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Descrizione completa di alcuni canti del Purgatorio di Dante, Appunti di Italiano

Descrizione completa dei canti - I - II - III - V - VI - IX - XXVII - XXVIII - XXIX - XXX - XXXI - XXXII - XXXIII

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 02/07/2024

giulia-branchini-4
giulia-branchini-4 🇮🇹

15 documenti

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Scarica Descrizione completa di alcuni canti del Purgatorio di Dante e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! PURGATORIO CANTO I Argomenti del canto: Proemio della Cantica; Dante e Virgilio arrivano sulla spiaggia del Purgatorio. Dante vede le quattro stelle. Apparizione di Catone Uticense. Virgilio prega Catone di ammettere Dante al Purgatorio, poi cinge il discepolo col giunco. È la mattina di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, all'alba. 1-12: La nave dell'ingegno di Dante si appresta a lasciare il mare crudele dell'Inferno e a percorrere acque migliori, poiché il poeta sta per cantare del secondo regno dell'Oltretomba (il Purgatorio) in cui l'anima umana si purifica e diventa degna di salire al cielo. La poesia morta deve quindi risorgere e Dante invoca le Muse, in particolare Calliope, perché lo assistano. 13-39: L'aria ha un bel colore di zaffiro orientale. La stella Venere illumina tutto l'oriente, offuscando con la sua luce la costellazione dei Pesci che la segue. Dante si volta alla sua destra osservando il cielo australe, e vede quattro stelle che nessuno ha mai visto eccetto i primi progenitori. Non appena Dante distoglie lo sguardo dalle stelle, vede accanto a sé un vecchio (Catone) dall'aspetto molto autorevole. Ha la barba lunga e brizzolata, come i suoi capelli dei quali due lunghe trecce ricadono sul petto. 40-84: Il vecchio si rivolge subito ai due poeti chiedendo chi essi siano, scambiandoli per due dannati che risalendo il corso del fiume sotterraneo sono fuggiti dall'Inferno. Chiede chi li abbia guidati fin lì, domandandosi se le leggi infernali siano prive di valore o se in Cielo sia stato deciso che i dannati possono accedere al Purgatorio. A questo punto Virgilio afferra Dante e lo induce a inchinarsi di fronte a Catone. Quindi il poeta latino risponde di non essere venuto lì di sua iniziativa, ma di esserne stato incaricato da una beata (Beatrice) che gli aveva chiesto di soccorrere Dante e fargli da guida. In ogni caso, poiché Catone vuole maggiori spiegazioni, Virgilio sarà ben lieto di dargliele: dichiara che Dante non è ancora morto, anche se per i suoi peccati ha rischiato seriamente la dannazione; Virgilio fu inviato a lui per salvarlo e non c'era altro modo se non percorrere questa strada. Gli ha mostrato tutti i dannati e adesso intende mostrargli le anime dei penitenti che si purificano sotto il controllo di Catone. Il viaggio dantesco è voluto da Dio e Catone dovrebbe gradire la sua venuta, dal momento che Dante cerca la libertà che è preziosa. Catone, che in nome di essa si suicidò a Utica, dovrebbe saperlo bene. Virgilio ribadisce che le leggi di Dio non sono state infrante, poiché Dante non è morto e lui proviene dal Limbo dove si trova la moglie di Catone, Marzia, che è ancora innamorata di lui. Virgilio prega Catone di lasciarli andare in nome dell'amore per la moglie, promettendo di parlare di lui alla donna una volta che sarà tornato nel Limbo. 85-111: Catone risponde di aver molto amato Marzia in vita, tanto che la donna ottenne sempre da lui ciò che voleva, ma adesso che è confinata al di là dell'Acheronte non può più commuoverlo. Tuttavia, poiché Virgilio afferma di essere guidato da una donna del Paradiso, è sufficiente invocare quest'ultima. Catone invita dunque i due poeti a proseguire, ma raccomanda Virgilio di cingere i fianchi di Dante con un giunco liscio e di lavargli il viso, togliendo da esso ogni segno dell'Inferno, poiché non sarebbe opportuno presentarsi in quello stato davanti all'angelo guardiano alla porta del Purgatorio. L'isola su cui sorge la montagna, è piena di giunchi che crescono nel fango. Dopo che i due avranno compiuto tale rito non dovranno tornare in questa direzione, ma seguire il corso del sole che sta sorgendo. Alla fine delle sue parole Catone svanisce. 112-136: Virgilio dice a Dante di seguire i suoi passi e lo invita a tornare indietro, lungo il pendio che da lì conduce alla parte bassa della spiaggia. È ormai quasi l'alba e sta facendo giorno. Lui e Virgilio proseguono sulla spiaggia deserta: giungono in un punto in cui la rugiada è all'ombra e ancora non evapora. Virgilio pone entrambe le mani sull'erba bagnata e Dante, che ha capito cosa vuol fare il maestro, gli porge le guance bagnate ancora di lacrime. Virgilio gli lava il viso e lo fa tornare del colore che l'Inferno aveva coperto, quindi i due raggiungono il bagnasciuga e il maestro estrae dal suolo un giunco, col quale cinge i fianchi di Dante proprio come Catone gli aveva chiesto di fare. Con grande meraviglia di Dante, là dove Virgilio ha strappato il giunco ne rinasce subito un altro. CANTO II Argomenti del canto: Ancora sulla spiaggia del Purgatorio. Apparizione dell'angelo nocchiero. Incontro con le anime dei penitenti, tra i quali c'è il musico Casella. Canto di Casella e rimprovero di Catone. Fuga di Dante e Virgilio. È la mattina di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, all'alba. 1-36: Il sole sta ormai tramontando all'orizzonte di Gerusalemme così sulla spiaggia del Purgatorio l'aurora diventa da rossa progressivamente arancione. Dante e Virgilio sono ancora sul bagnasciuga, pensando al cammino che devono intraprendere, quando al poeta pare di vedere sul mare una luce simile a quella di Marte, che si muove rapidissima verso la riva. Dante distoglie un attimo lo sguardo per parlare a Virgilio, e quando torna a guardare la luce la vede più splendente e più grande. In seguito ai lati di essa compare qualcosa di bianco: il maestro resta in silenzio, fino a quando capisce che il primo biancore sono delle ali e allora grida a Dante di inginocchiarsi e di unire le mani in preghiera, perché si avvicina un angelo del Paradiso. Virgilio spiega a Dante che l'angelo non usa remi né vele o altri strumenti umani, ma tiene le ali aperte e dritte verso il cielo. 37-75: Man mano che l'angelo si avvicina e diventa più visibile a Dante, questi non riesce a sostenerne lo sguardo e deve volgere gli occhi a terra. Poi il nocchiero celeste viene a riva spingendo una barchetta così leggera che non affonda minimamente nell'acqua; l'angelo sta a poppa e nella barca ci sono più di cento anime. L'angelo fa loro il segno della croce, quindi le anime si gettano sulla spiaggia e il nocchiero riparte con la stessa velocità con cui è giunto. I nuovi arrivati si rivolgono ai due poeti chiedendo di mostrargli la via per il monte, ma Virgilio li informa che anch'essi sono appena arrivati in quel luogo, attraverso una via talmente aspra che l'ascesa del monte sembrerà uno scherzo. Le anime si accorgono che Dante respira ed è vivo e esse si accalcano intorno a lui per la curiosità. 76-111: Dante vede una delle anime farsi avanti per abbracciarlo, il che spinge il poeta a fare altrettanto, ma i suoi tre tentativi vanno a vuoto in quanto le braccia attraversano lo spirito, inconsistente, e tornano al suo petto. Dante è stupito e 58-75: Virgilio indica a Dante un'anima che se ne sta in disparte e guarda verso di loro. Raggiungono quell'anima che, come si saprà, è lombarda. Lo spirito non dice nulla e lascia che i due poeti si avvicinino, guardandoli come un leone in attesa. Virgilio si avvicina a lui e lo prega di indicargli il cammino migliore, ma quello non risponde alla domanda e gli chiede a sua volta chi essi siano e da dove vengano. Virgilio non fa in tempo a dire «Mantova...» che subito l'anima va ad abbracciarlo e si presenta come Sordello, originario della sua stessa terra. 76-126: Dante a questo punto prorompe in una violenta invettiva contro l'Italia, definita sede del dolore e nave senza timoniere in una tempesta, non più signora delle province dell'Impero romano ma bordello: l'anima di Sordello è stata prontissima a salutare Virgilio solo perché ha saputo che è della sua stessa terra, mentre i cittadini italiani in vita si fanno guerra, anche quelli che abitano nello stesso Comune. L'Italia dovrebbe guardare bene entro i suoi confini e vedrebbe che non c'è parte di essa che gode la pace. A che è servito che Giustiniano ordinasse le leggi se poi non c'è nessuno a metterle in pratica? Gli Italiani dovrebbero permettere all'imperatore di governarli, invece di lasciare che il paese vada in rovina, affidato a gente incapace. Dante accusa l'imperatore Alberto I d'Asburgo di abbandonare l'Italia, diventata una bestia sfrenata, mentre dovrebbe essere lui a cavalcarla: si augura che il giudizio divino colpisca duramente lui e i discendenti. Alberto dovrebbe venire a vedere le lotte tra famiglie rivali, gli abusi subìti dai suoi feudatari, la rovina della contea di Santa Fiora. Dovrebbe vedere Roma che piange e si lamenta di essere abbandonata dal suo sovrano, la gente che si odia, e se non gli sta a cuore la sorte del paese dovrebbe almeno vergognarsi della sua reputazione. Dante si rivolge poi a Giove (Cristo), crocifisso in Terra per noi, e gli chiede se rivolge altrove lo sguardo oppure se prepara per l'Italia un destino migliore di cui non si sa ancora nulla. 127-151: Dante osserva ironicamente che Firenze può essere lieta del fatto di non essere toccata da questa digressione, visto che i suoi cittadini contribuiscono alla sua pace. Molti sono giusti e tuttavia sono restii a emettere giudizi, mentre i fiorentini non hanno alcun timore e si riempiono la bocca di giustizia; molti rifiutano gli uffici pubblici, mentre i fiorentini sono fin troppo solleciti ad assumersi le cariche politiche. Firenze dev'essere lieta, perché è ricca, pacifica e assennata. E se Firenze bada bene e ha ancora capacità di giudizio, ammetterà di essere simile a un'ammalata che non trova riposo nel letto e cerca di lenire le sue sofferenze rigirandosi di continuo. CANTO IX Argomenti del canto: Dante si addormenta nella valletta. Sogno dell'aquila (santa Lucia porta dante alla porta del Purgatorio). Incontro con l'angelo guardiano, che incide sette P sulla fronte di Dante. Ingresso in Purgatorio. È la notte tra domenica 10 aprile (o 27 marzo) e lunedì 11 aprile (o 28 marzo) del 1300. 1-33: L'aurora sta ormai imbiancando il cielo nell'emisfero boreale, con la costellazione dello Scorpione, mentre nel Purgatorio sono già trascorse circa tre ore dall'inizio della notte. Dante, affaticato per il viaggio e per il fatto di avere un corpo in carne e ossa, si sdraia sull'erba nella valletta e si addormenta. Verso l'alba, il poeta sogna di vedere sopra di sé un'aquila dalle penne d'oro, che volteggia e sembra sul punto di scendere a terra. Dante nel sogno pensa di essere sul monte Ida, là dove Ganimede fu rapito da Giove tramutatosi in aquila. Poi sogna che l'aquila piombi su di lui e lo ghermisca, portandolo in alto sino alla sfera del fuoco dove gli sembra di bruciare: nel sogno prova dolore, il che lo induce a svegliarsi improvvisamente. 34-69: Dante si sveglia d'improvviso e impallidisce, raggelando: accanto c'è solo Virgilio, mentre il sole è già alto nel cielo e lo sguardo del poeta è rivolto al mare. Virgilio si affretta a spiegargli che non ha nulla da temere e deve anzi confortarsi, poiché il viaggio procede bene ed egli è giunto alla porta del Purgatorio, scavata nella parete rocciosa del monte. Virgilio spiega inoltre che poco prima, una donna era giunta nella valletta dicendo di essere santa Lucia e prendendo il poeta addormentato, per condurlo in alto. Sordello e gli altri principi della valletta erano rimasti lì e Dante era stato trasportato alla porta del Purgatorio, seguito dallo stesso Virgilio. Lucia aveva deposto Dante in quel punto, ma prima i suoi occhi avevano indicato al maestro l'accesso al monte, quindi la santa se ne era andata proprio nel momento del risveglio di Dante. Il poeta è confortato dalle parole di Virgilio e appena il maestro lo vede privo di dubbi e di paure procede verso la porta. 70-93: Dante avverte il lettore che la materia del suo poema si innalza, perciò il suo stile diventerà d'ora in avanti più elevato. I due poeti si avvicinano al punto in cui la parete rocciosa del monte è spaccata e dove c'è una porta alla quale si sale lungo tre gradini, di colore diverso, e sulla soglia c'è un angelo che fa la guardia e non dice nulla. Dante fissa lo sguardo e vede che l'angelo siede sul gradino più alto e il suo volto è così luminoso che non riesce a vederlo; egli tiene in mano una spada, che riflette i raggi del sole e impedisce a Dante di vederla bene. L'angelo chiede ai due che cosa vogliono e chi li ha condotti lì. Virgilio risponde che santa Lucia poco prima ha loro indicato la porta, quindi l'angelo dà ai due il permesso di salire i gradini. 94-145: Dante inizia salire i tre gradini: il primo è di marmo bianco e candido; il secondo è molto scuro, formato da una pietra ruvida che presenta una spaccatura nella lunghezza e nella larghezza; il terzo sembra di porfido, rosso come il sangue che sgorga da una vena. L'angelo tiene i piedi su quest'ultimo. Il poeta si getta devotamente ai piedi dell'angelo, chiedendo misericordia dopo essersi battuto per tre volte il petto. L'angelo incide sette P sulla fronte di Dante con la punta della spada, raccomandandogli di lavare queste piaghe una volta avuto accesso alle Cornici. L'angelo estrae dalla sua veste due chiavi, una d'oro e l'altra d'argento, con le quali apre la porta. L'angelo avverte che se una delle due chiavi non funziona la porta non può aprirsi, aggiungendo che quella d'oro è più preziosa, ma quella d'argento richiede molta scienza e acutezza in quanto è quella che permette al penitente di entrare. Spiega inoltre che le chiavi gli sono state date da san Pietro. Poi l'angelo spinge la porta per aprirla, dicendo di entrare e avvertendo i due poeti che chi guarda indietro torna fuori. Dante ascolta con attenzione e gli pare di udire una voce che canta l'inno Te Deum laudamus. CANTO XXVII Argomenti del canto: Ancora nella VII Cornice dei lussuriosi. L'angelo della castità. Dante, Virgilio e Stazio attraversano il muro di fiamme. Dante si addormenta e sogna Lia. Salita al Paradiso Terrestre. È la notte tra martedì 12 aprile (o 29 marzo) e mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300. 115-142: Virgilio si rivolge a Dante e gli dice che oggi potrà finalmente ottenere quel bene che i mortali cercano affannosamente, ovvero la felicità terrena. Le parole del maestro riempiono Dante di gioia e volontà. Quando i tre sono giunti alla fine della scala, Virgilio si rivolge al discepolo e con tono solenne gli spiega di averlo condotto in un punto da dove lui, con le sue sole forze, non può vedere oltre. Virgilio lo ha portato fin lì con ingegno e con arte, per cui Dante può ormai seguire il proprio piacere: egli è fuori dalle strette vie della redenzione e vede di fronte a sé il sole che gli brilla in fronte, vede l'erba, i fiori e le piante del giardino dell'Eden che la terra produce spontaneamente. Il maestro invita Dante ad entrare liberamente nel Paradiso Terrestre, nell'attesa dell'arrivo di Beatrice: Dante non deve più attendere le sue indicazioni, quindi Virgilio lo incorona come signore di se stesso. CANTO XXVIII Argomenti del canto: Ingresso di Dante nell'Eden. Arrivo presso il fiume Lete e incontro con Matelda. Spiegazione di Matelda circa il vento e l'origine dei fiumi dell'Eden. L'età dell'oro nel canto dei poeti (Virgilio e Stazio sorridono). È la mattina di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300. 1-21: Dante è impaziente di esplorare la foresta dell'Eden, la cui vegetazione è tanto fitta da non far filtrare i raggi del sole appena sorto, così vi si addentra e inizia a passeggiare con lentezza. Un lieve venticello stormisce tra le piante facendole piegare verso occidente, mentre sui rami vari uccellini cantano accompagnati dal rumore prodotto dalle foglie. 22-51: Dante si è ormai inoltrato nella selva tanto che non può più vedere il punto da cui è entrato, quando giunge a un fiume (il Lete) le cui acque scorrono verso sinistra. Le acque più pure dei fiumi terrestri sembrerebbero sozze e fangose a paragone di quella di quel rio, per quanto essa scorra bruna sotto la fitta vegetazione. Dante si ferma e spinge lo sguardo al di là del fiume, dove scorge d'improvviso una giovane e bella donna (Matelda) che cammina solitaria e canta, mentre coglie vari fiori dal prato che percorre. Dante si rivolge a lei chiamandola bella donna e invitandola poi ad avvicinarsi a lui sulla riva del fiume. La donna, aggiunge Dante, gli ricorda Proserpina quando fu rapita da Plutone, evento in seguito al quale il mondo perse la primavera. 52-84: Matelda si volge a Dante come una donna che danza, procedendo tra i fiori rossi e gialli e abbassando gli occhi come una pudica vergine. Si avvicina tanto quanto serve a Dante per comprendere il suo canto e non appena è giunta sulla sponda del Lete alza i suoi occhi guardando il poeta. Lo sguardo della donna è pieno d'amore. Matelda ride sull'altra riva, mentre con le mani intreccia i fiori che ha raccolto: solo tre passi separano lei e Dante, che odia il fiume che si frappone a loro. Invita quindi Dante, che precede gli altri due, di rivolgerle liberamente altre domande, poiché lei è giunta per questo scopo. 121-132: L'acqua dei fiumi dell'Eden, spiega poi Matelda, non sgorga da una vena naturale alimentata dalle piogge, ma è prodotta direttamente dalla volontà divina: il Lete ha la virtù di cancellare la memoria dei peccati commessi, l'Eunoè invece 37-63: Beatrice ribatte che se anche Dante tacesse o negasse la propria colpa, questa le sarebbe comunque nota dal momento che la legge nella mente di Dio; tuttavia, quando il peccatore confessa, ciò attenua la severità del giudizio divino. Beatrice spiega che Dante sulla Terra non vide mai una bellezza superiore a quella del suo corpo mortale, che ora giace sepolto: dunque quale altra creatura terrena poteva suscitare il desiderio del poeta dopo la sua morte? Questa avrebbe dovuto indurlo a desiderare i beni eterni, invece di volare in basso seguendo una giovane donna o altri beni passeggeri; un giovane uccellino può cadere in una trappola, ma un volatile adulto non si lascia certo irretire come invece ha dimostrato Dante. 64-90: Dante ascolta in silenzio e si pente, quando Beatrice lo invita ad alzare lo sguardo e a sopportare una pena maggiore osservandola. Il poeta obbedisce non senza resistenza, quindi vede che gli angeli hanno cessato di spargere fiori. Dante prova odio verso ciò che, sulla Terra, lo ha distolto dall'amore di Beatrice, quindi la forza del pentimento è tale che il poeta sviene e solo Beatrice sa cosa gli sia accaduto dopo. 91-96: Quando Dante riprende i sensi, si ritrova immerso fino alla gola nel fiume Lete, con Matelda che lo sovrasta e lo esorta ad aggrapparsi a lei con forza. La donna cammina leggera sull'acqua, tirandosi dietro Dante, finché giungono presso la sponda opposta CANTO XXXII Argomenti del canto: Ancora nel Paradiso Terrestre. La processione torna indietro e si ferma presso un albero. Sonno e risveglio di Dante; Beatrice lo invita a osservare quel che segue. Vicende allegoriche del carro. È la tarda mattinata di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300. 100-108: Beatrice dice a Dante che resterà poco tempo nell'Eden dopo la sua morte, mentre ben presto diventerà per sempre cittadino del Paradiso insieme a lei. Poi lo esorta a osservare con attenzione ciò che sta per avvenire al carro, per scriverlo una volta tornato sulla Terra e giovare al mondo che vive nel peccato. Dante, desideroso di ubbidire a Beatrice, fissa lo sguardo sul carro come lei gli ha ordinato. 109-123: Dante vede calare dall'alto un'aquila, la quale squarcia i rami dell'albero, le foglie e i fiori appena nati. L'aquila danneggia poi il carro, che si piega e oscilla come una nave in tempesta. In seguito Dante vede una volpe che si avventa sul fondo del carro, affamata come se fosse digiuna da molto tempo. Beatrice la mette in fuga rimproverandola, e l'animale si allontana rapidamente. 124-141: A questo punto Dante vede nuovamente l'aquila scendere sul carro e lasciare qui alcune delle sue penne: una voce dal Cielo, simile a quella che esprime un profondo rammarico, dichiara che il carro è carico di una cattiva merce. Poi Dante vede la terra aprirsi fra le ruote del carro e uscirne un drago, che conficca la coda nel fondo del veicolo: esso trae fuori la coda maligna staccando una parte del carro, per poi allontanarsi. Il carro si ricopre delle penne lasciate dall'aquila fino a coprirsi completamente. 142-160: Così ricoperto dalle penne, il carro si trasforma e mette sette teste, tre sul timone e una per ognuno dei quattro lati: le prime sono cornute come quella di un bue, mentre le altre quattro hanno un solo corno ciascuna. Dante vede una sfacciata prostituta sedere sul carro diventato un mostro: accanto a lei c'è un gigante, che la sorveglia perché non si allontani e scambia con lei dei baci. A un tratto la prostituta rivolge a Dante uno sguardo pieno di desiderio e il gigante la frusta dalla testa ai piedi; poi stacca il carro dall'albero e lo trascina via nella foresta, finché il poeta non è più in grado di vedere né la meretrice, né il carro tramutato in un mostro. CANTO XXXIII Argomenti del canto: Ancora nel Paradiso Terrestre. Profezia di Beatrice sul «DXV» e missione di Dante. Matelda conduce Dante e Stazio a bere l'acqua dell'Eunoè. È mezzogiorno di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300. 34-51: Beatrice ribatte che Dante deve ormai abbandonare ogni vergogna e parlare in modo meno confuso. Beatrice profetizza che di lì a poco le stelle saranno favorevoli alla venuta di un «cinquecento, dieci e cinque» che sarà un inviato di Dio e che ucciderà la prostituta e il gigante che traffica con lei. Forse, aggiunge Beatrice, la sua profezia risulta troppo oscura per Dante, ma presto i fatti toglieranno ogni dubbio senza causare alcun danno. 52-57: Beatrice invita Dante a prendere nota delle sue parole, in modo da riferirle ai vivi sulla Terra, senza scordare di descrivere il modo in cui l'albero simbolico è stato depredato due volte. 112-135: qui Dante vede due fiumi (il Lete e l'Eunoè) che sgorgano da un'unica fonte e poi si dipartono, simili al Tigri e all'Eufrate. Dante, stupito, chiede a Beatrice quali siano quei fiumi e la donna invita il poeta a chiedere a Matelda. Questa ribatte di aver già fornito la spiegazione a Dante e che questo ricordo non può essere stato cancellato dal Lete, per cui Beatrice conclude che l'attenzione prestata da Dante ad altro ha forse provocato in lui questa dimenticanza. Beatrice indica poi a Matelda l'Eunoè, invitando la bella donna a condurre lì Dante per ravvivare la sua virtù. Matelda obbedisce prontamente e conduce Dante e Stazio al fiume. 136-145: Se Dante avesse più spazio da dedicare alla scrittura potrebbe descrivere il modo in cui bevve l'acqua dell'Eunoè, che ha un sapore così dolce che non sazia mai: tuttavia, poiché la II Cantica del poema è ormai ultimata, il freno dell'arte lo costringe a passare oltre. Dante, dopo aver bevuto, si allontana dalle acque sante del fiume completamente rinnovato nell'animo, come le piante in primavera rinnovano del tutto le loro fronde, cosicché è ormai purificato e pronto a salire in Cielo.
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