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DALL'EMERGENZA ALLA NORMALITÀ Strategie e modelli di intervento nella psicologia dell'emergenza, Sintesi del corso di Psicologia Dinamica

Riassunto dei capitoli 1, 2, 3, 10 e 11 del libro "DALL'EMERGENZA ALLA NORMALITÀ Strategie e modelli di intervento nella psicologia dell'emergenza" di Calogero Iacolino

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 24/10/2020

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Scarica DALL'EMERGENZA ALLA NORMALITÀ Strategie e modelli di intervento nella psicologia dell'emergenza e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Dinamica solo su Docsity! Dall’emergenza alla normalità Fondamenti di psicologia dell’emergenza Cap.1 1 FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA Dall’emergenza alla normalità/ Psicologia dinamica 9cfu NASCITA E SVILUPPO DELLA DISASTER PSYCHOLOGY Negli anno sessanta del secolo scorso si verificano i veri e propri cambiamenti sostanziali nel modo di concepire e gestire le emergenze collettive. In precedenza l’atteggiamento adottato in tutti i paesi era quello definito concezione economica del disastro, che consisteva essenzialmente nell’esame dell’evento calamitoso in relazione ai danni alle cose e ai danni alle persone. La valutazione degli effetti della calamità sulle persone e sul tessuto sociale era completamente assente. Furono gli studi di From e Nosow nel 1958 e di Fritz nel 1961 che favorirono l’affermarsi di una nuova visione dell’evento disastroso, conosciuta come concezione economico-psicosociale, proprio perché misero in luce gli effetti che gli eventi emergenziali collettivi hanno a breve, medio e lungo termine sull’individuo e sul tessuto sociale. Gli studi misero in evidenza che sia le persone che il tessuto sociale subivano cambiamenti più o meno profondi e in alcuni casi persistenti, a seguito di gravi emergenze collettive. Questo portò progressivamente a cambiare oltre che il concetto di disastro, anche le finalità e le modalità dell’intervento in situazioni di emergenza. Negli anni settanta, grazie agli studi di Farber, di Hall e Landreth e di Lifton, si acquisirono nuovi contributi che ampliano il quadro delle conoscenze relativo alle reazioni psicologiche in situazioni di emergenza. Vengono studiate le reazioni delle persone coinvolte nelle emergenze in base alla loro personalità, alle fasce d’età, al livello di integrazione sociale, alle condizioni psichiche precedenti l’evento emergenziale, e vengono studiati anche i gruppi sociali e le fasce d’età maggiormente a rischio, i disturbi che compaiono più frequentemente, i problemi a cui vanno incontro i soccorritori. Con questi studi si andava delineando la DISASRER PSYCHOLOGY. Negli anno ottanta, grazie agli studi di Barton, si evince che la reazione delle comunità colpite si sviluppa per stadi. Gli stadi sono: fase eroica, fase della luna di miele , fase di disillusione , fase di ristabilizzazione. Ogni fase presenta delle specificità rispetto a ciò che i membri della comunità vivono dentro di sé (meccanismi di difesa in atto) e intorno a sé (fenomeni sociali che accadono in quel momento). Negli anni ottanta gli studi di McGee, Birnbaum, Kaslow e Smith condussero all’articolazione di un programma che prese il nome di Crisis Intervention Program che mirava a:  neutralizzare l’impatto degli eventi stressanti collettivi;  sull’individuo e sulla collettività;  ripristinare il positivo funzionamento delle vittime;  ripristinare il positivo funzionamento sociale. Negli Stati uniti, gli interventi di assistenza psicologica nelle grandi emergenze smettono definitivamente di dipendere dalla buona volontà e sensibilità individuale il 22 maggio 1974, con l’approvazione della legge federale sul soccorso nelle catastrofi che prevede l’erogazione di servizi di assistenza psicologica alle vittime di eventi disastrosi, attraverso la creazione di una DISASTER ASSISTANCE AND EMERGENCY MENTAL HEALTH SECTION. Molti studiosi furono coinvolti in ricerche sulle reazioni dei soldati allo stress da combattimento, combat stress (CS) e sull’individuazione di prassi di trattamento efficaci e rapide. A seguito di questi Dall’emergenza alla normalità Fondamenti di psicologia dell’emergenza Cap.1 2 studi in tutte le divisioni dell’esercito statunitense vennero istituite le unità combat stress control, in cui operavano psichiatri e psicologi per proteggere i soldati dallo stress da combattimento e quindi dal disturbo post-traumatico che ne poteva derivare. Questi studi diedero grandi contributi alla individuazione di criteri e tecniche di intervento, allo sviluppo della psicotraumatologia e alla promozione di un cambiamento culturale tale da consentire che le sofferenze dei reduci fossero formalmente riconosciute ed etichettate come DPTS. Maturò negli studiosi la volontà e la disponibilità a comunicare e socializzare i risultati delle ricerche e i protocolli degli interventi, e questo fece sì che si costituisse una prima grande organizzazione multidisciplinare internazionale, che venne costituita nel 1985 e prese il nome di International Society for Traumatic Stress Studies (ISTSS). Sempre per favorire l’interpretazione di programmi di supporto psicologico nei disastri, nel 1992 l’American Psychological Association istituì il Disaster Response Networ (DRN), un’organizzazione in cui confluirono migliaia di psicologi volontari per portare il loro aiuto a persone, famiglie e comunità coinvolte nei disastri e ai soccorritori intervenuto in loro favore. NASCITA E SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA IN ITALIA Un primo coinvolgimento della psicologia dell’emergenza in Italia si ha nel 28 dicembre 1908 con i gravissimo maremoto che colpì Messina e Reggio Calabria, grazie alla pubblicazione di Ferrari dello scritto La psicologia degli scampati del terremoto di Messina . Un nuovo coinvolgimento della psicologia in una situazione di emergenza si ha nel 1976, un coinvolgimento che diventa, oltre che di studio, anche operativo: si è trattato di un vero e proprio intervento sulle persone e sulla comunità, coordinato da Guido Petter e Giuseppe Fara, che mirava a organizzare la vita quotidiana dei bambini dividendo la loro giornata in routine di gioco, di riposo, e di vita con la famiglia. L’intervento fu di tipo psicosociale perché agiva sull’intera comunità dei campi dei sopravvissuti. Una nuova ondata di coinvolgimento della psicologia italiana in una grave situazione di emergenza si registra a seguito del terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980, e in questo caso assistiamo a un intervento coordinato dalla professoressa Giulia Villone Betocchi, con successiva pubblicazione de primo libro italiano di psicologia dell’emergenza, Il contributo della psicologia in situazioni di emergenza. Il dialogo tra psicologia ed emergenza diventa sempre più esplicito il 26 settembre 1997, data del terremoto dell’Umbria e delle Marche. Il 10 ottobre 1997 nasce la psicologia dell’emergenza in Italia. Nel giugno 1999 si costituisce formalmente a Roma la SIPEm (Società Italiana di Psicologia dell’Emergenza). Il 30 e 31 marzo 2000 si tiene a Parma, organizzato dalla facoltà di psicologia, e presieduto dal professore Moderato, un convegno su Le nuove professioni degli psicologi , al cui interno viene presentata anche la psicologia dell’emergenza. Questo convegno è particolarmente importante perché rappresenta il momento d’ingresso della psicologia dell’emergenza italiana in ambito universitario. A questo percorso va affiancato in parallelo lo sviluppo dell’attenzione alle emergenze individuali, ossia ai traumi subiti dal singolo individuo o da piccoli gruppi di persone derivanti da lavoro, malattia, incidenti stradali, violenze, aggressioni ecc. Dall’emergenza alla normalità Il primo colloquio in emergenza Cap. 21 IL PRIMO COLLOQUIO IN EMERGENZA Dall’emergenza alla normalità/ Psicologia dinamica 9cfu L’elaborazione di una traccia atta a guidare il primo colloquio in emergenza prende avvio nel 2007 durante un laboratorio che aveva l’obiettivo di individuare le specificità del primo colloquio in emergenza e approfondire le modalità di addestramento operativo attraverso le videoregistrazioni. È importante intervenire nella fase di codifica, consolidamento, immagazzinamento e primo recupero dell’esperienza traumatica per avere la possibilità di operare sull’esperienza soggettiva del ricordo prima che i contenuti traumatici si siano cristallizzati. IL COLLOQUIO VS IL COLLOQUIO IN EMERGENZA Le principali caratteristiche che differenziano il colloquio in situazioni di emergenza da quello tradizionale riguardano il setting e gli obiettivi. In AMBITO EMERGENZIALE la persona da soccorrere viene raggiunta dallo psicologo direttamente sul luogo del crash e nei centri di prima accoglienza, oppure potrebbe essere necessario recarsi nell’abitazione della vittima. Gli obiettivi sono la messa in sicurezza, l’identificazione attiva dei bisogni, la valutazione psicologica e l’informazione. CONDURRE IL PRIMO COLLOQUIO IN EMERGENZA Il primo approccio alla vittima deve sempre essere preceduto da un’autopresentazione, completa di informazioni sul ruolo dello psicologo e sul mandato a lui affidato. Nel corso del primo colloquio è importante porre le basi per una relazione di fiducia con la persona coinvolta con il mondo del soccorso e con i servizi di salute mentale che prenderanno in carico eventuali problematiche nei giorni, mesi o anni successivi. Si tratta di avviare un’alleanza che non deve coinvolgere in modo esclusivo lo psicologo soccorritore ma indirizzare verso uno spazio, possibilmente non solo mentale, di cura di sé e di fiducia nell’altro. Qualora siano altri soccorritori ad accompagnare la persona soccorsa al colloquio, sarà opportuno incoraggiarli alla presentazione della vittima, dei dati conosciuti e delle circostanze. Anche se le vittime sono numerose, uno sforzo costante va posto nel riconoscimento dell’individualità di ciascuno. È importante curare l’accoglienza, agevolare i ricongiungimenti familiari e ascoltare le richieste sostenendo le persone nell’espressione dei bisogni e nell’elaborazione delle domande. Un altro modo utile per sviluppare la relazione nella prima fase del colloqui può essere un coinvolgimento misurato della vittima nelle operazioni di soccorso, soprattutto se sono in corso le ricerche di familiari, conoscenti o amici. INTERVENTO BREVE IN ACUTO: IL RIEQUILIBRIO FUNZIONALE Prima di iniziare l’indagine di triage, è opportuno aiutare la vittima a ripristinare uno stato di coscienza e percezione sufficientemente adattivo, ovvero far si che davvero sia in relazione con noi, al meglio che può in quel momento. Uno dei fattori che più disturba la stabilizzazione e normalizzazione delle vittime in questa fase dell’emergenza è l’alterazione della regolazione del SISTEMA NERVOSO AUTONOMO. Ogni evento traumatico agisce sulle vittime provocando uno stato Dall’emergenza alla normalità Il primo colloquio in emergenza Cap. 22 di stress acuto, con iper o ipoarousal. Lo stato di pericolo attiva l’organismo che reagisce modificando il proprio equilibrio nervoso di base più spesso in direzione di una simpaticotonia. Il sistema di difesa, che si attiva in contesto di pericolo, è caratterizzato da 2 branche fondamentali del SNA, l’una in grado di promuovere reazioni di attacco, fuga, congelamento ( sistema simpatico) e l’altra in grado di innescare la reazione di morte apparente ( sistema parasimpatico dorso-vagale). Le quattro f, attacco e fuga, congelamento e spavento ( fight e flight, freeze e fawn), sono meccanismi biologici di sopravvivenza che possono interferire con il ripristino delle condizioni di base, al termine dell’evento stressante, potenzialmente traumatico. Lo stato di attivazione neurofisiologica della vittima è oggetto di osservazione e valutazione durante tutto il colloquio, ma in questa fase diventa focus di lavoro per disattivare o alleggerire la reazione neurofisiologica che l’evento traumatico ha provocato. In emergenza il distress acuto viene trattato con semplici tecniche psicocorporee che hanno l’obiettivo di riequilibrare il SNA. Dopo l’iniziale fase di accoglienza si chiede alla vittima di fare semplici pratiche di riequilibrio funzionale che possono aiutarlo a sentirsi meglio. L’intervento proposto ha l’obiettivo di sostenere l’ integrazione dei funzionamenti di fondo e di promuovere il ripristino del processo di apprendimento nella vittima. Attraverso il contatto e il movimento è possibile promuovere il ripristino del senso percezione, riportando la vittima in relazione con il momento attuale e con se stessa. VALUTAZIONE PSICHICA POST EVENTO TRAUMATICO Le aree di indagine della valutazione psichica post evento traumatico si focalizzano sullo stato psichico attuale secondo 5 parametri, quali: vigilanza-coscienza, percezione, ideazione, affettività, comportamento. È normale che nel racconto della vittima possano mancare elementi spazio-temporali coerenti e una narrazione che si configuri come una storia vera e propria, ma bisogna fare molta attenzione alle espressioni emotive e affettive. Sarà la congruenza tra l’espressione emotiva e la vicenda narrata il più importante indicatore della capacità integrativa del soggetto. Il racconto discontinuo, con vuoti improvvisi, salti logici nel discorso, emozioni dissonanti, perdite di controllo, evidenzia una sofferenza da parte della vittima che, in questo modo, segnala i propri momenti di discrepanza mentale. L’ipotesi è che le MANCATE FLUENZE siano il sintomo di pensieri o sentimenti in competizione. La competizione si pone tra ciò che la vittima è disposta a pensare, sentire o ricordare, e ciò che, in effetti, pensa, sente e ricorda, e in questo caso siamo di fronte a un processo difensivo che opera a protezione del Sé, oppure tra ciò che ha sempre pensato e ciò che gli sembra vero in questo momento, e in questo caso siamo di fronte a un processo trasformativo e creativo. La persona vittima di trauma ha la necessità primaria di essere accolta, validata, rassicurata e informata; la narrazione dell’evento va attentamente valutata e mai forzata, in quanto le manifestazioni sintomatiche quali la dissociazione, la derealizzazione e la depersonalizzazione rappresentano un’utile difesa contro l’angoscia e consentono l’avvicinamento graduale ai contenuti traumatici. Il primo colloquio in emergenza si configura come un intervento vero e proprio. Dall’emergenza alla normalità Il triage psicologico nelle grandi emergenze Cap. 3 1 IL TRIAGE PSICOLOGICO NELLE GRANDI EMERGENZE Dall’emergenza alla normalità/ Psicologia dinamica 9cfu Per il Sistema nazionale di emergenza-urgenza il TRIAGE consiste in una procedura di valutazione delle condizioni cliniche e delle possibilità prognostiche di un gruppo di pazienti, per determinare le rispettive priorità di trattamento. I pazienti a essere trattati per primi saranno quelli appartenenti alla classe di priorità più elevata, seguita da quelli assegnati alle categorie inferiori. Sia il triage medico che quello psicologico si fondano sulla necessità di far fronte con risorse umani limitate a richieste di assistenza formulate da numerose persone e contemporaneamente. È importante sottolineare che in nessun caso il triage sostituisce l’intervento, la visita, il trattamento medico o il supporto psicologico: il triage non è la cura! Il triage psicologico è un processo accoglitivo-valutativo-decisionale che si effettua attraverso l’uso di criteri valutativi e modalità operative prestabilite, che consentono procedure e valutazioni uniformi del paziente, articolate in momenti successivi e ben definiti, che sono:  Accoglienza;  Riconoscimento;  Attribuzione. DIFFERENZE TRA TRIAGE PSICOLOGICO, SCREENING E PSICODIAGNOSI La PSICODIAGNOSTICA mira a delineare un quadro psichico, il triage a tutelare il quadro psichico, ossia rilevare se è urgente o no, e quindi se per quella persona è differibili o indifferibile il bisogno di ricevere diagnosi e trattamento. Gli SCREENING, al contrario del triage, portano l’attenzione valutativa non sulle persone che già presentano un quadro più o meno evidente di difficoltà, ma sulle persone che non presentano al momento un bisogno manifesto di trattamento, ma per le quali si teme possa sorgere successivamente il bisogno di ricevere un trattamento. NECESSITÀ DEL TRIAGE PSICOLOGICO E ASPETTI CONFLITTUALI L’importanza del triage si coglie solo se consideriamo che in situazioni di maxi emergenza si crea la condizione tipica delle grandi emergenze, e cioè la sproporzione tra risorse umane disponibili e bisogno di assistenza della popolazione colpita. Trovandosi di fronte a casi di particolare gravità psicologica, come ad esempio i superstiti, e dovendo provvedere, d’intesa con il Direttore dei Soccorsi Sanitari (DSS) a organizzare l’invio di queste vittime in strutture più attrezzate per fornire supporto psicologico, ma lontane dal luogo dell’evento, bisogna tenere conto dei molteplici aspetti di conflittualità e disagio che causano queste decisioni nelle vittime, nei parenti e negli operatori, pur essendoci clinicamente motivate e legittime. Bisogna tenere in considerazione che l’ evento emergenziale può aver causato un disagio psichico da fronteggiamento; acuito una difficoltà già in atto; attivato un precedente disturbo; determinato un Dall’emergenza alla normalità La comunicazione e la percezione del rischio Cap. 10 1 LA COMUNICAZIONE E LA PERCEZIONE DEL RISCHIO Dall’emergenza alla normalità/ Psicologia dinamica 9cfu Il RISCHIO può esser definito come la possibilità di subire un danno, una perdita, come eventualità generica o per il fatto di esporsi a un pericolo. Per estensione, il rischio può essere considerato il pericolo stesso al quale ci si espone o ci si può imbattere. Non necessariamente i rischi comportano dei pericoli effettivi. È importante distinguere il rischio dal pericolo: un evento pericoloso ha conseguenze negative certe, un evento rischioso ha conseguenze negative potenziali. L’incertezza è dunque uno degli aspetti che differenzia i due concetti. Bisogna anche distinguere il rischio oggettivo, che riguarda la probabilità calcolata dagli studiosi che un evento avvenga, dal rischio soggettivo, che riguarda il rischio percepito dagli individui. La valutazione della possibilità che avvenga un evento indesiderato e inatteso può essere attribuita a fattori soggettivi, psicologici e culturali. COMPRENDERE LA PERCEZIONE Gli studi sulla percezione del rischio iniziano nel corso degli anni Settanta, focalizzati inizialmente sui rischi industriali. Negli anni Settanta un piccolo gruppo di psicologi cognitivi cominciò a interessarsi a come le persone reagiscono riguardo al rischio. Un approccio significativo a questo filone sono le ricerche di Kahneman e Tversky sulla probabilità percepita, e sottolinearono l’influenza dei BIAS COGNITIVI nella percezione della probabilità che accada un dato evento. Molto importante è il concetto di controllo: le situazioni percepite come meno pericolose sono quelle che sentiamo sotto in nostro controllo personale. Molto spesso le persone sentono di avere un controllo maggiore di quello che realmente hanno, e in questo caso si parla di illusione di controllo. Un altro concetto importante legato alla percezione del rischio è quello di ottimismo irrealistico: gli individui hanno un forte ma ingiustificato senso di immunità soggettiva. Si sono sviluppato due filoni principali per quanto riguarda l’interpretazione del rischio: quello psicologico-cognitivo e la Cultural theory. EURISTICHE E BIASES Le ricerche del FILONE PSICOLOGICO-COGNITIVO si sono focalizzate sul modo in cui le persone trasformano soggettivamente le informazioni oggettive per valutare le probabilità di occorrenza e le possibili conseguenze di scelte rischiose. Questi studi attestano che la valutazione delle informazioni è influenzata dalle euristiche, che sono procedure cognitivamente economiche ed efficaci, sviluppatesi nel corso dell’evoluzione per semplificare il processo di giudizio. Vengono applicate anche nel caso della valutazione del rischio e generano valutazioni intuitive, limitate, che si basano solo su alcuni indizi per trarre delle conclusioni generali.  Euristica della rappresentatività è una distorsione della stima di un evento che aumenta in funzione di quanto questo è rappresentativo di un pericolo indipendentemente dalla sua frequenza;  Euristica della disponibilità è un processo di ragionamento per il quale in base alla velocità con la quale ci ricordiamo un evento, questo è più o meno probabile che accada; Dall’emergenza alla normalità La comunicazione e la percezione del rischio Cap. 10 2  Focus illusion è un’euristica che interferisce con le valutazioni amplificando il peso dei pensieri che sono presenti nella nostra testa in questo momento resi attivi da fattori estranei e del tutto circostanziali, dimenticandosi di altri fattori importanti per la valutazione;  L’euristica del consenso è un meccanismo di ragionamento per cui molte decisioni in situazioni in cui non c’è tempo e informazione avvengono osservando cosa fanno gli altri ed emulandoli per il meccanismo del condizionamento sociale;  Effetto soglia è un’euristica che induce le persone a essere più sensibili a probabilità che spostano il soggetto dall’incertezza alla certezza. PARADIGMA PSICOMETRICO Gli studi sul PARADIGMA PSICOMETRICO hanno identificato le reazioni emozionali ai diversi elementi che caratterizzano un rischio. L’assunzione principale è che le caratteristiche del rischio influiscono sul modo in cui il rischio stesso viene codificato. Le caratteristiche considerare per valutare i rischi sono:  Comune/terrificante, ovvero l’intensità della paura che il potenziale pericolo suscita nell’individuo;  Controllo personale del rischio , si riferisce a quanto noi pensiamo di essere in grado di evitare gli effetti dannosi del rischio in esame;  Volontarietà di assunzione, tanto più un individuo ritiene che l’esposizione al rischio non sia volontaria, tanto più egli giudicherà rischiosa un’attività;  Catastroficità: la componente catastrofica caratterizza rischi che hanno un impatto di massa. Si oppone al rischio cronico, che ha un impatto sui singoli individui in tempi e luoghi separati. Si sottovaluta la pericolosità del rischio cronico perché non fa notizia e il nostro sistema cognitivo non vi dedica particolare attenzione, ma sommando le sue vittime si supera di gran lunga le vittime di una catastrofe;  Severità delle conseguenze: per alcuni tipi di rischio si riesce a valutare razionalmente dalle minime conseguenze alle massime, per poi farne una media, mentre per altri tipi di rischio si vedono solo le conseguenze massime, ingigandendole;  Effetto immediato/ritardato si riferisce all’intervallo di tempo che intercorre tra il momento in cui si viene a contatto con l’evento e il momento in cui si verifica il danno;  Conoscenza del rischio. La relazione tra grado di conoscenza e percezione del rischio non è univoca nelle persone comuni, a volte è positiva, altre volte negativa;  Grado di esposizione è la caratteristica che segnala la misura in cui gli individui sono personalmente esposti a un rischio. LA TEORIA CULTURALE La TEORIA CULTURALE di Douglas e Wildavsky afferma che le strutture dell’organizzazione sociale suggeriscono all’individuo una chiave per l’interpretazione dei pericoli coerente con l’organizzazione stessa e volta a rafforzarla. La codificazione dei pericoli è legata all’immoralità. L’effetto della cultura è quello di concentrare l’attenzione su certi pericoli trasformandoli in indicatori morali. Secondo la dinamica conosciuta come identity protective l’individuo tende a evitare una dissonanza e un estraniamento dai valori del proprio gruppo, nel subconscio resiste alle informazioni che minacciano i propri valori. Vi sono 4 tipi di orientamento culturale: Dall’emergenza alla normalità La comunicazione e la percezione del rischio Cap. 10 3  CULTURA INDIVIDUALISTA sostiene che l’assunzione dei rischi è una faccenda personale, purchè non si rechi danno agli altri;  CULTURA GERARCHICA dà priorità alla comunità e mira a interiorizzare un’alta considerazione per il bene comune;  CULTURA FATALISTA è l’unica completamente avversa al rischio e delega ad altri le responsabilità;  CULTURA EGUALITARIA dà priorità alla comunità, ma dal basso della scala gerarchica. COMUNICARE IL RISCHIO La COMUNICAZIONE DEL RISCHIO consiste nello scambio di informazioni e valutazioni sul rischio tra esperti, pubbliche amministrazioni, mass media e cittadini, finalizzata alla presa di decisioni circa l’accettazione, la riduzione, i comportamenti e le scelte per ridurre il rischio. I principali obiettivi dovrebbero essere rivolti a:  Migliorare le conoscenze e gli atteggiamenti verso un rischio;  Modificare i comportamenti rischiosi delle persone esposte a un pericolo;  Promuovere la partecipazione della comunità alla mitigazione dei rischi;  Facilitare la cooperazione e la risoluzione delle tensioni nei casi di situazioni controverse;  Sviluppare una cultura del rischio, dalla prevenzione, alla preparazione, alla gestione dell’emergenza. È importante capire a chi si deve comunicare . In generale un errore molto comune rispetto all’audience è quello di puntare sulla quantità e di raggiungere un pubblico ampio. L’analisi dell’audience può avvenire a diversi livelli:  Livello base si raccolgono informazioni principalmente legate alla capacità di comprensione, per guidare la scelta del metodo di comunicazione;  Livello intermedio comprende informazioni demografiche e socioeconomiche;  Livello profondo si cercano informazioni psicologiche. Il passo successivo riguarda il comprendere cosa comunicare. La comunicazione del rischio non deve limitarsi ai messaggi di allarme e alle informazioni pratiche per farvi fronte, al contrario, dovrebbe costituire una consapevolezza de perché esiste un rischio, e rispondere alle domande dei cittadini rispetto alla sua origine. Il passaggio successivo è la spiegazione delle conseguenze per capire come ridurne l’impatto. Ai fini dell’efficacia del messaggio è importante essere chiari, accurati e coerenti. Per quanto riguarda il come comunicare è importante stabilire il canale di comunicazione più adatto tra una comunicazione faccia a faccia, una comunicazione che si poggia sui media, oppure un supporto cartaceo; scegliere con che tono di voce parlare; decidere il livello di coinvolgimento dei diversi stakeholders; definire i materiali di supporto all’informazione. La comunicazione del rischio deve essere pianificata temporalmente, in modo da coinvolgere l’audience nel processo di gestione del rischio e non solo durante una possibile emergenza.
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