Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Dante, Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra: analisi dettagliata e parafrasi, Appunti di Letteratura Italiana

Analisi dettagliata (stanza per stanza) e parafrasi della sestina dantesca Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra, componimento facente parte del ciclo delle cosiddette "rime petrose".

Tipologia: Appunti

2020/2021
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 08/06/2022

emanuele-dileo
emanuele-dileo 🇮🇹

4.7

(113)

49 documenti

1 / 8

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Dante, Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra: analisi dettagliata e parafrasi e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! AL POCO GIORNO E AL GRAN CERCHIO D’OMBRA METRO E STILE: sestina lirica (sistema metrico inventato da Arnaut Daniel con la sestina Lo ferm voler qu’el cor m’intra). È una canzone di 6 stanze di 6 versi ciascuna (tutti endecasillabi) + congedo. Il sistema delle rime è quello della retrogradatio cruciata: ciascun verso termina con una (detta parola-rima) che, dalla 2^ stanza in poi, si ripresenta mutando di posizione (per ordine di apparizione nell’ambito della stanza), secondo un riordinamento che, partendo dall’ultimo verso, alterna le ultime tre e le prime tre parole-rima (ultima- prima-penultima-seconda-terzultima-terza; cioè ABCDEF; FAEBDC…); in tal modo ogni verso è irrelato all’interno della strofa ma collegato alle strofe seguenti. Nel ritorno delle parole-rima agisce un sistema di inversioni e progressioni, per il quale l’ultima parola-rima di ogni stanza ritorna al primo verso di quella successiva, mentre la prima slitta al secondo verso, la seconda al quarto, la terza all’ultimo, la quarta al penultimo, la quinta al terzo. Se quindi prendiamo come successione della prima stanza lo schema 1-2-3-4-5-6, nella stanza successiva abbiamo la permutazione e le parole-rima ritornano con lo schema 6-1-5-2-4-3, e questa cosa si ripete per ogni stanza, cioè ogni stanza, rispetto a quella precedente, ha lo schema 6-1-5-2-4-3. Le parole-rima tra loro non rimano, anche se è possibile in qualche caso associarle a 2 a 2 per assonanza (donna-ombra, petra-erba). Ogni strofa è sintatticamente chiusa in se stessa. È stato giustamente notato che non c’è uno sviluppo logico di strofa in strofa, quanto piuttosto un passaggio di carattere di analogico, nonché una serie di giustapposizioni. Dopo 6 strofe è esaurita la rotazione delle possibilità (la 7^ ripresenterebbe le posizioni della prima) e si incontrano, nel congedo, presenti tutt’e 6 le parole-rime in soli 3 versi (le 3 parole- rima del primo verso delle prime 3 strofe in fine di verso e le 3 del primo verso delle ultime 3 strofe, in ordine inverso, all’interno del verso, secondo lo schema: [B]A[D]F[E]X. La sestina viene inventata da Arnaut Daniel non come un nuovo genere letterario, bensì come una nuova forma poetica, basata su una particolarissima struttura metrico-formale che è stata concepita dall’autore come un gioco, un esperimento formale. Solo con Petrarca la sestina diverrà un genere letterario. Inizialmente, quindi, la sestina non si definisce su basi tematiche, come ad esempio l’alba (canzone che tratta specificamente il tema della separazione dei 2 amanti all’alba dopo la notte trascorsa assieme) o la pastorella (che tratta dell’idillio amoroso tra il poeta-cavaliere e una donna di bassa condizione sociale), ma su basi formali. È lo schema della retrogradatio cruciata introdotto da Arnaut a fondare la sestina. Nella sestina di Arnaut il primo verso di ogni stanza è un eptasyllabe (un settenario), mentre quelli successivi sono decasyllabes; Dante invece opta per l’uniformità e compone stanze con soli endecasillabi. Dante è colui che introduce nella nostra tradizione poetica la sestina. Ma il successo di questa soluzione metrica va ben oltre ad Arnaut e a Dante: ma il successo del testo va oltre Dante: Petrarca nel suo Canzoniere inserisce ben 9 sestine, inaugurando così la sestina come genere letterario vero e proprio; poi, con il fenomeno del petrarchismo quattrocentesco e soprattutto cinquecentesco (l’imitazione a livello internazionale del Petrarca come modello della poesia lirica) la sestina viene usata da diversi poeti e umanisti del periodo rinascimentale (ad esempio Leon Battista Alberti, Lorenzo il Magnifico, Jacopo Sannazzaro, Giovanni Rucellai, Pico della Mirandola, Michelangelo Buonarroti, Pietro Bembo e Torquato Tasso); vi sono poi autori spagnoli e portoghesi che sperimentano la “sestina corale o drammatica” nelle loro opere teatrali; in Inghilterra la sestina viene ripresa con la moda bucolica-araldica, e in Germania nel periodo barocco (che è per eccellenza il movimento artistico-letterario del virtuosismo formale e della meraviglia). Proseguendo nel corso dei secoli, altri grandi autori della letteratura italiana riproporranno poi questo schema metrico, come Carducci, Tommaseo, D’Annunzio, Ungaretti (Recitativo di Palinuro), Franco Fortini; abbiamo esempi di sestine anche in Russia e nell’America latina, e nella letteratura britannica e anglo-americana (solo per fare due nomi, Rudyard Kipling ed Ezra Pound). L’unico periodo “buio” fu il Romanticismo, che riteneva lo spiccato formalismo della lirica medievale come un esempio di “artificiosità fredda” e poco originale, poiché il messaggio poetico e il sentimento era rinchiuso in uno schema estremamente rigido che porta a delle scelte obbligate e limita la creazione artistica e l’ingegno del poeta. Tuttavia, come riporta Roncaglia, uno dei fondatori del Romanticismo, ossia August Wilhelm Schlegel, ha espresso invece pareri positivi sulla sestina, definendola “sognante rappresentazione del sogno”. In questo caso, Dante, pur riprendendo da Arnaut la tematica dell’amore passionale, si discosta fortemente, nel senso che dà alla sua canzone, dalla sestina di Arnaut: Arnaut non esprime questa visione così devastante e aspra dell’amore, e soprattutto il componimento di Arnaut è da ascrivere alla grande stagione della lirica cortese occitanica, quindi dal testo emergono chiaramente delle dinamiche “ancora” di corte, come l’omaggio feudale concesso dalla donna. Oltretutto, nella sestina del trovatore comparivano vari personaggi indicati in modo assai generico (parenti, amici, maldicenti) che però contribuivano a delineare lo scenario cortese; qui invece è solo una questione tra l’io lirico e la donna, con la comparsa di Amore personificato nella 3^ stanza. Osservando la prima stanza, le prime 4 parole-rima (ombra, colli, erba, verde) sono di matrice bucolica e in particolar modo virgiliana, tenendo conto che Virgilio era, tra i poeti latini, punto di riferimento imprescindibile per Dante (non solo dal punto di vista morale) e tenendo conto che le Bucoliche sono l’esito più alto del genere pastorale nella letteratura latina e che Dante non conosceva il greco e quindi non poteva risalire al grande modello di Virgilio, ossia Teocrito. In realtà, se analizziamo la sestina dal punto di vista stilistico, non notiamo quel linguaggio aspro e stridente come in Così nel mio parlar voglio esser aspro e manca quella dichiarazione programmatica presente nella stessa canzone. Possiamo dire che l’asprezza è data dalla forma volutamente difficile della sestina; e, ovviamente, il componimento rientra a pieno titolo nel gruppo delle petrose in quanto ruota sempre attorno al tema dell’amore per la donna-petra non ricambiato, descritto come un’ossessione. È proprio lo schema della sestina, per cui a ogni stanza ritornano le stesse parole-rima, a rendere questa fissazione, questa ossessione del poeta per la donna crudele. pietra, rimane insensibile al dolce tempo primaverile. Nonostante il susseguirsi delle stagioni, sia il poeta sia la donna rimangono fissi nelle loro posizioni, ovviamente in maniera opposta: il sopraggiungere dell’inverno non cangia il verde del desiderio amoroso del poeta (cfr. stanza 1), mentre l’arrivo della primavera non commuove in alcun modo la donna (da ricordare che la primavera è per antonomasia il tempo dell’innamoramento). • Questa strofa rovescia i termini della precedente per ciò che riguarda i riferimenti spaziali e temporali, perché qui viene delineato un paesaggio primaverile che, comunque, non cambia affatto la situazione tra il poeta e la donna. Vediamo come nella seconda metà della stanza il poeta svolge un’ampia perifrasi per indicare la primavera, elencando alcuni effetti dell’avvento di questa stagione. In questa stanza, a livello strutturale, si crea una netta contrapposizione tra la prima metà, al cui centro del discorso vi è la donna associata alla gelida neve all’ombra, e la seconda, incentrata sulla descrizione della primavera: la contrapposizione è accentuata anche dalla disposizione delle parole-rima, per cui le prime 3 parole-rima (donna, ombra, petra) rimandano all’inverno e alla durezza del cuore, mentre le ultime 3 (colli, verde, erba) sono di matrice bucolica e si riferiscono infatti al tempo primaverile. STROFA 3. • I termini della rappresentazione sono qui nuovamente mutati: se nella stanza precedente il paesaggio primaverile veniva descritto come estraneo alla donna e per questo contrapposto a lei, anche dal punto di vista della strutturazione della stanza e della disposizione delle parole-rima, ecco che qui invece le due dimensioni si intersecano e la donna viene ritratta come immersa nel locus amoenus. Quando la donna appare al poeta, con i biondi capelli intrecciati a una ghirlanda verde, ogni altra donna sparisce dalla sua mente. Il fascino sensuale della donna (reso non solo attraverso la descrizione dei suoi capelli, ma anche mediante l’immagine dei piccioli colli che, nella poesia erotico-sensuale, allude tradizionalmente al seno della donna) è irresistibile, è impossibile sottrarsi a esso. La donna, con la fermezza di una pietra, tiene il poeta prigioniero: egli non può nulla di fronte allo strapotere della donna in termini di seduzione; ma continua a non essere ricambiato. La potenza figurativa e visionaria di Dante, con pochi tratti, fa emergere, senza fare una descrizione, l’oggetto del suo desiderio e rappresenta in progressione gli effetti suscitati da esso: prima toglie dalla sua mente qualsiasi altra donna, poi lo soggioga, lo rinchiude tra i piccioli colli. È come se la donna fosse rappresentata come volutamente malvagia, come una donna che tiene prigioniero il suo schiavo d’amore compiacendosi quasi del suo stato afflitto. • la calcina petra = la pietra della calce, cioè la calce; una specie di cemento, per l’epoca). Questo paragone sposta momentaneamente i termini della rappresentazione: si passa dalle immagini naturalistiche precedenti, a cui viene associata o contrapposta la donna, al paragone con l’attività umana del murare (vd. anche la strofa successiva) • Amor...ombra: all’ombra dei capelli e della ghirlanda, cioè presumibilmente negli occhi, sede consueta di attenzione della tradizione lirica cortese e stilnovista. • Piccioli colli: non è possibile puntualizzare in termini geografici questo riferimento, che forse allude a Firenze, circondata da colline. Ma, come, detto, tra le righe si legge anche un’allusione erotica al seno della donna (forse un riferimento al Cantico dei Cantici?). STANZA 4 • Il poeta afferma che la bellezza della donna è superiore a quella di una pietra preziosa. Secondo le opinioni del tempo, le pietre preziose, alle quali erano dedicate i lapidari, cioè dei trattati sulle pietre appunto, avevano la capacità di agire sulle facoltà umane: come spiegava anche il Guinizzelli nella canzone Al cor gentil rempaira sempre Amore, a ogni pietra preziosa veniva fatta corrispondere una stella, che però può riversare il proprio benefico influsso sulla pietra solamente dopo che il sole ne abbia allontanato le componenti impure. E, in generale, le comparazioni naturalistiche assai frequenti nella canzone guinizzelliana possono aver fornito qualche spunto a Dante. Ancora, la ferità d’amore causata dalla donna non può essere curata con erbe medicinali (Dante qui fa riferimento a quanto dice Ovidio sia nelle Heroides sia nelle Metamorfosi), e nemmeno la fuga può essere una soluzione efficace (di nuovo un richiamo a Ovidio, che nei Remedia amoris aveva indicato la fuga dall’amata come rimedio estremo per sottrarsi all’amore e superare il turbamento interiore dato dalla presenza di lei): di fatto, il poeta spiega che egli ha provato ad allontanarsi da lei, ma senza successo, poiché non vi è nessun elemento naturale (poggio, fronda verde) o artificiale (muro) che possano proteggerlo dall’incalzante passione amorosa. Rispetto a Ovidio, pare esserci un lessico più intenso, e conseguentemente una rappresentazione della passione amorosa come evento lacerante e che costringe il poeta alla perenne fuga in luoghi impervi che sembra anticipare molti testi di Petrarca. • Il poeta dà coesione al testo perché la conclusione di questa stanza, con l’accenno all’arte umana del murare, rimanda alla conclusione di quella precedente; d’altra parte, il riferimento al muro è inserito tra i due elementi naturali (poggio, fronda verde): anche attraverso questa scelta si rimanda alla stanza precedente, dove si diceva che la donna tiene il poeta serrato intra piccioli colli. Prima gli elementi naturali e artificiali venivano citati per esprimere il concetto della prigionia a cui il poeta è sottoposto dalla donna; qui invece sono citati come luoghi in cui il poeta cerca rifugio dalla donna. Ma il risultato non cambia: l’inesorabilità dello straziante sentimento amoroso e l’impossibilità di sfuggire a esso è sottolineata dalle ripetute negazioni (poggio né muro mai né fronda verde). STANZA 5. • In questa strofa e in quella successiva si infittiscono i richiami virgiliani. La strofa 5 riporta in primo piano l’io lirico (evidente dal pronome Io che apre il primo verso), che rievoca un’esperienza passata, con l’immagine suggestiva della donna vestita di verde. Quando è vestita di verde, la bellezza della donna farebbe innamorare anche una pietra (iperbole). Questa immagine della donna vestita di verde ritorna più volte in Dante, ma con significati diversi: o Come è noto, Beatrice nel Paradiso terrestre è rivestita di tre colori che simboleggiano le virtù teologali: il bianco del velo è quello della Fede, il verde del mantello rappresenta la Speranza, mentre il rosso fiammeggiante della veste richiama non solo la Carità, ma anche il colore «sanguigno» dell’abito con cui Beatrice compare per la prima volta nella Vita nuova. o Qui invece, come ha proposto Michelangelo Picone, vi sarebbe un richiamo alla tradizione romanzesco-arturiana: si narra infatti che Merlino, innamorato della bella Viviana vestita di verde, per giacere con lei le avesse rivelato tutti i suoi segreti, ma la donna, tradendolo, lo aveva poi intrappolato in un sepolcro. • Il poeta afferma poi di desiderare la sua donna quanto nessun’altra lo è mai stata in precedenza, ma l’impressione che ci è data è che l’innamoramento nei confronti di questa donna sia solo una fantasia del poeta, o piuttosto un suo delirio. Ancora una volta ritorna il locus amoenus: il poeta desidera la donna nel bel mezzo della natura rigogliosa, ma soprattutto, in questo caso, in un luogo appartato che conferisce al passo un tono di carattere erotico-sensuale. Inoltre, sembra che il poeta, nel suo fantasticare, desideri catturare la donna, approfittare del fatto che sia sola nella radura: il poeta cioè immagina un ribaltamento dei ruoli rispetto a quanto detto nella stanza 3. • La conclusione della stanza rievoca la conclusione della 1^ ecloga di Virgilio (maioresque cadunt altis de montibus umbrae, v. 83). Il richiamo alla 1^ ecloga alla fine della stanza permette il collegamento con la stanza successiva, che si apre con un adynaton ripreso ancora dalla 1^ ecloga. STANZA 6. • Viene qui espressa (o meglio, ribadita) l’impossibilità che il desiderio del poeta di essere ricambiato dalla donna-pietra possa realizzarsi. Infatti, la stanza si apre con un adynaton, una figura retorica che consiste nel rimarcare l’impossibilità di un evento tramite una perifrasi di carattere iperbolico e paradossale: prima che questa donna si innamori del poeta, i fiumi scorreranno al contrario e risaliranno fino alla sorgente. Il poeta poi afferma che, pur di vedere soltanto il luogo dove le vesti della donna fanno ombra (cioè, i luoghi da lei percorsi, i luoghi che conservano la traccia dei suoi passi), sarebbe disposto a dormire su una pietra per tutta la vita e ad andare in giro pascolando. Emilio Pasquini, tuttavia, dà a questo verso finale un’interpretazione più sensuale: il poeta spera di vedere le vesti della donna, dove esse fanno ombra seguendo l’andamento sinuoso delle curve del corpo. Con la parola-rima ombra si esauriscono le possibilità combinatorie dello schema della retrogradatio cruciata: l’andamento della sestina è quindi chiaramente circolare. • È interessante il fatto che in questa stanza la donna non sia più indicata come una dura pietra che è correlativo oggettivo della sua impenetrabilità e indifferenza, ma come un legno molle e verde. Sembra essere un’immagine opposta e contraddittoria rispetto a quella della pietra, ma di fatto essa rappresenta la stessa condizione di lontananza e di ostilità della donna: non è impossibile penetrare la pietra o farvi crescere qualcosa, il ghiaccio non si scioglie… e allo stesso modo non è possibile infiammare un legno (un ramo, un tronco) molle e verde, dato che se il legno non è secco non prende fuoco. • Prese insieme, le immagini del dormire in pietra e del pascolo rievocano ancora la 1^ ecloga di Virgilio, in cui la capra del pastore Melibeo dorme, per l’appunto, su una
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved