naturale compimento del processo che segnò la svolta della politica scolastica piemontese nell’ottica di una presenza sempre più incisiva dello Stato nella promozione e diffusione della scuola nazionale. 3. La legge Casati Nell’aprile del 1859 scoppiò la Seconda Guerra d’indipendenza tra l’Austria e il regno di Sardegna, che poteva contare sull’appoggio della Francia. Il parlamento piemontese decise di rinunciare all’esercizio delle proprie funzioni, affidando i pieni poteri legislativi ed esecutivi al re. L’11 luglio dello stesso anno, al termine di una fase di vittorie per l’armata franco-sarda, Napoleone III, firmò senza avvertire gli alleati piemontesi, l’armistizio di Villafranca con cui si stabiliva la cessazione allo stato piemontese della Lombardia, ad eccezione di Mantova e Peschiera. É in questo contesto politico e territoriale che si colloca la legge Casati, sul riordinamento della pubblica istruzione del 13 novembre 1859. Essa rifletteva, a livello scolastico, la volontà della classe piemontese di promuovere nelle provincie vecchie e nuove dello Stato l’uniformità sul piano legislativo e nelle modalità di applicazione dei provvedimenti relativi ai diversi settori della vita politica, civile e sociale. Una riforma degli studi che portasse alla creazione di un sistema scolastico suscettibile di estensione alle province annesse; una riforma cioè organica basata su chiari e semplici prescrizioni rispondenti alle esigenze di realtà territoriali difformi anche nel settore dell’istruzione. Il testo della Casati era ripartito in 5 titoli: 1. Amministrazione; 2. Istruzione superiore; 3. Istruzione secondaria classica; 4. Istruzione tecnica; 5. Istruzione elementare. Tale ripartizione denotava la volontà di riconoscere a ogni genere di scuola una specificità e una precisa collocazione all’interno del sistema scolastico nazionale. Nonostante le evidente disuguaglianze riservate ad alcuni settori, come la legislazione riguardante la formazione del istituire accordi con i comuni vicini per partecipare alle scuole stabilite al loro interno per poter usufruire degli stessi maestri etc. L’applicazione del principio della libertà scolastica in senso restrittivo rispetto alle dichiarazioni del ministro, si spiega alla luce delle difficoltà incontrate da Casati sia negli ambienti politici e culturali piemontesi, sia all’interno del governo che, a causa dei rapporti conflittuali tra Stato e Chiesa, era incline a considerare con diffidenza la possibilità di concedere ampi spazi ai privati nel settore educativo. Lo stesso Casati denunciava delle contraddizioni tra la relazione introduttiva e il testo di legge, giustificandole con le opposizioni da lui incontrate, indice dell’impossibilità di svincolare il sistema da vecchie ordinanze, in nome della libertà. Il contenuto della legge erano una chiara espressione degli orientamenti e delle scelte che avevano caratterizzato la politica scolastica subalpina nel decennio precedente. Infatti la Casati si mantenne sulla linea generale tracciata nel 18556. La genesi piemontese di questa legge si evince anche dalla laicizzazione nel settore scolastico, che comportò la scelta di rendere facoltativa l’istruzione religiosa negli istituti secondari. Il ministro si limitava, infatti, a individuare nel direttore spirituale la figura preposta all’insegnamento della religione nei ginnasi, nei licei, nelle scuole e negli istituti tecnici senza specificare il carattere e la funzione attribuita a tale disciplina nel programma dei corsi secondari: era un’affermazione della non obbligatorietà dell’istruzione religiosa che non figurava nell’elenco delle materie di studio né nell’indirizzo classico, né in quello tecnico. Mentre l’obbligatorietà dell’insegnamento religioso nel ramo inferiore degli studi era accompagnato dall’introduzione di misure volte a tutelare la libertà degli alunni acattolici e il diritto dei padri di famiglia a provvedere personalmente all’istruzione religiosa dei figli. Alla luce di tali presupposti si spiegano le critiche che, dalla fine del 1859, furono rivolte alla legge dagli esponenti più autorevoli della vita politica. Le principali obiezioni sono riconducibili al carattere fortemente accentratore della Casati che rischiava di penalizzare il sistema scolastico delle nuove province ispirato a una maggiore autonomia. 4. La mancata revisione della legge Casati Nel settembre del 1859, Carlo Tenca pubblicava sul “Crepuscolo” un articolo di commento al testo non ancora definitivo della Casati. Si tratta di un contributo importante, non solo perché rappresenta il primo esame puntuale della legge, ma anche perché consente di individuare i nodi attorno a cui, a distanza di pochi mesi, si sarebbe sviluppato il dibattito sulla Casati. Le obiezioni mosse da Tenca si possono riassumere in 5 punti: 1. la promulgazione del provvedimento in regime di pieni poteri; 2. la tendenza all’accentramento amministrativo; 3. la limitata applicazione della libertà d’insegnamento; 4. la scarsa importanza attribuita agli studi scientifici nell’insegnamento secondario; 5. la condizione precaria della classe magistrale sotto il profilo economico-giuridico. Altrettanto significativa è la posizione di Gerolamo Boccardo, particolarmente critico riguardo alla scelta di privilegiare l’indirizzo classico nell’ambito dell’istruzione secondaria. La penalizzazione a cui era soggetta l’istruzione tecnica e scientifica all’interno del nuovo ordine di studi appariva evidente dalla lettura di alcune disposizioni relative alle scuole tecniche, agli istituti tecnici e al corso di perfezionamento previsto al termine dei due cicli: • le scuole tecniche non potevano essere poste a carico dello Stato contrariamente a quanto avveniva per i ginnasi, ai quali era garantita inoltre una presenza più incisiva sul territorio; • gli istituti tecnici, a carico delle province, dovevano essere aperti solo nei centri popolosi in cui se ne avvertiva il bisogno, i differenza dei licei istituiti in ogni capoluogo di provincia con i fondi dell’erario; • il corso di perfezionamento aveva sede unicamente a Milano, nonostante l’esistenza nel regno di numerosi centri industriali e commerciali. Boccardo, quindi, era sicuramente più favorevole, in campo educativo, alle famiglie e alla libera associazione dei privati, ossia alla società civile. In quest’ottica non sorprende il giudizio positivo espresso nei confronti della legge Boncompagni, presentata come la legge che aveva contribuito a rovesciare l’antico edifizio della pubblica istruzione, recando maggior larghezza nelle scuole, maggiore libertà agli insegnanti. Altrettanto comprensibile risulta l’atteggiamento critico nei riguardi della Legge Lanza, orientata a ridefinire la fisionomia e l’assetto amministrativo della scuola. Particolarmente duri erano i toni usati per commentare l’operato di Casati, rispettivamente all’introduzione di decreti e di circolari nel tentativo di creare un sistema scolastico che aveva avuto come unico effetto quello di introdurre una rigida uguaglianza lesiva delle libertà individuali e destinata a incidere negativamente sulla qualità degli studi. La nuova legge rappresentava un passo indietro rispetto alla legislazione scolastica austriaca, soprattutto per quanto riguarda l’istruzione magistrale e quella tecnica. Per quanto riguarda la figura del docente : • (Dominazione Asburgica) i maestri erano nominati o direttamente dal governo o dall’ispettore generale; le scuole elementari minori erano aperte in ogni villaggio e avevano il compito di diffondere l’alfabeto tra le classi popolari. L’istitutore primario, una volta ottenuto l’incarico, non poteva essere rimosso dalle autorità scolastiche competenti se non per motivi gravi relativi alla condotta morale o all’incapacità d’insegnamento. Il docente, inoltre, aveva garanzie sotto il profilo economico, prime fra tutte la pensione e la determinazione di un minimun di stipendio. • (Casati) l’insegnante elementare era designato dal Comune, era soggetto ad un contratto triennale con la possibilità di una riconferma per il successivo triennio o a vita qualora l’amministrazione municipale lo avesse ritenuto opportuno. Lo stato di precarietà in cui era costretto a vivere il docente era molto evidente, si trovava in balia delle autorità locali le quali, agitando la possibilità di un licenziamento, potevano indurre i maestri ad accettare compensi inferiori a quelli previsti dalla legge o a prestare servizio gratuito nelle scuole serali e festive per gli adulti. Un ulteriore penalizzazione in materia scolastica era rappresentata dalla riorganizzazione degli studi tecnici su base provinciale: • ( Casati) le scuole tecniche erano previste solo nei capoluoghi di provincia per un periodo non inferiore al triennio; • (dominazione asburgica) le scuole reali minori avevano una diffusione locale e una durata biennale o triennale a discrezione delle autorità municipali. Il criterio della flessibilità nella strutturazione dei corsi denotavano la volontà del governo asburgico di promuovere un’istruzione tecnica accessibile a larghe fasce della popolazione. Vi erano differenze anche per quanto riguarda i contenuti: le Realschule, infatti, avevano una connotazione tecnica più accentuata, come testimonia la presenza di nuove discipline a carattere specialistico e di materie che riflettevano una maggiore attenzione per l’aspetto professionale. Per quanto riguarda la scuola reale superiore: • (dominazione asburgica) tale scuole venne aperta a Milano nel 1852, era destinata ad impartire un sapere moderno fondato sulle cognizioni specifiche richieste a quanti intendevano dedicarsi a professioni industriali che non richiedevano gli studi scientifici. Fondamentale è il fatto che tale scuola di natura professionale aprisse la via ai corsi universitari e alla facoltà di matematica per il conseguimento del diploma in ingegnere e architetto, • (Casati) l’accesso all’istruzione superiore poteva avvenire solo attraverso gli studi liceali. Le critiche dei lombardi relative all’accentramento amministrativo e alla limitata applicazione del principio della libertà d’insegnamento erano condivise dai toscani e dai napoletani entrati a far parte del regno nel biennio 1860-1861. Antonio Ciccone, docente di medicina e poi di economia politica, pubblicò ne l1860 un articolo in cui esaminava la legge Casati, esprimendo vivo disappunto per l’adozione di un sistema che non assicurava piena libertà né nella scuola, né della scuola. Analoghe sono le considerazioni di Raffaele Lambruschini, esponente toscano che sottolineava la necessità di coniugare l’unità degli indirizzi e degli orientamenti educativi con la varietà delle modalità applicative, nel rispetto dell’indole, delle consuetudini e delle esigenze delle popolazioni chiamate a formare la nazione italiana. Auspicava alla creazione di un sistema scolastico ispirato ai criteri del decentramento e della valorizzazione delle realtà locali. Nell’illustrare il proprio modello scolastico, entrambi gli autori, operavano una trasposizione dell’esperienza educativa maturata in Toscana e in Campania, regioni in cui, l’istruzione privata rappresentava una realtà significativa, chiamata talora a sostituirsi a quella pubblica. L’appello dei lombardi, toscani e napoletani fu accolto dal nuovo ministro della Pubblica Istruzione, Mamiani che si espresse in favore del principio della libertà d’insegnamento, caratterizzata da un’idea di libertà intesa come limitazione delle prerogative statali nella valorizzazione dell’iniziativa individuale, locale e privata. Un applicazione della Casati in senso più liberale rispetto all’interpretazione suggerita da una ripresa letterale del testo della legge, attraverso regolamenti per ogni ordine di scuola, come ad esempio nel settore elementare: le autorità locali potevano scegliere i libri di testo per le scuole primarie; l’introduzione di alcune misure volte ad agevolare l’istituzione del ciclo primario nelle piccole borgate e a liberare l’istruzione privata dai vincoli a cui era soggetta. Mamiani presentò alla Camera cinque disegni di legge con l’intento di modificare gli articoli della Casati sulla libertà d’insegnamento e di introdurre nel sistema scolastico le istituzioni educative delle province annesse conformi nella struttura e nei contenuti alle linee della politica governativa:
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