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Dal locale al globale, mondher kilani, Sintesi del corso di Antropologia Culturale

Riassunto di 27 pagine paragrafo per paragrafo

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Mariagraziacorti98
Mariagraziacorti98 🇮🇹

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Scarica Dal locale al globale, mondher kilani e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia Culturale solo su Docsity! Dal locale al globale - antropologia DAL LOCALE AL GLOBALE - PARTE 1 Capitolo 1 - oggetti. L’antropologia: scienza del tradizionale e/o dell’attuale? Come definire l’antropologia? Per lungo tempo l’antropologia è stata la scienza della società arcaiche, selvagge ed esotiche, per poi trasformarsi in scienza delle società “primitive”. Questo termine designa caratteristiche che lo rendono singolari in rapporto a tutte le altre società di tipo storico. I qualificativi di società “senza storia”, “senza scrittura”, “senza Stato” o “senza macchine” sono stati introdotti per distinguerle, spesso positivamente, dalla nostra società. Il loro carattere di autenticità e trasparenza ne faceva oggetti di studio della scienza umana particolarmente privilegiati. La tendenza attuale consiste nel non cercare più di rivendicare un termine preciso per designare il tipo di società cui si rivolge la disciplina. Essa si presenta e si definisce come la scienza umana in società. Cambiamenti due fattori: uno rimessa in discussione di un certo numero di nozioni e di a priori teorici, risultato di dibattiti contraddittori; due le condizioni storiche ed intellettuali generali. Duplice prospettiva: una approccio interno alla questione; seconda si interroga più ampiamente sul posto dell’antropologia nel pensiero scientifico ed intellettuale contemporaneo. Progetto dell’antropologia: pensare l’altro e il medesimo. Il primo elemento per la definizione dell’antropologia è il suo progetto. È sempre esistito un punto di vista specifico dell’antropologia sul reale. L’antropologia pone al centro le differenze per le quali le società e le culture si distinguono. Disciplina contrastiva, sguardo sulle diversità cerca nel contempo di approdare a generalizzazioni dei comportamenti dell’uomo in società. Le correnti evoluzioniste mettono l’accento sulle unità e le differenze sono considerate come destinate ad essere riassorbite nell’universale. Corrente relativista evidenzia la diversità l’unità del genere umano come capacità di differenziarsi in numerose culture. L’alterità come pretesto, ovvero le metamorfosi dell’alterità. Attualmente esasperazione del desiderio dell’altro, che prende strade ingannevoli rispetto a una riflessione sistematica e critica sull’alterità. La curiosità sogni di evasione. Racconti di viaggio (Todorov) traduce l’infatuazione del grande pubblico per la vecchia visione esotica degli altri. La spiegazione dell’attrazione verso questo tipo di lettura deve essere ricercata nella natura del genere: diretto rapporto che quel genere ha intrattenuto con le imprese coloniali europee e con la maniera è stato vissuto il rapporto dell’Occidente con le altre civiltà. Tale sentimento di superiorità traspare nei testi che oggi vengono offerti al pubblico. Le grandi case editrici nella presentazioni delle opere si sono sbarazzate di ogni considerazione scientifica. L’infatuazione obbedisce a considerazioni in un mondo che vede la trasformazione e la rimessa in discussione tale superiorità. I racconti hanno un’immagine caricaturale degli altri. Il racconto esotico moderno per soddisfare la curiosità per l’altro senza rimettersi in discussione. Un’altra attrattiva utilizzare l’altro come rifugio contro un presente ritenuto minaccioso e insoddisfacente. Le immagini del “buon selvaggio” diventano il pretesto per criticare il progresso e per condannare le usurpazioni che la società moderna si presume eserciti sugli individui. Gli antropologi e le metamorfosi dell’alterità. Con il pretesto di riabilitare il “primitivo” o il “selvaggio”, non si fa che invertire i termini della classica comparazione fra un polo negativo e un polo positivo. La società moderna ad essere marcata negativamente. Si continua a ragionare in maniera schematica e dicotomica: da un lato ci sarebbe il “buono”, dall’altro il “cattivo”: etnocentrismo a rovescio. I difensori del “buon selvaggio” fanno del “selvaggio” il criterio positivo a partire dal quale occorrerebbe analizzare la modernità. Il “primitivo” appare come l’inverso positivo della società industriale, considerata per definizione una società alienante. Anni ’60 del secolo scorso lo scema evoluzionista salvezza, barbarie e civiltà. Lo stato selvaggio corrisponderebbe alle pienezza e la civiltà alla degradazione di questo stato. Corrente iperculturalista rappresentate è Jaulin l’antropologia diventa il discorso dell’Altro. È solo attraverso l’analisi rigorosa delle condizioni del dominio che si può approdare a una denuncia efficace dell’etnocidio. Una definizione dell’alterità Come evitare i difetti e le trappole? Uno: privilegiando una dimensione rispetto all’altra: il passato rispetto al presente. Due: non imprigionando più gli “altri” nelle figure dell’autentico o del selvaggio, ma cogliendoli all’interno dello stesso rapporto con “noi”. L’alterità deve essere considerata come nozione relativa e congiunturale: si è “Altro” solo agli occhi di qualcuno. La categoria dell’Altro è sempre inserita in una relazione, generalmente di dominazione- subordinazione. Le categorie o i gruppi che appaiono differenti lo sono in rapporto a una struttura dominante che li ingloba e certi rapporti di separazione e di opposizione. L’esteriorità è indispensabile all’antropologo. Se non si tratta di diventare simile agli altri, identificarmi sufficientemente con loro mi consente al contrario di imparare che io avrei potuto appartenere ad un’altra cultura, quella stessa cui rivolgo la mia attenzione. Avvicinarmi abbastanza all’altro senza identificarmi completamente, di comprendere la sua cultura senza immergermi. Dopo essere stato presso l’”altro” io non sono più del tutto lo stesso, avrò imparato a cercare delle strade comuni a queste diverse espressioni, e a elaborare un discorso che non sia unicamente un discorso che parla degli altri, ma un discorso che parla agli altri. I luoghi di riflessione dell’antropologia L’oggetto dell’antropologia è dinamico e fa parte integrante della società globale. L’oggetto dell’antropologia è dialettico nel senso che mette in rapporto il locale e il globale, i gruppi ristretti e la società generale in cui sono inseriti. La festa tradizionale si reincarna nel mito della Festa, mito che di fatto ha pochi legami con le feste di un tempo. Oggi la festa è ovunque. Dissoluzione della festa e il suo frantumarsi in molteplici tratti senza legame gli uni con gli altri, nonché l’illusione moderna che si viva oggigiorno in una società edonista e senza tabù, rappresentano l’esito di un lungo processo storico e culturale. Dapprima la condanna e la repressione di feste popolari; in seguito alla loro glorificazione ideologia, infine nella storia della società del consumo, che ha trasformato questa istituzione in efficace argomento per vendere e in valore economico essenziale. Mette in evidenza l’orientamento decisamente passatista di una certa etnologia, che limita il suo oggetto alla pura ricostruzione di istituzioni e di costumi tradizionali. Imprigionamento delle identità è pericoloso. Oltre ad autorizzare la manipolazione politica delle masse, una visione povera e riduttiva della cultura nega nel proprio seno le tendenza universalistiche. Valori tradizionali l’occasione peer un esercizio esclusivo del potere. L’autenticità locale si riduce assai spesso all’esibizione del costume nazionale. Questi atteggiamenti testimoniano della diffidenza delle élite, ovvero del loro disprezzo per tutte le forme di creatività culturale che si manifestano al livello delle unità sociali di base della società e che perciò sfuggono al loro Pagina di 1 27 Dal locale al globale - antropologia controllo diretto. Il ricorso a un tale mito, storicamente disincarnato ha determinato l’avvicinamento di questi movimenti alle ideologie nazionalistiche autoritarie, le quali si sono costruite su modello di riferimento di una civiltà mitica primordiale e intrinsecamente superiore alle altre. È stata la fonte di una volontà di annientamento di altre culture e popoli. Una definizione dell’antropologia: l’articolazione del locale con il globale Definizione antropologia: il procedimento antropologico come oggetto di indagine unità sociali di piccola ampiezza a partire dalle quali tenta di elaborare un’analisi di portata più generale, cogliendo da un certo punto di vista la totalità della società in cui queste unità si inseriscono. La definizione fa intervenire contemporaneamente: un luogo, un approccio, un metodo e una finalità. 1. Unità sociali sono ristrette, corrispondono a piccole comunità in cui le relazioni sociali sono concrete e direttamente osservabili. Queste comunità devono ugualmente avere una coerenza interna e una certa coesione rispetto all’esterno. 2. La scelta di queste unità deve consentire di illuminare la totalità. I gruppi selezionati quelli che si distinguono dalla società globale e traggono autonomia e originalità. Opposizione ai valori e alle pratiche dominanti. 3. metodo: osservare la società maggioritaria a partire da gruppi ristretti vuol dire osservarla fuori dal suo quadro unificatore e dei suoi punti di riferimento. Il punto di vista sarà così più critico e pertanto più oggettivo. 4. La posizione di decentramento e di osservazione-partecipazione di estrapolare il globale a partire dal locale. Le relazioni simultaneamente collocate nel sistema socio-economico e culturale globale. Qualche esempio L’industria è un universo che ha le sue leggi e che vuole imporle in maniera universale. L’uomo industriale è visto come un attore sociale sottomesso a ruoli stereotipati e conformi ai valori dominanti della razionalità, redditività e calcolo. L’antropologo non può che adottare un atteggiamento scettico. Egli scopre lo spessore simbolico del mondo del lavoro. L’antropologo scopre la qualità dei rapporti fra il lavoratore e la materia, l’uomo può intrattenere un rapporto positivo con la tecnica, l’antropologo scopre la qualità delle relazioni sociali. Alla gerarchia degli status si sostituiscono altri segni. Infine l’antropologo scopre che queste culture parcellari entrano in contraddizione con il modello dominante. La modalità pratica con cui si organizzano tra di loro gli operai compensa generalmente la rigidità delle prescrizioni definite negli uffici degli ingegneri e dai pianificatori. L’antropologia dell’ambiente industriale si sviluppa sulla base di un’interrogazione diretta sul senso, sulla logica e sulle finalità della civiltà industriale. La società industriale moderna può essere contestata, rimodellata, ridefinita da certe collettività locali o gruppi ristretti. Attraverso le relazioni che costruisce con le famiglie operaie, l’antropologo tenta di comprendere i rapporti sociali più larghi che partecipano del sistema globale della società e cerca di definire il posto che occupano le relazioni sociali globali nell’insieme di sfruttamento e di dominio. Grazie all’integrazione totale della modernità da parte delle popolazioni di montana che è stata resa possibile la preservazione o più esattamente la rielaborazione delle pratiche sociali tradizionali. L’intervento di un osservatore esterno diventa necessario per stabilire questa distanza del sapere rispetto a se stesso e per chiarire il modo in cui esso si produce. l’antropologia: una disciplina della comparazione L’antropologia oggi si interessa fondamentalmente della modernità, poiché lo sguardo che continua a rivolgere al tradizionale o al periferico consiste ormai nel valorizzare meglio le mutazioni che agiscono nelle società contemporanee e nell’interpretare meglio le situazioni di transizione. Studiando il modo di vita più specifico, l’antropologo incontra sempre l’universale. Il lavoro antropologico implica comparazioni interculturali, nello spazio e nel tempo, fra le particolarità e i significati sociali diversi che l’antropologo osserva. Esso implica un sistema di reciprocità e di muta chiarificazione fra prospettive e punti di vista diversi. Società moderna è evidente che l’esercizio formale del potere politico all’interno di istituzioni giuridicamente definite si accompagna sempre a un’espressione simbolica. L’ideologia e i valori individualistici della società moderna sono più comprensibili se li si rapporta alla socialità e alle pratiche comunitarie caratteristiche delle società tradizionali. L’organizzazione gerarchica è messa molto più in luce dal confronto con l’organizzazione di tipo comunitario. l’antropologia: un’interpretazione della modernità Il procedimento attuale dell’antropologia conduce a un’interpretazione della modernità. L’antropologia è in grado di interpretare i cambiamenti, le rotture e le crisi della società moderna. Essa si interessa alle nuove forme di organizzazione sociale, alle espressioni collettive moderne, alle nuove manifestazioni del sacro, alle trasformazioni della società. L’antropologia indaga sulla prospettiva della società moderna, decifra le forme in gestazione che le trasformazioni accelerate ci producono. Nel procedimento antropologico la deviazione attraverso le forme locali deve intendersi come un’interrogazione che rimanda alle dimensioni che sono al centro della società individuale. L’antropologia mette in evidenza la diversità dei contenuti che la modernità assume a seconda delle situazioni. Capitolo 2. Procedimento, indagine e metodi in antropologia. Dal particolare al generale, ovvero l’antropologia come scienza delle logiche sociali Il decentramento e il distanziamento come fondamenti del procedimento antropologico Uno dei procedimenti fondamentali dell’antropologia è il decentramento-distanziamento: consiste nell’uscire dal suo universo culturale per poter rendere conto della diversità, nel contempo senza cessare di interrogarsi sulla società. Duplice distanziamento rispetto alla società straniera e alla sua società d’origine, fa si che l’antropologo misuri le differenze e le analogie fra le due società. Il distanziamento rispetto alla visione istituzionale della società. Obiettivo quello di porre in evidenza dei rivelatori atti a mettere a fuoco e a interpretare tale scarto. L’osservazione-partecipazione e la pratica di campo Un secondo procedimento è l’osservazione-partecipazione, presenza fisica e di lunga durata, implica l’osservazione in profondità delle realtà presa in esame e una particolare attenzione alla qualità dei rapporti sociali che costituiscono un gruppo. Il lavoro sul campo associa strettamente l’esperienza esistenziale e quella intellettuale. Ogni unità sociale fa parte di un sistema più ampio che la trascende e, la integra nel suo seno. Insistere sul carattere “chiuso” di un gruppo è dimenticare che lo stesso ricercatore è un intruso e che le sue carie determinazioni hanno un’influenza sulla Pagina di 2 27 Dal locale al globale - antropologia radici. Oggi le ricerche di antropologia in ambiente urbano vanno moltiplicandosi. Dislocamento dell’oggetto deriva dalla moltiplicazione empirica di lavori. Spiegare lo sviluppo dell’antropologia numerose regioni: l’accelerazione dell’urbanizzazione in tutto il mondo, la crescente difficoltà da parte degli antropologi di fare inchieste su terreni esotici, la moltiplicazione delle specializzazione e delle sotto-discipline nel campo della ricerca scientifica e delle sue applicazioni. L’insieme delle considerazioni nuova specializzazione antropologia urbana. Troppo vaga e imprecisa per sostituirla con altre designazioni che specifichino il campo o l’oggetto empirico. L’antropologia in campo urbano deve mostrare in che cosa lo sguardo che l’antropologo rivolge alla città e nella città. L’antropologia della città: qualche riferimento L’antropologia della città l’insieme dai lavori che cercano di cogliere e analizzare gli spazi di coabitazione nella città, i rapporti sociali che si sviluppano, la distribuzione delle reti di socialità. Chicago fin anni 70 l’antropologia della città come studio delle successive storicità che hanno segnato la città. Tali problematiche approdano l’identità sociale nella città e i suoi differenti modi di produzione e di riproduzione. L’identità sociale nozione dinamica, come il prodotto dello sviluppo dei rapporti sociali. Le ricerche di Althabe quartieri popolari di operai, collettività montana inserite costituiscono delle illustrazioni pertinenti di questo tipo di approccio. L’antropologia dell’ambiente industriale e tecnico: qualche riferimento Altre ricerche il campo dell’industria e della tecnica. Designa ricerche che inseriscono la tecnica in una prospettiva più globale, quella della cultura industriale. Si propongono di analizzare le rappresentazioni e le pratiche dei mestieri e delle specializzazioni. infine, gli antropologi tentano di comprendere la società industriale in quanto produttrice di culture parcellari. Ogni ambiente produce un sapere tecnico, un sapere fare, un sapere sociale, della solidarietà, dei sogni, e. Suscita un sentimento di appartenenza al gruppo. Lucas studia una regione mineraria colpita dalla recessione economica e dal declino demografico. L’autore rende conto dell’eterogeneità di queste memorie che partecipano di registri differenti: memoria immemorabile, la memoria dotta, la memoria del museo e dell’ecomuseo, …. Ai margini di queste memorie scopre la memoria vergognosa, memorie minori e sparse, che si sono perdute negli interstizi della storia e della memoria collettiva. Nella sua seconda opera, Lucas si dedica alla memoria del brusio, per analizzare il contenuto fatto delle rimuginazioni quotidiane dei minorati, e al rapporto fra i comportamenti della vita quotidiana e la storia. Vedere come vi si formano i significati per gli attori sociali. L’antropologia del “noi” e il rimpianto dell’oggetto “esotico” Numerose insidie sono in agguato per il ricercatore, l’antropologia della modernità rischia talvolta di fondare il proprio procedimento su una sorta di “effetto etnografico”. Tendenze del noi giungono in realtà a creare artificialmente un oggetto etnografico, in guisa e al posto di oggetto empirico particolarmente assente o debole. L’antropologia rimpatriata estende gli spazi esotici al di la dei limiti tradizionali. In questa antropologia è possibile cogliere un’estensione del “pre” e del periferico, a detrimento dell’interesse per le attività e le credenze centrali. L’antropologia “rimpatriata” e gli impensati del metodo Tale antropologia “rimpatriata” non si interroga su certe questioni in metodo, pure cruciali per l’elaborazioni di ricerche conseguenti nel campo sociale e culturale della società industriale. Qualche ricercatore adotti il punto di vista della società globale, si presenta, all’inizio, con una certa distanza socio-culturale in rapporto ai suoi oggetti, non analizza gli oggetti in questione in rapporto alla logica che è loro propria e nel contempo in esplicita relazione con le logiche globali. L’esteriorità come principio metodologico, si costruisce sul campo, in rapporto con un certo numero di criteri. Raramente ci si interroga riguardo allo statuto e al ruolo dell’osservatore sul campo. Esistono altri tipi di rapporto con l’oggetto: i testi, la storia, l’osservazione fluttuante, le reti di relazioni, l’inchiesta sistematica tramite questionario. E l’insieme contribuisce a far nascere l’antropologia dall’isolamento nei margini della società moderna ove certi vorrebbero confinarla, e ad aprirla alle altre discipline del sociale. La stessa scrittura del testo antropologico pone oggi il problema cruciale. Non solo la comunicazione delle informazioni si impone sempre più necessaria, ma il controllo da parte di coloro che le hanno fornite è una possibilità sempre più praticata. PARTE 2 Capitolo 2 - antropologia e storia. La ragione dell’altro Limite separato l’antropologia dalla storia, rientrava nella grande partizione attuata nel XIX secolo e respingeva le popolazioni selvagge o barbare. Fu loro interamente riservata una disciplina specifica, l’antropologia, scienza dell’esotico. In secondo luogo: la storia svolgimento cronologico degli eventi e di ricostruire le tappe dell’evoluzione, mentre l’antropologia tentava di comprendere la struttura e la funzione delle istituzioni sociali nelle società caratterizzate essenzialmente dalla permanenza e dalla ripetizione. Dagli anni 60 vi è un avvicinamento delle due discipline. Rinnovamento dell’antropologia e della storia Il rinnovamento dell’antropologia è consistito nell’abbandono dell’antica opposizione fra società primitive e società complesse e nella scoperta o riscoperta della dimensione storica delle società che essa studia nel presente e nel passato. Il rinnovamento dell’antropologia è consistito nella sua conversione allo studio delle società vicine. L’antropologia è obbligata a rivolgersi alla storia e alla memoria scritta per comprendere meglio il presente: l’evoluzione. Quanto alla storia da prima della seconda guerra mondiale un netto rinnovamento. Sotto l’impulso della scuola della “Annales” la storia ha ridefinito il suo campo: reazione contro la storia dei potenti e contro la storia evenementielle, allargamento del suo territorio dalla realtà istituzionale alla realtà profonda delle masse e dei fenomeni sociali. Far emergere le strutture nascoste e i movimenti profondi che agitano la società. Problematiche comuni all’antropologia e alla storia: l’alterità, lo spaesamento, la marginalità Movimento va rinforzandosi e precisandosi sotto l’influenza dei lavori antropologici: - distanziamento: oggi lo storico si pone a distanza rispetto alla realtà storica studiata e controlla la propria estraneità. Distacco per meglio tentare un’interpretazione del passato. Come l’antropologo, lo storico sa oggi che, per comprendere una società, occorre spesso delineare il discorso che essa fa su se stessa. - L’interesse per ciò che è marginale: e interessandosi ai dati marginali, lo storico può far emergere i meccanismi profondi di una società. Pagina di 5 27 Dal locale al globale - antropologia - Il principio di spiegazione: precedentemente il principio si spiegazione dominante in storia era quello da Se all’Altro. Questa maniera di fare consisteva nel proiettare nel passato le immagini, i fantasmi o gli ideali del presente. Consiste nello scegliere e leggere gli avvenimenti del passato nel quadro di preoccupazioni contemporanee ben determinate. Una tale lettura sfociava necessariamente in perdita di significati e di specificità delle realtà storiche studiate. In tal modo fu per lungo tempo costruita l’immagine del Medioevo. La povertà, la violenza sembravano far eco al benessere nascente. Il meraviglioso e la fede religiosa del Medioevo erano percepiti come il marchio di un’assenza: razionalità e asserito pensiero profano. Sotto l’influenza di “Annales”, il principio di spiegazione in storia tende a cogliere l’altro nella sua singolarità. Lo storico cerca piuttosto di comprendere come queste forme si siano mantenute e riprodotte, e come possano continuare ad essere dinamiche negli interstizi della società attuale. L’attuale facilità di comunicazione ha permesso di reintegrare nella rete dei conoscenti linee collaterali separate da gran tempo. Le feste rivoluzionarie della Francia venivano considerate come un’evoluzione rispetto alle feste tradizionali. Alcuni studi hanno mostrato che queste feste non solo la conseguenza di un movimento uniforme di avanzamento in rapporto al passato. Proprio al contrario nelle feste laiche contemporanee perdurano l’immaginario collettivo in cui ci si identifica e l’intensità della credenza e della partecipazione del pubblico, elementi caratteristici delle feste religiose. L’alterità esotica e l’alterità storica si ricongiungono in un medesimo procedimento che illumina la società industriale contemporanea. La storia delle mentalità o la storia antropologica L’importanza dei legami di parentela nell’organizzazione socio-politica è fortemente sottolineata dall’analisi storica. Storia universale della famiglia mostra l’attualità di una tale problematica per la comprensione delle società storiche europee e la vicinanza degli oggetti di studio delle due discipline. Le Goff nel suo studio mostra come l’immaginario di una società investa e organizzi in categorie particolari elementi empirici universali della vita sociale come il tempo e il lavoro. Metafore storiche e realtà mitiche: una riconsiderazione della storia e dell’evento Il confronto con la memoria orale e mitica delle società senza storia ha permesso di rinnovare certe domande relative al rapporto fra la storia e l’evento. Nella loro indagine hanno scoperto una sproporzione tra cause oggettive e gli effetti culturali che si è soliti considerare come semplici riflessi delle forze storiche materiali. Si dimentica che l’incontro di culture è anche e soprattutto un problema di comunicazione fra sistemi culturali differenti. Ogni cultura cerca di codificare l’altro a partire dalle categorie mentali e dai sistemi di classificazione che le appartengono. Il malinteso è produttivo nel senso che, nessuna delle parti essendo in errore, lo sguardo che una rivolge all’altra si traduce in effetti pratici: esso crea l’evento e trasforma il reale. Nelle Hawaii l’evento si inscrive interamente nella dimensione della ripetizione: attraverso il presente dell’evento si fa esperienza del passato. Fino al 1852 i missionari censivano solo 850 convertiti, improvvisamente passò a 8870, questo evento non può essere letto nei termini abituali di una statistica quantitativa che vede la massiccia conversione della popolazione. È in termini di statistica eroica che occorre interpretare l’evento. Se la conversione al cristianesimo ha avuto luogo in quel preciso momento, è perchè “la popolazione attendeva i suoi capi, un capo ne attendeva un altro e quest’ultimo attendeva il momento buono.” A conclusione di questo e di altri esempi di malinteso produttivo Barè si pone la questione de in queste condizioni si possa concepire l’esistenza di una vera cultura tahitiana di un autentico passato dell’isola o di un nocciolo culturale esente da qualsiasi impronta straniera. L’attribuzione ai Bianchi di una qualità divina era la condizione stessa per la percezione di quell’esperienza. La storia viene esplicitamene organizzata come la metafora di realtà mitiche. È tale capacità di coniugare la storia con il mito che rende conto dell’estrema flessibilità dei malanesiani nelle diverse situazioni che sperimentano a contatto con i Bianchi. L’antropologia contributo originale che solleva nuove questioni che riguardano i rapporti fra l’evento e la storia, fra la storia e la struttura, fra la storia e il mito. Nella nostra società contemporanea il passato non è realmente compreso se non allorché fa parte del presente. In questa operazione, che concerne al tempo stesso l’alterità e l’identità ma identificare il passato con se stessi. Opera di appropriazione- disappropriazione del passato, un’opera in cui l’evento è simbolicamente elaborato in funzione di una certa idea di storia. Memoria artificiale e memoria vissuta: segno, traccia e storia La storia ufficiale costituisce una vasta riserva cui attinge la memoria locale. Nell’intento di strutturare e sistemare i rapporti sociali, la memoria delle oasi combina i grandi eventi, le cronache, le testimonianze: si passa dai vasti movimenti migratori della storia ai miti d’origine dei lignaggi di villaggio. Nella memoria vissuta non v’è rottura fra questi differenti livelli o epoche. Capacità che ha la memoria di combinare i due tempi storici poggia sulla nozione di traccia. Il ricorso a una struttura storica già costituita rappresenta un mezzo efficace per l’adattamento continuo delle rappresentazioni a realtà sociali particolarmente mutevoli e conflittuali. L’antropologo è immediatamente sedotto dalla cultura storica degli abitanti delle oasi e della prospettiva. L’antropologo è tenuto ad essere creativo: non ceve dare verificare in biblioteca le fonti citate. Occorre che egli adotti la modalità di interpretazione propria dei suoi informatori per leggere come dei segni l’insieme degli oggetti che si produce nel loro discorso. Gioco dl linguaggio la cui funzione essenziale è l’identificazione e la classificazione degli individui e degli eventi all’interno di uno spazio sociale determinato e in perpetuo movimento. Per il ricercatore deve cogliere la corrispondenza fra il gioco dei segni della storia e quello delle variazioni verbali che concorrono all’identificazione di se e all’ordinamento dei rapporti sociali sul piano locale. Capitolo 3 - antropologia e psicanalisi. La ragione simbolica I rapporti fra l’antropologia e la psicanalisi sono caratterizzati da un paradosso. Costituiscono entrambe una psicologia: mentre la psicoanalisi si ferma all’espressione individuale di essa, l’antropologia si concentra su quella collettiva. Non bisogna dimenticare che per l’antropologo e per il sociologo l’individuo rappresenta l’interlocutore fondamentale. Se l’uomo è un essere sociale, un essere sensibile, un’individualità specifica, nella psicanalisi il sociale è già contenuto nella relazione che unisce il paziente all’analista. I rapporti fra antropologia e psicanalisi sono essenzialmente rapporti di divergenza sui medesimi temi. Totem e tabù: storia individuale e storia collettiva nella forma freudiana In totem e tabù Freud ha subito collocato la psicanalisi nel cuore stesso dell’antropologia. Per Freud la psicanalisi può ripercorrere la storia dell’umanità fin dalle sue origini, alla stessa maniera in cui lo fa per la storia individuale. La psicanalisi postula che ciascun individuo rivive nella psiche la scena immemorabile del parricidio, che corrisponde al Pagina di 6 27 Dal locale al globale - antropologia complesso di Edipo. Gli stadi di sviluppo dell’individuo sarebbero essi stessi la ricapitolazione degli stadi di sviluppo dell’umanità. Il principio freudiano secondo il quale l’ontogenesi ripete la filogenesi approda così a un’interpretazione strettamente evoluzionista della storia delle culture e delle società e a un’interpretazione riduttiva delle istituzioni sociali “elementari”. La critica antropologica: la proibizione dell’incesto come regola sociale L’antropologia critica questo modo di vedere. anzitutto, adotta un atteggiamento scettico rappresentazione lineare della storia dell’umanità. In secondo luogo, rifiuta ogni rigida analogia fra il collettivo e l’individuale. Infine dubita dell’universalità del complesso di Edipo. La questione è quella dell’universalità della spiegazione psicoanalitica. La prima critica è venuta da Malinowski, cultura l’autorità del padre biologico è sostituita da quello dello zio materno, la posizione di M è un limite. La critica più convincente è quella di Levi-Strauss non rapporto causa-effetto fra lo psicologico e il sociale, e occorre superare l’antinomia fra natura e cultura per porre il problema della proibizione dell’incesto in termini di regole o di leggi. Conoscere il grado di consanguineità fra i partner è meno importante che conoscere le regole che stabiliscono chi debba sposare chi e come. La proibizione dell’incesto è una regola sociale universale fondata sul principio di interdire certe categorie e prescriverne altre. Una regola nel senso che costituisce il principio di organizzazione in società, fondata sullo scambio e sulla reciprocità fra gruppi che donano e gruppi che ricevono. L’antropologia ha fondato l’universalità di una struttura e la diversità dei suoi contenuti culturali. L’incontro dell’antropologia con la psicanalisi: l’efficacia simbolica Campo di convergenza fra l’antropologia e la psicanalisi è quello dell’efficacia simbolica. Il simbolo come struttura efficace mobilita gli individui e i gruppi intorno a un’idea o a un’azione, agisce sullo psico e sul fisico. La magia “pseudo-scienza” l’espressione di un pensiero o di una mentalità che non ha ancora scoperto i reali rapporti di casualità o la giusta relazione fra i mezzi e i fini, che non ha ancora scoperto la casualità di tipo scientifico o razionale. Essa è infatti la vera antitesi della scienza: drammatizza l’universo, cerca il sapere - quello che sta dietro le cose. La magia è un linguaggio simbolico, non un processo discorsivo sulla realtà. La magia ha un’efficacia sociale e in certi casi può trasformarsi in un mezzo di mobilitazione sociale. Un’illustrazione del pensiero simbolico: la stregoneria nel Bocage normanno L’efficacia simbolica della magia è messa bene in evidenza dal lavoro di Favert-Saada. La magia agisce senza stregoni, non esiste stregone che effettivamente pratica malefici. Lo stregone è colui cui parlano coloro che tengono il discorso sulla stregoneria, ovvero la persona stregata e l’esorcista. Appare come soggetto dell’enunciato. I personaggi principali sono la persona stregata e l’esorcista. La stregoneria o la magia agiscono in realtà come mezzo per risolvere praticamente dei conflitti o come mezzo di controllo sociale. Paura della stregoneria consente di prevenire gli atti proibiti o condannati dalla morale. Messe popolari, la stregoneria si inseriva nel funzionamento del sociale e i suoi periodici scopi su grande scala punteggiavano le crisi sociale, le anomie, le catastrofi e le disgrazie che accompagnavano le società rurali e il villaggio. Principi euristici comuni all’antropologia e alla psicanalisi: il distanziamento, la funzione latente, l’alterità Un’altra convergenza fra l’antropologia e la psicanalisi è quella d’ordine euristico, che consiste nella distinzione fra latente e manifesto. Il sogno l’analista trasforma il sogno in indizio rivelatore di un insieme di atti e parole nascosti nelle profondità dell’inconscio. Antropologia latente ha cerato di comprenderla al di fuori dei contenuti concreti e manifesti che assumeva in questa o in quella società. Anche su un altro piano: la psicanalisi mostra che l’uomo non è un essere puramente razionale. L’antropologia mostra che le culture e gli uomini non agiscono soltanto secondo criteri della razionalità. L’antropologia che la psicanalisi sono sensibili all’alterità. La prima tenta di riconoscere e analizzare il pensiero dell’altro per metterlo a confronto con il proprio, la seconda tenta di decifrate il discorso dell’altro-in-noi. l’etnopsicanalisi: oggetto e metodo L’etnopsicanalisi, George Devereux dice che la finalità è quella di scoprire come i rapporti sociali e i comportamenti culturali siano assimilati, negoziati e vissuti dagli individui. L’etnopsicanalisi deve il proprio metodo alla tecnica psicoanalitica freudiana. L’etnopsicanalisi ha lo scopo l’approfondimento della relazione fra l’osservatore e i membri della cultura studiata. L’interesse dell’etnopsicanalisi risiede almeno nel metodo: l’antropologo costruisce con i suoi informatori un’esperienza condivisa della loro cultura, e nella maniera in cui la restituisce nel testo etnografico. Capitolo 4 - antropologia e psicologia cognitiva. Ragione mitica e ragione scientifica La psicologia cognitiva di Piaget: gerarchia dei modi di pensiero e gerarchia della società Piaget descrive i processi mediante i quali il bambino acquisisce le diverse strutture cognitive. 3 stadi: 1. Funzioni sensoriali e motorie, che costituiscono il punto di partenza 2. Acquisizione del pensiero soggettivo o egocentrico, che è chiamato anche pensiero simbolico, fondata sui rapporti soggettivi fra il bambino e il mondo. 3. Pensiero operativo o decentrato, corrisponde al pensiero scientifico o razionale. Ci interessa in quanto antropologi che questo modello è concepito su scala individuale al livello collettivo. Numerosi autori non hanno utilizzato questo modello per applicarlo alla storia dell’umanità. Società umane passano ugualmente attraverso una successione di stadi mentali. - stadio dell’intelligenza pratica. Primo stadio corrisponde alle operazioni più elementari e alle tecniche più pragmatiche. - Secondo stadio è quello del pensiero simbolico o pre-operativo, è poco incline a un rapporto oggettivo con la natura e con l’universo. Insieme alle opinioni non fondate o non controllate, delle credenze obbligatorie e dei principi non dimostrati. Stadio caratteristico soprattutto delle società primitive e tradizionali. - Pensiero operativo o scientifico. È un pensiero fondato sulla ragione oggettiva, decentrata e cumulativa. Società moderne a partire dal Rinascimento avrebbero progressivamente e massicciamente abbandonato il pensiero simbolico e mitico. Il pensiero simbolico precede il pensiero operativo stadio inferiore dello sviluppo mentale dell’umanità. In secondo luogo fa corrispondere a questa gerarchia di modi di pensiero una gerarchia delle società. Pagina di 7 27 Dal locale al globale - antropologia diritto di questa di civilizzare i popoli inferiori. Un’altra tradizione storico-teorica producendo numerosi lavori di qualità, Gramsci e de Martino. De Martino si deve la nozione di etnocentrismo critico. La tradizione tedesca La tradizione tedesca Volkskunde (cultura germanica) e Völkerkunde (studio delle culture esotiche). Quest’ultima ricostruzione della civiltà originaria e delle sue forme evolutive. A partire dagli anni 70-80 del secolo scorso unificazione delle problematiche, degli approcci e delle dispute metodologiche. Influenzato da antropologia anglosassone ma anche da quella francese. Capitolo 2 - perchè una storia del pensiero antropologico? La storia dell’antropologia come antropologia culturale dell’Occidente Unità storica del progetto antropologico? Riflettere sul rapporto unità-diversità dell’umanità, con lo scopo di individuare regole o principi adatti a interpretare le differenze e le analogie osservabili presso tutte le società. Le teorie evoluzioniste mettono l’accento sulle analogie a scapito delle differenze, esaltando le nozioni di storia e di progresso per pensare la storia dell’umanità in termini di evoluzione lineare o per stadi. Umanità una e le diversità destinate a scomparire. Scuola culturalista accento sulla diversità, sviluppando le nozioni di tratto culturale e di personalità di base per trattare ogni cultura nella sua specificità, alterità appaiono come entità irriducibili. La scuola funzionalista temperare questo relativismo assoluto. Le monografie fondate sulla ricerca di campo portano in se il principio della comparazione fra le diverse società che ne sono oggetto. È vero che un tale sforzo di sintesi non è mai stato realizzato, e gli antropologi relativisti si sono accontentati di produrre tante monografie distinte di diverse società concepite come sistemi chiusi. Correnti teoriche non registrano le alterità per se stesse, ma le inscrivono in una prospettiva comparativista che ha come finalità quella di pervenire all’universale. Il procedimento comparativo dell’antropologia strutturale di Levi-Strauss rapportare le singolarità delle culture osservate, mentre i riferimento all’universale consente a sua volta di chiarire le proprietà di un particolare sistema. La spiegazione della proibizione dell’incesto ne è l’illustrazione più ragguardevole poiché arriva ad esternare una regola universale, che a sua vita rende conto delle diverse concrete attualizzazione della regola della proibizione dell’incesto. Prospettiva dell’antropologia generale tensione fra il locale e il globale consente di inserire gli oggetti teorici primari della disciplina nei contesti più larghi che si inglobano. Unicità storica dello sguardo antropologico? L’unità della disciplina si manifesta anche al livello del tipo di sguardo che caratterizza l’antropologo. L’esteriorità considerata come il tratto originale della disciplina. Il rapporto dell’antropologo con il suo terreno di ricerca è più complesso. Le più rilevanti sono: - la posizione corrente consiste nell’ammettere che il rapporto con l’altro è essenzialmente un processo di conoscenza. Questa posizione si fonda su un induttivismo ingenuo, che crede alla trasparenza del reale e della neutralità dei metodi, e dimentica le determinazioni del ricercatore e quelle che provengono che si esercitano sull’oggetto di studio. - Posizione estrema adottata dai sostenitori della critica dell’etnocidio, ritiene che il rapporto dell’antropologo con l’altro sia per essenza un rapporto di alienazione, un rapporto di violenza esercitato sull’altro. - Una posizione ammettere che il rapporto dell’antropologo con l’altro è un problema teorico. L’antropologo deve integrare nella costruzione dei suoi oggetti intellettuali e nel quadro delle sue analisi il rapporto del ricercatore con il campo. Di associare l’insieme di questi fattori con l’esigenza di una rigorosa riflessione scientifica. Le differenze nell’approccio al progetto antropologico traducono in tutti i casi le stesse problematiche. La storia dell’antropologia come antropologia culturale dell’Occidente L’approccio storico è necessario da diversi punti di vista. Pone in situazione i diversi percorsi attraverso i quali l’uomo è arrivato ad assumersi come oggetto della propria osservazione. Ricostruisce l’emergere della presa di coscienza delle diversità delle produzioni sociali e culturali dell’umano, nel tempo e nello spazio. Ricostruisce la storia del processo della scoperta degli altri e della maniera in cui essi sono stati percepiti nelle somiglianze e nelle differenze. L’approccio storico ci permette di cogliere il contesto culturale in cui si sono sviluppati il pensiero sull’alterità e il pensiero antropologico propriamente detto. Vedere quali siano stati i sistemi di valori e gli interessi economici e politici che hanno influenzato tale riflessione. Coscienza del fatto che la storia dell’antropologia tout court riguardano solo una parte dell’umanità. L’antropologia è nata dallo sguardo particolare che una specifica cultura ha rivolto alle altre culture. Fare la storia del pensiero antropologico equivale a fare ritorno alla società che esso ha dato origine, a interrogare i valori sociali e culturali che sono all’origine della visione dell’altro, la storia dell’antropologia fa dunque parte dell’antropologia culturale dell’Occidente. La maniera in cui l’antropologia ha compreso e interpretato le culture extra-europee ci da indicazioni sulla maniera in cui la stessa società occidentale si percepisce e si analizza. La storia dell’antropologia in quanto riflessione epistemologica sulla disciplina Il perchè e il come la cultura occidentale abbia prodotto gli etnologi. Per l’Occidente è un modo per confermare la propria immagine con quella di società differenti. La comparsa degli antropologi corrisponde a un bisogno di conservazione. Più la società industriale si faceva conquistatrice e distruttrice delle altre culture e della propria, più sviluppava il bisogno di conservare ed esporre i segni di queste culture. La società occidentale può essere ugualmente rischiarata a partire dalle analisi di certi fenomeni sociali esotici, che gli antropologi hanno compiuto in momenti diversi della storia coloniale. Contestualizzando le rappresentazioni dell’altro e analizzandone la produzione all’interno della relazione che le produce, si può pensare di raggiungere un grado di conoscenza dei rapporti interculturali più equilibrato e rigoroso che non rimanendo al livello di un solo discorso e di un solo sguardo. Da dove iniziare la storia della disciplina, ovvero il mito fondatore dell’antropologia La storia del pensiero antropologico, il problema che si pone è quello di sapere se è possibile individuare il momento in cui inizia l’impresa antropologica. Difficoltà di attribuire alla disciplina un’origine recisa, conviene porre il problema, che sia oggetto dell’antropologia, anche la società, o la comunità scientifica, degli antropologi possiede il suo o i suoi miti fondatori, che hanno un inizio. Assumeremo come punto di partenza della nostra riflessione storica il momento che la tradizione accademica fissa come inizio della storia della disciplina. Porsi di fronte al mito o ai miti fondatori della disciplina allo stesso modo in cui un antropologo farebbe di fronte ai miti fondatori delle società che è solito studiare, ovvero sottomettendoli all’interrogazione e all’analisi. I secoli che hanno preceduto il XIX furono certamente importanti per la comparsa del pensiero antropologico moderno. Non bisogna ignorare le difficoltà che hanno Pagina di 10 27 Dal locale al globale - antropologia accompagnato la comparsa di un idea chiara della problematica della diversità. Oggetti dell’antropologia sfuggono ogni analisi in termini di vero o falso. Il pensiero sull’alterità non si è progressivamente affinato fino a sboccare nel pensiero positivo moderno. Pensiero che ha conosciuto rotture. Il Rinascimento ha inaugurato un discorso articolato intorno alla scoperta di nuove umanità: l’alterità appariva come logica del diverso e l’impresa della sua descrizione come registrazione dell’esterno. Il XIX secolo scientista compie invece un appianamento dell’alterità, che fa l’antropologia essenzialmente in inventario descrittivo delle differenze. L’unità ecologia e ideologica dello spazio che è oggetto del discorso, un certo corpo di sapere costituito, una particolare configurazione dei rapporti fra l’universale e il diverso all’interno di questa civiltà, queste condizioni poi sono completamente trasformate. Capitolo 3 - l’antichità greca e il medioevo cristiano. La difficoltà dello sguardo sull’altro La figura del barbaro e il sentimento dello straniero nella Grecia antica Erodoto possiede una forte curiosità per le altre culture, che ne fa un autentico spirito indagatore. Nelle sue peregrinazioni registra le particolarità che incontra, si interroga sulle diversità che constata e confronta fatti apparentemente lontani. L’unità dell’osservazione diretta e della descrizioni si ritrova invece nella tradizione geografica ed etnografica araba del Medioevo. Erodoto attribuiva in larga misura più attenzione ai fatti che trascendessero ciò che è consueto, ai fatti non abituali ed eccezionali, che non alle abitudini e ai fatti normali che sostituiscono la trama della vita quotidiana dei popoli. I Barbari gli consentono di affermare e di valorizzare implicitamente la superiorità dei valori greci. Barbaro è una parola di origine greca che designava lo straniero, il non- Greco per eccellenza. Barbaro: onomatopea bla bla bla per imitare il rumore assordante di una folla lontana o il ritmo accelerato e incomprensibile delle parole di uno straniero. Il termine barbaro, si può dire che lo straniero era percepito come un bambino alle soglie della cultura, che balbetta una lingua poco comprensibile e dal quale non ci si può attendere opere importanti. Il medioevo cristiano: le figure del diavolo e del meraviglioso e il trattamento dell’alterità Il Medioevo cristiano fu un periodo di ripiegamento aperto alle influenze commerciali e alle spedizioni militari, ma d’origine intellettuali. Il Medioevo fu un teocentrismo chiuso alle realtà profane, aperto all’esoterismo e al meraviglioso e soggiogato delle figure del mostro e del diavolo. L’immaginario del Medioevo rappresentava al tempo stesso un mezzo di conoscenza della natura e una definizione dell’uomo e dei suoi saperi con Dio. L’immaginario costruito intorno al mostro era un mezzo per allargare la conoscenza del mondo profano, un modo per conoscere meglio l’universo. La figura del mondo stava a ricordare che l’uomo è fatto a immagine di Dio. Il mostro era dunque una sorta di specchio in cui l’uomo poteva misurare l’estensione della natura e dell’onnipotenza divina e ricordarsi di ciò che egli non doveva mai essere. Constatare che alcune rappresentazioni dell’infedele mussulmano che si facevano gli uomini del Medioevo si tradussero nelle figure del mostro. Eppure, quella arabo-mussulmana era una società più avanzata, e con cui il Medioevo occidentale intratteneva molteplici rapporti. Ciò nonostante, era percepita essenzialmente attraverso la figura dell’esclusione. Più in generale, erano il dogma e la scolastica cristiani a guidare in quest’epoca la percezione e l’interpretazione delle altre civiltà, e specificamente della vicina civiltà arabo-islamica. Le crociate non costituiscono affatto l’occasione per uno scambio culturale fra il Medioevo cristiano e quello mussulmano. Capitolo 4 - la tradizione geografica e storica del Medioevo arabo. Teocentrismo e trattamento dell’alterità nell’Islam L’islam produsse nella stessa epoca opere il cui contenuto ricorda la storia, la geografia, l’etnografia. I mussulmani di questo periodo non erano chiusi nei confronti delle differenze umane. Affermazione del trionfo di un messaggio religioso universalista. Lo sguardo arabo cercò di scoprire culture lontano di cui registrava le differenze, non tanto per farle aderire a se, quanto piuttosto per meglio situarle al di fuori di comunità dei credenti. Questo corpo di conoscenze si dispiegò essenzialmente nel campo della storia e della geografia. La tradizione dotta araba si caratterizza per una concezione geografica della storia e una concezione storica della geografia. La tradizione araba: un modo positivo di conoscenza Gli arabi, la geografia ebbe uno sviluppo vigoroso e continuo a partire dal VIII secolo fino alle soglie del XIV, la geografia si è definita come scienza totale. nell’Islam l’uomo è il riflesso dell’Universo, creazione divina che fli è interamente destinata. Uno stimolo importante per la geografia araba fu anche il dibattito intellettuale che si instaurò all’epoca intorno alla questione del ruolo e del posto nel mondo dell’uomo nuovo creato dall’Islam, ultima religione monoteista, e dalla sua espansione vittoriosa. Un’altra caratteristica, pur essendo di espressione araba, era scritta da mussulmani di ogni paese. I mussulmani del Medioevo avevano la convinzione profonda di appartenere alla medesima civiltà, la civiltà arabo-mussulmana, riflesso della volontà divina. Una geografia delle relazioni del mondo mussulmano con i suoi vicini immediati o lontani. Il sentimento dell’alterità e la misura delle differenze furono in larga misura il proposito di questa geografia. Due movimenti: il primo può definirsi come un viaggio dell’Islam al di fuori di se stesso, mentre il secondo è essenzialmente un viaggio dentro, all’interno di se. La geografia di viaggio, ovvero il principio di osservazione diretta La geografia di viaggio è guidata dal tema dello spaesamento e dello spostamento. Lo spostamento verso contrade sconosciute era ritenuto anche fonte di arricchimento culturale. Fra i viaggiatori si trovano in primo luogo marinai e commercianti, in secondo luogo emissari e correnti ufficiali incaricati di rappresentare l’Islam o di condurre inchieste in terre straniere. Una delle testimonianze più antiche e rappresentative dei racconti di viaggio di quest’epoca è l’anonima relazione sulla Cina e sull’India. La preoccupazione predominante è quella di registrare fedelmente la testimonianza diretta. Allo scopo di ridurre al minimo la parte del meraviglioso che poteva sedurre tanto colui che riferiva quanto il lettore, l’informazione consegnata dalla relazione non è demandata ai marinai ma ai mercanti, poiché hanno avuto la possibilità di vedere dal di dentro i paesi che hanno percorso. Le loro descrizioni si soffermano sull’organizzazione politica, economica, sociale e culturale dei paesi visitati. In questi racconti gli autori si impegnano a riportare precisamente le cose osservate, inserendole nell’ordine dell’itinerario percorso e del tempo reale vissuto. La loro preoccupazione principale è quella di enunciare fatti fondanti sull’osservazione diretta. Le opere perdono tuttavia in parte la loro obiettività: i criteri sono allora quelli della società islamica. Con il califfato ‘abbaside, l’Iraq occupava effettivamente un ruolo politico e culturale fondamentale nel mondo arabo-mussulmano. I geografi della scuola irachena riflettono questa posizione centrale al livello del loro sistema descrittivo. Questa geografia umana Pagina di 11 27 Dal locale al globale - antropologia cederà progressivamente il posto a una letteratura geografica che accentuerà il partito preso del riferimento a se stessa, fino ad attribuire priorità solo alle differenze che giudica come la più insolite rispetto alla propria norma. La geografia delle meraviglie, ovvero l’irruzione del bizzarro come misura dell’alterità Una geografia delle meraviglie si afferma durante i primi anni del X secolo, l’epoca in cui si consolida l’etica islamica ortodossa, dotandosi di un corpo di dottrine stabili. La figura di un Islam che si impone a tutte le altre nazioni, è forse all’origine dell’accrescimento della distanza fra il testimone e il soggetto osservato. Questo gusto ormai pronunciato per il curioso e il meraviglioso nella descrizione dello straniero sembra guidato dall’intima e superba convinzione dei mussulmani dell’epoca che l’autentica espressione dell’uomo si realizzi solo nell’Islam. L’insistenza sulla bizzarria degli eventi riportati e sul tema del bestiario, che mette in scena esseri ibridi, doveva costituire un repulsivo per il lettore mussulmano, invitato in tal modo a non identificarsi ne a ispirarsi allo straniero. La comparazione con il Medioevo cristiano e con le sue figure di mostro qui è d’obbligo. L’una e l’altra società contribuirono a far trionfare e a consolidare al loro interno i rispettivi valori e sistemi di credenze. La geografia dei masalik: osservazione diretta, visione globale ed etnografia La seconda tendenza che caratterizzò la geografia durante il X secolo consisté nella ripresa sistematica dell’osservazione diretta e personale, praticata presso di se, all’interno della propria società. Tradizione della geografia di viaggio quale era stata praticata agli inizi, per criticarla e sistematizzarla, e per comporre, a partire da essa, una geografia totale nel senso pieno del termine. Limitato l’interesse al monto dell’Islam provincia sottoforma di entità separata. Con la comparsa dei masalik, è come se la possibilità di una presa in considerazione della diversità interna dell’Islam si possa realizzare solo a partire dal momento in cui si afferma interamente la coscienza della sua unità. L’unità del mondo mussulmano, unità fattuale e spirituale, il quadro in cui è divenuto possibile descrivere e pensare l’eterogeneità del loro mondo. Autorizza ormai l’osservazione del diverso nel suo stesso seno. l’Islam si era preoccupato essenzialmente di scoprire e descrivere le altre umanità, poiché l’uomo nuovo creato dall’Islam costituiva in qualche modo il centro del mondo, il riferimento obbligato. Il genere dei masalik si offre come una monografia totale, che articola la provincia con l’insieme che lo ingloba. Al livello del locale, questo genere ritiene che tutto sia da scoprire, sotto la forma del vicino, del quotidiano, che devono essere sistematicamente registrati dall’osservatore. L’osservazione diretta metodologica fondamentale, che definisce la nuova geografia dei masalik. I masalik inseriscono l’osservazione dei fatti umani in un quadro appropriato. È un progresso decisivo rispetto ai metodi precedenti, poiché per la prima volta appare il concetto di paese definito interamente in termini di geografia umana o di geopolitica. Oltre a fondare le carte geografiche su una base più scientifica, i masalik inaugurano un progetto di ricerca ambizioso e totalmente nuovo, uno studio dell’uomo perfettamente consapevole di se e del proprio oggetto. Una volta delimitato nel tempo e nello spazio nel quadro dell’iqlim, vengono presentate annotazioni di tipo etnografico relative alle attività, agli atteggiamenti, alle mentalità e alle tradizioni degli abitanti. In tal modo si registrano e si descrivono le attività di produzione economica, gli scambi commerciali, le imposte, le monete,…. Fare della geografia un momento privilegiato del pensiero umano, in particolare sul campo della riflessione di tipo etnografico. Il genere dei masalik assume l’osservazione dei fatti diretta e senza intermediari, e l’unità di spazio e di tempo, regola che è la stessa dell’osservazione-partecipazione e del pensare etnografico, caratteristici della monografia britannica di campo. In secondo luogo l’idea che l’uomo non esiste se non in relazione con il mondo. Da questa centralità dell’uomo nella cultura deriva la finalità dei masalik, cioè la descrizione totale della vita degli uomini in società, il cui compito è fornire una descrizione sintetica della vita sociale. L’uomo come soggetto e insieme come oggetto della scienza del territorio, i masalik ne fanno l’attore e il riflesso dell’ordine del mondo. Infine, se i masalik è centrale la prospettiva comparativa, in generale nessuna gerarchia è stabilita fra le diverse province che sostituiscono l’impero mussulmano. Fatte le dovute proporzioni, ritroviamo qui una parte del procedimento che presiede dalla costruzione delle monografie di campo, le quali rappresentano altrettante descrizioni di società particolari. La geografia regionale e descrittiva della Rihla I secoli che seguono sono secoli di consolidamento. Compilazione e nel giornale di viaggio. Quest’ultimo genere registra e riporta gli avvenimenti osservati senza più preoccuparsi di una costruzione globale. La maggior parte dei grandi contributi di questo periodo viene dall’Occidente mussulmano. Il libro di Ruggero per accompagnare un grande planisfero in argento che l’autore aveva costruito per ordine di Ruggero II. Nei secoli XIII e XIV, la conoscenza degli Arabi in materia di geografia descrittiva e regionale si estende considerevolmente, con la comparsa su grande scala della letteratura di viaggio. Ibn Haldun, fondatore della scienza storica Nel XIV secolo costruì un moderno sapere di tipo storico e sociologico intorno all’opera di Ibn Haldun, si era definito esplicitamente uno storico critico, inventore di una nuova scienza storica consapevole di se stessa del suo oggetto e i suoi metodi. Questo progetto di una scienza storica non costituisce un evento del tutto insolito del contesto della civiltà araba. La storia ha sempre avuto una grandissima importanza. nell’Islam la comparsa di una concezione storica aperta dell’uomo e del suo destino distrusse la concezione clinica tradizionale e introdusse l’idea di evoluzione. Nella tradizione mussulmana, la storiografia è in parte scienza della religiose. Funzione religiosa fu rapidamente associata alle funzioni politico e militari che aveva come scopo quello di descrivere la prodigiosa espansione dell’Islam nel mondo, dai Pirenei ai confini del Turkestan. Contribuisce a spiegare perchè la geografia fu considerata come una parte della storia, e perchè fu fondamentale una geografia totale. Una teoria critica della storia Con Ibn Haldun formulazione rigorosamente scientifica del procedimento storico. La geografia umana araba assumeva già come oggetto l’uomo e il suo ambiente, ma Ibn Haldun il carattere interno della storia consiste nel meditare, nello sforzarsi di accedere alla verità, nello spiegare con sottigliezza le cause e le origini dei fatti, nel conoscere a fondo il perchè e il come degli eventi. Aveva consapevolezza dell’originalità del suo procedimento. Lo storico deve ricercare gli antecedenti logici ed empirici che li hanno resi possibili. Concezione di una mediazione logica nella storia induce Ibn Haldun a rilevare il carattere naturale proprio di ciascun fenomeno umano. In Ibn Haldun la procedura storica perviene a superare la forma esteriore degli eventi, per concentrarsi sulla determinazione profonda del reale. Passa dal piano di ciò che è manifesto al piano di ciò che è nascosto. La nozione di casualità è centrale nel pensiero di Ibn Haldun. La sua nozione di cultura organica si ritrova nell’antropologo britannico Taylor. Le nozioni di socialità e di solidarietà collettiva saranno sviluppate da Durkheim ne la divisione del lavoro sociale sotto la formula di solidarietà organica e solidarietà meccanica. Ibn Haldun contribuì a fondare l’autonomia dell’uomo, Pagina di 12 27 Dal locale al globale - antropologia selvaggio diventerà la rappresentazione dominante dell’altro. Rovesciamento legato alla trasformazione dei rapporti che l’uomo intrattiene con la natura. Il buono e il cattivo montanaro: un esempio storico di trattamento dell’alterità Regioni alpine rappresentare in termini di esotico e di selvaggio non è necessario portare lo sguardo troppo lontano. Mettere in evidenza la struttura soggiacente al sistema di rappresentazione che presiede l’approccio occidentale all’alterità. Le Alpi per originalità fisica, una specifica economia e un’originalità culturale e sociale. Queste categorie sono oggetto di interesse dietro i quali si profila tanto la figura del buon selvaggio, quanto quella del cattivo selvaggio, e spesso entrambe contemporaneamente. È in quest’epoca che cominciano a prendere forma le immagini relative alla montagna, fino ad approdare a una duplice figura: buono e cattivo montanaro, alla stessa maniera del buon e cattivo selvaggio. In un primo periodo dal 1750 al 1850 la figura del montanaro era valorizzata. Parallelamente alla nascita del sentimento della natura e della sua idealizzazione che il montanaro accede allo statuto di buon selvaggio. Va tuttavia accompagnandosi alla nascita e allo sviluppo dell’immagine opposta, quella del cattivo montanaro. L’impero napoleonico la montagna cominciava ad apparire allo sguardo esterno come una regione particolarmente abbandonata dalla civiltà. Più interventi di ogni genere sulla montagna, più il montanaro si trovava respinto sul versante della natura, questa volta una natura negativa. A partire dal 1850 si assiste al rafforzamento di questa immagine del cattivo montanaro. Qualcuno che aveva abdicato alla sua libertà di fronte ad una natura povera e rude, che era riuscito a modellarlo quasi interamente a sua immagine. Il montanaro che abitava in questo ambiente ostile non aveva ancora trasformato la montagna secondo i principi dell’industria moderna, non poteva apparire se non come essere attardato. Agli inizi del 20 secolo, dopo l’introduzione di numerosi interventi economici e politici ha prodotto degli effetti, accede all’umanità e alla civiltà. Egli diviene l’espressione di un certo numero di valori sui quali riposa l’identità nazionale elvetica, la semplicità e l’autenticità. Il contadino di montagna diviene il garante mitico contro un modello di vita cittadino, industriale e mercantile, detestato ma necessario e inevitabile. Il montanaro valore-rifugio contro le delusioni e le minacce. Il seicento e il progetto antropologico: la critica di se come premessa allo sguardo rivolto lontano La possibilità di andare alla scoperta dell’altro presupponeva una presa di coscienza critica di se e un dislocamento rispetto al proprio universo. È ciò che ha compiuto il secolo dei Lumi, anche se ciò avvenne a svantaggio del selvaggio. Le acquisizioni intellettuali del 18 secolo, possono essere rapportate ai seguenti elementi: emergere e l’affermarsi dell’idea di evoluzione e di relatività storica. Ripercorrere le tappe essenziali della storia umana; movimento collocare l’uomo in una sistematica genealogia che lo apparenta all’ordine naturale; affrontato ed esplicito problematiche fondamentali dell’antropologia moderna come quella del decentramento. Le proprietà universali dell’umanità non possono essere comprese se non attraverso l’osservazione delle diversità e delle particolarità delle società. È attraverso la comparazione che si può pretendere di misurare tanto le differenze fra gli uomini, quanto le somiglianze che li uniscono. Capitolo 7 - idee evoluzionistiche e rapporti di dominio del 19 secolo. Le condizioni per l’emergere del sapere antropologico moderno Gli elementi di un nuovo paradigma Diversi elementi hanno contribuito a realizzare questa tappa, rovesciando le mentalità e i modi di pensiero: - la nascita di un nuovo concetto di uomo. Prima rientrava nel campo della metafisica o dell’etica, parte integrante della natura e della meccanica sociale. L’uomo si concepisce come oggetto sociale. L’uomo scende dal suo piedistallo e studiarlo non è più vietato. - All’origine di questa nuova concezione due eventi fondamentali: la rivoluzione industriale nata in Inghilterra e la rivoluzione politica francese. Uomini agenti della trasformazione del mondo. Milioni di individui trasportati nei nuovi spazi urbani e industriali, intere comunità sono scosse nel loro equilibrio secolare, nuoce relazioni sociali fondate sull’anonimato del capitale e del lavoro salariato L’idea che il destino dell’uomo non è affatto scritto in anticipo, ma si determina all’interno dei conflitti del campo sociale. Misurare l’uomo diventava una necessità pratica e al tempo stesso un’esigenza intellettuale. La questione della conservazione, della distruzione e dell’evoluzione della società di trasformasse in ricerca scientifica. Meno importante, ma comunque decisiva, fu la scoperta della parentela fra il sanscrito, lingua indoeuropea originaria fu il punto di partenza per un’analisi sistematica delle evoluzioni successive relative all’insieme delle lingue dello stesso ceppo. Nel 1822, von Humboldt, ricerche introdussero con forza l’idea della storicità delle culture e delle società e furono all’origine delle procedure scientifiche di classificazione e di comparazione. Un ultimo evento per la rottura intellettuale ed epistemologica che è all’origine del sapere sociologico e antropologico: l’uomo era contemporaneo di mammiferi scomparsi da migliaia di anni. Il 1859 è l’anno che segna il periodo in cui la riflessione sull’uomo, sulla sua società e sulla sua evoluzione diviene interamente oggetto di scienza. L’efficacia scientifica conferire sistematicità alla riflessione, essendo principio di metodo. Le idee evoluzioniste fra ideologia e scienza Le idee evoluzioniste impregnano profondamente tutti gli ambienti dotti della seconda metà del 19 secolo. Spencer comincia a pubblicare del 1876 i suoi principi di sociologia. Per dar conto della dinamica della società, si ispirò direttamente alla biologia e postulò che l’evoluzione sociale poteva essere assimilata all’evoluzione organica. Alla legge dell’eredità dei caratteri acquisiti presa in prestito dalla biologia, aggiunse un’altra legge, quella di un progresso continuo e inarrestabile, farebbe passare le società da uno stadio primitivo a stadi sempre più complessi. Si fonda du null’altro che una sorta di trascendenza che il pensatore presuppone, ma di cui non ci svela l’esatta natura. Spencer è all’origine dell’evoluzionismo sociale, più tardi chiamato darwinismo sociale. Darwin quella di cercare di sottoporre sistematicamente alla valutazione critica dei fatti l’ipotesi della selezione. La scoperta da parte di Darwin dei principi dell’evoluzione fu realizzata sulla base della ricerca di una casualità temporale. Darwin si impegna a dimostrare l’unità fisica delle specie. Ricollocando l’uomo nella natura, egli mostra che anche l’uomo è soggetto, al pari degli altri organismi viventi alle leggii della selezione naturale. Pur rilevando che l’idea di selezione è all0origine della credenza. Il suo principale apporto al livello di principio euristico: quelli di ricercare le causa di un fenomeno nel campo stesso in cui questo fenomeno si manifesta. Principio sarà ottimamente esplicitato da Durkheim: la regola sociologica fondamentale consiste nello spiegare un fatto sociale dato a partire esclusivamente da un altro fatto sociale. Pagina di 15 27 Dal locale al globale - antropologia Le idee evoluzioniste: dalla razza alla cultura Il passaggio dalla nozione di razza a quella di cultura è stato Broca a definire per primo l’oggetto dell’antropologia sotto forma di un sapere scientifico. Concepì come la descrizione particolare e la determinazione razze, lo studio delle loro somiglianze e delle loro diversità, sotto l’aspetto dello stato intellettuale e sociale. Egli fondò la craniologia. La craniometria fiorirà per tutto il corso del 19 secolo, portata avanti da numerosi studiosi americani, i quali intervennero in prima persona nelle politiche di immigrazione attuate dalle autorità federali statunitensi. Limitavano l’ingresso a razze inferiori privilegiando l’immigrazione della razza nordica. Antropologia criminale italiana: Lombroso, pretesa di individuare in anticipo i criminali e gli anormali, cos’ da prevenire gli atti delinquenziali. Niceforo pretendeva invece di intraprendere uno studio naturale degli operai allo stesso modo in cui la zoologia studia gli animali. Quanto all’alterità esotica, viene ugualmente naturalizzata nel quadro delle esposizioni universali o coloniali. La critica alla nozione di razza verrà dalla scuola sociologia di Durkheim, era necessario desacralizzare la nozione di razza, alla quale il senso comune accordava una valenza esplicativa. L’inanità di una spiegazione basata sulla stretta relazione casuale tra fenomeni esterni e semplici, impone un discorso per cui un carattere anatomico abbastanza fisso per fungere da carattere di razza deve essere privato di qualsiasi significato intellettuale o morale. Durkheim e Mauss ricorreranno al termine civiltà per caratterizzare lo studio sociologico delle produzioni umane. Mauss non esistono popoli non civilizzati, esistono invece popoli di diversa civiltà, l’ipotesi dell’uomo naturale deve essere definitivamente accantonata. In UK Tylor elabora il concetto di cultura: insieme complesso che include arte, morale, diritto, costume e acquista all’uomo in quando membro della società. Anche qui l’antropologia amplia due volte la nozione di cultura. In primo luogo ingloba le produzioni umane nella loro interezza, in secondo luogo viene esteta a tutta l’umanità. L’antropologia riconosce la cultura come dato universale. L’evoluzionismo come contenuto e l’evoluzionismo come metodo: l’esempio di Lewis Morgan Morgan il primo vero antropologo ad aver messo in pratica i principi dell’evoluzione dello studio delle società considerate come produzioni sociali e culturali. Il primo a raccogliere dati sul campo e a valutare le sue ipotesi ritorni presso i suoi ospiti, in secondo luogo si propose di ricostruire la storia dell’evoluzione umana. Morgan distingue ciò che chiama le arti di sussistenza del campo delle istituzioni sociali. Il materialismo storico mostra l’importanza dei fattori tecnologici e delle condizioni economiche e sociali nella definizione delle società. Esso mette in evidenza le relazioni dialettiche che legano la base materiale o l’infrastruttura alle strutture giuridiche, politiche e ideologiche. Morgani tre stadi per l’evoluzione dell’umanità. Lo schema evolutivo di Morgan può essere un quadro teorico la cui funzione principale è quella di organizzare il caos dei dati sparsi accumulati fino ad allora, e permette di pensare in una maniera logica la storia dell’umanità. Analisi sistematica dei fenomeni di parentela, di matrimonio e di famiglia. Morgan comprese per primo che la relazione di parentela e di matrimonio, in una società data, formano un sistema coerente al quale va a corrispondere un sistema terminologico. L’adozione di una prospettiva storica ha consentito un’aumento profondo dello sguardo rivolto all’uomo. Sapere e potere: le condizioni politiche e ideologiche della conoscenza antropologica Il cambiamento di paradigma all’idea di evoluzione, e la riflessione di tipo antropologico sono diventati possibili grazie a un altro evento socio-politico fondamentale: l’imperialismo europeo. L’antropologo seguiva le orme del militare e del missionario nei territori da colonizzare. È l’epoca in cui si cominciavano a concepire e a organizzare grandi spedizioni di ricerca scientifica. Le ricerche avevano come finalità quella di rispondere ai bisogni d’ordine strategico, economico, politico e culturale. Tutte queste preoccupazioni dovevano tradursi in una conoscenza oggettiva, in risultati tangibili e necessitavano una riflessione più centrata sull’inchiesta sul campo, sulla valutazione e l’analisi di situazioni empiriche. Si comprende difficilmente che la scienza possa nascere e svilupparsi su un fondo di interessi politici ed economici. Il sapere partecipa del potere, non nel senso che ne sarebbe semplicemente il riflesso, ma ne è al centro. Il potere si esercita come tecnica di potere e come produzione di sapere. Le scienze umane sono nate da questa configurazione di rapporti fra potere e sapere. L’economia politica tratta della razionalità economica, il mercato libero e concorrenziale si sono sviluppati e consolidati. La psicologia si è dedicata a misurare le attitudini degli individui a comprendere, a esprimere e a operare, mentre nel contempo ha definito le soglie di intelligenza e quozienti intellettuali. La sociologia si è sforzata di studiare le nuove grandi funzioni sociali e i nuoci processi di integrazione messi in atto dalla società industriale moderna, privilegiando la dimensione dell’equilibrio e dell’armonia a detrimento del conflitto e della rottura. l’antropologia: scienza pratica dell’alterità esterna e dell’alterità interna All’antropologia si può leggere la stessa storia dei rapporti si dominio fra centro e periferia e delle loro trasformazioni successive. L’etnologia delle popolazioni rurali europee fu ispirato dai poteri centrali, desiderosi di conoscere meglio le culture popolari locali al fine di meglio controllarle, reprimerle o normalizzarle. La sua reale strategia era piuttosto quella di raccogliere dati e le informazioni necessari a mettere in evidenza la varietà delle situazioni locali e circoscrivere gli scarti e gli ostacoli che le separavano dal progetto di unificazione e di costruzione della nazione francese che si andava realizzando. Capitolo 8 - il pensiero evoluzionista in antropologia. Portata e limiti Il paradigma evoluzionista in antropologie e le critiche ad esso Dalla seconda metà del 19 secolo le scuole evoluzioniste avevano lo scopo essenziale quello di cercare di interpretare le istituzioni tanto dal punto di vista della loro origine, quanto quello della loro evoluzione nel corso del tempo. Questa ricerca intorno all’origine si accompagnava necessariamente a una preoccupazione classificatoria e comparativa. Ci si dedica allora alla ricerca di similitudini e a numerose classificazioni guidate da criteri generalmente assunti dal vocabolario ideologico europeo. L’evoluzione sequenza unica e lineare di cambiamenti cumulativi e irreversibili. I tre stadi della magia, della religione e della scienza come le tre tappe che segnano l’evoluzione delle forme di pensiero e delle forme di società. L’evoluzionismo unilineare non è che la conseguenza di tutto il movimento di idee del secolo; vi si sente l’eco della fede nel progresso continuo dell’umanità. Durkheim ha in effetti tentato di inserire in un’evoluzione dal semplice al complesso e dal meccanico all’organico fatti sociali di cui ha compiuto illuminanti analisi: egli cercava infatti nelle società primitive le strutture elementari delle società umane. Durante lo stesso periodo, compreso tra il 1880 e il 1930, si ebbero numerosi tentativi di reazione contro le scuole evoluzioniste. Nessuno di essi costituì realmente un nuovo punto di partenza. La corrente diffusionista nasce come reazione all’idea di uno sviluppo unilineare delle società. Il processo di sviluppo contatti più o meno accidentali tra la società. Le suole diffusioniste si sono spesso accontentate di similitudini e differenze formali e il più delle volte superficiali. Boas Pagina di 16 27 Dal locale al globale - antropologia un’altra corrente di idee: scuola culturalista americana. Particolarmente eccessiva rifiutare a priori la stessa possibilità di scoprire un ordine o un principio organizzatore nell’insieme composito delle istituzioni e dei costumi umani. Necessità di una descrizione etnografica priva di una teoria preconcetta e di un progetto di spiegazione globale, avanzando l’idea che ogni cultura umana ha la sua storia specifica. Questa debolezza teorica non deve far dimenticare che essi furono eccellenti etnografi. Grazie all’attenzione particolare rivolta ai metodi di raccolta dei dati, hanno potuto fornire rimarchevoli descrizioni di numerose istituzioni sociali e culturali, continuano a basarsi le teorie antropologiche contemporanee. Il pensiero evoluzionista e il progetto antropologico Al pensiero evoluzionista che aveva un contributo decisivo all’antropologia. Per la prima volta si è cercato di trovare una spiegazione logica alle somiglianze regolari che si osservano fra società diverse, spesso lontane sul piano storico e geografico. Due principi: 1. Sull’idea di unità del genere umano, prima applicazione nel campo della riflessione scientifica; 2. Elementi identificabili in un insieme coerente suscettibile di un trattamento logico e di portata universale. Nel campo della parentela, ha consentito di raccogliere, comparare, classificare e spiegare dei dati etnografici fino ad allora molto sparsi. Progetto fondamentale dell’antropologia, la corrente evoluzionista troppa importanza alle similitudini fra le istituzioni, i costumi, le credenze, a sistematico detrimento delle variazioni e delle differenze. Le teorie evoluzioniste registrano la diversità delle situazioni storiche dei popoli solo per meglio fissare le tappe di un’evoluzione storica supposta. Gli antropologi evoluzionisti combinarono una nozione storica particolare, quella i progresso, con la nozione di legge scientifica, che ritenevano fosse possibile astrarre dall’osservazione delle società umane, le quali erano concepite come dei sistemi naturali evoluti. Finirono per identificare le relazioni logiche con le nozioni storiche necessarie. È di qui che discende il fatto che gli antropologi dell’inizio del secolo scorso credevano che le società primitive fossero reliquie dei primi tempi dell’umanità. Per rompere questo rigido evoluzionismo fu necessario articolare in altro modo il rapporto fra l’unità e la diversità dell’umanità e dargli un altro contenuto. Capitolo 9 - Malinowski e l’antropologia di campo. La rivoluzione scientifica La rivoluzione scientifica di Malinowski La prospettiva di Malinowski chiamata funzionalismo, risulta scomparsa di ogni interesse per la ricostruzione storica delle società del passato secondo un’evoluzione lineare e dall’urgenza dell’indagine sul presente a partire dalla presa in considerazione della singolarità e della specificità di ogni cultura studiata. Nuova idea scientifica l’immagine di uno studioso di buona formazione che penetra in una società omogenea per diventare l’interprete autorizzato. Il nuovo obiettivo è quello di svelare la vera mentalità indigena e di abbozzare un quadro autentico dell’esistenza tribale. Con Malinowski sconvolgimento dello sfondo filosofico dell’antropologia. Malinowski esigenza fondamentale dell’indagine antropologia l’autonomia e la specificità di ogni configurazione culturale. Non è possibile che esistano società composte di individui pre-razionali, non si danno popoli-bambini. La teoria psicoanalitica ha messo in evidenza lo spessore psichico e storico dell’uomo e perciò ha avuto razione della visione etnocentrica dell’uomo occidentale come essere più razionale degli altri. Malinowski ispirazione sociologia francese. L’opera di Durkheim elemento fondamentale: importanza del contesto sociologico nella spiegazione dei fattori sociali. Duplice prospettiva il pensiero di M: da una parte, tentare una spiegazione globale dell’uomo e della sua cultura attraverso l’insieme delle loro dimensioni e, dall’altra, essere attenti alle singolarità e particolarità di ogni cultura, salvo cercare più tardi delle leggi più generali e universali. Il lavoro intensivo sul campo e la nuova autorità in antropologia M ha dato un posto fondamentale all’inchiesta sul campo. Il metodo osservazione-partecipazione lunga durata dell’etnologo sul campo, anche specifiche procedure di inchiesta, hanno un’influenza sulla riflessione teorica. Con M convincere i suoi lettori che la etnografie che egli fornisce sono il risultato di una ricerca oggettiva, non il prodotto di una soggettività. L’argomento dell’auto-referenzialità diventa uno dei pilastri dell’autorità della nuova antropologia. La sua epistemologia contemplativa perviene a un metodo induttivistico che amalgama l’esperienza personale con lo studio metodico della realtà e trasforma la teoria in una sorta di registrazione strumentale del reale. L’individuazione dell’oggetto è all’origine del suo secondo principio metodologico: l’analisi funzionale, la quale postula che la spiegazione dei fatti antropologici attiene al contributo di ciascuno degli elementi al tutto culturale, ma anche al modo in cui questi si dispongono gli uni in rapporto agli altri nel sistema. Il metodo di M porta così a mettere in evidenza i fenomeni più significativi della vita sociale, quei fenomeni che più tardi Mauss qualificherà come fatti sociali totali. Malinowski precursore dell’antropologia economica Sul piano teorico, il contributo di M è più controverso. M rifiuta tutti i pregiudizi allora correnti sulla società primitiva: tanto il suo carattere pre-economico quanto il suo carattere di economia di sussistenza. M rileva la complessità di questa economia l’esistenza di strutture elaborate per organizzare la produzione, lo scambio e il consumo dei beni. Per M si dona per ricevere. Questa prospettiva annuncia gli sviluppi ulteriori di Levi-Strauss della nozione di reciprocità. infine, le acute analisi di M mostrano che la motivazione puramente economica è assente presso i popoli selvaggi, la motivazione economica non si distingue da motivazioni d’ordine sociale come il prestigio, la distinzione, l’alleanza o il potere. L’economia non sostituisce una sfera indipendente dagli altri aspetti della vita sociale. M è l’iniziatore dell’antropologia economica, che consiste nel partire dalla conoscenza acquisita nelle cosiddette società primitive o tradizionali per interrogare le realtà della società industriale su basi diverse dalle proprie. L’iperfunzionalismo di Malinowski: circolarità, teologismo e strumentalismo Il contributo di M alla riflessione teorica non si riassume soltanto in questo apporto che ha marcato profondamente il pensiero antropologico. M afferma l’unità della forma e della funzione. La produzione di un oggetto, così come la forma che assume sono sempre determinati dal suo impiego. Fa apparire la funzione come una nozione intermedia fra il biologico e il sociale. M assegna alla diverse istituzioni la rigida funzione p ruolo di soddisfare questi bisogni fondamentali. La cultura appare così come un assemblaggio di istituzioni il cui funzionamento corrisponde sempre alla soddisfazione di un bisogno. La sua spiegazione funzionale è spiegazione causale non già dell’antecedente, ma soltanto della conseguenza. Questo approccio soddisfazione dei bisogni fondamentali effettivamente una necessità universale per ogni forma di vita e non soltanto della vita sociale. Il ragionamento di M è interamente teologico, perchè attribuisce a ogni istituzione una intenzionalità sociologica. La visione della società come una struttura armoniosa, in cui ciascun elemento adempie a una funzione precisa e in cui sono fondamentali le nozioni di equilibrio Pagina di 17 27 Dal locale al globale - antropologia la complessità e la ricchezza del suo pensiero. L’antropologia strutturale come un approccio che ha estromesso la storia e il cambiamento. Interdetta ogni possibilità di prendere in considerazione le straordinarie mutazioni sociali, politiche e culturali della storia contemporanea. L’antropologia strutturale è rimasta lontana dalla riflessione sui più importanti processi della nostra epoca. PARTE 4 Capitolo 1 - il locale e il globale. Una nuova articolazione del progetto antropologico La crisi dell’antropologia negli anni 60 non dipendeva soltanto dei limiti interni alla disciplina, ma era determinata anche dalle generali condizioni economiche, politiche e sociali. Una nuova dialettica fra l’unità e la diversità A partire dalla fase degli anni 50 dello scorso secolo, assistiamo a un processo di uniformazione su scala planetaria. È caratterizzato dall’egemonia di certi comportamenti e valori propri della società industriale moderna. Noi vediamo apparire ovunque nel mondo un modello uniforme di sviluppo, basato esclusivamente sulla crescita e sulla produzione economica. È rivendicato ugualmente dai paesi di recente indipendenza detti in via di sviluppo. Particolarità quella di fondarsi su pratiche economiche e culturali unificanti. Parallelamente a questo movimento altro fenomeno consiste nell’impennata delle rivendicazioni delle diversità. Ricerca accelerata della diversità su basi talvolta del tutto nuove: - affermazione di principio nelle dichiarazioni generali emanate da organizzazioni internazionali, cooperative e aiuto economiche, nuove vie di sviluppo compatibili con la pluralità delle culture. - Modello di consumo della società industriale moderna, ricerca della diversità è ugualmente al centro di numerosi comportamenti e aspirazioni. Diversità vissuta direttamente nell’atto del consumo. Il rapporto con la diversità consiste nel consumare o appropriarsi di segni capaci di distinguere il consumatore dal suo immediato vicino. Turismo di massa, restaurazione fittizia delle caratteristiche etniche. Le forme etniche sono collocate in una rete globale di interazioni in cui gli attributi rispettivi dei gruppi sono utilizzati come altrettante armi retoriche nelle strategie concorrenziali del mercato. - Ricerca della diversità certe minoranze, l’esigenza della differenza è un problema di identità: insieme di pratiche e di valori in rottura con il modello o i modelli dominanti che li circondano. Oggetti tradizionali sono scompaginati e tendono ad essere storicizzati. Un movimento storico unificatore sempre realizzare l’ideale universalista della corrente di pensiero evoluzionista. Il modella della società industriale moderno sembra unificare il destino dell’umanità nel suo insieme. Le critiche all’antropologia e i loro limiti La rimessa in discussione dell’antropologia ha assunto la forma di una critica sistematica della disciplina. Discussione diverse direzioni. Sul piano teorico numerosi concetti e formulazioni. inoltre, si affrontò su basi nuove il problema della definizione dell’oggetto e del rapporto dell’antropologo con il campo d’indagine. Sul piano etico e politico, le posizioni erano più nette. Letteratura sui fenomeni di etnocidio, in cui vari autori denunciano vigorosamente le distinzioni passate e presenti della società e delle culture da parte di diverse forze. Una nuova problematica per l’antropologia: il locale e il globale Occorre che l’antropologia rifletta sulle strutture espansionistiche e unificatrici che si affermano attraverso l’azione contemporanea di forze culturali, economiche e sociali; dall’altra parte, sui processi di cambiamento, di continuità e di resistenza che si manifestano parallelamente e in margine a tali strutture. La stessa società moderna e gli stessi suoi settori più avanzati devono essere a loro volta indagati dall’antropologia, poiché essi sono all’origine di nuove diversità e di nuove dinamiche socio-culturali. Capitolo 2 - storicità degli oggetti tradizionali dell’antropologia L’allargamento dell’oggetto dell’antropologia presuppone anche la sua storicizzazione. Insistere sulla dimensione storica non consiste nell’andare semplicemente a cercare nel passato ciò che può rendere conto dell’identità presente di un gruppo. La storia deve apparire come il quadro in cui si è dispiegata e sempre si dispiega la dinamica dello scmabio fra i sue livelli del locale e del globale, la storia deve costituire soprattutto un quadro logico per la comparazione e la comprensione delle diverse forme sociali e culturali. Per comprendere il presente sociologico, la storia appare indispensabile. Le forze storiche di integrazione e di unificazione delle società tradizionali periferiche I processi di unificazione hanno un’origine storica: la società industriale del 19 secolo e i numerosi sviluppi che essa ha conosciuto in seguito. Occorre evitare di concepirle come figure massive e onnipresenti che si sarebbero imposte con la forza dell’evidenza a coloro che ne sperimentavano gli effetti. Se lo Stato e il mercato sono figure importanti per le società industriale, altre istituzioni, come la Chiesa, hanno giocato un ruolo non trascurabile. Lo stato-nazione si è costituito in Europa intorno all’idea di uno spazio geografico e simbolico unificato che garantisce una serie di valori e di pratiche comuni. I suoi aspetti più importanti sono costituiti dell’uniformità delle leggi. La costruzione dello stato-nazione si è diversificata da un paese all’altro, da una regione del mondo all’altre, presto strade e forme diverse. La logica soggiacente è la stessa. Sono generalmente accompagnate da: riduzione dei particolarismi politici, una riduzione dei particolarismi culturali; una riduzione dei particolarismi linguistici (un dialetto o una lingua sono promossi a lingua ufficiale a livello nazionale, la cui gran parte non è insegnata e quindi tende a scomparire. Le culture e le tradizioni orali che non hanno la legittimità di potere e dell’ufficialità si trovano a loro volta ad essere marginalizzate). Quest’ultimo rilievo introduce una figura importante: il mercato. L’identificazione degli interessi dello Stato-nazione con quelli del mercato è tale che spesso è difficile fare distinzione fra le due istanze. È evidente nei paesi del terzo mondo. La convergenza fra lo stato-nazione e il mercato si manifesta oggi ugualmente tramite l’importanza che assume l’economia nel discorso politico. Il mercato può essere definito come l’incontro di un’offerta e di una domanda di beni e di servizi. È l’insieme delle transizioni che si stabiliscono, per il tramite del valore-moneta, fra gli individui o fra i gruppi separati di individui che cercano di scambiare i loro beni e i loro servizi. Esso presuppone: - uno spazio territoriale uniforme in cui possiamo esercitare liberamente le transizioni - Uniformità di leggi e di regole che consentano agli individui d’incontrarsi e di scambiare su basi comuni Pagina di 20 27 Dal locale al globale - antropologia - Accesso per tutti a questo mercato uniforme, cose che esige la libertà di circolazione per tutti i cittadini - Universalità della transazione monetaria Il mercato è per sua natura unificatore, la logica mercantile penetra tutti gli spazi della società per irrompere i suoi valori e le sue pratiche e per cancellare o marginalizzare le strutture economiche, sociali e culturali che si sottraggono da essa. La convergenza dello stato-nazione e del mercato ha punti comuni: funzionano sulla base della stessa nozione di territorialità, stessi valori e stessa ideologia. Permetterà di mettere meglio in evidenza la convergenza delle rispettive strategie dello stato e del mercato. Interventi esterni e storicità della montagna Sin dall’inizio del 19 secolo, l’autorità centrale interviene al livello delle collettività locali, in nome delle uniformità delle leggi e del ruolo. Introduzione della fiscalità sotto forma di imposte individuali; creazione di fondazioni per venire in aiuto ai poveri, orfani e vecchi; la condanna dello charivari, che costituiva una sorta di disordine rituale e la sua sostituzione con il versamento di una somma di denaro da parte delle persone interessate; leggi e regolamenti per sopprimere i banchetti funebri, considerati occasione di spreco e bagordi, sostituiti dal principio della colletta per i poveri, la festa doppiamente perturbate: impoveriva le persone che vi si dedicavano e incoraggiava la proliferazione di mendicanti attirati dalla distribuzione di pane, formaggio e vino; propensione della popolazione alla festo-mania, preoccupazione costante per l’autorità politica, la chiesa cattolica fu indotta a sopperire numerose feste. Le finalità dell’intervento dello stato sulle collettività di montagna nel corso del 800 sono consistite nel suscitare e accelerare un processo di individualizzazione che andava di pari passo con la diminuzione dell’intensità delle pratiche comunitarie. A partire dalla fine del 19 secolo, gli interventi dello stato tendono sempre di più a esprimere le necessità dell’economia di mercato. Ormai la parola d’ordine ufficiale è industrializzare le collettività di montagna, al fine di introdurvi le nuove abitudine di ordine, esattezza, lavoro intensivo, economia necessarie alla nuoca società. La constatazione della povertà e dell’arretratezza della montagna è anzitutto una constatazione ideologica, che prepara la strada all’integrazione. A partire dagli anni 50 del 900, la montagna vede impiantarsi strutture di tipo urbano. La pianificazione del territorio, il rimaneggiamento parcellare. Anche i modi di vita si uniformano. I modelli di comportamento e le aspirazioni assomigliano sempre di più a quelli della città. La stessa agricoltura di montagna diventa una funzione secondaria del sistema economico. Forze di integrazione e cambiamento sociale nelle società tradizionali esotiche In altre regioni del mondo constatiamo che sono operanti le medesime tecniche di intervento, con i loro effetti di unificazione dei comportamenti, di individualizzazione e di monetizzazione dei rapporti sociali. Allo stesso modo il regresso della socialità comunitaria, l’attenuazione dei particolarismi locali e la cancellazione progressiva della coscienza etnica. Nei paesi colonizzati oltremare la fiscalità du una delle prime misure adottate. Imposta pro capite assolveva diverse funzioni. Contribuiva: a controllare politicamente i paesi; a fornire manodopera alle imprese minerarie e alle piantagioni installate dagli europei; creare un mercato a livello globale. Accanto alla fiscalità c’è stato anche il lavoro forzato. “Il lavoro forzato è una forma privilegiata di educazione, al fine di indurre il primitivo al ruolo di produttore-consumatore”. Agli inizi del 20 secolo, l’indigeno della Papuasia era ritenuto congenitamente pigro. Gli amministratori coloniali trasformarono il lavoro forzato nelle piantagioni in fattore nobilitazione degli indigeni i quali, grazie ad esso, potevano infine conquistare le virtù di industriosità degli europei e i meriti della civiltà. La fraseologica selle virtù civilizzatrici del lavoro si mette in atto una duplice strategia. Da una parte, insegnare agli indigeni la disciplina imposta e l’obbedienza, dall’altra inculcare i valori mercantili, cioè la facoltà sia di produrre sia di parteciparvi, indigeno un elemento certamente al fondo della scala sociale, ma indispensabile alla macchina economica coloniale. Misure quali la fiscalità si giunge a sconvolgere assai profondamente i modelli si socialità in origine completamente estranea al sistema industriale. Alpi Vallesi si osservarono l’allentamento dei legami di reciprocità e di mutuo soccorso, la cancellazione dei modi di comunicazione, redistribuzione delle ricchezze e la sostituzione verso l’individualismo, l’accumulazione e il profitto. La repressione indistintamente chiamata potlach cominciò verso la fine del 20 secolo. Gli argomenti adottati per proibire il potlach si collocano tanto nel campo della morale quanto in quello dell’economia. Il termine civiltà rimanda all’etica protestante e ai valori capitalistici diffusi. Più tardi, l’argomentazione economica si fa più diretta e più pregnante. Il potlach appare allora come un costume insensato, inutile e depravante. Il governo federale del Canada promulga, nel 1884, una legge che stabilisce che ogni indiano che intervenga o assista a una manifestazione indiana conosciuta con il nome di potlach è consapevole di crimine e passibile carcerazione. Alcuni ignorarono la legge, altri protestarono, ma nei fatti tale pratica entrò in clandestinità. Il potlach rappresentava un’istituzione centrale nelle società della costa nordoccidentale americana: era una cerimonia festiva e nel contempo una cerimonia religiosa, un mezzo per distinguersi politicamente e un mezzo per redistribuire le ricchezze all’interno del gruppo. L’esempio mostra che il processo di imposizione si accompagna sempre a processi di resistenza. Capitolo 3 - la dinamica del cambiamento sociale Il problema della dinamica dei fenomeni di resistenza è stato il più delle volte ignorato dall’antropologia classica. Alla sociologia di sviluppo il suo approccio a questi fenomeni è stato particolarmente riduttivo. Negli anni 60 del secolo scorso la sociologia dello sviluppo ha teso ad analizzare negativamente i processi di cambiamento che non rientravano nel quadro delle previste trasformazioni economiche e culturali del modello standard adottato. Le trasformazioni più o meno massicce introdotte o imposte e le dinamiche sociali. È un rapporto che non può essere ridotto, modo per nascondere la complessità e la diversità delle varie situazioni di cambiamento e un’incapacità teorica di renderne conto. È solo prendendo in considerazione le strutture globali che si può sperare di illuminare in maniera coerente le situazioni di sviluppo e di cambiamento sociale e culturale. All’analisi antropologica interessano le situazioni dinamiche che risultano da un tale confronto. L’antropologia coglie la problematica del cambiamento nel modo seguente: - studiare i processi contemporanei di uniformazione consiste nel valutare in quale misura le società e le culture possano somigliare e identificarsi con un medesimo modello di organizzazione socio-economica e politica. - L’analisi dialettica di queste dimensioni conduce a riflettere sul modo in cui le società si pensano e si producono. Essa consente di porre la questione di cosa conferisca senso a una società. L’interrogazione si rivolge a ciò che definisce la relativa coerenza di una cultura, di un gruppo sociale o di una comunità, senza dimenticare le contraddizioni sociali, le forme politiche di dominio, i conflitti economici e le soglie di rottura. Pagina di 21 27 Dal locale al globale - antropologia Rapporti di lavoro salariato e permanenza delle relazioni sociali Primo esempio l’insieme degli atteggiamenti nei confronti del lavoro salariato, l’introduzione del lavoro salariato costituito un mezzo privilegiato per la penetrazione coloniale e per l’integrazione delle zone marginali nel sistema capitalistico nazionale e internazionale. Mostrano che è diffusa la tendenza a inserire il lavoro salariato nello scambio reciproco e nel quadro di relazioni sociali permanenti. Gli Orokaiva della Papua Nuova Guinea ritengono che il loro lavoro sia una lunga serie di doni offerti ai datori di lavoro, che da loro il diritto morale di aspettarsi una serie di contro-doni di cui il salario costituisce solo una parte. I Nasioi della Papuasia considerano la remunerazione del lavoro come simbolo di generosità e di prestazioni consuetudinarie. Presso i Panare dell’Amazzonia il salario è percepito come un controdono parziale che viene concordato in cambio di un servizio reso. Uso della moneta e logica tradizionale dello scambio: l’esempio del sistema cerimoniale moka Questa attenzione verso la morale della reciprocità e la conservazione di una socialità diretta si ritrova anche al livello di certi modi di utilizzazione della moneta di origine occidentale, deviazione della funzione simbolica abituale e del suo inserimento nella logica di scambio tradizionale. Melanesia il lavoro salariato senza adottare i valori e i comportamenti individualistici che abitualmente scaturiscono dai rapporti sociali mediati dal denaro. Presso i Melpa di Mount Hagen che possiedono un sistema cerimoniale elaborato, detto moka, moneta realizza aggiustamenti interni atti a garantire una continuità culturale e sociale. I big men decisero di introdurre il denaro nel sistema moka e di accelerarne la circolazione al fine di impedire ogni accumulazione che non avesse finalità ostentatrice. Il denaro messo direttamente in circolazione, sotto forma di biglietti, è un mezzo per acquistare dall’esterno tradizionali beni di valori come i maiali. L’accrescimento della cultura commerciale della regione, le nuove disponibilità, furono investite nell’acquisto di camionette Toyota, che a loro volta entrarono, come beni di valore, nel circuito degli scambi cerimoniali. Il denaro ormai rappresenta, agli occhi dei Melpa, il mezzo per mantenere dinamica la sfera cerimoniale tradizionale. Riuscita integrazione è all’origine di una tale imballatura del sistema cerimoniale che questo sistema rischia di soccombere al proprio successo e di dar luogo a nuovi riadattamenti della società tradizionale. Condizioni economiche moderne e amplificazione del sistema cerimoniale tradizionale: l’esempio del potlach Interazione fra la modernità e la tradizione non è specifica delle società malanesiane. Le nuoce condizioni inaugurate, alla fine del 19 secolo, dall’arrivo degli europei nella regione, luogo di accrescimento della scala e del volume degli scambi cerimoniali, e più in particolare del potlach. Le risorse monetarie per acquisire una più grande quantità di beni di valore scambiati tradizionalmente o per sostituirli con nuovi beni. L’istituzione del potlach si è rilevata tanto dinamica da ritrovare dimensioni meno spettacolari e da adattarsi alle interdizioni, continuando per decenni ad essere praticata nella clandestinità. L’istituzione del potlach situazione di contatto per farne la condizione vitalità. Ancora oggi la distribuzione di ricchezze nel corso del potlach continua ad essere celebrata dagli indiani della costa nordoccidentale contemporanea società moderna, riunisce, gli indiani della regione che risiedono nelle riserve o nelle città, i quali vi riconoscono un fattore primario di identificazione e di coesione di fronte alla società dei Bianchi. Logica sociale tradizionale e modello di sviluppo L’importanza dei fattori socio-culturali endogeni nell’adattamento della società tradizionale alla modernità circostante. Altri casi sfera tradizionale riorganizzazione positiva del modello classico di sviluppo e dell’elaborazione di uno schema di modernizzazione originale. I Binandere della Papuasia sono pervenuti a garantirsi un’espansione economica controllata. Grazie all’utilizzazione di tecniche moderne, grazie alla destinazione di una parte della produzione alle attività cerimoniali tradizionali. Nelle isole Trobriand l’esperienza di sviluppo autogestito messa in piedi dagli abitanti assume tutto il suo senso dall’attribuzione di una dimensione privilegiata ai valori e alle pratiche comunitarie. Resuscitando le feste tradizionali centrate sullo scambio competitivo delle piante di igname, la riscoperta di motivi artistici tradizionali ha permesso alla popolazione di fronteggiare l’incombente minaccia di alienazione culturale portata dal turismo di massa. Modernità industriale e cultura locale: l’esempio dell’ambiente alpino Analisi della dialettica tradizione-modernità nel quadro della società industriale moderna. L’agricoltura di montagna partecipa costituisce un luogo di forte intervento da parte dello Stato e del mercato, e anche nel senso che colui che esercita una doppia attività si impadronisce da se di tutte le possibilità che gli si offrono per modernizzare lo sfruttamento della terra, la sua attività e il suo modo di vita. L’entrata in denaro in effetti è marginale rispetto al salario guadagnato con la professione principale, esercitata all’esterno. La continuazione dell’attività agricola è l’intervento di una parte di questo salario sotto forma di acquisto di macchine e bestiame. La prospettiva antropologica ponendosi il problema di sapere quali siano i significati di un tale fenomeno sociale. L’agricoltura di montagna sforzo personale e di una capacità di creativa in un ambiente caratterizzato dalla parcellizzazione del lavoro. In secondo luogo, questa attività appare come un mezzo per continuare a vivere nel villaggio. La passione per l’allevamento costituisce una delle motivazioni forti che sono all’origine del mantenimento di un’attività agricola moderna. La modernizzazione indotta essenzialmente da uno sviluppo economico estroverso, cioè dal turismo, ha prodotto una forma originale di organizzazione socio-economica, che concilia l’efficacia tecnica con il radicamento in una vivace base culturale. Nella pratica essa sembra aver realizzato una sintesi fra il passato e il presente, che perfigura una nuova forma di modernità capace di conciliare le esigenze economiche e sociali. Il cambiamento sociale è strettamente aderente alla complessa realtà dello sviluppo e della modernizzazione che caratterizza il mondo contemporaneo. La prospettiva della dialettica fra locale e globale introdotta da questo approccio consente di cogliere i meccanismi di base che regolano le trasformazioni sociali ed economiche. Un esempio tipico è l’amplificazione dei sistemi cerimoniali: illustri un’integrazione riuscita fra la tradizione e la modernità, può essere all’origine di profondi squilibri e di soglie di rottura nelle società consolidate. Una medesima logica della permanenza sottende le diverse manifestazioni del cambiamento sociale. Questa logica delle permanenza è una costante rielaborazione e rinnovamento del sociale, in stretto rapporto con un certo numero di esigenze fondamentali della vita sociale. Capitolo 4 - riflessività e scrittura del testo antropologico La preoccupazione oggettivista ha offuscato l’interrogazione sulle strutture narrative assunte dagli antropologi per (de)scrivere le culture. Riguarda la capacità di rappresentare il reale. Il rapporto ambivalente che gli antropologi di professione intrattengono con l’opera di Segalen è proporzionale all’ambiguità soggiacente che fonda il rapporto e la pratica della disciplina. Pagina di 22 27 Dal locale al globale - antropologia consente ai gruppi deterritorializzati di crearsi nuovi ancoraggi, nuove identità simboliche. La globalizzazione sarebbe un percorso di diversificazione culturale e la cultura una potente macchina di pratiche e di rappresentazione dei movimenti (che sono la regola). È opportuno che l’analisi antropologica rivolga l’attenzione al sistema-mondo, quello che caratterizza l’espansione mondiale del capitalismo. Per comprendere meglio la maniera in cui le società locali riorganizzano ciò che viene a perturbare le loro modalità culturali e in che modo le relazioni e gli oggetti del sistema globale occupino posti significativi nell’ordine locale delle cose. Oggi molti antropologi si schierano per un’antropologia dell’altermondializzazione. Alterità che l’antropologo ha il dovere di capire, per offrire un migliore contributo all’enunciazione dell’identità del nostro nuovo mondo. Capitolo 3 - frontiere, identità e comunità immaginate Frontiere Globalizzazione approccio storico-comparativo, non soccombere all’illusione di un cambiamento radicale. La globalizzazione delle istituzioni e delle reti non significa necessariamente la fine delle appartenenze e delle precedenti identificazioni. Le pratiche territoriali locali permangono in modalità di appropriazione degli effetti della globalizzazione. L’attaccamento fisico e simbolico al territorio locale costituisce un fattore di mobilitazione per attori che reinvestono lo spazio tradizionale dello Stato-nazione. Il termine frontiera richiama l’idea di confini, di limiti e sottolinea la differenza, che corrisponderebbero ad uno spazio intermedio, a una zona di contatto, di liminalità fra due stati, non sono naturali. Le frontiere culturali possono essere vive e rivendicate con forza, ma possono anche essere discrete, prive di specifiche poste in gioco. È più facile deviare l’attenzione dai problemi economici, politi e culturali provocati dalla globalizzazione e della supremazia americana, mettendo in risalto le differenze di civiltà e di religione. Identità assassine, identità assassinate La difficoltà con la cultura sorge quando è utilizzata per rivendicare un’identità essenziale, come l’identità nazionale o l’identità etnica, avendo per effetto il rinvio a un orizzonte di appartenenza primordiale. Per l’analisi antropologica l’identità è una costruzione determinata dalle situazioni in cui si forma, da rapporti di potere che le si intrecciano intorno e dagli sforzi profusi per scioglierli. L-S l’identità è una sorta di focolare al quale ci è indispensabile riferirci per spiegare un certo numero di cose, ma senza che esso abbia mai un’esistenza reale. L’identità non esiste, ma le azioni intraprese in suo nome si. L’identità etnica nozione dinamica, il cui senso si costruisce in rapporto con le altre identità e nella costante dialettica tra inclusione ed esclusione che avviene sulla frontiera etnica. Comunità immaginate La costruzione identitaria ha bisogno del lavoro dell’immaginario. Anderson ha mostrato come l’immaginazione giochi un ruolo fondamentale nella formazione della nazione. Le ideologie nazionali servono a celebrare e a riattivare l’unità del gruppo. Nel contesto della globalizzazione alcuni antropologi postulano a loro volta l’emergere di una comunità immaginaria transnazionale virtuale, premessa di una società civile globale, basata sulle nuove tecniche di comunicazione: ciberspazio o cibercultura. Le comunità ideali rincorrono ai racconti mitici di fondazione. Nelle società contemporanee, questi luoghi sono rappresentati da monumenti ai morti, ma certi possono anche afferire alla sfera ideale: un’opera storiografica di riferimento. La coppa del mondo e il campionato europeo entusiasmo e un tale fervore popolare che certi hanno sentito il dovere di celebrare come una reinvenzione della nazione francese, mentre altri hanno voluto ravvisarvi lo strepitoso successo dei principi repubblicani di integrazione degli stranieri. L’antropologia è attenta alla dimensione simbolica del politico, considera i simboli e le costruzioni immaginarie che da essi discendono come una via d’accesso privilegiata alla realtà della sfera politica. Commemorazioni, patrimonializzazioni, conflitti di memorie L’atto di commemorare svolge sempre la stessa funzione: legittimare le scelte fatte e santificare i valori condivisi dal gruppo. Grazie alla messinscena periodica di avvenimenti esemplari, le grandi celebrazioni storiche preservano la coesione del gruppo e la trasmissione dei valori. In tale dispositivo la memoria assurge a un elemento centrale della commemorazione. La memoria diventa l’oggetto del concedere. Il moltiplicarsi dei dibattiti pubblici sulle questioni relative al passato e il ricorso alle nozioni di dovere della memoria turbano i rapporti tra il passato e il presente. Inaugura un’inquietante indifferenza verso il presente e verso le lotte contro le oppressioni attuali. Secondo altri cercano di far sentire la presenza del passato sensibili più che della storia. Questo spiega il proliferare delle rivendicazioni e delle messinscene patrimoniali su scala locale. Oggi i musei etnografici sono tutti in crisi, certi hanno esplicitamente cambiato nome, diventando musei delle culture. La domanda cruciale è a che cosa serve il museo, a chi appartengono i suoi oggetti e a chi e perchè mostrarli. Il culto della memoria determina il venir meno di ogni memoria consensuale nazionale e prevalere di memorie in competizione. L’idea di una responsabilità induce nuove rivendicazioni da parte di altri gruppi che si sentono vittime delle circostanze della storia. integrazione: modello repubblicano o multiculturalismo? Legge votata il 23 febbraio 2005 dal parlamento francese una petizione promossa dagli storici ha denunciato l’occultamento dei crimini commessi dalla Francia nei territori dell’ex impero, condannando l’antropologia della colonizzazione che vi è contenuta. Ciò che si contestava era l’accostamento dei termini immigrazione, integrazione e identità nazionale, associando i quali si suggerisce, in maniera insidiosa, che l’immigrazione costituirebbe una minaccia contro l’identità nazionale. L’associazione degli antropologi ha manifestato la sua solidarietà a favore dei ricercatori dimissionari per tre ragioni: la prima è di ordine epistemologico e rimanda a una concezione secondo la quale la conoscenza antropologica si deve fondare su una certa distanza del ricercatore dall’universo che analizza e interessarsi alla ricerca di strutture e di invariati afferenti a un presente etnografico. La seconda è di ordine ideologico, la metafisica implica nel lavoro dell’antropologo che determina la posizione da cui egli parla, il bisogno di praticare un po di antropologia simmetrica, tale per cui le considerazioni sviluppate nei contesti lontani siano utili all’analisi dei contesti prossimi. La banlieu e il velo sono temi che aiutano a costruire meglio l’argomentazione antropologica su problematiche sempre più dibattute, ma che rimangono confuse. Probabilmente per: - multiculturalismo: la produzione degli antropologi sul tema è modesta, eccezione è l’ambito di studi sociologici; Pagina di 25 27 Dal locale al globale - antropologia - comunitarismo: rientra nel registro della paura, della minaccia e della diffidenza, stigmatizzare i gruppi che vi si appellano; - l’azione positiva compiuta a favore di certe minoranze; discriminazione positiva e diffidenza nei confronti della politica così disegnata; - la statistica etnica: un dibattito sull’utilità di introdurre delle statistiche etniche. - l’eticizzazione dei rapporti sociali; - il razzismo; - il velo e la banlieue, per definire la laicità di confronti e dibattiti più che dei divieti. La terza è l’assenza di interesse degli antropologi per le banlieues, le colonizzazioni influenzano ancora oggi le rappresentazioni sociali e popolari dell’altro, in particolare dei migranti. Relegate in spazi segregati, le popolazioni figlie dell’immigrazione si sentirebbero come colonizzare, benché non ci sia alcuna colonizzazione. Il senso di discriminazione è vissuto come simile a quello conosciuto dei soggetti coloniali. La percezione globalmente negativa delle popolazioni dei quartieri deriva da una percezione soggettiva e fantasiosa di una straniero inassimilabile, fondata sulla sua presunta origine. La proclamazione dell’uguaglianza è normativa. Emerge soprattutto dagli studi di genere, la subordinazione del femminile al maschile, tipico dell’ideologia patriarcale e per niente sussuminile sotto gli altri rapporti sociali o ad essi riconducibili. La prospettiva di genere mette in evidenza la difficoltà di prendere in considerazione la specificità della differenza dei sessi e la sua propensione. Capitolo 4 - campi minati dell’antropologia Rifugiati e migranti Oggi cinquanta milioni di profughi sono vittime di conflitti: guerre civili o interventi armati. Trovandosi in situazioni di esodo e poi di attesa i rifugiati devono confrontarsi con la crisi della loro identità sociale e culturale. La categoria giuridica del rifugiato è divenuto oggetto del studioso di antropologia a seguito dell’intensificarsi degli spostamenti di popolazioni e dell’insediamento di campi per rifugiati. La ricerca antropologica permette di analizzare le basi ideologiche della categoria giuridica del rifugiato e di mostrare gli scarti che si creano fra il diritto internazionale dei rifugiati e le realtà sociologiche che include. I lavori antropologici sull’argomento ha tre approcci. Il primo decostruisce il diritto internazionale dei rifugiati riposi su una visione eurocentrica del mondo. Il secondo consiste in una denuncia del sistema degli aiuti, insiste sui meccanismi del dominio per mostrare gli effetti del cambiamento e l’alienazione delle popolazioni. L’ultimo privilegia lo studio delle strategie degli attori, mostrando come essi inneschino un processo attivo di cambiamento attraverso il quale vengono ridefinite le norme consuetudinarie e i modi di appartenenza. Antropologia dell’esilio forzato dei rifugiati prospettica multidisciplinare, di ottenere una migliore comprensione delle cause e delle conseguenze dell’immigrazione, vista dalla sofferenza e della riabilitazione dei profughi. Umanitario e Ong: tra idea e pratica È stata la guerra a mettere in moto l’umanitario. Inizialmente come soccorso medico-sanitario. A partire dagli anni 70 che l’umanitario ha cominciato a dispiegarsi in tutto il mondo. La globalizzazione dell’umanitario si traduce in una estesa rete nella quale si connettono nazionale e internazionale, immagini, compagne di sensibilizzazione, interventi sul campo. L’umanitario si è svincolato dal mero intervento medico. Organizzazioni umanitarie si occupano anche di ambiente, di diritti umani, della promozione della società civile e della democrazia, di supporto alla governance. Le situazioni nelle quali emergono e si manifestano queste organizzazioni costituiscono campi privilegiati per gli antropologi. Osservare le strategie degli attori e le loro interazioni, infine l’emergere di nuove forme di alterità. La globalizzazione interessa l’antropologia anche in quanto ideologia e modalità d’azione: il diritto o il dovere di ingerenza umanitaria. L’umanitario è l’apripista delle relazioni internazionali. L’utilizzo abusivo dell’umanitario è un vantaggio di giustificare la guerra e di far dimenticare i suoi crimini. Una problematica di tipo antropologico attraversa in filigrana la questione dell’umanitario. Il “Noi” che detiene il sapere e la tecnologia e prende l’iniziativa nel campo dei valori morali ed etici universali, dall’altro un conglomerato di vulnerabilità multiformi, di carenze croniche, di pesantezze persistenti che chiedono di essere normalizzato. Antropologia, guerra e violenza Nel 2007 è stato messo in atto il programma del Pentagono. Il suo scopo è quello di imbarcare degli antropologi nelle unità dell’esercito impegnato in Afganistan e in Iraq, in modo da raccogliere informazioni etnografiche in modo che l’intervento etnografico sia più efficace. È concepito come una guerra di informazioni, che necessita un minimo di conoscenza delle popolazioni locali. Bisogna ricordare che le relazioni poco limpide fra gli antropologi e i servizi di informazione sono frequenti nella storia della nostra disciplina. Occorre inoltre ricordare che parecchi antropologi furono in primo tempo degli impiegati dell’amministrazione coloniale o perfino dell’esercito, che lavorava direttamente sotto la loro autorità. Pritchard non solo operava direttamente al servizio dell’esercito britannico, ma non menzionò mai le estorsioni che le popolazioni locali subivano da parte dell’esercito coloniale. La disciplina, per molto tempo, ha tratto il suo oggetto al di fuori della storia e dei conflitti, assorbita com’era dallo studio delle strutture e delle funzioni. La guerra è stata più che altro analizzata nel contesto delle società primitivi, raramente nel quadro delle guerre coloniali, di controllo e di massacro. I genocidi solo pochi antropologi li studiarono. L’antropologia fu per lungo tempo la scienza dei residui e delle sopravvivenze. Essa accompagnò spesso la sottomissione, lo sfruttamento, perfino la distruzione delle società che studiava. Tierny ha denunciato la complicità di numerosi antropologi nell’assoggettamento delle popolazioni amazzoniche attraverso una sperimentazione medica. Le associazioni professionali di antropologi non hanno mancato di moltiplicare le regole delle società e dei gruppi oggetto di ricerca. Antropologi e antropologhe si esprimono a favore di una responsabilità di ricercatore a impegnarsi nella difesa dei diritti delle popolazioni, a documentare la repressione politica o la sofferenza sociale. Oggetto della disciplina sono incorporati in un mondo economico, politico e culturale globale violento e traumatico, che produce esclusioni sociali, carestie, repressione politica e perfino genocidi. Si tratta di superare la visione dicotomica. Si tratta di giustapporre la violenza abitudinaria, ordinaria e normativa di tutti i giorni con le improvvise eruzioni di violenza straordinaria, patologica, eccessiva. Nuova etica del campo In tutti i nuovi campi vi entra il malessere e la disperazione delle persone. Da questi campi sono scaturiti dubbi ed esitazioni metodologiche, in particolare la questione cruciale delle modalità di legittimazione del ricercatore sul campo. Contrariamente alla prospettiva tradizionale dell’antropologia, che chiedeva al ricercatore di disfarsi di se Pagina di 26 27 Dal locale al globale - antropologia stesso, di tacere qualsiasi emozione, di occultare la maniera in cui aveva negoziato la sua presenza sul campo, di non preoccuparsi della restituzione del suo lavoro. La nuova antropologia è ansiosa di reintegrare questi diversi contesti della produzione. Numerose riflessioni di antropologi si soffermano sulle emozioni come guida per comprendere meglio il contesto etnografico e soprattutto il ruolo dell’etnografo nella situazione etnografica, questi nuovi campi agiscono alla stregua di una lente d’ingrandimento di situazioni e di pratiche incontrate su terreni più ordinari, ma occultati dalla rappresentazione canonica del lavoro sul campo. Partecipazione-osservazione la quale appare agli occhi del profano come uno strano ossimoro. Nella nuova prospettiva l’osservazione partecipante si ribalta in partecipazione osservante. La questione della distanza da frapporre tra se e il proprio oggetto, che ha sempre costituito una scommessa nel lavoro empirico sul campo e nel lavoro di interpretazione e di testualizzazione, ha bisogno di essere ridiscussa. Le condizioni etiche e politiche dell’esercizio del campo si sono largamente trasformate. Oggi le comunità producono immagini di se stesse. L’etnografo è indotto a stipulare con le persone un contratto concernente le tematiche da analizzare e la restituzione dell’informazione. L’antropologo sottopone al gruppo i suoi primi risultati e i suoi primi testi. Siffatte relazioni di scambio danno all’antropologo la possibilità di far meglio valere l’autonomia dei suoi obiettivi scientifici e di meglio negoziare la cooperazione con i suoi interlocutori. Pagina di 27 27
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