Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Dalla seconda rivoluzione industriale all'era atomica [Riassunto di storia], Sintesi del corso di Storia

Dalla seconda rivoluzione industriale all'era atomica [Riassunto di storia] Argomenti: 2° Rivoluzione industriale,Colonialismo,Situazione della chiesa,Sinistra al potere,Riforme della sinistra,Politica estera della sinistra,Crispi: Riforma interna e colonialismo,La crisi di fine secolo,Origine delle teorie razziste,L'età  giolittiana,La Prima Guerra Mondiale,L'Italia in guerra,Rivoluzione Russa,Le conseguenze economiche della pace,I problemi del dopoguerra,Nitti e la questione Fiumana,Giolitti

Tipologia: Sintesi del corso

2009/2010

Caricato il 05/07/2010

Alberto
Alberto 🇮🇹

4.3

(1356)

394 documenti

1 / 28

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Dalla seconda rivoluzione industriale all'era atomica [Riassunto di storia] e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! Dalla seconda rivoluzione industriale all’era atomica [Riassunto di storia] 2° Rivoluzione industriale Differenze sostanziali con la 1°: 1) Carattere generale (interessa tutta l'Europa e non solo una nazione). 2) Danneggiamento nei confronti dell'agricoltura (produzioni abbondanti per via dei nuovi territori disponibili e conseguente calo dei prezzi). 3) Innovazioni tecnologiche (petrolio, elettricità, acciaio, telefono, motore a scoppio, telegrafo senza fili, dinamite, ricerca chimica, linee ferroviarie transcontinentali). 4) Capitalismo finanziario (nascita di nuovi grandi istituti di credito per rendere disponibili maggiori capitali). Si creano nuovi contatti tra società: a)cartelle: intese tra imprese che producono le stesse merci per fissare i prezzi; b)trust: concentrazione di aziende legate ad un identico ciclo di produzione. 5) Protezionismo invece di liberoscambismo (gli imprenditori nazionali volevano essere Tutelati con dazi verso l'esterno). Colonialismo Cambiano le motivazioni: prima si colonizzava per avere materie prime e per far emigrare e lavorare la popolazione in eccesso; ora invece, oltre a questi motivi si aggiungono la creazione di nuovi mercati ove collocare le merci nazionali, la tutela degli investimenti con gli eserciti e l'ideologia di potenza. Prima della nuova fase del colonialismo si intrapresero missioni esplorative in Africa, finanziate dai governi interessati ai territori (Livingstone, Stanley individuarono la sorgenti del Nilo, ecc…). Ben presto agli scopi scientifici e umanitari si contrapposero quelli politici e militari. - Gran Bretagna: si impossessa dell'Egitto, della Somalia e della Nigeria. Tenta, ma non riesce, di occupare il Sudan. - Francia: occupa Tunisia (per accordi di Berlino), gran parte del Congo, Madagascar. - Germania: conquista il Camerun, il Togo e il sud-ovest dell'Africa. Nel 1885 Bismark convoca una conferenza sulla situazione africana e in particolare della Parte restante del Congo. Il Congo fu dichiarato stato libero, ma la sovranità apparteneva a Leopoldo II del Belgio. Tra il 1894-1895 si ebbe una ripresa del colonialismo di Francia e Inghilterra. Le loro mire espansionistiche finirono però per scontrarsi in Sudan, a Feshoda. Entrambe preferirono non combattere, per non avvantaggiare la Germania; i francesi si ritirarono ma nacque tra le due potenze un rapporto di distensione. In Asia la situazione fu la seguente: - Francia: occupa l'Indocina. - Inghilterra: la Birmania, la Persia e il Turkistan, sui quali c'era l'attenzione della Russia. Rimaneva insoluto il problema della Cina, nazione debole ma ancora autonoma. Situazione della chiesa La Chiesa muta i suoi atteggiamenti verso lo stato. Rinnega il comunismo e la lotta di classe ma condanna i capitalisti che accumulano ricchezze ai danni dei poveri operai sfruttandoli(Leone XIII, Rerum Novarum). I cattolici cominciano a riunirsi e costituiscono associazioni. Sinistra al potere Caratteristica della destra fu il senso dello stato, della sinistra l'impegno democratico. La destra aveva svolto ormai i suoi compiti storici con l'unificazione d'Italia e non era in grado di risolvere i nuovi problemi. Nelle elezioni del 1874 la sinistra ebbe più voti; il suo programma era: diminuzione delle imposte, perequazione fondiaria, decentramento. In Italia c'erano due sinistre: - Meridionale, formata da piccola e media borghesia artigianale e commerciale, proprietari terrieri, ceti professionali che si vedevano svantaggiati dall'unità; - settentrionale, formata da media borghesia. Depretis (1875) propone il programma Stradella che vede tra l'altro: elettività dei sindaci, istruzione elementare obbligatoria, allargamento del suffragio. Col ministero Depretis sembrava si stesse formando un sistema di governo all'inglese, bipartitico, che alternava i partiti al governo. Nel 1876 però si sciolse la destra per i seguenti motivi: 1) fragilità della borghesia, dovuta alla mancanza di contrapposizione tra interessi diversi in una società industriale in espansione; 2) mancanza di partecipazione alla vita politica dei cattolici. Al posto del bipartitismo, quindi, si formò il trasformismo, cioè l'aggregarsi al centro di larghissima parte della classe politica. Agli estremi dei trasformisti si delineò una nuova destra(Di Rudinì) e un'estrema sinistra, che aveva tra le sue richieste il suffragio universale, la tutela dei diritti dei lavoratori, la libertà di associazione e la repubblica. Riforme della sinistra - Scuola elementare obbligatoria(rif. Coppino); - Soppressione tassa sul macinato; - Abolizione corso forzoso; - Riforma elettorale: votavano gli uomini con più di 21 anni con il biennio elementare o paganti almeno un'imposta annua di 19.80 lire; - Prime riforme sul lavoro: infortuni, sciopero, lavoro minorile e orari. Nel frattempo gli industriali italiani pressavano il governo ad attuare provvedimenti protezionistici al fine di proteggere il già debole mercato interno dalle importazioni straniere. Se da un lato nascevano sempre più nuove industrie(siderurgiche) e industrie elettriche e cantieri navali(Edison e Navigazione Generale Italiana) dall'altro le strutture di credito restavano arretrate. Lo stato così doveva sostenere lo sviluppo industriale, tassando i cittadini. Le maggiori entrate venivano dall'agricoltura e quindi dal sud, ma finivano al nord. Erano contro il protezionismo: - proprietari terrieri che esportavano merci(agrumi, olio, vino); - industria tessile e meccanica(che importava materiali meno costosi e migliori). Ma la crisi agraria dovuta al ribasso dei prezzi a causa dei prodotti importati, rese necessario il protezionismo, iniziando una guerra di dazi con la Francia. Politica estera della sinistra L'altro mezzo con il quale Giolitti tento di accelerare lo sviluppo economico furono le nuove leggi e riforme, sulle pensioni, sulla tutela del lavoro minorile e femminile. Istituì un commissariato per l'emigrazione, il Consiglio Nazionale del Lavoro; varò inoltre la legge sulla municipalizzazione dei servizi pubblici, onde rendere più agili questi ultimi. Ciò che indubbiamente favorì lo statista fu il suo organizzatissimo sistema burocratico, anche perché, senza di esso, il suo programma riformatore avrebbe sicuramente incontrato resistenze. Ovviamente Giolitti trovò oppositori sia a destra che a sinistra: non passò infatti in parlamento il progetto del ministro delle finanze Wollenborg, che prevedeva un aumento delle imposte dirette(che colpivano i ceti dirigenti) e una diminuzione delle imposte indirette(che colpivano invece la popolazione), dimostrando così gli industriali italiani di non essere in grado di assumersi la responsabilità dello sviluppo economico; ma contemporaneamente il leader dei socialisti Filippo Turati rifiutò un posto nel governo Giolitti, temendo ripercussioni dal suo partito. La mancanza di alleanze formali fece si che Giolitti potesse attuare quella politica di favori, clientelismi, di trasformismo insomma più capillare e nocivo di quello di De Pretis. Ancora più spregiudicata fu la sua posizione nelle elezioni del 1904, che furono pilotate tramite una pressione operata sull'elettorato. Alla luce di questi fatti Giolitti fu definito da Gaetano Salvemini "Il ministro della malavita". Dopo un breve periodo di pausa, nel 1906 Giolitti torna al governo, durante un periodo di prosperità economica che aveva portato la lira a "fare aggio sull'oro", cioè a valere più dello stesso equivalente in oro, e nel quale i tassi di interesse erano scesi dal 5 al 3,5 per cento. Ma già l'anno dopo le carenze di base dell'economia italiana, dovute sia a scarsità di materie prime sia a mancanza di capitali, si resero evidenti. La nuova crisi economica fece aumentare la resistenza alle sue riforme sia a destra che a sinistra. Nacquero la C.G.L(confederazione generale del lavoro) e la confederazione italiana dell'industria. Dopo le nuove elezioni del 1909, che videro il rafforzamento soprattutto dei socialisti, Giolitti capì che non era il momento per tentare altre riforme e il governo andò in mano a Luigi Luzzatti. Il suo piano prevedeva il monopolio delle assicurazioni sulla vita, l'ampliamento dell'istruzione pubblica e soprattutto l'introduzione del suffragio universale maschile, nella speranza di avere l'appoggio dei socialisti. Tornava intanto ad affacciarsi la questione coloniale e in particolare l'occupazione della Libia. Per fare questo però, bisognava tornare ad avere dei rapporti con la Francia. Ed infatti, con gli accordi tra Prinetti e Barrère in cambio del riconoscimento degli interessi francesi in Marocco l'Italia aveva campo libero in Libia. Fu questo il giro di valzer cui si riferiva il cancelliere tedesco Bulow, a cui l'Italia era legata dalla triplice alleanza. La guerra di Libia aveva tra i socialisti i maggiori oppositori: essi sostenevano infatti che non ne valeva la pena("Uno scatolone di sabbia" la definì Salvemini) e che non avrebbe dato neanche terra coltivabile ai contadini meridionali. Chi la sosteneva erano invece i settori nazionalisti , capeggiati da Gabriele D'Annunzio. Nel frattempo all'interno del partito socialista prevalse la corrente intransigente e rivoluzionaria, guidata dal giornalista Benito Mussolini e l'ala riformista riformista, espulsa, creò il Partito socialista riformista al quale non aderì Turati. Intanto la guerra in Libia continuava e gli italiani, se pure formalmente avevano dichiarato la loro sovranità, si trovarono costretti a combattere con le agguerrite popolazioni locali. Per giungere ad una conclusione, l'Italia si decisa ad attaccare l'impero Ottomano direttamente: fu occupata Rodi e le isole del Dodecaneso e l'ammiraglio Millo arrivò persino a forzare i Dardanelli. La Turchia fu così costretta a firmare la pace di Losanna, con la quale riconosceva la supremazia italiana in Libia. La guerra fu più lunga e cruenta del previsto, dando ragione ai timori dei socialisti, e per riannodare i rapporti Giolitti fece approvare la legge sul suffragio universale maschile: votavano gli uomini con più di 21 anni (30 se analfabeti). Ma in quelle elezioni la novità fu la partecipazione dei cattolici a sostegno dei liberali, grazie al Patto Gentiloni: esso prevedeva appunto il voto dei cattolici in cambio dell'ostruzionismo su alcune leggi contrarie agli interessi cattolici(divorzio, laicità dell'insegnamento). Dopo le elezioni del 1913, il parlamento si ritrovò troppo frammentato e Giolitti preferì dare le dimissioni; al suo posto salì Antonio Salandra, che si dimostrò subito autoritario e di indirizzo conservatore, reprimendo violentemente i moti della settimana rossa del giugno 1914. La Prima Guerra Mondiale Le cause della prima guerra mondiale non si possono individuare in modo preciso; tuttavia è possibile delineare i principali motivi di dissidio tra le potenze europee. In primo luogo la questione dei confini franco - tedeschi: la Germania nel 1970 si era annessa l'Alsazia e la Lorena, e la cosa non andava giù alla Francia, che voleva riprendersi le povince. La Germania aveva anche il problema della Russia, che si era alleata con la Francia e che avrebbe potuto aprire un nuovo fronte orientale; contemporaneamente l'impero Turco aveva avuto appoggi dalla Germania e ciò aggravava i suoi rapporti con l'impero zarista; anche l'Austria aveva due potenziali fronti: l'Italia, che rivendicava le terre irredente, e la zona balcanica, in bilico tra espansionismo russo e spirito nazionalista. La Germania inoltre era la più terribile concorrente economica della Gran Bretagna, anche se ad un grande sviluppo industriale corrispondeva una forte dipendenza alimentare, aggravata dalla mancanza di un vasto impero coloniale e da una flotta insufficiente; questo naturalmente non poteva andare bene alla Germania Guglielmina. Questione coloniale e riarmo navale furono i principali motivi di tensione tra Germania da un lato, Francia e Gran Bretagna dall'altro. Riguardo la prima, la Germania, dopo aver subito molte sconfitte diplomatiche, riteneva che la forza fosse l'unica soluzione possibile per rompere questo accerchiamento delle altre potenze. Per fare questo però, bisognava rinforzare gli armamenti: la Germania, andando contro il principio inglese del "two - powers standard"(cioè la flotta inglese doveva essere pari alla somma delle prime due potenze a lei successive) varò nuove navi, alle quali l'Inghilterra rispose con il "two keels for one" (due chiglie per una), ovvero costruì due navi, con enorme sforzo produttivo, per ognuna varata dalla Germania. Si assistette dunque ad una rivalutazione e ad un acquisto di potere da parte delle gerarchie militari e ad un irrigidirsi del sistema di alleanze europee che avrebbe impedito la soluzione diplomatica agli incidenti che si sarebbero sviluppati dopo. Lo scoppio della guerra Il pretesto per lo scoppio fu l'assassinio in Serbia dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria con tutta la famiglia: l'Austria intimò un ultimatum alla Serbia, con il quale chiedeva di collaborare alla ricerca dei responsabili del delitto; in questo modo veniva sminuita la sovranità dello stato. La Serbia non accettò e l'Austria, appoggiata dalla Germania, le dichiarò guerra. Subito la Russia scese in campo per difenderla, e la Germania le dichiarò guerra. Anche la Francia, alleata Russa, scese in campo: la Germania, invadendo il Belgio neutrale che non gli voleva far passare le truppe, dichiarò guerra alla Francia ed anche l'Inghilterra, infastidita dal gesto, si schierò con Francia e Russia. La situazione era dunque questa: da una parte la Triplice Alleanza, formata da Germania, Austria e impero Ottomano; dall'altra la Triplice Intesa, formata da Inghilterra, Francia, Russia, che difendevano la Serbia. Rimanevano neutrali Italia e Romania. La guerra si dimostrò subito diverso rispetto a tutte le altre, sia per la grande massa di uomini impiegati sia per i nuovi e terribili armamenti. Nonostante una prima posizione di neutralità, i socialisti europei finirono per cedere alle posizioni nazionaliste e si dichiararono favorevoli all'intervento in guerra, votando i crediti per gli armamenti. La guerra di movimento Esisteva una grande sproporzione tra le forze della Triplice e quelle dell'intesa e per questo motivo il piano tedesco ideato da Schlieffen prevedeva la guerra - lampo, in modo da sconfiggere subito la Francia e concentrare le forze sul fronte orientale russo. In un primo momento l'offensiva riuscì, portando i tedeschi a 40 chilometri da Parigi ma poi la controffensiva francese nella battaglia della Marna fece ritirare il generale von Moltke. Dopo questa sconfitta si provò la "corsa al mare", ovvero il tentativo di aggirare da nord le truppe francesi e chiudere i rapporti marittimi con la Gran Bretagna: anche questa offensiva fallì e i due eserciti si prepararono ad affrontare la terribile guerra di trincea. La Germania si trovò così costretta a distribuire le sue forze su due fronti. Su quello orientale le vicende erano altalenanti: a vittorie tedesche succedevano quelle russe, e a favorire la Germania ci pensò l'impero ottomano, che indebolendo la Russia, rese possibile una controffensiva austriaca mirata a riconquistare la Galizia precedentemente sottratta. Sicuramente più successo ebbe il blocco navale Britannico, al quale si opponeva la guerra sottomarina tedesca. Un incidente però, ossia l'affondamento del piroscafo civile Lusitania, con 100 cittadini americani, attirerà sulla Germania le antipatie degli Stati Uniti. L'Italia in guerra In base all'articolo 7 del trattato che univa l'Italia alla Germania e all'Austria, la posizione neutrale assunta dall'Italia era perfettamente legittima, infatti il punto prevedeva la discussione preventiva dei territori da dare in compenso alla fine della guerra e ciò non era avvenuto. Ma il problema della posizione italiana rimaneva irrisolto. All'interno del paese erano infatti schierati i neutralisti e gli interventisti. Ai primi appartenevano: - i socialisti: essi infatti ritenevano la guerra voluta dalle grandi potenze imperialiste e capitaliste europee ma d'altra parte erano isolati e il loro neutralismo era stato indebolito dalle posizioni interventiste dei socialisti europei; - i cattolici: ovviamente il pontefice non poteva che schierarsi contro la guerra, anche se esisteva ancora il contrasto tra l'obbligato neutralismo della Chiesa e la dovuta lealtà dei cattolici allo Stato di cui facevano parte; - i giolittiani: Giolitti sosteneva che la guerra sarebbe durata molto tempo e l'Italia era impreparata sia economicamente che militarmente ad affrontarla. Ma Giolitti non si limitò a manifestare la sua posizione sulla situazione italiana, anzi formulò un 'analisi della situazione internazionale: egli riteneva che si sarebbe potuto ottenere "parecchio" senza la guerra, ove parecchio indicava l'opportunità di contrattare la neutralità come se fosse una vittoria. D'altronde anche la situazione dell'Austria, che non poteva resistere all'urto di altre diverse nazionalità, lasciava presagire ciò. Invece proprio l'Austria era assolutamente contraria a qualsiasi cessione di territori, nonostante le pressioni tedesche. Agli interventisti appartenevano: - gli "interventisti democratici" e i "socialisti riformisti": i primi erano fautori di una pronta cessione delle terre irredente; i secondi ritenevano che solo sconfiggendo gli imperi centrali si potevano attuare le aspirazioni di indipendenza nazionale e di democrazia dell'Europa intera; liberal-democratica. Sulla questione decisiva dell'abdicazione del re, però, incontrò la secca opposizione del Kaiser e degli ambienti militari in genere. Seguirono una serie di rivolte ed ammutinamenti che portarono l'11 novembre 1918 alla firma dell’armistizio. Lo sfaldamento dell'esercito austriaco determinò anche la fine dell'impero asburgico. La Cecoslovacchia si proclamò indipendente, fu formato lo stato Yugoslavo e si formarono governi provvisori in Ungheria e a Vienna. Il 3 novembre 1918 a Villa Giusti prima della sua abdicazione l'imperatore austriaco firmò l’armistizio con l'Italia. I trattati di pace Alla conferenza di pace di Parigi non vennero accolti i rappresentanti delle potenze vinte a essi spettava solo l'alternativa dell'accettazione o di una ripresa delle ostilità. Per la prima volta problemi fondamentali dell'equilibrio europeo venivano discussi insieme a potenze non Europee quali Giappone e USA. La "New diplomancy" proposta da Wilson non era ben vista dalle potenze vincitrici. Tutto sommato dopo che la flotta tedesca preferì auto affondarsi piuttosto che consegnarsi ai nemici, gli Inglesi avevano raggiunto il loro scopo principale. Adesso essi cercavano di non fare punire con pesantissime sanzioni la Germania perché questa fino al 1914 era stata la loro migliore partner commerciale. Wilson si oppose alle rivendicazioni italiane preferendo appoggiare i nuovi governi tra cui quello iugoslavo. Dopo questa opposizione Orlando preferì abbandonare per alcuni giorni la conferenza. Per evitare futuri e dannosi conflitti si creò la Società delle Nazioni con sede a Ginevra che avrebbe dovuto rappresentare tutti gli stati sovrani del mondo. I paesi membri si impegnavano a non ricorrere più alla guerra per risolvere le controversie ma al giudizio della Società delle nazioni. Quest'organizzazione non aveva però i mezzi per far si che le decisioni prese venissero rispettate. Essa era in realtà molto fragile. Dalla conferenza di Parigi uscirono cinque distinti trattati: Con il TRATTATO Dl VERSAILLES la Germania doveva cedere l'Alsazia e la Lorena alla Francia Al rinato Stato polacco dovette cedere parte della Slesia, della Posnania e della Pomerania assicurandogli in questo modo un accesso nel mar Baltico. La città di Danzica che si affacciava sul Baltico venne considerata città libera. La Germania orientale venne in questo modo separata da quella occidentale e l'impero coloniale tedesco diviso tra Inghilterra e Francia. Quando si dovette decidere a chi dare la colpa del conflitto si pensò, anche a causa delle pressioni francesi, ad accusare la Germania. In base all'articolo 231 essa era tenuta a risarcire tutti i danni procurati alla popolazione e le pensioni di guerra in una cifra che fu stabilita intorno ai 132 marchi - oro. Come garanzia del pagamento la Francia poteva occupare per 15 anni il bacino carbonifero del Saar. L'esercito tedesco venne ridotto a 100000 unità. Con il TRATTATO DI SAINT-GERMAIN e del TRIANON venivano smembrati Austria ed Ungheria a favore della Polonia, della Jugoslavia, della Romania e della Cecoslovacchia. All'Italia veniva ceduto il Trentino. Il territorio austriaco rimanente era pari a circa 1/8 di quello precedente mentre quello Ungherese uguale a circa ½. Con il TRATTATO DI NEUILLY anche la Bulgaria dopo avere ceduto la Macedonia alla Jugoslavia e la Tracia alla Grecia, ne uscì ridimensionata avendo perso pure lo sbocco sul mar Egeo. Con il TRATTATO DI SEVRES i Turchi dovevano cedere alla Grecia anche la Tracia Ottomana, dovevano smilitarizzare gli stretti perdendo il controllo anche su parte dell’Asia dopo l'indipendenza della Transgiordania, dell'Arabia e dello Yemen. I restanti territori asiatici vennero portati gradualmente da Francia e Inghilterra ad una condizione di indipendenza e autogoverno tramite i "mandati fiduciari'. Il nuovo assetto europeo era fondato su basi troppo deboli, si. erano venute a creare numerose minoranze che creavano tensioni interne. La Germania, additata come colpevole, voleva avere la sua rivincita e l'Italia aveva avuto un accrescimento territoriale inferiore a quello sperato; si parlava infatti di vittoria mutilata. Rivoluzione Russa La Russia nonostante gli investimenti stranieri era rimasta piuttosto arretrata nel settore industriale. Con l’avvento al trono di Nicola II le cose peggiorarono egli infatti ebbe un atteggiamento autocratico e conservatore. Anche la disfatta Russa nel 1905 nella guerra contro il Giappone contribuì a peggiorare la situazione dimostrando l’incapacità bellica della nazione e creando una crisi interna: Il 22 Gennaio 1905 in quella che fu chiamata la domenica di sangue furono uccise migliaia di persone che manifestavano pacificamente. Questo atto sancì la definitiva rottura tra popolo e regime zarista infatti in tutto il paese scoppiarono agitazioni scioperi ed ammutinamenti così gravi da indurre lo Zar a concedere con il Manifesto di Ottobre ampie libertà civili e la creazione di un Parlamento “Duma”. Il popolo non si accontentò di ciò e si riunì in consigli “Soviet”. Il Governo represse i Soviet; furono elette tre Dume ma l’unica che durò più a lungo fu quella dei signori. Sono questi gli anni delle riforme del ministro Stolypin: la sua riforma agraria prevedeva la vendita del terreno ai contadini e per coloro i quali non potessero permetterselo venivano utilizzati come manodopera a buon mercato nell’industria. La riforma giunse troppo tardi in quanto ci sarebbero voluti venti anni di pace per avere degli effetti positivi ma ciò non avvenne a causa del conflitto mondiale. Dopo l’assassinio di Stolypin si ebbero le elezioni interne per la IV Duma che videro il definitivo distacco delle due parti del partito comunista: i bolscevichi e i mescevichi. LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO Al contrario degli altri governi impegnati nel conflitto mondiale in quello Russo non si ebbe la collaborazione tra le parti sociali a causa del chiuso autoritarismo dello Zar. La mancanza di generi alimentari causata dal conflitto, fece scoppiare manifestazioni e insubordinazioni delle stesse truppe zariste (rivoluzione Febbraio). Il potere venne diviso tra Duma e Soviet che avevano obbiettivi diversi: la Duma voleva una monarchia costituzionale, i Soviet la Repubblica; la Duma voleva proseguire la Guerra mentre i Soviet no. I rapporti tra le due forme di governo non erano sempre in disaccordo e questa situazione di precarietà si modificò radicalmente con l’avvento al potere di Lenin. Egli nelle sue tesi di Aprile ribadì che il potere dovesse andare tutto ai Soviet, sosteneva quindi tesi rivoluzionarie che si potevano attuare dopo una pace anche incondizionata con la Germania. Gli stessi bolscevichi erano esitanti ad accettare queste tesi ma dopo il fallimento dell’offensiva di Brusilov ad opera della Duma la pace era necessaria. Dopo la repressione di altre manifestazione (giornate di Luglio) era apparsa la figura di Kerenskij come l’unica in grado di mediare tra la volontà dei soviet e quella del governo. La destra conservatrice decise di forzare i tempi e di tentare di instaurare una dittatura che assicurasse la continuazione della guerra approfittando dell’occupazione tedesca di Riga il generale Kornilov chiese le immediate dimissioni del governo e in caso di rifiuto minacciò di marciare con le truppe nella capitale. Di fronte a questo pericolo i bolscevichi appoggiarono kerenskij e arrestato Kornilov proclamarono la repubblica. LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE Il futuro assetto del paese doveva essere affidato all’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale. Contemporaneamente i bolscevichi ottenevano la maggioranza nei Soviet di Mosca e di Pietrogrado dove era stato eletto presidente Trockij leader dei mensceviche e convertitosi dopo le tesi di Aprile alle posizioni di Lenin. Lenin riteneva che i bolscevichi dovessero approfittare della loro crescente popolarità rovesciando il governo debole di Kerenskij e impadronirsi del potere prima della convocazione dell’Assemblea Costituente. La tesi di Lenin prevalse e Trockij iniziò i preparativi militari per la rivoluzione che si sarebbe dovuta svolgere nei giorni in cui a Pietrogrado i sarebbe riunito il Congresso Panrusso dei Soviet così da ottenere da quell’assemblea un’immediata legittimazione dell’azione rivoluzionaria. I militanti bolscevichi e le Guardie Rosse occuparono la sede del governo e altri edifici pubblici della capitale. Così mentre Kerenskij fuggiva, Il Congresso Panrusso dei Soviet approvava la formazione del governo rivoluzionario che vedeva a capo Lenin. Subito Lenin fece approvare due provvedimenti. Il primo riguardava la pace; bisognava garantire l’uscita immediata dal conflitto mondiale (pace Brest-Litovsk). Il secondo era il decreto sulla terra nel quale si aboliva la grande proprietà fondiaria della Corona, della nobiltà e della Chiesa e si dividevano le terre espropriate tra i contadini. Inoltre venivano nazionalizzate le grandi industrie e le banche. Con la Dichiarazione dei diritti dei popoli Russi, si dava uguaglianza a tutti i popoli Russi e la possibilità di rendersi indipendenti. L’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale non era troppo vicina alle tesi di Lenin e il 19 gennaio 118 venne sciolta ufficialmente senza particolari reazioni da parte del popolo contento per essere uscito dalla guerra e per le spartizioni della terra. Le conseguenze economiche della pace Dopo la fine della guerra si erano venuti a creare particolarismi che in futuro avrebbero potuto creare problemi. Le nuove nazioni sorte, dette cuscinetto, non avevano la capacità di vita economica autonoma né propensione ad allearsi tra di loro. Il trattamento riservato allo Stato tedesco non solo rovinò il migliore dei mercati centro-europei ma aveva creato un pauroso sentimento di rivincita. Francia ed Inghilterra pur essendo nazioni vincitrici erano sommerse dai debiti contratti con gli Stati Uniti mentre in Italia oltre alla crisi economica si parlava di vittoria mutilata. Il ritorno ad un’economia di pace fu difficilissimo e il processo di riconversione, molto lungo, fece crescere la disoccupazione. La soluzione a questi problemi era quella proposta nei trattati di pace: bisognava fare circolare rapidamente materie prime a buon mercato e tornare, grazie anche agli aiuti proposti agli imprenditori, a proporre alla popolazione merci abbondanti a prezzi vantaggiosi. Con questo tipo di trattati, si era perduta l’opportunità di dare all’Europa e al mondo intero un periodo di pace duraturo. Dal punto di vista sociale tutti gli Stati erano più o meno in crisi perché i miglioramenti sopraggiunti dopo la vittoria non potevano colmare gli sforzi economici ed umani subiti. L’idea generale era che si fosse combattuto per nulla. Tutte le organizzazioni sindacali, al fine di chiedere al governo Facta un comportamento più energico contro le violenze fasciste, organizzarono lo Sciopero Legalitario. Questo si mostrò un fallimento e come risultato ebbe che le violenze fasciste aumentarono così come la loro popolarità visti ancora di più come portatori di ordine e legalità violati dagli scioperi. Mussolini si allontana dall’ideale iniziale di Repubblica, infatti adesso crede di più nella monarchia riconoscendole un ruolo nazionale importantissimo. In realtà se il Re avesse provato a ribellarsi, sarebbe stato subito sostituito dal cugino Duca Amedeo D’Aosta aperto sostenitore del fascismo. Con la nascita del Partito Socialista Unitario, guidato da Turati, si andava perdendo ogni possibilità di una forte coalizione antifascista. Il consenso aumentava di giorno in giorno, il Re quasi necessariamente doveva appoggiare i fasci, le coalizioni antifasciste si erano seriamente indebolite. Alla luce di ciò, nel 1922 si tenne a Napoli un’enorme adunata di Camice Nere decise da lì a marciare fino a Roma per prendersi il potere. Si dice che le 20000 camice nere, non fossero bene armate, ma la figura incolore di Facta decise ugualmente di dare le dimissioni. Inizialmente Vittorio Emanuele, Re d’Italia, era deciso ad intervenire duramente contro i manifestanti, ma successivamente i rese cono che se i fascisti avessero avuto la meglio il suo trono sarebbe vacillato, se invece lui avesse vinto, l’Italia sarebbe potuta cadere in una dilaniante guerra civile. In questo clima, decise di Affidare il governo a Mussolini. Il governo Mussolini ebbe il voto di fiducia dai liberali e dai popolari così da fare credere che nonostante le violenze esteriori in realtà questo fosse un governo in linea con la tradizione costituzionale. Le intenzioni di Mussolini erano tutt’altre; nel discorso tenuto il 16 novembre 1922 disse: “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo: ma non ho almeno in questo primo tempo, voluto”. Agli organi di Stato a poco a poco si sostituivano organi di partito. Il Gran Consiglio del Fascismo si sovrapponeva al Parlamento; la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale all’esercito nazionale. Il partito fascista nel 1923 si alleò al partito nazionalista. Sempre nello stesso anno venne varata la Riforma Scolastica Gentile che partendo da un progetto elaborato da Croce, istituiva un esame alla fine degli studi superiori così da permettere l’esistenza delle scuole private cattoliche e valorizzare maggiormente la cultura. Quando i popolari si ribellarono all’evoluzione autoritaria che stava prendendo il governo, Mussolini chiese a loro le dimissioni, sicuro che il mondo cattolico gli sarebbe stato sempre vicino. A Don Luigi Sturzo non restò che dare le dimissioni. Con la Legge Acerbo, venne modificato il sistema elettorale; la legge infatti attribuiva i 2/3 dei seggi in Parlamento, al partito che avesse avuto il maggior numero di voti purchè non inferiore al 25%. Lo scopo di questa legge era quello di far affiancare il maggior numero di forze liberal- moderate intorno al partito fascista. Autorevoli leader come Salandra e Orlando, appoggiarono il listone mussoliniano mentre le altre forze antifasciste, troppo frammentate, non rappresentarono una vera minaccia infatti il listone ebbe il 65% dei voti. All’apertura della nuova camera nel 1924 Giacomo Matteotti osò denunciare le ripetute illegalità e violenze che accompagnarono la campagna elettorale e ne chiese l’annullamento. Pochi giorni dopo venne rapito e assassinato da dei sicari fascisti. Il delitto sembrò avere compromesso il potere fascista perché tutte le forze si rifiutarono di partecipare ai lavori della Camera e seguendo l’esempio degli antichi romani con la Secessione dell’Aventino ma non ebbero l’appoggio del Re. Mussolini si assunse tutte le responsabilità del delitto Matteotti e proclamò la volontà di eliminate ogni forma di democrazia esistente. Seguirono nuovi atti di violenze e repressioni. Nel corso del 1925 venne soppressa anche la libertà di stampa e le sedi dei giornali per continuare a lavorare dovevano allinearsi alle posizioni del regime. Ormai lo Stato totalitario si era affermato. Con la legge del 24 dicembre 1925 il presidente del Consiglio assumeva il nome di Capo del Governo e doveva dare conto delle sue azioni non più al potere legislativo ma solo al Re. Le leggi del novembre 1926 determinarono la fine del sistema parlamentare. Furono sciolti tutti i partiti antifascisti e giudicati illegali. Chiunque si fosse opposto al regime sarebbe stato giudicato da un tribunale speciale ed inviato al confino. Con le leggi del 1926 si modificavano le amministrazioni locali, il sindaco era sostituito dal podestà di nomina governativa. Con la legge del 1928 si modificava il sistema elettorale; si sottolineava il principio della lista unica nella quale erano presenti 400 candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo che bisognava approvare o respingere in blocco. Con i patti Lateranensi firmati dal Duce e dal cardinal Gasparri, si poneva fine alle lotte tra Stato e Chiesa. Alla chiesa veniva riconosciuta l’importanza della religione cattolica e gli venivano dati maggiori poteri per quanto riguardava la nomina dei vescovi e la celebrazione del matrimonio sia in forma civile che religiosa. Per quanto riguarda il territorio la chiesa riconosceva lo Stato italiano con Roma capitale e al piccolo Stato Vaticano venivano dati 750 milioni come prezzo per le terre espropriate. Questi erano gli anni della fabbrica del consenso. I giovani da fanciulli fino all’età universitaria, venivano squadrati in gruppi tipo Balilla, Avanguardisti, Giovini italiane, Figli della Lupa e così via. Il regime di sicuro fu molto attento alle innovazioni, infatti per diffondere le notizie si servi moltissimo oltre che della stampa che però esisteva già da tempo, anche del cinema e soprattutto della radio. Tra il 1922 e il 1926 il fascismo mantenne una politica economica liberale. Protagonista fu Alberto De Stefani, ministro delle finanze, il quale si affrettò a ritirare il progetto sulla nominatività dei titoli e abolì il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita. In pratica cercò di ridurre il controllo pubblico sulla vita economica promuovendo l’iniziativa privata. In questi anni l’industria italiana incrementò molto la produzione grazie soprattutto alle aumentate esportazioni. Nonostante ciò De Stefani venne sostituito da Volpi che era più in linea con i caratteri totalitari dello Stato fascista. Per permettere la ripresa del settore agricolo, fu lanciata la “battaglia del grano”; furono alzati i dazi doganali sui cereali importati per incoraggiare la produzione nazionale e giungere all’autosufficienza nei consumi. Furono estese le aree coltivate a grano sostituendo culture specializzate che in un mercato estero sarebbero state maggiormente richieste. Mussolini nel discorso di Pesaro nel 1926 annunciò di volere fissare il cambio della lira con la sterlina a 90 “quota novanta”. Questa riforma era tesa a fare aumentare l’importanza italiana in una futura politica estera autoritaria ma ciò preoccupava molto le classi medie del paese sottoposte al pericolo dell’inflazione. Per venire incontro agli industriali, il duce, fece alleggerire i salari del 10-30% con un conseguente aumento della disoccupazione. Il duce aveva pensato a tutto; i nuovi disoccupati vennero impiegati in un vasto programma di opere pubbliche culminanti con la Bonifica dell’Agro Pontino. Le zone paludose furono rese agricole ed abitabili, furono edificate nuove città quali Latina, Pomezia, Sabaudia ed altre. In questo modo, l’Italia si allontanava sempre di più dal mondo industriale e dal commercio estero. Con il “Patto di palazzo Vidoni”, la confederazione degli industriali e quella dei sindacati fascisti, con una legge vietarono gli scioperi ed istituirono un magistrato del lavoro che doveva risolvere i problemi riguardanti i contratti collettivi di lavoro. Gli anni trenta furono gli anni del consenso; ogni italiano si poteva riconoscere con convinzione nelle forme politiche realizzate dal PNF. L’isolamento dell’economia fece in modo che la crisi del ‘29 fu meno cocente rispetto agli altri stati. La crisi colpì le banche e le industrie siderurgiche. Il duce per evitare il tracollo dell’economia assunse il controllo tramite l’IRI e l’IMI delle principali industrie e banche italiane. Queste società avevano lo scopo di riorganizzare le industrie e le banche per farle risollevare dalla crisi. Il regime finì per avere il monopolio del credito e ¼ del capitale industriale. Tutto questo non faceva parte di un processo di socializzazione, ma al contrario, era teso a facilitare l’iniziativa privata tramite sgravi fiscali e tariffe protette. In cambio di queste facilitazioni, gli industriali si impegnavano ad appoggiare il regime. L’Autarchia, produrre e consumare solo prodotti nazionali, divenne una delle parole d’ordine del regime. Il sistema produttivo del paese gravò assai poco sulle classi medie che per questo si sentirono legate al Duce. La politica estera del fascismo Anche in questo campo si poterono notare quelle contraddizioni (tra continuazione e rottura con il liberalismo) che avevano contraddistinto il fascismo. Mussolini, se da un lato aveva sempre in mente i piani di revisione dei trattati di pace, dall'altro non voleva mettersi contro le grandi potenze europee di Francia e Inghilterra. Il suo obiettivo era quello di rendere l'Italia al pari rispetto alle suddette potenze ma, da uomo realista qual' era, si rendeva conto delle disparità tra la sua nazione e le altre due. Nonostante questo, non rinunciava a gesti esteriori come quando, dopo l'assassinio di un suo generale sul fronte greco - albanese, occupò l'isola di Corfù, che abbandonò solo dopo la mediazione inglese. Di lì a poco, con la firma del trattato di Roma con la Iugoslavia Fiume divenne città italiana. Fino al patto di Locarno la diplomazia italiana aveva sostanzialmente mantenuto una rigorosa applicazione dei trattati di pace e il principale obiettivo era quello di mantenere indipendente l'Austria, per scongiurare un'annessione con la Germania. Il trattato di Locarno, se aveva definito i confini occidentali della Germania, lasciava molte libertà su quelli orientali, e di questa situazione ambigua ne voleva trarre vantaggio il governo fascista, con il ministro Dino Grandi. Gli indirizzi revisionistici ebbero così modo di emergere nuovamente e vennero stipulati una serie di trattati e di patti d'amicizie con le regioni balcaniche (Albania, Ungheria, Romania, Bulgaria). Avvantaggiandosi dell'avvento in questi paesi di governi filofascisti, il regime inaugurò una politica di sostegno alle nazioni sconfitte, in rottura con la tradizione liberale. Ma nonostante le ambizioni espansionistiche del Duce, non vi fu mai vera rottura con le grandi democrazie occidentali. La situazione cominciò a mutare con l'affermarsi del nazismo in Germania e con la ripresa della politica espansionistica giapponese. Hitler in particolare voleva anch'egli una revisione dei trattati di pace, quindi Mussolini si ritrovava con un agguerrito riferimento internazionale. Tuttavia però decise di muoversi ancora verso un'intesa con Francia e Inghilterra, per paura di iniziative tedesche in Austria. Fu firmato dunque, nel 1933 il patto a quattro tra Italia, Germania, Francia e Inghilterra con l'impegno di una revisione dei trattati. Le proteste scatenate dall'URSS e dagli stati balcanici indussero però la Francia a limitare la revisione all'interno della Società delle Nazioni, rendendo inattuabili i disegni mussoliniani di una revisione consensuale dei trattati di pace. Rimase però in lui un atteggiamento di protezione verso l'indipendenza austriaca, atteggiamento favorito anche dalla politica antitedesca francese. La Francia firmò infatti con Mussolini un trattato che prevedeva ufficialmente una rettifica dei confini somali, ma ufficiosamente il via libera all'Italia per la conquista dell'Etiopia. La guerra d'Etiopia era dettata da due principali motivi: prima di tutto la crescente disoccupazione dovuta alla crisi economica (quindi la colonizzazione era ritenuta una valida alternativa all'emigrazione), in secondo luogo la necessità da parte di un regime che aveva ostentato una militarizzazione seppur superficiale di un atto importante di politica estera. Per favorire l’acquisto dei beni anche alle classi operaie, vi furono una serie di crediti che le banche furono disposte a concedere. La piccola borghesia abbagliata da futuri guadagni decise di investire in borsa. Nel momento in cui si nutrivano maggiori sicurezze, i prodotti cominciarono a non essere più assorbiti dal mercato. La crisi di sovrapproduzione che si ebbe fu la causa del crollo della borsa di New York durante il giovedì nero di Wall Street in cui tutti i titoli azionari ebbero un evidente flessione. Il Primo tentativo di porre fine a questa crisi, fu quello di immettere nel mercato europeo i prodotti in eccedenza ma il problema non si risolse. La crisi che era partita dai mercati americani, a poco a poco arriva pure in Europa a causa dei grossi debiti che Francia ed Inghilterra avevano contratto con gli Usa durante la guerra. La Germania che con i piani Dawes e Young si era lentamente ripresa, subì un ulteriore crisi. Il “New Deal” Il crollo di Wall Street rappresentò per l’America non solo l’inizio di una crisi economica ma anche ideale e morale. Fin dall’inizio della sua storia l’America aveva percorso un cammino ascendente verso la prosperità. Con la crisi, crollava il sogno americano e l’America non veniva più vista come il paese delle grandi opportunità. Chi nonostante la crisi si mostrò ottimista, fu democratico Roosevelt il quale aveva vinto le elezioni presidenziali del 1932. Per lui superare la crisi non era impossibile, le risorse umane e materiali non mancavano certo all’America, bisognava solo recuperare lo spirito americano originario. Appena eletto Roosevelt annunciò l’inizio del “New Deal”, un nuovo accordo che sarebbe servito a riportare il Paese nelle grandi sfere. Bisognava vincere gli egoismi e valorizzare la solidarietà. Per far sì che questo messaggio fosse percepito da tutti, periodicamente nelle “conversazioni di caminetto” tramite la radio lo ribadiva. In economia si basò molto sulle tesi di Keynes. Keynes era sempre stato contrario ai trattati di pace in quanto avevano creato pericolose barriere per la circolazione delle merci e dei capitali. Inoltre era in disaccordo con gli economisti classici (Say, Ricardo) i quali credevano che il mercato fosse capace di regolarsi da solo. La crisi del ’29 li smentì pienamente. Il maggiore ostacolo alla “legge della domanda” di Say e Ricardo era rappresentata da l’ineguale distribuzione delle ricchezze. Bisognava quindi che fosse lo Stato a ridistribuire le ricchezze e a garantire una vita dignitosa ai cittadini. Il risparmiatore non veniva più visto come un saggio cittadino, ma era colui che doveva essere sollecitato a aumentare il suo consumo di merci prodotte dal sistema industriale. A tal fine venne favorita una politica di alti salari in modo da permettere più facilmente al danaro di circolare. Al fine di rendere l’economia ancora più vivace, seguendo l’esempio inglese, Roosevelt decise di abbandonare il sistema di cambio fisso. Ciò consentì una maggiore libertà nell’uso della spesa pubblica e quindi una nuova politica di opere pubbliche. Per risollevare il settore agricolo, elaborò un programma col quale sosteneva i prezzi dei prodotti crollati durante la crisi e concedeva sussidi governativi a coloro i quali avessero ridotto la produzione e le terre coltivate. Ciò serviva a garantire i redditi degli agricoltori che rappresentavano la potenziale domanda d’acquisto per i beni prodotti dall’industria. Per permettere la ripresa del settore industriale, invitò le industrie a mantenere alti sia i prezzi, che i salari. Nonostante l’iniziativa privata venisse un po’ penalizzata dai programmi del Presidente, in meno di 2 anni la disoccupazione era diminuita e oltre 2 milioni di persone erano tornate a lavorare. In breve tempo nacquero leggi tramite le quali si dava assistenza alla disoccupazione. Si cercava in pratica di creare un “Welfare State”. Lo stato interveniva garantendo ai cittadini condizioni di esistenza minime, con sussidi alla disoccupazione, salari minimi, pensioni e servizi sociali gratuiti. Con il “Wagner Act”si dava riconoscimento giuridico ai sindacati e si obbligava le aziende a riconoscere come vincolanti i risultati della contrattazione collettiva. L’economia americana ricominciava ad andare forte e potè contare pure sulle prospettive di un imminente riarmo che avrebbe fornito ulteriore linfa alle industrie. Il nazismo al potere La crisi Americana si ripercuotè in Germania facendo vacillare la già precaria Repubblica di Weimar. Le spinte conservatrici ed autoritarie si accentuarono; una prova tangibile di ciò fu l’ascesa di Hindenburg e la formazione di gruppi paramilitari. A differenza del Fascismo, che non aveva fin dal principio un programma ben delineato, il Nazismo fondava le proprie solide basi nel “Mein Kampf” l’opera che Hitler scrisse durante il suo anno di prigionia. Il testo riprendeva molto le teorie di Rosenberg e Chamberlain e affermava che tutte le vicende umane potessero essere interpretate come un eterno conflitto tra razze superiori, ariani, e razze inferiori, ebrei. Il concetto di razza doveva essere inteso proprio come biologico – genetico. A capo della razza Ariana doveva esserci il Fuhrer, un capo capace di interpretare le esigenze del popolo. Le esigenze primarie dovevano essere quella dello spazio itale e quella che doveva vedere unito nello stesso territorio tutte le popolazioni germaniche. Inoltre il movimento era anticomunista in quanto l’ideologia ugualitaria è frutto delle tendenze livellatrici e mortificanti delle razze inferiori. Nelle elezioni del 1928 il nazismo non ebbe molto successo, appena il 2,6 % dei voti. Man mano che la crisi economica si faceva più dura, crescevano i consensi e nelle elezioni del 1930 i nazisti ebbero oltre 6 milioni di voti diventando il II partito dopo i socialdemocratici. Come avvenne per il fascismo, anche il nazismo si servì delle squadre SS e SA per incutere timore nell’opposizione e nella popolazione in generale. Memore della sfortunata impresa di Monaco, Hitler non tentò mai il colpo di stato, ma cerco sempre di fare affluire nel suo partito tutte le forze nazionalistiche e conservatrici. Dopo la figura incolore di Bruning, alle presidenziali del 1932 venne rieletto Hindenburg. A tali elezioni si era presentato pure Hitler ma a lui non toccarono più del 37% dei voti. Alle elezioni politiche dello stesso anno i nazisti ottennero oltre 13 milioni di voti e si affermarono come I partito del paese. Furono le pressioni della grande industria, della finanza e della proprietà terriera a indurre Hindenburg ad assegnare ad Hitler la guida del governo e ad indire nuove elezioni per il 5 marzo 1933. Le violenze da parte delle SS e delle SA si fecero sempre più evidenti e culminarono con l’incendio del Reichstag di cui però vennero incolpati i comunisti. In seguito a quest’avvenimento, furono emanate le 28 leggi eccezionali con le quali si limitavano le libertà civili e veniva dichiarato fuori legge il partito Comunista. Alle elezioni del 1933, Hitler non ebbe il successo sperato, ma grazie all’appoggio dei gruppi nazionalisti riuscì ugualmente ad avere la maggioranza. Subito dopo fece approvare la “legge dei pieni poteri” che porto alla liquidazione dell’opposizione e all’abolizione dei Lander ridotti a entità amministrative dipendenti dal governo centrale. Il 30 giugno nella notte conosciuta come “notte dei lunghi coltelli”, utilizzando le SS Hitler fece uccidere i principali capi della cosiddetta sinistra nel partito (SA) che agitavano ancora l’idea di una rivoluzione sociale. Qualche mese dopo le elezioni Hindenburg morì. Hitler decise di non sostituirlo e nonostante mantenesse solo la nomina di cancelliere in pratica assunse anche la carica di presidente. A poco a poco tutta la vita tedesca cominciò ad essere controllata dal regime che tra l’altro cominciò a mettere in pratica alcuni dei punti presenti nel programma come ad esempio quello della bonifica razziale; vennero bruciati tutti i libri ebrei ritenuti fautori di teorie democratiche e socialiste. Anche in Germania come in Italia il regime andò alla ricerca del consenso. Moltissimi erano i discorsi del Fuhrer trasmessi via radio, le grandi adunate e i campi di maggio adornati con splendide coreografie rappresentanti i simboli del potere. La liquidazione dei rimasugli d’opposizione era stata affidata alla Gestapo, una polizia segreta che prendeva gli oppositori e li deportava in campi di lavoro. Con le leggi di Norimberga del 1935, gli ebrei furono privati della cittadinanza tedesca e gli vennero ridotte altre libertà. Il 9 novembre nella “Notte dei cristalli”, molti ebrei furono deportati in campi di lavoro, incendiate sinagoghe e attività ebraiche. L’industria tedesca venne agevolata dal rigido inquadramento dei lavoratori in strutture cooperative guidate dal partito. La ripresa economica tedesca era affidata pure a un vasto programma di lavori pubblici e di riarmo. Hitler mostrò subito la sua volontà nel rivedere il trattato di Versailles e dopo avere firmato un patto a 4 con Italia, Inghilterra e Francia per il mantenimento della pace, decise di abbandonare la Conferenza di Ginevra sul disarmo nell’ottobre del ’33 e poco dopo fece uscire la Germania dalla Società delle Nazioni. Il 25 luglio 1934 un gruppo di Nazisti austriaci guidati da Hitler assassinò il cancelliere austriaco Dollfuss sperando nella confusione di potere facilitare l’annessione dell’Austria alla Germania. Mussolini, ancora vicino ad Inghilterra e Francia, si fece garante dell’indipendenza austriaca mandando truppe alla frontiera del Brennero. Il ’35 fu l’anno definitivo del riarmo tedesco, la popolazione del Saar decise dopo un referendum di tornare alla Germania. Hitler fregandosene del trattato di Versailles ripristinò la leva obbligatoria e procedette al riarmo aereo e terrestre. L’incontro di Monaco Molti furono i paesi europei che tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta avevano abbandonato le forme di democrazia parlamentare per sistemi autoritari. La destra autoritaria era salita pure in Belgio, Portogallo e Grecia. Germania ed Italia avevano superato ogni divergenza. Il cancelliere Austriaco fu spinto alle dimissioni da Hitler e al suo posto ne salì uno filonazista che nel marzo ’38 adducendo l’improbabile pretesto di disordini in atto fece giungere truppe tedesche in Austria e con un plebiscito nell’aprile dello stesso anno proclamò l’annessione alla Germania. Di fronte a ciò Mussolini si dichiarò indifferente poiché tutto sommato si era realizzato il principio di autodeterminazione dei popoli. Di simile opinione, anche per conservare la politica dell’appeasement, si mostrarono pure Francia ed Inghilterra. Pochi mesi dopo Hitler decise di riappropriarsi del territorio dei Sudati, interno al territorio Cecoslovacco e a maggioranza tedesca. La Cecoslovacchia era legata con una alleanza alla Francia e faceva parte della Società delle Nazioni. Per evitare l’apertura di un nuovo conflitto, Mussolini fece da mediatore e fece convocare a Monaco il 29 e 30 Settembre ’38 una conferenza a cui dovevano aderire lui stesso, Chamberlain, Daladier e Hitler. Il tutto si concluse con il totale cedimento alle richieste naziste. Si voleva mantenere la pace, Churcil affermava: “Potevano scegliere tra disonore e guerra, hanno scelto il disonore, avranno la guerra”. Di lì a poco le truppe tedesche occuperanno Praga e imporranno alla rimanente Cecoslovacchia il controllo tedesco. Hitler non aveva più nessuna giustificazione e i timori di Churcil si confermavano sensati. L’operazione Barbarossa e l’entrata in guerra degli Usa Con l’operazione Barbarossa, che per la necessità di concludere prima la guerra nei Balcani iniziò in ritardo, Hitler decise di attaccare l’Urss impiegando un’enorme schieramento di mezzi. Anche l’Italia partecipò a questa spedizione con il suo esercito. La natura del conflitto si evidenziava dalle brutalità delle devastazioni nei territori occupati e dal trattamento riservato ai prigionieri. La II guerra mondiale fu vissuta dai russi come una grande guerra patriottica contro i tedeschi. L’esercito tedesco conquistò in breve tempo città importanti giungendo a pochi chilometri da Leningrado e da Mosca. Con l’arrivo dell’inverno, l’offensiva tedesca però poteva dirsi esaurita senza che la Russia si fosse arresa, infatti le truppe russe passarono al contrattacco riuscendo a far arretrare io tedeschi di almeno 200 chilometri. Nel 1941 anche gli Usa entrarono in guerra. Roosevelt, per aiutare ulteriormente Francia ed Inghilterra nel conflitto, estese la normativa CASH AND CARRY (paga e porta via) anche al materiale bellico e fece approvare dal congresso le nuove leggi LEND AND LEASE (affitti e prestiti) che consentiva di fornire aiuti militari senza un pagamento immediato. Nella carta atlantica, firmata da Roosevelt e Churcil, si ha l’intesa tra Usa e Gran Bretagna desiderosi di annientare la tirannia nazista. Mentre vi era l’ipotesi di un ingresso ufficiale degli Usa in guerra contro la Germania, il Giappone sorprese tutti e conquistò Cina ed Indocina Usa ed Inghilterra reagirono con il blocco delle forniture economiche intimando al Giappone di fermare la propria avanzata in Cina e di riconoscere il governo nazionalista giapponese. Il 7 dicembre senza alcun preavviso aerei siluranti giapponesi distrussero la flotta statunitense nel porto di Pearl Harbour nelle Hawaii. L’attacco agli Usa fu seguito dalla dichiarazione di guerra all’Inghilterra. La guerra adesso poteva davvero dirsi mondiale! 1942 – 43: Una svolta nel conflitto Importante fu la confitta subita dai tedeschi a Stalingrado. Nella loro avanzata in territorio Sovietico, la gran parte delle forze tedesche era concentrata nel settore meridionale e aveva posto sotto assedio Stalingrado. La città venne conquistata a poco a poco. I sovietici però passarono alla controffensiva; con tre armate l’esercito tedesco venne accerchiato e nonostante l’ordine contrario di Hitler il comandante tedesco Von Paulus decise di arrendersi. Con Stalingrado la II guerra mondiale registrava una svolta decisiva. La Russia di Stalin, confortata dall’enorme prestigio acquisito, cominciava a pensare ad iniziative offensive verso i Paesi dell’Europa orientale. In Africa settentrionale l’esercito Inglese guidato da Mongomery, attaccò le truppe italo-tedesche ad El Alamein. Da quella sconfitta iniziò la ritirata delle truppe italo-tedesche che persero pure la Libia a favore di Mongomery. Contemporaneamente forze americane guidate da Eisenhower sbarcavano in Marocco appoggiati da contingenti francesi comandati da De Gaulle. In Europa i tedeschi procedevano con l’occupazione militare della Francia di Vichy. In Africa, nel maggio 1943, venivano conquistati dagli americani il Marocco e l’Algeria; e grazie all’arresa degli italo-tedeschi anche la Tunisia. Presero avvio con il 1943 le conferenze interalleate nella quali venivano discusse le imminenti questioni del conflitto. La prima di queste si tenne a Casablanca tra Churcil e Roosevelt che fece emergere "quella questione del secondo fronte" che avrebbe dominato i rapporti tra gi alleati fino alla conclusione del conflitto. Gli americani infatti erano favorevoli a concentrare lo sforzo militare in uno Sbarco in Francia per aprire un nuovo fronte contro la Germania; mentre Churcil credeva fosse meglio uno sbarco nei Balcani così da impedire che le truppe sovietiche si impadronissero di quell’area. Lo sbarco in Italia, deciso nella conferenza TRIDENT nel maggio 1943, tra Roosevelt e Churcil, si presentava come un fronte di secondaria importanza rispetto a quello francese o dei Balcani. Era una soluzione di compromesso imposta dalle circostanze ma che non corrispondeva alle visioni strategico – politiche degli Usa, dell’Inghilterra e dell’URSS. Le operazioni militari proseguirono con molta prudenza nel sacrificare uomini e mezzi e ci vollero più di due anni per risalire l’intera penisola imponendo enormi sofferenze al popolo italiano. La guerra in Italia e la resistenza Il deterioramento del rapporto tra fascismo e opinione pubblica fu causato dal fallimento militare e dai sacrifici che dovette sostenere la povera gente. Tutto ciò spinse gli italiani a credere che la guerra fosse inutile e che responsabile di questo malessere fosse Mussolini ed il Fascismo. L’opinione popolare finiva per coincidere con quella della monarchia e degli alti gradi dell’esercito, convinti che il prolungarsi della guerra avrebbe esposto le istituzioni a grave rischi. Riprese così l’opposizione antifascista, da ricordare il Partito d’Azione il cui obiettivo era quello di riunire la tradizione liberal-democratica ed esigenze del moderno socialismo creando una nuova Repubblica fondata su una nuova Costituzione. Da ricordare pure gli scioperi del marzo 1943 sollevati, contro il regime, dal partito comunista, unico rimasto operante ma clandestino, a cui aderirono gli operai della FIAT e di altre fabbriche. Nel frattempo a Roma si cercava la soluzione più rapida per mettere fine al Regime ed uscire dalla guerra. Le forze antifasciste si riorganizzarono e tramite Bonomi fecero sentire la loro voce presso il Re. Caduta Pantelleria il 10 luglio gli americani sbarcarono in Sicilia. Mussolini nell’incontro con Hitler del 19 luglio, preferì non affrontare il discorso di una pace separata dell’Italia e ciò indusse il Re ad accelerare i tempi di una destituzione di Mussolini. Il 19 luglio veniva bombardata Roma. Con la riunione del Gran Consiglio del Fascismo, tenutasi nella notte tra il 24 e il 25 luglio, Ciano, Grandi e Bottai, preventivamente accordati, rivedevano il ruolo di Mussolini (in pratica le dimissioni) e affidavano tutti i poteri alla Corona. Nel pomeriggio del 25 luglio il Re incontrò Mussolini e gli comunicò la sua volontà di sostituirlo con il maresciallo Pietro Badoglio. Alla fine dell’incontro, ad aspettare il Duce, vi era un drappello di carabinieri che lo arrestarono e lo portarono a Ponza. Per una sorta di congiura era caduto il fascismo. Badoglio si rivelò subito un fallimento e le sue decisioni disastrose. Nel messaggio radio del 25 luglio Badoglio dichiarava di proseguire la guerra con la Germania. I tedeschi preoccupati della cattura di Mussolini, a scopo cautelativo, fecero affluire in Italia notevoli contingenti militari che assunsero di fatto il controllo militare dello Stato. Finiti questi 45 giorni (periodo che va dalla caduta del fascismo, 25 luglio, all’armistizio), gli alleati passavano dalla Sicilia alla Calabria. L’armistizio "senza condizioni" veniva firmato tra l’americano Eisenhower e Castellano a Cassibile il 3 settembre 1943 ma annunciato solo l’8. Senza lasciare alcun ordine, il Re e Badoglio cercarono di mettersi in salvo lasciando Roma per raggiungere Pescara e successivamente Brindisi, protetti dagli alleati. La Capitale rimase quindi nelle mani dei tedeschi , i quali furono vanamente contrastati da deboli eserciti o da cittadini scesi spontaneamente in strada. Molti soldati furono catturati dai tedeschi, gli altri senza ordini, non sapendo cosa fare cercarono in ogni modo di tornare vivi a casa. Il 12 settembre 1943, Mussolini trasferito a Campo Imperatore, venne liberato magistralmente dai tedeschi e nei giorni successivi, lui, annunciò nel territorio occupato dai tedeschi, la nascita della Repubblica Sociale Italiana (Salò). Questo però non era il Mussolini di una volta, anche nei filmati luce a noi pervenuti, si nota che la sua forte personalità era pesantemente oppressa dal controllo tedesco. L’unico gesto clamoroso che fece, fu il processo intentato a Verona contro De Bono, il suo genero, Galeazzo e Ciano, i quali furono fucilati con l’accusa di tradimento. Gli alleati giunsero a Napoli il 1 ottobre 1943 dopo che la popolazione aveva già cacciato da sola i tedeschi. Fino al giugno 1944 i combattimenti tra alleati e tedeschi si svolsero lungo la linea GUSTAV che divideva i territori liberati e restituiti all’amministrazione italiana con la nascita del "Regno del Sud" da quelli ancora occupati dai tedeschi. In ottobre il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania, così da entrare nelle grazie americane e spianare la strada ad eventuali trattative di pace. Il congresso dei partiti comunisti che si tenne a Bari nel gennaio 1944, ritenne essenziale, per ritornare alla democrazia, l’abdicazione del Re e la costituzione di un governo espressione di tutte le forze democratiche. Le opposizioni a questo tipo di soluzione erano appoggiate anche dagli alleati che temevano un’incontrollabile crisi politica. Questa situazione di forte tensione si sbloccò a marzo con la "Svolta di Salerno" con la quale l’URSS riconobbe il governo Badoglio costringendo gli USA a fare lo stesso e contemporaneamente il leader comunista Pietro Togliatti affermò di essere pronto a collaborare senza pregiudizi con Badoglio ed il Re. In aprile fu costituito il nuovo governo con a capo Badoglio, appoggiato dalle forze antifasciste e dal Re il quale si impegnava a trasferire i propri poteri al figlio Umberto, non appena Roma fosse stata liberata. Si stabilì inoltre che, del mantenimento o meno della monarchia si sarebbe discusso solo alla fine della guerra e con un referendum popolare. Dopo lo sbarco di Anzio avvenuto nel gennaio del 1944 ci vollero più di sei mesi per liberare Roma a causa dell’accanitissima resistenza tedesca. Ad agosto si liberò pure Firenze; poi il fronte si stabilizzò lungo l’appennino tosco-emiliano (linea GOTICA) superato solo nell’aprile del 1945. A Roma dopo che i poteri erano passati dal Re al figlio Emanuele, si ebbe la formazione di un governo Bonomi appoggiato dai socialisti, dai comunisti, dai democratici, dagli azionisti, dai liberali e dai democratici che avevano dato vita al Comitato di Liberazione Nazionale. Sull’evoluzione della situazione politica pesava adesso, anche l’andamento della lotta partigiana sviluppatesi in tutta l’Europa e soprattutto nell’Italia del centro-nord che ancora era in mano tedesca. Per la loro guerriglia si distinsero le Brigate Garibaldi e le Brigate Giustizia e Libertà legate agli ideali di Carlo Rosselli e del partito d’Azione. La resistenza assunse un enorme significato morale e politico e voleva l’affermazione di nuove istituzioni politiche e sociali. Ciò agitava i comandi alleati preoccupati dell’avvento delle teorie socialiste e proprio per questo motivo non aiutarono molto i partigiani anzi li invitarono ad abbandonare la lotta. Il crollo della Germania e del Giappone Nella conferenza di Teheran svoltasi alla fine del novembre 1943 parteciparono Roosevelt, Churcil e Stalin e si discusse riguardo all’apertura di un nuovo fronte che fu deciso in Normandia nonostante Churcil pensasse che fosse più opportuno aprirlo nei Balcani. Il fronte italiano venne declassato, probabilmente dipese anche da questo gli anni impiegati per la liberazione italiana. Si discusse pure del futuro assetto dell’Europa: i Paesi vincitori avrebbero diviso la Germania in Stati; la Russia teneva i territori occupati con il patto Ribbentrop-Molotov e la Polonia avrebbe integrato parte del territorio tedesco. Con gli accordi monetari firmati a Bretton Woods nel luglio 1944 fu definito un sistema di cambi fisso che aveva come suo punto di riferimento non più solo l’oro ma anche il dollaro che diventava in questo modo il fondamentale mezzo di scambio dell’economia capitalista occidentale.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved