Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

De nostri temporis studiorium rationae, Sintesi del corso di Storia Della Pedagogia

Riassunto libro De nostri temporis rationae

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 19/07/2020

PrigorenuGeorgiana
PrigorenuGeorgiana 🇮🇹

3.7

(11)

34 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica De nostri temporis studiorium rationae e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! DE NOSTRI TEMPORIS STUDIORUM RATIONE Introduzione La prolusione De nostri temporis universi ratione fu pronunciata da VICO il 18 ottobre 1708, in occasione dell’apertura dell’anno accademico, il quale aveva tenuto anche i sei precedenti discorsi inaugurali a partire dal 1699. La propulsione fu pubblicata presso l’editore Felice Mosca di Napoli nel 1709, mentre gli altri discorsi furono date alle stampe solo nel 1869. Il De ratione ha origine istituzionale: quale sia il metodo da seguire negli studi. Vico si rivolge ai giovani dell’Ateneo napoletano spiegando di voler discutere dei vantaggi e degli inconvenienti sia del metodo di studio dei moderni che di quello degli antichi, proponendosi di codificare un metodo capace di comprendere i vantaggi di entrambi, correggendo gli inconvenienti sia dell’uno che dell’altro. Vico sviluppa il tema attraverso una polemica anticartesiana: segnala i limiti e le debolezze del moderno metodo della critica adottato negli insegnamenti del suo tempo, basato sulla filosofia di Cartesio. Il De ratione è insieme al De antiquissima Italorum sapientia, una delle prime grandi opere filosofiche di Vico. Nel De ratione rivendica la legittimità del suo procedere in virtù del suo ruolo accademico e la legittimità della propria erudizione, più estesa che puntuale, volta a cogliere i nessi che legano tra loro le diverse discipline e non allo specialismo. Nel primo capitolo Vico sostiene che ogni metodo di studi è composto di strumenti, sussidi e fine e che al fine bisogna guardare sia dal principio sia per l’intero metodo degli studi. Osserva come il fine negli studi del suo tempo sia la verità, che si cerca attraverso il metodo cartesiano. Sull’efficacia di tale metodo Vico nutre molti dubbi perché considera illegittima la pretesa di conseguire il fine che gli studi del suo tempo si prefiggono e ne attacca la sicurezza sul terreno in cui pareva dare i suoi frutti migliori: la scienza della natura. La regola secondo la quale ogni verosimile deve essere tralasciato, assimilato al falso, induce i moderni fisici a ritenere che la natura agisca secondo il moderno procedimento geometrico. Ma tali cose della fisica che si presentano come vere, non sono se non verosimili: dalla geometria ottengo la verità, ma non la dimostrazione. Vico conclude enunciando il principio del verum-factum secondo il quale gli uomini sono in grado di dimostrare solo ciò che fanno. Gli uomini secondo Vico non sono in grado di attingere all’”in sé” della natura, devono limitarsi al verosimile. Il metodo cartesiano non può che essere fallace: promette di conoscere ciò che non è dato conoscere, la verità. Il più grave inconveniente del moderno metodo consiste nel privilegiare lo studio delle scienze naturali a scapito della morale, in particolare per quella parte che tratta dell’indole dell’animo umano e delle sue passioni in modo appropriato alla vita civile ed all’eloquenza. Concentrarsi sullo studio della natura ha l’effetto di allontanare dallo studio della morale. Il moderno metodo di studi non solo si propone un obiettivo inattingibile, ma distoglie dal fine che gli uomini possono conseguire e debbono porsi: coltivare la prudenza della vita civile. Se si vuole agire con successo è necessario condursi secondo il verosimile; muoversi secondo il preteso “vero” conduce a fallimenti e frustrazioni. Gli uomini non sono guidati dal discernimento, ma dal desiderio o dal caso. Pretendere di giudicare le azioni umane sulla base di un procedimento geometrico è un errore metodologico. Vico costruisce il proprio metodo attento ad indirizzare gli studi verso il terreno nel qualche possano esprimere efficacia: la dottrina dello Stato e la prudenza della vita civile. In ciò l’eloquenza è utile avendo come suo riferimento il senso comune, chi la conosce e la coltiva costruisce i propri discorsi in modo da corrispondere all’orizzonte convinzioni vere, ma solo del fatto che esse appaiono tali. Il moderno metodo di studi inaridisce alla sorgente a fonte di ogni prudenza civile. La prudenza assume le sue decisioni sulla base di circostanze particolari, che sono infinite.; deve muoversi in situazioni sempre nuove e diverse, assumendo l’impossibilità di avere la visione esatta di ogni singolo particolare e della relazione tra ciascun particolare e l’insieme. Per poter decidere come condursi, mirando al medesimo fine in situazioni difformi, si deve seguire un metodo di studi diverso a quello della fisica moderna. La prudenza si deve servire dell’eloquenza non solo per convincere il volgo, ma perché è proprio l’eloquenza che offre uno stile di pensiero. Diviene dunque “arte di prudenza”, prudenza della quale unica arte è la filosofia. Vico si chiede cosa sia l’arte di prudenza nell’ undicesimo capitolo del De ratione, dedicato alla giurisprudenza, in cui compie una lunga disamina della storia del diritto romano. Attraverso la trattazione dello sviluppo del diritto romani, Vico porta nuovi argomenti alla sua orazione, il metodo degli studi e il fine di essi. Chi governa deve saper guardare agli assetti istituzionali del proprio stato, curarsi della miopia del volgo che non vede se non le cose che ha poste davanti ai piedi e comprende solo le cose particolari, quindi procedere ordinando ogni cosa secondo la natura del regno dell’equità civile. L’equità civile ricorda Vico è detta dagli Italiani “giusta ragion di Stato”. La giustizia per Vico è cura del vantaggio comune. Assicurarla spetta ai giudici, i quali devono unire l’unità pubblica alle cose private. È per questo motivo che i giudici devono eccellere nell’eloquenza. Senza eloquenza non è possibile prudenza civile, senza prudenza non è possibile equità civile, senza equità non è dato alcuno sviluppo ordinato della vita istituzionale. Il nuovo metodo che Vico oppone a quello della moderna critica è definito a partire dalle reali possibilità conoscitive delle quali gli uomini dispongono. La verità che il metodo moderno mira a conseguire può essere raggiunta solo in geometria e non nella conoscenza della natura. Il miglior metodo di studi sarà quello che permetterà agli uomini di fare nel modo migliore ciò che possono fare, consapevoli dei motivi per cui agiscono e degli obiettivi da raggiungere. Piuttosto che dedicarsi alla ricerca di una verità della natura inattingibile sarà preferibile ricercare la giustizia. Il cambiamento del fine giustifica il cambiamento del metodo. Nel XIV ed ultimo capitolo del De ratione, dedicato alle Università degli studi, Vico rammarica che i giovani apprendano le diverse discipline secondo impostazioni metodologiche tra loro contrastanti. Propone un solo sistema di tutte le discipline, auspica cioè che l’Università svolga la propria funzione articolando le sue facoltà in corrispondenza di un preciso metodo, pensato in funzione degli obiettivi da raggiungere: la prudenza civile ed il miglior funzionamento della vita istituzionale. I Qui Vico ci parla di Francesco Bacone, dicendo che nel suo libretto Sugli avanzamenti delle scienze indica le nuove scienze e arti oltre a quelle che già possediamo, e fino a che punto sia necessario sviluppare quelle che già possediamo affinché l'umana sapienza sia condotta alla completa perfezione. Ma mentre svela un nuovo mondo delle scienze, si dimostra degno più del nuovo mondo che del nostro. Afferma però che le ambizioni di Bacone superano le capacità umane,che ha mostrato ciò che ci manca per arrivare alla sapienza e non ciò che può essere aggiunto. Secondo Vico ciò è accaduto perché chi possiede il massimo desidera l’infinito. Perciò Bacone si è comportato nel campo degli studi come i potenti degli imperi nelle questioni pubbliche. Mentre tutto ciò che all’uomo è dato conoscere è finito e imperfetto. Perché se confrontassimo i metodi di studio degli antichi con quelli attuali si potrebbe trovare un metodo di studi che possa accordare entrambi. Proprio su questa base Vico prende i vantaggi e gli svantaggi di entrambi i metodi di studio cercando di crearne uno nuovo. Sottolineando che ciò che vuole fare è semplicemente elencare su cosa il metodo di studi degli antichi vince, in cosa viene vinto e come possa non essere vinto. Proprio per questo le nuove scienze ed arti devono essere distinte dai nuovi strumenti e sussidi del sapere in quanto sono materia di studi e gli strumenti e i sussidi la via per il metodo. Il metodo di studi sembra essere compreso in tre cose: strumenti, sussidi e il fine. Gli strumenti comprendono l’ordine: chi istruito si accinge ad imparare un’arte o scienza e lo fa secondo una regola e in modo ordinato. Gli strumenti precedono; i sussidi accompagnano e il fine, anche se viene dopo, gli studiosi devono tenerne conto fin dall’inizio. I nuovi strumenti delle scienze sono: le scienze, le arti e opere d’arte o della natura. Gli strumenti comuni di tutte le scienze e di tutte le arti è la critica, della geometria l’analisi, della fisica la geometria e il suo procedimento e forse la meccanica, strumento della medicina è la chimica, dell’anatomia il microscopio, dell’astronomia il telescopio, della geografia la bussola. I sussidi anticamente erano inerenti alla prudenza, la qualità di ottimi esempi, i caratteri tipografici e la fondazione delle università. ma oggi si guarda ad un solo fine di tutti gli studi: la verità. Il nostro metodo apparirà senza alcun dubbio essere più corretto e migliore dell'antico. II delimitate tutte da una sola forma. Per questo è più sicuro seguire i particolari della malattia come gli antichi. VII Qui Vico ci spiega come il più grande svantaggio del nostro metodo di studi sia il non dedicarsi alla morale. Quella morale che parla dei desideri e delle passioni dell’uomo in modo appropriato alla vita civile e all’eloquenza, delle virtù e dei vizi, dei comportamenti rispetto l’età, al sesso, alla condizione, alla fortuna, alla stirpe, allo stato e dell’arte, della dignità, delle buone e cattive arti, dei caratteri dei comportamenti rispetto all'età, al sesso, alla condizione, allo Stato di ciascuno. Non indaghiamo la natura dell'uomo perché è resa incerta dall’arbitrio. Ma così gli adolescenti sono svantaggiati perché non agiscono nella vita civile in modo prudente, né sanno dare colore ad un'orazione con i costumi né infiammarla con le passioni. Chi usa la prudenza nella vita civile si cura del vero, raggiungono difficilmente i mezzi e i fini delle vicende umane e frustati dalle loro decisioni o ingannati da quelle degli altri, si tirano indietro. Le azioni degli uomini non possono quindi essere giudicate attraverso la regola della mente perché è rigida, ma bisogna valutarle con la regola flessibile. Ed è qui che la scienza è differente dalla prudenza. La scienza ricerca un'unica causa per vari effetti della natura; la prudenza ricerca molte cause per un solo effetto della natura. La scienza guarda alle somme verità, la sapienza alle infime: così distinguiamo quattro caratteri umani. Abbiamo lo stolto che nella vita pratica non presta attenzione né alle somme verità né a quelle infime; l’illetterato scaltro guarda solo alle infime; il dotto imprevidente regola le infime sulla base delle somme e il sapiente regola le somme sulla base delle infime. Ma i veri sono eterni e i particolari falsi. Gli eterni esistono al di sopra della natura. Quindi il bene coincide con il vero e ha lo stesso valore e le stesse virtù. Per cui lo stolto pagherà sempre; l’illetterato gioverà magari di quelle astuzie oggi ma domani gli nuoceranno; il dotto prenderà una strada che lo porterà verso le tortuosità della vita e il sapiente allungherà il cammino ma prenderà decisioni che gli saranno utili nel tempo. Passando a parlare dei filosofi ci dice come un tempo erano considerati politici perché si occupavano anche delle faccende pubbliche, successivamente insegnavano sia la dottrina razionale che naturale e la morale ed infine oggi ci insegna le fonti di ogni orazione verisimile. Poi ci parla dell’eloquenza dicendo che ha a che fare non con la mente ma con l’animo, infatti è la facoltà che persuade al dovere. Ma è anche persuasivo chi induce lo stato d’animo voluto nell’ascoltatore. Così fanno i sapienti che si inducono tale stato d'animo con la volontà. Utilizzano delle strategie in modo tale che il volgo ascolti e in questo modo li persuade. Al compito di persuasione ci si arriva tramite la filosofia che fa emergere nei sapienti le virtù, l’eloquenza che le accende nel volgo. Ma oggi l’eloquenza non regna più. Successivamente ci parla delle lingue e distingue quella francese da quella italiana. Quella francese è piena di sostantivi e per questo non infiamma i giudizi ne amplifica o accresce nulla, il loro verso più amplio è l’alessandrino che comunque li delimita e inoltre i loro due accenti fanno risuonare questa lingua in modo tenue e sottile, non adatta a grandi ritmi e a periodo ampli. Anche se adatta al genere didascalico. La lingua italiana suscita immagini, proprio per questo abbiamo superato le altre nazioni nella pittura, nella scultura, nell’architettura, nella musica. la nostra lingua a con sé similitudini e riesce a portare gli ascoltatori anche in luoghi lontani. Poi dice che chi non si dedica alla fisica, alla meccanica ma vuole dedicarsi alla vita politica, al tribunale, al senato o all’oratoria sacra, non deve indugiare e deve imparare la geometria attraverso figure con metodo ingegnoso; coltivi la topica e deve discutere della natura, dell’uomo, dello stato, al fine di comprendere ciò che di più probabile e verosimile sia nelle cose. Così che nel complesso i nostri non siano più istruiti degli antichi e gli antichi più eloquenti di noi; ma così uguagliamo nella sapienza e nell'eloquenza gli antichi, come li superiamo nella scienza. VIII Vico ci parla della poesia. Afferma prima di tutto che la poesia è un dono di Dio, ma si può perfezionare con gli studi di lettere. E' necessario in un certo senso che coltivino il fiore di tutti gli studi. Tornando alla critica ricordiamo che ha affermato che nuoce alla poesia se insegnata agli adolescenti in quanto offusca la fantasia e cancella la memoria, e i migliori poeti sono fantasiosi e le loro muse sono la memoria e le sue figlie. Ma se gli adolescenti prima rafforzano la poesia e poi fossero istruiti sulla critica, secondo Vico, invece che danneggiare, gioverebbe ad essa: perché il fine dei poeti, il vero in idea o per generale, sia utile alla poesia. Secondo Vico i poeti seguono il vero: insegnano i doveri, descrivono i costumi, stimolano la virtù e distolgono dai vizi come fanno i filosofi. Ma i filosofi poiché hanno a che fare con i colti, lo fanno per genere, mentre i poeti poiché hanno a che fare con il volgo, persuadono attraverso le azioni e le parole dei personaggi nobili che inventano. Quindi i poeti si allontanato dalle forme quotidiane del vero ma al fine di arrivare a un vero più eminente, e abbandonano la natura incerta per seguire la natura costante, e in tal modo seguono il falso, per essere in qualche modo più veri. Questo modo lo usavano gli Stoici il cui esponente è Omero (Aristotele: artefice di inganni poetici). Per cui per gli stessi motivi per cui il fine degli studi danneggia la prudenza, giova alla poetica. La fisica moderna è conveniente alla poesia, in quanto, i poeti spiegano i fatti naturali delle cose attraverso essa. Come fanno anche con le parti del tempo che sono descritte da frasi usate in astronomia. Quindi poiché la fisica modrna descrive le immagini più sensibili delle cause soprattutto a partire dalla meccanica, della quale si serve come strumento, essa potrebbe provvedere i poeti di una classe di nuove espressioni. IX Vico ci parla della teologia cristiana. Inizia col dire che i Pagani erano in errore perché la natura dei loro dei era incerta. A coloro che guidavano gli stati, però, andava bene che i filosofi facessero ragionamenti opposti alle cose divine e punivano quelli che negavano la loro esistenza. Inoltre, permettevano ai poeti di immaginare cose nuove della natura degli dei e della loro potenza: ritenevano che ciò fosse pertinente alla relogione, perché fosse indotta negli animi del volgo una reputazione maggiore in merito al potere dei loro dèi. I sacrifici, le divinazioni e gli auspici venivano celebrati con cerimonie divine solenni e sacre. Per questo repressero e punirono le violazioni delle cerimonie, il disprezzo per le religioni degli auspici e le nuove arti divinatorie. Perseguitavano i cristiani non perché non credevano ai loro dèi, ma perché non li adoravano. La religione cristiana, al contrario, insegna dogmi certi attorno alla natura di dio e riguardo i misteri divini: le cerimonie e i riti sono certi. Nasce per ispirazione divina una nuova scienza che rivela le divine fonti di quel vero, i libri sacri e la tradizione, ossia la teologia dogmatica. Successivamente nasce la teologia morale. Il cristianesimo si fece così tanta strada che i greci e i romani iniziarono a credere in Dio e accettarono il nome di Cristiani. Ma portarono ancora le testimonianze dei loro vecchi dèi, solo per far capire quale fosse il modello umano e quale divino. X Da questo capitolo in poi, Vico parla dei sussidi del metodo di studi. Inizia col dire che possedendo molte precettistiche che appartengono alla prudenza è prevedibile che ci siano molti svantaggi per il metodo di studio. Infatti per Vico, coloro che vogliono ricondurre a precetti teorici tutto ciò che riguarda la prudenza lo fanno in vano: in quanto la prudenza assume le decisioni in base a circostanze particolari che sono infinite. Proprio per questo ogni tentativo di comprensione di esse non è sufficiente. Le arti che si fondano sula prudenza come l’oratoria, la poetica, la storica per avere un’utilità devono essere coltivate dalla filosofia. Infatti, in antichità fiorirono i massimi scrittori. Chiede poi di esaminare la ragione delle singole cose perché in questo modo capiremo che lui non ha detto il falso. Chi ha separato dalla filosofia le loro arti e discipline sono come tiranni che quando si impadroniscono di una città nemica la distruggono e disperdono i cittadini nei villaggi lontani. XI Vico ci parla della giurisprudenza. Parlandoci della Giurisprudenza ci fa esempi di come veniva vista la giurisprudenza dai Greci fino ai giorni nostri. In Grecia erano i filosofi che insegnavano la filosofia del diritto, ovvero la dottrina dello stato, della giustizia e delle leggi; quelli che venivano chiamti pragmatici fornivano leggi agli avvocati e gli avvocati nelle cause ricavavano gli argomenti di equità. Perciò presso i Greci c'erano innumerevoli libri di filofoia, moltissimi di orazioni, ma nessuno di diritto. Invece i filosofi dei Romani erano gli stessi giureconperizia delle leggi, ossia quelli che conservarono la mera sapienza dei tempi eroici. Ragion per cui i Romani indicavano la giurisprudenza con la medesima definizione con la quale i Greci indicavano la sapienza: <<conoscenza delle cose umane e divine>>. Per fare un riassunto su come la giurisprudenza si è evoluta a Roma possiamo dire che prima era rigida ed era in mano ai patrizi che la utilizzavano contro la plebe; successivamente fu in mano agli imperatori romani che la utilizzavano contro i patrizi, proprio per questo nella repubblica libera non si voleva render pubblica la giurisprudenza; e successivamente gli imperatori non vollero che si tenne nascosta, infatti il diritto pubblico fu reso nascosto e il privato noto a tutti, quando in precedenza era il contrario. Questo cambiò il fatto che prima le leggi erano concepite con riferimento a ciò che accadeva di più, ora con riferimento a fatti più specifici e che un tempo c’erano poche leggi e molti privilegi, ora tante leggi e specifiche e tanti privilegi. Prima era scienza del giusto ora arte dell’equo. Il vantaggio è che la giurisprudenza non essendo più divisa ma essendo unita in un'unica dottrina fa sì che il nostro metodo di studi sia più vantaggioso che di quello dei Greci. Ma questo vantaggio ha anche uno svantaggio ovvero che la giurisprudenza è resa si più indefinita dall’eloquenza ma anche più debole dalla filosofia. XII Vico ci parla dei modelli degli artisti. L'abbondanza di ottimi modelli sembra essere l'aiuto principale per gli studi che si basano sull'imitazione. Afferma che abbiamo numerosi modelli antichi che sono l’aiuto per gli studi che si basano sull’imitazione. I modelli antichi sono modelli ottimi che prima di loro non ebbero alcun modello a cui ispirarsi se non la natura. Quindi chi imita i modelli antichi degli artisti non può fare di meglio perché quanto c’era di buono in natura è già stato preso dai primi. Afferma anche che non si possono eguagliare questi modelli perché non si ha né la fantasia sufficiente, né l’abbondanza di spirito, né la struttura di nervi. Quindi è inevitabile che non potendo né superarli né eguagliarli si faccia di peggio. Dice che ovviamente per creare qualcosa di così bello si dovrebbero distruggere gli ottimi modelli delle arti, in modo tale da avere ottimi autori. Ma tutto ciò sarebbe barbaro. Poi aggiunge che ovviamente anche nell’età moderna ci sono artisti molto bravi. Per questo invita questi artisti di allontanare da loro i vecchi modelli e concentrarsi ad imitare la natura. Chi invece non ha talento può usarli. XIII Vico ci parla dei caratteri tipografici. I caratteri tipografici sono di grande aiuto nel nostro metodo di studi in quanto grazie ad essi abbiamo evitato gli svantaggi degli antichi: ovvero una grande spesa e lunghi viaggi per ricercare manoscritti che molte volte non potevi portarti con te o non potevi avere una copia. Ora invece sono in vendita in grande quantità e ad un buon prezzo. Ma forse a causa di questo siamo meno operosi e imitiamo. Quando i libri venivano scritti a mano i copisti ricopiavano solo i grandi autori e ad un prezzo esorbitante tanto che gli studiosi erano spinti a trascriverli. In questo modo si fa un sacco di esercizio in quanto scriviamo in modo ordinato, con calma e senza interruzioni. Ed infatti in tal modo è come se ci trasformassimo nell’autore stesso. Per questo secondo Vico i cattivi scrittori mancano di trascrizione. Grazie alla scrittura ci sono giunti i principali e i migliori autori e libri di ogni genere che però prima o poi sono dimenticati, disprezzati, trascurati o abbandonati. Così Vico ci spiega che ogni epoca ha il proprio autore e che esso essendo nuovo ha dei difetti. Gli scrittori inoltre rispettano lo stile di quell’epoca. Per cui secondo lui dobbiamo regolare la nostra lettura. Bisogna leggere prima gli antichi e poi essi ci aiuteranno a scegliere i moderni. XIV Vico ci parla delle Università degli studi. Ci dice che in antichità le università erano per i corpi, le terme ed il campo e non per istruire e coltivare gli animi. Questo perché a partire dai greci, il filosofo stesso corrispondeva a un’università perfettamente compiuta. I greci si avvalsero della loro lingua per esprimere la vita civile e le scienze e le arti. Quanto alle leggi, non le prendevano dagli altri, anzi le davano in dono agli altri. Per quanto riguarda la filosofia le discussioni erano sugli argomenti, in quanto ogni filosofo dominava le cose divine e umane e da loro si apprendeva ciò che era necessario conoscere. I Romani utilizzavano solo la loro lingua per le etimologie che a
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved