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La Sociologia: Lo Studio dei Fatti Sociali e della Struttura dell'Azione Sociale, Sintesi del corso di Sociologia

Antropologia culturaleSociologia comparatapsicologia socialeAntropologia sociale

Questo testo introduttivo alla sociologia spiega che i fatti sociali sono le convenzioni, le regole morali, le credenze, le pratiche, le leggi, i rituali diffusi in una certa società. Esplora il concetto di suicidio come fatto sociale e identifica diversi tipi di suicidio in società primitive e moderne. Discuteva anche sulla transizione dalla società primitiva a società moderne e il ruolo della religione, tradizione e solidarietà. Inoltre, analizza il sistema sociale come composto da quattro sotto-sistemi: economico, politico, comunitario e fiduciario.

Cosa imparerai

  • Quali sono i quattro sotto-sistemi del sistema sociale?
  • Quali sono i fatti sociali?
  • Come il sistema sociale influenza il comportamento sociale?
  • Come si spiega il concetto di suicidio come fatto sociale?
  • Come la società primitiva si distingue dalla società moderna?

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 14/09/2021

giuliana-carroccio
giuliana-carroccio 🇮🇹

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Scarica La Sociologia: Lo Studio dei Fatti Sociali e della Struttura dell'Azione Sociale e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! Esame sociologia TEORIE FUNZIONALISTE 1.Durkheim: fatto sociale Durkheim è un positivista, al punto che dice che per fondare la sociologia serve un metodo scientifico. Durkheim ne “Le regole del mondo sociologico” spiega che, l’oggetto della sociologia, cioè quello che la sociologia studia sono i fatti sociali. La sociologia è lo studio dei fatti sociali. Fatti sociali sono le convenzioni, le regole morali, le credenze, le pratiche, le leggi, i rituali diffusi in una certa società. Tutto questo è determinato dalla collettività e non dal singolo individuo, cioè non si tratta di fenomeni psicologici interni al soggetto, ma di fenomeni sociali determinati dalla collettività. Per questo motivo i fatti vanno studiati metodologicamente come cose nelle loro manifestazioni. I fatti sociali (che più tardi Durkheim chiamerà istituzioni) sono coercitivi, perché si impongono all'individuo come esterni, in quanto credenze e comportamenti dettati dalla collettività. I fatti sociali si spiegano senza tirare imballo la psicologia, ma solo attraverso altri fatti sociali. Durkheim infatti, cerca di tagliare fuori tutto l’aspetto psicologico per fondare una sociologia come scienza dura e oggettiva. Il suicidio: Durkheim riconduce un fenomeno/un’azione che sembra così personale come il suicidio a cause sociali, scartando qualsiasi fattore psicologico, qualsiasi dato riguardante la genetica, la struttura di personalità, le situazioni personali delle persone che si suicidano. Dunque è interessato a studiare il suicidio come fatto sociale spiegato da altri fatti sociali. Identifica diversi tipi di suicidio a seconda delle società in cui si danno, in base allo squilibrio strutturale che una società presenta. - Suicidio anomico si dà quando la regolazione sociale è troppo debole. A tal proposito, è stato molto rilevante scoprire che il numero dei sucidi è molto elevato non solo nelle crisi economiche, ma anche nei periodi di boom economico. Durkheim trova una spiegazione sociologica a questo: entrambi i casi costituiscono un cambiamento radicale e l’individuo si trova privato di quelli che erano i suoi riferimenti stabili e il gruppo si trova con una bassa normatività; - Suicidio fatalistico, al contrario si dà in società che sono troppo normate. L’individuo è talmente ingabbiato in un destino che è chiuso (come nel caso dello schiavo) che per troppa normatività sociale può compiere un suicidio fatalistico. Lo schiavo può cadere in disperazione perché il gruppo è talmente normato che percepisce che non riuscirà mai a cambiare la propria condizione. Il gruppo è così normato da ridurre lui a una sensazione di totale impotenza; -. Suicidio altruistico, quello che viene compiuto per esempio dal kamikaze che sacrifica la vita per il bene del gruppo. Il gruppo è troppo coeso al punto da richiedere il sacrificio dell’individualità, un sacrificio estremo; - Suicidio egoistico, al contrario si dà in un gruppo che è troppo poco coeso. L'individuo sente di rispondere solo a sé stesso, non sente legami comunitari, non sente vincoli e cadendo in disperazione si toglie la vita. 2.Coscienza collettiva è l’insieme delle norme, dei valori, delle idee appartenenti a una collettività. Religione e tradizione sono alla base della forte coscienza collettiva che caratterizza le società primitive e che si trasforma nelle società moderne. Nelle società primitive tutti svolgevano attività simili, nelle società moderne invece vige la differenziazione, per cui, il contadino coltiva il grano, il mugnaio lo macina, il fornaio fa il pane. Quindi c’è una divisione del lavoro in cui ognuno svolge un pezzo del lavoro per fare andare avanti la società. Questa specializzazione delle funzioni evidenzia una differenza tra gli individui, e allo stesso tempo, li rende più dipendenti gli uni dagli altri, cioè dipendiamo gli uni dagli altri sul piano produttivo, c’è un’interdipendenza. Il passaggio da società primitive a società moderne esprime il passaggio da un tipo di solidarietà meccanica basata su una forte coscienza collettiva a una solidarietà organica in cui è la differenziazione del lavoro a fare da collante tra gli individui della società. Inoltre, nel passaggio da società primitive a società moderne si è passati dalle cosiddette leggi repressive alle leggi restitutive. Per esempio il furto, nelle società primitive veniva punito in modo severissimo perché considerato un danno alla collettività intera, una trasgressione che metteva in pericolo l’ordine del gruppo. Al contrario, oggi il furto è un danno privato e che per questo chiedono forme di riparazione, più spesso in denaro, solo per le persone direttamente coinvolte. È una legge sicuramente più morbida. 3.Parsons: il ruolo Talcott Parsons è un altro sociologo funzionalista. Si pone ne “La struttura dell’azione sociale” com’è possibile la società, com’è possibile l’ordine sociale? Il sistema sociale è costituito dalle interazioni tra ruoli! Ad ogni posizione sociale corrisponde un ruolo. Un ruolo è un insieme di aspettative di modelli di azioni considerati appropriati. L'ordine sociale è creato dal fatto che le persone interagiscono sulla base di ruoli. I ruoli creano ordine. Parsons si immagina che gli attori sociali agiscano conformemente ai ruoli per ottenere gratificazioni o per evitare sanzioni, infatti qualsiasi trasgressione viene sanzionata perché perturba l’ordine sociale. Il comportamento percepito come “normale” varia da società a società. Collegamento molto forte tra la teoria di Parsons e quella di Freud: Parsons sostiene che dietro ai ruoli ci sono dei valori sociali interiorizzati durante il processo di socializzazione, vuol dire che il ruolo entra nella psiche del soggetto che lo interpreta perché durante la socializzazione gliel’hanno collegato a certi valori. Quando il ruolo diventa così naturale, l’attore (o l’agente) ha interiorizzato un valore. (Merton ammorbidirà questa presa di posizione di Parsons, contestando l’idea per cui monoliticamente le persone si attengono a un ruolo). sociale, cioè spiegarlo interpretandone il senso (Weber, a tal proposito si rivela uno dei padri ispiratori di una corrente, ovvero l’interazionismo simbolico). Tipi di azione: 1. Azione razionale rispetto allo scopo: classica azione dell’uomo economico sul mercato (calcola i costi e i benefici e sceglie i mezzi più adatti per raggiungere uno scopo). È l’agire strategico; 2. Azione razionale rispetto al valore: azioni che sono orientate da un determinato riferimento valoriale (il senso di giustizia, la pace, la solidarietà...). L'azione che è razionale rispetto al valore può essere non razionale rispetto allo scopo, cioè ci può essere un conflitto tra lo scopo e il valore, però sono entrambi tipi di azioni che Weber definisce razionali; 3. Azione affettiva: azione guidata da stati d’animo, emozioni, impulsi, come per esempio la gioia, la gratitudine, la vendetta, l'affetto ecc. Sono azioni rispetto alle quali non si prendono in considerazioni le conseguenze e hanno senso per se stesse. Lo stato d’animo è talmente pervasivo e forte che questa non è naturalmente un’azione che Weber definisce razionale; 4. Azione tradizionale: ‘mi comporto come prescritto da tempo”. Seguire un’azione culturalmente stabilizzata in un contesto (per esempio farsi il segno della croce entrando in una chiesa cristiana). Questi sono dei “tipi-ideali” di azione, ovvero categorie concettuali utili allo scienziato sociale, ma nella realtà le azioni concrete degli attori sociali possono presentare simultaneamente elementi dell’uno e dell’altro, cioè nella realtà in una stessa situazione possono coesistere degli elementi emotivi, dimensioni strumentali ecc.., al punto che diventa molto difficile poter dire che un’azione rientra solo in un idealtipo. 8.Simmel: la forma Per Simmel la realtà è una rete di relazioni di influenza reciproca tra elementi, che possono essere persone, gruppi, società... . La società è reciprocità tra elementi e questa reciprocità assume delle forme. Le forme cristallizzano la reciprocità tra persone, però rischiano di soffocarla. Il problema è dunque che la forma rischia di chiudere la relazione. Per questo occorrerebbe creare forme aperte, porose, che cristallizzano ma allo stesso tempo permettono l’evoluzione, permettono al flusso della vita di scorrere e senza bloccarla del tutto. La forma è il tipo di relazione. Ogni forma è un tipo di relazione: la famiglia è una forma perché è un tipo di relazione tra le persone. La stessa istituzione può avere forme diverse in diversi paesi del mondo, per esempio la famiglia poligamica o poliandrica (dove ci sono più mogli o più mariti) è sempre un’istituzione, però ha una forma diversa da una famiglia monogamica perché si instaura un diverso tipo di relazione. 9.Il processo interpretativo secondo l’interazionismo simbolico L’interazionismo simbolico studia i significati e i simboli delle interazioni nella vita quotidiana. Interazionismo perché studia l’interazione, cioè lo scambio tra due o più persone; simbolico perché secondo gli interazionisti gli uomini agiscono, interagiscono tra di loro sulla base del significato che le persone e le cose hanno per loro. Il comportamentismo considera il comportamento umano come determinato da stimoli esterni al soggetto cui quest’ultimo risponde (stimolo e risposta). Gli interazionisti, invece mettano tra lo stimolo e la risposta l’interpretazione, ovvero il significato che attribuiscono a quello stimolo. L’uomo è un essere simbolico capace di comprendere e interpretare significati condivisi 10. Goffman: Scena e retroscena Il lavoro di Goffman, che ha influenzato molti sociologi, si basa su un approccio definito “drammaturgico”. Per Goffman è centrale il riferimento all’attore, ovvero chi agisce ma anche e soprattutto chi recita una parte: il teatro diventa qui la metafora della vita quotidiana intesa come una rappresentazione scenica ove i soggetti, come gli attori sul palcoscenico, recitano copioni socialmente costruiti. La scena è il luogo in cui l’attore recita sulla base di un copione in modo tale da produrre nel pubblico certe impressioni e reazioni (siamo degli affaticati fabbricanti di impressioni). Nel retroscena l’attore si prepara a recitare, si confronta con il regista e con gli altri attori, ma al contempo questo è il luogo in cui egli prende le distanze dalla scena, esce dal copione e si riposa, nel senso che non sente di dover produrre certe impressioni, di dover dare una certa idea di sé per essere trattato come si aspetta. Fa l’esempio del cameriere: la porta tra la cucina e la sala è lo spartiacque tra scena e retroscena perché il cameriere si presenta gentile e sorridente di fronte ai clienti, mentre nello spazio di “retroscena” (la cucina) nascosto al pubblico, i camerieri hanno un comportamento del tutto diverso, molto più informale e irrispettoso. Anche la vita quotidiana va considerata come una scena quasi continua in cui le persone assumono un ruolo nei diversi contesti. Goffman si rifiuta di fornire una teoria del Sé, dicendo che il Sé emerge nell’interazione come effetto drammaturgico, quasi a dire che la personalità non esiste. Rifiuta la nozione di “te stesso”. 11 Il Sé secondo Mead Il Sé per Mead, emerge e si realizza nel corso dell’interazione sociale, è il soggetto nella misura in cui diventa oggetto a sé stesso, offrendosi cioè a un’attività autoriflessiva. Ciò accade quando l’io si guarda dal di fuori, diventando oggetto della propria riflessione mediante l’””autointerazione”. L’essere umano dunque ha la capacità di valutare le proprie azioni guardandosi dall’esterno. Nel processo di autointerazione si definisce il Sé come relazione tra l’Io e il Me, ossia tra ciò che dell’individuo costituisce un tratto originale (Io) e ciò che deriva da quanto viene interiorizzato mediante la socializzazione (Me). Il Sé dunque è la combinazione di questi due elementi!! 12. Laltro generalizzato nel processo di socializzazione Come si sviluppa il Sé? Dunque il Sé, cioè l’unione di Io e Me si sviluppa durante diverse fasi del gioco a cui il bambino va incontro crescendo. Fase di imitazione, in cui il bambino copia il comportamento degli adulti, senza capire però quello che fanno; Fase del gioco semplice/ libero (play) in cui il bambino gioca ad assumere il ruolo di un altro (“altro significativo”): per esempio fa finta di essere il proprio padre; Fase del gioco organizzato (game) in cui il bambino impara ad assumere i ruoli di diverse persone contemporaneamente e controlla la propria azione in relazione a esse. Se il fanciullo rappresenta nella propria mente il ruolo di più giocatori vuol dire che ha interiorizzato le aspettative di un gruppo su di lui e per cui riesce ad anticipare e interpretare le azioni altrui, ovvero dell’’Altro generalizzato”. In questo caso, significa che il bambino quando agisce ha su di sé lo sguardo di tutto il gruppo, l’altro non è più uno, ma diventa potenzialmente la società. “Altro generalizzato” è l’interiorizzazione delle aspettative altrui. È in questa fase del gioco che impara a relazionarsi con gli altri. 13. Socializzazione primaria e secondaria La socializzazione è il processo tramite il quale un individuo diventa parte della società circostante e una società trasmette nel tempo il proprio patrimonio culturale, garantendosi così la continuità tra le generazioni. La socializzazione è un processo che dura tutta la vita. Generalmente si distinguono però due fasi: la socializzazione primaria e la socializzazione secondaria. Nel corso della socializzazione primaria si apprendono le competenze di base per vivere in una società. La socializzazione primaria include tre dimensioni: la dimensione cognitiva (cioè come interpreto il mondo); dimensione normativa (assimilazione dei valori e delle norme che orientano il comportamento sociale. Dunque come mi devo comportare per essere adeguato); dimensione espressiva o simbolica (relativa all’apprendimento dei segni e delle modalità comunicative appropriate per l’interazione. Come si comunica, quali segni e simboli vengono utilizzati...) Questo bagaglio di competenze di base (cognitive, normative ed espressive) viene trasmesso nei primi anni di vita del soggetto, ma può accadere che anche un adulto debba mettere in atto un processo di socializzazione primaria venendosi a trovare in un contesto sociale del tuo nuovo. Attraverso la socializzazione secondaria l’individuo apprende le competenze e i contenuti specifici che sono necessari per operare all’interno di contesti particolari della società, quali la scuola, l’ambito lavorativo, le associazioni... La socializzazione secondaria ha un carattere graduale, interattivo e multidirezionale perché l’attore negozia con il gruppo e il contesto sociale. Inoltre, la socializzazione secondaria ha un carattere volontario perché (tranne in pochissimi casi) il soggetto volontariamente aderisce a una realtà Per classe sociale si intende l’insieme degli individui (e delle loro famiglie) che occupano posizioni simili sul mercato e nella divisione del lavoro, dunque che godono delle medesime “chances di vita”. * L’approccio funzionalista alla stratificazione sociale deve molto alla visione parsonsiana del sistema sociale inteso come insieme integrato di status-ruoli: per Parsons lo status è la posizione che un individuo occupa, cioè la sua posizione sociale, il ruolo è l’insieme di aspettative che si collegano allo status (per esempio, la posizione sociale di un insegnante comporta alcune prerogative, come aggiornarsi, non fare discriminazioni tra gli alunni, percepire un salario, valutare gli alunni ecc.). La stratificazione sociale è un ordine armonico e giusto di status-ruoli. I funzionalisti classici propongono una visione armoniosa della divisione del lavoro da cui deriva la stratificazione sociale. La divisione del lavoro, in questa prospettiva, porta integrazione sociale. I funzionalisti legittimano le differenze di ricompense sociali (reddito) correlate alla stratificazione sociale, perché ritengono che alcune posizioni siano più importanti di altre per il buon funzionamento della società. ® L’approccio conflittualista solleva molte obiezioni a questa visione pacificata della stratificazione sociale, perché considera la stratificazione sociale come risultato di rapporti di dominio. L’approccio conflittualista alla stratificazione sociale mostra che le differenze di ricompense che derivano dalla stratificazione sociale sono spesso ingiuste, dunque sono delle disuguaglianze. Per i conflittualisti, a differenza dei funzionalisti, la divisione del lavoro può essere fonte di conflitto. La stratificazione sociale rispecchia il riprodursi di generazione in generazione di certe disuguaglianze, svantaggi o vantaggi sociale, quindi non è indicativa delle capacità del singolo. Sulla stratificazione sociale influiscono anche altri variabili, cioè il genere (le donne occupano una posizione inferiore agli uomini) e l’etnia (alcuni gruppi etnici non hanno lo stesso accesso a risorse sociali importanti). (Secondo i funzionalisti la stratificazione sociale è armoniosa, giusta e volta all’integrazione sociale; per i conflittualisti, è fonte di possibile conflitto, è ingiusta, tant'è vero che risulta da dei rapporti di dominazione, è una fotografia delle disuguaglianze). 19. La mobilità sociale La mobilità sociale di un individuo è il suo cambiamento di posizione nella stratificazione sociale. Il cambiamento di posizione può essere verticale ascendente, se l’individuo va a occupare una posizione sociale superiore alla precedente, o verticale discendente, se va a occupare una posizione inferiore, per esempio quando un tecnico specializzato diventa operario. Si può anche avere una mobilità orizzontale, cioè l’individuo si sposta nello spazio sociale senza salire o scendere nella stratificazione sociale (esempio di una commessa che lavora in un negozio di abbagliamento, cambia lavoro e diventa commessa in una profumeria). La mobilità intragenerazionale è riferita alle diverse posizioni sociali che un individuo occupa nel corso della vita; mobilità intergenerazionale (tra due o più generazioni) se confrontiamo la posizione sociale di un padre e di un figlio. Il tasso di mobilità dipende da tanti fattori: dal periodo storico, dalle politiche che vengono attuate, ma anche dalla struttura, cioè dal grado di apertura o chiusura di una società. Una società è immobile se presenta un tasso di mobilità scarsissimo, come per esempio la società indiana che è divisa in casta, in quel caso la mobilità è zero, per cui è il massimo della chiusura. 20. Definizione di discriminazione È il trattamento ineguale di alcuni membri della società ed è spesso causato da pregiudizi, ovvero da giudizi basati su stereotipi negativi. Le discriminazioni hanno dei risvolti nella pratica come per esempio, le donne occupano meno frequentemente degli uomini delle posizioni apicali nelle grandi aziende, la disparità di salario tra uomini e donne pur a parità di ruoli... questo è un trattamento ineguale di alcuni membri della società. Sulla base delle differenze etnico-razziali le persone possono subire discriminazione: sulla base dell’appartenenza di qualcuno a un gruppo etnico viene trattato inegualmente rispetto ad altri membri della società che appartengono ad altri gruppi etnici. Il razzismo rientra in parte tra le discriminazioni. 21. Il razzismo Il termine “razzismo” implica la classificazione di altri gruppi come inferiori biologicamente e la creazione di condizioni che mantengono quel gruppo in svantaggio rispetto alla maggioranza tramite discriminazione e/o violenza. Più spesso il razzismo si basa sull’etnocentrismo, che è la classificazione di altri gruppi come inferiori culturalmente nella convinzione che valori, norme, costumi e altri tratti della cultura del proprio gruppo siano superiori a quelli degli altri gruppi. La razza è sostanzialmente una costruzione sociale. Il gruppo razziale è un gruppo a cui vengono socialmente attribuite alcune caratteristiche fisiche e biologiche, che possono essere reali o presunte. 22. Cultura, subcultura, controcultura Possiamo definire la cultura come un insieme di significati trasmesso storicamente e incarnato in forme simboliche, attraverso cui gli uomini attribuiscono senso a ciò che accade e comunicano, sviluppano, perpetuano i loro atteggiamenti verso la vita. La cultura è il frutto di costruzioni collettive da parte di gruppi sociali. Una subcultura è un gruppo portatore di valori, linguaggi, norme, simboli e pratiche differenti dalla cultura dominante, per cui una subcultura si distacca dalla cultura dominante, ma non entra in conflitto con la cultura dominante. Per esempio, quando si parla di subculture giovanili in sociologia si intendono gruppi di ragazzi che maturano i loro linguaggi, simboli ecc... che sono diversi dalla cultura dominante adulta ma non sono necessariamente in contrasto con essa. Quando, invece, le subculture assumano un orientamento conflittuale rispetto alla cultura dominante, o iniziano per varie ragioni a essere da questa osteggiate, assistiamo alla formazione di controculture. È un gruppo portatore di valori , simboli , linguaggi, pratiche e norme in conflitto con quelli della cultura dominante. Esempio della gang giovanili (baby gang) sono controculture devianti. 23. La devianza Possiamo definire la devianza come qualsiasi comportamento o atteggiamento che i membri di una società o di un gruppo sociale considerano come non conforme alle norme di riferimento, per il quale sono previste forme specifiche di censura, punizione o sanzione. - Per Parsons la devianza era patologica, deviare era considerato qualcosa da sanzionare perché metteva in crisi l’ordine sociale. Per Merton invece il comportamento deviante non si spiega assolutamente in questi termini: la devianza arriva sempre quando c’è una tensione tra mezzi e fini. È la società che genera devianza. 24. Definizione di movimento sociale Definiamo movimento sociale un tipo di comportamento collettivo (1) in cui l’azione collettiva di un gruppo organizzato (2) è volta a promuovere un cambiamento sociale o a ostacolarlo (3). Specifichiamo le diverse parti che compongono questa definizione. (1) Per comportamento collettivo si intende un’azione collettiva al di fuori delle istituzioni, opposta all’azione di routine: sono esempi di comportamento collettivo, le folle. Anche gli scioperi e certe masse che seguono una moda operano un comportamento collettivo perché appunto operano all’esterno delle istituzioni. - Differenza tra folla e massa: la folla si dà in compresenza, persone che si trovano nello stesso posto (per esempio tifosi di calcio allo stadio); le masse a differenza delle folle non sono in compresenza. In una massa le persone condividono lo stesso oggetto di attenzione (la partita) , ma non sono fisicamente compresenti. Le diverse teorie del comportamento collettivo sono in genere ricondotte a tre gruppi principali: * Teorie del contagio: il comportamento collettivo è una sorta di epidemia psichica in cui gli individui, per suggestione diventano imitatori irrazionali dei comportamenti altrui. Questa teoria è stata formulata inizialmente a fine 800 da Le Bon, che ha scritto un testo dal titolo la “Psicologia delle folle”. Le Bon all’epoca era terrorizzato dalle folle. Nel tempo questa idea è stata ridimensionata dalla teoria della protesta politica; * (Teoria della protesta politica: l’azione collettiva dei movimenti emerge nel caso in cui altri canali di espressione e di partecipazione siano preclusi); * Teoria della convergenza: il comportamento collettivo è agito da individui che sono predisposti a esso quando si verificano dei fattori scatenanti, dunque da individui con atteggiamenti, idee e predisposizioni simili; * Teoria della norma emergente: il comportamento collettivo è prodotto da una norma sociale che emerge in una situazione particolare e che può essere inizialmente condivisa da pochi, ma che, se viene accettata, si diffonde tra molti.
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