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Dante Alighieri vita e opere, Appunti di Letteratura Italiana

Riassunto vita e opere (Vita Nova, Rime maturità e esilio, Convivio, De vulgari eloquentia, Monarchia, Epistolae) di Dante Alighieri. Libro di testo "Storia e testi della letteratura italiana. II La crisi del mondo comunale (1300-1380)" , Giulio Ferroni.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 03/06/2023

cimirroserena
cimirroserena 🇮🇹

4.3

(7)

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Dante Alighieri vita e opere e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! DANTE ALIGHIERI Nascita: a Firenze tra 14 maggio e 13 giugno 1265; battezzato col nome Durante nella cerimonia pubblica il 26 marzo 1266. Padre: Alighiero degli Alighieri, piccola nobiltà cittadina dei guelfi. 1285: sposa secondo contratto notarile Gemma di Manetto Donati dal quale ha 2 o 3 figli. La prima educazione si basa sulla “grammatica” presso la scuola di un precettore. In adolescenza e gioventù si interessa alla letteratura classica e romanza che circola a Firenze negli anni ’80 e ’90. Molto importanti sono i contatti con alcune figure intellettuali del tempo; Guido Cavalcanti è il «primo amico» di Dante col quale egli si impegna nella poesia amorosa dello “stil novo”. In gioventù Dante incontra Beatrice, che non deve essere considerata come una figura prettamente ideale o simbolica MA va identificata con una donna reale: Bice, figlia di Folco Portinari, moglie di Simone de’ Bardi, morta nel 1290. Nonostante i contatti tra Dante e Beatrice fossero sporadici, la donna rappresenta per il poeta un valore supremo nel quale specchiare le proprie scelte e il desiderio di giustizia. L’amore per Beatrice è raccontato nell’operetta composta tra il 1292 e il 1293, la Vita nova. Nel decennio successivo alla morte di Beatrice Dante compie alcuni viaggi e si allontana dall’amico Cavalcanti. Frequenta le “scuole de li religiosi” e le “disputazioni de li filosofanti” dove approfondisce la sua preparazione teologica e filosofica. Dante partecipa ad alcune imprese militari: nel 1289 combatte come “feditore a cavallo” a Campaldino contro Arezzo e prende parte alla presa di Caprona nella guerra contro Pisa. Dante assume alcune cariche pubbliche: fa parte del Consiglio dei Trentasei del capitano del Popolo (novembre ’95 – aprile ’96), Consiglio dei Cento (maggio – dicembre ’96). Quando si verifica la spaccatura nella classe dirigente guelfa (fazione dei Bianchi con a capo i Cerchi favorevole a una gestione autonoma della vita politica VS fazione dei Neri con a capo i Donati legata al papa da interessi mercantili) Dante si schiera dalla parte dei guelfi Bianchi  Dante difende l’autonomia di Firenze e la sua continuità istituzionale dall’ingerenza del pontefice e degli Angioini. Nella fase cruciale della lotta contro le due fazioni, Dante gioca un ruolo importantissimo: viene eletto tra i sei priori, ossia la suprema magistratura del Comune (bimestre 15 giugno – 15 agosto 1300). 1° novembre 1301  le truppe angioine di Carlo di Valois entrano a Firenze, destituiscono il governo bianco e richiamano i Neri dall’esilio. 27 gennaio 1302  il podestà Cante de’ Gabrielli da Gubbio condanna Dante (e altri fiorentini) all’esclusione da ogni carica e al confino per due anni, come falsario e barattiere. Inizia il lungo esilio durante il quale Dante è costretto a continui spostamenti e a chiedere ospitalità a corti e signori dell’Italia centrale e settentrionale. La cronologia dei suoi spostamenti non è molto precisa; per un primo momento resta in zona, poi si sposta a Nord. Con la salita al trono di Arrigo VII tornano in Dante le speranze nell’instaurazione di un nuovo ordine con la fine delle lotte tra fazioni. I Guelfi si oppongono sempre più nettamente ai progetti di Arrigo VII e Dante si avvicina di più ai Ghibellini. Dopo la sconfitta subita a Montecatini, Firenze conferma i vecchi provvedimenti contro gli esuli non tornati in patria, e il 15 ottobre 1315 viene ribadita la condanna a morte di Dante. Nel 1318 Dante si reca a Ravenna presso il signore Guido Novello da Polenta dove per la prima volta trova un gruppo piuttosto vivace di studiosi e ha veri e propri allievi. Dante Alighieri muore di febbre il 14 settembre 1321. La prima attività poetica Parola chiave della poetica dantesca è “sperimentalismo”  Dante non si limita a seguire un solo modello stilistico MA adotta modi di scrittura diversificati: cerca e sperimenta tecniche differenti. L’ attività poetica di Dante inizia con una serie di rime, legate ancora agli schemi guittoniani e a quelli della lirica amorosa cortese e toscana. La poesia di Guido Cavalcanti è per Dante fonte di suggestione. Nella ballata Dante segue Cavalcanti: si rifà sia al Cavalcanti più “soave” sia a quello più “doloroso” che canta lo sgomento legato alla passione d’amore e l’azione distruttiva esercitata dal valore e dalla bellezza della donna sull’amante.  rime dell’amore doloroso L’esaltazione di Beatrice e la Vita nova. Le rime dedicate a Beatrice sono contemporanee o di poco successive alle rime dell’amore doloroso. Con queste rime si afferma il carattere dello “stil novo” dantesco: legame tra amore e “gentilezza”, donna come miracolo, fonte di ogni salute, grazia e umiltà. La figura femminile è presentata con una nuova concentrazione simbolica  la bellezza dell’amata è l’annuncio di una “salvezza” da tutto ciò che di negativo c’è nell’esistenza. Le rime dedicate a Beatrice sono state raccolte nella Vita nova al quale Dante lavora probabilmente tra il 1292 e il 1293. L’opera comprende 42 capitoli, per lo più assai brevi, ed ha avuto molta diffusione attraverso copie manoscritte; la prima edizione completa a stampa è del 1576. Il titolo Vita nova  rivelazione di un’esperienza assoluta che dà nuovi significati alla vita e la rinnova. La Vita nova si presenta come una sorta di prosìmetro poiché i testi poetici sono accompagnati dalla prosa. Poesia  presenta i fatti principali. Prosa  fa da raccordo tra le liriche, narra vicende autobiografiche, commenta e spiega i versi poetici. Dante ripercorre la propria esperienza e cerca nella scrittura una consolazione per la morte e la perdita di Beatrice.  la storia si sviluppa a partire dalle poesie; i versi fanno parte integrante della narrazione + la Vita nova offre la sintesi più coerente del modello poetico stilnovistico (Dante richiama all’attenzione due classici della letteratura “consolatoria”: De consolatione philosophiae di Boezio e il Laelius de amicitia di Cicerone). Dopo la morte di Beatrice (1290) Dante si immerge nello studio teologico e filosofico e saranno poi le rime dedicate alla donna, scritte precedentemente, a indicargli una possibilità di salvezza, in esse Dante riconosce il proprio destino. - proemio: metafora memoria-libro - inizio della narrazione: il primo incontro fra Dante e Beatrice; hanno nove anni; Beatrice con abito rosso  Dante presenta la vicenda come una predestinazione - tre spiriti (della vita, animale, naturale) si innescano in lui - incontro successivo avviene nove anni dopo: Dante riceve il suo saluto; Beatrice con abito bianco - in un sogno Amore tiene in braccio Beatrice nuda coperta solo da un drappo rosso; la invita a cibarsi del cuore di Dante e dopo questo avvenimento il poeta scrive il primo sonetto (A ciascun’alma presa e gentil core) concepito come un saluto a tutti li fedeli d’Amore - per timore che si identifichi in Beatrice la donna amata, contravvenendo alle regole dell’amore cortese, Dante dissimula la sua passione nei confronti di Beatrice mediante due “donne-schermo” - ciò fa sorgere delle chiacchiere che inducono Beatrice a negare il saluto a Dante - il poeta decide di manifestare apertamente i suoi desideri; la sola presenza di Beatrice è per lui motivo di turbamento; in un’occasione egli viene schernito dalla donna - capitoli XVIII e XIX: nascita di una materia “nuova” e “più nobile” - dopo una conversazione con una donna, che gli fa capire che la sua beatitudine si può trovare solo in quelle parole che lodano la donna sua, Dante si affida alla “loda” - al tema della “loda” si affacciano temi più dolorosi: la morte del padre di Beatrice e il pianto di lei, la malattia del poeta e una visione che gli preannuncia la morte e vede Beatrice chiamata fra gli angeli - la morte di Beatrice giunge tra annunci e premonizioni, non viene mai narrata direttamente da Dante, il quale insiste sul proprio smarrimento, il senso di perdita dovuta all’assenza dell’amata - un anno dopo la morte di Beatrice, Dante trova consolazione in una “gentile donna” ma è forte il conflitto tra il ricordo dell’amata e i sentimenti ispirati alla donna - “forte imaginazione” fa apparire Beatrice con lo stesso aspetto di quando Dante la vide per la prima volta - grazie alla “costanzia della ragione” Dante riconosce la vanità di ogni consolazione e gli risulta chiaro il suo compito: esaltare la figura di Beatrice difronte al mondo e trasformare il proprio pensiero in “spirito peregrino” capace di raggiungere il cielo per contemplare la donna da vicino - l’opera resta in sospeso: nella conclusione Dante accenna a una “mirabile visione” che però non descrive - egli afferma solo il proposito di non scrivere più di Beatrice finché non sarà in grado di parlarne più degnamente La Vita nova troverà il suo coronamento nella Commedia. Beatrice si trasformerà in una figura salvifica che trascende la realtà terrena ma mantiene i caratteri di una creatura mortale. Già nella Vita nova si intrecciano intorno a lei annunci, segni, visioni che alludono alla forza salvatrice del suo apparire e del suo essere. Tutto il sistema filosofico e religioso di Dante gira intorno alla figura di Beatrice; alcuni motivi come Quarto trattato Il quarto trattato si compone di trenta capitoli ed è il commento alla canzone Le dolci rime d’amor chi’i’ solía. Il tema del trattato riguarda la definizione della vera nobiltà, la quale non discende dalla nascita ma è un dono divino del quale però il soggetto deve rendersi degno attraverso l’esercizio delle virtù. Il De vulgari eloquentia: la ricerca del volgare «illustre» Il De vulgari eloquentia (“Sull’eloquenza del volgare”) è un progetto realizzato tra il 1303 e il 1304 e contemporaneo al Convivio. Il titolo, tramandato dai più antichi dantisti, è confermato nel Convivio dove Dante annuncia di avere in mente «uno libello […] di Volgare Eloquenza» (I, 5). Il tema dell’opera è la definizione di una lingua volgare illustre, capace di affiancare la lingua classica del latino con pari diritti espressivi; nonché una rassegna delle forme retoriche nelle quali impiegare la nuova lingua italiana. In quest’opera Dante fa uso di una prosa latina legata ai modelli della trattatistica retorica. L’opera non ha intenti divulgativi ma ha lo scopo di convincere i dotti del valore della lingua volgare. Il progetto originario del De vulgari eloquentia prevedeva almeno quattro libri, con l’analisi di vari livelli stilistici e delle possibili forme di uso letterario del volgare. Dante però interrompe bruscamente quest’opera al capitolo XIV del secondo libro per concentrarsi alla realizzazione della Commedia. Il primo libro Il primo libro (suddiviso in diciannove capitoli) inizia affermando il carattere naturale della lingua volgare in quanto appresa spontaneamente sin dall’infanzia; per questa sua «naturalità» il volgare è dichiarato più nobile del latino, che è una lingua artificiale. A sostegno della sua tesi, Dante traccia una storia delle lingue umane. La lingua del primo uomo, Adamo, gli fu attribuita dalla grazia divina e si conservò, come lingua sacra, presso il popolo ebraico, anche quando, in seguito alla punizione che Dio inflisse agli uomini per aver edificato la torre di Babele, si formò una molteplicità di lingue in continua trasformazione. Nell’Europa meridionale si distinsero tre lingue diverse ma vicine, che permettono di parlare di un idioma “triforme”: la lingua d’oc, la lingua d’oïl e la lingua del sì (parlata dai Latini o Ytali).* Tra la proliferazione di varietà linguistiche sempre più numerose si instaura la stabilità della lingua latina, che sarebbe appunto una lingua artificiale, inventata per consentire una comunicazione universale al di là delle differenziazioni linguistiche locali. *Dante definisce poi le caratteristiche delle lingue d’oc, d’oïl e dei quattordici volgari che distinguono la lingua del sì. Nessuna di queste varietà linguistiche sembra riuscire ad elevarsi al grado di volgare illustre, il quale dovrebbe essere: - illustre (luminoso in sé e capace di dare lustro a chi ne fa uso nei propri scritti) - cardinale (cardine comune di tutti gli altri volgari) - regale, o aulico (tale da poter essere parlato in una reggia italiana se questa esistesse) - curiale (le sue regole andrebbero elaborate dalla «curia» d’Italia, riunita intorno a un sovrano) Il secondo libro Il secondo libro mostra un rapporto più stretto con le artes dictandi e le artes poetriae. In questo libro Dante tratta dell’uso del volgare illustre nella poesia. Solamente i poeti di cultura e di ingegno elevati sono degni di fare uso del volgare illustre, e soltanto nella trattazione di temi nobili (politici, amorosi, morali). La forma più nobile e degna appare quella della canzone (cantio) il cui stile va costruito imitando il rigore tecnico dei poeti «regulares» (che seguono le regole, ossia i latini). Seguendo la distinzione fra stile tragico, comico ed elegiaco, Dante afferma che al volgare illustre della canzone conviene “lo stilo superiore” cioè quello tragico e il metro più splendido, l’endecasillabo. La Monarchia La Monarchia è un trattato in latino suddiviso in tre libri ed è l’unica tra le opere teoriche di Dante ad essere stata completata. L’opera raccoglie in forma organica le idee politiche dell’autore che dopo l’esperienza dell’esilio intende difendere con quest’opera il punto di vista dell’autorità civile più ampia e universale, quella dell’Impero. Con la Monarchia Dante interviene nella polemica politico-giuridica sul rapporto tra Impero e Papato. Dante, da molto tempo ostile al potere temporale della Chiesa, riconosce in essa uno dei motivi principali della degenerazione della vita contemporanea a causa del suo coinvolgimento nella politica mondana. Durante la sua attività politica a Firenze, Dante aveva lottato per difendere l’autonomia civile dl Comune dalle ingerenze di Bonifacio VIII. Il discorso parte da principi generali per poi giungere a verità particolari, dunque, il procedimento logico fondamentale è dato dal sillogismo aristotelico, di cui Dante si serve per dimostrare la fallacia delle tesi sostenute dagli avversari dell’Impero. La filosofia aristotelica è un punto di riferimento costante in tutto il trattato ma oltre ai materiali più filosofici, è essenziale per l’opera il rimando alle Sacre Scritture e alla cultura latina classica (omaggio alla grandezza «civile» di Roma). Della Monarchia sono state formulate due interpretazioni opposte: - chi vi legge un primo esempio di visione «laica» dello Stato - chi continua a vedervi una subordinazione ai valori religiosi La discordanza è dovuta anche all’incertezza riguardo la datazione dell’opera che potrebbe essere stata realizzata successivamente al Convivio come sviluppo dei temi politici contenuti nel quarto trattato e quindi risalire al 1308; potrebbe anche risalire alla discesa in Italia di Arrigo VII e quindi tra il 1311 e il 1313; o ancora potrebbe essere stata realizzata oltre il 1318 quando Dante era impegnato nella stesura del paradiso. Il primo libro si concentra sulla necessità della monarchia universale: il fine della civiltà umana consiste nell’attuazione di tutte le possibilità dell’intelletto umano (dalla contemplazione all’azione), al quale si può tendere solo in condizione di pace universale e con un governo unitario e coerente. Il secondo libro mostra l’origine divina dell’Impero romano. L’unificazione del mondo antico sotto Roma fu voluta da Dio per far sì che la parola di Cristo potesse diffondersi in un regime universale. Sono presenti citazioni di autori latini, soprattutto Virgilio, poeta della giustizia. Il terzo libro affronta il rapporto tra il Papato e l’Impero. Dante confuta l’argomentazione secondo la quale l’autorità imperiale fosse subordinata per volontà divina a quella papale e afferma invece che l’autorità imperiale deriva direttamente da Dio. Dati i fini perseguiti dall’uomo, il compito che queste due autorità hanno: - l’imperatore deve guidarlo alla felicità terrena (attraverso la conoscenza filosofica) - il papa deve condurlo alla felicità della vita eterna (attraverso la fede) Le tredici Epistolae Per iniziativa personale o per conto di alcuni signori che lo ospitarono negli anni dell’esilio, Dante scrisse varie lettere in latino, le Epistolae, di cui soltanto tredici sono giunte fino a noi. Sono per lo più lettere «politiche» che rifiutano cautele e ipocrisie. Queste lettere ci mostrano la grande perizia di Dante nell’ars dictandi, di artifici retorici e delle varie forme del cursus. Frequenti sono le citazioni della Bibbia e degli autori classici e di forme del latino biblico. Il linguaggio utilizzato sembra portare i destinatari a un drammatico confronto con la fine. Vanno ricordate le tre lettere scritte al tempo della discesa di Arrigo VII, la V, la VI e la VII: - l’Epistola V, indirizzata a principi e popoli d’Italia, invita a riconoscere l’entità suprema dell’Impero - l’Epistola VI (31.03.1311) è rivolta ai Fiorentini - l’Epistola VII (17.04.1311) chiama in causa Arrigo VII e lo esorta a non perdere tempo prezioso Al 1314 risale l’Epistola XI indirizzata ai cardinali riuniti in conclave a Carpentras per eleggere il successore di papa Clemente V, il quale nel 1309 spostò la sede pontificia ad Avignone. In questa lettera Dante esorta i cardinali ad eleggere un papa italiano che liberi la Chiesa dalla corruzione e riporti il Papato nella legittima sede romana. Di particolare rilievo è l’Epistola XIII, scritta per accompagnare l’invio e la dedica del Paradiso a Cangrande della Scala (probabilmente Dante inviò soltanto il canto I). La datazione è incerta (tra il 1316 e 1320) e ci sono dei dubbi sull’autenticità di parte del testo. Dante affronta questioni relative alla materia, allo stile e alla interpretazione del poema. Egli distingue un senso letterale e uno allegorico. Il titolo dell’opera viene motivato attraverso una sottile distinzione retorica tra tragedia e commedia: la tragedia presenta all’inizio una situazione piacevole e tranquilla ma alla fine questa situazione viene ribaltata con una conclusione tremenda; al contrario la commedia presenta all’inizio una situazione difficile con esito però positivo.  Il poema si intitola Commedia perché la sua materia “all’inizio è paurosa e tremenda, perché tratta dell’Inferno, alla fine felice perché tratta del Paradiso.  Lo stile è “dimesso e umile, perché è la parlata volgare in cui comunicano anche le donnette”.  Il suo fine è quello di salvare gli esseri umani dallo stato di miseria e condurli alla felicità”.
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