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dall illuminismo alla rivoluzione industriale, Appunti di Storia

STORIA illuminismo, Cesare Beccaria, rivoluzione americana e la costituzione americana e industriale. Programma di quinta di liceo economico sociale

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 14/01/2023

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Scarica dall illuminismo alla rivoluzione industriale e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! l'illuminismo L’illuminismo è un movimento culturale e politico che ha caratterizzato l’Europa nel 1700. Il suo epicentro fu la Francia, e si diffuse in tutti i paesi europei. Il termine contiene “luce”, metafora che riassume il programma di illuminare la vita sociale, culturale e politica degli uomini. La luce è metafora della ragione umana, cessa di essere metafora dell’onnipotenza divina. La ragione per gli illuministi è la facoltà che ci consente di vivere in armonia. Nel “risposta alla domanda cos’è l’illuminismo” la ragione umana è la facoltà che permette agli uomini di uscire dallo stato di oniricità, lo stato di chi non è in grado di decidere autonomamente. La ragione permette all'uomo di essere libero. Kant fa tre critiche: critica della ragion pura, del giudizio e del…….. L'obiettivo della ragione è la felicità, il benessere. Per gli illuministi questa felicità può realizzarsi solo nella società, non c’è felicità individuale senza quella collettiva. Compito della politica e del governo è quello di creare condizioni in cui è possibile che gli individui siamo felici in una società. L’illuminismo crede nel processo dell’umanità, questo nasce dalla visione ottimistica della natura umana. Così anche la storia non ha senso solo perché guidata dalla provvidenza divina, la storia è fatta dagli uomini, sono loro ad essere i responsabili della storia. La ragione rende gli esseri umani tutti uguali, la ragione è la facoltà specifica degli esseri umani. È a partire dalla ragione che possiamo affermare che tutti hanno gli stessi diritti. L’illuminismo proponeva una concezione laica della vita, la maggioranza degli illuministi era seguace della religione naturale, che si distingue da quella storia perché frutto della ragione umana, ed è indipendente dalle sacre scritture (crede solo ciò che capisco) illuministi e religione: per gli illuministi è la religione naturale che ci fa conoscere i principi morali comuni a tutti gli esseri umani, ed è la ragione che ci spinge a credere nell’esistenza di un Dio superiore. Al contrario delle religioni rivelate che sono basate su dogmi antichi che sfociano nel fanatismo. una religione naturale è filtrata dalla ragione che non la fa sfociare nel fanatismo.. il 1700 è un periodo di guerre religiose che distruggono l’europa. gli illuministi infatti capiscono che la religione deve essere trattata con la ragione, se no porta a scontri e guerre. Inoltre gli illuministi affermano che la religione deve essere una scelta razionale e libera della ragione. enciclopedia tra il 1751 e il 1772 sotto direzione di 2 filosofi, Denis Diderot e Jean D'alembert, viene pubblicata a Parigi, l'enciclopedia, un dizionario della scienza, dell’arte e dei mestieri, Il sapere non è solo teorico ma anche pratico, ed è scientifico quel valore che è operativo, pratico (mestieri). la cultura deve essere pubblica, non può essere un privilegio di pochi, portata al di fuori delle nicchie del sapere (università, accademie) e circolare liberamente. l’enciclopedia veniva venduta a dispense, volumi e sotto forma di abbonamento, ciò per facilitare l’acquisto al vasto pubblico, se nel 1751 vennero eseguiti 1000 abb e un anno dopo il doppio. illuministi e pensiero politico: gli illuministi avevano opinioni diverse, la maggioranza comunque concordava con l’opinione positiva e favorevole a quello che recentemente era accaduto in inghilterra ( monarchia costituzionale) essa per loro era la forma di governo più adeguata per garantire libertà e diritti. altri, la minoranza per esempio il filosofo Voltaire, ritenevano opportuna la monarchia assoluta, un potere assoluto centralizzato al re, perché queste erano le condizioni più favorevoli per realizzare le riforme necessarie di un paese, per combattere i privilegi degli ordini dell’aristocrazia al clero. all’interno dei pensieri politici degli illuministi si trovano 2 voci importanti di 2 filosofi francesi, Montesquieu, importante per la sua affermazione politica della divisione dei poteri. e l’altro Rousseau che parlava della sovranità popolare. La divisione dei poteri è stata appunto teorizzata da Montesquieu nella sua opera lo spirito delle leggi. per Montesquieu il problema fondamentale di una giusta organizzazione politica è quello di garantire le libertà e impedire il dispotismo occorre Dunque che il potere del monarca sia limitato e moderato da leggi e organismi costituzionali come nel sistema inglese. I tre poteri fondamentali dello Stato sono il potere legislativo che doveva aspettare ad organi diversi da quelli che invece esercitavano il potere di governare o sia il potere esecutivo e il potere di amministrare la giustizia o sia il potere giudiziario. Rousseau invece nella sua opera il contratto sociale partiva da una visione della civiltà e della storia molto diversa da quella condivisa dalla maggior parte degli illuministi. Secondo lui la sopraffazione fa parte della vita dell'uomo punto questa sopraffazione ha avuto un momento decisivo nell'istituzione della proprietà privata punto da qui lo stato non ha fatto altro che legalizzare la disuguaglianza. per rosso il vero problema Non era quello non è la libertà ma l'uguaglianza: senza uguaglianza Non può esserci neanche Libertà occorre quindi un contatto sociale ovvero un accordo fra gli individui che dà vita ad uno stato in cui la sovranità sia espressione della volontà generale ovvero gliela volontà di tutto il popolo. Rousseau propone uno stato demografico fondato sulla sovranità popolare. Assolutismo (DISPOTISMO) illuminato Nella seconda metà del 700 alcune monarchie assolute europee tentano di rafforzare lo stato attraverso delle idee riformatrice che provengono dall illuminismo. Si parla di assolutismo illuminato, un fenomeno che è durato solo una breve stagione , dagli anni 50 agli anni 80 del 1700. Gli stati sono quelli in cui c’era il ceto dell aristocrazia che poneva una forte tensione e impedimento all'esercizio del potere del re. Per questo i re cercavano di approfittare del movimento culturale dell'illuminismo cercando di sottrarre all aristocrazia i suoi privilegi. Stiamo parlando dell Austria,Russia e Italia, in particolare il regno di Toscana. (Non compare la Francia, dove l’assolutismo nel 1700 non si è riformato, anche a causa di una nobiltà che si era rifiutata di scendere a compromessi con il re, e per questo nascerà nel 1789 una rivoluzione.) In questi stati alcuni intellettuali illuministi cominciarono a porsi come collaboratori dei sovrani. Le idee dell'illuminismo hanno cominciato a fornire ai monarchi un sostegno politico alla monarchia. In tutto questo è da sottolineare che i sovrani che hanno accettato di introdurre all'interno del loro stato le idee dell'illuminismo lo fecero non perché sposavano le idee culturali dell illuminismo. La motivazione più profonda che spinse i sovrani a fare delle riforme era la necessità di affermare in modo nuovo e più forte l’autorità dello stato. Gli obiettivi delle riforme: Le riforme si fecero in quattro ambiti: 1. L’economia,in particolare l’agricoltura per eliminare i vincoli giuridici come il fidel commesso, un vincolo che impediva di trasmettere i beni immobili al figlio maschio primogenito, o la manomorta che impediva la libera compravendita dei beni della chiesa. 2. il fisco: occorreva riformare i sistemi fiscali riducendo l’esenzione di cui godevano nobiltà e clero 3. Le istituzioni civili 4. La laicizzazione dello stato. I sovrani non volevano scontrarsi con la classe dirigente. Per questo ci fu un successo solo parziale delle riforme che delusero in gran parte le speranze nutrite dagli innovatori. Tuttavia in settori come la pubblica amministrazione, l'istruzione la giustizia e le riforme incisero positivamente, modernizzando la vita civile e rafforzando la struttura dello Stato. il riformismo nell’impero asburgico Nell'impero Asburgo Maria Teresa inizia un'intera stagione di riforme. Assoggettò la nobiltà all'imposta fondiaria, cioè sulla proprietà terriera, centralizzò il prelievo fiscale, avviò il catasto delle proprietà terriere, sviluppò l'istruzione pubblica. Giuseppe II, suo figlio, soppresse 700 conventi , incamerandone le proprietà per finanziare opere assistenziali. Nel 1781 emanò all'atto di tolleranza, che sanciva l'emancipazione degli ebrei e la libertà religiosa. emanò un nuovo codice penale che fissava pene uniche per tutti i sudditi indipendentemente dal ceto e riduceva il ricorso alla pena di morte. Nel 1781 soppresse la servitù della gleba. il riformismo di Federico il grande in Prussia, Federico secondo, favorì La colonizzazione di nuove Terre punto teorizzò il praticò la tolleranza religiosa. Sviluppò l'istruzione, e la Prussia fu il primo paese a sancire l'obbligatorietà dell'Istruzione elementare nel 1763. Il fondamento dello Stato erano l'esercito e la burocrazia, la servitù della gleba rimase in vigore anche se vennero prese parziale provvedimenti per migliorare la condizione dei contadini, regolamentando le corvèes e proibendo la vendita dei Servi. le riforme in Russia Caterina II emanò appena salito al potere una”istruzione”: tolleranza religiosa, libertà di stampa, diffusione dell'Istruzione, riforma della Giustizia penale. Ma i risultati delle sue riforme furono scherzi. Preoccupata di perdere l'appoggio della nobiltà, Caterina nel 1785 emanò una carta della nobiltà, che confermava i poteri dei proprietari sui servi e dei privilegi dei Nobili, arrivando a esentarli dal servizio militare e civile. l’illuminismo lombardo Con Maria Teresa d'Asburgo la Lombardia è una serie di riforme.Milano all'epoca era un vivace centro di cultura illuminista, animata dai dibattiti che si tenevano all'accademia dei pugni in cui si trovavano esponenti come Pietro Verri o Cesare Beccaria. Illuminismo Lombardo e mi ritrovo con la concretezza dell'economia, del diritto, dell'amministrazione. perché la pena di morte non è legittima: 1.La pena di morte non è un diritto del cittadino, poiché le leggi sono la cessione di una parte di libertà del cittadino, e nessuno cederebbe ad altri il diritto di disporre della sua vita. 2.non è utile in quanto invece di allontanare gli uomini dal delitto c'è un esempio di pubblico assassinio legalizzato dallo Stato,è un atto di guerra dello Stato contro il cittadino. Tre tipologie di colonie Le quattro colonie settentrionali presentavano una forte omogeneità etnica e religiosa. I coloni erano perlopiù puritani inglesi, raccolti in comunità agricole di piccoli e medi proprietari, con una struttura sociale egualitaria e da un’intensa partecipazione politica. Erano piuttosto statiche sul piano economico e chiuse su quello culturale, ma molto più dinamiche e aperte per le città portuali costiere, dedite so commerci e pesca. Le quattro colonie del centro erano più diversificate dal punto di vista etnico e religioso: c’erano presbiteriani, luterani, cattolici, ebrei ecc..Gli spazi di libertà religiosa erano più ampi. L’economia si basava sull’agricoltura e sulla commercializzazione dei prodotti agricoli. Molto differente era il profilo economico sociale delle cinque colonie meridionali, la cui economia si basava sulle grandi piantagioni di cotone e di tabacco, che veniva esportato in Europa. Qui un’Elite di possidenti terrieri, eredi dell’aristocrazia minore inglese, dominava su piccoli coltivatori bianchi e sulla vasta massa di schiavi importati dall’Africa. Qui imperava la chiesa anglicana. La composizione sociale La società americana era dinamica, ma tutt’altro che egualitaria. Le differenze economiche e sociali erano molto forti. Fra le classi superiori il ceto più umile si apriva un vasto ceto medio di agricoltori, negozianti, artigiani. I bianchi costituivano una minoranza rispetto ai nativi e agli schiavi neri. In realtà, il territorio nord americano vide incrociarsi i destini di tre popoli: I coloni europei, i nativi americani e gli schiavi neri africani. Le nazioni indiane All’inizio del seicento le popolazioni native ammontavano a circa 5 milioni di individui, organizzati in una complessa società a base tribale formata da 12 gruppi etnici, a loro volta suddivise in gruppi minori. Tra il XVII secolo e il XVIII secolo si verificò dunque una catastrofe demografica, Provocata dalle malattie importate dall’Europa, ma anche dalle guerre fra coloni e nativi per il controllo di un territorio che le concessioni assegnavano ai coloni come se fosse vuoto, mentre erano abitate dagli indiani. All’inizio i rapporti tra i nativi e coloni erano stati abbastanza buoni. Poi si crearono conflitti via via più drammatici. I trattati sottoscritti fra i coloni e i capi indiani venivano sistematicamente violati; le numerose ribellioni furono represse nel sangue. Inoltre si rivelò perdente il tentativo dei nativi di allearsi con i francesi nella guerra franco indiana, com’è chiamata quella parte della guerra dei sette anni che si combatte nel Nord America. Dopo la sconfitta francese, le tribù indiane della regione dei grandi laghi continuarono da sole la loro lotta contro gli inglesi ma furono decimate. Gli schiavi neri Gli africani venivano condotti in catene dell’Africa occidentale lungo le rotte atlantiche della tratta degli schiavi. Nelle colonie settentrionali gli schiavi furono sempre in numero ridotto perché l’economia non ne aveva particolarmente bisogno. Furono invece le colonie meridionali a far esplodere la domanda di schiavi, perché si trattava di una manodopera fondamentale per l’economia di piantagione. Le istituzioni della schiavitù Gli americani dell’epoca consideravano la schiavitù legittima, anzi perfettamente normale, in forza del particolare meccanismo mentale che consentiva agli europei di fare fuori d’Europa quello che non avrebbero mai ammesso in casa loro. I rapporti giuridici con gli schiavi erano regolati da appositi codici, gli slave codes, di che impedivano agli schiavi di detenere proprietà, di sposarsi con Bianchi, di muoversi o di riunirsi e che prevedevano pene atroci per la fuga o la ribellione. Le colonie e la corona Fino alla metà del settecento, il rapporto tra le colonie e la corona britannica fu poco conflittuale. L’autonomia politica e l’inserimento nella pasta e dinamica rete commerciale inglese permetteva alle colonie di partecipare con profitto ai traffici atlantici. Fornivano al mercato europeo prodotti agricoli i prodotti navali. Alla metà del settecento, quando in Gran Bretagna le foreste già scarseggiavano circa il 40% della flotta inglese proveniva da cantieri americani. Monopolio inglese e contrabbando Questi traffici non erano tutti legali, perché il governo inglese applicava le regole del mercantilismo: alcuni prodotti americani potevano essere esportati soltanto in Gran Bretagna e tutti i commerci tra la madrepatria e le sue colonie dovevano svolgersi con navi inglesi. Era vietato ai sudditi americani produrre in proprio prodotti tessili e siderurgici, considerati di grande importanza economica, nonché importare manufatti da Stati diversi dalla Gran Bretagna. Tuttavia queste limitazioni erano ampiamente aggirate dagli americani con il contrabbando. Espansione delle colonie e politica imperiale britannica La situazione mutò dopo la metà del secolo per due principali ragioni: l’impetuoso sviluppo economico e demografico delle colonie rivelò sempre meno accettabile la dipendenza dalla madrepatria; e il governo inglese, dopo la guerra dei sette anni, con la quale aveva strappato ai francesi tutto il Nord America, intraprese una più decisa politica imperiale cercando di esercitare un maggiore controllo sui suoi possedimenti americani. La legge sul bollo Il governo di Londra impose alle colonie di ospitare e mantenere un corpo di spedizione di 10.000 uomini; proibì di colonizzare terre a ovest della catena dei monti Alleghery-Appalachi (proclamation line) per frenare l’espansione delle colonie e ridurre i conflitti con i nativi; rese più difficile il contrabbando, imponendo bolle di accompagnamento delle merci. Infine, indusse la legge sul bollo (stamp act), una tassa sui giornali, atti legali, documenti commerciali. Il senso di quest’ultimo provvedimento era quello di iniziare ad assoggettare le colonie a una tassazione. No taxation without representation La Proclamation Line fu considerata dai coloni un inaccettabile limitazione di un diritto all’espansione che consideravano sacrosanto. Quello che però sollevò la loro indignazione fu la tassa sul bollo, perché per la prima volta imponeva loro un tributo fiscale. Sino a quel momento, le colonie non erano state soggette a vere proprie tasse, non avendo rappresentanti nel parlamento inglese. Ciò in base al principio che non può essere tassato chi non gode di rappresentanza politica. Nel diritto costituzionale inglese infatti, solo la camera dei comuni poteva imporre tasse. La legge sul bollo assunse così grande significato politico. Il governo inglese sostenne che l’imposta era legittima perché il parlamento rappresentava virtualmente tutti i cittadini; ma i coloni americani risposero negando la rappresentatività di un parlamento così lontano che quindi non poteva tutelare loro interessi. In questo modo, sostenevano implicitamente il proprio diritto di autogovernarsi. Verso il conflitto Contro la legge sul bollo si mobilitò un vasto movimento di opinione: assemblea di deputati delle diverse colonie; manifestazioni di piazza, organizzate dall’associazione figli della libertà; accordi fra mercanti per boicottare le importazioni di prodotti inglesi. Per evitare conflitti e danni economici il governo di Londra ritirò la legge sul bollo ma riaffermò contestualmente il proprio diritto di tassare i coloni. Nel marzo del 1770, l’uccisione di cinque civili a Boston durante uno scontro con le truppe inglesi (massacro di Boston) esasperò ulteriormente gli animi. Il governo inglese, per riassestare le finanze della Compagnia delle Indie orientali, assegna a quest’ultima il monopolio dell’esportazione del tè nelle colonie, danneggiando i mercanti e i contrabbandieri americani. La risposta di il famoso Boston tea party, Nel corso del quale una grossa partita di te della Compagnia fu gettato in mare nel porto di Boston. Londra reagì con provvedimenti repressivi, battezzati dei coloni leggi intollerabili: chiusura del porto di Boston, cancellazione dell’autonomia del Massachusetts, annullamento dei poteri dei giudici americani. La dichiarazione di indipendenza Dalle discussioni si finì per passare le armi. Iniziarono i primi scontri fra le truppe inglesi, cui il re aveva dato ordine di riprendere il controllo del Massachusetts, i coloni, che crearono un esercito unitario, la Continental army, Al comando del virginiano George Washington. L’opinione pubblica più radicale puntava ormai decisamente sulla separazione dalla madre patria. Il 4 luglio 1776 il congresso delle colonie riuniti a Philadelphia approvò la dichiarazione d’indipendenza redatta in massima parte da Thomas Jefferson. Si tratta di un documento di importanza storica fondamentale, perché in esso i principi illuministi della libertà e dell’uguaglianza tre cittadini trovavano per la prima volta un’espressione politica. Il dibattito politico fra i coloni Il re Giorgio III aveva dichiarato ribelli tutti i coloni americani. Però numerosi erano i lealisti fedeli al sovrano, soprattutto fra le classi dirigenti legate agli esponenti del potere britannico, e i moderati, favorevoli a negoziare un accordo con la corona inglese. Molti non si schierarono attivamente né da una parte né dall’altra, per indifferenza per ragioni di pacifismo. I veri e propri ribelli erano i radicali come Thomas Jefferson, che si autodefinivano patrioti. Seguaci di alcuni principi fondamentali dell’Illuminismo, come il contrattualismo, e la teoria dei diritti naturali, consideravano la lotta per l’indipendenza come una lotta per la libertà contro il dispotismo del sovrano. La posizione radica, Particolarmente diffusa tra i proprietari indipendenti, le Elite mercantili e i ceti medi urbani, dimostrò grandi capacità di mobilitazione, conquistando anche buona parte delle classi dirigenti moderate. Non mancarono scontri, atti di intimidazione e violenza ai danni di lealisti, moderati o indifferenti. La conquista dell’indipendenza La guerra di indipendenza americana fu un conflitto in cui l’inferiorità militare dei ribelli fu compensata dalle indecisioni e dagli errori strategici degli inglesi e dall’aiuto francese. Importante fu la vittoria di Washington a Saratoga, Nello stato di New York, perché spinse la Francia e poi la Spagna a entrare in guerra al fianco degli americani. Il governo di Parigi intervenne sia per calcolo politico e per prendersi una rivincita sugli inglesi, sia per le pressioni di circoli illuministi, presso i quali raccoglieva ampi consensi l’inviato americano in Francia, Benjamin Franklin. L’appoggio militare dei francesi fu essenziale per il successo degli americani. Il prolungarsi del conflitto indussero il governo di Londra a sottoscrivere la pace di Verrsailles. Questo atto riconosceva l’indipendenza delle 13 colonie e la loro sovranità su tutti territori americani. Il dibattito sul nuovo Stato Conquistata l’indipendenza, le colonie si trovarono di fronte un problema cruciale: bisognava o no dare vita a un nuovo Stato. Ciascuna delle colonie costituiva già uno Stato sovrano, con una propria costituzione, proprio organi di governo e magistratura. I leader americani concordavano che fosse necessaria una qualche forma di unione, perché una frantumazione in 13 piccoli Stati avrebbe messo a rischio l’indipendenza appena raggiunta. Confederazione o federazione? Si fronteggiavano due posizioni. Alcuni, tra cui Jefferson, ritenevano che si dovesse innanzitutto garantire la libertà, l’indipendenza e la sovranità delle singole colonie. Si doveva al massimo creare una confederazione, cioè un’unione di Stati, in cui l’autorità del potere centrale fosse nettamente limitata. L’altra parte, detta federalista, proponeva invece uno Stato federale, in cui le singole colonie mantenessero ampie autonomie, ma le decisioni in materia di interesse generale fossero di competenza di un parlamento e di un governo unici per tutta la nazione. Uomini come Hamilton e Madison sostenevano questa posizione attraverso articoli pubblicati sul giornale. Le discussioni tra gli americani riflettevano differenze economiche e territoriali che avrebbero pensato a lungo sulla storia degli Stati Uniti e che in parte sopravvivono ancora oggi. La nascita degli Stati Uniti Gli osservatori europei dell’epoca non ritenevano possibile la creazione di una Repubblica unitaria sul territorio così ampio: al massimo, prevedevano la nascita di tre nazioni corrispondenti alle colonie del Nord, del centro e del sud. Le colonie si divisero sulla definizione dei confini e sul futuro possesso dei territori dell’ovest. A questo si aggiungevano le difficoltà economiche provocate dei costi della guerra e le agitazioni sociali. Fu probabilmente questa difficile e pericolosa situazione a far pendere la bilancia in favore della soluzione federalista. Anche presso le classi dirigenti del sud si fece strada la convinzione che solo un governo centrale avrebbe potuto affrontare i problemi della giovane nazione: mantenere l’ordine interno; organizzare l’economia; sanare il debito pubblico; garantire la difesa… Nel 1787 si riunì a Philadelphia una convenzione, un’assemblea di rappresentanti delle colonie, che redasse e approvò la costituzione degli Stati Uniti d’America, che era una Repubblica presidenziale federale. Nel febbraio 1789 venne eletto il primo presidente, George Washington.
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