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DALL'EMERGENZA ALLA NORMALITA'. Strategie e modelli di intervento nella psicologia dell'emergenza, Sintesi del corso di Psicologia Clinica

RIASSUNTO CAPITOLI 1-2-3-11 DALL'EMERGENZA ALLA NORMALITA'. IACOLINO

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 14/04/2021

alessandra.sarcona
alessandra.sarcona 🇮🇹

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Scarica DALL'EMERGENZA ALLA NORMALITA'. Strategie e modelli di intervento nella psicologia dell'emergenza e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! DALL'EMERGENZA ALLA NORMALITA' Strategie e modelli di intervento nella psicologia dell'emergenza Introduzione La psicologia dell'emergenza è divenuta negli anni recenti area di studio e di ricerca tra le più rilevanti in tutto il panorama delle discipline psicologiche e psichiatriche. Dalla seconda metà del Novecento poi la psicotraumatologia ha acquisito progressivamente un peso specifico sempre maggiore, attivando un interesse molto forte da parte di ricercatori e clinici. Indubbiamente il DSM ha dato un grosso impulso alla diffusione delle conoscenze e delle ricerche ulteriori sui disturbi post-traumatici oltre ad avere focalizzato l’attenzione del clinico su quadri psicopatologici. Con l’ultima e recente edizione del DSM-5, nella quale la categoria dei “disturbi correlati a viventi traumatici e stressanti” diviene autonoma e, quindi, i I disturbo post-traumatico da stress non più considerato all’interno della categoria dei disturbi d’ansia, un ulteriore e considerevole Jpasso viene fatto verso la valorizzazione di questa importante area clinica della specificità delle sue manifestazioni sindromiche. Altro motivo che può spiegare la numerosità degli studi sulla psicologia dell’emergenza, va ricercato nel l’interesse crescente per le manifestazioni dissociative e per la rilevanza del meccanismo di difesa della dissociazione, strettamente legato alle esperienze traumatiche, come aspetto significativo del funzionamento, sia normale che patologico, dell’apparato psichico. CAP.1 FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DELL'EMERGENZA 1 Antiche osservazioni sulle reazioni dell'uomo nelle calamità Il difficile rapporto tra l’uomo e le calamità è cominciato con l'esistenza ^stessa dell’uomo ed è destinato a contò mare per sempre. Nel tempo possono cambiare le tipologie di emergenza più frequenti, ma 1‘uomo sarà sempre chiamato a difendere se stesso, i suoi affetti e il suo mondo dall’azione di eventi devastanti. Proprio perché la lotta dell’uomo contro gli eventi devastanti è una costante che lo accompagna da sempre, esistono molte descrizioni di reazioni umane nelle grandi emergenze, risalenti ad epoche diverse. Queste descrizioni ci consentono di conoscere eventi e sconvolgimenti sociali che ne sono derivati, che alle volte hanno cambiato la vita di intere popolazioni e, spesso, anche la loro situazione politica ed economica. Proprio per l’azione devastante che hanno avuto sulla vita, sullo stato psichico rifletteremo su due importanti testimonianze relative a due eventi sismici straordinari di epoche diverse. La prima ci viene da Seneca che, rivolgendosi a Lucilio, descrive gli scenari umani, sociali ed ambientali causati dal terremoto che aveva sconvolto la Campania e Pompei in particolare; la seconda la ricaviamo dal lavoro di ricognizione di Placanica (1953) sui documenti relativi al terremoto calabro-messinese del 5 febbraio 1783, che causò almeno 30.000 vittime. o Lucilio, … abbiamo sentito dire che Pompei, è sprofondata a causa di un terremoto.... A questi danni se ne aggiungono altri:... alcuni, dopo questi tatti, sono andati errando con la mente sconvolta e non più padroni di sé.... Bisogna cercare modi per confortare gli impauriti e per togliere il grande timore. Quale rifugio troveranno i corpi, dove si ripareranno, se la paura nasce dal profondo e viene dalle fondamenta? . Che cosa ti può essere non dico di aiuto, ma di conforto, quando la paura ha perso ogni via di scampo? Seneca aveva ben colto: – la natura generale e pervasiva della paura negli eventi straordinari – 1’eventualità che raggiunga livelli estremi – la necessità di intervenire Diversa è, invece, la descrizione delle reazioni umane nelle calamità fatta da Placànica (1985) che le esamina attraverso lo studio minuzioso dei documenti ufficiali relativi al terremoto calabro- messinese del 1783 e che, relativamente ai comportamenti e ai vissuti delle vittime, dice: ...lo spaventosissimo terremoto del 5 febbraio 1783 cacciò tutti dispettosamente dalle proprie case e molti, con sensibili ferite. Ma chi può esprimere i patimenti, disagi e gl’incomodi che soffrì tutta la povera gente per l’angustia de’ luoghi in cui era, e specialmente convenendole dormire sulla nuda terra in confusione ed a turma a turma a truma? Avendo anche sotto i loro occhi tanti addolorati c languenti, sentendo i loro pietosi gemiti e lamenti, de’ quali parte scampò e parte perde dopo qualche tempo infelicemente la vita... La stessa convulsione della natura altera sensibilmente la macchina umana e l’abbandona in uno sconcerto irreparabile... Quando la morte e il dolore non sono ancora sopraggiunti a visitare le folle colpite dal terremoto, la paura già da tempo vi si è stabilmente insediata: destinata a occupare le mentii di tutti, anche dei meno offesi dai danni, la paura non recede facilmente e, ben al di là dei tristi giorni delle scosse, attraversando la coscienza degli individui e delle collettività... Come Placanica riferisce per farci cogliere l’intensità e la persistenza dello sconvolgimento dei sopravvissuti, nel 1788 Lazzaro Spallanzani, giunto in visita sui luoghi del disastro, constata e dichiara che : Quantunque fosse già presso il sesto anno da che avvenuto era quell’orribile disastro, nell’animo de’ Messinesi continuava tuttora un senso di sbigottimento e di stupidezza: conseguenze che sogliono accompagnare le grandi paure. 2 Nascita e sviluppi della disaster psychology Anche se non sono mai mancate iniziative di assistenza umana, morale e psicologica alle vittime di eventi emergenziali collettivi, dobbiamo attendere gli anni sessanta del secolo scorso per cominciare a vedere veri e propri cambiamenti sostanziali nel modo di conepire e gestire le emergenza collettive. Fino a prima degli anni sessanta, l'atteggiamento generalmente adottato in tutti i paesi era quello che si può definite “concezione economica” del disastro, che consentiva essenzialmente nell'esame dell'evento calamitoso in relazione ai danni alle cose e ai danni alle persone. La risposta che gli organismi pubblici dovevano mettere in campo consisteva, in pratica nella stima dei danni a persone e dose, nel trasporto dei feriti in ospedale, nella tumulazione dei deceduti, nella rimozione delle macerie, in un ottica di favorire la ripresa della vita sociale. Gli studi di From e Nosow (1958) e Fritz che favorirono l'affermarsi di una nuova visione dell’evento disastroso, conosciuta come “concezione economico-sociale”, proprio perchè misero in piena luce gli effetti che gli eveti emergenziali collettivi hanno a breve, medio e lungo termine sull'individuo e sul tessuto sociale. Gli studi misero in evidenza che sia le persone che il tessuto sociale subivano cambiamenti più o meno profondi e in alcuni casi persistenti, a seguito di gravi emergenze collettive. Questo portò a cambiare le finalità e le modalità dell'intervento in situazione di emergenza. La psicologia aveva cominciato a portare il suo contributo di disciplina tesa a tutelare la salute psichica degli individui e la salubrità psicologica del tessuto sociale nelle grandi emergenza. Negli anni settanta, vengono studiate le reazioni delle persone coinvolte nelle emergenze in base alla loro personalità, alle fasce di età, al livello di integrazione sociale i disturbi che compaiono più frequentemente, i problemi a cui vanno incontro i soccorritori ecc. Con questi studi si andavano delineando, altri importanti contribuiti della psicologia nella tutela del benessere individuale e collettivo in situazioni di emergenza e sempre piu' andava costituendosi un corpo dottrinale che nei paesi anglosassoni prendeva il nome di disaster psycology. Nuove ricerche in ambito psicosociale maturano nel corso degli anni ottanta, dai quali si evince che la reazione delle comunità colpite si sviluppa per stadim ossia le popolazioni colpite tendono ad andare incontro a differenti fasi di reazione che si succedono in maniera simile in tutti i casi, a prescindere dal tipo di evento emergenziale: la fase eroica, fase della luna di miele, fase di disillusione, fase di ristabilizzazione. Ogni fase presenta delle specificità rispetto a ciò che i membri della comunità vivono dentro di se ed intorno a se. Con questi nuovi contributi, la psicologia dei disastri aveva raggiunto anche quella maturità disciplinare che consente di intervenire secondo protocolli e prassi che discendono da esperienza, verifica, confronto e condivisione. La disaster psychology era nata ed andava rapidamente sviluppandosi. negli Stati Uniti, gli interventi di assistenza psicologica nelle grandi emergenze smettono definitivamente di dipendere dallo spontaneismo il 22 maggio 1974, con l'approvazione della legge federale sul soccorso nelle catastrofi, l’erogazione di servizi dì assistenza psicologica alle vittime di ^eventi potenzialità di risposta delle strutture locali. L'equipe, per poter rispondere immediatamente in situazioni di emergenza, deve inquadrarsi all'interno dell'organizzazione sanitaria delle maxi-emergenze. Destinatari primari degli interventi di supporto....sono le vittime di eventi dirompenti e improvvisi.. i testimoni diretti di fatti gravemente lesivi... i familiari delle vittime, i soccorritori, professionisti e volontari. 5 Psicologia dell'emergenza, stato dell'arte In questo paragrafo procederemo ad un breve inquadramento dei fondamenti teorico metodologici della psicologia dell'emergenza, ossia ad una ricognizione dello stato dell’arte che ci consentirà di cogliere le principali conclusioni a cui ricerca ed esperienza sono pervenute, e che trovano una generale condivisione. Ci porremo, in altri termini in,un’ottica di tipo ricognitivo che ci consentirà di focalizzarci sulle, dimensioni e sugli aspetti acquisiti e stabilizzati della psicologia dell'emergenza. Tra le conclusioni a cui ricerca ed esperienza hanno condotto te per quanto riguarda l’emergenza collettiva, dobbiamo evidenziare almeno le seguenti: Gli interventi non devono essere concepiti come momenti di improvvisazione e spontaneismo, ma devono seguire a: attività di previsione,ossia di studio, insieme agli altri operatori dell’emergenza; attività di prevenzione; attività di soccorso; Gli scenari in cui si potrebbe svolgere l’intervento dì assistenza psicologica possono essere suddivisi in: eventi naturali, determinati da fenomeni della natura; eventi antropici, ossia derivanti dall’azione dell’uomo; eventi antropico-naturali, ossia quella categoria di gravi eventi in cui la mano dell’uomo crea le condizioni che rendono disastrosi gli eventi naturali: grandi disboscamenti e conseguenti grandi frane a seguito di piogge abbondanti, restringimento dei letti dei fiumi ecc. . E' assolutamente necessario precisare che gli interventi di assistenza psicologica nelle calamità «sono rivolti prevalentemente a persone “normali” che reagiscono normalmente una situazione anormale, e all'identificazione delle persone che rischiano di incorrere in menomazioni psicologiche o sociali gravi a causa dello shock della calamità». Proprio per ridurre al minimo il rischio che in alcune persone insorgano problemi a lungo termine «un importante elemento dell'intervento di salute mentale nelle situazioni di calamità durante la prima fase successiva all'impatto è l'identificazione degli individui a rischio di problemi a lungo termine». Va precisato che una grave emergenza naturale o tecnologica può certamente innescare cambiamenti improvvisi dell'umore o del comportamento tali da richiedere un'attenzione clinica, ma va detto anche che gli interventi di assistenza psicologica erogati in questi casi, a seguito di un disastro, sono da ritenere in generale attività cliniche dirette e persone normali che reagiscono normalmente a situazioni molto anomale, infatti, generalmente «le reazioni anormali non sono indicative ne dell'esistenza di un disturbo psichiatrico sottostante ne della necessità di un intervento farmacologico. Pertanto, il clinico che valuta queste persone dovrebbe presupporre, fino a prova contraria, che il paziente non sia affetto da un disturbo psichiatrico importante e che i sintomi associati all'aumento dell'attivazione psicologica e fisiologica si risolveranno senza farmaci entro un periodo ragionevole di tempo». Non va dimenticato, però, che l'intervento psicologico in situazioni di calamità deve necessariamente comprendere anche l'individuazione, la valutazione e il trattamento di quelle persone che a causa dello stress determinato dalla calamità, presentano un peggioramento di sindromi psicopatologiche presenti, e va ricordato anche che negli interventi di assistenza psicologica nelle grandi emergenze “la maggior parte del lavoro avviene in contesti non clinici” e assume forma di insegnamento della gestione dello stress. Nella maggior parte dei casi l’intervento si svolgerà in un contesto non molto tranquillo, e si disporrà solo di poco tempo per le singole persone, dovendo promuovere anche interventi tesi a ripristinare la funzionalità sociale, oltre che. Quella individuale. L’intervento psicologico in situazioni di emergenza si giova molto di una buona capacità di instaurare rapidamente un contatto e di entrare facilmente in relazione perché queste capacità consentono di effettuare più rapidamente le prime valutazioni quando ci sono molte persone che manifestano forti scompensi emotivi o comportamentali. Va detto infine, che «anche se è necessario possedere abilità' e intuito terapeutico per svolgere l'assessment, subito dopo un disastro gli operatori non fanno psicoterapia, piuttosto, affrontano questioni pratiche, utilizzando tecniche psicoeducative per illustrare ai superstiti le reazioni di stress e i metodi per gestirle. “Quando lo scopo terapeutico è rivolto a una comunità colpita, esistono una serie di interventi psicosociali ad hoc che mirano soprattutto a ricostruire le forme di convivenza comuni e a favorire il benessere di quella particolare ecologia e cultura, si tratta di interventi terapeutici anche se non psicoterapeutici, perchè sono mirati alla ricostruzione di un benessere possibile per un certo gruppo e contesto”. In psicologia dell'emergenza, l'intervento psicosociale è un intervento mirato alla riduzione della sofferenza psicologica. È di solito rivolto a un gruppo, o a una categoria di persone o a una comunità. Tra i molti compiti della psicologia dell'emergenza, quello della tutela del soccorritore dai disturbi legati allo stress delle attività di soccorso è un dei compiti su cui non solo c'è accordo unanime tra gli operatori, ma che viene persino sollecitato dalla normativa in vigore. Tutto questo perchè l'esperienza e la ricerca hanno messo in evidenza che il soccorritore è tra le persone maggiormento a rischio di sviluppare disordini psichici nelle situazioni di emergenzam tanto che sulla scala dei livelli di vittimizzazione che si articola su sei diversi livelli, il soccorritore è collocato al terzo posto, subito dopo le vittime dirette, ed i parenti delle vittime dirette (di secondo livello). gli ambiti principali in cui possiamo riunire gli eventi,traumatici individuali sono essenzialmente due: gravi eventi esistenziali, violente aggressioni fisiche e psichiche, stupro, errori giudiziari ecc; gravi situazioni cliniche: venire a conoscenza della morte di una persona cara; venire a conoscenza che ad una cara è stata fatta diagnosi di male incurabile; In tutti questi casi l'obiettivo della psicologia dell'emergenza individuale è ripristinare, il più possibile, il modo di sentire pensare ed agire della singola persona, ossia tutelare il suo aspetto psichico globale. Un'osservazione importante relativa alle emergenze individuali è che, anche nei casi in cui il soggetto vive situazioni devastanti, la comunità continua regolarmente la sua vita. Facendo un rapido parallelo tra la psicologia dell'emergenza collettiva e la psicologia dell'emergenza individuale, ci troviamo di fronte al seguente quadro: – comunità colpita da eventi estremi: evento critico (collettivo); traumatizzazione (della comunità colpita, distruzione dei luoghi e dei modi di essere e di vivere di quella comunità); stato di crisi (del sistema sociale, stravolgimento delle caratteristiche dell'insieme sovraindividuale in cui la vita si svolgeva) – persona colpita da eventi estremi: evento critico (individuale); traumatizzazione (della persona colpita, compromissione dell'assetto mentale, emotivo ed affettivo di quel soggetto); stato di crisi dell'individuo, ossia stravolgimento delle caratteristiche che costituiscono quello specifico insieme individuale (modo di essere e di pensare) In tutti i casi, , l’evento critico minaccia il singolo individuo che ne rimane traumatizzato, avviene infatti in lui uno stravolgimento delle caratteristiche dell'assetto mentale, emotivo ed affettivo e si trova in uno stato di crisi che coinvolge tutto il suo essere. In estrema sintesi, possiamo concludere su questo aspetto dicendo che la psicologia dell'emergenza si compone di due diversi comparti, quello individuale e quello collettivo, ossia quello dei primi soccorsi sanitari e quello delle grandi organizzazioni internazionali. Da un lato, i primi soccorsi sanitari rappresentano, infatti, gli interventi “ordinari” sulle emergenze quotidiane; dall'altro si aprono scenari di interventi umanitari su grandissima scala». A chiusura, possiamo dire in breve che la psiocologia dell’emergenza consiste nel prendersi cura delle persone che hanno attraversato un evento drammatico, con rischio di vita personale o con la presenza reale di morte e distruzione di altri. La psicologia dell’emergenza, ha anche un’altra accezione che consiste nel preparare le persone ad attraversare una situazione prevista che comporta rischio di vita come, per esempio,, far fronte a un’inondazione, un’eruzione vulcanica, una malattia grave. CAP.2 IL PRIMO COLLOQUIO IN EMERGENZA L'elaborazione di una traccia atta a guidare il primo colloquio in emergenza prende avvio nel 2007 durante un laboratorio co-coordinato dal gruppo emergenza di osservatorio psicologi parmensi, in seguito diventato SIPEM Emilia Romagna. Il laboratorio in questione aveva l'obiettivo di individuare le specificità del primo colloqui in emergenza e approfondire le modalità di addestramento operativo attraverso le videoregistrazioni. In seguito, lo schema individuato è stato applicato a tutti gli interventi emergenziale che hanno visto la presenza dell'associazione quali terremoti di Abruzzo ed Emilia, emergenze, frane ecc. 2 Il pronto soccorso psicologico Il colloquio è uno dei principali strumenti nella “cassetta degli attrezzi” dello psicologo e dovrebbe trovare un'adeguata valorizzazione all'interno della progettazione dell'assistenza psicosociale alla popolazione, già nelle primissime fasi che seguono il verificarsi di un evento traumatico. Purtroppo il dibattito scientifico in Italia si è focalizzato principalmente sull’efficacia dei vari orientamenti psicoterapeutici nel trattamento del trauma, trascurando di raccogliere evidenze sull’efficacia del pronto soccorso psicologico. Le ricerche hanno ormai empiricamente dimostrato come “l'atto di portare alla mente il ricordo di un evento sia frutto anche di influenze operanti nel presente”. Intervenire nella fase di codifica, consolidamento, immagazzinamento e primo recupero dell'esperienza traumatica significa avere la possibilità di operare sull'esperienza soggettiva del ricordo prima che i contenuti traumatici si siano cristalizzati. 3 Il colloquio vs il colloquio in emergenza Le principali caratteristiche che differenziano il colloqui in situazioni di emergenza da quello “tradizionale” riguardano il setting e gli obiettivi. In ambito emergenziale, la persona da soccorrere viene raggiunta dallo psicologo direttamente sul luogo del crash e nei centri di prima accoglienza, oppure potrebbe essere necessario recarsi nell'abitazione della vittima. L'assenza di una situazione ambientale controllata e prevedibile come quella che troviamo nello studio professionale non è di ostacolo e permette di perseguire quegli importanti obiettivi di primo soccorso che ci affida la direttiva “criteri di massima sull’intervento psicosociale in emergenza”: la messa in sicurezza, l’identificazione attiva dei bisogni, la valutazione psicologica e, la comunicazione di tutte le informazioni utili ad attivare comportamenti autoprotettivi. Un’adeguata formazione clinica e un’attenta valutazione delle attitudini dello psicologo a operare in questo campo saranno importanti fattori di protezione personale per il professionista e condizioni determinanti per l’efficacia dell’intervento. 4 Condurre il primo colloquio di emergenza Obiettivi del colloqui sono stabilizzare, prevenire altri micro/macrotraumi che possono avvenire a ridosso dell'evento, e agevolare l'apertura alla vita interiore a al lavoro su se stessi per far fronte in maniera positiva all'evento traumatico. Il primo approccio alla vittima deve sempre essere preceduto da un'autopresentazione, completa di informazioni sul ruolo dello psicologo e sul mandato a lui affidato. Nel corso del primo colloqui è importate mettere le basi per una relazione di fiducia della persona coinvolta con il mondo del soccorso e con i servizi di salute mentale che prenderanno in carico eventuali problematiche nei giorni, mesi, anni successivi. Anche se le vittime sono numerose, uno sforzo costante va posto nel riconoscimento dell'invalidità di ciascuno per fornire un'assistenza che parta dai bisogni espressivi. È importante curare l'accoglienza, agevolare i ricongiungimenti familiari e ascoltare le richieste sostenendo le persone nell'espressione dei bisogni e nell'elaborazione delle domande. 5 Intervento breve in acuto: il riequilibrio funzionale Prima di iniziare l'indagine di triage, è opportuno aiutare la vittima a ripristinare uno stato di coscienza e percezione sufficientemente adattivo, ovvero far si che davvero sia in relazione con noi, al meglio che può in quel momento. Uno dei fattori che più disturba la stabilizzazione delle vittime bisogno di quel determinato apparato psichico. 4 Differenze tra triage psicologico, screening e psicodiagnosi Per evitare confusioni tra triage psicologico, screening psicologico e diagnosi psicologica, è opportuno sottolineare le differenti finalità di questi interventi. Le loro differenti finalità, infatti, li caratterizzano e li distinguono completamente. Una prima precisazione da fare è chi il triage psicologico non deve essere affatto considerato un atto o un processo psicodiagnostico. Va considerato come un processo valutativo che mira ad individuare chi ha bisogno di intervento psicologico urgente e chi no. È quindi un processo preliminare dell’effettuazione della diagnosi e all’esecuzione della terapia psicologica, così come il triage medico-infermieristico è preliminare a diagnosi e cure mediche ed indica quanto è urgente che il soggetto venga trattato. Anche se sia il processo psicodiagnostico che quello di triage psicologico, condividono il momento il riconoscimento di segni e sintomi, va tuttavia osservato che l’attribuzione del codice di priorità è, invece, completamente assente nell’ambito delle attività volte alla definizione del quadro psicodiagnostico. Un’altra motivazione di forte rilievo che ci obbliga a distinguere il processo di triage psicologico da quello psicodiagnostico è la tendenza a fotografare la situazione in atto ed a valutarne la potenzialità evolutiva, verso quadri patologici più gravi o meno gravi. Nel concetto dì triage è insita, in sostanza, una propensione, forte e molto più marcata di quella insita nella psicodiagnostica ad identificare le dimensioni di evolutività e variabilità del quadro clinico del paziente verso condizioni di miglioramento o di peggioramento. Il triage psicologico, ha un indice di variabilità molto diverso da quello dei quadri psicodiagnostici e di personalità; che sono molto più stabili e costanti, e quindi meno, variabili, specie se. considerati in relazione al breve periodo. Potremmo addirittura dire, forse, estremizzando, che i due processi mirano a due obiettivi opposti: il triage, tende, a cogliere quanto di variabile ed evolutivo caratterizza, il quadro psichico. In quel momento mentre il processo psicodiagnostico tende, a rilevare; principalmente quanto, di stabile e strutturale sembra caratterizzare quello specifico quadro psichico in quel momento. Il triage de a valutare se c’è bisognò di assistenza e con quale urgenza; la psicodiagnostica, invece, mira ad individuare, e descrivere, tratti e meccanismi di funzionamento psichico. La psicodiagnostica mira a delineare un quadro psichico, il triage ,a tutelare il quadro, psichico, ossia a rilevare se è urgente o no, e quindi se per quella persona è differibile o indifferibile il bisogno di ricevere diagnosi e trattamento. Molto diversa da quella del triage è la finalità degli screening, che si effettuano su persone che al momento non mostrano nessuna urgenza di trattamento, ma rispetto, alle quali noi supponiamo che, per effetto di ciò che hanno vissuto in situazioni di emergenza, potrebbero sviluppare in tempi successivi alcune, difficoltà, psicologiche correlate all’evento emergenziale vissuto. Gli screening, in pratica, al contrario del triage, portano l’attenzione valutativa non. Sulle persone che già presentano un quadro più o meno evidente di difficoltà, ma sulle persone che non presentano al momento un bisogno manifesto di trattamento, ma per le quali noi temiamo che potrebbe sorgere successivamente il bisogno di ricevere un trattamento. Lo screening non si attiva subito ma in tempi successivi e non mira a selezionare le urgenze di trattamento ma ad individuare chi in tempi medio-lunghi potrebbe sviluppare problemi che adesso non presenta. Attraverso gli interventi di screening si mira, quindi, ad individuare, in una popolazione colpita le persone che presentano condizioni da cui forse potrebbero determinarsi problemi in futuro. 6 Aspetti conflittuali del triage nelle grandi emergenze II triage è una disciplina che si deve adattare a tante diverse esigenze e situazioni: geografiche, ambientali, logistiche e organizzative. Non si può parlare semplicemente di triage, ma si parlare di triage per il soccorso nelle emergenze territoriali ordinarie, ossia il triage del pronto soccorso, e triage per il soccorso nelle grandi emergenze militari e civili. Dobbiamo dire anche che si tratta di interventi di triage completamente diversi nei criteri e nelle finalità, volti a fronteggiare realtà completamente differenti. Un risvolto particolarmente importante del triage medico da grande emergenza è rappresentato dal fatto che mentre nelle emergenze ordinarie la priorità di trattamento è strettamente legala al livello di compromissione del quadrò clinico, ossia più il paziente è grave e prima viene trattato, nella Medicina delle Catastrofi questo concetto vale solo in parte, infatti difficoltà particolarmente rilevanti si determinano a questo riguardo nell’ambito della Classe di priorità contrassegnata dal colore blu. Questa classe vengono assegnati quei pazienti che, pur non essendo ancora deceduti presentano lesioni cosi gravi da lasciare pochissime speranze di sopravvivenza dopo un trattamento immediato ed intensivo. Altri esempi traumi aperti del cranio con fuoriuscita di materia cerebrale. In condizioni normali, e cioè in uno scenario dì incidente che coinvolge poche persone, è d’obbligo riservare a questi pazienti il massimo possibile delle cure. In una situazione di catastrofe questo tentativo sottrarrebbe un’eccessiva quantità di risorse ad altri pazienti in condizioni gravi, ma con migliori prospettive di salvezza. Si può quindi affermare che il triage in Medicina delle Catastrofi ha l'obiettivo di portare il massimo beneficio al maggior numero di pazienti usando il minimo delle risorse. Ciò significa garantire in trattamento prioritario ai pazienti in condizioni cliniche più gravi, ma che presentino reali possibilità di sopravvivenza. Queste decisioni comportano però gravi impatti, emotivi sui sanitari che le prendono, sulle vittime, se sono ancora coscienti e sui parenti delle vittime, e impongono alla psicologia dell’emergenza di concorrere alla gestione di queste situazioni cliniche complesse, sia per quanto riguarda l’assistenza psicologica alle vittime, se ancora possibile, sia per il supporto ai parenti, ai clinici e ai soccorritori. Trovandosi di fronte a casi di particolare gravità psicologica come ad esempio i superstiti, e dovendo provvedere, d’intesa con il Direttore dei' Soccorsi sanitari (DSS) ad organizzare l’invio di queste vittime in strutture più attrezzate per fornire supporto psicologico, ma lontane dal luogo dell’evento, bisogna tenere adeguatamente conto dei molteplici aspetti di conflittualità e disagio che causano queste decisioni nelle vittime, nei parenti e negli operatori, pur essendo clinicamente motivate e legittime. L'evento emergenziale può aver: – causato un disagio psichico da fronteggiamento: – acuito una difficoltà già in atto; – attivato un precedente disturbo; – determinato un grave trauma psichico, ad es. disturbo acuto da stress, disturbi dissociativi dell'identità ecc. 7 Il triage psicologico in Italia fino al 2006 prima sollecitazione esplicita ed autorevole agli psicologi impegnati nelle emergenze collettive ad assumere durante gli interventi psicologici nelle grandi emergenze un'ottica da triage è di carattere normativo ed e venuta dalle primissime “Linee generali di programmazione del soccorso sanitario nelle grandi emergenze” promulgate nel 1993 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e specificamente nel paragrafo “interventi in fase di emergenza”, si legge, infatti: nella primissima fase...si devono soccorrere e sedare le persone in preda a stati di agitazione che possono diventare punti di partenza di attacchi di panico individuali e collettivi. Qualche hanno dopo ha dato il suo importante contributo anche Morra (2000), che, nel raccomandare di non trascurare l’esame degli aspetti psicologici, sottolinea che anche il migliore sistema di soccorso può fallire se non si riserva un’adeguata attenzione alle persone con disturbi psicologici, e infatti dice: Va ricordato un problema particolare, cioè quello dei pazienti con gravi traumi psichici. Può diventare necessario evacuare con priorità i pazienti con le seguenti si(nazioni cliniche in atto: – psicosi – pazienti con precedenti psichiatrici gravi; – nevrotici gravi – soggetti “catalizzatori” ovvero soggetti con forte fragilità emotiva capaci di innescare una reazione di panico collettivo (Morra, 2000). Anche queste raccomandazioni indicano delle priorità di intervento che mirano alla tutela dell’equilibrio psichico individuale e collettivo ed alla prevenzione del panico di massa che, in emergenza, potrebbe essere causato dal gregarismo e dal contagio psicologico. É evidente, cioè, che comincia a delinearsi la consapevolezza che ad alcune aree di disagio bisogna riconoscere una priorità di intervento, ossia che vi sono condizioni psichiche verso le quali occorre avere un’attenzione prioritaria e privilegiata. Sollecitazioni forti in ordine alla necessità di adottare procedure di triage psicologico vennero agli psicologi italiani nell’ambito del Convegno Internazionale “psicologia delle emergenze” ad opera della francese Clara Duchet, che operava nelle “cellule di emergenza medico-psicologica” create in Francia a seguito di eventi emergenziali di vario tipo. Dalle varie esposizioni risultò che i francesi disponevano di schede prestampate di criteri predefiniti, di procedure concordate, che consentivano loro di osservare il paziente, di valutarne il bisogno di assistenza, di fornire un primissimo momento di supporto, ove possibile, e di smistare rapidamente le persone verso consultori e centri di aiuto alle vittime, oppure di rimandare la persona al suo domicilio. Perché arrivino agli psicologi italiani dell’emergenza nuovi stimoli relativi al triage, è necessario attendere il 2003, anno in cui compaiono i contributi di due autori italiani che hanno affrontato in modo attento ed articolato il problema de triage psicologico, arrivando anche a delineare delle classi di priorità con l’indicazione dei segni e dei sintomi psichici relativi a ciascuna classe. I due studiosi sono Furlan e Napoli. Furlan redige degli elenchi di sintomi che possono essere riuniti all'interno di una stessa classe di priorità – ad es. Classe di priorità 3 (grave): reazione confusionale, Stato delirante acuto, Alterazioni del comportamento gravi ecc. - e così anche per la classe di priorità 2 (intermedia) e per la Classe di priorità 1 (Lieve). Napoli invece, individua delle categorie di soggetti a rischio da inserire nelle varie classi di priorità – ad es. Classe di priorità 1 (alta): Familiari delle vittime, Feriti, Estratti dalle macerie – ed indica anche i vari disturbi (cognitivi, percettivi, della condotta) che devono presentare; e così anche per la classe di priorità 2 (intermedia) e per la 3 (bassa). 8 Il triage psicologico alla luce dei criteri di massima del 2006 Nel 2006 vengono emanate le disposizioni relative agli interventi psicologici da attuare nelle catastrofi, indicando: obiettivi degli interventi, finalità, destinatari, sedi operative, equipe che deve attuare gli interventi ecc., ponendo fine definitivamente all’idea che l’intervento psicologico in emergenza è improvvisazione e soggettività, al di fuori di ogni norma. Il triage psicologico viene ad assumere la dignità di procedura disposta dalla normativa vigente, articolata e finalizzata. Il triage psicologico viene ad assumere la dignità di procedura disposta dalla normativa vigente, articolata e finalizzata. Viene a delinearsi come lo strumento che guida gli psicologi che operano nelle emergenze nella distinzione tra il livello di disagio e sofferenza, che indica una reazione normale ad un evento eccezionale, ed il livello di sofferenza che indica una reazione anormale ad un evento eccezionale. Il triage è l’insieme dei criteri su cui l’operatore si basa per classificare i soggetti in classi di priorità di trattamento e per indicare il tipo e le modalità di invio del paziente alle strutture sanitarie della catena dei soccorsi. 10 Accoglienza, concentrazione sul presente e supporto nel triage L'accoglienza rappresenta la prima fase del percorso di triage, che prende avvio con l'incontro tra psicologo e la vittima e va sempre considerata come «un momento molto delicato ed importante per la buona riuscita del processo di triage, in cui l’operatore si pone in modo empatico ed accogliente. È necessario qualificarsi, chiarire al soggetto il proprio ruolo e magari indicare l’ente o l’associazione con la quale si collabora in quell’emergenza. Subito dopo è necessario rassicurare il soggetto, spiegandogli cosa si sta facendo con lui». Non sempre, però, è possibile condurre la fase dell’accoglienza nel modo descritto, infatti, quando il quadro clinico è particolarmente grave, come ad esempio nei quadri di amnesia post traumatica il soggetto viene osservato in modo molto più sommario e le informazioni ritenute necessarie che non si possono avere dal paziente, vengono chieste agli eventuali accompagnatori. Tutto questo, però, non inficia la possibilità di pervenire ad una valutazione adeguata del bisogno di trattamento psicologico urgente del soggetto, visto che la gravità del quadro clinico lo rende evidente di per se. Durante il breve colloquio con la perso la lo psicologo deve concentrarsi essenzialmente sul presente, ossia sull’evento emergenziale appena vissuto e le manifestazioni emotive e somatiche che ne sono derivate. Deve guardare, rapidamente, anche al passato del paziente, ma solo per individuarne le eventuali pregresse fasi di vulnerabilità, i precedenti bisogni di supporto psicologico o farmacologico. Lo psicologo deve concentrarsi quindi sul presente e porre l’attenzione a tutti i segni ed i sintomi che la persona manifesta, ed a tutto ciò
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