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Dante Alighieri: riassunto approfondito su vita ed opere, Appunti di Letteratura Italiana

Una spiegazione sintetica sulla vita di Dante, seguita da uno studio approfondito di ogni sua opera e del contesto storico in cui si inserisce. Si affronta anche l'argomento sulla questione della lingua del '300 e si pone molta attenzione sul suo più grande capolavoro, la Commedia, analizzandone ogni aspetto.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 20/02/2021

mariastella.fontana
mariastella.fontana 🇮🇹

4.3

(13)

5 documenti

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Scarica Dante Alighieri: riassunto approfondito su vita ed opere e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! DANTE ALIGHIERI PERIODO GIOVANILE: Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà cittadina di parte guelfa. Il suo vero nome è “Durante” e Dante è un diminutivo. Rimasto a cinque anni orfano di madre, la situazione economica della famiglia peggiorò, nonostante ciò egli poté condurre una vita da gentiluomo e procurarsi una raffinata educazione. La sua vocazione poetica fu molto precoce e fu un autodidatta (nella Vita Nuova, infatti, egli afferma di aver imparato da sé “l’arte di dire parole per rima”): da Brunetto Latini Dante, che nel canto XV dell’Inferno lo presenta come suo maestro, apprese la retorica, l’arte del ben parlare e dello scrivere elegante e dalle suo opere “Tresor” e “Tesoretto” una poesia di tipo didascalico e dottrinale, studio la letteratura provenzale, i poeti della scuola siciliana, Guido Guinizzelli e soprattutto Guido Cavalcanti, di cui divenne amico nonostante quest’ultimo fosse dieci anni più anziano di lui; è interessante il modo in cui si sono conosciuti i due giovani fiorentini: Guido Cavalcanti, poeta giovane ma già affermato, nel 1283 ricevette un sonetto da un rimatore ignoto, intitolato “A ciascun’alma presa e gentil core” da cui rimase fortemente colpito tanto da rispondere al sonetto e quando si scoprì che l’autore era il diciottenne Dante, nacque subito una grande amicizia e un sodalizio letterario, in quanto entrambi tentarono di tracciare una nuova via alla poesia, seppur in modo diverso. Dante era destinato su scelta del padre ad avere in sposa una donna appartenente ad una famiglia di grado pari, se non superiore, chiamata Gemma Donati. Tuttavia, egli all’età di nove anni aveva conosciuto nella chiesa di Santa Margherita Beatrice Portinari, che sarebbe poi diventata la figura di riferimento di tutta la sua vita poetica, e l’aveva poi rivista circa dieci anni più tardi. Ciò non impedì però la volontà del padre e nel 1285 Dante sposò Gemma Donati, da cui ebbe tre o quattro figli. Nel 1290 la morte di Beatrice segnò per Dante un periodo di crisi, disordine e smarrimento ma al tempo stesso ebbe lo stimolo ad uscire dal mondo chiuso dello Stilnovismo, dedicandosi agli studi filosofici con preferenza per Boezio e Aristotele, alla lettura di poeti latini, quali Virgilio, che considera il suo “maestro” e il suo “autore”, Ovidio, Lucano e riscoprendo i grandi poeti provenzali, in particolare il caposcuola del trobar clus, della poesia astrusa e raffinata, Arnaut Daniel, ma al tempo stesso allargando i confini alla poesia burlesca e realistica. Oltre ad ampliare i suoi orizzonti culturali , stabilì un rapporto con la realtà civile e politica, intraprendendo la carriera politica. ESPERIENZA POLITICA: nel 1295 Dante intraprese la carriera politica e nel 1300 ricoprì la carica di Priore, la suprema magistratura cittadina. Era un periodo difficile per il comune di Firenze, diviso fra le fazioni dei Guelfi neri, capeggiata da Cerchi, sostenitori della politica pontificia e della sua collaborazione negli affari pubblici, e la fazione dei Guelfi bianchi, capeggiata dai Donati, più moderati e sostenitori dell’autonomia della politica fiorentina dalle direttive papali. Dante si schierò dalla parte dei bianchi, in quanto difensore della libertà di Firenze, minacciata dal papa Bonifacio VIII che, approfittando del fatto che gli imperatori di Germania si disinteressavano dell’Italia, mirava ad imporre il dominio della Chiesa sulla Toscana. Quando il principe Carlo di Valois entrò a Firenze su invito del papa, egli favorì i Neri che nel 1301 si impadronirono della città e scagliarono pesanti accuse contro i maggiori esponenti di parte bianca, fra cui Dante che venne accusato di appropriazione di denaro pubblico e baratteria, cioè di corruzione nell’esercizio delle cariche pubbliche. Egli in quel momento non si trovava a Firenze e sdegnato per l’ingiustizia non si presentò per discolparsi, motivo per cui nel 1302 fu condannato all’esilio e poi al rogo. PERIODO DELL’ESILIO: Inizialmente Dante si associò ad altri Bianchi esiliati nella speranza di ritornare in patria, ma dopo un tentativo di rientrare con la forza fallito, decise di abbandonarli e iniziò in modo definitivo l’esilio. La sua funzione era quella di uomo di corte presso signori nobili, che ospitavano uomini di cultura per ricavarne illustro e prestigio e per servirsene per vari compiti come segretari e ambasciatori. Dante soffrì questa umiliante condizione di sottomissione, ma non poté farne a meno e così si spostò da una città all’altra, anche se il suo pensiero era rivolto sempre a Firenze. Egli giunse alla conclusione che la causa che ha fatto il mondo cattivo, sopraffatto da lotte civili, dal desiderio di denaro, dal quadro di una Chiesa corrotta (“la cagion che il mondo ha fatto reo”), fosse l’assenza di un imperatore che si ponesse come supremo regolatore della vita civile, facendo rispettare le leggi ed obbligando la Chiesa a tornare alla sua missione spirituale. Fu convinto di essere investito da Dio della missione di indicare all’umanità le cause della sua degradazione e di condurla sulla via del riscatto. Da tale vocazione profetica nacque il disegno della Commedia, alla quale lavorò durante tutti gli anni dell’esilio. Nel 1310 questo suo sogno di restaurazione politica stava per concretizzarsi con il nuovo imperatore Enrico VII di Lussemburgo, ma dopo tre anni morì e le illusioni del poeta svanirono. Dante visse gli ultimi anni a Ravenna, riconosciuto come altissimo poeta e morì nel 1321. VITA NUOVA La Vita nuova è un prosimetro diacronico o retrospettivo, cioè formato da metà verso e metà prosa (caratteristica della scuola provenzale): le poesie sono accompagnati da testi in prosa che integrano, arricchiscono la narrazione, offrono spiegazioni delle metafore e commenti ai testi. Il titolo allude ad uno scambio reciproco tra vita e letteratura: esperienza intellettuale e sentimentali sono unite e immerse in un’atmosfera di sogno, alle vicende reali si mescolano sogni e visioni. Si tratta di un’opera giovanile, comprende 42 capitoli, scritta prima dell’esilio nella seconda metà degli anni novanta del Duecento 1293-1295, in cui Dante parla di una storia d’amore che prova verso Beatrice, di cui si innamora a nove anni. Il tema amoroso accomuna tutti i poeti dello Stil novo, anche se ciascun poeta lo affronta in maniera diversa: Guinizzelli ha una concezione positiva dell’amore in quanto risolve la tensione fra amore e ragione, passione fisica e spirituale e affida alla donna un ruolo angelico, così come le intelligenze angeliche sono capaci di mettere in atto la volontà divina, nello stesso modo la donna avvia l’amante verso la perfezione spirituale ; mentre Cavalcanti ha una concezione dell’amore come passione negativa e dolorosa, una battaglia distruttiva interiore, in cui la ragione è destinata a soccombere, trascinata dagli impulsi sensibili. Dante supera i limiti posti dallo Stil novo e dal modello di Guittone d’Arezzo e di Cavalcanti ed intende l’amore come processo di elevazione morale e spirituale. Il libro è suddiviso in tre parti, a cui corrispondono tre stadi dell’amore: -nella prima parte si parla degli effetti che l’amore produce sull’amanteamore cortese, secondo cui l’amante aveva sempre la speranza nell’amore della donna ed il saluto era simbolo di questo appagamento; la negazione del saluto fa capire a Dante che la felicità deve nascere dentro di lui e non da un appagamento esterno; -nella seconda parte si ha la lode della donnaamore fine a se stesso, in quanto Dante non ama più la donna per averne qualcosa in cambio, ma l’appagamento consiste solo nel lodare la donna amata; DE MONARCHIA La politica occupa una posizione centrale nella vita di Dante, tanto da dedicarne un’intera opera. La Monarchia è un trattato filosofico in latino, rivolta ad un pubblico di dotti ed è la sua opera dottrinale più organica ed è il risultato di una lunga riflessione politica in quanto nasce all’inizio del 1300, anno in cui le due istituzione medievale erano giunte al limite del degrado: l’Impero aveva perso il suo dominio sull’Italia e la Chiesa era corrotta per essersi dedicata alla sfera politica e trascurato quella spirituale. L’opera è suddivisa in tre libri: 1) Nel primo libro parla della monarchia universale e dimostra che l’impero è necessario all’umanità per il conseguimento della pace universale e della felicità e per l’esercizio della giustizia. E la giustizia dell’imperatore stessa è garantita proprio dall’universalità del suo potere: estendendo la sua autorità su tutta la terra, egli non ha più nulla di terreno da desiderare. 2) Nel secondo libro interpreta il ruolo storico svolto dall’Impero romano ed afferma che Roma era il contesto in cui era nato Cristo e il popolo romano fu destinato provvidenzialmente da Dio a svolgere la missione storica di reggere l’impero universale. 3) Nel terzo libro parla del rapporto tra Impero e Chiesa, due istituzioni che hanno sempre lottato fra loro; Dante afferma che i due poteri sono autonomi, poiché entrambi derivano da Dio e hanno due scopi diversi: l’impero ha per fine la felicità terrena dell’uomo, mentre la Chiesa il raggiungimento della beatitudine eterna. Dunque, il poeta riconduce la questione politica ad un tema filosofico, la ricerca della felicità, la cui realizzazione avviene attraverso due grandi istituzioni guidate una dal papa e l’altra dall’imperatore, la cui azione è complementare: una non può avvenire senza l’altra. DE VULGARI ELOQUENTIA De vulgari eloquentia è un trattato scritto in latino nel 1304-1305 e, quindi, rivolto ad un pubblico di dotti e letterati, avente lo scopo di fornire una tecnica retorica che fissasse regole per chi voglia scrivere un’opera letteraria in volgare. In quest’opera Dante parte dalle origini della differenziazione linguistica e, in particolare, dall’evento biblico della costruzione della Torre di Babele: fino a quel momento gli uomini parlavano tutti la stessa lingua, ovvero la lingua di Adamo, ma per punizione divina iniziarono a parlare lingue diverse, ciascuna soggetta a mutamenti spazio-temporali. In particolare, in Europa si diffusero tre lingue: germanico, greco e romanzo; a sua volta, dal romanzo, parlato nell’Europa meridionale, si formarono le tre lingue del sì, d’oc e d’oil. Dante distingue tre grandi livelli stilistici a seconda della materia trattata, facendo riferimento al mondo medievale, classico e pagano: - PRIMO STILE  ALTO/TRAGICO/ELEVATO/SUBLIME Dante lo utilizza per argomentazioni importanti e complesse; - SECONDO STILE MEDIO o COMICO utilizzato per le cose meno importanti , lessico più semplice; - TERZO STILE BASSO o ELEGIACO o UMILE (l’elegia era una poesia del mondo greco dal carattere autobiografico), utilizzato per contenuti ancora meno importanti e per testi colloquiali, in cui sono presenti parole volgari. QUESTIONE DELLA LINGUA DEL 1300: Dante affronta la questione sulla dignità del volgare, affermando che esso sia più nobile in quanto naturale, mentre il latino è una grammatica, una lingua artificiale che i dotti hanno escogitato per poter scrivere e comunicare fra loro, in netta contrapposizione con le lingue naturali , parlate dal popolo e dette per questo “volgari”. L’opera doveva comprendere quattro trattati, ma Dante ne compose solo due: - Il primo libro affronta il problema del volgare illustre. Obiettivo del poeta era, infatti, quello di trovare il volgare illustre, ovvero un linguaggio adatto allo stile sublime, che tratti argomenti elevati e importanti, motivo per cui passò in rassegna quattordici volgari italiani e tra essi non individuò il volgare illustre perché li riteneva tutti importanti. Secondo Dante, il volgare illustre doveva essere: cardinale poiché, essendo quello più importante, doveva fare da cardine intorno al quale dovevano ruotare tutti gli altri volgari; aulico cioè relativo alla reggia, in quanto Dante affermava che se l’Italia avesse una reggia, il volgare sarebbe la lingua più importante; curiale cioè linguaggio elegante e dignitoso che si adegua alle corti. - Nel secondo libro Dante definisce gli argomenti per i quali occorre lo stile sublime e quindi il volgare illustre, cioè per parlare di armi (argomenti epico- guerreschi), amore e virtù (filosofia/morale). L’ALLEGORIA E L’INTERPRETAZIONE FIGURALE ALLEGORIA: L’allegoria è una figura retorica mediante la quale si attribuisce a un discorso un significato simbolico e quindi diverso da quello letterale; infatti il termine deriva dal greco e, letteralmente, equivale a “dire altro da ciò che si vuol significare”. Dunque, nell’allegoria il significante può essere stoico, ma il significato è sempre un concetto astratto, mai un evento concreto. Il procedimento dell’allegoria rivestiva particolare importanza per gli uomini del Medio Evo, per i quali la realtà terrena rimandava sempre a un’altra, ultraterrena e provvidenziale. Essi vedevano quindi, in ogni aspetto della realtà naturale, un significato simbolico. In tale età il mondo è infatti concepito in una prospettiva esclusivamente religiosa e trascendente; i segni che Dio vi ha impresso devono essere opportunamente decifrati. Dio si è dunque rivelato agli uomini attraverso la realtà, gli oggetti materiali e le Sacre Scritture; in entrambi i casi il significato letterale delle cose della natura o delle parole sacre si completa con il significato allegorico. Dante, con la Commedia, ha voluto fare qualcosa di simile: in quest’opera, che è tutta una lunga allegoria, i fatti storici e i personaggi hanno infatti insieme valore reale e allegorico. A questo proposito si parla più propriamente di concezione figurale. Nel Convivio Dante distingue due tipi di allegoria: -allegoria dei poeti che si basa sull’invenzione, il piano letterale è fittizio, immaginario, sotto cui si nasconde la verità; -allegoria dei teologi che si basa su cose vere, il piano letterale è un evento reale e storico, che rimanda ad altri significati. L’allegoria utilizzata nel medioevo per la lettura delle Sacre scritture è la seconda. Dante, inoltre, riprese una lunga tradizione medievale che era solita distinguere, oltre quello letterale, altri tre livelli di senso: 1)senso letterale: il primo significato che ci salta davanti gli occhi; 2)senso allegorico: quello che c’è dietro ciò che si vede, il significato nascosto; 3)senso anagogico: allude al piano trascendente di Dio; 4) senso morale: insegnamento dell’opera per la condotta dell’uomo. Nel Convivio Dante afferma che per l’interpretazione delle sue canzoni intende usare l’allegoria dei poeti, infatti la donna amata da lui cantata è frutto della sua immaginazione, sotto cui si nasconde l’amore per la filosofia. Nella Commedia invece utilizzerà l’allegoria dei teologi e interpretazione figurale; INTERPRETAZIONE FIGURALE: su questo procedimento fondamentale è lo studio compiuto da un noto critico tedesco, Erich Auerbach. Auerbach ha osservato come nel Medio Evo i fatti storici narrati nella Sacra Scrittura fossero interpretati come anticipazione di altri fatti storici che avevano un particolare significato nella storia della salvezza e fa l’esempio tratto dalla Sacra Scrittura, in particolare fa riferimento all’esodo degli Ebrei nell’Antico testamento: il senso letterale è la fuga degli Ebrei dall’Egitto, ma il senso allegorico è il riscatto dell’umanità per opera di Cristo. Il fatto che l’esempio sia tratto da un testo sacro e non poetico fa capire come Dante nella Commedia usa l’allegoria dei teologi, in quanto ciò che narra non è finzione, ma verità storica, un evento realmente verificatosi. Infatti, l’allegoria è una figura retorica che consiste nella personificazione di un concetto astratto partendo da una figura concreta. La concezione figurale dell’allegoria è tipica del Medioevo ed è caratteristica della Commedia: Dante, Virgilio, Beatrice e Catone sono prima di tutto persone realmente esistite con una loro identità storica, e sono anche figure allegoriche in quanto Dante dall’essere una figura individuale finisce nell’essere un uomo universale, il cosiddetto everyman (personaggio allegorico), Virgilio rappresenta la Ragione, Beatrice, che in vita fu la giovane donna incontrata dal poeta all’età di nove anni, diviene nel poema figura della Teologia, una forma di conoscenza ed esperienza che va oltre la ragione e Catone rappresenta la Libertà Questa lettura presuppone che la realtà storica possa essere stata soggetta a sua volta ad una interpretazione allegorica; non è un caso che Dante incontra personaggi veri e reali a cui attribuisce significati figurati legati alla realtà concreta e alle vicende da loro vissute. Il mondo e la storia possono essere letti come un grande libro il cui significato deve essere compreso e la Commedia è il tentativo di proporre una codificazione di questo significato. Dunque, secondo Auerbach nell’aldilà dantesco si trasferisce la concreta storicità terrena con le sue passioni e tensioni. Inoltre, l’interpretazione allegorica nasce dalla lettura della Sacra Scrittura e a questa si riferisce. Auerbach, infatti, ha notato che nella Bibbia si narrano vicende realmente accadute che si possono interpretare allegoricamente poiché sono figure che si possono ritrovare nella vita di tutti. Dante infatti ambiva a leggere la Commedia nello stesso modo in cui veniva letta la Sacra scrittura. In altre parole, la Bibbia racconta storie che sono fatti reali , i quali possono essere interpretati allegoricamente e la Commedia si propone come un testo che richiede la stessa interpretazione, che a sua volta viene richiesta per la lettura della Sacra Scrittura. Ciò viene affermato da Dante nella lettera a Cangrande. Inoltre, sempre in questa epistola afferma che la Commedia è un testo polisemico, cioè un testo che ha tanti significati, tra questi distinguiamo il senso letterale o storico e il senso allegorico, che a sua volta può essere morale o anagogico (spirituale). E spesso dall’avvenimento di fatti reali, storici, il lettore può ricavare un evento universale: per esempio, nella epistola XIII a Cangrande Dante fa riferimento ad un passo della Bibbia che racconta la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto, evento storico in cui si distinguono: -senso letterale: i figli di Israele uscirono dall’Egitto al tempo di Mosè; -senso morale: l’anima passa dalle tenebre e dall’infelicità del peccato allo stato di grazia; primi secoli dell’era cristiana si diffusero molti testi che raccontavano apocalissi, cioè rivelazioni ricevute da profeti e visionari; - “Navigazione di San Brandano”, opera in prosa latina che narra una vecchia leggenda di un oltremondo posto su isole lontane al di là del mare. IL TITOLO E L’EPISTOLA A CANGRANDE DELLA SCALA Un testo che spiega il motivo per cui quest’opera è intitolata “Commedia” è una delle epistole di Dante, scritta in latino, a Cangrande della Scala, Epistola XIII, in cui l’autore affronta il problema del titolo e suggerisce alcune strategie di lettura. La paternità dantesca di questa lettera è molto discussa: la maggior parte degli studiosi ritiene sia autentica, tuttavia il dibattito non si è mai concluso e i critici che sostengono l’inautenticità della lettera ritengono che la motivazione del titolo sia troppo banale e si addica solo all’inferno e non al poema nel suo complesso. Dante in questa lettera spiega che ha voluto chiamare il suo poema “Commedia”, in quanto inizia da una situazione negativa, la “selva oscura” è una allegoria, espressione con cui Dante indica la sensazione di crisi esistenziale e spirituale che stava vivendo, e termina con un lieto fine (Paradiso). Inoltre, il termine deriva da “comos” cioè villaggio e “oda” cioè canto, quindi canto villereccio e l’etimologia della stessa parola spiega la scelta stilistica di Dante, ovvero uno livello stilistico basso ed un linguaggio dimesso e umile. Nonostante abbia usato uno stile sia umile ed il volgare, Dante vuole proporre un nuovo tipo di sublime: non più quello della classicità, che presentava solo ciò che fosse nobile ed elevato, ma un sublime ispirato alla visione cristiana della vita, che rappresenti gli aspetti più concreti e bassi della realtà. Dante inaugura così una nuova formula “il poema sacro”, il poema che abbraccia la realtà imperfetta degli uomini e l’eterna verità di Dio, il caos della terra e la perfezione del cielo, facendo di ciò una sintesi. I FONDAMENTI FILOSOFICI Il poema dantesco ha una struttura enciclopedica: Dante attinge materiali, elementi, notizie e concetti da campi del sapere diversi e da varie dottrine filosofiche, anche da lui non condivise del tutto: l’aristotelismo e le sue diverse interpretazione, tra cui quella di Tommaso d’Aquino, detta tomista, il platonismo, la teologia mistica, il sapere simbolico e allegorico della tradizione biblica e altre tendenze. Dante dà molta importanza alle scienze e alla facoltà conoscitiva dell’uomo ma ne riconosce anche i limiti, i limiti della razionalità umana nella comprensione dei misteri divini: testimonianza di ciò è la visione di Dio, nell’Empireo dove giungerà grazie alla guida di San Bernardo. La visione di Dio viene rappresentata nell’ultimo canto del poema ed è suddivisa in tre fasi: prima Dio appare a Dante come il principio unificatore e ordinatore della molteplicità del reale, poi Dante può cogliere la trinità e unità divina come tre cerchi e l’ultima fase dell’incarnazione e umanità di Dio rimane all’uomo incomprensibile razionalmente. Ciò rivela come la ragione e le scienze non siano capaci di comprendere in mondo razionale il mistero dell’incarnazione, che come tale rimane. Il culmine dell’esperienza di Dante nel suo viaggio oltremondano è la conoscenza intuitiva e non razionale, propria dell’esperienza mistica e non della scienza. La forza divina che ha concesso tale esperienza è la stessa che lo condurrà alla scrittura del poema ad essa dedicato. LA FIGURA DELLA GUIDA La figura della guida è centrale nel poema e ha un profondo significato morale e teologico: l’uomo non va da solo a compiere il cammino di salvezza ma c’è qualcuno che lo accompagna , mandato dal cielo. Dante accetta di essere guidato, in quanto riconosce la sua insufficienza, l’impossibilità per l’uomo di realizzare la propria pienezza, la felicità, con le sue sole forze. In questo modo, Dante rinuncia a quell’orgoglio intellettuale per cui l’uomo presume di salvare da sé la propria vita. Al suo cammino ha posto tre diverse guide che corrispondono alle tre luci che illuminano l’uomo nella tradizione teologica cristiana: - Virgilio, il lume naturale della ragione, che soccorre (su richiesta di Beatrice, rimproverata da Lucia) il poeta che rischia la morte nel limbo, da cui cerca di uscire ma viene ostacolato dalle tre bestie feroci (lonza, leone, lupa) che lo hanno respinto verso il basso. A quel punto Virgilio gli propone un altro viaggio, cioè la fuga dalla selva potrà avvenire solo tramite un processo di conoscenza che conduca alla consapevolezza del male e delle sue conseguenze (terrene ed eterne) attraverso la visione dell’inferno; è interessante il fatto che a salvarlo non sia un angelo o un santo, bensì un poeta del mondo antico pagano. - Beatrice, il lume della grazia, che conduce l’uomo oltre se stesso, alla conoscenza delle cose divine; -Bernardo, che guiderà Dante nell’Empireo, dove avverrà la diretta visione di Dio. Le figure scelte da Dante sono coloro che egli ha amato. PLURILINGUISMO DANTESCO L’opera di Dante possiede una grande molteplicità stilistica: nell’Inferno vengo usati termini più usuali e correnti, nel Purgatorio termini più eletti e letterari ed, infine, nel Paradiso latinismi, termini dotti e solenni. Ma in nessuna delle tre cantiche il livello stilistico è unico: -nell’Inferno lo stile è aspro, fatto di termini rari e dialettali, vocaboli plebei e volgari, rime difficili e rare, suoni forti, ma al tempo stesso in alcuni passi lo stile è più elevato come i versi dedicati a Beatrice nel II canto o le terzine del racconto di Francesca nel V canto, dove si riprendono i principi dell’amor cortese; -nel Purgatorio il linguaggio è più elevato e nobile, anche se ci sono passi dove ricompaiono termini plebei come nell’invettiva contro Firenze del canto VI verso 78. Importante è il tripudio mistico dell’apparizione di Beatrice nel canto XXVI in cui si mescolano il latino di Virgilio, quello biblico e quello evangelico; -nel Paradiso vi è un linguaggio sublime, ricco di latinismi, provenzalismi, francesismi e neologismi, ma sono anche presenti termini e plebei nel canto VI in occasione dell’invettiva politica e morale. Con queste mescolanze stilistiche, Dante inaugura il plurilinguismo, filone della letteratura italiana che sarà oggetto di discussione dello studioso Gianfranco Contini e che nei secoli successivi verrà sopraffatto dal modello dominante e regolare fissato dallo stile petrarchesco, il monolinguismo. Inoltre, la Commedia si presenta come una summa dei generi letterari dell’Europa medievale: poema didascalico e allegorico, l’enciclopedia, la profezia apocalittica, la commedia, la satira sarcastica, l’invettiva, la lirica elegiaca. La struttura che sta alla base di questa pluralità di generi è la narrazione: la Commedia è un’opera narrativa, caratterizzata dalla struttura di racconto, il racconto di un viaggio- esperienza in cui confluiscono diversi generi. LA POESIA DELLA POLITICA Il tema politico è pervasivo e tocca quasi ogni canto della Commedia, in cui l’incontro con i personaggi dell’aldilà o i riferimenti ai loro luoghi di origine offrono un esame delle singole situazioni politiche delle città di Italia e d’Europa. Già nel I canto dell’Inferno la materia politica viene trattata, in quanto si annuncia l’arrivo di un personaggio che sconfiggerà l’avarizia, rappresentata dalla lupa, che provoca la rovina della vita pubblica italiana, causando guerre e ingiustizie. Tale personaggio è rappresentato allegoricamente come un veltro, cioè un cane da caccia; del veltro esistono diverse interpretazioni da parte degli studiosi, la più provabile vede nel veltro un imperatore o un rappresentante dell’impero che riporterà pace e giustizia nell’Italia, paese distrutto. Ma in particolare Dante affida ai sesti canti di ciascuna delle tre cantiche del poema il tema politico, che va dal particolare all’universale: -VI CANTO INFERNOFIRENZE; -VI CANTO PURGATORIO ITALIA; -VI CANTO PARADISOIMPERO UNIVERSALE. TEMA POLITICO NELL’INFERNO il tema politico viene affrontato nel VI CANTO, dove si narra lo scontro tra guelfi e nel X CANTO dove avviene scontro tra guelfi e ghibellini; dunque, nella narrazione vi è l’inversione temporale dei fatti storici. Nel VI canto dell’Inferno è di fondamentale importanza l’incontro con il fiorentino Ciacco: testimonianza del fatto che Dante non sceglie un personaggio di spicco, ma un personaggio di cui non si hanno molte notizie se non quello che ci riporta Boccaccio in una novella, in cui afferma che la parola “Ciaccio” significa “porco, maiale” e non a caso si trova nel cerchio dei golosi (terzo cerchio). Da tale incontro deriva una previsione degli avvenimenti politici futuri, in particolare successivi alla primavera del 1300 e per fare ciò Dante si serve della tecnica delle profezie post eventum, cioè assegna alle anime dell’aldilà la conoscenza del futuro e fa loro annunciare fatti di cui l’autore in realtà conosce perfettamente lo svolgimento, in quanto avvenuti prima della stesura dei vari canti del poema (1306). Dante chiede a Ciaccio i motivi che hanno reso l’Italia un paese distrutto e che hanno causato le guerre e il fiorentino risponde (dal verso 64), affermando che alla radice del male della vita pubblica vi è una triade di vizi (superbia, invidia, avarizia) , che rimanda alla triade bestiale del primo canto che impedì Dante l’ascesa al colle della felicità. Questi vizi ostacolano la felicità dell’uomo, che in quanto animale sociale può perseguire solo all’interno di una società ordinata. Nel VI canto del Purgatorio il tema politico si rivolge alla situazione italiana. L’Italia è per Dante l’insieme di tante situazioni politiche particolari, città-Stato, la cui distruzione è affidata alle due istituzioni universali, l’Impero e la Chiesa, le due guide autonome tra loro e stabilite dal cielo per guidare gli uomini rispettivamente alla felicità terrena e celeste. Dante, nonostante riconosca questo grande compito ad esse, le loda solo rispetto al passato o ad un ipotetico futuro, mentre il presente di queste istituzioni viene giudicato negativamente. Il VI canto del Paradiso è dedicato all’istituzione imperiale ed è caratterizzato dal fatto di essere costituito solo dal discorso del personaggio scelto da Dante ovvero l’imperatore Giustiniano, che rievoca le imprese compiute dall’aquila simbolo del potere imperiale, personificato da Carlo Magno. Dopo tale celebrazione, il canto presenta una riflessione sulla situazione attuale e le critiche sono rivolte a coloro che contrastano la sovranità universale dell’impero, ovvero il regno di Francia, i guelfi suoi seguaci e i ghibellini che spesso per scopi personali li appoggiano. La minaccia più radicale è
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