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DEMOCRAZIE DITTATURE E TOTALITARISMI, Appunti di Filosofia

PERCORSO DELLA STORIA DALLA DEMOCRAZIA AL TOTALITARISMO

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 21/11/2019

joanna1-5
joanna1-5 🇮🇹

4.6

(28)

31 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica DEMOCRAZIE DITTATURE E TOTALITARISMI e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! DEMOCRAZIE, DITTATURE E TOTALITARISMI DAL PRIMO CONFLITTO AL SECONDO DOPOGUERRA DAUNA GUERRA ALL’ALTRA La prima guerra mondiale è stata la prima guerra “totale” della storia e ha causato 20 milioni di feriti e 18 milioni di morti, tra cui dieci milioni di civili. Essa ha dunque confuso la distinzione tra civili e combattenti e sacrificato un’intera generazione di esseri umani: stanchi, depressi, consumati, privi di radici e di speranze, essi tornavano dal fronte nel 1918 con l’ebrezza di chi pensa di essersi salvato e la disperazione di non poter mai più veramente tornare a essere se stesso. La trasformazione del diritto internazionale che verrà attribuita da Schmitt al punitivo universalismo dei vincitori si era dunque, di fatto, già realizzata nell’esperienza di una guerra completamente diversa da quelle dell’età moderna: in essa Lenin aveva confidato per rendere possibile una guerra civile di classe tra proletariato e borghesia. Ma ad essersi radicalmente modificata non fu soltanto la percezione del diritto, ma vi fu una forte lacerazione e un forte mal contento sulla realtà delle masse di cui l’inserimento sociale era reso estremamente difficile in alcuni paesi per via della crisi economia, in altri per la situazione politico-sociale ecc.. Combinandosi con alcune componenti ideologiche, questa situazione di estraniamento favorì l’avvento al potere di regimi dittatoriali e totalitari, capaci di sfruttare la solitudine dei singoli individui e la psicologia delle masse servendosi delle nuove potenzialità messe a disposizione dell’enorme sviluppo scientifico e tecnologico. Stalin e Mussolini presero il potere rispettivamente in Italia negli anni 20, Hitler in Germania nel 1933. IL FASCISMO Dal punto di vista storico , il malcontento postbellico culminò in Italia, nei disordini sociali e politici del biennio rosso nel 1919-1920 una serie di scioperi e manifestazioni preparò il terreno per l’affermazione del fascismo, che riuscì nella difficile impresa di raccogliere nelle sue file gruppi eterogenei di reduci e scontenti, di sindacalisti rivoluzionari, di avanguardie culturali e di nazionalisti. Costituiti i fasci di combattimento nel 1919, Mussolini diede vita al Partito nazionale fascista nel 1921 e l’anni successivo, dopo la famosa marcia su Roma, venne incaricato di formare un nuovo governo. Comincia qui la ventennale avventura dello stato fascista. Le caratteristiche del fascismo sono che esso è: ANTISOCIALISTA, ANTILIBERALE, ANTIDEMOCRATICO, ANTIPARLAMENTARE. Gli elementi costitutivi del fascismo sono: il vitalismo, quindi la priorità dell’esperienza sulla teoria; inoltre, Mussolini non ha mai voluto l’elaborazione di una dottrina politica fascista perché l’ha sempre ritenuta una forma di vincolo alla sua azione politica; quello di cui mussolini aveva bisogno era la libertà di movimento dal punto di vista delle scelte politiche, egli non voleva trovarsi vincolato da una metodologia rigorosa come quella razzista o da una analoga di altro orientamento; e la proiezione al futuro (un’attenzione al divenire, al movimento, al futuro, quindi una grossa spinta alla modernizzazione della società). Conquistato il potere, Mussolini riesce a imprimere alla sua leadership politica una svolta di tipo dittatoriale facendo approvare una serie di leggi che accentrano i poteri del Gran Consiglio del fascismo, svuotano di contenuto il principio della rappresentanza politica, esautorano ogni autonomia locale, centralizzano l’amministrazione e instaurano una cultura della censura e del controllo. Si apre così la strada all’affermazione dello Stato fascista e alla sua capacità di manipolare il consenso attraverso una pervasiva azione di sensibilizzazione dell’opinione che prevedeva l’uso intensivo della propaganda e della tecnologia: radio, giornali, cinema e stampa che venivano programmati per rafforzare la politica pedagogico-culturale del regime., Mussolini originariamente, era socialista, era uno dei principali esponenti del partito socialista, era direttore dell’Avanti, che era il giornale ufficiale del partito socialista; aveva come riferimento nell’ambito del partito una corrente denominata dei sindacalisti rivoluzionari; questi sindacalisti rivoluzionari erano convinti che la trasformazione in senso socialista della società, non dovesse avvenire come aveva scritto Marx nel manifesto del partito comunista, attraverso una lunga fase, ma attraverso un’improvvisa e spontanea insurrezione generale dei lavoratori poveri, che avrebbe violentemente trasformato la società in un tempo molto breve. Dal punto di vista politico-ideologico il fascismo italiano si presentava come una sorta di terza via tra liberalismo e socialismo, che privilegiava la composizione corporativa dei diversi interessi in nome di un approccio solidaristico in cui le ragioni del capitale dovevano cedere di fronte alle esigenze del bene collettivo dello stato. Lo stato costituiva il cuore dell’ideologia fascista, che lo declinava anzi anche in termini etici e religiosi: “tutto nello stato, niente contro lo stato, nulla al di fuori dello stato” furono le parole di Benito Mussolini per esemplificare il concetto. Antiliberale e antiparlamentare, lo stato “totalitario” fascista si presentava come una dittatura che nasceva dalla capacità di integrare con spinte successive e attraverso un uso accorto della stampa e del movimentismo, forti elementi di eterogeneità: il sindacalismo rivoluzionario, il socialismo, il futurismo… integrava peraltro questi strumenti con una importante limitazione delle libertà civili, che prevedeva le usuali misure restrittive rappresentate dal carcere, e un uso estensivo dell’istituto del confino, splendidamente descritti nella narrativa contemporanea: come nel romanzo di Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, in cui vengono delineati i contorni di una struggente storia di confino nelle montagne della Basilicata e nelle Lettere dal carcere, scritte da Gramsci per motivi personali, psicologici sociali e politici. debolezza di una costituzione che si era rivelata indifferente nei confronti della sua stessa validità e di una repubblica che non era riuscita a trovare in nessuno schieramento politico sostenitori risoluti. Iniziava dunque quel giorno una storia di colpi di mano e di abusi con Hitler al potere. DENTRO E FUORI LA GERMANIA In una rapida escalation di illegalità e violenza intere categorie di cittadini vennero private dei diritto politici e civili. Essi si riversavano oltre le frontiere, quando ne avevano l’opportunità, chiedendo asilo al Regno Unito, Svizzera, Francia… A restare in Germania e a non osteggiare, seppure non sempre a condividere, l’ideologia del regime hitleriano, fu tuttavia il numero di gran lunga maggiore di coloro che si inserirono senza fare resistenza, per convinzione o opportunismo, nel nuovo sistema politico ideologico. Non si trattava soltanto di piccoli burocrati dell’accademia e della cultura, ma anche di intellettuali di altissimo profilo come il filosofo Heidegger e il costituzionalista Schmitt. Entrambi aderirono al partito nazista il primo maggio del 1933 e fu una militanza di breve durata. Già nell’anno successivo all’avvento di Hitler, nel 1934 Heidegger rassegnava le sue dimissioni da rettore dell’università di Friburgo, mentre fu due anni dopo nel 1936, che la rivista ufficiale delle SS attaccò duramente Schmitt segnandone la fine della politica. KARL LOWITH E MARTIN HEIDEGGER La tesi di un nesso intimi tra le teorie politico filosofiche di Heidgger e il nucleo centrale dell’ideologia totalitaria, è stata efficacemente condensata in un fortunato romanzo, intitolato L’ombra de Heidgger. In esso il protagonista cerca di trasmettere al figlio la sua ferma convinzione nell’esistenza di una precisa continuità tra filosofia heideggeriana e l’ideologia del nazionalsocialismo. A monte di tale vicenda editoriale, vi è una variante della tesi secondo cui vi è una precisa continuità tra alcune derive della filosofia tedesca e l’ideologia nazionalsocialista ed è contenuta nelle pagine dell’autobiografia del Lowhit intitolata La mia vita in Germania prima del 1933. In essa l’autore, un filosofo ebreo allievo di Heidgger, si sofferma sull’analisi di parole e concetti diffusi nella Germania del dopoguerra, individuando nell’”espressione della dura e spietata risolutezza di una volontà che si afferma di fronte al nulla”, una forma di nichilismo che si alimenta del sostegno offerto dalla filosofia heideggeriana e dalla politica nazionalsocialista. Le ipotesi contestate da Lowhit suggeriscono che l’adesione al nazionalsocialismo di grandi intellettuali come Schmitt e Heidgger sia statofrutto di un errore oppure di opportunismo. Se essi avevano potuto nutrire la velleità di indirizzare la linea politico-ideologica del nazionalsocialismo è certamente perché qualcosa era sembrato loro poterli unire a quel movimento politico di cui si distinguevano allora soltanto alcuni degli aspetti che l’avrebbero caratterizzato in futuro. In Germania, per dirla in termini filosofici di Lowhit, il nichilismo europeo era diventato il tema di fondo della filosofia, conferendo ai tedeschi una volontà di distruzione e una vocazione al radicalismo che li spingeva fino al punto di accingersi a distruggere sé stessi assieme al mondo esistente. SCHIMTT, ARENDT E MARCUSE DI FRONTE AL TOTALITARISMO L’aggettivo “totalitario” aveva fatto il suo ingresso nel linguaggio concettuale europeo a partire dall’esperienza fascista. Esso era stato utilizzato con un’accezione negativa nel campo dell’antifascismo italiano ma la parola era piaciuta a Mussolini e, trasformata in sostantivo era stata accolta nel lessico del regime e utilizzata più volte da Giovanni Gentile. Le posizioni di Arendt e Marcuse in tema di totalitarismo sono assai distanti; se per Arendt sono centrali l’uso del terrore e dell’ideologia, il partito unico, la polizia segreta e la figura del capo, niente di questo ha a che fare con l’analisi di Marcuse., le cui coordinate ruotano attorno a categorie che non si applicano tanto a una organizzazione politico terroristica della società, quanto a un’organizzazione economico tecnica che opera mediante la manipolazione dei biosgni. Per Arendt il totalitarismo si rappresenta come un fenomeno del tutto nuovo nella storia dell’Occidente la cui nozione di regime totalitario limitava rigorosamente al nazismo e allo stalinismo il suo ambito di applicazione. Marcuse vede il totalitarismo legato strettamente al capitalismo. Ma al di là delle enormi differenze cheli separano, essi mostrano un comune debito nei confronti dell’insegnamento di Heidgger, da cui riprendono l’impostazione stessa della loro interrogazione filosofica perfino nel momento in cui la utilizzano per pensare proprio quell’evento, il totalitarismo, che ne aveva causato la rottura con il maestro. Arendt e Marcuse situandosi tutti “nell’orizzonte filosofico aperto da Heidgger e utilizzando, categorie concettuali forgiate dalla sua ontologia esistenziale, non possono separare la storia dalla ragione occidentale da quella metafisica e del suo potenziale destino nichilisti co.
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