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De nostri temporis studiorum ratione - Giambattista Vico, Appunti di Storia Della Pedagogia

riassunto libro de nostri temporis studiorum ratione di Giambattista Vico per l'esame di pedagogia in età moderna

Tipologia: Appunti

2019/2020
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Scarica De nostri temporis studiorum ratione - Giambattista Vico e più Appunti in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! GIAMBATTISTA VICO – DE NOSTRI TEMPORIS STUDIORUM RATIONE INTRODUZIONE Il De ratione è insieme al de antiquissima italorum sapientia, una delle prime grandi opere filosofiche di Giambattista Vico. La lezione introduttiva di quest’opera fu letta da Vico il 18 ottobre del 1708, in occasione dell’apertura dell’anno accademico e pubblicata l’anno successivo. Il de ratione ha dunque un’origine istituzionale: la struttura interna dell’opera, la costruzione dei periodi, il linguaggio e l’argomento riflettono la natura accademica del testo. Nel presentare il tema della dissertazione, Vico di rivolge ai giovani dell’ateneo napoletano spiegando di voler discutere dei vantaggi e degli inconvenienti sia del metodo di studio dei moderni che di quello degli antichi, proponendosi di codificare un metodo capace di comprende i vantaggi di entrambi, eliminando o correggendo gli inconvenienti di dell’uno che dell’altro. Sfruttando l’occasione fornitagli dalle prolusioni universitarie, Vico affronta il problema della ratio (vale a dire quale sia il metodo da seguire negli studi), ma soprattutto del cammino che ci conduce al vero. L’opera di articola in quindici capitoli. Nel primo capitolo, Vico sostiene che ogni metodo di studi è composto da tre cose: gli strumenti, i sussidi e il fine. Gli strumenti precedono gli altri elementi e comprendo l’ordine: infatti chi è impegnato ad imparare una qualche arte o scienza lo fa secondo una regola ed in modo ordinato. I sussidi accompagnano, e sebbene il fine venga dopo, gli studiosi devono tener conto del fine sin dall’inizio. Vico sviluppa il tema a partire da una critica nei confronti di Cartesio. Vico osserva come il fine ricercato negli studi del suo tempo sia la verità, e il metodo utilizzato per conseguirla sia quello cartesiano, considerato il più sicuro ed efficace. Tuttavia vico nutre molti dubbi sull’efficacia di questo metodo in quanto considera illegittimo il fine che si intende raggiungere, la verità appunto, ricercata nella scienza della natura. Vico critica la fisica cartesiana attraverso il principio del verum-factum, secondo il quale agli uomini è possibile conoscere e dimostrare solo ciò che essi stessi fanno. La ragione umana conosce il vero sono nella misura in cui lo produce. Fare la fisica è proprio di Dio, non degli uomini. Gli uomini non sono in grado di attingere all’in sé della natura in quanto tutto ciò che all’uomo è dato conoscere è al pari dell’uomo stesso, cioè finito e imperfetto. Il vero umano, proprio perché non è in grado di elevarsi all’infinità, ha una sola via per individuare il criterio del vero, ovvero quella di identificarsi con l’effettuazione di esso: l’uomo può conoscere solo ciò che può produrre con il fare, e che può riprodurre con adeguati esperimenti. Per quanto riguarda la conoscenza della natura, gli uomini devono limitarsi al verosimile: la natura per Vico non coincide con l’oggetto scientifico, il quale può solo avvicinarsi al verosimile, mai al vero, poiché il vero è noto ed comprensibile silo all’autore di esso, Dio. Il metodo cartesiano quindi è fallace perché promette di conoscere ciò che non è dato conoscere: la verità in sé della natura, con la medesima sicurezza con cui la padroneggia Dio. Il nuovo metodo che Vico oppone al moderno è definiti a partire dalle reali possibilità conoscitive degli uomini e quindi a partire dal presupposto secondo cui gli uomini sono in grado di conoscere la limitatezza a cui è sottoposto il campo di azione del vero. Il verosimile è un concetto di verità molto legato all’idea di senso comune e connesso al conoscere umano. La verità che il metodo moderno mira a conseguire, può essere raggiunta solo in geometria e non nella conoscenza della natura in quanto la geometria è artificiale ovvero fatta dagli uomini e in essa gli uomini possono distinguere ciò che vero da ciò che non lo è; questo non è possibile nelle scienze naturali. Il miglior metodo di studi è quello che permetterà agli uomini di fare nel migliore dei modi ciò che possono fare, servendosi della fantasia, dell’immaginazione, del senso comune, producendo tecnologia, opere d’arte, poesia e leggi, consapevoli degli obiettivi da raggiungere. Quindi sarà preferibile ricercare la giustizia. Per far ciò è necessario che le università offrano un sistema organico degli insegnamenti che permetta ai giovani di imparare a coltivare la giustizia nel migliore dei modi, servendosi dell’eloquenza, quella facoltà che è propria dei filosofi e che permette di vedere qualità simili in cose lontane e diverse. Nel XIV capitolo vico di rammarica che giovani apprendano le diverse discipline attraverso metodo contrastanti, contro tale disordine egli propone un solo sistema. Ovvero auspica che l’università svolga la sua funzione utilizzando un metodo, al fine di raggiungere la prudenza civile e il miglior funzionamento della vita istituzionale. Privilegiando lo studio delle scienze naturali, il metodo moderno si studi comportava un’ulteriore inconveniente ovvero quello di allontanarsi dallo studio della morale. Il metodo moderno di studi distoglie quindi dal coltivare la prudenza della vita civile arrecando così svantaggio alla dottrina morale e civile e all’eloquenza. Secondo vico occorre indirizzare gli studi verso la dottrina dello stato, ovvero verso la prudenza della vita civile. E in ciò l’eloquenza è utile, in quanto consente all’oratore di costruire i propri discorsi e di moderare la propria orazione in base alle opinioni degli ascoltatori. Per rivolgersi al volgo, vale a dire a coloro che hanno sviluppato fantasia, è necessario ricorrere a metafore e immagini sensibili capaci di suscitare consenso, motivazione e mobilitazione. Devono eccellere nell’eloquenza anche i giudici al fine di assicurare la giustizia, unendo l’utilità pubblica alle cose privare, ovvero facendo in modo che l’interessa pubblico prevalga su quello privato. CAPITOLO UNO Qui vico ci parla di Francesco Bacone, dicendo che nel suo libro sugli avanzamenti delle scienze indica oltre alle scienze e arti che già abbiamo delle nuove. Afferma però che le ambizioni di Bacone superano le capacità umane. Secondo Vico ciò è accaduto perché chi possiede il massimo desidera l’infinito. Afferma che Bacone si è comportato nel campo degli studi come i potenti degli imperi nelle questioni pubbliche. Vico afferma che tutto ciò che all’uomo è dato conoscere è finito e imperfetto. Inoltre dice che se confrontassimo i metodi di studio degli antichi con quelli attuali si potrebbe trovare un metodo di studi che possa accordare entrambi. Proprio su questa base Vico prende i vantaggi e gli svantaggi di entrambi i metodi di studio cercando di crearne uno nuovo. Sottolineando che ciò che vuole fare è semplicemente elencare su cosa il metodo di studi degli antichi vince, in cosa viene vinto e come possa non essere vinto. Proprio per questo le nuove scienze ed arti devono essere distinte dai nuovi strumenti e sussidi del sapere in quanto sono materia di studi e gli strumenti e i sussidi la via per il metodo. Il metodo di studi sembra essere compreso in tre cose: strumenti, sussidi e il fine. Gli strumenti comprendono l’ordine: chi istruito si accinge ad imparare un’arte o scienza e lo fa secondo una regola e in modo ordinato. Gli strumenti precedono. I sussidi accompagnano e il fine, anche se viene dopo, gli studiosi devono tenerne conto fin dall’inizio. I nuovi strumenti delle scienze sono: le scienze, le arti e opere d’arta o della natura. Gli strumenti comuni di tutte le scienze e di tutte le arti è la critica, della geometria l’analisi, della fisica la geometria e il suo procedimento e fore la meccanica, strumento della medicina è la chimica, dell’anatomia il microscopio, dell’astronomia il telescopio, della geografia la bussola. I sussidi anticamente erano inerenti alla prudenza, la qualità di ottimi esempi, i caratteri tipografici e la fondazione delle università. Il fine è unico ad oggi: la verità. CAPITOLO DUE nel secondo capitolo Giambattista Vico prende in analisi tutti gli strumenti e i sussidi che ha elencato nel capitolo precedente, affermando cosa è migliorato nel mondo di oggi rispetto a quello degli antichi. Afferma che la critica è il primo strumento importante perché anche se ne dubiti, sei certo. L’analisi è l’altro strumento importante che ci aiuta a risolvere problemi che gli antichi lasciavano irrisolti. Ci spiega come anche gli antichi si avvalsero della geometria, della meccanica e della fisica ma non sempre, invece ora noi utilizziamo sempre questi strumenti. Inoltre grazie alla geometria si sono create nuove invenzioni. Così la geometria, ritenuta molto importante, è stata applicata alla fisica. Noi abbiamo sviluppato la spargirica. E inoltre la chimica applicata alla fisica produce altre opere della natura. La meccanica applicata alla medicina invece descrive con cura le malattie del corpo umano. L’anatomia, grazie al microscopio ora può anche descrivere migliaia di ghiandole e di viscere, di piante, il baco da sete e gli insetti e osservare la generazione dell’uomo fecondato. L’astronomia con il telescopio ci permette di osservare nuove stelle, le macchie solari e le fasi dei pianeti. Gli antichi senza bussola pensavano che oltre l’oceano vi fossero altre terre, noi grazie all’uso di essa le abbiamo scoperte. Per quanto riguarda i sussidi ci hanno aiutato a scoprire cose che prima erano lasciate alla sola prudenza. Ad esempio gli antichi in giurisprudenza erano sconfortati dalla difficoltà. Nella poetica, nell’oratoria, nella pittura, nella scultura e nelle altre arti riusciamo ormai ad imitare con maggiore correttezza e facilità la natura. E grazie ai caratteri tipografici ci sono tanti libri. Inoltre noi abbiamo le università in cui si studiano tante scienze e arti. Oggi si guarda ad un unico fine: la verità. CAPITOLO TRE Qui Vico inizia a parlare della critica la quale per arrivare al vero respinge i secondi veri e i verosimili come se fossero falsi. Ma questo è svantaggioso: infatti negli adolescenti si deve formare il senso comune affinché arrivati all’età del lavoro non se ne escano con stranezze e insolenze; ma il senso comune nasce dal verosimile. Infatti le cose verosimili sono intermedie, ovvero tra il vero e il falso. Dunque si deve stare attenti che la nostra critica non soffochi gli adolescenti. Inoltre, il senso comune è regola di ogni prudenze e di ogni eloquenza: a volte gli oratori si concentrano più per una causa vera che non ha niente di verosimile che per una falsa che ha qualcosa di verosimile, per questo si rischia di rendere gli adolescenti inadeguati all’eloquenza. Inoltre i critici collocano il vero davanti ma lo insegnano agli adolescenti prima del tempo e con severità. Negli adolescenti prevale la fantasia e non bisogna offuscarla. Inoltre nei ragazzi che non eccellono in nessuna facoltà bisogna coltivare la memoria che è simile alla fantasia. Non si devono offuscare le menti rivolte ad arti in cui prevale la fantasia o la memoria come la pittura, la poesia, l’oratoria, la giurisprudenza. Gli antichi non avevano questi svantaggi perché insegnavano ai ragazzi la scienza gradualmente e con dolcezza, secondo la loro età. Oggi si celebra solo la critica e non la topica. Ma anche questa cosa è svantaggiosa. Secondo Vico la topica deve precedere la critica ma secondo le idee di oggi è sufficiente che gli uomini siano istruiti su qualcosa perché trovino in essa il vero, senza che siano dotti nella topica. Ma non si può essere certi di aver visto tutto. La natura, infatti, è incerta. La critica è considerata l’arte dell’orazione vera, la topica l’arte dell’orazione feconda. Quindi chi è esercitato nella topica riesce a vedere per tempo cosa sia convincente in ogni causa. Inoltre l’eloquenza è tra noi e chi ci ascolta per cui noi dobbiamo moderarla a seconda delle loro opinioni. Per esser certo di aver toccato gli animi di tutti, l’oratore deve passare in rassegna tutti gli argomenti. Vico poi ci fa una distinzione tra i pensieri filosofici, giungendo a una conclusione. Un tempo gli stoici si rivolgevano solo alla critica, gli accademici solo alla topica, noi moderni le usiamo entrambe. Le più antiche scuole filosofiche più sono distanti dalla critica, più sono feconde. Gli stoici erano concisi, gli epicurei semplici, i vecchi accademici ridondanti. Mentre i nuovi accademici erano come torrenti. Quindi in conclusione entrambi i metodi avevano dei difetti. Il metodo dei topici perché spesso afferravano il falso, quello dei critici perché non guardavano a nessun verosimile. Quindi secondo Vico gli adolescenti devono essere istruiti in tutte le scienze e le arti, in modo tale da arricchirsi e inoltre bisogna rafforzare in loro il senso comune per la prudenza e l’eloquenza, per la fantasia e per la memoria. Successivamente devono imparare la critica in modo tale da valutare da capo e con il loro giudizio le cose su cui sono stati istruiti. Così risultano veritieri nelle scienze, accorti nella prudenza, fecondi nell’eloquenza, ricchi di immaginazione nella poesia e pittura, di buona memoria nella giurisprudenza e non sarebbero avventato né religiosi in modo distorto.
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