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Dalle parole ai dizionari, Sintesi del corso di Storia della lingua italiana

Sintesi dei capp. 1-10 del libro 'Dalle parole ai dizionari, di Marcello Aprile

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 14/06/2017

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frenz37_ 🇮🇹

4.4

(27)

11 documenti

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Scarica Dalle parole ai dizionari e più Sintesi del corso in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! 1 DALLE PAROLE AI DIZIONARI MARCELLO APRILE 2 1 - LE PAROLE: INTRODUZIONE AL PROBLEMA 1.1. PAROLE, LESSEMI, VARIANTI La parola dal punto di vista linguistico è:  Un'unità minima, isolabile nella frase;  È composta da una sequenza di fonemi (uno o più suoni che hanno la proprietà di distinguere due parole diverse);  È dotata significato autonomo fondamentale (per le parole semanticamente piene, come le parti variabili) oppure di funzione sintattica (per le parole semanticamente vuote, come le parti invariabili); Le parole piene, quindi semanticamente complete, possono essere olofrastiche; quelle vuote o grammaticali, di per sé non hanno significato e non possono essere isolate dalla frase quindi, ma svolgono un’importante funzione sintattica. La parola del parlato è detta parola fonologica, che consiste in una sequenza di suoni (fonemi) le cui regole sono determinate da quelle della struttura delle sillabe; in realtà non è sempre facile isolare una parola dall’altra, questo anche per quanto riguarda la nostra lingua materna. Spesso nel discorso orale le parole vengono fuse: un esempio concreto ne è il raddoppiamento fonosintattico (es. /a ‘ccasa/). Ciò è valido nel parlato normale, ma ancora di più nelle opere liriche. La parola dello scritto è detta, invece, parola grafica, facilmente riconoscibile perché si tratta di una sequenza di lettere intervallate da spazi oppure separate tra loro anche tramite l’uso di appositi segni come l’apostrofo (es. affermato nel ‘500). Il patrimonio delle parole è il lessico, le cui unità formano gli enunciati (frasi). Esiste inoltre il concetto di lessema o lemma, il quale rappresenta la forma "non flessa" delle parole: un verbo sul dizionario verrà identificato secondo il suo lessema, quindi nella sua forma all'infinito. NB Oltre ai verbi, hanno varianti flessionali legate al numero, genere ecc.) i nomi (casa/e), i pronomi (questo/a/i/e), gli aggettivi (bello/a/i/e). Questi ultimi presentano anche i superlativi, ricavati di norma con il suffisso -issimo. 1.2. PAROLE E GRAMMATICA Mentre il numero delle parole è sempre in crescita e quindi il lessico è in continuo dinamismo, le regole di grammatica rappresentano un cerchio relativamente stabile. Ogni cambiamento di regola grammaticale sconvolge l'intero sistema. Tuttavia lessico e grammatica sono legati dal fatto che le parole vengono adattate secondo un insieme di regole grammaticali. Ci sono alcuni elementi del lessico utilizzati con funzioni grammaticali come le locuzioni preposizionali o congiunzionali (‘a causa di’, ‘da parte di’): sono elementi grammaticali che si sono lessicalizzati e che quindi hanno subito un processo di lessicalizzazione. Viceversa, alcuni elementi che appartenevano alla sfera grammaticale hanno avuto un processo di grammaticalizzazione: citiamo il caso di "non" che si è univerbato (cioè fuso) con il participio presente "ostante", ottenendo la preposizione "nonostante". 5 persino nuovi ideali di bellezza. Ad esempio, nella Francia Medievale, dalla collisione di due famiglie di parole, è nato l’ideale degli occhi verdi, che in realtà non esistono. L’idea della loro effettività è data dall’antica espressione francese ‘ieus vairs’ (occhi grigio-blu) che diventò omonima e omofona del latino ‘ieus verts’ (dal latino viridis). Esistono inoltre alcune parole “morte” che i parlanti continuano ad utilizzare, pur perdendo la coscienza dell’antico significato che esse avevano. Questa problematica riguarda essenzialmente due settori: l’antroponomastica (nomi di persona) e la toponomastica (nomi di luogo). Esempi:  Il nome Napoli deriva dal greco nea ‘nuova’ e polis ‘città’; tramontata la presenza ellenica, la parola ha resistito, seppur con dei cambiamenti. Gran parte delle parole morte rappresentate dei toponimi si presta al fenomeno della rimotivazione del parlante e ad essere trasformate in altre parole vive che presentano motivazioni secondarie:  La Grotta della Poesia, aveva come nome originario posìa. Esso è collegato ad una base greca che significa ‘acqua potabile’. Dato che il nome ormai non era più compreso, probabilmente da secoli, è intervenuta la rimotivazione secondaria attraverso l’incrocio con l’italiano poesia, sembrato plausibile perla bellezza del panorama.  L’ Aspromonte, in Calabria, viene comunemente associato al suo essere aspro, impervio. In realtà àspros è una parola greca che significa ‘bianco’. 2.3. LA POLISEMIA La maggioranza delle parole è ‘immotivata’, quindi non trae la propria forma dalla realtà, dunque accade che ogni parola può avere più significati: questo è il fenomeno della polisemia (fenomeno che riguarda quasi tutte le parole). I significati sono ordinati dai vocabolari all’interno di una sola voce. Per esempio barriera significa ‘ostacolo’, ma anche ‘cinta daziaria, doganale’ , e in questi casi per capire il significato, bisogna fondarsi su una visione più larga di quella della singola parola: su quella del contesto. La polisemia viene sfruttata anche nella lingua della pubblicità e della satira per via degli effetti stilistici che può produrre. 2.4. L’OMONIMIA L’omonimia è l’identità tra due forme di origine differente: per esempio, “sale” (III pers. del pres. ind. ‘salire/ cloruro di sodio) è una sola parola con due significati diversi; ma qui non siamo in presenza di un caso di polisemia perché hanno un’etimologia (una storia) del tutto separata e inoltre non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra, infatti sul dizionario sono due voci a sé stanti. NB l’omonimia può riguardare anche più di due parole. Esiste però un altro caso di omonimia: dal significato primario di una parola possono derivare delle accezioni secondarie così differenti, da costituire infine, nella coscienza dei parlanti, due omonimi (‘bolla’, dal latino bulla, come rigonfiamento d’aria o come timbro). 6 2.5. L’INTERDIPENDENZA TRA FAMIGLIE DI PAROLE L’omonimia è un caso del fenomeno più ampio dell’interdipendenza tra famiglie di parole: la semplice somiglianza (non identità) delle forme, che può provocare anche squilibri nel sistema. Ad esempio il lampascione (una sorta di cipollotto selvatico) viene chiamato ‘lampone’ da molti parlanti che sentono questa parola più vicina alla lingua nazionale. In questo caso funziona una sorta di attrazione semantica involontaria, in cui è presente un errore accolto nella comunità linguistica. Parola dialettale → parola italiana esistente sentita vicina formalmente → attrazione semantica involontaria Vi sono anche deformazioni volute e cercate. Ad esempio nel repertorio della lotta politica pre novecentesca, i nemici della democrazia, creando una certa suggestione presso le classi popolari, ne deformarono intenzionalmente il nome in demonocrazia ‘demone’ e dementocrazia ‘demente’. 2.6. SINONIMIA E ANTONIMIA Le parole che hanno lo stesso significato sono chiamate sinonimi, anche se una perfetta identità di significato e di possibilità d’uso non esiste, anche tra parole per cui sembrerebbe possibile la sinonimia assoluta: si parla dunque di sinonimia relativa, preferendo ammettere che le parole, anche quelle più vicine, possono condividere lo stesso fondamentale significato. I contrari invece vengono detti antonimi. All’interno dei contrari va stabilita una differenza tra contrari graduabili, che possono esprimere una comparazione (lento/veloce), e contrari non graduabili, perché l’uno è la negazione dell’altro (vivo/morto). Resta il fatto che, se usati in senso metaforico, i contrari non graduabili, diventano graduabili anch’essi (: ‘Milano è una città viva’). Sinonimi e tradizioni regionali del lessico Esistono coppie di sinonimi come adesso/ora, prendere/pigliare/, dimenticare/scordare, fuggire/scappare. Si tratta di parole che in origine si usavano in un dialetto o in un altro e solo successivamente sono state usate nell’italiano standard, giungendo a formare delle coppie in cui entrambi i termini sono a disposizione dei parlanti. Per via della loro origine geografica diversa, si può parlare di geosinonimi. 2.7. IPERONIMIA E IPONIMIA, ESTENSIONE E INTENSIONE Un sottotipo di sinonimia è costituito dal rapporto tra iperonimi e iponimi. Si tratta della relazione che intercorre tra una parola di significato più esteso e generico (iperonimo) e di una con significato più ristretto e specifico, compreso nel primo (iponimo). Esempio: ‘felino’ è l’iperonimo che comprende una serie di elementi come gatto, leone, pantera, che sono iponimi. A sua volta, felino è l’iponimo di ‘animale’, mentre ‘gatto’ è l’iperonimo di gatto siamese, gatto soriano, gatto persiano. 7 Il rapporto tra una parola e il suo significato può essere visto anche dal punto di vista dell’estensione e dell’intensione. Un significato come ‘mobile’ ha maggiore estensione di quello di ‘armadio’ perché ci sono molti mobili che non sono armadi. Però il significato di ‘armadio’, che è più specifico, ha più intensione di quello di ‘mobile’. Queste due qualità sono in rapporto inverso. 2.8. REALTÀ E OGGETTO MENTALE All’interno della realtà extralinguistica è difficile tracciare linee precise, confini netti. La realtà extralinguistica conosce solo gradazioni impercettibili: la lingua delimita questa linea continua. Le lenti attraverso cui vediamo il mondo e rappresentiamo gli oggetti mentali sono molto diverse, e il fatto che noi occidentali vediamo la realtà in modo simile è dovuto in buona parte al fatto che abbiamo prima di tutto una cultura per molti aspetti comune. I limiti, più che nella realtà, sono nel linguaggio. Il solo linguaggio che si sforza di creare limiti oggettivi è quello della scienza: la monosemia è una delle sue principali caratteristiche, o almeno delle sue aspirazioni primarie. Per il resto, il linguaggio non traduce ma stabilisce i limiti dell’esperienza umana. 2.9. LA DEFINIZIONE DEGLI OGGETTI MENTALI Per capire quali siano i fattori costituitivi di un oggetto mentale e quali siano le caratteristiche distintive di un oggetto mentale rispetto ad un altro ripercorreremo le tappe del pioneristico studio di Pottier sull’oggetto mentale ‘sedia’. Il suo studio si basa sull’analisi componenziale, cioè la scomposizione di domande complesse in elementi di base, che chiameremo semi. Egli applico al campo semantico degli oggetti per sedersi tale scomposizione. notò che certe caratteristiche avevano sempre una risposta negativa, mentre altre a volte affermativa (+), a volte negativa (-). Proprio ciò che li distingue permetterà di non confondere l’oggetto mentale ‘sedia’ con l’oggetto mentale ‘divano’. Con schienale Su piedi Per una sola persona Per sedersi Con braccia Sedia + + + + - Poltrona + + + + + Sgabello - + + + - Divano + + - + + 2.10. NOMI ASTRATTI E NOMI CONCRETI Nel caso dei nomi concreti il referente è accessibile ai sensi; nel caso dei nomi astratti, il referente, che è immateriale, non è accessibile ad essi. Da un punto di vista concettuale, però, le cose sono più complesse: spesso non sono i nomi ad essere astratti o concreti, ma il modo in cui sono impiegati (es. il colore si vede ed è quindi concreto, ma il colore politico è un’astrazione). Un altro aspetto del problema è costituito da fenomeno della concretizzazione degli astratti, cioè della coesistenza, all’interno della stessa parola di un senso concreto ed uno astratto. Costruzione: a) ‘azione del costruire’ (astratto) b) ‘ciò che qualcuno costruisce’ (concreto) 10 La polisemia, nei linguaggi settoriali, deve essere ridotta al minimo o scomparire in favore della monosemia, poiché introdurrebbe ambiguità. Bisogna anche ricordare che mutamenti sociali e politici sono importanti fattori di evoluzione del lessico. Ad esempio, i mestieri del lattoniere o del fontaniere non esistono più perché il mestiere, da artigianale che era, ha cominciato ad organizzarsi sul piano aziendale; la denominazione di è andata unificando a favore di ‘idraulico’. Importante è anche l’influenza delle nuove tecnologie. Inoltre, bisogna ricordare che le conoscenze del lessico non sono omogenee nella comunità linguistica (mutano in base ad educazione e divisione del lavoro). 4.2. PERSISTENZA DEL LESSICO E PROGRESSO DELLE CONOSCENZE Il fatto che una tecnica superata corrisponde una terminologia superata ha varie eccezioni:  Casi in cui il nome dell’oggetto sopravvive anche se la tecnologia è stata resa obsoleta dall’evoluzione delle conoscenze (‘carrozza’ nell’uso ferroviario);  Ci sono settori del lessico che persistono immutati, almeno in apparenza (‘maccheroni’, di cui il tipo di pasta è cambiato, ma il nome è rimasto). 4.3. I NEOLOGISMI Una parola nuova nasce perché creare una nuova unità lessicale rappresenta il mezzo più semplice ed economico per identificare oggetti del mondo fisico e contenuti mentali. La neologia è dunque la possibilità di ogni lingua di ogni lingua di formare nuove unità del lessico: è fondamentale perché consente ad una lingua di rimanere viva. Un neologismo si forma:  Con la produzione di una vera e propria parola nuova (neologismo lessicale) attraverso le regole di formazione delle parole: prefissazione, suffissazione, composizione, prestito ecc.;  Con la nascita di un significato nuovo di una parola già esistente (neologismo semantico). Le nuove attività dell’uomo sono segnate non solo dall’apparizione di nuove parole, ma anche dallo sviluppo di nuovi significati figurati. Mentre i neologismi lessicali sono facilmente riconoscibili (‘resettare’, ‘last minute’), quelli semantici sono più difficili da catalogare (‘navigare in rete’, ‘chiocciola’ per @). Ma quanto deve essere nuova una parola per essere considerata un neologismo? Non esiste una regola univoca. Alcuni neologismi attecchiscono e si impiantano in una lingua in misura stabile, altri vengono usati occasionalmente e poi scompaiono.  Neologismi stilistici, che sono utilizzati in funzione espressiva e stilistica da giornalisti in particolari contesti. Molti di questi, legati spesso all’attualità, sono destinati a sicura estinzione, 11 tipo ‘precarity day’ e ‘toyotismo’. Altri, possono invece attecchire con successo, come ‘lottizzazione’;  Neologismi denominativi, che rispondono generalmente a problemi di direttività lessicale, sono utili a dare un nome a nuovi oggetti o nuove tecniche. È il caso di ‘agroecologia’ (che conosce equivalenti anche in altre lingue europee) e ‘editoria digitale’. Anche in questo caso ci sono tecniche che conoscono un rapido invecchiamento che coinvolge il lessico ad esse legato (‘dvd’ ha soppiantato ‘videocassetta’);  Essendo il lessico un sistema aperto, la creazione di una nuova parola non implica necessariamente l’uscita dall’uso di una parola precedente, alla quale, in molti casi, si può semplicemente affiancare, creando un sinonimo. È così per ‘gomma da masticare’ (1911), ‘chewing gum’ (1927), ‘gomma americana’ (1959) e ‘gomma’ (1967), che si sono affiancati senza sostituirsi;  Possono essere considerati neologismi anche gli elementi del lessico che nascono come termini specialistici di un determinato ambito settoriale e poi si diffondono, di solito con un allargamento del significato, presso la generalità ei parlanti. Ecco che nel 1964 nasce il verbo ‘attenzionare’ presso i funzionari di polizia. Dalle investigazioni l’uso del verbo si è esteso alla lingua comune. Le parole nuove, prima di affermarsi, passano un periodo di ambientamento, in cui possono essere sottoposte a critiche. 4.4. GLI ARCAISMI Il movimento di una lingua è rappresentato anche dall’invecchiamento di una parte del vocabolario e di una parte dei significati e della loro progressiva scomparsa.  Arcaismi lessicali: parole uscite fuori dall’uso, che non esistono più nell’italiano di oggi, sono ad esempio compunto per ‘amareggiato’, perigliosa per ‘pericolosa’, aere per ‘aria’;  Arcaismi semantici: parole antiche che resistono ancora oggi, ma con significati diversi. 4.5. L’USO DELLE PAROLE: LA CORRETTEZZA POLITICA La correttezza politica, cioè l’esigenza di usare le parole secondo caratteri non sessisti e non offensivi verso minoranze politiche, etniche o religiose, ha determinato negli ultimi anni un consistente cambio di mentalità e comportamenti linguistici.  Nei confronti di alcune situazioni di disagio, per esempio, si è scelto di preferire determinazioni come portatore di handicap, non vedente, non udente a quelle (implicanti disprezzo) prima prevalenti; per una progressiva sensibilizzazione al problema disabile o diversamente abile ha sostituito ‘handicappato’;  Per quanto riguarda le minoranze etniche, la parola ‘negro’ e i suoi corrispondenti nelle altre lingue sono stati banditi in favore di nero o di colore. Nel mondo anglosassone ciò ha portato addirittura alla soppressione della parola ‘nigger’ dai vocabolari; 12  La correttezza politica, oltre che riguardare gruppi etnici e religiosi e minoranze (o nel caso delle donne, maggioranze) sessuali, tocca da vicino anche il mondo del lavoro, in cui una serie di professioni hanno cambiato nome. Gli ‘spazzini’ sono divenuti così operatori ecologici, i ‘secondini’ agenti di polizia penitenziaria e i ‘bidelli’ collaboratori scolastici. 5 - IL LATINO COME MATRICE: TRAFILA EREDITARIA E TRAFILA DOTTA 5.1. PREMESSA Dal punto di vista della formazione e dell’origine delle parole, il patrimonio lessicale dell’italiano può essere diviso in:  Parole di tradizione ininterrotta, dal latino fino ad oggi;  Parole anch’esse di tradizione latina (o greca), ma giunte nell’italiano per via dotta (cultismi);  Prestiti e calchi da lingue straniere o dai dialetti locali e regionali;  Neoformazioni (suffissati, prefissati, composti). 5.2. TRAFILA EREDITARIA E TRAFILA DOTTA L’italiano continua il latino, lingua che si è estinta da circa un millennio e mezzo. Il passaggio dal latino alle lingue romanze è stato il risultato di un processo lento, graduale e ininterrotto. In questo lunghissimo periodo, durato alcuni secoli, i cambiamenti sono stati impercettibili, inavvertiti dai parlanti. Il latino è il maggior serbatoio delle parole italiane. Una parte importante delle parole che usiamo tutti i giorni presenta dal punto di vista linguistico due condizioni:  Deriva dal latino parlato;  È stata usata ininterrottamente: ci sono latinismi, cultismi, parole di trafila dotta rimesse in circolazione dopo un certo tempo, non si può quindi parlare di trafila ereditaria e di continuazione ininterrotta. Le parole di tradizione ininterrotta si concentrano particolarmente in campi dell’attività umana di grande importanza per la vita di tutti i giorni (medicina, agricoltura, aggettivi che indicano colori, difetti fisici ecc). Ma il processo in alcuni casi è più complesso perché include un cambiamento di significato: ‘caballus’, ‘domus’, ‘paganus’. NB Il lessico di trafila ereditaria (ma anche buona parte di quello di trafila dotta) deriva normalmente dalla forma dell’accusativo latino, non del nominativo. 5.3. I CULTISMI Accanto a una serie di parole latine che si sono conservate, c’è anche un nutrito gruppo che è andato incontro all’estinzione. Tuttavia, quando le lingue moderne hanno avuto bisogno di designare oggetti o concetti per cui non avevano corrispondente non proprio patrimonio linguistico, lo hanno attinto liberamente dal latino scritto, che era la lingua della Chiesa e della scuola, e in generale delle persone colte. 15 prestito è una delle modalità di arricchimento del lessico della nostra e di tutte le altre lingue. Il fenomeno chiama in campo fattori extralinguistici:  Il bilinguismo che ha determinato in modo fortissimo gli scambi di parole tra lingue;  Il turismo di massa che determina non trascurabili riflessi linguistici nella disponibilità mentale all’apertura alle lingue e alle culture diverse dalla propria;  Lo sviluppo dei media e delle lingue trasmesse. Fondamentale è la corrispondenza via mail. Quando due lingue entrano in contatto bisogna sempre tener conto del prestigio: la lingua sentita dal parlante come più prestigiosa è quella che dà prestiti alla lingua sentita come meno prestigiosa. Si potrebbe essere indotti alla falsa idea che i rapporti tra lingue siano improntati alla pace e alla tolleranza. In realtà non è così: basti pensare a quando le forze disgregatrici dell’Impero Romano d’Occidente provocarono l’entrata nel fondo latino di numerose parole dei nuovi arrivati (germanici, bizantini, slavi ed arabi). In direzione inversa, la civiltà antico-cristiana determinò l’accoglimento di parole latine da parte dei popoli germanici, così come il cristianesimo greco agì fortemente sui popoli slavi. Modalità sociolinguistiche di acquisizione dei prestiti:  Un prestito è generalmente un’acquisizione individuale, che poi si allarga fino a coinvolgere un numero sempre più grande di parlanti;  Bisogna fare attenzione a quali gruppi hanno acquisito determinate tipologie di prestiti, e allo status di un determinato prestito presso i diversi gruppi che compongono la complessa realtà linguistica;  Somiglianza strutturale tra la lingua donatrice e la lingua ricevente. 6.2. PRESTITI ADATTATI E NON ADATTATI: LA LORO ACQUISIZIONE Tradizionalmente si istituisce una differenza tra i prestiti adattati alla fonetica dell’italiano e i prestiti non adattati, che entrano in italiano così come sono nella lingua originaria. Ci sono gradi diversi di adattamento, e tra i prestiti adattati e non c’è una gamma vastissima di sfumature intermedie. L’ostilità della nostra lingua a contemplare parole che terminassero per consonante è stata, fino all’Ottocento inoltrato, una potente spinta verso l’integrazione dei prestiti nelle strutture fonetiche e morfologiche dell’italiano. E così, flanelle, radical, hydrant sono diventate flanella, radicale, idrante. La tendenza si è poi invertita nel corso del Novecento, tanto che l’italiano contemporaneo non integra quasi più i prestiti, che entrano dunque in forma non adattata: banner, cult. Al massimo si adattano i verbi: flirtare, chattare, computerizzare. I prestiti vengono assunti al singolare, di solito rimangono invariati anche al plurale (‘i goal’), poi ci casi in cui il plurale non viene identificato e viene scambiato con il singolare: abbiamo per esempio 16 l’abitudine di dire «il silos», non rendendoci conto che silos in spagnolo è il plurale di silo. Modalità di acquisizione dei prestiti: mediante il parlato, oggi sempre più televisivo e radiofonico (‘news’); mediante lo scritto, ove i termini vengono pronunciati per some sono scritti, in modo errato (‘tunnel’, ‘schei’). 6.4. PRESTITI DI NECESSITÀ E PRESTITI DI LUSSO  I prestiti di necessità riguardano l’acquisizione di nuovi oggetti o di nuovi concetti prima ignoti. Se alla nostra cultura, nel ‘500, mancavano la patata o il cacao, ecco un prestito di necessità: abbiamo importato dall’America nuovi oggetti insieme ai nomi che li designano. Se qualche anno fa è stato inventato il computer ecco un nuovo prestito di necessità;  I prestiti di lusso sono quelli per cui l’italiano ha già un corrispondente almeno approssimativo. L’inglese weekend è un prestito di lusso, perché in italiano ci sarebbe anche fine settimana. Lo stesso ragionamento vale anche per baby sitter e bambinaia o per news e notizie. 6.5. PRESTITI DEFINITIVI E PRESTITI NON RIUSCITI  I prestiti definitivi sono quelli che si sono ambientati nell’italiano da secoli. Per esempio, pochi sospetterebbero che mangiare provenga dal francese antico mangier o che bosco provenga dal francone bosk;  I prestiti non riusciti sono quelli che non attecchiscono in italiano, o che vengono utilizzati per un periodo e poi cadono in disuso. 6.6. I CALCHI Una parola italiana può anche cambiare sotto l’influsso di una lingua straniera, sviluppando forme e significati non originari: abbiamo dunque un calco o una sostituzione lessematica. Esso presuppone un grado di bilinguismo molto più avanzato del prestito ed ha quindi carattere generalmente colto. Esistono vari tipi di calco, in particolare:  Il calco strutturale rappresenta una traduzione letterale, con parole italiane, di una corrispondente espressione straniera. Ad esempio grattacielo corrisponde all’inglese ‘skyscraper’ e conferenza stampa all’inglese-americano ‘press conference’;  Il calco semantico si ha quando una parola già esistente sviluppa un nuovo significato per effetto dell’influsso di una corrispondente espressione straniera. Ad esempio il verbo indossare oggi si adopera, grazie all’influenza dell’inglese ‘to wear’, oltre che in riferimento all’abbigliamento, anche agli accessori. 6.7. LA SEMANTICA DEI PRESTITI Raramente c’è una perfetta corrispondenza di significato tra la lingua di partenza e la lingua d’arrivo: di norma il significato presenta restringimenti o allargamenti, dato che esso è condizionato da un 17 complesso di relazioni che non possono ritornare identiche nella lingua mutuante. Come ad esempio il francese lapin che vuol dire ‘coniglio’ in italiano si restringe fino ad indicare la pelliccia di alcuni conigli. 6.8. I PRESTITI NEL QUADRO DELL’EUROPEIZZAZIONE DEL LESSICO DELLE SINGOLE LINGUE Le lingue europee subiscono da secoli un processo di conguaglio e di europeizzazione. Questo fenomeno conosce varie tappe: - La prima è il cristianesimo, attraverso cui il lessico dell’esperienza religiosa si diffonde attraverso prestiti e calchi che permeano tutte le lingue europee; - la poesia cortese proveniente dalla Francia del XII-XII secolo; - la cultura rinascimentale proveniente dall’Italia, che diffonde molte creazioni linguistiche greco-latine; - l’illuminismo in cui agisce il modello francese, o franco-latino e franco-greco. 6.9 LA STRATIGRAFIA DEI PRESTITI L’apporto, il peso delle singole lingue sulle altre ha un aspetto diatopico ed uno diacronico. Quanto al primo, le lingue parlate in aree più vicine a noi hanno storicamente pesato di più. Rilevanti sono dunque gli apporti germanici tra il tardo Impero romano e l’alto Medioevo, gli apporti francesi, l’apporto delle lingue mediterranee occidentali, come lo spagnolo, e orientali, come turco e arabo. Con lo sviluppo della comunicazione avvenne anche l’influsso culturale inglese. Dal punto di vista storico-diacronico, invece, ci sono lingue che hanno pesato moltissimo ma per un arco di tempo molto ristretto (tedesco) e altre che hanno proiettato la loro influenza in modo piuttosto costante (francese). I Francesismi: i rapporti tra la penisola italiana e la Francia sono antichi e profondamente intrecciati fin dal Medioevo. Il bagaglio più interessante di questo periodo viene da commercio (es. ‘viaggio’, ‘oste’, ‘ostello’, ecc.) e dalla civiltà cavalleresca e feudale (es. ‘marchese’, ‘dama’, ‘omaggio’, ecc.). ma il momento in cui l’afflusso di francesismi si dispiega al massimo grado è senz’altro il ‘700 con la riflessione sulle forme politico-sociali, dalle quali nasce l’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri (es. ‘fanatismo’, ‘filantropo’, ‘garante’, ‘limitrofo’, ‘responsabile’, ecc.). oltre alla voce dei filosofi e degli scrittori, esiste un altro fattore attraverso cui la cultura francese si afferma in modo significativo: il ceto medio infatti, il ceto ‘ante litteram’, contribuisce in modo determinante al radicamento della lingua non solo in ambienti dotti, ma anche ad un livello popolare. Ad esempio, molti dei termini della gastronomia si sono conservati fino ad oggi: ragù, bignè, croccante, sciampagna (t.d. champagne). L’influenza francese continuerà ad essere forte fino ai primi decenni del primo dopoguerra. Gli anglicismi: l’influsso inglese è praticamente nullo per tutto il Medioevo ed è scarso anche nel periodo successivo. La tendenza alla scoperta della cultura inglese comincia a diventare consistente nel ‘700. Da questo avvicinamento derivano i prestiti lessicali 20 l’italiano ha assunto per tutti i cittadini del nuovo Stato la funzione di lingua-tetto. Hanno giocato fattori legati al progresso dei mezzi di comunicazione di massa: giornali, radio e televisione. Essi hanno diffuso l’italiano, ma hanno anche accorciato notevolmente le distanze, consentendo ai regionalismi di diffondersi.  Area lombardo-veneta: contributo per quanto riguarda, da un lato, la morfologia del terreno, fenomeno atmosferici, ambiente, dall’altro, le arti, i mestieri e l’abbigliamento;  Area veneta: voci prevalenti nel settore dell’amministrazione pubblica;  Area piemontese: voci riguardanti l’amministrazione e la vita militare;  Area del centro-sud: primato nella gastronomia e negli ‘usi espressivi’;  Area meridionale: voci che riguardano il mondo della malavita. 7.2. DIALETTISMI NON ADATTATI E CALCHI DIALETTALI Come si è detto, i dialettismi non adattati sono davvero pochissimi: il piemontese bagna cauda; il romagnolo amacord; i calabresi ‘nduia e ‘ndrangheta; il sardo pane carasau. Quando parliamo di calchi dialettali ci riferiamo soprattutto all’uso di suffissi dialettali, come il romanesco –aro e –arolo (es. paninaro, rockettaro, pallonaro, tombarolo, bombarolo, ecc.) (vd. La gastronomia, le arti e i mestieri, il settore militare e ambito giuridico amministrativo, fenomeni atmosferici e naturali, gli astratti, pagg. 120-126) 8 - LA FORMAZIONE DELLE PAROLE 8.1. PREMESSA Il lessico dell’italiano è dato da parole che derivano dalla latinità (fondo ereditario), dai prestiti da lingue antiche e moderne e anche da prestiti interni (i dialetti). Ma ci sono anche parole che no rientrano in nessuna di queste categorie: si tratta delle neoformazioni, cioè di parole non esistenti nella in latino che si sono formate nella nostra lingua sfruttando vari procedimenti: suffissazione, prefissazione, composizione. In lessicologia una base è una parola fornita di una categoria grammaticale che può subire trasformazioni (nomi, aggettivi, verbi). Gli elementi aggiunti alla base possono modificarne il valore, il significato e a volte anche la funzione. Essi sono:  I prefissi, elementi aggiunti prima della base (a-, in-, s-);  I suffissi, elementi aggiunti dopo la base (-zione, -oso, -ista);  I prefissoidi e suffissoidi, elementi che pur non essendo prefissi e suffissi si comportano come tali, avendo perso parte del loro valore originario (anti-, tele-, euro- e -forme, -scopio, - metro). 21 La maggioranza di prefissi e suffissi italiani è già attestata nel latino. In relazione alla capacità di questi di dar vita a nuove formazioni, si parla di produttività. Inoltre nel concetto di lessico mentale ricorre anche il fenomeno del blocco delle parole virtuali ove una parola che, secondo le regole di formazione dovrebbe essere accettata, è in realtà evitata o respinta dai parlanti a causa di un sinonimo ben radicato nella lingua (ladro per ‘rubatore’ e potatura per ‘potaggio, potamento, potazione’). 8.2. LA SUFFISSAZIONE La suffissazione consiste nell’aggiunta a destra di una base. Questa nuova parola può avere la stessa categoria grammaticale della forma di partenza: in questo caso si assiste solo ad un’alterazione. Ma è importante sottolineare che la categoria grammaticale può anche cambiare, causando la transcategorizzazione della parola. Un suffissato può essere:  Denominale, se si forma da un nome;  Deaggettivale, se si forma da un aggettivo;  Deverbale, se si forma da un verbo;  Deavverbiale, se si forma da un avverbio. Dei suffissi per gli infiniti da cui si formano tutti i verbi italiani -are, - ere, -ire, solo -are ha un’enorme produttività poiché forma numerosissimi verbi denominali (cioè derivati da nomi) come ad esempio abusare, addizionare, affezionare. Non solo: -are conosce anche altre varianti molto produttive come -iare (finanziare), -icare e -ificare (morsicare, edificare), -eggiare (albeggiare), -izzare (atrofizzare), e anche suffissi con valore diminutivo piuttosto frequenti, come -ucchiare (mangiucchiare) -icchiare e -acchiare (dormicchiare, stiracchiare). Quando il progresso tecnologico ha messo a disposizione il fax, il computer o la chat i verbi che se ne sono ricavati sono ‘faxare’, ‘computerizzare’, ‘chattare’. Nell’italiano di oggi hanno più successo alcuni suffissi di origine dotta, che suffissi di trafila ereditaria e popolare come –tà, -ìa, -tù. Sono quelli dotti, che hanno avuto dapprima un grande impiego nella lingua della scienza e della tecnica, i suffissi davvero produttivi e vitali nella lingua di oggi. Molto importanti per l'esistenza dei suffissati sono due categorie di nomi:  I nomi di azione che indicano appunto l’azione e le sue modalità. I suoi suffissi più produttivi sono: - -zione: asportare/asportazione, navigare navigazione, punire/punizione ecc.; - -mento: danneggiare/danneggiamento, avvertire/avvertimento ecc.; - -tura: stirare/stiratura, potare/potatura, investire/investitura, ecc.;  I nomi di agente che indicano la persona o la cosa che compie un’azione e che utilizziamo con particolare frequenza quando parliamo di nomi di mestiere. I suoi suffissi più produttivi sono: - -tore/trice (derivati da verbi): fumatore/fumatrice, ricercatore/ricercatrice ecc.; 22 - -ista/-aio (derivati da nomi): artista, giornalista, giornalaio, operaio ecc.; - -tore/-trice (derivati da verbi): affettare/affettatrice, frullare/frullatore ecc. 8.3. GLI INFINITI SOSTANTIVATI E ALTRI TIPI DI PASSAGGIO DI CATEGORIA GRAMMATICALE Un certo numero di parole presenta un cambiamento di categoria grammaticale (conversione) senza per questo cambiare forma, cioè senza l’intervento di un suffisso o un prefisso.  Infiniti sostantivati (nominalizzazione dell’infinito);  Aggettivi sostantivati (ellissi del nome nella sequenza nome + aggettivo);  Participi presenti sostantivati (perdita del valore verbale);  Gerundi sostantivati. 8.4. I DERIVATI A SUFFISSO ZERO I derivati a suffisso zero sono derivati in cui il risultato non è una parola di un grado più complesso morfologicamente, bensì una parola che presenta lo stesso o addirittura inferiore grado di complessità. Hanno avuto un grande successo nell’italiano dell’Otto- Novecento. Si tratta in effetti di sostantivi che derivano da un verbo ‘amputato’. collaudare → collaudo verificare → verifica addebitare → addebito (alla risposta) 8.5. L’ALTERAZIONE L’alterazione è un caso particolare suffissazione in cui il cambiamento avviene all’interno della stessa categoria grammaticale: non c’è transcategorizzazione. Gli alterati possono essere analizzati in relazione alla quantità (piccola nel caso dei diminutivi, grande nel caso degli aggettivi) e alla qualità (positiva o negativa). Due assi differenti: oggettività e soggettività.  I diminutivi sono il gruppo più numeroso. I suffissi più produttivi sono -ino/-ina (lucina), -etto/-etta (bacetto), -ello/- ella (asinello);  Quanto agli accrescitivi, il suffisso più produttivo è -one/-ona (lettone);  I peggiorativi sono ricavati da -accio (libraccio) o dalla variante regionale -azzo (amorazzo) o ancora -astro (medicastro). Alcuni di questi si sono lessicalizzati come, ‘figliastro’ e ‘fratellastro’, ma il valore peggiorativo è rimasto; Oltre agli alterati veri, come quelli appena esaminati, esistono alterati falsi, cioè parole che gradualmente si sono staccate da quelle da cui provenivano, per cui oggi sono sentite come parole autonome. In questo caso si dice che gli alterati si sono lessicalizzati: manette da ‘mano’, aquilone da ‘aquila’, spaghetti da ‘spago’ e rosone da ‘rosa. Sempre nel quadro dell’alterazione, i verbi deverbali hanno in italiano un aspetto piuttosto connotato in senso espressivo. Si tratta di alterati con suffissi come -ellare/-erellare/-arellare (saltellare, 25 8.11. ETIMOLOGIA POPOLARE, EUFEMISMI E ALTRE MODIFICAZIONI INATTESE DELLA BASE Quando una nuova parola entra in un sistema linguistico, può accadere che i parlanti la ritengano un corpo estraneo e reagiscano cercando di adattarla ad un elemento già noto, familiare. L’accostamento di una parola sentita come estranea ad un’altra già nota prende il nome di paretimologia o di etimologia popolare. Esiste poi una tipologia di parole modificate intenzionalmente, per altri motivi, spesso di natura tabuistica.  In genere si tende a evitare di nominare l’entità divina e il sacro. Abbiamo così la trasformazione eufemistica di Dio in zio, di Madonna in Maremma o madosca, di Cristo in cribbio, di ostia in osteria;  Come non va nominato il Bene, così non va evocato il Male: per esempio si dice diamine, diancine e diambarne per diavolo;  L’altra area del lessico in cui si verificano trasformazioni di tipo eufemistico è il turpiloquio, ove tutte le formazioni hanno lo scopo di non nominare direttamente i componenti dell’apparato sessuale maschile. 8.12. I DERIVATI PER ACCORCIAMENTO E LE SIGLE Nell’italiano comune esistono parole che nascono dall’accorciamento di parole preesistenti: aereo(plano), auto(mobile), bici(cletta). Alcuni di questi “mozziconi” sono relativamente recenti e stabilizzati come meteo, Juve, tele; altri sono stati in auge per qualche tempo, ma sono poi rapidamente usciti dall’uso come disco(teca). È diffusissimo anche lo scorciamento dei nomi propri e degli pseudo anglicismi. Si amplia progressivamente l’uso delle sigle come vere e proprie parole, a tal punto che diventano produttive di ulteriori suffissati. 8.14. ONOMATOPEE E VOCI ESPRESSIVE IMITATIVE Le onomatopee sono parole che vogliono riprodurre suoni, per tal motivo si tratta dell’unico gruppo di parole motivato semanticamente: esiste una relazione diretta tra la parola usata e la cosa. Persino in questo caso il legame è però parziale e produce un processo di astrazione. Se il legame fosse completo e biunivoco, le parole che designano i versi degli animali sarebbero uguali in tutte le lingue, cosa che non è. 8.15. PAROLE E NOMI: I DEONOMASTICI  Nomi di persona o di luogo diventati essi stessi nomi comuni. L’antichità ci ha fornito diversi esempi di questo genere, quando si ha una persona o una cosa che nella storia o nella mitologia ha rappresentato un’eccezionale realizzazione. Si tratta di un’estensione semantica di tipo metaforico o metonimico. - Contributo storico: una guida turistica viene chiamata cicerone, chi predice disgrazie è chiamato anche cassandra, un finanziatore di artisti è definito mecenate, una persona che distrugge e devasta viene chiamata attila; 26 - Contributo religioso: colui che inganna è generalmente definito come un giuda. Vi sono anche nomi ebraici che finiscono per assumere il valore di nomi comuni come, caino, beniamino, giobbe e maddalena; - Contributo della storia moderna: casanova, silhouette, montgomery e sandwich; - Contributi dal costume e dalla vita sociale del ‘900: bignami, paparazzo, molotov; - Contributi gastronomici: bistecca alla Bismarck, pizza margherita.  Nomi di luogo diventati nomi comuni. Basti pensare alle denominazioni di prodotti gastronomici o di oggetti. Frequentissimo è il caso in cui un oggetto prende il nome dagli abitanti di un luogo, più che dal luogo stesso: abbiamo per esempio, attraverso il processo di ellissi (bistecca alla) fiorentina, (formaggio) parmigiano. Ancora più frequente è, nella terminologia gastronomica, il ricorso al modello nome di un piatto + alla + nome etnico: spaghetti all’amatriciana, cotoletta alla milanese. Si hanno anche una serie di nomi geografici che sono diventati per antonomasia simboli di disastri, veri o metaforici: far casamicciola, caporetto, waterloo. O ancora, l’abitudine di attribuire difetti agli altri popoli ci porta, ad esempio, a dare del portoghese a chi entra senza pagare o senza essere stato invitato. Anche la moda porta con sé un contingente vastissimo: bikini, basco, cachemire, jersey.  Nomi, aggettivi e verbi derivati da nomi di persona o da nomi geografici attraverso processi di suffissazione e prefissazione. Questa seconda modalità è usatissima nel linguaggio politico, in cui a ciascun personaggio è associato anche un aggettivo di relazione (craxiano). Ancora più diffusa è la modalità per cui da un nome di luogo si ottiene un derivato (africano, laziale, pugliese). In pochi casi il derivato non un rapporto diretto e trasparente con il nome a cui si riferisce. In questo caso, si tratta normalmente di nomi in cui interviene una trafila dotta: aprutini per ‘abruzzesi’, neritini per gli abitanti di Nardò, patavini per ‘padovani’. I marchionimi: Una serie di parole nasce in italiano da marchi registrati disponibili in commercio, cioè dai marchionimi: essi possono generalizzarsi fino ad indicare per antonomasia il prodotto. È il caso di: aspirina, autogrill, cotton fioc, scolorina e sottiletta. 8.16. SIMMETRIE E DISSIMMETRIE Il risultato dell’evoluzione storica per cui nello stesso ambito d’uso si hanno parole del tutto diverse, come cavallo (trafila popolare o ereditaria) ed equino (trafila dotta) è detto dissimmetria. In termini generali, possiamo schematizzare come segue le conseguenze della continua evoluzione dell’italiano: - Persistenza di parole derivate da parole a loro volta scomparse; 27 - Mancanza di parallelismo all’interno di alcune famiglie di parole (dissimmetrie); - Persistenza di alcune forme arcaiche o desuete solo all’interno di formule cristallizzate; - Persistenza di parole solo nell’uso metaforico o in formule fisse, e non nel loro significato originario. Il caso della famiglia di guerra può assorbire le prime due tipologie esposte: da guerra si forma l’aggettivo guerresco, ma allo stesso campo semantico afferiscono anche bellico e bellicoso. Un esempio della terza tipologia dello schema riguarda, nell’italiano di oggi, l’estinzione della cosiddetta i prostetica, cioè della i che si aggiungeva fino a qualche decennio fa davanti a s + consonante quando essa era preceduta da preposizione terminante anch’essa per consonante (es. in Ispagna, in Isvizzera, per Ischerzo, ecc.). Quanto alla quarta tipologia un esempio eclatante è la parola soprano, che oggi è nota solo nel significato musicale, ma che in origine significava semplicemente ‘chi sta sopra, in posizione elevata’. 8.17. LE PAROLE NATE PER ERRORE Può accadere che una parola sia stata ad un certo punto della sua storia ‘letta/scritta male’ e che questa errata lettura/scrittura si sia poi stabilizzata, dando origine a un nuovo nato che si è poi conquistato pieno diritto di cittadinanza con l’uso. Ne sono esempi eclatanti i fenomeni linguistici della concrezione dell’articolo (es. it. lastrico deriva dal lt. astricum) e della discrezione dell’articolo (es. it. l’usignolo deriva dal lt. lusciniolum). 9 - I DIZIONARI DELL’USO 9.1. PREMESSA A seconda della loro tipologia, i vocabolari hanno lo scopo di:  Tradurre le parole di altre comunità linguistiche del presente o del passato con cui la nostra è entrata in rapporti culturali, economici o di altro tipo (dizionari bilingui o plurilingui);  Transcodificare in una norma comune, all’interno della stessa comunità linguistica, le conoscenze tecnico – specialistiche di gruppi sociali o culturali (dizionari tecnici e specialistici);  Padroneggiare i mezzi espressivi attraverso l’analisi semantica, sintattica, morfologica e fonetica della lingua, aiutando il lettore a valorizzare i suoi comportamenti verbali in una società in cui essi hanno un valore spesso determinanti (dizionari monolingui);  Accrescere il sapere dei lettori attraverso l’intermediazione delle parole (dizionari enciclopedici). 9.3. LA NOMENCLATURA (O LEMMARIO) Un vocabolario consta di una lista di forme, definite come entrate, voci o lemmi. L’insieme delle entrate di un dizionario costituisce la nomenclatura o il lemmario. 30  I sostantivi sono lemmatizzati, cioè immessi al singolare, non al plurale;  Gli aggettivi sono lemmatizzati al maschile singolare;  I verbi sono lemmatizzati all’infinito. La lemmatizzazione dei sostantivi va incontro ad alcuni problemi: è il caso dei femminili di nomi mobili, cioè di sostantivi per cui esiste sia il maschile sia il femminile: arredatore/arredatrice. Normalmente tali problemi sono risolti nell’entrata attraverso meccanismi come quelli del Sabatini-Coletti, che in finale di lemma riporta il femminile. Va detto che in molti nomi di mestiere o di cariche pubbliche erano considerati un appannaggio esclusivo delle persone di sesso maschile e di conseguenza non avevano che un nome maschile. In altri casi il femminile poteva persino avere una sfumatura ironica (‘avvocatessa’) o una connotazione decisamente ironica, quando non spregiativa (‘dottora’). Problemi analoghi si riscontrano per i nomi di specie animali per cui esistono maschile e femminile (‘leone/ssa’). Qui per comodità e fattori culturali si dà un’implicita preferenza al genere maschile, riservando al femminile una citazione all’interno dell’entrata, ma non un’entrata autonoma. Vi sono anche problemi al contrario: mestieri prevalentemente frequentati da persone di sesso maschile (‘guardia’/ ‘sentinella’) o frequentati da entrambi i sessi (‘guida’) ma femminili, o anche nomi di specie solo al femminile i cui esemplari maschi non hanno un nome (il maschio della tigre). Tali scelte comunque non sono naturali, ma arbitrarie. In alcuni dizionari vi è anche l’informazione sistematica sulla divisione in sillabe e sulla pronuncia. La divisione in sillabe oggi può giovare del fatto che nella videoscrittura si va a capo automaticamente o si attiva un sillabatore automatico, ma è un’arma a doppio taglio perché se la lingua impostata per esempio non è l’italiano si rischia di separare male le parole. I dizionari sono quindi un ausilio importante. Quanto alla pronuncia, per le parole straniere i vocabolari forniscono l’indicazione del timbro delle vocali e dell’esatta articolazione delle consonanti, fornita secondo la trascrizione dell’IPA (International Phonetic Association). Il Sabatini-Coletti e il Devoto-Oli forniscono anche la pronuncia adattata, cioè quella che effettivamente è corrente in italiano. Anche le parole italiane ricevono un’indicazione di pronuncia chiara e lineare, attraverso lo sfruttamento di segni alfabetici con qualche piccolo accorgimento. Un’informazione obbligata è la marca grammaticale. In generale:  I sostantivi hanno l’abbreviazione s.m. (sostantivo maschile) o s.f. (sostantivo femminile);  Gli aggettivi hanno l’abbreviazione agg.;  Le altre categorie grammaticali hanno abbreviazioni canoniche: avverbio = avv., congiunzione = cong., esclamazione = escl.;  Per i verbi (v.) e per le preposizioni (prep.), le oscillazioni tra i vocabolari sono ampie, perché la loro classificazione comporta problemi aggiuntivi; sono comuni abbreviazioni come v.tr. = verbo transitivo, v.tr.pron. = verbo transitivo 31 pronominale, v.rifl. = verbo riflessivo, v.impers. = verbo impersonale. In questo senso, i vocabolari italiani, tranne lo Zingarelli, hanno introdotto nell’area della grammatica un grande cambiamento concettuale: la classificazione dei verbi e poi anche delle preposizioni secondo la teoria delle valenze, concepita dallo studioso francese Lucine Tesnière. 9.4.2. L’area dell’esemplificazione e dell’informazione semantica Viene poi il corpo dell’entrata. Vi sono:  I significati (le definizioni);  Gli esempi d’uso e la fraseologia;  Gli eventuali alterati e derivati avverbiali. Questo è il campo in cui si avvertono le differenze più rilevanti tra vocabolario e vocabolario. La classificazione dei significati e degli impieghi è gerarchica, non casuale. Ciò vale sia per le entrate semplici che per quelle complesse. I livelli di gerarchia sono segnati da numeri e lettere e ciascun livello è subordinato al precedente. Il livello grammaticale è segnalato dallo Zingarelli da lettere maiuscole in grassetto (A, B, C, ecc.), nel Devoto–Oli, Sabatini-Coletti e nel Garzanti da simboli geometrici (il rombo pieno ♦), nel Devoto- Oli non vi sono distinzioni fra livello grammaticale e semantico con simboli grafici diversi. Se una parola ha più significati, nel Devoto - Oli essi vengono distinti tramite numeri arabi, in grassetto rosso puntato (1., 2., 3. ecc.), mentre nello Zingarelli, nel Garzanti e nel Sabatini–Coletti in grassetto non puntato e variamente colorato (1, 2, 3 ecc.). L’ordine delle accezioni rispetta la frequenza e l’importanza di queste, ma viene modificato quando l’accezione più comune o importante è visibilmente uno sviluppo figurato di altra meno comune. I significati possono essere disposti in:  Ordine storico: seguendo l’ordine in cui sono nati, che non è detto sia quello di maggior diffusione (questo è tipico dei vocabolari etimologici come DELI e LEI ma non di quelli dell’uso);  Ordine logico: regola il fatto che un senso concreto per esempio precede di solito quelli figurati;  Ordine di diffusione: maggiore o minore di un significato, che comporta il suo spostamento verso l’alto o verso il basso della gerarchia. La natura della definizione è correlata con la categoria grammaticale. In genere abbiamo:  Un nome che viene definito da un altro nome o sintagma nominale: nome + determinante che può essere un nome o un aggettivo come, ‘democrazia’ → forma di governo;  Un infinito è definito tramite un altro infinito come, ‘concordare’ → mettere d’accordo; 32  Un aggettivo tramite uno o più aggettivi come, ‘ incostante’ → variabile, diseguale, o un sistema di parafrasi, o con una relativa introdotta da che o ancora con un participio usato in funzione aggettivale come, ‘elastico’ → dotato di agilità. In genere l’analisi semantica a fini lessicografici si basa su due grandi criteri: senso e impiego, che si dovrebbero nella migliore delle ipotesi incrociare e incontrare, dando luogo a una voce chiara ed equilibrata. In generale il comportamento è questo:  Gli omonimi con due origini diverse sono considerati sempre sotto due entrate diverse;  Nel caso di polisemia storica percepita come omonimia dai parlanti per cui si considerano parole diverse anche gli sviluppi italiani ormai lontani tra loro della stessa base latina, i vocabolari preferiscono il punto d’arrivo. Una definizione deve corrispondere a tutto l’oggetto definito per essere adeguata, e solo all’oggetto definito per essere esatta. Deve inoltre rispondere a due fini: a) rendere più comprensibile l’oggetto definito e quindi essere in un linguaggio chiaro e preciso; b) rendere chiara la strutturazione semantica del lessico, soprattutto il suo rapporto con morfologia e grammatica. La definizione precede gli esempi d’uso e la fraseologia. Distinguiamo due tipi di definizione:  Quello in cui l’espressione è tradotta da un’equivalenza (‘bagno di sangue’ → strage, massacro);  Quello in cui si ripete solo un elemento in una sorta di glossa (‘essere in un bagno di sudore’ → grondare di sudore). Quanto alla definizione di termini settoriali e scientifici, i vocabolari dell’uso sono quasi sempre impeccabile. Possono essere impiegati altri tecnicismi. Il salto di qualità dei dizionari moderni, rispetto a quelli passati, sta nell’uso dei tecnicismi collaterali, cioè da parole non necessarie che corrispondono all’esigenza stilistica di mantenere al discorso settoriale un certo grado di specificità e separatezza rispetto a quello comune. Perché un dizionario non sia un semplice elenco di forme, è necessario che esso fornisca alle parole isolate un contesto d’uso, che restituisca loro qualcosa dell’universo del discorso e che metta in evidenza gli usi fissi, i modi di dire, i proverbi. La tipologia degli esempi vede differenza tra:  Sequenze di parole il cui ordine può essere modificato (veri e propri esempi d’uso e citazioni);  Sequenze di parole il cui ordine non può essere modificato (nessi fissi, locuzioni, proverbi, ecc.). Le citazioni da testi letterari in prosa o poesia in un dizionario dell’uso sono relativamente frequenti, ma stringate, essenziali. Sono tratte da tutto l’arco temporale della letteratura italiana, da Dante al ‘900. In genere, il posto dei sinonimi e dei contrari è al termine della trattazione del singolo significato a cui si riferiscono. 35 In generale, il sistema su cui è fondato il Battaglia non cambia nei volumi successivi, mantenendosi piuttosto stabile nel tempo. I raggiustamenti fatti sono:  L’attenuazione del carattere marcatamente letterario del vocabolario;  L’allargamento delle fonti spogliate a saggi e quotidiani;  L’atteggiamento un po’ più largo verso le parole straniere non adattate Tra i difetti del Battaglia, a parte il taglio inizialmente troppo letterario, è stato ricordato più volte l’uso di fonti filologicamente non all’altezza delle moderne aspettative. Le critiche levatesi sono senz’altro fondate, ma anche largamente ingenerose: monumentalità → errori 10.1.4. Il Glossario degli antichi volgari italiani (GAVI) Il GAVI è una delle due realizzazioni lessicografiche che hanno come oggetto l’italiano antico. Il suo scopo è raccogliere in un vocabolario storico le attestazioni dell’italiano e dei volgari antichi. Il GAVI è stato redatto grazie al lavoro caparbio di un’unica persona, Giorgio Colussi, dell’Università di Helsinki, e senza l’ausilio di fondi pubblici. Ciò ha rappresentato anche la debolezza di questo vocabolario, che è rimasto interrotto con la morte dell’autore (2007). La pubblicazione dell’opera è cominciata nel 1983. Ne sono stati pubblicati 32 volumi, corrispondenti alle lettere A, B, C, D, S, U, V, Z. Sin dall’inizio tra il GAVI e il TLIO si sono instaurati canali di raccordo nella gestione e nell’interpretazione dei dati. Questo scambio di informazioni e materiali ha giovato ad entrambe e a tutta la lessicografia storica italiana. Forse la principale differenza tra le due imprese, oltre alla presentazione grafica del materiale, è che il GAVI cita fonti rigorosamente a stampa. 10.4.5. Il Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (TLIO) Il Tesoro della Lingua Italiana delle Origini parte con il vantaggio dell’informatizzazione totale del corpus studiato, del metodo di lavoro e dell’apertura verso il pubblico. La versione web della banca dati è stata curata da esperti di università americane: si prevede la conclusione del dizionario entro il 2012, con un totale di circa 45.000 voci. Come accade parallelamente nel GAVI, sono prese in considerazione tutte le forme dei dialetti (volgari) antichi, da tutte le aree italiane, fino al 1375, data di morte di Giovanni Boccaccio. 10.2. I VOCABOLARI ETIMOLOGICI Questi hanno negli ultimi decenni acquisito una natura lontana da quella del semplice repertorio che indica l’origine di una parola. Infatti, la ricerca in questo campo punta a chiarire non più l’<etimologia-origine>, l’<etimologia-storia> di una parola. In sostanza la semplice indicazione di quale sia l’etimologia di una forma non basta a chiarirne la storia, che può prendere strade assai complesse e variegate: è necessario ripercorrerne le vicende tenendo conto di una molteplicità di fattori: l’evoluzione fonetica, i suoi cambiamenti di significato, i gruppi sociali che ne hanno fatto uso, le componenti etnologiche, antropologiche, religiose, demografiche, politiche che ne hanno condizionato o determinato l’esistenza. 36 10.2.1. Il Dizionario Etimologico Italiano (DEI) Il Dizionario Etimologico Italiano (DEI, 1950-1957) include le seguenti categorie di parole:  Quelle della tradizione letteraria italiana, comprese quelle estinte;  Vari tecnicismi, specialmente moderni;  I forestierismi dell’uso comune;  Le voci regionali e dialettali adottate dagli scrittori, o quelle che sono entrate nell’italiano regionale, o ancora quelle che sono sembrate a vario titolo interessanti (→ soggettività autori), sono precedute da una tilde ( ͠ ). Quanto ai derivati, il DEI è il primo vocabolario italiano a presentare come entrate i suffissi e suffissoidi e i prefissi e prefissoidi. Un’altra caratteristica innovativa del DEI è l’attenzione al latino medievale, lingua in cui erano scritti, fino a una certa data, gli atti amministrativi, gli inventari, gli statuti cittadini e altri documenti. Questi documenti rappresentano ancora oggi una fonte preziosa per la conoscenza del volgare in una fase in cui la documentazione scritta è scarsa. Offre inoltre una datazione per le parole italiane (non sempre attendibile). 10.2.2. Il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana (DELI) Il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana (DELI) è stato pubblicato tra il 1979 e il 1988 in cinque piccoli volumi. Ancora più del DEI, questo è un vocabolario etimologico della lingua nazionale, senza sconfinamenti nei dialetti che vadano oltre le parole locali affermatesi in italiano. Il corpus delle parole scelte è stato definito con semplicità e chiarezza: le entrate del DELI sono quelle dell’edizione minore dello Zingarelli. Ciascuna entrata è ripartita in due parti:  La documentazione; essa comprende oltre i dati salienti (lemma in grassetto, indicazione grammaticale, la definizione racchiusa tra virgolette semplici), anche la data della prima attestazione conosciuta. La data non è generica come nel DEI, ma il più possibile precisa, e ciò vale anche per la fonte, che deve essere indicata con esattezza. Anche tutte le altre accezioni di una stessa parola devono essere datate, e talvolta la datazione riguarda persino le stesse varianti grafico- fonetiche. Il DELI prosegue la tradizione inaugurata dal DEI di utilizzare fonti poco note del latino medievale. Una novità propriamente sua è invece il fatto che i derivati con suffisso e i composti vengono messi, in ordine alfabetico e in corpo minore, nello stesso paragrafo della parola da cui provengono;  Il commento sull’etimologia-storia della parola ove, normalmente, viene fornita, oltre all’etimologia prossima, anche quella remota. Nel caso di etimologie semplici e accertate pacificamente, la discussione è breve e si esaurisce di solito nel semplice rinvio alla parola che l’ha generata. In casi più complessi c’è una discussione più lunga, con l’indicazione delle principali ipotesi e dei rinvii bibliografici che consentono a chi fosse interessato di approfondire la questione. 37 10.2.3. Il Lessico etimologico italiano (LEI) Il Lessico etimologico italiano (LEI) è un vocabolario etimologico che si pone l’obiettivo di raccogliere tutte le attestazioni dell’italiano e dei suoi dialetti, antichi e moderni, dalle origini fino ad oggi. La differenza tra il LEI e gli altri vocabolari italiani è che in esso la direzione in cui è organizzato il materiale è inversa rispetto a quella abituale, dato che si parte dall’etimo per arrivare alla forma italiana. Per tal motivo l’impostazione del LEI è necessariamente monumentale e complessa. Ciascuna monografia è distinta primariamente in tre parti, contrassegnate da numeri romani corrispondenti a una lettura etimologico-storica ben precisa:  Corrisponde alle parole di trafila popolare;  A quelle di trafila dotta;  Ai prestiti da lingue straniere.
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