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Dal locale al Globale, Sintesi del corso di Antropologia Culturale

Riassunti esame 2018/2019

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 03/05/2019

ylenia-bertoli-1
ylenia-bertoli-1 🇮🇹

4.4

(24)

21 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Dal locale al Globale e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia Culturale solo su Docsity! DAL LOCALE AL GLOBALE - KILANI La mondializzazione del sistema economico occidentale, l’integrazione poli�ca ed ideologica, la tendenza all’uniformazione dei modi di vita e dell’immaginario rendono evanescen� o dissolvono le alterità cui l’antropologia era solita pensare e rivolgere l’a�enzione. Kilani: "La retorica della ricerca sul campo è la sublimazione del rapporto coloniale". Vengono so�opos� a cri�ca tu� gli approcci che tendono a perpetuare la visione eso�ca degli altri e dell’ogge�o antropologico. Aspira alla costruzione di un’antropologia generalizzata: punto di vista specifico sul reale nella misura in cui è capace di pensare i rappor� fra locale e globale, fra con�nuità e discon�nuità, fra unità e diversità; e di analizzare la logica e le trasformazioni culturali di realtà locali o marginali, cercando nel contempo di spiegare la complessa logica del mondo che le circonda. PARTE PRIMA CAP. I - OGGETTI EMPIRICI E OGGETTI INTELLETTUALI DELL’ANTROPOLOGIA. L'antropologia: scienza del tradizionale e/o dell’attuale? Come definire l’antropologia? Sarebbe vano pretendere di dare una definizione chiara dell’antropologia. La tendenza a�uale consiste nel non cercare più di rivendicare un termine preciso per designare il �po di società cui si rivolge la disciplina. Ormai si tende a negare all’antropologia un unico ogge�o specifico. Essa si presenta e si definisce come la scienza delle diversità sociali e culturali, come la scienza dell’uomo in società. Il progetto dell'antropologia: pensare l’altro e il medesimo Il primo elemento da considerare per la definizione dell’antropologia è il suo proge�o: pensare il rapporto fra l’unità e la diversità del genere umano. L'antropologia è per eccellenza una disciplina "contras�va": mentre assume un ampio sguardo prospe�co sulle diversità geografiche e storiche delle società, cerca nel contempo di approdare a generalizzazioni concernen� l’insieme dei comportamen� dell’uomo in società. Il suo proge�o è quello di ar�colare i rappor� tra il locale e il globale, di pensare l’altro e il medesimo so�o gli aspe� più diversi. Nella storia della disciplina, il problema del rapporto tra unità e diversità è stato tra�ato diversamente a seconda delle teorie: l’evoluzionismo me�eva l’accento sull’unità, mentre il rela�vismo lo me�eva sulle diversità culturali e sociali. Il problema dello statuto dell’altro, della sua differenza e somiglianza non è stato risolto in maniera univoca dall’antropologia. Negli anni ’60 del secolo scorso, con la fine dei colonialismi, il problema dell’altro si è posto in maniera più acuta. Sempre in tale periodo si espressero la denuncia della collusione dell'antropologia con il colonialismo, la messa so�o accusa del discorso antropologico come discorso d’Occidente. A tu�o ciò si aggiunge una crisi del ruolo del ricercatore il quale si interroga sull’u�lità del suo lavoro. L’alterità come pretesto, ovvero le metamorfosi dell’alterità A�ualmente si assiste ad un’esasperazione del desiderio dell’altro, ingannevole rispe�o ad una riflessione sistema�ca e cri�ca sull’alterità. Ad es il turismo di massa è il consumo passivo delle differenze e degli eso�smi: la curiosità per l’altro corrisponde spesso a sogni di evasione piu�osto che ad un tenta�vo di conoscenza. L’infatuazione del pubblico contemporaneo per la le�eratura eso�ca obbedisce a considerazioni recondite, nascoste nell’immaginario occidentale, come quella di rassicurarsi della sua superiorità o di confermarsi nelle proprie qualità in rapporto all’altro. Il genere del racconto di viaggio, grazie ad un meccanismo di distanziamento-decolpevolizzazione, soddisfa la curiosità dell’altro senza al Locale al Globale Pag. 1 rime�ersi in discussione. Oppure u�lizzo dell’altro, la cui immagine è generalmente proie�ata in un passato idilliaco, come rifugio contro un presente minaccioso ed insoddisfacente. Gli antropologi e le metamorfosi dell’alterità Col pretesto di riabilitare il "primi�vo" o il "selvaggio", non si fa che inver�re i termini della comparazione classica tra un polo posi�vo ed uno nega�vo: si con�nua a ragionare in maniera schema�ca e dicotomica (da un lato ci sarebbe il “buono” e dall’altro il “ca�vo”), il che non è altro che etnocentrismo a rovescio. La corrente neo-evoluzionista: rovescia lo schema evoluzionista dei tre stadi per i quali passerebbero le società: selva�chezza, barbarie, civiltà. Infa� gli esponen� di tale corrente affermano che lo stato selvaggio corrisponde alla pienezza mentre la civiltà corrisponde la degradazione di questo stato selvaggio. Una definizione dell’alterità L’alterità non rappresenta un’essenza, una qualità intrinseca che certe popolazioni o certe culture portano inscri�a in se stesse: deve essere considerata come una nozione rela�va e congiunturale: si è "Altro" solo agli occhi di qualcuno. La categoria dell’altro non ha a che fare con una definizione sostanziale, ma è sempre inserita in una relazione, generalmente di dominazione- subordinazione. Il rapporto di esteriorità-iden�ficazione ha come effe�o che al mio ritorno, dopo essere stato presso l’altro, io non sono più del tu�o lo stesso. I luoghi di riflessione dell'antropologia L’ogge�o dell'antropologia è dinamico e fa parte integrante della società globale. Le zone marginali non lo sono che rela�vamente alla società maggioritaria. L’ogge�o dell'antropologia è diale�co nel senso che me�e sistema�camente in rapporto il locale e il globale, i gruppi ristre� e la società in generale in cui sono inseri�. L’antropologia tenta di illuminare contemporaneamente i due livelli, nonché l’insieme degli scambi che li collega. Inizia�ve pseudo-culturaliste dei paesi del terzo mondo: riducono la legi�mità delle rivendicazioni d’iden�tà a dei valori mummifica�, ricorrendo, per esempio, ad una concezione idealis�ca della cultura, concepita come al di fuori della storia e delle contraddizioni sociali e poli�che. Emerge un’ideologia autoritaria al servizio di un infimo strato sociale al potere in ques� paesi. Il riferimento ai valori tradizionali, a volte manipola�, è molto spesso l’occasione per un esercizio esclusivo del potere. Ugualmente i movimen� regionalis� in Europa sono sta� all’origine di inizia�ve pseudo- culturaliste: basano le loro rivendicazioni sul mito di una cultura originaria. Questa ipertrofia del sen�mento nazionale e dell’iden�tà culturale non è stata soltanto all’origine della negazione della storia e della dinamica interculturale, ma altresì la fonte di una volontà di annientamento di altre culture e popoli. Una definizione dell'antropologia: l’articolazione del locale col globale Definizione di antropologia (Augé): "Il sapere antropologico assume come ogge�o d’indagine unità sociali di piccola ampiezza a par�re dalle quali tenta di elaborare un’analisi di portata più generale, cogliendo da un certo punto di vista la totalità della società in cui queste unità si inseriscono". Quindi antropologia come disciplina che pensa il rapporto fra par�colare e generale, che tenta cioè di analizzare la logica e la trasformazione dei rappor� sociali propri alle unità locali, cercando nel contempo di spiegare la logica complessa del mondo che le circonda. Qualche esempio Antropologia in ambiente industriale: contrariamente ad una visione astra�a ed uniforme, vi si scoprono tes�monianze di "culture" par�colari: la socialità è ricostruita su altre basi (camera�smo o solidarietà); alla gerarchia degli status si sos�tuiscono altri segni. Le forme di resistenza di queste al Locale al Globale Pag. 2 Il Kula è un vasto circuito di scambi che interessa le società di alcune isole del Nord-Ovest della Melanesia come quelle dell’arcipelago Trobriand. L’interesse teorico e metodologico del kula deriva dal fa�o che vi si trovano in�mamente associa� transazioni economiche, comportamen� cerimoniali, un meccanismo di alleanze poli�che, l’espressione di rituali magici e di manifestazioni este�che, insiemi di elemen� che cos�tuiscono un sistema. Inoltre, il Kula in quanto nodo is�tuzionale complesso, me�e in risalto un principio di funzionamento del sociale, una logica impo che è alla base di ogni società ovvero il principio di reciprocità, la tendenza a costruire legami sociali tramite lo scambio di doni. L’analisi malinowskiana del kula è stata il punto di partenza delle riflessioni nell’ambito dell’antropologia economica. Il fatto sociale totale come nozione teorica Impo risulta anche l’is�tuzione del Potlach presente nella costa nord-occidentale americana. Il Potlach corrisponde ad un sistema di reciprocità (obbligo reciproco di di res�tuire il dono ricevuto con un altro di maggior valore). Il Porlach fonda il legame sociale, crea quello religioso e man�ene e rafforza la coesione sociale. La nozione di fa�o sociale totale mostra che i fenomeni economici non sono separabili da altri aspe� della vita sociale e non possono essere ricondo� esclusivamente a calcoli mercan�li o u�litari, lega� al semplice bara�o (ciò vale anche x le società industriali). Baudrillard parla di ogge�-segni, a proposito dei beni di consumo. Postula che, al di là della loro u�lità (valore d’uso) e del loro valore di mercato, gli ogge� industriali o culturali sono inseri� in un sistema di valori, in un sistema di segni propriamente sociali (valore-segno). A�raverso l’a�o del consumo, l’interessato tende generalmente ad affermare la sua appartenenza ad una classe sociale, la sua adesione ad una moda, il suo snobismo, la sua originalità, etc. Realtà empirica e il modello della realtà in antropologia La riflessione antropologica consiste sempre nella costruzione di un modello ritenuto capace di tradurre dei rappor�, delle relazioni fra fenomeni empiricamente isola� (cioè nella ricerca della stru�ura soggiacente che è all’origine di cer� concatenamen�). Un esempio di costruzione del modello: la spiegazione strutturale della proibizione dell’incesto Un classico esempio di analisi in termini di rappor� e relazioni è la proibizione dell’incesto, considerata nella teoria antropologica come la stru�ura fondamentale che so�ende i sistemi di parentela. Si resta su di un piano di analisi superficiale nel dire che l’incesto è l’avversione per i paren� prossimi. Per Lévi-Strauss non bisogna considerare solo l’aspe�o nega�vo (l’interdizione del parente prossimo) della proibizione dell’incesto, ma anche i suoi aspe� posi�vi, in altri termini le relazioni sociali di cui è all’origine. Associando la dimensione nega�va (l’interdizione di serbare) con quella posi�va (l’obbligo di donare) Lévi-Strauss scopre la stru�ura della parentela fondamentale che regge le società umane: il principio di reciprocità. La proibizione dell’incesto è una delle regole della reciprocità, che garan�sce la vita sociale all’interno e la rende possibile all’esterno creando legami di alleanza e scambio economico. E’ un modello di organizzazione della realtà sociale. Funzione esplicita e funzione implicita Un’altra cara�eris�ca metodologica dell’antropologia è la sistema�cità della riflessione. Più precisamente, l’antropologo deve essere a�ento dis�nguere in una cultura gli aspe� esplici� da quelli implici�, la funzione esplicita (manifesta) di un fenomeno da quella implicita (latente). L’esempio dell’interdizione dei maiale fra i musulmani Esempio: l’interdizione nella religione musulmana di consumare carne di maiale. Preoccupazione di ordine igienico. Altra funzione: a�raverso l’interdizione tendeva millenni addietro, presso i semi�, a dissociare le tribù nomadi da quelle sedentarie che allevavano e consumavano il maiale. al Locale al Globale Pag. 5 Questa interdizione era un’affermazione dell’iden�tà del gruppo, era anzitu�o una regola culturale prima di essere una regola culinaria o igienica. Sguardo cri�co e preoccupazione e�ca in antropologia Lo sguardo dell’antropologo è uno sguardo cri�co poiché esso si interroga con�nuamente sulle evidenze e me�e in rapporto gli elemen� presi in considerazione. Le preoccupazioni d’ordine morale o e�co non sono assen� fra gli antropologi. Si può perfino dire che sono consustanziali al rapporto del ricercatore con il terreno d’indagine. CAPITOLO III - I CAMPI DI STUDIO DELL'ANTROPOLOGIA Situazioni e problemi E’ importante so�olineare che l’interesse del procedimento antropologico risiede nella prospe�va olis�ca che lo so�ende e che perciò ogni approccio al reale a par�re da un punto di vista o da un ambito par�colare deve approdare ad una ri-totalizzazione del sociale. L'antropologia della parentela I rappor� di parentela stru�urano e informano tu�a la società. Nella società "primi�va", in effe�, tu� i linguaggi sociali passano per la parentela: il linguaggio religioso (i rappor� con le divinità) passa a�raverso gli antena� e le generazioni passate; il linguaggio economico si traduce in termini di lignaggio e di gruppo locale. L'antropologia della religione e del simbolico Un altro campo di studio impo è quello dell’antropologia della religione e dei sistemi di credenze. Sin dalle sue origini, l’antropologia si è interessata alla descrizione e all’analisi dei fenomeni religiosi delle società eso�che e tradizionali. Tylor e Frazer: con loro (seconda metà ‘800) si inaugurano quelle ricostruzioni evoluzionis�che che classificavano le società in funzione delle loro forme religiose supposte ovvero i tre stadi di magia, religione, scienza, che riprendono la triade selva�chezza, barbarie, civiltà che hanno influenzato fino ai nostri giorni la riflessione sui rappor� tra religione e società, religione e scienza. Ques� studi sono sta� il punto di partenza di una riflessione + generale sulle mentalità e sulle forme di pensiero a�raverso le società e le epoche. Lévy-Bruhl oppone alla "mentalità primi�va" la "mentalità razionale". L’antropologia religiosa è stata influenzata anche dai lavori di Durkheim: la religione è analizzata come un fa�o sociale (il religioso partecipa del sociale) e come un fenomeno sociale totale (il religioso è una cristallizzazione di comportamen� e is�tuzioni che partecipano, insieme, dell’e�co, del simbolico, dell’economico, del poli�co, del sociale). Durkheim rime�e in discussione la visione passiva e nega�va che fino a quel momento si aveva della religione (es religione come oppio dei popoli x Marx) e ne coglie le funzioni posi�ve: la religione è all’origine della coesione sociale e del suo mantenimento, le cerimonie religiose cos�tuiscono un momento di effervescenza e di fusione sociale. Oggi gli interessi dell'antropologia religiosa si sono allarga� allo studio dei sistemi di rappresentazione e dei sistemi simbolici, cioè allo studio dei processi che sono all’origine delle creazioni culturali (Lévi-Strauss) e ai meccanismi di legi�mazione simbolica delle is�tuzioni sociali e della loro riproduzione (Augé). Più in generale lo studio dei sistemi simbolici par�colari conduce a porre il problema dei modi di pensiero e della traducibilità delle culture. L'antropologia politica al Locale al Globale Pag. 6 L’antropologia poli�ca è stata fino a poco tempo fa il campo privilegiato dell’antropologia britannica. Il contesto dell’indirect rule (governo indire�o) nelle colonie è all’origine della riflessione sulla diversità delle forme di organizzazione poli�ca riscontrate nelle società tradizionali (+ par�colarmente in Africa). Ne sono derivate molte monografie (analisi di casi) e ques� studi sono all’origine della dis�nzione fra società con lo Stato e società senza Stato (in queste ul�me l’organizzazione poli�ca e la stru�ura della parentela sono generalmente inseparabili). Tali studi hanno inoltre rilevato l’importanza del fa�ore religioso nella definizione della poli�ca. L'antropologia economica Come abbiamo già visto, è con l’analisi di Malinowski del Kula e con gli sviluppi teorici di Mauss sui sistemi di scambio cerimoniale e sul dono che assis�amo alle prime riflessioni dell’antropologia nel campo dell’economia. L’insegnamento di ques� due autori è consis�� nel rifiutare ogni autonomia al campo dell’economico nella definizione delle società e nel rime�ere in discussione l’idea propria dell’economia classica secondo la quale l’uomo è un "animale economico". Con le loro opere si realizza l’inserimento dell’economia nella totalità dei fenomeni sociali e culturali. L’antropologia economica, tu�avia, prende avvio realmente solo a par�re dagli anni ’50 del secolo scorso quando si sviluppano delle ricerche sul campo e poi un diba�to teorico contraddi�orio tra i seguaci di differen� scuole all’interno della disciplina: la scuola marxista ha portato la discussione su problemi fondamentali come quelli della riproduzione sociale ed economica, delle categorie sociali o di età, del grado di determinazione delle diverse istanze sociali (poli�ca, religione, parentela, economica); nel campo dell’antropologia economica, la scuola formalista si cara�erizza per il fa�o che prende dire�amente in pres�to i modelli dell’economia neoclassica e i valori di mercato (credito, capitale, inves�mento) per analizzare società storicamente e culturalmente differen� dalla società industriale; la scuola sostan�vista, invece, rifiuta il ricorso a tali nozioni per analizzare le società precapitalis�che, cara�erizzate a suo parere dai principi di reciprocità e redistribuzione; infine l'antropologia della significazione (Mauss, Polanyi) definisce i fenomeni economici come fenomeni sociali totali: recano in sé un senso sociale, culturale e simbolico; fenomeni che si presentano come il campo di una significazione complessa, che non si riduce solo alla dimensione u�litaria; in tal senso l’antropologia della significazione si concentra sulla cri�ca delle concezioni che so�endono l’analisi economica classica quali le nozioni di "rarità", "bisogno", "interesse", "capitale". L'antropologia economica che si inscrive nella prospe�va del simbolico e della significazione ha dunque come procedimento fondamentale quello di me�ere sistema�camente in rapporto la società moderna con le società tradizionali, allo scopo di comprendere i sistemi di produzione economica a par�re da categorie universali che sfuggono alla sovra-determinazione di una sola cultura, generalmente quella capitalis�co-industriale. L'antropologia del cambiamento sociale Solo negli ul�mi decenni gli antropologi hanno iniziato a interessarsi da vicino ai problemi del cambiamento sociale e culturale. Le società di cui si occupavano erano infa� considerate sta�che, chiuse, senza storia e dunque senza cambiamento. E’ solo a par�re dagli anni ‘30 che si sono sviluppa� gli studi sui fenomeni di acculturazione (= effe� derivan� dai conta� fra due o + culture): es Sta� Uni� (interessa� al problema degli Indiano e delle minoranze e alla loro integrazione nella società globale). Ci si trova di fronte, comunque, ad un approccio che derivava da una concezione meccanicis�ca del cambiamento: questo era infa� valutato sempre in rapporto alla società dominante. Si pensava che il cambiamento dovesse sempre esprimere lo stesso movimento, quello dell’ada�amento, dell’aggiustamento delle società tradizionali ai valori della società moderna: da qui deriva la rigida opposizione tra tradizione e modernità, passato e presente, società “primi�ve” e società “complesse”. Più tardi si sviluppa un’importante le�eratura dedicata ai fenomeni messianici, millenaris� e na�vis� delle società "primi�ve" e tradizionali: ques� movimen� sono sta� generalmente rapporta� alla medesima funzione di ada�amento e acculturazione alla società europea. Sono sta� considera� come risposta allo choc culturale che ha scosso le società “primi�ve” o tradizionali in seguito al conta�o con le stru�ure della società moderna. Tale analisi, fortemente marcata dalla concezione unilineare del cambiamento sociale, è stata messa in discussione da mol� antropologi (es Balandier)=> mol� studi hanno introdo�o una nuova al Locale al Globale Pag. 7 a�raverso il presente dell’evento si fa "esperienza del passato": in questo senso, la ro�ura fra il passato e il presente, fra il prima e il dopo, cara�eris�ca della temporalità storica europea, non ha corso nelle Hawaii: le due dimensioni vi coesistono so�o la forma del riassorbimento del passato nel presente. Ciò che sta profondamente trasformando le società melanesiane, non sono tanto le navi, gli aerei, le armi, gli strumen�, le scatole di conserva che si parano loro davan�, quanto piu�osto lo sguardo che essi rivolgono agli uomini e alle cose europee. La divinità che, all’inizio del conta�o, è stata a�ribuita ai Bianchi, non era l’espressione di un pensiero irrazionale. Non era la semplice conseguenza di un’associazione di �po magico fra il comportamento empirico degli Europei e le categorie mi�che del pensiero locale. L’a�ribuzione ai Bianchi di una qualità divina era la condizione stessa per la percezione di quell’esperienza. La storia viene esplicitamente organizzata come metafora di realtà mi�che. Memoria ar�ficiale e memoria vissuta: segno, traccia e storia La popolazione delle oasi del Sud tunisino rappresenta una duplice appartenenza al proprio tempo storico: da un lato c’è la preoccupazione di inserirsi all’interno della memoria ar�ficiale (memoria del documento cioè della traccia lasciata dall’evento e dalla sua interpretazione) e dall’altro c’è una memoria locale (memoria vissuta) che organizza e informa la realtà sociale locale. La memoria vissuta ha la capacità di combinare i due tempi storici e tale capacità poggia sulla nozione di traccia. L’antropologo è tenuto ad essere crea�vo e sopra�u�o non deve far opera di storiografia cri�ca: non deve andare in biblioteca a verificare le fon� citate e ritornarsene per contestare gli argomen� dei suoi interlocutori. Egli deve invece ado�are la modalità d’interpretazione propria dei suoi informatori per leggere come dei segni l’insieme degli ogge� che si produce nel loro discorso. Per il ricercatore si tra�a di aprirsi non alla storia ma alla sua pra�ca, di cogliere la corrispondenza tra il gioco dei segni della storia e quello delle variazioni verbali che concorrono all’iden�ficazione di sé e all’ordinamento dei rappor� sociali sul piano locale. CAPITOLO III – ANTROPOLOGIA E PSICOANALISI. LA RAGIONE SIMBOLICA Entrambe (antropologia e psicoanalisi) sono nate alla fine del 19 secolo e presentano lo stesso ogge�o empirico ovvero l’uomo. Entrambe cos�tuiscono una psicologia ma mentre la psicoanalisi si ferma all’espressione individuale di essa, l’antropologia si concentra su quella colle�va. Tu�avia per entrambe vi è la necessità di passare da un piano all’altro per arrivare alla costruzione di una scienza comprensiva dei comportamen� umani e delle loro cause (questo è il loro fine ma anche quello delle scienze umane in generale). Infa�, sia per l’antropologo che per il sociologo, l’individuo rappresenta l’interlocutore fondamentale: è a�raverso lui che essi cercano di comprendere il colle�vo, l’insieme sociale. Malgrado questa prossimità, i rappor� fra antropologia e psicoanalisi sono rappor� di divergenza sugli stessi temi: all’origine dei disaccordi vi è il modo di ar�colare i rappor� tra individuo e società. Totem e tabù: storia individuale e storia colle�va nella teoria freudiana Nell’opera “Totem e Tabù” (1912), Freud ha collocato la psicoanalisi nel cuore stesso dell’antropologia. Per Freud infa� la psicoanalisi può ripercorrere la storia dell’umanità fin dalle sue origini, alla stessa maniera in cui lo fa per la storia individuale. La storia dell’umanità ha inizio con l’uccisione del padre da parte dei figli nell’orda primi�va. La storia individuale, a sua volta, ripete questa storia primaria, secondo uno schema universale che trascende ogni differenza di cultura e di storia. La psicoanalisi postula che ciascun individuo, qualunque sia la sua origine e il suo luogo di esistenza rivive nella psiche la scena immemorabile del parricidio. La forma che assume questa ripe�zione corrisponde al complesso di Edipo (desiderio incestuoso per la madre e odio per il padre). In ragione dell’universalità della stru�urazione psichica dell’individuo, Freud postula un rapporto dire�o fra la storia individuale e la storia dell’umanità: tanto la società quanto l’individuo si cos�tuiscono sull’uccisione o sul desiderio di uccidere il padre nel secondo. Il banche�o totemico nelle società primi�ve non è altro che, secondo Freud, la commemorazione da parte del gruppo di questo a�o: l’uccisione del padre. Quindi secondo Freud gli stadi di sviluppo dell’individuo sarebbero essi stessi la ricapitolazione degli stadi di sviluppo dell’umanità. Freud al Locale al Globale Pag. 10 inoltre, per esprimere questo parallelismo tra l’individuale e il colle�vo dirà che anche le società passano a�raverso uno stadio primi�vo (stadio dell’infanzia), uno stadio selvaggio o barbaro (stadio dell’adolescenza), per poi arrivare alla civiltà (stadio dell’età adulta). La cri�ca antropologica: la proibizione dell’incesto come regola sociale L’antropologia cri�ca questo modo di vedere, rifiutando ogni rigida analogia tra il colle�vo e l’individuale poiché, sempre secondo l’antropologia, ignora le mediazioni economiche, storiche e psico-sociologiche (che sono l’ogge�o dell’antropologia). Inoltre, l’antropologia dubita dell’universalità del complesso di Edipo come realtà psichica e storica transculturale (vi è un dubbio: forse il sistema freudiano offre una spiegazione rela�va alla sola cultura occidentale). Tra le cri�che antropologiche verso la visione freudiana (della psicoanalisi) è quella di Malinowski (1927), il quale ha messo in rilievo la rela�vità delle culture. L’incontro dell’antropologia con la psicoanalisi: l’efficacia simbolica Esiste però un campo in cui si può parlare ci convergenza fra l’antropologia e la psicoanalisi e in par�colare fra l’antropologo Levi-Strauss e lo psicoanalista Lacan e tale campo di convergenza è quello dell’efficacia simbolica. Per entrambi gli autori, la nozione di simbolico rappresenta l’asse della stru�urazione culturale. Il simbolico diventa per se stesso un sistema di rappor�, efficace nel suo funzionamento che modifica il reale, in breve un’altra realtà. Il simbolico come stru�ura efficace mobilita gli individui e i gruppi intorno a un’idea o a un’azione. La magia, e più generalmente il pensiero simbolico, è stata spesso definita dagli stessi antropologi come una pseudo-scienza. L’efficacia di un a�o magico consiste nel fa�o di dire delle cose su un individuo o su un gruppi di individui che sono in procinto di compiere un’azione determinata. La magia ha un’efficacia sociale e in cer� casi può trasformarsi in un mezzo di mobilitazione sociale. Un’illustrazione del pensiero simbolico: la stregoneria nel Bocage normanno L’efficacia simbolica della magia è messa in evidenza dal lavoro di Favret-Saada sulla stregoneria nel Bocage normanno. Favret-Saada scopre una situazione apparentemente paradossale in cui la stregoneria (magia) agisce senza stregoni. Non esiste, come ella afferma, stregone che pra�chi malefici; nessuno si professa stregone e lo stregone è colui di cui parlano la persona stregata e l’esorcista. Il personaggio principale non è lo stregone infa� egli appare solo + tardi, alla fine della catena, quando l’opera esorcis�ca è molto avanzata, oppure non appare affa�o. I personaggi principali sono la persona stregata e l’esorcista. La stregoneria o la magia agiscono in realtà come mezzo per risolvere pra�camente dei confli� (trovare e indicare il capro espiatorio reale o immaginario) o come mezzo di controllo sociale F 0E 0 es del contadino: egli si trova sempre di fronte disgrazie una dopo l’altra senza riuscire a trovare alcuna spiegazione a ciò; così egli si rivolge alla stregoneria che gli offre un sistema d’interpretazione che gli consente di agire sulla situazione e di sbloccarla. Principi euris�ci comuni all’antropologia e alla psicoanalisi: il distanziamento, la funzione latente, l’alterità Un’altra convergenza fra antropologia e la psicoanalisi è quella dell’ordine euris�co, che consiste nella dis�nzione, comune alle due discipline, fra latente e manifesto, implicito e esplicito, e nella necessità in entrambi i casi di andare al di là dei sintomi, per definizione apparen�, per decifrarli, decodificarli, analizzarli e trovarvi un senso. In psicoanalisi il sogno come la nevrosi, non è idoneo a svelare un senso se non dopo il lavoro di interpretazione compiuto durante la terapia psicoanali�ca. Quanto all’antropologia pensiamo alla proibizione dell’incesto la cui latente funzione è quella di regola sociale e di stru�ura elementare della parentela. Le due discipline al Locale al Globale Pag. 11 inoltre si incontrano anche su un altro piano ovvero la psicoanalisi mostra che l’uomo per la sua complessità psichica e affe�va, non è un essere puramente razionale. Allo stesso modo l’antropologia mostra - a�raverso le forme tecniche, sociali, culturali, ar�s�che e religiose - che le culture e gli uomini non agiscono soltanto secondo i criteri della razionalità. Infine, tanto l’antropologia che la psicoanalisi sono sensibili all’alterità ovvero l’antropologia tenta di conoscere e analizzare il pensiero dell’altro (lo straniero) per me�erlo a confronto con il proprio; la psicoanalisi tenta di decifrare il discorso dell’altro in noi (noi come super-io), quello che è al principio stesso del nostro Io e in rapporto al quale ci determiniamo. L’etnopsicoanalisi: ogge�o e metodo Parliamo della psicoanalisi. Devereux, etnologo e psicoanalista, ha illustrato le potenzialità di un tale campo di studi, la cui finalità è quella di scoprire come i rappor� sociali e i comportamen� culturali siano assimila�, negozia� e vissu� dagli individui. L’etnopsicoanalisi deve il proprio metodo alla tecnica psicoanali�ca freudiana, cioè alla pra�ca fondata su colloqui ripetu� in modo regolare in cui i partner sono reciprocamente coinvol�. A differenza della psicoanalisi, l’etnopsicoanalisi non ha come scopo la guarigione, ma l’approfondimento della relazione fra l’osservazione e i membri della cultura studiata. Gli autori organizzano i colloqui in modo tale da mostrare ai loro partner le mo�vazioni, le difese, i giochi di ruolo, la percezione di sé e degli altri e anche dell’antropologo, in una situazione di interferenza. L’interesse dell’etnopsicoanalisi risiede nel metodo ovvero nella maniera in cui l’antropologo costruisce con i suoi informatori un’esperienza condivisa della loro cultura e nella maniera in cui la res�tuisce nel testo etnografico. CAPITOLO IV. ANTROPOLOGIA E PSICOLOGIA COGNITIVA. RAGIONE MITICA E RAGIONE SCIENTIFICA La psicologia cogni�va elaborata da Piaget, richiama molto l’antropologia infa� le riflessioni che propone sui modi di acquisizione del pensiero da parte del bambino, e più in generale sui diversi �po di pensiero (pensiero pra�co, simbolico e opera�vo) riprendono gli interroga�vi impo dell’antropologia intorno al rapporto fra cultura e pensiero, fra processi sociali e cogni�vi. Nella le�eratura antropologica queste ques�oni hanno assunto la forma di discussione intorno al mito e alla razionalità, alla magia e alla scienza, alla mentalità “primi�va” e alla mentalità “civilizzata” e intorno alle modalità di passaggio da una forma all’altra. La psicologia cogni�va di Piaget: gerarchia die modi di pensiero e gerarchia delle società I lavori di Piaget riguardano lo sviluppo mentale del bambino e consistono nel descrivere i processi tramite i quali il bambino acquisisce le diverse stru�ure cogni�ve ovvero le diverse operazioni del pensiero. Piaget definisce tre stadi d’acquisizione da parte del bambino: il primo è quello delle funzioni sensoriali-motorie (acquisizione di ges�, riflessi, percezioni, coordinazioni) che cos�tuiscono il punto di partenza dello sviluppo mentale del bambino; il secondo è quello dell’acquisizione del pensiero sogge�vo o egocentrico, pensiero centrato sul sogge�o (l’ego) e funzionante solamente sul piano dell’affe�vità (tale pensiero sogge�vo è de�o anche simbolico dato che è una rappresentazione delle cose fondata su rappor� sogge�vi tra bambino e mondo); il terzo è quello del pensiero opera�vo o decentrato ovvero un pensiero basato su rappor� ogge�vi tra uomo e universo (tale pensiero opera�vo è cara�erizzato dalle operazioni formali grazie a cui il pensiero diventa scien�fico o razionale). Ciò che ora ci interessa in quanto antropologi è l’estrapolazione di questo modello concepito su scala individuale (da Piaget appunto verso il bambino), al livello del colle�vo ossia delle società. Lo stesso Piaget, in realtà, come numerosi altri autori della sua scuola, non hanno esitato ad u�lizzare il modello di sviluppo mentale del bambino per applicarlo alla storia dell’umanità e alla cara�erizzazione delle forme di pensiero nella società primi�va e in quella moderna. Essi infa� pensano che le società umane passano ugualmente tramite una successione di stadi mentali iden�ci a quelli a�raverso cui passa il bambino ovvero: lo stadio dell’intelligenza pra�ca (questo primo stadio, punto di partenza di goni società, corrisponde al Locale al Globale Pag. 12 PARTE TERZA STORIA DEL PENSIERO ANTROPOLOGICO. GENEALOGIA INTELLETTUALE DEI DISCORSI SULL’ALTERITA’ CAPITOLO I - PRELUDIO AD UNA STORIA DELL'ANTROPOLOGIA. ETNOGRAFIA, ETNOLOGIA, ANTROPOLOGIA: ETEROGENEITÀ E UNITÀ DELLA DISCIPLINA Tre termini, tre momenti dello stesso procedimento Per Designare la disciplina disponiamo di tre termini: etnografia, etnologia, antropologia: ques� tre termini vengono usa� per indicare i tre momen� successivi del lavoro antropologico. L’etnografiaF 0E 0 corrisponde alla prima fase del lavoro dell'antropologo; essa è la fase preparatoria della raccolta dei documen� e dei da�, e della loro prima descrizione so�o forma di registrazione, classificazione, traduzione, etc. In tale fase avviene la ricerca sul campo, l’inventario e la descrizione dell’insieme degli elemen� che si considerano per�nen� per la comprensione di una società. L’etnologiaF 0E 0 è la fase in cui si analizza, si sinte�zza e si interpreta ciò che si osserva in una data cultura in rapporto alle conoscenze sulle altre società di cui si dispone e con le generalizzazioni teoriche che si sono costruite a par�re da tali conoscenze. A questo livello, le sintesi anali�che si riferiscono generalmente ad una sola dimensione della realtà (es. parentela, economia, religione, poli�ca, etc.). L'antropologiaF 0E 0 cos�tuisce il terzo livello, quello più generale in cui si tenta di definire le proprietà generali di tu�a la vita sociale e culturale. Le generalizzazioni teoriche si compiono a par�re dalla sistema�ca compilazione di un maggior numero di esempi e di casi concre� riporta� dalla le�eratura etnologica. Levi-Strauss ad es ha formulato la sua analisi delle stru�ure elementari della parentela secondo un duplice movimento: il primo consiste nel fare il punto sullo stato delle teorie e delle spiegazioni preceden�, me�endone il luce le acquisizioni ma anche le insufficienze; in un secondo momento Levi-Strauss ha cercato di proporre un nuovo quadro teorico capace di risolvere i problemi rimas� irrisol� e di integrare l’insieme dei da� e delle descrizioni disponibili sulla ques�one. Questo duplice lavoro ha condo�o Levi-Strauss alla spiegazione stru�urale (stru�uralismo) della parentela, una spiegazione teorica che me�e in luce la logia universale soggiacente a tu� ques� fenomeni (reciprocità, comunicazione sociale, codice simbolico) offrendo la possibilità di descrivere tu� i sistemi di parentela possibili, reali o fi�zi. Anche se non si approda a leggi universali (come quelle delle scienze esa�e), l’antropologia giunge a generalizzazioni teoriche che consentono di o�enere una certa forma d’intellegibilità, una certa soglia di comprensione delle forme sociali e culturali. Raggiungere questa comprensione dell’uomo in generale corrisponde non solo a una legi�ma curiosità intelle�uale, a un auspicabile rigore scien�fico, ma anche a una necessità culturale di reciproca comprensione fra le società, che mai come oggi si sono trovate poste a confronto con le loro differenze, con le loro rispe�ve iden�tà, e al tempo stesso con la ricerca di un equilibrio e di un des�no comuni. Inoltre, tale esigenza di comprensione globale dell’uomo in società corrisponde al rinnovamento dell’ogge�o e della riflessione antropologica, che consiste nel cogliere le diversità ovunque esse si manifestano, rapportandole all’espressione di ciò che può essere ritenuto come universale. Un rinnovamento che integra nella sua prospe�va tanto le società tradizionali quanto quella moderna. Per questo l’antropologia deve oggi interessarsi non solo alla descrizione di par�colari gruppi e società ma anche all’interpretazione globale dell’insieme delle culture umane, per me�erne in luce le somiglianze e le differenze. Diversità di denominazioni, diversità di oggetti Ancora oggi esistono nella disciplina (antropologia) ci sono diversi orientamen�. L’orientamento che viene più spesso associato all’etnografia corrisponde ad un proge�o che si dà come scopo al Locale al Globale Pag. 15 l’inventario degli ogge�, dei costumi e delle tradizioni “eso�che” (l’altrove) o “popolari” (il qui). Un altro orientamento, iden�ficato generalmente con il termine di etnologia, corrisponde a un’opera di descrizione delle is�tuzioni o dei gruppi sociali che non si preoccupa di allargare la riflessione al di là di queste unità: è l’etnologia puramente descri�va. Però, come abbiamo già visto, questo gusto per la monografia e per a delimitazione dell’ogge�o d’indagine può portare a esi� metodologici e teorici nega�vi: considerare le società “tradizionali” come senza storia e senza cambiamento; pensare i gruppi, le etnie, le società al di fuori dei rappor� di fora in cui sono ineri�; rifiutare di assumere come ogge�o di studio la propria società di origine, la società industriale moderna. Così la disciplina si rifugia in un provincialismo angusto (si studia solo una parte dell’umanità) che è in opposizione con il proge�o globale dell’antropologia, quello di pensare simultaneamente le diversità e le universalità. Ques� orientamen� diversi spiegano perché ancora oggi, per lo meno in Francia, si ricorra a denominazioni differen� a seconda che si sia sostenitori dell’uno o dell’altro. In Francia, l’introduzione recente (anni 60 del secolo scorso) del termine antropologia ha corrisposto a un riorientamento del procedimento e dell’ogge�o antropologico (il suo allargamento all’analisi della modernità) e a un certo rinnovamento teorico (l’esigenza di sistema�zzazione e generalizzazione teorica il cui modello è l’antropologia stru�urale di Levi- Strauss). Per contrasto, il termine di etnologia con�nua a designare, per alcuni, la vecchia tradizione rivolta verso l’inventario dei par�colarismi e delle tradizioni, in opposizione all’integrazione di ques� ogge� in una riflessione + generale sulla modernità e universalità. Una volta chiarite le diverse prospe�ve ado�ate in rapporto all’ogge�o all’interno della tradizione antropologica, bisogna precisare che il problema della denominazione della disciplina non deve trasformarsi in un diba�to scolas�co. Non si tra�a di decidere a priori dell’orientamento di questa o quella ricerca, ma occorre al contrario esaminarne e valutarne i contenu� caso per caso. Antropologia fisica ed etnologia eso�ca Dal punto di vista della storia della disciplina è interessante constatare che è la concezione ristre�a dell’antropologia – la descrizione dei par�colarismi – che si impose rapidamente. Infa�, molto presto l’antropologia fu iden�ficata essenzialmente per l’ogge�o (più che il metodo o la spiegazione, a prevalere è stata la delimitazione dell’ogge�o d’indagine). Questa definizione basata sull’ogge�o è stata partecipe del movimento intelle�uale e scien�fico dell’epoca, infa� quando nel 19esimo secolo iniziarono ad essere tracciate le tappe dell’evoluzione dell’umanità prima dell’Età del ferro, subito l’antropologia ne designò l’insieme degli aspe� facendo riferimento all’uomo primi�vo nel senso + largo del termine (dal punto di vista della sua evoluzione fisica, culturale e delle tracce archeologiche lasciate da lui). L’idea alla base di ciò era che i popoli primi�vi erano i contemporanei degli uomini preistorici scomparsi in Europa da millenni dei quali si cominciavano a scoprire e ricostruire i res�. In questo movimento generale di fossilizzazione dell’uomo, l’antropologia si è definita come la scienza totale dell’uomo primi�vo, quella che lo studia nella dimensione fisica (paleontologia ovvero scienza dell’uomo fossile) e in quella sociale, culturale e tecnica (etnologia ovvero scienza dell’uomo fossilizzato). I due postula� di un tale procedimento sono: da un lato l’idea – largamente diffusa nel 19esimo secolo – di un’evoluzione umana riguardante parallelamente i cara�eri fisici, le stru�ure tecnologiche e le produzioni culturali; la volontà – che nel corso del secolo si afferma sempre + - di conservare e archiviare fossili e tracce del passato. Oggi l’antropologia è ancora in parte legata sia all’antropologia fisica e alla preistoria, sia al museo etnografico. In Gran Bretagna già verso la fine del 19esimo secolo, l’antropologia culturale e sociale ne prende le distanze per affermarsi nell’università in maniera autonoma. Diversità delle denominazioni e diversità delle tradizioni nazionali Abbiamo poi un ul�mo �po di eterogeneità a cui può rinviare la diversità di denominazioni dell’antropologia ovvero quello dell’eterogeneità delle tradizioni nazionali; infa� i diversi nomi da� alla disciplina dipendono da differen� contenu� che essa assume a seconda dei paesi: nei paesi anglosassoni il termine u�lizzato è quello di anthropology (antropologia); in Francia è ethnologie(etnologia) mentre in Germania: Völkerkunde (studio dei popoli primi�vi) e Völkskunde (studio del folklore europeo). Queste differenze non sono neutre ma esprimono sensibilità nazionali differen�, che si traducono in una diversità di procedimen� e di elaborazioni teoriche. al Locale al Globale Pag. 16 Non bisogna credere che le costruzioni teoriche all’interno della disciplina siano indipenden� dal contesto culturale e poli�co che le vede nascere; infa� le nozioni + corren� della disciplina hanno assunto forma e consistenza all’interno delle diverse situazioni coloniali inaugurate dagli Europei. Per cercare di capire per quale mo�vo i ricercatori statunitensi sin dall’inizio abbiano fa�o ricorso ai conce� di cultura e di tra�o culturale, per capire anche perché i ricercatori britannici si siano interessa� prioritariamente sullo studio dell’organizzazione sociale e quelli francesi si siano sofferma� principalmente sull’analisi delle stru�ure e delle rappresentazioni, bisogna prendere in considerazione i rappor� sociali e le dinamiche culturali ed ideologiche all’interno delle metropoli; la natura dei sistemi sociali dei paesi colonizza� nei vari momen� della conquista; il �po di dominio che ciascuna metropoli ha imposto alle proprie colonie. La tradizione spagnola Prendiamo l’esempio della conquista spagnola del Nuovo Mondo. Il 1492 – anno della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo – è anche l’anno della caduta di Granada (ul�mo regno arabo della Spagna). Gli Spagnoli ritenevano possibile un solo modello di società, concepibile una sola cultura, pra�cabile una sola religione. Al momento della conquista dell’America gli spagnoli non si trovavano nella necessità di rispondere al problema di una possibile inter-comprensione fra culture diverse xk per loro vi era un sola società, religione e cultura (la loro appunto): gli altri dovevano abbandonare i loro costumi e tradizioni e così spoglia�, fare ingresso nella società spagnola. La conseguenza di un tale a�eggiamento fu in mol� casi l’annientamento fisico delle popolazioni indigene. Ciò non consen�va di prendere in considerazione le differenze in termini di un confronto interculturale, in fa� gli indigeni erano considera� come i membri delle classi inferiori della società spagnola. Questo spiega perché, fino a tempi recen�, fra gli spagnoli non è stato molto accentuato l’interesse per una riflessione di �po antropologico. Certo, mol� pensatori come ad es Bertolomè de Las Casas, si sono rivol� verso la ques�one degli indios e dell’alterità, ma lo hanno fa�o nel quadro di preoccupazioni essenzialmente teologiche e poli�che, quelle di integrare, assimilare, so�ome�ere le popolazioni indigene. La tradizione britannica L’espansione coloniale britannica si sviluppò nel 19esimo secolo mo�vata da un capitalismo di �po mercan�le e poi industriale. Il problema dei britannici era quello di garan�rsi l’appropriazione dei prodo� tropicali e controllare il commercio internazionale. Tali preoccupazioni si tradussero in un sistema poli�co pragma�co che consisteva nel lasciare al loro posto le stru�ure indigene, accontentandosi di governarle dall’esterno (Indirect Rule= governo indire�o). Tale �po di governo sarà alla base di una suddivisione dei territori controlla� in unità ristre�e e autonome le une rispe�o alle altre; tale divisione influenzò lo sviluppo dell’antropologia britannica, fondata sulla ricerca sul campo, che esordì verso la fine del 19esimo secolo e il cui modello è rappresentato dalla ricerca che Malinowski condusse nelle isole Trobriand, in Melanesia, durante la I Guerra Mondiale. Il modello della monografia, che fu inaugurato con l’opera di Malinowski “Argonau� del Pacifico occidentale” (1922), e che presto divenne il genere antropologico per eccellenza, riproduce le suddivisioni etniche e poli�che a�uate dall’amministrazione coloniale. Nell’antropologia britannica, il campo è iden�ficato con l’”etnia”, la “tribù”, il “villaggio”, senza che tali unità siano mai state seriamente discusse o precedentemente definite. Questa suddivisione delle società in unità autonome e separate le une delle altre è all’origine del principio dell’indagine totale di una cultura che deve prevenire ad abbozzare un quadro sinte�co. La scuola britannica ha così sviluppato la nozione di cultura in quanto conce�o globalizzante, ritenuto a�o a tradurre l’insieme coerente cos�tuito, a livello di ciascuna società, dai rappor� ecologici e economici, dalle stru�ure sociali e dalle is�tuzioni poli�che e religiose. L’approccio monografico (basato cioè su un solo argomento o una serie di essi correla�) è all’origine dello sviluppo di numerose nozioni per la teoria antropologica, come quella di totalità o sintesi anali�ca e del riconoscimento del valore impo del campo e dell’osservazione partecipante; esso ha anche prodo�o nozioni contestabili come quelle di armonia, integrazione e equilibrio tra culture, nozioni che imprigionano queste in uno statuto atemporale. Per tra�are del cambiamento sociale, la scuola funzionalista, fedele alla definizione sta�ca del proprio ogge�o, sviluppa le nozioni di conta�o di culture e di acculturazione e i loro corollari di ada�amento e di disfunzione. In altri termini, il cambiamento sociale e culturale non è al Locale al Globale Pag. 17 L’unità dell’antropologia si manifesta anche al livello del �po di sguardo che cara�erizza l’antropologo. Tale sguardo è esterno per definizione, essendo quello di un osservatore estraneo alla cultura in cui lavora. L’esteriorità dell’antropologo in rapporto al suo ogge�o di studio è stata considerata per lungo tempo come il tra�o originale della disciplina. Il decentramento in rapporto al proprio universo mentale e culturale garan�to dallo sguardo esterno, associato alla pra�ca dell’osservazione partecipante, si ri�ene fondi una certa obie�vità del procedimento antropologico. Tu�avia, il rapporto dell’antropologo con il suo terreno di ricerca è + complesso e sono possibili diverse posizioni del ricercatore (la posizione + corrente consiste nell’amme�ere che il rapporto con l’altro è un processo di conoscenza; poi all’inverso, vi è una posizione estrema ado�ata dai sostenitori della cri�ca dell’etnocidio, la quale ri�ene che il rapporto dell’antropologo con l’altro sia un rapporto di alienazione, un rapporto di violenza esercitato sull’altro; infine vi è una posizione che afferma che il rapporto dell’antropologo con l’altro è un problema teorico cioè l’antropologo deve integrare nella costruzione dei suoi ogge� intelle�uali e nel quadro delle sua analisi, il rapporto del ricercatore con il campo cioè tanto le proprie determinazioni is�tuzionali, poli�che, teoriche e personali, quanto quelle del gruppo presso cui lavora e ciò equivale a dire x es che occorre valutare con�nuamente i metodi di osservazione e di descrizione che vengono usa�, le modificazioni che intervengono nel rapporto tra osservatore e osservato, ecc). Una volta convin� che al di là delle diversità esiste un’unità fondamentale dell’antropologia, possiamo chiederci: “qual è l’importanza di una storia del pensiero antropologico e perché fare una tale storia?”. La storia dell’antropologia come antropologia culturale dell’Occidente L’approccio storico è necessario per diversi mo�vi: • evidenzia i percorsi a�raverso i quali l’uomo è arrivato ad assumersi come ogge�o della propria osservazione • fa emergere la presa di coscienza della diversità delle produzioni sociali e culturali dell’uomo, nel tempo e nello spazio (ci perme�e di cogliere il contesto culturale in cui si sono sviluppa� il pensiero sull’alterità e in generale, + tardi, il pensiero antropologico propriamente de�o) • ricostruisce la storia del processo di scoperta degli altri e della maniera in cui essi sono sta� percepi� nelle somiglianze e nelle differenze rispe�o al noi, relazione fondamentale nel proge�o intelle�uale dell’antropologia • consente di individuare quali sistemi di valori ed interessi economici e poli�ci hanno influenzato la riflessione antropologica Tu�o ciò ci fa capire che la storia dell’antropologia riguarda solo una parte dell’umanità; in effe� la storia dell’antropologi rende conto solo delle tappe della conoscenza dell’uomo “eso�co” da parte dell’uomo occidentale. Perché sia totale, una tale storia dovrebbe rivolgere l’a�enzione anche alla conoscenza che le altre civiltà hanno sviluppato sulle alterità che hanno incontrato, compresa l’alterità occidentale. Questo tenta�vo di conoscenza esiste sopra�u�o presso gli arabi, cinesi e indiani. E’ solo a queste condizioni che noi potremo un giorno pervenire a una vera antropologia generale. Fare la storia del pensiero antropologico equivale a fare ritorno alla società che ad esso ha dato origine, a interrogare i valori sociali e culturali che sono all’origine della “visione dell’altro”. Bisogna contribuire ad allargare l’ogge�o dell’antropologia e integrare nella sua riflessione la società europea in quanto ogge�o di conoscenza. La storia dell’antropologia in quanto riflessione epistemologica sulla disciplina Perché e come la cultura occidentale ha prodo�o gli etnologi? • Per l’occidente fu un modo per confrontare la propria immagine con quella di società differen�, sia per scoprire le proprie tare e i propri dife� (paragone del “buon selvaggio”), sia per al Locale al Globale Pag. 20 so�olineare le tare e i dife� degli altri, avvalorando la propria immagine (paragone del “ca�vo selvaggio”) • La comparsa degli antropologi corrisponde ad un bisogno di conservazione: più la società industriale si faceva conquistatrice e distru�rice di altre culture e della propria più sviluppava il bisogno di conservare ed esporre i segni di queste culture • Lo sviluppo della conoscenza antropologica dell’altro traduce un rapporto di potere. Nato da un rapporto di dominio lo sguardo antropologico si inserisce in strategie di �po poli�co ed economico che ne determinano in parte gli ogge� di studio e le finalità anali�che, per non parlare delle sollecitazioni dire�e che i poteri esercitano sulla produzione scien�fica allo scopo di servire cer� precisi obie�vi Importante è il confronto tra i pareri che le culture hanno una sull’altra in quanto ciò ci consente di rela�vizzare i giudizi formula� nei confron� di questa o di quella cultura. Contestualizzando le rappresentazioni dell’altro e analizzandone la produzione all’interno della relazione che le produce, si può pensare di raggiungere un grado di conoscenza dei rappor� interculturali + equilibrato e rigoroso che non rimanendo al livello di un solo discorso e di un solo sguardo. Da dove iniziare la storia della disciplina, ovvero il mito fondatore dell’antropologia Quando si tra�a di fare la storia del pensiero antropologico, il problema che si pone subito è quello di sapere se è possibile individuare il momento in cui inizia l’impresa antropologica (È possibile individuare il momento in cui inizia l’impresa antropologica?). Anche la società degli antropologi possiede il suo o i suoi mi� fondatori, che hanno un inizio (origine), uno o più antena� illustri e sopra�u�o un’epopea (storia costellata di discussioni, polemiche, teorie). Assumeremo come punto di partenza della nostra riflessione storica il momento che la tradizione accademica fissa come inizio della storia della disciplina. Occorre porsi di fronte al mito o ai mi� fondatori della disciplina (antropologia) allo stesso modo in cui un antropologo farebbe di fronte ai mi� fondatori delle società che è solito studiare ovvero so�ome�endoli all’interrogazione e all’analisi. La tradizione antropologica rivendica un’ascendenza collocata presso i pensatori greci dell’an�chità classica anche se come sappiamo l’antropologia come la conosciamo noi è nata nella 2a metà dell’800 in seguito a ro�ure nel pensiero e nella cultura dell’Occidente. Ad ogni modo i secoli preceden� al 19esimo furono importan� per la sua comparsa (del pensiero antropologico moderno). Ogni secolo fu messo certamente a confronto con l’alterità (confronto con le altre culture) ma solo nel 19esimo secolo divenne sapere ogge�vo in un discorso scien�fico. Il pensiero antropologico si inserisce nell’interrogazione sulla plurisecolare difficoltà epistemologica di pensare l’altro. Il fa�o di assumere un principio cronologico non deve alimentare illusioni: il pensiero antropologico non ha seguito un percorso progressivo che ha portato a quello a�uale, bensì all’interno di una stessa epoca questo pensiero è stato molteplice e diverso, ha conosciuto ro�ure, talvolta profonde, da un periodo all’altro. CAPITOLO III. L’ANTICHITA’ GRECA E IL MEDIOEVO CRISTIANO. LA DIFFICOLTA’ DELLO SGUARDO SULL’ALTRO. La figura del Barbaro e il sen�mento dello straniero nella Grecia an�ca Quando ci si riferisce all’An�chità greca per fondare la storia della disciplina ci si riferisce principalmente ad Erodoto (484-425 a.C.), egli infa� riporta dai suoi numerosi viaggi in Egi�o, Persia e Citera e altrove un numero impressionante di descrizioni, raccon� e mi�. Sopra�u�o egli privilegia la tes�monianza visiva rispe�o a quella audi�va e fonda la sua inchiesta sul “tes�mone che ha visto e che, di conseguenza, sa”. Tu�avia fu più a�ento ai fa� non abituali ed eccezionali che non alle abitudini ed ai fa� normali che cos�tuiscono la trama della vita quo�diana dei popoli. Ancora più importante, nelle sue descrizioni i popoli stranieri o “barbari” erano presenta� come l’inverso di ciò che erano i Greci (tanto da risultare dall’inversione dei valori e norme greche). Hartog nell’opera “Le miroir d’Hérodote. Essai sur la représenta�on de l’autre” mostra come in defini�va per Erodoto i barbari non sono altro che un mezzo indire�o per parlare dei Greci e per definirli. I Barbari infa� consentono ad Erodoto di affermare e valorizzare implicitamente la superiorità dei valori greci. Lo stesso termine di “Barbaro” illustra bene quest’immagine inver�ta. È una parola d’origine greca, che designava lo Straniero, il Non-Greco per eccellenza, costruita a par�re da una onomatopea che parodiava le emissioni sonore che percepiva l’orecchio greco allorchè ascoltava una lingua straniera. Si può dire che lo straniero era percepito dal mondo greco come un bambino alle soglie della cultura, che balbe�a una lingua poco comprensibile e dal quale al Locale al Globale Pag. 21 non ci si può a�endere opere importan�. Questa tendenza a pensarsi al centro dell’universo e di conseguenza a ordinare le altre culture intorno a se stessi non è propria dell’An�chità greca, la troveremo nel Medioevo cris�ano e musulmano, nel Rinascimento e fino al 20esimo secolo. Il Medioevo cristiano: le figure del diavolo e del meraviglioso e il trattamento dell’alterità Il Medioevo cris�ano fu un periodo di ripiegamento, non d’ordine fisico, poiché esso fu rela�vamente aperto alle influenze commerciali e alle spedizioni militari, ma piu�osto d’ordine intelle�uale. Il Medioevo fu un teocentrismo chiuso alle realtà profane, aperto all’esoterismo e al meraviglioso e soggiogato dalle figure del mostro e del diavolo. L’immaginario del Medioevo occidentale deve essere analizzato come un insieme organizzato intorno alle 3 figure del meraviglioso, del magico e del miracoloso. L’immaginario del Medioevo rappresentava al tempo stesso un mezzo di conoscenza della natura e una definizione dell’uomo e dei suoi rappor� con Dio. I mostri appartenendo al mondo del meraviglioso, nondimeno partecipavano al mondo naturale. La figura del mostro stava a ricordare che l’uomo è fa�o ad immagine di dio, era una sorta di specchio in cui l’uomo poteva, da una parte, misurare l’estensione della natura e dell’onnipotenza divina e, dall’altra, ricordarsi di ciò che egli non doveva mai essere. Era insomma uno strumento di conoscenza che disegnava una fron�era fra il dentro e il fuori, fra Dio e il diavolo, fra il cris�ano e l’infedele. Non è dunque straordinario che alcune rappresentazioni dell’infedele musulmano che facevano gli uomini del Medioevo si traducevano nelle figure del mostro. Eppure quella arabo-musulmana era una società per mol� versi più avanzata, e con cui il Medioevo occidentale intra�eneva molteplici rappor�. Erano il dogma e la scolas�ca cris�ani a guidare in quest’epoca la percezione e l’interpretazione delle altre civiltà, e specificamente della vicina civiltà arabo-islamica. L’assenza pressoché totale presso i Crocia� di ogni curiosità intelle�uale verso una civiltà nella quale operavano insieme musulmani, ebrei e cris�ani non indusse certo gli orientali ad ammirare i Franchi, che anzi tendevano a considerare al pari dei barbari. CAPITOLO IV. LA TRADIZIONE GEOGRAFICA E STORICA DEL MEDIOEVO ARABO. TEOCENTRISMO E TRATTAMENTO DELL’ALTERITA’ NELL’ISLAM L’Islam, che era una civiltà teocentrica, produsse nella stessa epoca opere il cui contenuto ricorda alcune delle discipline moderne apparse più tardi in Occidente, come la storia, la geografia, l’etnologia. Al contrario degli europei del Medioevo, i musulmani di questo periodo non erano chiusi nei confron� delle differenze umane. Da una parte, la civiltà arabo-musulmana era il risultato non già dell’affermazione di un’etnia par�colare sulle altre, ma del trionfo di un messaggio religioso universalista che, portato per mezzo della lingua sacra del Corano, l’arabo, coinvolse culture, lingue, popoli mol� diversi. D’altra parte, nel 9 e 10 secolo, i do� e viaggiatori musulmani avevano già esplorato e descri�o una parte dell’Europa, l’Estremo Oriente, India e Africa. Lo sguardo arabo cercò così di scoprire culture lontane di cui registrava le differenze, non tanto per farle aderire a sé quanto piu�osto per meglio situarle al di fuori della Comunità dei creden�. Le condizioni favorevoli nel mondo arabo-musulmano del medioevo furono propizie alla comparsa e allo sviluppo di un sapere sull’uomo e sulla società perfe�amente cosciente di se stesso e del proprio ogge�o. Questo corpo di conoscenze si dispiegò essenzialmente nel campo della storia e della geografia. La tradizione geografica araba: un modo posi�vo di conoscenza Presso gli arabi la geografia, termine dovuto al �tolo delle opere di Marino di Tiro e di Tolomeo, ebbe uno sviluppo forte e con�nuo a par�re dal secolo o�avo fino alle soglie del qua�ordicesimo. Era una geografia umana nel senso che collocava l’uomo al centro della Creazione, della quale si riteneva per l’appunto che la geografia totale traducesse l’immagine; l’uomo è il riflesso dell’universo, creazione divina che gli è interamente des�nata. Emanazione degli uomini, la geografia assumerà come ogge�o l’uomo e l’ambiente naturale cui è legato dalla disposizione divina del mondo. La geografia araba si afferma pienamente nel nono secolo, il secolo arabo dei Lumi, per la presenza della grande scuola dei tradu�ori di Baghdad che si impegneranno a trasme�ere agli arabi le conoscenze geografiche indiane, iraniane e greche. Uno s�molo importante per la geografia araba fu anche il diba�to intelle�uale chi si instaurò all’epoca intorno alla ques�one del ruolo e del posto nel mondo dell’uomo nuovo creato dall’Islam (in tal modo, fin dai suoi esordi, la preoccupazione principale di tale scienza era fu quella dell’esame delle situazioni umane). Questa geografia – pur essendo di espressione araba - era scri�a da musulmani di ogni paese, questo so�olinea come i musulmani del Medioevo, indipendentemente dall’origine e�ca, al Locale al Globale Pag. 22 Una teoria cri�ca della storia Tu�avia con Ibn Haldun si assiste per la prima volta ad una formulazione rigorosamente scien�fica del procedimento storico: quella di ricercare le cause degli even� nell’insieme delle condizioni economiche e sociali ambientali. Secondo lui, il cara�ere interno della storia, il suo senso: “consiste nel meditare, nello sforzarsi di accedere alla verità, nello spiegare con so�gliezza le cause e le origini dei fa�, nel conoscere a fondo il perché e il come degli even�”. Dietro gli even� che me�e insieme, lo storico deve ricercare gli anteceden� logici ed empirici che li hanno resi possibili. Questa concezione di una mediazione logica nella storia induce Ibn Haldun a rilevare il cara�ere naturale proprio di ciascun fenomeno umano. Di qui la regola metodologica per fare storia, che consiste nel dis�nguere in primo luogo: “ciò che è inerente all’essenza e alla natura della civiltà; ciò che è accidentale e trascurabile; ciò che con essa non ha niente a che vedere. Si avrà così una norma per separare, nei raccon�, il vero dal falso, grazie a un metodo proba�vo incontestabile.” Un pensiero centrato sull’uomo La nozione di causalità è centrale nel pensiero di Ibn Haldun, egli da grande spazio ad una concezione antropologica che fa degli uomini e della vita in società il sogge�o fondamentale della storia. La “associazione degli uomini”, matrice della “culturazione del mondo”, nel pensiero di Haldun dà luogo allo sviluppo di un certo numero di categorie elementari come la socialità e la coesione di gruppo, e di nozioni come quelle di potere, Stato, gerarchia, classi sociali, lavoro e profi�o. Nella sua opera si trovano in tal modo formula� conce� che nella tradizione scien�fica europea appariranno ben più tardi nel 19esimo secolo. Presa di distanza dalla teologia e filosofia razionalista nella tradizione araba Nella tradizione filosofica araba ben prima di Ibn Haldūn apparve una corrente razionalista, di cui uno dei più celebri rappresentan� fu Ibn Roshd. Questa corrente si sviluppò nel 10 e 11esimo secolo e fu all’origine del consolidamento del principio di razionalità in numerosi ambi� scien�fici (medicina, scienze naturali, chimica, matema�ca e storia). Il suo sforzo intelle�uale consiste�e nel rige�are le speculazioni di �po mi�co o religioso per considerare solo l’esame consapevole del reale e la ricerca delle sue leggi. Ibn Roshd con�nuò a difendere la credenza nella forza della ragione, a mantenere vivo il pensiero cri�co e a sostenere l’idea della non opposizione fra la Ragione e la Religione. Ibn Haldun (XIV secolo) e Durkheim (XX secolo): due sociologie universali ma contraddi�orie Ques� due autori si somigliano per mol� versi. Durkheim formulò l’idea che un fa�o sociale deve essere considerato come una cosa e la sua spiegazione deve essere ricercata in un altro fa�o sociale. La visione avanzata da Ibn Haldun consisteva in una scienza storica centrata sull’uomo e fondata sulla causalità logica. Entrambi avevano interesse per il problema della coesione sociale in una situazione di trasformazione storica (Ibn Haldun si interessava al cambiamento dal nomadismo alla sedentarietà, Durkheim al passaggio dalla società tradizionale rurale alla società urbana moderna). L’uno e l’altro tentarono di rispondere alle ques�oni che si ponevano con la formulazione della propria sociologia. Le leggi dello sviluppo individuate dallo storico arabo me�ono ne�amente avan� la caduta di energia culturale che risulta dalla civiltà; mentre per Durkheim il pericolo di anomia che insidia la civiltà proviene dal con�nuo aumento di energia intelle�uale e sociale. Ibn Haldun considerava la forma di organizzazione basata sull’interdipendenza di elemen� specializza� come molto distante rispe�o alla coesione che sos�ene e unisce fortemente le comunità nomadi; mentre Durkheim al contrario pensava che la solidarietà organica (cara�eris�ca delle stru�ure urbane moderne) è superiore alla solidarietà meccanica che definisce le comunità tradizionali rurali. Così benché il pensiero dell’uno e quello dell’altro tendono all’universalità, le sociologie che essi hanno prodo�o, e che nelle loro sfere rispe�ve hanno una certa efficacia esplica�va, restano malgrado prigioniere dei regimi storici e dei sistemi antropologici par�colari delle società cui appartenevano. Ibn Haldun ha costruito la sua sociologia generale intorno alla decadenza irresis�bile e irrimediabile di una civiltà che fino ad allora aveva brillato di tu�a la sua luce (entropia); mentre Durkheim ha analizzato una società al Locale al Globale Pag. 25 industriale in piena crescita alla quale credeva(espansione). All’uno e all’altro sembra comunque essere mancata una prospe�va compara�va di un’antropologia generale che potesse consen�re loro di trascendere il caso par�colare e di tra�are in maniera universale il genere di domande, assai simili, che si ponevano riguardo alle leggi del funzionamento del sociale . CAPITOLO V. IL RINASCIMENTO IN EUROPA. SCOPERTE, DECENTRAMENTI E DESCRIZIONI DELL’ALTERITA’ Il rinascimento in Europa, sopra�u�o verso la fine del 15esimo sec, cos�tuisce per l’Occidente un periodo di sconvolgimen� e di ro�ure, che inaugura un nuovo umanesimo: • La scoperta di mondi e di popoli nuovi (America, Asia); • La riscoperta dell’eredità intelle�uale dell’An�chità classica greco-romana; • La Riforma protestante che apre una braccia nelle concezione teocentrica e monoli�ca del mondo; • La rivoluzione cosmogonica (Copernico, Galileo) che rovescia la rappresentazione dell’universo e colloca la terra nella sua giusta posizione. La scoperta di nuove umanità non produsse né una posi�va presa di coscienza della diversità umana, né la cos�tuzione di un sapere ogge�vo sulla variabilità dell’uomo nel mondo. Al contrario, i documen� e le descrizioni raccol� sul posto sono sistema�camente mescola� ad elemen� leggendari impregna� di fantasmi e di a priori religiosi (idee preconce�e d’ordine mitologico o teologico). Pensiero teologico e interpretazione mi�ca dell’altro Durante il periodo compreso tra la scoperta dell’America e la fine del16esimo secolo, la riflessione sull’altro non poté svilupparsi in Europa se non nel quadro del pensiero teologico. Le culture straniere, che si rivelarono allo sguardo dell’Europa, furono so�omesse a un sistema d’interpretazione ricavato dalle fon� della tradizione biblica. Il pensiero teologico a par�re dal quale gli europei interpretavano le altre culture, non differiva in nulla dai pensieri mitologici delle numerose popolazioni che incontravano sul loro cammino. Tu�a l’impresa di Cristoforo Colombo fu condizionata da un tenta�vo di interpretazione dei segni e durante il suo viaggio egli so�ome�eva tu�o ad una le�ura dire�amente ispirata dalla Bibbia. L’a�eggiamento era iden�co a quello dei sacerdo� aztechi che tentavano di piegare a un’interpretazione stre�amente tradizionale l’irruzione nel loro universo dell’ignoto e dell’estraneo. La conquista dell’America e la ques�one dell’altro Come so�olinea Todorov la conquista dell’America da parte degli Spagnoli, e il confronto interculturale che ne derivò, è esemplare perché me�e in evidenza l’incapacità, o la difficoltà, di una civiltà conquistatrice di percepire l’altro in quanto essere diverso e tu�avia uguale, in quanto uomo tout court. La percezione nega�va dell’altro, che si fondava sul sen�mento di superiorità, nella maggior parte dei casi ha avuto come esito la sua distruzione fisica (il genocidio) o la volontà di imporgli i propri valori (etnocidio). Cortés che era un eroe della conquista spagnola non si occupava di considerazioni teologiche o metafisiche, egli era spinto da un obie�vo chiaro e posi�vo: quello di conquistare un impero e garan�rsi considerazione sociale e ricchezza. Con la forza delle armi ma anche con la conoscenza degli altri che aveva conquistato, Cortés – e dietro di lui gli spagnoli - so�omise gli Aztechi. Al contrario, gli Aztechi si trovarono culturalmente paralizza� di fronte alla sfida degli Spagnoli. Disorienta� dall’incapacità dei loro sacerdo� di interpretare la serie di even� tragici che subivano, non seppero trovare una risposta ideologica ai loro mali e si lasciarono soggiogare dagli Spagnoli, che avevano un a�eggiamento deciso e da conquistatori. I pensatori e gli uomini d’azione che comba�erono le ingius�zie e le atrocità della Conquista, e che tentarono di rispe�are l’Indiano, lo fecero spesso rapportandolo al loro quadro di riferimen� e credenze. In altre parole, l’altro acquistava ai loro occhi una vera esistenza solo quando veniva ammesso nella sfera della cris�anità: il “selvaggio” conver�to diventava uguale ad ogni cris�ano. Così accadde per Bartolomeo de Las Casas che difendeva gli Indiani perché riteneva che essi al Locale al Globale Pag. 26 potevano ancora accedere all’umanità convertendosi al cris�anesimo. Ad ogni modo in nome dei valori cris�ani originari, Las casas de�e prova di un a�eggiamento intransigente verso le atrocità degli Spagnoli. La sua influenza ideologica permise di far trionfare la tendenza che riconosceva l’unità del genere umano. L’alterità come pretesto: il fondamento di utopie e di mi� moderni Nel corso dei secoli 16esimo e 17esimo, so�o l’effe�o della mol�plicazione delle chiese e delle eresie, l’Europa a�raversò una crisi della centralità del pensiero teologico, che comunque non sarà una condizione sufficiente perché l’Europa si apra ad un’interrogazione e ad un’indagine obie�va sull’alterità. La crisi delle idee dell’epoca riguarda essenzialmente l’uomo europeo, nient’altri che se stesso. L’a�enzione rivolta agli altri cos�tuisce solo un pretesto per discutere della propria società, e dicendo pretesto si intende dire interesse poco marcato per la realtà altrui. Il 16esimo secolo vide nascere numerosi mi� intorno al selvaggio. Il più celebre è quello del buon selvaggio. A par�re da questo secolo il nuovo mondo e spesso il buon selvaggio cos�tuirono una ricca fonte d’ispirazione per i riformatori europei, desiderosi di costruire nuovi modelli di organizzazione sociale. Tu�avia questa immagine del buon selvaggio, al tempo stesso valorizzante e mi�ca, non sarà l’unica ad occupare l’immaginario occidentale: ad essa nel 18-19esimo secolo si aggiungerà il suo nega�vo, l’immagine del “ca�vo selvaggio”, buono solo a so�ome�ersi e a confermare la superiorità dell’Occidente. I raccon� di viaggio: descrizione e misura dell’alterità I raccon� di viaggio cos�tuiscono un genere che si sviluppa a par�re dal Rinascimento fino alla fine del 19esimo secolo. Dopo il Milione (1298)di Marco Polo, che racconta di un soggiorno di numerosi anni in Cina e in Asia, e che cos�tuisce un eccezione nel medioevo, le relazioni di viaggio si mol�plicano a par�re dalla fine del 15esimo secolo, epoca dei primi grandi movimen� di esplorazione da parte degli Europei. La relazione di viaggio è l’espressione di una sensibilità, di un rapporto con il campo e di un modello di scri�ura par�colari che occorre indagare in rapporto alle regole che li cos�tuiscono. Raccon� di viaggio e approcci all’alterità Una prima categoria dei raccon� di viaggio può essere considerata quella dei raccon� che si sviluppano dal 15esimo secolo alla fine del 16esimo. Fra gli scopritori di questo periodo, i marinai (Vasco de Gama, Cristoforo Colombo) furono i primi ad avventurarsi verso terre sconosciute, segui� rapidamente dai capi militari (Cortés), dai mercan�, dagli esploratori e dai diploma�ci. L’impulso decisivo al viaggio era cos�tuito dalla ricerca di nuove vie commerciali o di nuove terre da occupare. La mol�plicazione degli incontri umani e il confronto fisico con nuovi paesaggi, rovesciando l’ordine stabilito e le idee comuni, obbligarono i viaggiatori a riconsiderare le loro conoscenze e le loro modalità di approccio all’alterità. L’esperienza della diversità indurrà gli Europei ad interrogarsi sul valore da a�ribuire alle civiltà che incontravano e sulla misura su cui fondare tale giudizio. Ma l’equazione dei rappor� di forza, che era incontestabilmente a suo vantaggio, del tu�o ovviamente spingeva lo scopritore a stabilire la misura del confronto in base al metro dei suoi propri criteri. Bisognerà a�endere il 18esimo secolo per disfarsi di questa visione atemporale ed essenzialista dell’uomo eso�co costruita dall’epoca classica e dal Risorgimento. Alterità e categorie descri�ve L’antropologo e lo storico del pensiero antropologico hanno spesso provato a dividere il vero dal falso nelle descrizioni riportate da generazioni di viaggiatori. Questo approccio posi�vista che tende a cogliere in un documento il riflesso, più o meno fedele, di una realtà vera, individuabile in qualche modo al di fuori di colui che la riporta, è ingannevole a più riguardi. Anzitu�o non esiste un racconto di viaggio allo stato bruto. Il viaggiatore-scri�ore non è il padrone assoluto della propria osservazione e la sua relazione è fortemente sele�va, lacunosa, arbitraria, dunque in qualche modo menzognera. Ma proprio questa menzogna possiede una realtà che l’antropologia deve prendere in considerazione. L’antropologo deve considerare i raccon� e le descrizioni per se stessi, cioè in quanto tes�monianze che occorre collocare nel quadro storico e socio-culturale in cui sono state prodo�e. I raccon� di viaggio in quanto fa� storici, devono essere compresi a par�re al Locale al Globale Pag. 27 universali dell’umanità non possono essere comprese se non a�raverso l’osservazione delle diversità e delle par�colarità delle società. Due secoli più tardi questo passaggio dell’opera di Rousseau farà dire a Lévi-Strauss che Rousseau ha fondato l’antropologia. CAPITOLO VII. IDEE EVOLUZIONISTE E RAPPORTI DI DOMINIO NEL 19ESIMO SECOLO. LE CONDIZIONI PER L’EMERGERE DEL SAPERE ANTROPOLOGICO MODERNO Gli elemen� di un nuovo paradigma Alla fine del 18esimo secolo sembra dunque possibile far nascere un sapere antropologico ogge�vo. Diversi elemen� hanno contribuito a realizzare questa tappa: • La nascita, sulla scia del secolo dei Lumi, di un nuovo conce�o di uomo come ogge�o sociale, come l’a�ore di una storia, come fonte di valori, come produ�ore di ricchezze, infine come fru�o di un’educazione. L’uomo diviene il mezzo della propria conoscenza. • All’origine di questa nuova concezione dell’uomo, vi sono due even� fondamentali: la rivoluzione industriale nata in Inghilterra e la rivoluzione poli�ca francese. Due even� che consentono agli uomini di scoprire che possono essere gli agen� della trasformazione del mondo. Questa esperienza senza preceden� nell’Europa del 19esimo secolo, è tale da imporre l’idea che il des�no dell’uomo non è affa�o scri�o in an�cipo, ma si determina all’interno dei confli� del campo sociale. Da quel momento lo sguardo freddo ed esterno che da secoli si posava sugli ogge� del mondo fisico per individuarne le proprietà veniva considerato a�o ad essere rivolto anche agli uomini e ai fenomeni sociali. Questo individuo ogge�vo, definito principalmente come forza-lavoro e per il suo statuto giuridico, era quello più imposto all’esistenza umana dal funzionamento del sistema capitalis�co industriale. In una situazione in cui i par�colarismi locali andavano a sciogliersi dell’uniformità della società industriale e l’altro, sradicato dalla campagna e immerso in anonime ci�à, diventava ormai il medesimo, era normale che la ques�one della conservazione, della distruzione e dell’evoluzione della società si trasformasse in ricerca scien�fica. • Meno importante ma comunque decisiva fu la scoperta della parentela fra il sanscrito, l’an�ca lingua sacra dell’India, e il greco e il la�no. La ricostruzione in forma ipote�ca di una lingua indoeuropea originaria fu il punto di partenza per un’analisi sistema�ca delle evoluzioni successive rela�ve all’insieme delle lingue dello stesso ceppo. Queste ricerche introdussero con forza l’idea della storicità delle culture e delle società e al tempo stesso furono all’origine delle procedure scien�fiche di classificazione e di comparazione. • Infine la scoperta nel 1836 da parte di Boucher de Perthes, archeologo e studioso della preistoria, di asce di pietra risalen� al Pleistocene. Grazie a questa scoperta lo studioso portava la prova che l’uomo è il contemporaneo di mammiferi scomparsi da migliaia di anni. È questo il punto di partenza della concezione scien�fica dell’evoluzionismo, che cercherà ormai di collocare la specie umana fra le altre specie animali delle quali si cominciavano a scoprire i principi di evoluzione. Il 1859 è l’anno che segna il periodo in cui la riflessione dell’uomo, sulla sua società e sulla sua evoluzione diviene interamente ogge�o di scienza. Le idee evoluzioniste fra ideologia e scienza Non è facile decidere a proposito dell’esa�a paternità delle idee evoluzioniste, in quanto queste impregnano profondamente tu� gli ambien� do� della seconda metà del 19esimo secolo. E’ per questo che è più importante cercare di individuare le idee personali di autori come H. Spencer e C. Darwin, che hanno segnato la riflessione antropologica e sociologica di quest’epoca. H. Spencer pubblica nel 1876 i Principi di Sociologia, dove postulò che l’evoluzione sociale poteva essere assimilata all’evoluzione organica. Alla legge dell’eredità dei cara�eri acquisi� presa in pres�to al Locale al Globale Pag. 30 dalla biologia, Spencer aggiunge un’altra legge, quella di “un progresso con�nuo e inarrestabile” che farebbe passare le società da uno stadio primi�vo, cara�erizzato da una stru�ura omogenea e semplice, a stadi sempre più complessi marca� da una crescente eterogeneità. In tal modo Spencer è all’origine dell’evoluzionismo sociale. C. Darwin autore dell’Origine della specie (1859) cercò di so�ome�ere sistema�camente alla valutazione cri�ca dei fa� l’ipotesi della selezione (della trasformazione concomitante delle specie viven� e degli elemen� ambientali), ipotesi che egli aveva elaborato a par�re dalle osservazioni compiute durante il suo viaggio nei mari australi. La scoperta da parte di Darwin dei principi dell’evoluzione fu realizzata sulla base della ricerca di una causalità temporale, una causalità definibile e osservabile. Al contrario dell’idea di Spencer che teorizzava un intervento di una forza trascendente. Darwin si impegna a dimostrare sulla base di numerose comparazioni gene�che, l’unità fisica delle specie. Ricollocando l’uomo nella natura egli mostra che anche l’uomo è sogge�o, al pari degli altri organismi viven�, alle leggi della selezione naturale. È l’approccio metodologico di Darwin il principale apporto alle scienze dell’uomo nascen� ovvero: ricercare la causa di un fenomeno nel campo stesso in cui il fenomeno si manifesta. Le idee evoluzioniste: dalla razza alla cultura E’ importante precisare il passaggio dalla nozione di razza a quella di cultura. E’ stato Paul Broca a definire per primo l’ogge�o dell’antropologia so�o forma di un sapere sinte�co. Egli lo concepì come la descrizione e la determinazione delle razze, lo studio delle loro somiglianze e dissomiglianze, so�o l’aspe�o dello stato intelle�uale e sociale. Da tale premessa egli fondò la craniologia, di cui voleva fare una scienza esa�a, per misurare il volume dei crani e is�tuire una relazione fra la loro dimensione e le a�tudini intelle�uali e il grado di civiltà dei popoli e degli individui. La craniometria fiorirà per tu�o il corso del 19esimo secolo, portata avan� da mol� studiosi americani i quali intervennero in prima persona nelle poli�che di immigrazione a�uate dalle autorità federali statunitensi. Tali poli�che si tradussero in Immigra�on Acts che limitavano l’ingresso nel paese agli immigra� delle “razze inferiori”(in par�colare europei del Sud e ebrei dell’Europa orientale) privilegiando invece l’immigrazione della “razza nordica”. Da parte sua, la scuola di antropologia criminale italiana, fondata da Cesare Lombroso, fonda sulla craniologia la pretesa di individuare in an�cipo i criminali e gli anormali, così da prevenirne gli a� delinquenziali. Le varie tavole e misure craniometriche compara�ve illustravano l’idea di base secondo la quale le norme e il comportamento dei gruppi umani le e differenze economiche e sociali che li cara�erizzavano derivavano da dis�nzioni fisiche innate. Simili correlazioni ispireranno le teorie razziste del 19esimo secolo, con la nozione di razza u�lizzata come conce�o-chiave e posta alla base di una naturalizzazione delle produzioni sociali e culturali. L’autore Letourneau tenterà perfino di imporre una teoria fondata su una concezione determinista della “razza” nella quale l’evoluzione di qu esto o quel fenomeno (es matrimonio, famiglia, guerra ecc) è legata all’evoluzione fisica dei gruppi. La cri�ca alla nozione di “razza” verrà dalla scuola sociologica durkheimiana con la rivista l’Annèe sociologique” (tra cui troviamo oltre a Dukheim, Bouglè, Hubert, Mauss). E’ in questo contesto che Durkheim e Mauss ricorreranno al termine “civiltà” per indicare lo studio sociologico delle produzioni umane. Secondo Mauss non esistono popoli non civilizza� ma esistono popoli di diversa civiltà. In maniera analoga, Tylor, nel 1871, elabora in Gran Bretagna il conce�o di “cultura” per indicare l’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diri�o, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società. La cultura, a questo punto, ormai ingloba le produzioni umane nella loro interezza e viene estesa a tu�a l’umanità dato che l’antropologia riconosce la cultura come un dato universale anche se, ovviamente, le sue manifestazioni (della cultura) differiscano da un gruppo umano all’altro (la cultura è presente dappertu�o). L’evoluzionismo come contenuto e l’evoluzionismo come metodo: l’esempio di Lewis Morgan Lewis Morgan è il primo vero antropologo che ha messo in pra�ca i principi dell’evoluzione nello studio delle società considerate come produzioni sociali e culturali. E’ il primo ricercatore che passò un gran numero di anni a raccogliere i da� dire�amente sul campo e a valutare le sue ipotesi mediante frequen� ritorni presso i suoi ospi�, gli Indiani dell’America del Nord. Sulla base di ques� documen� di prima mano, anziché di quei documen� raccol� da altri autori, Morgan si propose di ricostruire la storia dell’evoluzione dell’umanità. Per organizzare ques� da� sparsi e per dar loro una coerenza logica, Morgan dis�ngue ciò che chiama le “ar� di sussistenza” dal campo delle “is�tuzioni sociali”, essendo il suo scopo finale quello di me�ere sistema�camente in rapporto ques� due livelli, al fine di individuarne le diverse ar�colazioni nella storia dell’umanità e di al Locale al Globale Pag. 31 astrarne un principio di evoluzione. Egli stabilisce una sequenza di 3 stadi o periodi per descrivere l’evoluzione dell’umanità: la selva�chezza, la barbarie e la civiltà. Lo schema evolu�vo di Morgan può in effe� essere considerato come un quadro teorico la cui funzione principale è quella di organizzare secondo una certa coerenza il caos dei da� sparsi accumulatasi fino ad allora e di perme�ere di pensare in una maniera logica la storia dell’umanità. La portata di tale schema sarà dunque anzitu�o logica e niente affa�o storica in senso tradizionale e ancor meno cronologica. Questo approccio metodologico, la classificazione come logica di comprensione dei fenomeni sociali, Morgan lo me�e in opera nell’analisi sistema�ca da lui intrapresa dei fenomeni di parentela, di matrimonio e di famiglia, che sboccherà nell’opera Systems of Consaguinity and Affinity of the Human Family. Egli comprende che le relazioni di parentela e di matrimonio formano un sistema coerente al quale va a corrispondere un sistema terminologico, cara�erizzato come il primo da regolarità e da rappor� interni di interdipendenza, susce�bili di essere logicamente individua� dal ricercatore. Così con Morgan e gli evoluzionis� della seconda metà del 19esimo secolo, l’adozione di una prospe�va storica ha consen�to un mutamento profondo dello sguardo rivolto all’uomo. Sapere e potere: le condizioni poli�che e ideologiche della conoscenza antropologica Il cambiamento di paradigma a�orno all’idea di evoluzione è stato possibile anche grazie ad un altro evento socio-poli�co fondamentale: l’imperialismo europeo. Nel 19esimo secolo la dominazione concertata e organizzata sostenuta da ideologie poten�, si generalizzava sempre più e diventava il motore dell’espansionismo europeo su scala mondiale. Così l’antropologo logicamente seguiva le orme del militare e del missionario nei territori da colonizzare. Le grandi spedizioni di ricerca scien�fica, condo�e grazie a sovvenzioni governa�ve, avevano come finalità quella di rispondere a bisogni d’ordine strategico (registrare e cartografare e dare dei nomi ai territori e alle popolazioni che vi si risiedevano), d’ordine economico (valutare le risorse naturali e umane), d’ordine poli�co (controllare le popolazioni, rafforzare il dominio), d’ordine culturale (valutare le culture locali). Tu�e queste preoccupazioni dovevano tradursi in una conoscenza ogge�va, in risulta� tangibili, e dunque necessitavano da parte degli antropologi di una riflessione più centrata sull’inchiesta sul campo, sulla valutazione e l’analisi di situazioni empiriche. Che una delle condizioni per il cos�tuirsi dell’antropologia come disciplina con inten� ogge�vi sia stato l’emergere e l’affermarsi su larga scala del colonialismo poli�co ed economico po’ apparire un paradosso. Questo paradossale legame tra colonialismo e la costruzione di un sapere ogge�vo viene spiegato da M. Foucault. Secondo tale autore, il potere - sapere, produzione di potere e produzione di sapere cos�tuiscono le due facce del medesimo processo. Il sapere partecipa del potere, non nel senso che ne sarebbe semplicemente il riflesso ma, molto più profondamente, nel senso che ne è al centro: sono le relazioni sociali, economiche, ideologiche, in un momento dato della storia della società, che cos�tuiscono il sapere e determinano le forme e i campi possibili della conoscenza. Il potere si esercita come tecnica del potere (esso organizza spazi is�tuzionali so�omessi a regole e norme) e al tempo stesso come produzione del sapere (esso sviluppa il bisogno e i mezzi per conoscere gli spazi che contribuisce a me�ere in campo). Le scienze dell’uomo sono nate, alla fine del 19esimo secolo, da questa configurazione di rappor� fra potere e sapere. L’economia poli�ca per esempio ha cominciato a tra�are la razionalità economica a par�re dal momento in cui il sistema capitalis�co, il mercato libero e concorrenziale si sono sviluppa� e consolida�. La psichiatria si è sviluppata sulla base delle diagnos�che delle nevrosi e degli squilibri psichici che hanno accompagnato gli sconvolgimen� sociali della società industriale. La psicologia sullo s�molo delle nuove esigenze dell’istruzione, della nuova ripar�zione dei ruoli e degli status e delle nuove normalità, si è dedicata a misurare le a�tudini degli individui a comprendere, ad esprimere e ad operare, definendo anche le soglie d’intelligenza e quozien� intelle�uali. La geografia si è fa�a dire�amente ausiliaria del colonialismo e della guerra, cartografando i nuovi territori e compilando elenchi delle risorse disponibili e sfru�abili. La sociologia si è sforzata di studiare le nuove grandi funzioni sociali e i nuovi processi di integrazione messi in a�o dalla società industriale moderna. L’antropologia: scienza pra�ca dell’alterità esterna e dell’alterità interna Quanto all’antropologia, scienza delle “società primi�ve” o “tradizionali”, in essa si può leggere la stessa storia dei rappor� di dominio fra centro e periferia e delle loro trasformazioni successive e ciò tanto nelle società colonizzate quanto nelle società europee del 19esimo secolo. Ad esempio l’interesse per l’etnologia delle popolazioni rurali europee fu, nella maggior parte dei casi, ispirato al Locale al Globale Pag. 32 l’antropologo, quella del “io c’ero” e del “io ne posso parlare”. Nel paradigma ormai inaugurato l’argomento dell’auto-referenzialità (“io c’ero”) diventa uno dei pilastri dell’autorità della nuova antropologia. Il secondo principio metodologico di Malinowski è l’analisi funzionale, la quale postula che la spiegazione dei fa� antropologici a�ene non solo al contributo di ciascuno degli elemen� al tu�o culturale, ma anche al modo in cui ques� si dispongono gli uni in rapporto agli altri nel sistema, in altri termini alle diverse funzioni che essi assolvono in questo sistema. Abbiamo già visto come Malinowski conduca l’analisi del sistema cerimoniale del kula tenendo conto delle sue relazioni con le altre a�vità del gruppo e rivolgendo l’a�enzione sulle implicazioni di questo sistema nell’insieme della vita sociale, cioè sulle numerose funzioni che esso assolve nella società indigena. Il metodo di Malinowski porta così a me�ere in evidenza i fenomeni + impo della vita sociale, quei fenomeni che più tardi Mauss chiamerà “fa� sociali totali”. Malinowski precursore dell’antropologia economica Sul piano teorico, il contributo di Malinowski è più controverso, conviene fare una dis�nzione tra il Malinowski ricercatore, che produce monografie illuminan� sul funzionamento della società primi�ve, e il Malinowski che, in parecchi saggi, si occupa esplicitamente di teoria. E’ nel primo �po di produzione che incontriamo i contribu� teorici più interessan�, come quello del principio di reciprocità in quanto regola d’oro di ogni vita sociale. Tale principio di reciprocità, Malinowski lo scopre a tu� i livelli della realtà sociale: l’economia, la parentela, la magia, la legge. Ma è sopra�u�o nel campo dell’ “economia primi�va” che egli illustra e approfondisce l’analisi di questo principio. Innanzitu�o Malinowski rifiuta tu� i pregiudizi allora corren� sulla società “primi�va” . Malinowski rileva, al contrario, la complessità di questa economia in cui constata l’esistenza di stru�ure elaborate per organizzare la produzione, lo scambio e il consumo dei beni, al pari delle economie delle società storiche e moderne. In secondo luogo, egli so�olinea l’importanza, nel campo dei rappor� economici, del principio di reciprocità. Per Malinowski, che si tra� di beni o di donne, si dona per ricevere. La mo�vazione puramente economica è assente presso i popoli “selvaggi”, al contrario di ciò che accade nelle società industriali dove gioca un ruolo determinante. Nelle società “primi�ve” la mo�vazione economica non si dis�ngue da mo�vazioni di ordine sociale come il pres�gio, la dis�nzione, l’alleanza o il potere. L’economia non cos�tuisce una sfera indipendente dagli altri aspe� della vita sociale, culturale, religiosa e tecnica. In tal modo Malinowski è l’iniziatore dell’antropologia economica. L’iperfunzionalismo di Malinowski: circolarità, teleologismo e strumentalismo Malinowski afferma l’unità della forma e della funzione. Secondo lui, la produzione di un ogge�o così come la sua forma sono sempre determina� dal suo impiego, cioè dalla soddisfazione di un bisogno biologico primario o di un bisogno culturale derivato. In tal modo, egli fa apparire la funzione come una nozione intermedia fra il biologico e il sociale. Secondo lui la cultura risponde a un “ada�amento necessario” dell’uomo alle condizioni che gli vengono imposte sia dalla propria natura che dal suo ambiente. Questo ada�amento si realizza mediante la soddisfazione di una duplice categoria di bisogni: biologici o elementari da una parte (per esempio cibarsi) e sociologici o secondari dall’altra (autorità, integrazione, ecc.). Per completare il suo ragionamento Malinowski assegna alle diverse is�tuzioni sociali la rigida funzione o ruolo di soddisfare ques� bisogni fondamentali. La cultura appare così come un assemblaggio di is�tuzioni il cui funzionamento corrisponde sempre alla soddisfazione di un bisogno. Questo ragionamento non manca di circolarità. Ma questo approccio stre�amente funzionale non spiega niente, se non il fa�o che la soddisfazione dei bisogni fondamentali è effe�vamente una necessità universale per ogni forma di vita, e non soltanto della vita sociale. Ques� bisogni fondamentali, che sono probabilmente ovunque gli stessi, di conseguenza non possono mai spiegare le differenze che si riscontrano fra le is�tuzioni socio-culturali delle diverse società. Il discorso di Malinowski è oltre tu�o interamente teleologico perché a�ribuisce ad ogni is�tuzione e in più generale alla cultura una “intenzionalità sociologica”. Le is�tuzioni si penserebbero fra loro in termini di finalità, di equilibrio ed armonia. La visione delle società come una stru�ura armoniosa in cui ciascun elemento adempie ad una funzione precisa e in cui, di conseguenza, sono fondamentali le nozioni di equilibrio e ada�amento è all’origine dell’incapacità da parte del funzionalismo di prendere in considerazione il cambiamento sociale al livello delle società de�e primi�ve, e dell’idea che queste società siano una società senza storia. I funzionalis� non credono alla capacità di cambiamento proveniente dall’interno di queste società. Il cambiamento non può provenire se non dall’esterno. La monografia “di campo” come “normale” scienza antropologica: descrizione e “retorica dello sguardo” al Locale al Globale Pag. 35 Comunque sia e malgrado ques� aspe� cri�cabili della corrente funzionalista, il contributo di Malinowski fu determinante per il pensiero antropologico, tanto da dominare per parecchi decenni la produzione scien�fica. Lavorare alla presenza dell’ogge�o di studio diventa non solo preliminare ad ogni a�vità scien�fica, ma trasforma lo stesso ogge�o di studio in un presente etnografico privato di ogni consistenza storica e di ogni determinazione esterna, in un dato pronto per essere analizzato da un osservatore esterno, neutro e ben preparato. Questo darà luogo all’elaborazione di un nuovo genere le�erario, il genere monografico, il cui scopo è l’analisi intensiva e sinte�ca della vita comune, registrata dall’antropologo nella lingua indigena e durante un soggiorno molto lungo in una società inta�a. L’ordine sequenziale standard che cara�erizza il modello canonico del testo monografico traduce le unità in cui le culture sono state preliminarmente scomposte, e cioè nell’ordine: • L’ambiente fisico, Dall’ogge�vo al sogge�vo Dalle condizioni materiali all’espressione del senso della cultura • Il sistema di sussistenza, • La parentela, • Il sistema poli�co, • La religione, • Le forme simboliche. Le monografie standard che si sono mol�plicate dopo di lui si accontentano il più delle volte di un semplice riferimento alla presenza dell’antropologo sul campo. Il riferimento al campo, sempre più relegato nelle note a fondo pagina, è ormai sufficiente a garan�re la verosimiglianza della descrizione etnografica. La monografia standard perviene paradossalmente ad occultare pressoché totalmente i processi a�raverso i quali si arriva al risultato finale, ovvero le procedure di lavoro e l’indagine personale sul campo di cui essa ha fa�o la condizione stessa della propria esistenza. Le monografie diventano costellazioni autonome quante sono le società che descrivono. Inoltre la standardizzazione delle indagini ogge�ve sulle culture nella prospe�va funzionalista è all’origine della produzione di monografie ripe��ve che cancellano le differenze tra le società a favore delle somiglianze. CAPITOLO X. LEVI-STRAUSS E L’ANTROPOLOGIA STRUTTURALE La cri�ca all’indu�vismo e all’empirismo dell’antropologia britannica Lévi-Strauss fu il più severo dei cri�ci di Malinowski. Secondo lui l’unità funzionale della società postulata dall’antropologia britannica non è assolutamente verificabile. Cri�ca inoltre l’eccessivo empirismo di Malinowski. Concepire, come fa la scuola anglosassone, l’etnologia so�o la forma di una descrizione esaus�va di diversità chiuse in se stesse rende impossibile ogni compara�vismo. Egli procede anche con una cri�ca a Radcliffe-Brown, l’altro celebre antropologo britannico, e in par�colare alla cri�ca dell’uso che egli fa della nozione di stru�ura. Radcliffe-Brown, come Malinowski, si preoccupò di individuare la coerenza interna della società par�colare che è ogge�o dello sguardo dell’antropologo. Ma al contrario di Malinowski si impegnò in una più ampia riflessione su �pi generali di organizzazione familiare, sociale o poli�ca, e perfino su quella della formulazione di leggi sociologiche generali. Lévi-Strauss mostra bene come la nozione di stru�ura sociale usata da Radcliffe-Brown res� d’ispirazione biologis�ca, come l’antropologo britannico riduca gli studi sulla parentela alla morfologia ed alla fisiologia descri�ve; cri�ca dunque la concezione empiris�ca di Radcliffe-Brown che riduce la stru�ura sociale all’insieme delle relazioni sociali esisten� in una data società. Secondo Lévi-Strauss il principio fondamentale è che la nozione di stru�ura sociale non si riferisce alla realtà empirica ma ai modelli costrui� in base ad essa. La definizione di una stru�ura si da nel quadro di una teoria. Così Lévi-Strauss si colloca (al di là del pragma�smo e empirismo degli antropologi britannici) al livello della costruzione dei modelli della realtà e della logica delle stru�ure. Natura e cultura, forma e contenuto: la le�ura di Rousseau da parte di Levi-Strauss Per Lévi-Strauss, nell’uomo, la natura e la cultura si ar�colano simultaneamente in modo tale che l’opposizione fra le due istanze appare essa stessa una “creazione della cultura”. Lo spostamento della problema�ca natura-cultura operato da Lévi-Strauss è essenzialmente di ordine metodologico. Non si tra�a più di spiegare, come prima, le is�tuzioni umane a par�re dalla loro storia ipote�ca, dalla loro presunta origine o dalla loro sostanza, ma a par�re dal valore logico nel sistema sociale e culturale che esse formano. Abbandonando l’an�nomia abituale fra natura e cultura, Lévi-Strauss rinnova profondamente la ques�one. Per lui la cultura si afferma d’un tra�o con l’emergere della regola, della stru�ura, nei fa� della natura. L’uomo si afferma immediatamente nella cultura. al Locale al Globale Pag. 36 Esempio. Sessualità (NATURA) → regole e stru�ure → Matrimonio (CULTURA) Lévi-Strauss trova ispirazione da Rousseau che pone esplicitamente il problema dei rappor� fra natura e cultura e definisce l’uomo per “la sua qualità di agente libero” e non per una qualsivoglia necessità biologica che l’avrebbe progressivamente condo�o dalla natura alla cultura. Lo sguardo da lontano: Rousseau e il metodo dell’antropologia Lévi-Strauss è debitore verso Rousseau anche per ciò che riguarda una ques�one fondamentale all’origine del procedimento antropologico: come riconciliare me stesso e l’altro, la mia società e le altre società, come realizzare l’universale a par�re dal singolare? Secondo Lévi-Strauss le culture umane traggono significato dalla messa in prospe�va delle diversità tra società. Si tra�a di prendere le distanze rispe�o ai sistemi par�colari. Dopo averli analizza� minuziosamente, occorre contemplarli con uno sguardo da lontano per individuarne le proprietà. Questo sguardo da lontano è lo stesso che Rousseau formula nell’Essai sur l’origine des langues allorchè invita il do�o a “spingere la vista lontano”, “ad osservare le differenze per scoprire le proprietà”. Per Lévi-Strauss è il rispe�o di questa regola che consente di passare dall’etnografia - come descrizione di una società concreta, prodo�o di una storia par�colare - all’antropologia, come tenta�vo di spiegazione di questa diversità ad un livello più generale, più fondamentale, quello di una determinazione universale. Logica universale e spirito umano: l’ispirazione kan�ana Per l’antropologo francese (Levi-S) le is�tuzioni umane non sono – come in Durkheim o in Radcliffe-Brown - il riflesso di una meccanica o di una fisica del sociale, ma l’espressione delle costrizioni dello spirito umano. Si tra�a di scoprire, per Levi-Strauss, una rete di costrizioni par�colari che rinviano ad un fondo comune all’umanità. Si avvicina quindi al procedimento di Kant. È anche vero però che Lévi-Strauss non formula l’ipotesi di un sogge�o trascendentale, ma parte dai sistemi concre� di rappresentazione per scoprire le stru�ure intelle�uali che a�estano la realtà di uno spirito umano invariabile. È a par�re dalla comparazione di alcune is�tuzioni (di parentela, mi�, sistemi culinari ecc) che Lévi-Strauss pretende di ricostruire la stru�ura logica che regola queste diverse forme socio-culturali. In breve, facendo opera di compara�vismo, egli tende ad abbracciare il campo totale del pensiero umano. Il rapporto con Mauss: il fa�o sociale totale e la spiegazione stru�urale dello scambio Lévi-Strauss si colloca all’interno della tradizione sociologica francese inaugurata da Durkheim e Mauss. Quest’ul�mo sopra�u�o va subito ai fa� concre�, li esamina nella loro totalità e nel minimo de�aglio per poi interpretarli nel quadro di un’ipotesi teorica. Egli mostra come la teoria, in quanto sistema di classificazione e di definizione, consenta un’adeguata trasformazione dei fa� bru� in fa� sociologici. Ne è un’illustrazione l’analisi che Mauss fa del Potlach degli Indiani e del Kula dei Melanesiani collocando tali fenomeni nel quadro di una problema�ca teorica precisa: quella dello scambio. Nella sua le�ura dell’opera di Mauss, Lévi-Strauss so�olinea ciò che deve a questo grande pensatore: insiste, da una parte, sulla teoria come indispensabile ipotesi di lavoro che prolunga e nel contempo dà significato alla descrizione e, dall’altra, sulla nozione di “Fa�o Sociale Totale”, definizione che Mauss dà del “tu�o”, che si avvicina alla nozione di “stru�ura” che va sviluppano Lévi-Strauss. Ma prima egli si sofferma sulla nozione di fa�o sociale totale per individuarne le seguen� cara�eris�che: • Il sociale non è reale se non integrato in un sistema; • La sua costruzione presuppone un’esperienza individuale; • Esso implica un sistema d’interpretazione che renda conto simultaneamente degli aspe� fisici, fisiologici, psichici e sociologici di tu� i comportamen�. Per Lévi-Strauss quindi lo scambio non è la somma delle sue componen� ma è una sintesi immediatamente data, fru�o della logica delle relazioni; individua poi che il fenomeno della reciprocità e dello scambio è l’is�tuzione fondamentale di ogni società, il cui significato è all’origine stessa del legame speciale. Lo stru�uralismo in generale: sogge�o e storia, senso e forma Lo stru�uralismo è in primo luogo un’a�vità intelle�uale che separa il sogge�o dalla scienza. Esso elimina ogni finalità sogge�va e metafisica come Dio, la storia, la morale, l’uomo, per tentare di accedere alle sole forme. In secondo luogo la cri�ca del sogge�o avanzata dallo stru�uralismo implica una cri�ca del senso. Il al Locale al Globale Pag. 37 l’estensione su scala planetaria di un certo numero di stru�ure, comportamen� e di mentalità. A par�re dal 1960 la disciplina (antropologia stru�urale) venne rinnovata e in essa vennero integra� tali aspe� nel proprio campo empirico e intelle�uale. PARTE QUARTA ATTUALITA’ DELL'ANTROPOLOGIA. DALL'ANTROPOLOGIA RISTRETTA ALL'ANTROPOLOGIA GENERALIZZATA CAPITOLO I - IL LOCALE ED IL GLOBALE: UNA NUOVA ARTICOLAZIONE DEL PROGETTO ANTROPOLOGICO La crisi dell'antropologia negli anni 60 non dipendeva soltanto dai limi� interni alla disciplina, ma era determinata anche dalle generali condizioni economiche, poli�che e sociali. Gli sconvolgimen� geopoli�ci che hanno accompagnato il movimento di decolonizzazione, la forte crescita economica dei paesi occidentali, l’avvio dell’industrializzazione nel Terzo Mondo, infine le varie crisi ideologiche e culturali hanno imposto all'antropologia una sorta di aggiornamento teorico. Di fronte a queste molteplici situazioni, gli ogge� tradizionali dell’antropologia, ovvero le società di piccole dimensioni tendono ad essere storicizza�. Il modello della società industriale moderna sembra infine unificare il des�no dell’umanità nel suo insieme. Una nuova dialettica tra l’unità e la diversità In primo luogo, a par�re dagli ani 50 dello scorso secolo, assis�amo a un formidabile processo di uniformazione su scala planetaria in tu� i campi (economico, poli�co, culturale, sociale). Questo movimento è cara�erizzato dall’egemonia, che si afferma sempre di più, di cer� comportamen� e valori propri della società industriale moderna => modello uniforme di sviluppo, che ha come par�colarità quella di fondarsi su pra�che economiche e culturali unifican�. Parallelamente a questo movimento, apparentemente irreversibile, di unificazione delle pra�che, appare un altro fenomeno, di segno contrario, quello dell’impennata delle rivendicazioni delle diversità: • assume la forma di un’affermazione di principio (Unesco: salvare i patrimoni dell’umanità nianella loro diversità); • la diversità viene vissuta dire�amente nell’a�o del consumo: il rapporto con la diversità consiste nel consumare o appropriarsi di segni capaci di dis�nguere il consumatore dal suo immediato vicino, o più semplicemente di soddisfare il suo edonismo. Uno degli effe� perversi di questo �po di consumo fa sì che spesso la diversità ricercata prenda il posto della diversità vissuta. E’ il caso per esempio della diversità etnica che, assunta come ogge�o di consumo, si trova talvolta rido�a alle immagini di produzioni ar�s�che e culturali che dipendono dire�amente dal gusto e dalla domanda esterna (turismo di massa: arriva perfino a produrre nuove forme etniche: accento sulla restaurazione, sulla preservazione e sulla ri-creazione fi�zia delle cara�eris�che etniche); • la ricerca della diversità è ugualmente osservabile al livello dell’azione di cer� gruppi etnici: l’esigenza della differenza è un problema di iden�tà: rinvia a pra�che e valori che generalmente sono, o si pretende che siano, in ro�ura con i modelli dominan�. Le critiche all’antropologia e i loro limiti In un primo luogo, gli antropologi hanno reagito con una presa di coscienza della rapida scomparsa dell’alterità e della stessa ragion d’essere dell’antropologia. Tale choc ha dato luogo a una vigorosa autocri�ca all’interno della disciplina. In effe�, fino ad allora gli antropologi, che fossero “da campo” o “da scrivania”, non si erano sufficientemente rivol� ai problemi del colonialismo e della dominazione, interessa� com’erano principalmente alla descrizione e interpretazione delle società tradizionali nella loro purezza, facendo astrazione del loro più o meno accentuato inserimento al Locale al Globale Pag. 40 negli insiemi coloniali o para-coloniali più vas�. La rimessa in discussione dell’antropologia, all’indomani dell’indipendenza dei paesi del Terzo Mondo, ha assunto la forma di una cri�ca sistema�ca della disciplina anche per il fa�o d’aver mal analizzato o ignorato i problemi della dominazione e del cambiamento sociale. Furono messi in discussione mol� conce� e formulazioni dell’antropologia. Inoltre si affrontò su basi nuove il problema della definizione dell’ogge�o e del rapporto dell’antropologo con il campo d’indagine. Ci si cominciò a interessare più in par�colare ai rappor� fra l’osservatore e l’osservato, al significato di intrusione di uno straniero in una cultura, alla maniera in cui si conce�ualizza un gruppo o un’etnia. Una nuova problematica per l'antropologia: il locale e il globale Data la mondializzazione dei rappor� di produzione di �po industriale, è vano voler con�nuare a restringere l’ogge�o dell'antropologia alle sole società tradizionali. Collocandosi nell’ar�colazione del locale col globale, il procedimento dell'antropologia consisterà nel trovare unità sociali per�nen� che possano funzionare come indicatori della società globale o della stru�ura dominante. In tal modo, gli ogge� non sono più da� a priori, ma devono essere ogni volta costrui� in funzione del campo e delle problema�che scel�. Ciò che importa ormai è il punto di vista antropologico, la messa a fuoco di un fenomeno sociale che illumini al tempo stesso il contesto globale in cui è inserito. Tale nuovo orientamento dell’ogge�o e del procedimento dell’antropologia ha cos�tuito il punto di partenza e il filo condu�ore di tale libro. CAPITOLO II - STORICITÀ DEGLI OGGETTI TRADIZIONALI DELL'ANTROPOLOGIA L’allargamento dell’ogge�o dell'antropologia presuppone anche una sua storicizzazione: reintrodurre la dimensione storica. Le forze storiche di integrazione e di unificazione delle società tradizionali periferiche I processi di uniformazione hanno un’origine storica: la società industriale del 19esimo secolo. Il suo perno è cos�tuito da due figure centrali: lo Stato-nazione e il mercato: • lo Stato-nazione storicamente si è cos�tuito in Europa intorno all’idea di uno spazio geografico e simbolico unificato che garan�sce una serie di valori e pra�che comuni: uniformità delle leggi, un solo codice linguis�co, corpo poli�co centralizzato e rappresenta�vo, omogeneità etnica, culturale o religiosa. Le costruzioni nazionali sono generalmente accompagnate da una progressiva riduzione dei par�colarismi poli�ci, di quelli culturali e di quelli linguis�ci. • il mercato per funzionare adeguatamente necessita di un certo numero di is�tuzioni sociali e giuridiche: spazio territoriale uniforme, uniformità di leggi e regole, l’accesso per tu�, l’universalità della transazione monetaria. Il mercato è per sua natura unificatore: impone i suoi valori e le sue pra�che, cancella o marginalizza le stru�ure economiche, sociali e culturali che gli si so�raggono - es. le pra�che della reciprocità, del dono o della mutua assistenza. La convergenza dello Stato-nazione con il mercato si realizza storicamente a par�re da un certo numero di pun� comuni: stessa nozione di territorialità, stessi valori, stessa ideologia (da parte dello Stato, badare al benessere dei ci�adini; da parte del mercato, offrire i mezzi per questo progresso e questo benessere). Interventi esterni e storicità della montagna Alpi vallesi. Lo stato interviene con interven� per l’integrazione poli�ca: • introduzione della fiscalità so�o la forma di imposte individuali; • creazione di fondazioni per venire in aiuto dei poveri, degli orfani e dei vecchi (in modo tale che le pra�che comunitarie di aiuto reciproco e di sostegno vengono a scomparire); al Locale al Globale Pag. 41 • la condanna del chiarivari, che cos�tuiva una sorta di disordine rituale (disapprovazione del villaggio) e la sua sos�tuzione col versamento di una somma in denaro da parte delle persone interessate (la moneta finisce sempre più per mediare le relazioni tra gli individui); • sos�tuzione dei banche� funebri (considera� occasione di bagordi e di spreco) col principio della colle�a per i poveri (spezza le re� della socialità); • soppressione di numerose feste da parte della chiesa ca�olica. In sintesi, le finalità dell’intervento dello Stato sulle colle�vità di montagna nel corso del 19esimo secolo sono consis�te nell’associare e accelerare un processo di individualizzazione che andava di pari passo con la diminuzione dell’intensità delle pra�che comunitarie; nel mone�zzare sempre più i rappor� sociali; infine, nel promuovere i valori del produ�vismo, dell’accumulazione e del profi�o. Inoltre, le regioni di montagna vengono sconvolte radicalmente dallo sviluppo di una poderosa industria turis�ca: si impiantano stru�ure di �po urbano, i modi di vita si uniformano, il passato viene svalorizzato oppure preservato so�o forma di is�tuzione folklorica. Forze di integrazione e cambiamento sociale nelle società tradizionali "esotiche" Medesime tecniche di intervento. La fiscalità fu una delle prime misure ado�ate: l’introduzione dell’imposta pro-capite assolveva diverse funzioni: • controllare poli�camente i paesi censendo la popolazione individuo per individuo; • fornire manodopera alle imprese minerarie (lavoro salariato); • creare un mercato a livello locale. CAPITOLO III - CAMBIAMENTO SOCIALE E LOGICHE SOCIALI DIVERSE Il problema del cambiamento va collocato al livello del confronto tra le stru�ure e i metodi dominan� e le forme locali. Analizza� in questo quadro, i fenomeni di cambiamento e di resistenza non appaiono più come un semplice rifiuto da parte di un gruppo o di una parte della società di fronte all’intrusione di forze uniforman�, ma come forme di espressione sociale in costante elaborazione, le quali, pur integrando l’innovazione, cercano di preservare, di trasformare o di ricreare la socialità e le pra�che locali. Antropologia del cambiamento: studiare contemporaneamente i processi di uniformazione e di cambiamento sociale; analisi diale�ca di queste due dimensioni. Rapporti di lavoro salariato e permanenza delle relazioni sociali Introduzione del lavoro salariato: mezzo privilegiato per l’espansione coloniale e per l’integrazione delle zone marginali nel sistema capitalis�co nazionale e internazionale. Uso della moneta e logica tradizionale dello scambio: l’esempio del sistema cerimoniale moka Presso i Melpa di Mount Hagen, che possiedono un sistema cerimoniale elaborato, de�o moka, l’introduzione della moneta negli scambi cerimoniali consente di realizzare degli aggiustamen� interni a� a garan�re, in queste società, una con�nuità sociale e culturale. I big-men decisero di introdurre il denaro nel sistema moka: u�lizzato sia per lo scambio come valore non conver�bile, sia per acquistare beni che poi vengono immessi nel circuito degli scambi tradizionali. Il danaro ormai rappresenta, agli occhi dei Melpa, tanto la riuscita dell’economia di mercato, da cui dipende il sistema cerimoniale, quanto il mezzo per mantenere dinamica la sfera cerimoniale tradizionale. Condizioni economiche moderne e amplificazione del sistema cerimoniale tradizionale: l’esempio del potlach al Locale al Globale Pag. 42 un significato sopra�u�o per l’Occidente, al quale appartengono quel calendario e quella percezione lineare e cumula�va del tempo. Se il tempo cos�tuisce una categoria universale in tu�e le culture, essa non riveste lo stesso significato passando da un contesto all’altro. Nel 19esimo secolo l’Occidente ha sos�tuito il tempo biblico e cris�ano con un tempo geologico e evoluzionis�co, da cui ha estrapolato categorie globali (es economiche, religiose, sociali ecc) considerate come universali nel tempo e nello spazio. Ha trasformato lo spazio simultaneo delle culture nel tempo lineare di una storia universale del quale esso si reputa all’avanguardia. Il tempo globale europeo ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo dell’antropologia. I suoi campi di studio sono il risultato della divisione temporale effe�uata dal potere coloniale. Il proge�o antropologico è nato da una duplice trasformazione: la storia diviene evoluzione e l’alterità differenza storica, così l’Altro finisce per rappresentare la memoria concreta del nostro passato. Dapprima evoluzionista, la disciplina ha studiato le differenze in termini di mancanza o di ritardo, presumendo che le differenze umane fossero delle differenze di sviluppo e che gli Altri fossero ciò che noi eravamo. Lungo l’intero arco del periodo moderno, la storia europea ha con�nuato a rappresentarsi e a operare come mediazione universale di tu�e le altre storie (cinese, indiana, araba ecc F 0E 0 sopravvento della storia occidentale sulle altre storie considerate marginali), al punto che oggi non si riuscirebbe più a concepire un “al di fuori” di questa storia. Provincializzare l’Europa? Studi subalterni e discorso postcoloniale Ma questo compimento implica l’assenza di differenze nella nuova en�tà globale? Secondo alcuni basterebbe operare un movimento di decentramento per rompere con l’idea dell’anacronismo delle altre tradizioni e della loro subordinazione alla storia d’Europa. Basterebbe “provincializzare l’Europa” per arrivare a considerare le “storie subalterne” secondo il loro proprio valore, senza trasformarle in storie di transizione, per giungere insomma a pensare le diverse realtà storiche senza farle passare a�raverso la mediazione universale dell’Europa. Si parla di discorso postcoloniale nelle scienze sociali, nato nei paesi anglosassoni negli anni 80 e 90 del secolo scorso: il termine post non indica “dopo” ma “al di là” ovvero al di là delle grandi narrazioni della modernità (progresso, universalismo occidentale, razionalismo ecc) e delle grandi teorie delle scienze sociali che le hanno accompagnate (marxismo, stru�uralismo ecc), al di là delle categorie essenzialiste e rigide (origine, ritardo, so�osviluppo, tradizione ecc). I teorici postcoloniali vogliono rifle�ere non sulle conseguenze della colonizzazione ma sull’avvento possibile di un “al di là” liberatore, che escluda le logiche binarie. Essi si interessano quindi agli spazi “intermedi” e agli “inters�zi”. L’al di là è inteso come riconoscimento dell’alterità non accanto o al di fuori ma in ciascuna delle en�tà. In effe�, gli studi postcoloniali non sembrano sufficientemente coscien� della necessità di esaminare l’ordine simbolico che ingloba le differenze, il sistema di riferimento universale che organizza la loro percezione e la loro gerarchizzazione. Fra Occidente e Oriente, fra metropoli e periferia, fra Nord e Sud, non si instaura una semplice opposizione, bensì una relazione gerarchica costruita tramite l’etnocentrismo. Con la globalizzazione non approdiamo dunque a uno spazio di equivalenze. Diventa allora difficile parlare di “cultura globale” o “transnazionale” ovvero di uno spazio comune e condiviso (nella globalizzazione ci sono relazioni gerarchiche tra gli spazi x l’etnocentrismo). Universalismo e rela�vismo, un diba�to necessario L’idea di universalismo, così come si è affermata in Occidente nel 18esimo secolo (secolo dei Lumi) – e sulla quale si è fondato il discorso antropologico - non esclude la possibilità di gerarchizzare le is�tuzioni, culture, opere ecc. Il modello universalista presuppone un sogge�o “neutro”, che è il gruppo dominante e legi�mo. In altre parole, l’universalismo si nutre di par�colarismo. Solo quando viene integrato nell’universalismo occidentale, l’altro (il giapponese, cinese ecc) acquisisce la propria iden�tà in quanto par�colarità. Un certo numero di pensatori mostra sce�cismo riguardo a ciò. Essi cri�cano il rela�vismo culturale. Chi parla lo fa sempre secondo la prospe�va di una certa cultura. In altre parole, l’universalismo non si oppone necessariamente al rela�vismo. Un universalismo fondato sull’eguaglianza esige che ci si decentri dalla propria prospe�va per entrare in consonanza con i pun� di vista dell’altro. al Locale al Globale Pag. 45 CAPITOLO II. CULTURA, SOCIETA’ E GLOBALIZZAZIONE La fine della cultura? Dal pluralismo all’essenzialismo e viceversa La diale�ca dell’universale e del par�colare è al centro del conce�o di cultura, ogge�o per eccellenza dell’antropologia moderna. Rifiutando qualsiasi forma di determinismo fisico per la spiegazione delle diversità culturali, gli antropologi vanno a universalizzare la nozione di cultura (o di civiltà). Con gli antropologi la cultura diventa una predisposizione universale che va ritrovata dietro le sue differen� a�ualizzazioni. La formula del sociologo Edgar Morin secondo la quale “non si conosce la cultura che a�raverso le culture”, so�olinea bene la relazione fra unità e diversità. Esiste ancora la società? La nozione di cultura non è l’unica ad essere entrata in crisi nelle scienze sociali, visto che quella di società non se la passa meglio. La cri�ca più radicale della nozione di società viene proprio dai sociologi, i quali si domandano se si tra�a di un conce�o che ha ancora per�nenza nell’analisi del mondo contemporaneo. Per molto esso è un conce�o che ha ormai fa�o il suo tempo. Oggi viviamo in una “seconda modernità” segnata dal declino delle is�tuzioni, dal vacillare delle figure dell’autorità e del declino delle gerarchie. A differenza che nelle vecchie società industriali, i vincoli sociali sono diventa� fluidi. Da una vecchia società che potevamo qualificare come solida, saremmo passa� a una nuova le cui proprietà rimandano allo stato liquido (secondo Bauman). Le nozioni sociologiche classiche di sistema e di stru�ura, legate alla stabilità del mondo precedente, risulterebbero oggi obsolete. Le metafore classiche (forza, campo, corpo sociale, stru�ura, sovrastru�ura ecc) devono essere sos�tuite da quelle di connessione, fluido, flusso e sopra�u�o rete: metafore legate alla con�ngenza, imprevedibilità e mobilità. Globalizzazione, altermondializzazione e antropologia Secondo i sociologi, la dissoluzione dei contorni della società è la conseguenza dei flussi economici, culturali e migratori determina� dalla mondializzazione. Un mondo del tu�o nuovo è apparso alla fine dello scorso millennio (cara�erizzato da: guerra fredda, accrescimento del potere finanziario, i nuovi media, nuovi mezzi di trasporto ecc). Ecco perché si parla di “globalizzazione” per so�olineare l’elevato livello di integrazione e di interconnessione ormai raggiunto su scala planetaria che si traduce in par�colare nella percezione da parte degli individui di un’appartenenza a un mondo globale. E’ proprio la dimensione di intersogge�vità che interessa maggiormente gli antropologi. L’antropologo Appadurai afferma che la mondializzazione riguarda sopra�u�o la cultura. Secondo lui la globalizzazione perme�e uno spazio inedito di espressione all’immaginazione colle�va e alal costruzione di iden�tà originali. Secondo Appadurai, inoltre, la globalizzazione è prima di tu�o circolazione; circolazione di immagini e informazioni, di viaggiatori e migran�, che mol�plicano la comunicazione sul piano dell’immaginario. Secondo lui l’immaginazione colle�va consente a gruppi deterritorializza� di crearsi nuovi ancoraggi, nuove iden�tà simboliche, distacca� dalle forme tradizionali di radicamento (legame di sangue, relazione con una terra ecc). La globalizzazione rappresenta per lui, cioè più un’interpretazione delle culture che una contrapposizione tra una cultura dominante e una dominata. In sostanza, la globalizzazione sarebbe un processo di diversificazione culturale e la cultura una potente macchina di pra�che e di rappresentazioni in cui i movimen�, le appropriazioni, gli scambi, sono la regola. Mol� autori mostrarono un interesse verso la dinamica della reinterpretazione e della resistenza trova un’eco nel cosidde�o movimento “altermondialista”. Oggi mol� antropologi si schierano per un’antropologia dell’altermondializzazione in base alla considerazione che tale campo veicola forma di pensiero e di azioni, visioni del mondo che si oppongono alle “ontologie egemoniche” su al Locale al Globale Pag. 46 scala planetaria e che vengono così incontro alle preoccupazioni della disciplina. Sono appunto queste alterità che l’antropologo ha il dovere di capire, per offrire un migliore contributo all’enunciazione dell’iden�tà del nostro nuovo mondo. CAPITOLO III. FRONTIERE, IDENTITA’ E COMUNITA’ IMMAGINATE Fron�ere L’a�accamento fisico e simbolico a un territorio locale cos�tuisce oggi un potente fa�ore di mobilitazione per a�ori che reinvestono lo spazio tradizionale come lo Stato-nazione. Secondo Bauman oggi ci troveremmo in una dinamica in base alla quale le “vecchie fron�ere crollate” (es Muro di Berlino) cedono il passo ai “nuovi muri ere�” (es i muri di cemento costrui� da Israele) e ai “nuovi spazi intermedi” come le zone di transito, campi di detenzione, prigioni. Il termine “fron�era” richiama, in molte lingue, l’idea di confini, di limi� e so�olinea la “differenza”. L’antropologia considera le fron�ere non come una cosa in sé ma di natura situazionale, insistendo sulla dimensione delle discon�nuità nella concezione e nella rappresentazione di tali fron�ere. Queste corrisponderebbero ad uno spazio intermedio, a una zona di conta�o, di liminalità tra due sta�. Le fron�ere non sono dunque naturali e gli a�ori sociali si impegnano in maniera + o – intensa nell’erigerle. Le fron�ere culturali possono essere vive e rivendicate con forza, ma possono anche essere discrete, prive di specifiche poste in gioco. Iden�tà assassine, iden�tà assassinate La difficoltà con la cultura (o con la religione) sorge quando essa è u�lizzata dagli a�ori sociali per rivendicare un’iden�tà essenziale, come l’iden�tà nazionale o l’iden�tà etnica, avendo per effe�o il rinvio a un orizzonte di appartenenza primordiale. Dato che la molteplicità delle appartenenze che formano l’iden�tà di ogni persona è rido�a ad un solo elemento, il rischio a tal proposito, come afferma il saggista Maalouf è quello di reificare l’iden�tà e di auto-escludersi ed escludere l’altro. Per l’analisi antropologica, l’iden�tà non è uno stato; non è immanente né immutabile ma è una costruzione determinata dalle situazioni in cui si forma, dai rappor� di potere che le si intrecciano intorno e agli sforzi profusi per scioglierli. L’iden�tà è paradossale: è sen�ta ma al contempo è la + sfuggente. L’iden�tà non esiste, in qualche modo, ma le azioni intraprese in suo nome, quelle sì, esistono. Gli elemen� che formano l’iden�tà sono arbitrari e rela�vi. Infa�, la religione, la lingua o il colore, possono avere a seconda dal contesto in cu si ado�ano, significa� del tu�o contraddi�ori. Comunità immaginate Per avere successo, la costruzione iden�taria, che basa il suo funzionamento sull’iden�ficazione e crea l’unità e l’omogeneità a par�re dall’eterogeneità dell’esperienza individuale e colle�va del sociale, ha bisogno del lavoro dell’immaginario. L’antropologo Anderson afferma che l’immaginazione giochi un ruolo importante nella formazione della nazione del 19esimo secolo. Le ideologie nazionali con il loro correo di mi�, servono a celebrare e a ria�vare l’unità del gruppo. Presto tale idea venne allargata. Gli immaginari colle�vi riguardano i gruppi di ogni �po, tanto le nazioni, quanto le compagini più ristre�e quali i par�� poli�ci, le se�e, le squadre spor�ve ecc. Nell’a�uale contesto di globalizzazione, alcuni antropologi, basandosi sull’analisi di Anderson, affermano che sta emergendo una comunità immaginaria transnazionale virtuale (premessa di una società globale) basata sulle nuove tecniche di comunicazione. Il collegamento in rete dei computer genererebbe quindi la propria cultura nel quadro di un ciberspazio o di una cibercultura. Per costruire le loro iden�tà, le comunità ideali ricorrono ai raccon� mi�ci di fondazione, alle leggende eroiche, alla figura degli antena� al fine di tracciare una fron�era tra sé e gli altri. Esse incrementano simboli come emblemi, insegne, stemmi, totem, pra�cano ri� di passaggio (es inves�tura) e is�tuiscono luoghi di memoria. Nelle società contemporanee, ques� luoghi sono rappresenta� da monumen� ai mor�, edifici pubblici ufficiali, che rientrano in una dimensione materiale ma cer� possono anche essere lega� alla sfera ideale: un’opera storiografica di al Locale al Globale Pag. 47 rientrano anche il malessere e la disperazione delle persone (es mala� di Aids, poveri ecc). Da tali campi sono scaturi� dubbi ed esitazioni metodologiche, sopra�u�o la ques�one delle modalità di legi�mazione del ricercatore sul campo. Contrariamente alla prospe�va tradizionale dell’antropologia, che chiedeva al ricercatore di disfarsi di se stesso, di tacere qualsiasi emozione per stabilire una relazione ogge�va con la realtà che studiava, di non preoccuparsi della res�tuzione del suo lavoro ai sogge� interessa� ecc, la nuova antropologia è ansiosa di reintegrare ques� diversi contes� nella produzione del suo sapere e di riconoscere così l’antropologi quale a�ore a pieno �tolo nella situazione di indagine. Si tra�a ormai di considerare come i pregiudizi, le emozioni, il sesso, i vincoli poli�ci orien�no l’indagine e influenzino la comprensione delle realtà indagate. Le condizioni e�che e poli�che nell’esercizio del campo si sono largamente trasformate: oggi le comunità studiate producono immagini di se stesse, saperi sulla loro iden�tà e così l’etnologo è indo�o a s�pulare con la persone un contra�o concernente le tema�che da analizzare e la res�tuzione dell’informazione. L’antropologo so�opone al gruppo i suoi primi risulta� e i tes�, per discuterli e valutarli secondo le finalità negoziate con esso. al Locale al Globale Pag. 50 al Locale al Globale Pag. 51
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