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Il paradiso di Dante, analisi e commento di tutti i canti, Dispense di Italiano

Descrizione dettagliata dell'universo dantesco, in particolare del Paradiso. Analisi dei personaggi e delle tematiche di ciascun canto

Tipologia: Dispense

2018/2019

In vendita dal 26/09/2021

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Scarica Il paradiso di Dante, analisi e commento di tutti i canti e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! Sommario L'universo di Dante --. 5 La struttura del paradiso. 6 Come leggere il testo- 7 Dante Alighieri (1265-1321)- 7 CANTO I --------2 9 L’invocazione ad Apollo e alle muse -------------- 9 Dante e Beatrice volano verso il cielo della Luna9 La musica delle sfere celesti L'ordine dell’universo L’empìreo, il luogo stabilito da Dio per gli CANTO II L'invito ai letto Il problema delle macchie lunari - Beatrice confuta l’opinione di Danti L'esperimento dei tre specchi La spiegazione di Beatrice ------------------------- CANTO II------- Il cielo della Luna Piccarda Donati Il voto non mantenuto Costanza d’ Altavilla - Piccarda si allontana -- CANTO IV Dante è preso da due dubbi La sede dei beati ---- Il problema della violenz delle due parti Volontà assoluta e volontà relativa- Il problema del voto inadempiuto L'essenza del voto e l’intervento della Chiesa - 17 La salita al cielo di Mercurio -- L'incontro con un nuovo spirito CANTO VI ------- L'imperatore Giustiniano La storia dell’ Impero ----. La condanna di guelfi e ghibelli Gli spiriti attivi del cielo di Mercurio Romeo di Villanova CANTO VII Gli spiriti si allontanano Divina commedia. Inferno, a cura di P. Genesini Beatrice spiega perché fu giusta la morte di Cristo e la punizione dei giudei 21 Beatrice spiega perché Dio ha redento l’uomo con la crocifissione di Cristo ------------------------——- 21 CANTO VIII Il cielo di Venere - Carlo Martello d’Angiò---------- Il malgoverno del fratello Roberto Il problema dei caratteri non ereditari La Provvidenza e il corretto uso delle risorse --24 CANTO IX ------nn iii 25 La profezia di Carlo Martello----------------------25 Cunizza da Romano, la ninfomane della Marca trevigiana --- Folchetto da Marsiglia, lo sterminatore di eretici----------------- Raab, la prostituta, e i piani di Dio - Il fiore maledetto che corrompe la Chiesa CANTO X---- Dante invita il lettore a contemplare la creazione--- La salita al cielo del Sole -. Gli spiriti del Sole Tommaso d'Aquino presenta gli altri spi Il canto della corona di beati----------------------- 28 CANTO XI 22229 Invettiva contro i falsi ragionamenti che spingono verso i beni terreni Tommaso d’Aquino La vita di Francesco d’Assisi. L’elogio dell’ordine francescani La condanna dell’ordine domenicano ------------29 CANTO XII La danza festosa delle due corone di spiriti -. Bonaventura da Bagnoregio La vita di Domenico di Calaruega La condanna dell’ordine francescane Gli spiriti della prima corona CANTO XIII Le due corone di spiriti Tommaso d’Aquino scioglie un dubbio sulla sapienza di Salomone La sapienza di Adamo e di C. La sapienza di Salomone -- E invita alla prudenza davanti a questioni poco Salomone parla dell’anima e del corpo riuniti dopo il giudizio universale La terza corona di spiriti La salita al cielo di Marte Gli spiriti si dispongono a croce greca Il canto della terza corona CANTO XV. Uno spirito scende dalla croce - Il trisavolo Cacciaguida degli Alighieri----. CANTO XVI Dante chiede della Firenze antica Cacciaguida parla della sua famigli: Le famiglie più importanti di Firenze Firenze era in pace --------------- 40 CANTO XVII ---- Dante chiede spiegazioni sulle profezie - Cacciaguida annuncia l’esilio, il suo distacco dai guelfi bianchi: ...l’ospitalità di Bartolomeo della Scala-- ...e la fama futura-----------—-—______- 4l La missione di rinnovamento morale affidata al poeta-- CANTO XVIII---------. Beatrice conforta Danti Gli spiriti assumono diverse configurazioni: L'aquila imperiale---. L’invettiva contro i papi che s fiorino CANTO XIX L'aquila parla a Dante Dante esprime un antico dubbio L'aquila risponde richiamandosi alle Sacre i: 45 Le due vie della salvezza: la fede e le buone opere----------- La condanna dei governanti cristiani -------------45 CANTO XX.----------. L'aquila tace e gli spiriti cantano Gli spiriti che formano la pupilla dell’aquila Anche i pagani si possono salvare ----------- Come Traiano e Rifeo si salvarono---------------47 CANTO XXI La salita al cielo di Saturno Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini La scala degli spiriti contemplanti Un beato si ferma a parlare con Dante L’imperscrutabilità dei disegni di Dio-- Pier Damiani parla della sua vita - Invettiva contro gli ecclesiastici CANTO XXII --. Dante è sopraffatto dal grido dei beati Benedetto da Norcia e il suo ordine La corruzione dell’ordine benedettino -- La costellazione dei Gemelli ---- Dante guarda i pianeti e la Terra CANTO XXIII: 53 Beatrice indica le schiere dei beati redente dal trionfo di Cristo-------------------- Dante guarda ma non sa ricordare Il trionfo di Cristo e di Maria al cielo - I beati cantano “O Regina del cielo” -- CANTO XXIV -. Beatrice invita gli spiriti a soddisfare la sete di sapere di Dante --- — Pietro interroga Dante sulla fede -- La professione di fede del poeta Pietro è soddisfatto delle risposte- Beatrice prega Giacomo di esaminare il poeta sulla speranza Beatrice risponde alla prima domanda Dante risponde alle altre due domande L'arrivo di Giovanni l’evangelista CANTO XXVI Giovanni esamina Dante sulla carità: Di ...@ le radici della carità - Beatrice restituisce la vista. Dante pone quattro domande a Adamo Adamo risponde L’invettiva di Pietro contro la corruzione della Chiesa --- L'ascesa dei beai La salita al Primo Mobile Beatrice parla del nono cielo--------- ...e condanna la cupidigia degli uomini CANTO XXVIII ---------nncnnn iene La prima visione di Dio ------- Le relazioni tra Dio, i cori angelici e le sfere celesti L’universo di Dante arcangeli angeli GERARCHIE ANGELICHE nti in Cristo credèù}i in Cristo venuto venturo CANDIDA ROSA purgatorio L\ aria d arià Gerusalemme cielo I Luna ielo Il: Mercudo cielo II: Venere cielo IV: Sole cielo V: Marte cielo VI: Giove cielo VII: Satumo cielo VII: Stelle Fisse cielo IX: Primo Mobile EMPÌREO Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 5 La struttura del paradiso arcangeli angeli GERARCHIE ANGELICHE bambini bambini CANDIDA ROSA Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini Come leggere il testo La Divina commedia è tradotta in prosa in un italiano corrente. Oggi la traduzione è inevitabile, per rendere l’opera leggibile e godibile. Ma la versione è fedele al testo: lascia le parole che hanno mantenuto lo stesso significato ed è sintetica tanto quanto l’originale. E un calco: spezzetta i lunghi periodi, modifica la sintassi e le proposizioni, poiché il testo risente della sintassi latina, mentre l'italiano di oggi ha una struttura più semplice. La riga in corsivo iniziale indica il luogo, l’ora e il gior no del viaggio. I titoletti che suddividono il testo per- mettono di individuare senza fatica gli argomenti di ogni canto. Un problema sono state le parafrasi, molto amate dalla retorica classica e medioevale, perché alzavano il livello letterario ed evocativo del testo. In mancanza di una seluzione soddisfacente, si sono lasciate e si sono chia- rite con una soluzione grafica: (=...). Una migliore comprensione richiede però le informa- zioni sintetiche che si sono messe nel paragrafo I perso- naggi. Il Commento che segue offre ulteriori chiarimenti ed anche uno scamo commento al canto, ma non vuo- le essere invasivo. Serve a una buona lettura anche la sintetica biografia dell’autore e la conoscenza dei sensi della senttura. In tal modo il lettore viene a un contatto diretto con il poema ed apprezza le invenzioni e i repentini cambia- menti di scena operati. Aiuti derivano anche da due opere, presenti nel sito: http: ‘www.letteratura- italia- nacom/ pdf/divina%20commedia/05%20L'officina%20di%20D ant epdf http: ‘ruwrw.letteratura= italia: nacom/ pdf/divina%20commedia/11%20Fili%20conduttori. pdf Dopo 700 anni ha ancora senso leggere il poema dan- tesco perché ha ancora molte cose da dirci, sia di lette- ratura, sia di politica, sia di aste, sia di vita. Ci si può confrontare e lo si può discutere. Si scoprono var mondi: il mondo irriverente del linguaggio scurnle, il mondo della vita, dell’arte, della scienza, della fede, del- la ragione e della teologia, il passato, il presente, il futu- 10, la passione politica, la partigianera, l’odio, l’amore, la cultura, la pietà, il sadismo e la vendetta, ma anche l’amarezza, amicizia, la commozione, la tenerezza, il rispetto per gli avversari politici, la nostalgia, la consa- pevolezza delle proprie capacità. E si incontra una ca- tegoria senza fine di personaggi veri, inventati, fiorenti ni, italiani europei, del passato e del presente. Che ci offrono tutta la loro vita in pochi versi sintetici. E il poema - poco più di 240 facciate in A4 - fa cresce- re il lettore a dismisura. Veramente a dismisura. Padova, 27.10.2017 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini Dante Alighieri (1265-1321) La vita. Dante Alighieri nasce a Firenze nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà. Ha una formazione letteraria accurata e si mette in luce come il maggiore esponente del Dolce stil novo. Sono stilnovistiche le rime, che il poeta in seguito riordina, reinterpreta e in buona parte inserisce nella Vita nova (1292-93), dedica- ta a Beatrice (Bice di Folco Portinari), la donna ideale di cui si innamora. Nel 1285 sposa Gemma Donati, da cui ha tre figli. Nel 1290 passa un periodo di travia- mento spirituale, quando Beatrice muore. Nel 1295, ormai trentenne, entra nella vita politica. Per far ciò, si iscrive all'Arte degli Speziali, come imponevano gli Or dinamenti di giustizia antinobiliari di Giano della Bella (1294). Nel 1266 i guelfi, partigiani del papa, avevano cacciato dalla città i ghibellini, partigiani dell’impera- tore. I vincitori si erano poi divisi in due fazioni politi- che, Bianchi e Neri, in continua lotta tra loro. Egli si schiera con i Bianchi, e ricopre numerosi incarichi. Nel 1300 diventa priore semestrale della città e proprio mentre è in carica è preso il provvedimento di allonta- nare dalla città gli elementi più rissosi delle due parti, tra cui il cognato Corso Donati e l’amico Guido Caval- canti. Nel 1301 è uno dei tre ambasciatori inviati a Roma per persuadere papa Bonifacio VIII a non invia- re Carlo di Valois e le sue truppe francesi con il compi- to di pacificare la Toscana, in realtà con lo scopo di favorire i Neri. Il tentativo fallisce: Carlo di Valois en- tra in Firenze, così i Neri si possono impadronire della città. Dante è accusato di baratteria ed esiliato. Se non titomava a Firenze a discolparsi, sarebbe stato condan- nato a morte. Il poeta non ritoma. Inizia così il periodo dell'esilio. Nel 1304 i Bianchi cercano di ritomare a Fi- renze con le armi, ma sono duramente sconfitti. Dante non partecipa allo scontro, perché non condivide la lo- to strategia, basata sul ricorso alle armi. Da questo momento si allontana definitivamente da loro. Nel 1305 gli è rinnovata la condanna a morte, che è estesa ai figli al raggiungimento dei 14 anni. Incomincia così a vagare per l’Italia centrale e settentrionale. È ospitato in diverse corti: in Lunigiana presso i Malaspina (1305- 06), nel castello di Poppi presso Guido di Battifolle (1307-11). In questi anni compone il De vulgari eloquentia (1303-05) e il Comino (1304-07), che restano incom- piuti; e inizia la prima cantica della Divina commedia (1306-14). Nel 1311 è escluso dall’amnistia promulgata a favore dei Bianchi esiliati. Così lascia per sempre la Toscana. È ospite con i figli presso Cangrande della Scala, signore di Verona (1312-18). In questi anni inizia e porta a termine la seconda cantica della Divina comme dia (1312-15) e compone il De monàrehia (1313-18). A Verona è raggiunto dalla proposta di amnistia a condi- zione che pagasse una multa e si riconoscesse colpevo- le (1315). Egli nfiuta, perciò è ribadita la pena di morte, che è estesa anche ai figli. Intanto cresce e si diffonde la sua fama di posta grazie al successo delle prime due cantiche. Inizia e porta a termine la terza cantica della Divina commedia (1316-21). Nel 1318 si trasferisce a Ra- venna, ospite di Guido Novello da Polenta. Qui muore nel 1321. L’empireo, il luogo stabilito da Dio per gli uomini Ed ora lì, nell’empìreo, come al luogo stabilito da Dio per noi, ci porta la virtù di quella corda (=la for- za di quell’impulso), che dirige sempre a lieto fine tutto ciò che scocca. È vero che, come la forma spesso non si accorda all’intenzione dell’artista, per- ché la materia è sorda; così da questo corso si allon- tana talvolta la creatura, che ha il potere di andare in un’altra direzione, pur essendo così spinta dall’istinto naturale. E, come si può veder cadere un fulmine sul- la Terra, così l’impeto primo si rivolge alla Terra, deviato dal falso piacere dei beni mondani. Non devi meravigliarti, se giudico bene, per il tuo salire al cie- lo, più di quanto non ti meraviglieresti per un ruscel- lo, che dall’alto del monte scende giù in basso. Nel tuo caso farebbe meraviglia se, privo d’impedimenti, tu fossi rimasto giù in Terra, come farebbe meravi- glia sulla Terra la quiete in una fiamma viva!» Quindi rivolse il viso verso il cielo. 1©I I personaggi Colui che tutto move è Dio, interpretato aristoteli- camente come il Motore Immobile che infonde il mo- vimento all’universo: tutti gli esseri, animati e inani- mati, tendono a Lui, in quanto Egli li attrae come fine ultimo. Il Dio cristiano però ha creato ed ama le sue creature. Alla fine della Divina commedia è presen- tato nuovamente come «l’Amor, che move il Sole e l’altre stelle» (Pd XXXII, 145). Apollo e le muse secondo la mitologia greca proteg- gevano le arti. Abitavano il Parnàso, un monte della Grecia centrale ad essi consacrato, che aveva due cime, Citer6ne ed Elic6na. Marsia, un satiro della Frigia, è abilissimo a suonare la cornamusa, tanto da sfidare Apollo. Le muse fan- no da giudici. Il dio lo sconfigge. Per punirlo della sua presunzione, lo lega ad un albero, lo scuoia e lo cuce dentro la sua pelle. Beatrice di Folco Portinari (1265-1290), che va sposa a Simone de’ Bardi, è la donna a cui Dante de- dica la Vita nova (1292-93), una specie di diario in cui il poeta parla del suo rinnovamento spirituale provocato dall’amore verso di lei. Dopo la morte della donna Dante ha una crisi spirituale, da cui l’amico Guido Cavalcanti cerca di farlo uscire. Nel poema diventa il simbolo della fede e della teologia, perciò essa, non più Virgilio, è destinata a guidare il poeta nel viaggio attraverso il paradiso. Il passaggio delle consegne avviene significativamente in cima al paradiso terrestre (Pg XXX, 49-51), il punto estremo che la ragione umana può raggiungere. Alla fine dell’opera la donna però cede il posto a Bernardo di Chiaravalle, simbolo della fede mistica. Soltanto la fede mistica permette l’incontro con Dio. Glauco è un pescatore della Beozia. Un giorno vede che i pesci, che ha posato su un prato sconosciuto, ritornano in vita e si gettano nell’acqua dopo che ne hanno mangiato l’erba. Egli li imita e si trasforma in divinità marina. La fonte di Dante è Ovidio, Metam. XII, 898-968. Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 10 I segni dello Zodiaco sono: Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagitta- rio, Capricorno, Acquario, Pesci. Il nome deriva dal greco toduikéc, zodiakés, a sua volta composto da Géiov, zòon, animale, essere vivente, e 6d6c, hodbs, strada, percorso, cioè cerchio degli animali. È costi- tuito da 12 segni, ognuno di 30 gradi di latitudine. Commento 1. Il canto si sviluppa in queste fasi: a) il poeta invo- ca Apollo e le muse; b) pone a Beatrice una doman- da (che cos'è la musica che ode) e riceve da essa la risposta (è la musica provocata dal movimento delle sfere celesti, perché essi sono ormai in cielo); c) po- ne un’altra domanda (come può essere in cielo lui, corpo e anima) e riceve la risposta (egli va nel luogo naturale - il paradiso - stabilito da Dio per gli uomi- ni); d) la donna coglie l'occasione per esporre l’ordi- ne dell’universo (Dio ha posto dentro ogni essere un istinto, che lo conduce al suo fine; il fine dell’uomo è andare in paradiso), che è la parte più importante del canto. 2. Il canto inizia con Dio, la cantica come l’intera opera termina ancora con Dio (Pd XXXII, 145). Dio è presentato nello stesso modo: nel primo caso come Colui che muove tutto l’universo, nel secondo come l'Amore che muove il Sole e le altre stelle. Egli quindi muove tutto l’universo, che pervade con il suo amore. Il Dio di Aristotele è puro pensiero, pensiero immateriale, e pensa sempre e unicamente se stesso, non potendo pensare qualcosa di inferiore diverso da sé. E la sfera estrema, che attira a sé tutti gli altri es- seri. Il Dio cristiano invece è esterno al mondo, che ha creato dal nulla, ed ha un rapporto d’amore con il mondo e con le creature: il suo amore pervade e pe- netra tutto l’universo, non escludendo alcuna creatu- ra, nemmeno i demoni, che sono strumenti della sua volontà. Anch’Egli attrae tutti gli esseri come fine, ma Egli lo fa consapevolmente e volontariamente. 3. La terzina iniziale dà la percezione fisica della glo- ria e dell’energia, più che della potenza, di Dio che dall’empìreo si espande e si diffonde per tutto l’uni- verso. Nel canto ci sono numerosi altri versi che danno la stessa sensazione fisica. Questi versi si possono chiamare, per l’energia che contengono e che esprimono, «versi splendenti». Essi s'incontrano unicamente nel Paradiso. Sono il risultato finale di una prassi versificatoria che caratterizza tutta la Di- vina commedia: i versi sintetici, che contengono mol- ti fatti in poche parole; e i versi sovra-densi, che contengono molti riferimenti in poche parole. Un ver- so sovra-denso, per quanto ancora molto semplice, è il verso iniziale dell’opera: il protagonista ha 35 anni, cioè è nel mezzo del cammino della vita, è se stesso, è simbolo dell’umanità errante, che cerca la via della salvezza ecc. Un esempio di versi sintetici, ancora molto semplice, sono i pochi versi - lo «scorcio» - con cui il poeta parla dell’anonimo fiorentino che si suicida nelle sue case (/f XII, 139-151), soprattutto l’ultimo verso; i pochi versi in cui Dante e Virgilio escono dall’inferno (If XXXIV, 127-132); i pochi versi che racchiudono la vita di Pia de’ Tolomei (Pg V, 130-136) e di Piccarda Donati (Pd II, 97-108). Canto Il Cielo della Luna, spiriti inadempienti, 13 aprile 1300 L’invito ai lettori O voi, che in una barca piccoletta, desiderosi di a- scoltare, avete seguìto il mio legno, che con un canto più dispiegato varca nuove acque, tornate a riveder le vostre spiagge, non mettetevi per mare, perché for- se, perdendo me, rimarreste smarriti. L'acqua, che io affronto, non fu mai percorsa: Minerva gonfia le mie vele, Apollo mi conduce e nove muse mi mostrano la strada. Voi altri pochi, che per tempo alzaste il capo al pane degli angeli, del quale si vive qui sulla Terra ma non si è mai sazi, potete ben mettere per il mare profondo il vostro naviglio, tenendovi sempre sulla mia scia, prima che l’acqua torni uguale. Quei valo- rosi marinai, che andarono nella Colchide, non si me- ravigliarono come voi farete, quando videro il loro capo Giasone farsi bifolco. L’innata e perpetua sete per l’empìreo, il regno più simile a Dio, ci portava veloci quasi come vedete correre veloce il cielo delle Stelle Fisse. Beatrice guardava in alto ed io guardavo in lei. E forse in tan- to tempo, in quanto una freccia si stacca dalla bale- stra, vola e si posa, mi vidi giunto nel cielo della Lu- na, dove una cosa mirabile attrasse il mio sguardo a sé. Perciò colei, alla quale nessun mio pensiero po- teva essere nascosto, si rivolse verso di me con e- spressione tanto lieta quanto bella: «Innalza a Dio la tua mente piena di gratitudine» mi disse, «che ci ha congiunti con il primo pianeta!» Il problema delle macchie lunari Parve a me che ci avvolgesse una nube lucente, spessa, solida e liscia come un diamante colpito dal- la luce del Sole. La gemma incorruttibile della Luna ci accolse dentro di sé, come l’acqua riceve il raggio di luce rimanendo unita. Se io ero corpo, e qui sulla Terra non si concepisce che una dimensione sopporti un’altra (come succede se un corpo penetra in un al- tro), questo fatto dovrebbe accendere di più in noi il desiderio di vedere quell’essenza, nella quale si vede come la nostra natura e Dio si unirono in Cristo. Lì si vedrà ciò che tenemmo per fede: non sarà dimostrato razionalmente, ma sarà noto per sé, come le verità prime, che l’uomo crede. Io risposi «O donna mia, devoto quanto più posso, ringrazio Dio, che mi ha allontanato dal mondo dei mortali. Ma, ditemi, che cosa sono le macchie scure di questo corpo, che sulla Terra hanno fatto nascere la favola di Caino?» Ella sorrise alquanto, poi mi disse: «Se erra l'opinione dei mortali dove la chiave dei sensi non ci schiude la porta della conoscenza, cer- tamente non ti dovrebbero pungere ormai gli strali della meraviglia, perché vedi che, seguendo i sensi, la ragione ha le ali corte. Ma dimmi quel che tu pensi da te». Ed io: «Ciò che quassù ci appare diversamente luminoso credo che sia prodotto dai corpi rari e dai corpi densi presenti in essa...» Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini Beatrice confuta l'opinione di Dante Ed ella: «Vedrai facilmente dimostrata falsa la tua credenza, se ascolti bene l’argomentazione, che io le opporrò. L'ottava sfera, il cielo delle Stelle Fisse, vi mostra molte luci, che appaiono di aspetto diverso per quali- tà come per quantità di splendore. Se soltanto il raro e il denso facessero ciò, una stessa virtù sarebbe in tutte le stelle, distribuita in quantità maggiore, minore e uguale. Virtù diverse devono essere il risultato di princìpi formali diversi e quei princìpi, tranne uno, quello della densità, sarebbero conseguentemente di- strutti con il tuo ragionamento. Ancora, se il raro fos- se causa di quel bruno, che tu domandi, o questo pianeta sarebbe in qualche parte scarso di materia 0, come un corpo comprende una parte grassa e una magra, così questo pianeta avrebbe pagine diverse nel suo interno. Se fosse vero il primo caso, ciò sa- rebbe manifesto durante l’eclisse di Sole, perché la luce del Sole trasparirebbe dalla Luna, come traspare quando attraversa un altro corpo raro. Questo traspa- rire non c’è, quindi l’opinione è falsa. Perciò bisogna vedere l’altro caso. E, se avviene che io confuti an- che l’altro, la tua opinione sarà dimostrata falsa. Se questo raro non attraversa la Luna da parte a parte, ci dev'essere un termine dal quale il raro non lascia più passare il suo contrario; e da qui il raggio del Sole si riflette come il colore delle cose torna indietro per il vetro, che dietro a sé nasconde quella pattina di piombo che lo trasforma in uno specchio. Ora tu di- rai che il raggio si mostra scuro in quel punto più che in altre parti, perché lì è riflesso più all’interno del corpo lunare. L’esperimento dei tre specchi Da questa obiezione ti può liberare un esperimento, se mai volessi farlo, che di solito è fonte di cono- scenza per i ruscelli delle vostre arti. Prendi tre specchi, ne metti due alla stessa distanza da te, e col- lochi il terzo più lontano, ma in modo che incontri i tuoi occhi tra i primi due. Rivolto ad i, fa” che dietro le spalle ti stia un lume che illumini i tre spec- chi e che torni a te riflesso da tutti. Benché per quan- tità l’immagine più lontana non si estenda tanto quan- to l’immagine riflessa dagli altri due specchi, tuttavia vedrai che anche lì, nel terzo specchio, la luce deve risplendere qualitativamente uguale. La spiegazione di Beatrice Ora, come sotto i colpi dei caldi raggi del Sole il soggetto della neve, l’acqua, rimane privo sia del co- lor bianco sia del freddo precedenti; così voglio il- luminare il tuo intelletto, che è rimasto libero dai pregiudizi, con una verità tanto vivace, che nel veder- la essa scintillerà come una stella davanti ai tuoi oc- chi. Dentro l’empìreo, il cielo della pace divina, ruo- ta un corpo, il primo mobile, sotto la cui virtù giace l’essere di tutto ciò che contiene, gli otto cieli mobili e la Terra. Il cielo seguente, quello delle Stelle Fisse, che ha tante stelle, ripartisce quell’essere fra le di- verse essenze, da lui distinte e da lui contenute. Gli altri sette cieli inte secondo le varie differenze di- spongono ai loro fini e ai loro effetti le distinte es- senze, che hanno dentro di sé. Questi organi del mondo vanno, come ormai vedi, di grado in grado: prendono dal cielo superiore e influiscono sul cielo inferiore. Guarda bene ormai come io vado per questo ragio- namento al vero che tu desideri, così che tu poi sap- pia passare il guado da solo [e continuare il mio ra- gionamento]. Il moto e la virtù attiva delle sante sfe- re, come deriva dal fabbro l’arte del martello, devono spirare dai beati motori. E il cielo delle Stelle Fisse, che è abbellito da tante luci, riceve l’immagine e si fa suggello di quell’intelligenza profonda, quella dei cherubini, che lo fa girare. E, come l’anima, che è dentro il vostro corpo, si esprime per mezzo di mem- bra differenti e ordinate ai diversi sensi; così l’in- telligenza motrice dei cherubini dispiega il suo in- flusso, reso molteplice per mezzo delle stelle, facen- do ruotare se stessa ma mantenendo la sua unità. La diversa virtù dei cherubini si unisce in modi diversi con il corpo celeste incorruttibile, che ella ravviva, nel quale si lega come la vita in noi. Per la natura lie- ta, da cui deriva, la virtù attiva dei cherubini mesco- lata al corpo celeste riluce come la letizia dell’animo nella pupilla dell’occhio. Da questa virtù mista, non dal denso e dal raro, pro- viene ciò che appare differente fra una stella e un’altra: essa è il principio formale, che produce, se- condo la sua capacità, l'oscuro e il chiaro». -—IoL-- I personaggi Minerva è sorella di Giove e simbolo della sapienza. Gli Argonauti, cioè i marinai della nave Argo, si spingono nella Colchide, per impadronirsi del vello d’oro. Si stupiscono, quando vedono Giasone, il loro capo, aggiogare due buoi dalle corna di ferro, arare un campo e seminarvi denti di serpente, per portare a termine l'impresa. Dai denti nascono uomini armati. La fonte di Dante è Ovidio, Metam. VII 100 sgg. Caino è figlio di Adamo e di Eva, i progenitori del- l’umanità (Gn 4, 1-16). Uccide per invidia il fratello Abele, che sacrificava a Dio i prodotti e gli animali migliori. Dio gli chiede dov’è suo fratello. Egli ri- sponde che non è responsabile per lui. Dio allora lo punisce segnandolo. Nel Medio Evo si pensa che sul- la Luna sia impressa l’immagine di Caino con una corona di spine, per ricordare agli uomini quell’anti- co fatto di sangue e spingerli ad un comportamento di solidarietà. Dante rifiuta questa credenza popolare sulle macchie lunari e propone una spiegazione in sintonia con la fisica del suo tempo. I cherubini sono la schiera angelica più elevata. Le schiere angeliche sono nove e sono ordinate in una gerarchia: cherubini, serafini, troni, dominazioni, vir- tù, potestà, principati, arcangeli, angeli. Dante tratta degli angeli (creazione, natura, divisioni ecc.) in Conv., IL 5, e in Pd XXVI-XXIX. Commento 1. Dante invita i lettori a ritornare in porto perché non sono più capaci di seguirlo. Gli altri pochi che per 12 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini tempo si sono nutriti di cultura, il pane degli angeli, lo possono ancora seguire, ma devono restare nella sua scia e non perderlo di vista. Nella selva oscura dubitava di avere le capacità d’intraprendere il viag- gio nell’al di là (/f IL 10-12), e Virgilio lo rimprove- rava. Ora invece è rinfrancato dal lungo viaggio per- corso e dal controllo che nel corso della composizio- ne delle prime due cantiche è riuscito ad acquisire sui suoi strumenti espressivi. 2. La spiegazione delle macchie lunari mostra che cosa la scienza medioevale intendeva per spiegazio- ne di un fatto naturale: l’osservazione del fenomeno e il suo inserimento in un contesto più vasto, in que- sto caso l’universo. Nella spiegazione erano coinvol- ti i principi primi e il loro influsso sul fatto naturale che doveva essere spiegato. Le spiegazioni che Dan- te pone in bocca a se stesso e che fa confutare da Beatrice sono esempi di spiegazioni limitate perché parziali. Il coinvolgimento dei principi primi era ine- vitabile: tutto proviene da essi e tutto ritorna ad essi. E ogni fatto trova la sua spiegazione in rapporto ad essi e in rapporto al contesto più vasto in cui è inse- rito. Il principio primo supremo è lo stesso Dio, che interviene nell’universo attraverso i suoi ministri, ad esempio gli angeli - i motori celesti - che imprimono movimento ai cieli. Dietro questa teoria della spie- gazione sta la teoria aristotelica delle cause (causa materiale, formale, efficiente e finale), ma anche la convinzione, comune al pensiero greco e a quello cri- stiano, che l’universo sia estremamente piccolo e fat- to a misura d’uomo. Questa convinzione era ancora più forte nel Medio Evo, per il quale Dio non impri- meva soltanto il movimento al mondo (come il Dio di Aristotele), ma lo aveva anche creato con un atto d’amore e si preoccupava costantemente di esso e degli uomini. 3. L'universo medioevale è costituito da tante sfere concentriche, ognuna delle quali è mossa da un moto- re angelico. I fisici del Medio Evo prendono da Ari- stotele la concezione dell’universo come costituito da 53 o 57 sfere eccentriche, cristalline e trasparenti, sulle quali erano incastonati i pianeti, che così non cadevano gli uni sugli altri. Peraltro danno un aspetto visibile, materiale, ai motori che imprimono il movi- mento ai cieli: angeli, arcangeli ecc. La sfera più e- sterna, il Motore Immobile in Aristotele, il Dio Crea- tore nella visione cristiana, imprime alle sfere sotto- stanti il movimento del fine, cioè tutte le cose si muovono verso di Lui perché attratte da Lui. 4. Scienziati greci e medioevali si sono scontrati sen- za successo con il problema del movimento: con il ragionamento si può dire che una cosa è mossa da sé o è mossa da altro. Poiché non si può procedere all’infinito, esiste una prima cosa che nuove e che non è mossa. E il Primo Motore Immobile è Dio. La scienza moderna esce dalla difficoltà elaborando il principio di inerzia (“un corpo persevera nel suo sta- to di quiete o di moto rettilineo...” Galilei, 1632) e introducendo la forza di gravità che, come il Dio dan- tesco, pervade tutto l’universo (Newton, 1687). Nel 1609 Galilei con il cannocchiale scopre che le ombre sulla Luna sono montagne. Con lui nasce la scienza moderna, che si potenzia con gli strumenti. Canto IV Cielo della Luna, spiriti inadempienti, 13 aprile 1300 Dante è preso da due dubbi Posto tra due cibi, ugualmente distanti e attraenti, l’uomo, dotato di libero arbitrio, morirebbe di fame prima di mettere sotto i denti l’uno o l’altro. Così starebbe un agnello tra due lupi feroci ed affamati, temendo ugualmente l’uno e l’altro; così starebbe un cane da caccia tra due daini. Pertanto, se io tacevo, non mi rimprovero né mi elogio, poiché ero sospinto nella stessa misura dai miei dubbi e perciò non ave- vo possibilità di scelta. Io tacevo, ma il mio deside- rio era dipinto nel viso e con esso la mia domanda, molto più esplicita che se l’avessi formulata con le parole. Beatrice fece con me quello che fece il profe- ta Daniele, liberando Nabuccodonosor dall’ira, che lo aveva reso ingiustamente crudele; e disse: «Io vedo bene come l’uno e l’altro desiderio ti tra- scinano, tanto che la tua preoccupazione ostacola se stessa a tal punto che non spira fuori di bocca. Tu argomenti in questo modo: “Se la buona volontà perdura, per quale motivo la violenza altrui mi fa diminuire la misura del merito?” Ancora ti dà motivo di dubitare il fatto che le anime sembrano tornare alle stelle, secondo l’affermazione di Platone. Queste sono le questioni che premono con uguale forza sulla tua volontà, perciò tratterò prima quella che contiene più veleno nei confronti della dottrina cristiana. La sede dei beati Quello dei serafini che sta più vicino a Dio, Mosè, Samuele e quello dei due Giovanni, il Battista o l’Evangelista, che vuoi prendere, io dico, non esclusa nemmeno la Vergine Maria, non hanno le loro sedi in un cielo diverso da quello di questi spiriti che or ora ti sono apparsi, né in questa loro beatitudine restano un numero maggiore o minore di anni; ma tutti abbel- liscono con la loro presenza l’empìreo, il primo cielo, e godono della loro vita beata in misura diversa, se- condo la loro capacità di sentire più o meno intensa- mente l’ardore di carità che lo Spirito Santo desta in loro. Qui, nel cielo della Luna, esse si mostrarono, non perché sia data loro in sorte questa sfera, ma per dare a te un segno concreto della sfera celeste che ha meno salita perché è più lontana dall’empìreo. Così conviene parlare al vostro ingegno, perché soltanto dai segni sensibili esso apprende ciò che poi fa de- gno di conoscenza per l’intelletto. Per questo scopo la Sacra Scrittura si adatta alle vostre capacità intel- lettuali, e attribuisce a Dio piedi e mani, e intende altro, la realtà spirituale; e la Santa Chiesa vi rappre- senta con l’aspetto umano l’arcangelo Gabriele e Mi- chele, e quell’altro (=Raffaele) che guarì Tobia. Quello che nel Timeo Platone afferma sulle anime non corrisponde a ciò che qui si vede, poiché pare che egli intenda letteralmente quel che dice. Dice che l’anima ritorna alla sua stella e crede che essa sia stata strappata da qui quando la natura la diede ad un corpo come forma vitale. Ma forse la sua afferma- zione è diversa da quello che le parole dicono e può Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini contendere un’idea niente affatto ridicola. Se egli in- tende che a queste ruote dei cieli vanno fatti risalire il merito e il demerito degli influssi buoni o cattivi degli astri sugli uomini, forse il suo arco colpisce in parte la verità. Questa dottrina degli influssi astrali, male interpretata, un tempo fece errare quasi tutto il mondo, tanto che giunse all’eccesso d’indicare i pia- neti con il nome di Giove, Mercurio e Marte. Il problema della violenza: la correspon- sabilità delle due parti L'altro dubbio che ti turba ha meno veleno, perché la sua malizia non ti potrebbe condurre lontano da me. Il fatto che la giustizia divina appaia ingiusta agli oc- chi dei mortali, è un argomento a favore della fede e non una dimostrazione delle maligne affermazioni degli eretici. Ma, poiché il vostro intelletto può ben penetrare in questa verità, come desideri, ti farò con- tento. Se la vera violenza si ha soltanto quando colui che la subisce non favorisce in alcun modo colui che gliela infligge, queste anime non furono scusate per la violenza subita; perché la volontà, se non vuole, non si smorza, ma si comporta come l’istinto naturale fa nel fuoco, anche se per mille volte la violenza cer- ca di piegarlo verso il basso. Perciò, se ella si piega molto o poco, segue la forza. Così fecero queste a- nime, pur potendo fuggire nuovamente nel monastero. La loro volontà, se fosse stata salda, come quella che tenne Lorenzo sulla graticola e quella che fece Muzio Scevola severo verso la sua mano, le avrebbe riso- spinte per la strada del chiostro da cui erano state strappate, non appena erano libere dalla minaccia della violenza. Ma una volontà così salda e inflessi- bile è troppo rara. Da queste parole, se le hai ascoltate bene come do- vevi, è invalidato l'argomento che ti avrebbe angu- stiato anche in futuro. Ma ora dinanzi agli occhi ti si pone di traverso una tale difficoltà, che con le tue so- le forze non ne usciresti: prima ti stancheresti. Io ti ho già messo nella mente come cosa certa che l’anima beata non potrebbe mentire, poiché è sempre vicina a Dio, la Verità Prima. E poi da Piccarda hai potuto udire che Costanza mantenne saldo nel cuore l’affetto per il velo monacale; così che pare che ella qui contraddica le mie parole. Molte volte, o fratello, è già accaduto che, per fuggire un pericolo, si fece contro voglia quello che non conveniva fare. Come Almeone, che, pregato da suo padre, uccise la pro- pria madre: per non venire meno alla pietà verso il padre, si fece spietato con la madre. A questo punto voglio che tu pensi che la violenza di chi la infligge si mischia alla volontà di chi la subisce, e fanno sì che le offese a Dio non si possano scusare. Volontà assoluta e volontà relativa La volontà assoluta, quella sciolta da ogni condizio- namento, non acconsente alla violenza; ma vi accon- sente nella misura in cui, se resiste, teme di cadere in un affanno maggiore. Questa è la volontà relativa. Perciò, quando Piccarda si espresse come hai udito, parlava della volontà assoluta, io invece parlavo dell’altra; così che entrambi diciamo la verità». Tale fu lo sviluppo del ragionamento di Beatrice, che uscì da Dio, la fonte da cui deriva ogni verità. Esso soddisfece l’uno e l’altro desiderio che provavo. Il cammino dal dubbio alla verità «O donna amata dal Primo Amante, o divina» io dissi di séguito, «le cui parole m’inondano e mi riscaldano a tal punto, che mi ravvivano sempre di più, il mio affetto non è tanto profondo, che basti a ringraziarvi per la grazia ricevuta. Ma Colui che vede e può tutto vi dia la giusta ricompensa. Io vedo bene che il no- stro intelletto non si sazia mai, se non lo illumina la verità divina, fuori della quale non esiste alcun’altra verità. Si riposa in essa, come una fiera si riposa nel suo covile, non appena l’ha raggiunta. E la può rag- giungere. Se non la raggiungesse, ciascun desiderio sarebbe vano. Per questo motivo il dubbio nasce, come un figlio, ai piedi della verità. Ed è la nostra natura di esseri razionali che ci spinge di colle in col- le fino alla sommità (=la verità). Questo fatto, o donna, m'’invita, questo fatto m’inco- raggia con riverenza a domandarvi di un’altra verità che mi è oscura. Io voglio sapere se l’uomo può sod- disfare ai voti inadempiuti con altri beni, che alla vo- stra bilancia non siano inferiori». Beatrice mi guardò con gli occhi pieni di faville di amore e così divini, che, vinta, la mia capacità visiva si volse altrove, e quasi mi smarrii con gli occhi chi- nati verso terra. Io L-- I personaggi Il profeta Daniele (Dn 2, 1-46) con l’aiuto divino spiega al re babilonese Nabuccodonosor (604-562 a. C.) un sogno che questi aveva fatto e che non ricor- dava bene. Platone di Atene (427-447 a.C.) è il maggiore di- scepolo di Socrate e uno dei maggiori filosofi greci. Espone le sue teorie nei Dialoghi, per indicare che la filosofia è discussione e ricerca e poi anche conclu- sione. I più importanti sono: Apologia di Socrate, Convivio, Fedone, Repubblica, Parmenide, Timeo, Leggi. I nuclei centrali del suo pensiero sono la dot- trina delle idee. Le idee delle cose sono universali e necessarie ed esistono dall’eternità nell’iperuranio, cioè oltre il cielo. Un demiurgo divino le ha prese a modello per plasmare le cose, che sono particolari e contingenti. L'anima umana viveva come le idee nel- l’iperuranio ed è perciò immortale. Da qui è precipi- tata ed è entrata nel corpo. Il trauma della nascita le ha fatto dimenticare le conoscenze che aveva, ma che può cercare di ricordare. La conoscenza è quindi ri- cordo. Con la morte ritorna al cielo. La realtà vera è la realtà delle idee: le cose sono una semplice copia. Nella Repubblica egli immagina una società triparti- ta: la classe dei filosofi con funzioni di governo, quella dei soldati con il compito della difesa e quella dei produttori (contadini e artigiani), che assicura il sostentamento delle altre due. Le donne sono in co- mune e non esiste la proprietà privata. Nelle Leggi ritorna ad una visione più tradizionale dello Stato. Per certi versi le sue teorie sono più vicine di quelle Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini aristoteliche al pensiero cristiano (l'immortalità del- l’anima, il demiurgo). Perciò è accolto con favore da sant'Agostino e dalle correnti agostiniane e mistiche. Mosè, Samuele, Giovanni il Battista e Giovanni l’Evangelista sono personaggi dell’Antico e del Nuovo testamento. Gabriele, Michele, Raffaele sono arcangeli che ap- paiono nell’Antico testamento. Essi sono puri spiriti, ma la Chiesa permette di raffigurarli come esseri umani per darne una rappresentazione sensibile al- l’intelletto umano. Giove, Mercurio e Marte sono divinità pagane che nel sec. II a.C. sono identificate nei pianeti. Lorenzo è un diacono romano che muore bruciato vivo su una graticola nel 258 durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano. Muzio Scevola è un soldato romano che cerca di uc- cidere il re etrusco Porsenna, per salvare Roma. Non vi riesce, perciò brucia su un braciere il braccio che aveva sbagliato, suscitando l'ammirazione del sovra- no nemico (sec. VI a.C.). Piccarda Donati (seconda metà del sec. XII) e Co- stanza d’Altavilla (1154-1198) scelgono la vita del chiostro da cui sono strappate. La prima è data in sposa dal fratello Corso Donati a un compagno di partito. È imparentata con Gemma Donati, moglie di Dante. La seconda diventa moglie dell’imperatore Enrico VI di Svevia (1186). Dante riprende una leg- genda, tendente a screditare il partito imperiale. Almeone uccide la madre Erifile per obbedire al pa- dre Anfiarao, che, comparso in sogno, accusava la moglie di avere causato la sua morte rivelando il suo nascondiglio in cambio della collana dell’eterna gio- vinezza. La fonte è Ovidio, Metam. IX, 408 sgg. Commento 1. Il canto è il canto dei dubbi: due dubbi, due rispo- ste e un chiarimento, e un terzo dubbio che avrà ri- sposta soltanto nel canto successivo. Dante si allon- tana dalla realtà concreta dell’inferno, dimentica la realtà concreta della sua vita e passa o si rifugia nel mondo delle questioni scientifiche o teologiche Il vi- aggio è un itinerarium mentis in Deum. Egli insiste sul dubbio, poi però vuole dare al dubbio una rispo- sta che sia possibilmente la risposta definitiva. Ma la risposta è stata formulata dopo attenta riflessi tenendo conto di tante variabili e di tante pos . Alle spalle c’è la mente possente di Tommaso d’A- quino, che su ogni questione cerca le varie risposte (o le varie soluzioni), le esamina e poi elabora una risposta che tenesse conto di tutte le obiezioni. In questo modo è salvato non soltanto l’atteggiamento curioso, aperto e problematico nei confronti della re- altà, ma anche il momento conclusivo, quello in cui si devono tirare le conclusioni. 2. Dante (e la Chiesa, fin da Agostino) è attento an- che alla rappresentazione della verità: nella Bibbia Dio è rappresentato con mani e piedi ecc., perché il fedele soltanto così riesce a farsene un’idea. Insom- ma una verità può avere diverse formulazioni a se- conda della cultura dell’ascoltatore. 3. In pochi versi Dante scrive uno stupefacente trat- tato sul metodo: // cammino dal dubbio alla verità. Canto V Cielo di Mercurio, spiriti attivi, 13 aprile 1300 Il problema del voto inadempiuto «Se io ti abbaglio nel fuoco dell’amore divino al di là del modo che si vede sulla Terra, così che vinco la capacità dei tuoi occhi, non ti meravigliare, perché ciò proviene dalla mia perfetta visione di Dio, che, non appena apprende, muove i piedi nel bene appena appreso. Io vedo bene come già risplende nel tuo in- telletto la luce eterna di Dio, che, vista, da sola e per sempre accende l’amore di Sé. E, se un’altra cosa seduce il vostro amore, è soltanto un barlume, mal conosciuto, di quella luce che qui traspare. Tu vuoi sapere se con un altro servizio si può compensare un voto inadempiuto, in modo che l’anima eviti una con- troversia con Dio...» Così Beatrice cominciò a dire quanto riferisco in questo canto. E, come chi non interrompe il suo di- scorso, continuò così il suo ragionamento: «Il più grande dono che Dio, per sua generosità, fece creando l’uomo, quello più conforme alla sua bontà e quello che Egli più apprezza, fu la volontà libera, della quale tutte le creature intelligenti - uomini e an- geli - e soltanto esse, sono dotate. Ora, se argomenti da qui, ti apparirà l’alto valore del voto, se è fatto in modo tale che Dio acconsenta quanto tu acconsenti, perché, quando Dio e l’uomo stringono il patto, si sa- crifica questo tesoro - la libera volontà -, di cui ho indicato il valore, e lo si fa con un atto della stessa volontà. Dunque, che cosa si può dare in sostituzio- ne? Se credi di riprenderti giustamente quel che hai offerto, è come se tu volessi fare una buona opera con i proventi di un furto. Tu sei ormai certo del pun- to più importante della questione, ma, poiché la Santa Chiesa talvolta dispensa dai voti, il che pare con- traddire la verità che ti ho appena scoperto, conviene che tu sieda ancora un poco alla mia mensa, poiché il cibo pesante che hai mangiato richiede ancora aiuto alla tua digestione. L’essenza del voto e l'intervento della Chiesa Apri la mente a quello che io ti manifesto e fissalo nella memoria, perché la comprensione, da sola, non produce sapere, se non lo si fissa nella memoria. Due aspetti costituiscono l’essenza di questo sacrificio: il primo è la cosa che è offerta, la materia del voto, il secondo è il patto tra chi fa il voto e Dio. Quest’ulti- mo non si cancella mai, se non è osservato; e di que- sto ti ho parlato con precisione più sopra. Perciò fu necessario che gli ebrei facessero offerte, anche se - come devi sapere - alcune offerte furono permutate. L’altro aspetto, che ti ho indicato come la materia del voto, può ben essere tale, che non si pecca, se si converte con altra materia. Ma nessuno può permuta- re il carico sulle sue spalle a suo arbitrio, senza il consenso dell’autorità ecclesiastica. E giudica stolta ogni permutazione, se la cosa dismessa non è conte- nuta in quella scambiata come il quattro nel sei. Per- ciò nessuna cosa, che ha un valore tanto grande da superare ogni bilancia, può essere compensata con Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini qualcos’altro. Gli uomini non prendano il voto alla leggera: siate fedeli alle promesse e non siate scon- siderati a farle, come fu Iefte, giudice d’Israele, che, se sconfiggeva i nemici, promise di sacrificare a Dio la prima persona di casa che gli venisse incontro. Gli conveniva di più dire “Ho sbagliato”, piuttosto che, mantenendo la promessa, far peggio. E altrettan- to stolto puoi ritrovare anche Agamennone, il coman- dante supremo dei Greci, a causa del quale la figlia Ifigénia [fu sacrificata per favorire la partenza della flotta, perciò] rimpianse la sua bellezza e fece pian- gere per la sua sorte sia i folli sia i saggi che udirono parlare di un tale culto pagano. O cristiani, siate più prudenti nel pronunciare i voti: non siate come le piume che si lasciano trascinare ad ogni vento e non crediate che ogni acqua vi lavi e un voto qualsiasi vi liberi dai vostri peccati. Avete il Nuovo e il Vecchio Testamento e il pastore della Chiesa che vi guida. Questo vi basti per condurvi al- la salvezza. Se la cattiva cupidigia vi grida di fare diversamente, siate uomini e non pecore matte, così che il giudeo che vive tra voi non rida per il vostro comportamento volubile! Non fate come l’agnello, che lascia il latte della ma- dre (=la dottrina della Chiesa) e, ingenuo e frenetico, scalcia contro se stesso e il proprio interesse!» La salita al cielo di Mercurio Beatrice mi disse così come io scrivo, poi si rivolse, piena di desiderio, a quella parte del cielo che è più luminosa (=l’empìreo). Il suo silenzio e il suo cambiamento d’aspetto fecero tacere il mio avido ingegno, che già si poneva nuove domande. E, come una freccia che colpisce il bersa- glio prima che la corda dell’arco cessi di vibrare, co- sì corremmo nel secondo cielo. Qui io vidi la mia donna così lieta, non appena entrò in quel cielo, che il pianeta si fece più luminoso. La stella si trasformò e sorrise, e anch’io mi trasformai, perché la mia natu- ra mortale mi rende soggetto ad ogni tipo di muta- mento! Come in una peschiera con l’acqua calma e trasparente i pesci si avvicinano la superficie, cre- dendo che ciò che viene dall’esterno sia la loro pa- stura, così io vidi più di mille luci venire verso di noi e dentro ciascuna si udiva: «Ecco chi accrescerà il nostro ardore di carità!» Via via che ciascuna luce veniva verso di noi, si ve- deva l’ombra piena di letizia nel chiaro fulgore che usciva da lei. Pensa, o lettore, se quel che qui ho ini- ziato non procedesse, come tu avresti un’angosciosa carenza di sapere di più. E da te vedresti come io desideravo udire qual era la loro condizione, non ap- pena apparvero ai miei occhi. L’incontro con un nuovo spirito «O spirito ben nato, a cui la grazia divina concede di vedere i seggi del trionfo eterno prima di aver ab- bandonato la milizia terrena (=ancora in vita), noi siamo accesi della luce che si diffonde in tutto il cie- lo. Perciò, se desideri chiarimenti su di noi, chiedi a tuo piacere !» stizia di Dio addolcisce il desiderio di beatitudine, tanto che non può mai essere volto ad alcun atteg- giamento d’invidia. Voci diverse fanno dolci note, così diversi gradi di beatitudine nella nostra condi- zione producono una dolce armonia tra questi cieli. Romeo di Villanova E dentro il pianeta Mercurio risplende la luce di Ro- meo di Villanova, del quale l’opera grande e bella fu mal gradita. Ma i baroni di Provenza, che operarono contro di lui calunniandolo, non hanno riso, poiché caddero sotto gli angioini. Perciò agisce male chi considera dannoso per sé il ben fare degli altri. Quat- tro figlie ebbe il conte Raimondo Berengario, e cia- scuna divenne regina. Ciò gli fu ottenuto da Romeo, persona umile e straniera. E poi le parole ingiuste dei cortigiani invidiosi lo spinsero a chiedere i conti a questo giusto, che gli consegnò sette più cinque al posto di dieci. Quindi se ne partì povero e vecchio. E, se il mondo sapesse la forza d’animo che egli ebbe nel mendicare la sua vita a tozzo a tozzo, molto lo loda, e di più lo loderebbe!» I personaggi Flavio Pietro Sabbazio Giustiniano (Tauresium, presso Skopje, 482-Costantinopoli, 565) diventa im- peratore dell’impero romano d’oriente nel 527. Gra- zie a valenti collaboratori riforma l’amministrazione statale e riorganizza l’esercito. Riconquista l’ Africa ai vandali (532-34); l’Italia agli ostrogoti (535-53); e parte della Spagna ai visigoti (554). La guerra greco- gotica provoca gravissime distruzioni nella penisola. L'Italia è conquistata, ma resta soltanto per pochi an- ni sotto l'impero d’oriente: nel 569 la parte setten- trionale è conquistata dai longobardi, che si spingono anche verso i territori pontifici. Fa costruire la basili- ca di Santa Sofia a Costantinopoli, di San Vitale e di Sant'Apollinare in Classe a Ravenna. La sua opera maggiore è il Corpus juris civilis justinianei (529- 534), che raccoglie e risistema in un corpo omogeneo tutte le leggi e i senato consulti romani. Flavio Valerio Costantino il Grande (280-337) è imperatore dal 306. Con l’editto di Milano (213) po- ne fine alle persecuzioni contro i cristiani, concede loro la libertà religiosa ed anzi fa del cristianesimo la religione di Stato. Partecipa personalmente al conci- lio di Nicea (325) e reprime con ferocia l’eresia do- natista. Nel 326 sposta la capitale dell’impero da Roma a Bisanzio, poi Costantinopoli (oggi Istanbul). Trasforma l'Impero romano in romano-cristiano, e la monarchia in potere assoluto di origine divina. Si converte al cristianesimo poco prima di morire. Dan- te lo colloca nel cielo di Giove (Pd XX, 55-60), ma lo ritiene responsabile di aver spostato la capitale contr'al corso del ciel e di aver donato al papa la cit- tà di Roma e i territori circostanti, dando inizio al po- tere temporale della Chiesa (If XIX, 115-117). Enea, figlio di Venere e di Anchise e marito di Creù- sa, figlia di Priamo, re di Troia, lascia la città incen- diata dai greci e con i superstiti cerca una nuova pa- tria. La trova nel Lazio, ma deve combattere per im- Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini porsi. Vince e sposa Lavinia, figlia di Latino, re di Laurento. La sua storia è narrata da Virgilio, Eneide. Antàndro è la città dell'Asia Minore da cui Enea par- te dopo che la città di Troia è distrutta. Il fiume Simoenta scorreva a sud di Troia. Pallante, Romolo, Tarquinio, Orazi e Curiazi, C. Giulio Cesare, Ottaviano Augusto ecc. sono i per- sonaggi più significativi della storia di Roma. Cleopatra, regina d’Egitto, si allea con Antonio con- tro Ottaviano. Quando Ottaviano sconfigge Antonio, si suicida (30 a.C.). Tito Flavio Vespasiano distrugge il tempio di Geru- salemme e disperde gli ebrei che rifiutavano di tribu- tare onori divini all’imperatore (70 d.C.). Guelfi e ghibellini sono schierati rispettivamente con il papa e con l’imperatore. Sconfitti i ghibellini nel 1266, i guelfi a loro volta si dividono in guelfi bianchi (filo-imperiali) e guelfi neri (filo-papali). Carlo II d'Angiò (1285-1308) succede al padre Car- lo I sul trono del regno di Napoli. Romeo di Villanova (1170ca.-1250) è ministro e gran siniscalco di Raimondo Beringhieri (o Berenga- rio) IV, ultimo duca di Provenza. Per il conte ricon- quista Nizza e soprattutto assicura matrimoni vanta g- giosi alle quattro figlie, che sposano quattro sovrani: Luigi IX, re di Francia; Enrico III re d’Inghilterra; Riccardo di Cornovaglia, re di Germania; Carlo I d’Angiò, re di Sicilia. L'ultima va in sposa a Carlo I d’Angiò, quando il conte è ormai morto. Al marito porta in dote la Provenza. Quella delle sue umili ori- gini e della vecchiaia vissuta in povertà è una leg- genda di poco posteriore alla sua morte. Commento 1. Il canto ha una struttura semplice: Giustiniano traccia la storia dell'Impero, che si sviluppa sotto la supervisione della Provvidenza divina. Infine raccon- ta la storia di Romeo di Villanova, che, calunniato dai cortigiani presso il suo datore di lavoro, presenta il resoconto e se ne va a mendicare un pezzo di pane. La storia dell'Impero incomincia con Enea, che fugge da Troia, ma ha l’inizio vero e proprio con Giulio Cesare (ed Ottaviano Augusto), fondatore dell’Impe- ro. Ha un momento particolarmente significativo con Tito che distrugge Gerusalemme e disperde gli ebrei. Prosegue con l’infelice decisione dell’imperatore Co- stantino di spostare la capitale dell’Impero da Roma a Bisanzio. Riprende con Carlo Magno. E si conclu- de con l’invettiva dell’imperatore contro guelfi e ghi- bellini dei tempi di Dante. La storia dell'Impero s’in- terseca però con la storia della Chiesa, l’altra istitu- zione voluta da Dio: Ottaviano Augusto fa chiudere il tempio di Giano poiché l’Impero è pacificato (è sottinteso che sotto di lui nasce Gesù Cristo); Tito punisce gli uccisori di Cristo; Carlo Magno accorre in aiuto della Chiesa contro i longobardi. Alla storia della Chiesa erano stati dedicati altri canti, in parti- colare Pg XXXII: Beatrice la presenta in sette riqua- dri, che si allacciano all’Apocalisse di san Giovanni. 2. Giustiniano, come tutti i personaggi che cita, non è attore né protagonista della storia. È soltanto lo strumento della Provvidenza. Il vero attore è la Prov- videnza divina, che usa gli uomini per i suoi scopi. Canto VII Cielo di Mercurio, spiriti attivi, 13 aprile 1300 Gli spiriti si allontanano «Osanna, o santissimo Dio degli eserciti, che con la tua immensa luce illumini le anime splendenti di questi cieli!» Così, danzando al ritmo del suo canto, vidi cantare quella sostanza (=l’anima di Giustiniano), che ri- splendeva con un doppio splendore. Essa e le altre si mossero al ritmo della stessa danza e come faville rapidissime scomparvero alla mia vista per l’improv- visa distanza. Io ero agitato da un dubbio e tra me e me dicevo “Diglielo! Diglielo!” alla mia donna, che mi disseta con le dolci gocce del suo sapere. Ma quella riveren- za, che s’impossessa tutta di me, al solo sentire le sillabe Be e ice, mi faceva chinare il capo come chi ha sonno. Beatrice spiega perché fu giusta la morte di Cristo e la punizione dei giudei Beatrice sopportò per poco che io fossi in quello sta- to e, illuminandomi con un sorriso tale che farebbe felice un uomo tra le fiamme, incominciò: «Secondo il mio giudizio infallibile, ti dà da pensare come quella giusta punizione - la crocifissione di Gesù Cristo che riscattava dal peccato originale - sia stata giustamente punita con la distruzione di Gerusa- lemme e la dispersione dei giudei. Io ti scioglierò su- bito il dubbio, se mi ascolti, poiché le mie parole ti faranno dono di una grande verità. Per non sottostare al divieto, posto per il suo bene alla sua volontà, l’uomo che non nacque (=Adamo ed Eva) condannò se stesso e condannò tutta sua discendenza [al dolore e alla morte]. Perciò il genere umano giacque per molti secoli irretito in un grave errore (=il paganesi- mo), finché la Parola di Dio volle discendere nel grembo di Maria, dove unì a sé la natura umana, che si era allontanata dal suo Creatore, in una sola perso- na, ad opera dello Spirito Santo. Ora drizza il viso a ciò che sto per dire. Questa natura umana, unita al suo Creatore, fu pura e senza peccato come fu crea- ta, ma in quanto tale fu cacciata dal paradiso terre- stre, poiché con il peccato originale si allontanò dalla strada della verità e da Dio, sua vita. Perciò la puni- zione della croce, se si commisura alla natura umana assunta, fu assolutamente giusta. Invece, se si guarda alla persona, a Cristo, che la sofferse, fu ingiusta come nessun'altra, poiché in Lui erano unite le due nature. Perciò dallo stesso atto uscirono cose diver- se: a Dio e ai giudei piacque la stessa morte, perché per essa tremò la Terra e per essa si aperse il cielo. Ormai non ti deve più apparire difficile capire perché si dice che una giusta punizione - la morte sulla cro- ce per il peccato originale - fu in seguito punita da un giusto tribunale, quello di Dio, con una giusta puni- zione - la distruzione di Gerusalemme e la dispersio- ne dei giudei ad opera di Tito -. 21 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini Beatrice spiega perché Dio ha redento l’uomo con la crocifissione di Cristo Ma adesso io vedo che la tua mente, andando di pen- siero in pensiero, è stretta da un altro dubbio e che ha un grande desiderio di veder sciolto. Tu dici: “Ho capito bene ciò che ho udito, ma mi è nascosto per- ché Dio abbia scelto questo modo per redimerci”. O fratello, il motivo di questa scelta è sepolto agli oc- chi di ciascuno il cui ingegno non è ancora nutrito dalla fiamma della carità. Tuttavia, poiché su questo argomento molto si riflette e poco si capisce, ti dirò perché quel modo fu il più adeguato. La bontà divi- na, che allontana da sé ogni livore, sfavilla fuori di sé l’amore che ha in sé, e dispiega nelle creature le bel- lezze eterne. Ciò che è creato direttamente da essa non ha poi fine, perché la sua impronta non cambia, quando è stata impressa. Ciò che da essa deriva di- rettamente è del tutto libero, perché non è sottoposto agli influssi celesti. Più una creatura è conforme alla bontà divina, più piace ad essa, perché il santo ardo- re, che illumina ogni cosa, è più vivo e attivo nella creatura che più gli assomiglia. La creatura umana si avvantaggia di tutte queste doti; e, se una di esse vien meno, perde di conseguenza la sua nobiltà. Sol- tanto il peccato le toglie la libertà e la fa diversa dal Sommo Bene, poiché s°illumina poco della sua luce; e non ritorna più nella dignità precedente, se non riempie il vuoto fatto dalla colpa. La vostra natura, quando peccò totalmente nel suo capostipite, dico Adamo, fu allontanata da queste mi- rabili capacità come dal paradiso. Né esse si poteva- no recuperare per altra via, se tu rifletti in modo sot- tile, senza passare per uno di questi guadi: o Dio perdonava soltanto per sua cortesia 0 l’uomo rime- diava con le sue forze alla sua follia. Fissa ora l’occhio dentro l’abisso dell’eterna giustizia, restrin- gendolo quanto più puoi alle mie parole. Con le sue capacità l’uomo non avrebbe mai potuto rimediare alla colpa e soddisfare la giustizia divina, poiché non avrebbe mai potuto abbassarsi con l’umiltà e poi ob- bedire, tanto quanto volle alzarsi e disobbedire. Que- sta è la causa per cui all'uomo fu preclusa la possi bilità di soddisfare con le sole sue forze la giustizia divina. Perciò era necessario che Dio per le sue vie riportasse l’uomo alla vita perfetta che aveva perdu- to, dico per la via della punizione o per quella del perdono o per tutte e due. Ma l’opera è tanto più gradita a chi agisce quanto più essa manifesta la bon- tà del cuore da cui è uscita. Perciò la bontà divina, che impronta di sé il mondo, fu contenta di procedere per tutte e due le vie, per rialzarvi. Né tra l’ultima notte, che precede il giudizio universale, e il giorno del giudizio ci fu mai né ci sarà un procedimento co- sì alto e magnifico sia di punizione sia di misericor- dia, perché Dio fu generoso a sacrificare se stesso per rendere l’uomo capace di rialzarsi, più di quanto non sarebbe stato se avesse solamente perdonato. E tutti gli altri modi erano inadeguati a soddisfare la giustizia divina, se il Figlio di Dio non si fosse umi- liato incarnandosi. L’immortalità degli angeli e degli uomini Ora, per soddisfare pienamente ogni tuo desiderio, ritorno a precisare qualche punto, affinché tu veda lì come vedo io. Tu dici: “Io vedo che l’acqua, io vedo che il fuoco, l’aria, la terra e tutti i loro composti si corrompono e durano poco, insomma sono soggetti a continue trasformazioni. Eppure anche queste cose furono create da Dio, perciò, se ciò che mi è stato detto è vero, non dovrebbero essere soggette alla cor- ruzione, ai cambiamenti”. O fratello, gli angeli e il paese perfetto, il paradiso, in cui tu sei, si possono dire creati, così come sono, nella pienezza del loro essere. Ma gli elementi che tu hai nominato e quelle cose, che derivano dalla loro combinazione, ricevono la loro forma dall’influsso dei cieli creati. La materia che li costituisce fu creata direttamente da Dio; fu creata direttamente la virtù che dà forma a queste stelle che ruotano intorno a loro. Il raggio e il movi- mento delle sante luci dagli elementi in potenza trae fuori (e pone in atto) l’anima di ogni animale privo di ragione e delle piante. Invece la vostra anima intellet- tiva è creata direttamente dalla somma bontà, che la fa innamorare di sé, tanto che poi desidera sempre ritornare ad essa. Da ciò puoi argomentare ancora la vostra resurrezione della carne, se tu ripensi come fu creato il corpo umano quando furono creati Adamo ed Eva, i progenitori dell’umanità». -—IoL-- I personaggi Adamo ed Eva sono i progenitori dell’umanità (Gen 1-5). Dio li crea e li mette nel paradiso terreste, dove devono rispettare un unico divieto, quello di non mangiare i frutti dell’albero del bene e del male. Essi sono tentati dal serpente e mangiano il frutto proibito. Dio li caccia via dal paradiso, ma promette che verrà una donna, schiaccerà la testa al serpente e metterà al mondo un figlio che espierà il peccato originale dei progenitori. La distruzione di Gerusalemme e la dispersione dei giudei nel 70 d.C. è opera di Tito Flavio Vespa- siano, inviato a reprimere le loro turbolenze politiche e il loro rifiuto di tributare onori divini all’impera- tore. Commento 1. Il ragionamento di Beatrice è questo: Adamo ha disobbedito a Dio, perciò è stato cacciato dal para- diso terrestre (di Eva non si parla). L'uomo da solo non poteva rimediare alla colpa e riappacificarsi con Dio. Perciò Dio manda sulla Terra suo figlio, Gesù, che si incarna nel grembo di Maria, nasce con la du- plice natura di uomo e di Dio, è crocifisso, muore e risorge. Come uomo ha espiato giustamente sulla croce per redimere il peccato originale. Come Dio però è stato ingiustamente ucciso sulla croce, perciò la sua morte doveva essere punita. E la punizione fu inflitta dal tribunale di Dio in questo modo: Gerusa- lemme fu distrutta e gli ebrei furono dispersi. Nel Medio Evo era consueta l’accusa di deicidio nei con- fronti degli ebrei e perciò erano perseguitati. All’ac- 22 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini cusa di deicidio si aggiungevano però anche altri mo- tivi: erano comunità chiuse in se stesse, cioè non si mescolavano con il resto della popolazione, pratica- no commerci o prestiti di denaro, quindi erano usu- rai. In quanto usurai erano malvisti dalla popolazio- ne. I prestiti di denaro su pegno erano fissi (e bassi), la popolazione quasi sempre non riusciva a riscattarli e perdeva gli oggetti. Per il loro comportamento tur- bolento Venezia è costretta a concentrarli nei ghetti (1515), le cui porte di notte erano chiuse. 2. Dante subito dopo chiede giustamente perché Dio ha scelto quel modo per redimere gli uomini. Beatri- ce dice che la spiegazione si trova nella mente di Dio e che gli uomini non la possono conoscere. Ma subi- to dopo propone una spiegazione: con le sue forse l’uomo non poteva riappacificarsi con Dio. Lo pote- va fare soltanto lo stesso Dio. Poteva riappacificarsi con gli uomini ricorrendo alla punizione o al perdono o a tutti e due. Ha scelto tutti e due, la punizione e la misericordia. Dio fu generoso e si sacrificò per gli uomini, che così poterono ritornare a lui dopo il pec- cato originale. 3. Dante ha un nuovo dubbio: perché gli angeli sono incorruttibili e gli uomini invece sono sottoposti alla corruzione, cioè al cambiamento. Beatrice risponde che gli angeli furono creati con materia incorruttibile (essi sono i motori celesti), invece gli uomini furono creati con una materia sì incorruttibile, ma soggetta alle trasformazioni (che dipendono dagli influssi ce- lesti). 4. Nella discussione di questi problemi emerge sem- pre l’amore di Dio verso gli uomini. Un amore tanto grande, che Dio non esita a mandare suo Figlio sulla Terra a morire sulla croce, per riscattare l'umanità dal peccato originale. 5. Il testo ricorre a una parafrasi: “quell’uom che non nacque” (v. 26). E si può intendere Adamo, e solo Adamo, perché Eva nacque da una sua costola, o an- che Adamo ed Eva, che effettivamente non nacquero. In questo caso il temine ha valore di genere o di plu- rale: l’uomo=gli uomini, uomini e donne (maschi e femmine), l’umanità. La colpa è o sarebbe attribuita soltanto ad Adamo, Eva non sarebbe colpevole, poi- ché sotto la giurisdizione o la potestà dell’uomo (come normalmente succedeva nelle società antiche), ma l’attribuzione è di secondaria importanza, perché il poeta sta affrontando un discorso molto diverso. 6. Il testo esprime bene l’idea o l’ideale medioevale di giustizia: il reato va sempre punito, la colpa va sempre espiata. La prima colpa è dei progenitori e si può espiare soltanto con l’intervento di Dio, che manda sulla Terra suo Figlio, che è condannato a morte e crocifisso. È espiata dalla parte umana di Cristo (e ciò pareggia i conti), ma è offesa la parte divina di Cristo (e ciò riapre i conti). I colpevoli del- la condanna a morte sono perciò giustamente puniti: Gerusalemme è distrutta e gli ebrei dispersi (e ciò pareggia definitivamente i conti). Il generale romano Tito è quindi inconsapevole strumento della giustizia divina. Ufficialmente però gli ebrei sono puniti per- ché turbolenti e perché non volevano tributar i dovuti onori all'imperatore. Canto IX Cielo di Venere, spiriti amanti, 13 aprile 1300 La profezia di Carlo Martello Dopo che il Carlo tuo, o bella Clemenza (=la mo- glie), mi ebbe chiarito il dubbio, mi narrò gli inganni, che dovevano subire i suoi figli. E disse: «Taci, e lascia passare gli anni!», così io posso dire soltanto che un giusto pianto verrà dietro ai danni fat- ti dagli angioini. Ormai l’anima di quel santo lume si era rivolta al So- le, che la riempie come quel bene (=Dio), che è suf- ficiente a saziare ogni desiderio. Ahi, o anime ingan- nate e creature empie, che da sì fatto bene distogliete i cuori, drizzando i vostri occhi a cose vane! Cunizza da Romano, la ninfomane della Marca trevigiana Ed ecco un altro di quegli splendori si fece verso di me, e la sua volontà di compiacermi si mostrava nel- l’apparire più luminoso di fuori. Gli occhi di Beatri- ce, che erano fissati su di me, come prima d’incon- trare Carlo Martello, mi fecero cenno del suo assenso al mio desiderio di parlargli. «Deh, ricompensa sùbito la mia volontà, o spirito be- ato» dissi, «e dammi la prova che tu conosci il mio pensiero senza che io lo esprima!» Perciò la luce, che mi era ancora sconosciuta, dal suo profondo, donde prima cantava Osanna!, parlò di sé- guito a me, come chi ama fare il bene: «In quella parte della malvagia terra italiana, che si stende tra Rialto e le sorgenti del Brenta e del Piave e che è chiamata Marca trevigiana, si alza un colle - e non sorge molto alto -, dal quale già discese la fiaccola di guerra di Ezzelino da Romano, che fece gravi danni alla contrada. Dagli stessi genitori nacqui io e quella fiaccola: Cunizza fui chiamata e qui su Venere risplendo, perché mi vinse la luce di questa stella. Ma lietamente perdono a me stessa la causa della mia inclinazione naturale all'amore, che non mi dà noia, anche se ciò apparirebbe difficile da capire per i comuni mortali. Di questo lucente e prezioso gioiello del nostro cielo, che più mi è vicino (=Folchetto da Marsiglia), rimase grande fama sulla Terra; e, prima che tale fama muo- ia, passeranno ancora moltissimi secoli. Considera perciò se l’uomo si deve fare eccellente, così che la prima vita lasci dietro di sé un’altra vita con la fama. E a ciò non pensa la popolazione attuale, che il Ta- gliamento e l'Adige racchiudono, né ancora si pente per essere stata colpita da sciagure. Ma presto suc- cederà che Padova con il suo sangue arrosserà l’ac- qua della palude che bagna Vicenza, perché le sue genti sono restìe al dovere di sottomettersi all’impe- ratore. E a Treviso, dove il Sile e il Cagnano si uni- scono, signoreggia e va con la testa alta Rizzardo da Camino, e già si stende la rete per prenderlo e ucci- derlo. Feltre piangerà ancora la colpa di Alessandro Novello, il suo empio pastore, che sarà tanto sconcia, che nessuno per una colpa simile entrò in prigione. Sarebbe troppo larga la bigoncia, che ricevesse il sangue dei fuorusciti ferraresi, e si stancherebbe Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini troppo chi lo volesse pesare ad oncia ad oncia, che questo prete donerà cortesemente per mostrarsi di parte guelfa. E tali doni saranno conformi ai costumi del paese. Lassù vi sono specchi - voi li chiamate troni -, dai quali rifulge su di noi Dio giudice, così che queste mie parole appaiono buone». Folchetto da Marsiglia, sterminatore di eretici Qui tacque, e mi mostrò di essersi rivolta ad altro, poiché tornò alla danza circolare come prima di veni- re a parlarmi. L'altra anima splendente di letizia, che mi era già nota per cosa preziosa, mi si fece agli oc- chi come un rubino splendente, colpito dal Sole. Las- sù in cielo si acquista fulgore se si diventa più lieti, così come si acquista sorriso qui sulla Terra; ma giù nell’inferno l’ombra si oscura di fuori, quando la memoria è piena di pensieri malvagi. «Dio vede tutto, e la tua vista si sprofonda in Lui» io dissi, «o beato spirito, così che nessun desiderio può esserti celato. Dunque, perché la tua voce, che ralle- gra sempre il cielo con il canto dei serafini, che han- no la veste fatta di sei ali, non soddisfa i miei deside- ri? Io non attenderei ormai la tua domanda, se io pe- netrassi nei tuoi pensieri, come tu penetri nei miei». «La valle più grande, in cui si riversa l’acqua (=il mar Mediterraneo)» incominciarono allora le sue pa- role «eccetto quel mare che circonda la Terra, tanto si estende da occidente ad oriente tra le opposte spiagge dell'Europa e dell’Africa, che il Sole fa suo meridiano dove prima soleva fare orizzonte. Di quel- la valle io fui rivierasco tra il fiume Ebro in Catalo- gna e il Magra, che per un breve tratto divide il terri- torio genovese dal toscano. Quasi sullo stesso meri- diano si trova Bùgia in Algeria e Marsiglia, la terra dove io nacqui, che con il suo sangue fece ribollire il porto. Folco mi disse quella gente, alla quale fu noto il mio nome; e questo cielo di Venere s’impronta di me, come io m’impronto di lui. E non arse più di me Didone, addolorando sia il defunto marito Sichèo sia Creùsa, la moglie di Enea, finché fu conveniente ai miei capelli giovanili; né Fillide di Tracia, che fu de- lusa da Demofoonte e che poi si uccise; né Ercole, quando racchiuse Iole nel suo cuore. Qui perciò non ci si pente, ma si è lieti, non della colpa, che non tor- na alla memoria, ma della virtù divina, che mise or- dine e provvide alle nostre inclinazioni. Qui si ammi- ra nella creazione che l’amore divino abbellisce, e si discerne il bene finale, per il quale le sfere celesti fanno girare le sfere interne e la Terra. Ma, affinché tu porti via appagati tutti i tuoi desideri, che sono na- ti in questa sfera, mi conviene procedere ancora ol- tre. Raab, la prostituta, e i piani di Dio Tu vuoi sapere chi è in questa luce, che qui vicino a me scintilla come un raggio di Sole in acque limpide. Sappi che là dentro gode una pace beata Raab. Essa è congiunta alla nostra schiera di spiriti amanti, che s’impronta in sommo grado dello splendore di lei. Da questo cielo di Venere, su cui termina il cono d’om- bra che la vostra Terra proietta, fu accolta prima di ogni altra anima che fece parte del trionfo di Cristo. Fu ben giusto che le fosse attribuito questo cielo co- me segno della grande vittoria che fu acquistata con la morte sulla croce, perché ella favorì la prima glo- riosa impresa di Giosuè in Terra Santa, di cui ben poco il papa si ricorda. Il fiore maledetto che corrompe la Chiesa La tua città è pianta di Lucifero, colui che per primo volse le spalle al suo creatore e la cui invidia verso gli uomini provoca tanti pianti; e produce e spande il fiore maledetto, che ha fatto deviare le pecore e gli agnelli, perché ha fatto del pastore un lupo. Per que- sto fiore il Vangelo e i Padri della Chiesa sono di- menticati e si studia soltanto sui testi di diritto cano- nico, come appare dai loro margini annotati e consun- ti. Ad ottenere questo fiore si applicano il papa e i cardinali: i loro pensieri non vanno a Nazareth, dove l’arcangelo Gabriele volò per portare la lieta notizia a Maria. Ma il colle Vaticano e le altre parti insigni di Roma, che sono state cimitero dei martiri che se- guirono Pietro, saranno presto liberi dall’adulterio!» I personaggi Cunizza da Romano (1197ca.-1279ca.) è figlia di Ezzelino Il e sorella di Ezzelino II. Sposa per motivi diplomatici il conte Rizzardo di San Bonifacio di Ve- rona. Gli effetti del matrimonio non durano a lungo e la famiglia invita il trovatore Sordello da Goito, che era alla corte di Rizzardo e che l’aveva cantata, a ra- pirla e a riportarla a casa. Ha la fama di avere una natura passionale incontrollabile, che la spinge a faci- li amori. Si sposa tre volte ed ha una vita tumultuosa. In vecchiaia, crollata la potenza della sua famiglia, si ritira a Firenze e si converte ad opere di bene. Di lei non restano altre notizie. Dante la incontra nella sua giovinezza. Ezzelino INI da Romano (un colle nel territorio di Bassano del Grappa) (1194-1259) è il feroce e spie- tato tiranno ghibellino della Marca trevigiana. Diver- samente dalla sorella Cunizza, ha un carattere che lo spinge alla violenza. Folchetto da Marsiglia (?-1231) è un trovatore che frequenta la corte di grandi signori come Riccardo Cuor di Leone, Raimondo di Tolosa e Alfonso VII di Castiglia. Verso la fine del secolo lascia l’attività poetica e la vita mondana ed entra nell’ordine cister- cense. È abate di Thoronet e dal 1205 vescovo di Tolosa, dov’è diffusa l’eresia albigese. È uno dei fautori della crociata contro gli eretici (1207-14). A differenza di Domenico di Calaruega, di cui è colla- boratore, è in prima fila nella repressione cruenta dell’eresia, tanto da meritarsi la fama di persecutore. I padovani sono sconfitti nel 1314 e nel 1316 da Cangrande della Scala, vicario dell’imperatore e si- gnore di Verona, mentre tentano d’impadronirsi di Vicenza. Rizzardo da Camino (?-1312) è signore di Treviso, superbo e orgoglioso, ben diverso dal padre, il buon Gherardo, a cui succede nel 1306. Muore nel 1312 per mano di sicari guelfi. Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 26 Alessandro Novello, vescovo di Feltre, nel 1314 fa imprigionare alcuni fuoriusciti ferraresi della famiglia Fontana, che si erano rifugiati in città e contavano sulla sua protezione. Poi li consegna ai ferraresi, che li fanno pubblicamente decapitare e impiccare. Li tradisce forse per compiacere Pino della Tosa, vica- rio angioino e pontificio di Ferrara, anche se con essi non ha alcun motivo d’inimicizia. I troni sono una delle nove schiere angeliche. Le al- tre, in ordine gerarchico, sono: cherubini, serafini, troni, dominazioni, virtù, potestà, principati, arcange- li, angeli. Dante tratta degli angeli (creazione, natura, divisioni ecc.) in Pd XXVII-XXIX. Didone, regina di Cartagine, è figlia di Belo. Giura fedeltà al marito Sichèo, quando egli muore. Ma s'innamora di Enea, che aveva perso la moglie Creù- sa nell’incendio di Troia e che era approdato vicino a Cartagine. Si suicida quando egli riparte per volere degli dei. La fonte di Dante è Virgilio, Eneide, I 621, e IV, 552. Fillide di Tracia è detta rodopea dal monte Rodope (Tracia) presso il quale abitava. Sposa Demofoonte che poi parte e la dimentica. Lei si uccide sentendosi ingannata e tradita. La fonte è Ovidio, Her., IL Ercole, pur essendo già sposato con Deidamìa, s’in- namora follemente di Iole, figlia di Eurito, re della Tessaglia. Iole riesce a farlo vestire da donna, a far- gli fare lavori femminili e a farlo ballare con le altre donne. È detto A/cìde perché nipote di Alceo. La fon- te di Dante è Ovidio, Her., IX. Raab, una prostituta della città di Gerico, aiuta gli esploratori di Giosuè venuti a spiare la città. Quando Giosuè conquista la città, lei e tutti coloro che si so- no rifugiati nella sua casa sono risparmiati dall’ec- cidio. Poi rivolge il suo amore a Dio (Gs 2, 1-21). Il fiore maledetto è il fiorino, che come le monete di pregio del tempo era coniato in oro. Commento 1. Dante ribadisce la sua fede combattiva, perciò da una parte celebra l'impegno anche cruento di Fol- chetto contro gli eretici, dall’altra critica il papa, i cardinali ed i fedeli, che rivolgono i loro pensieri al fiorino. In Pd XV, 144, critica ancora il papato, per- ché non organizza una crociata, per riconquistare il Santo Sepolcro agli infedeli. Nel contempo ribadisce la sua fedeltà all'imperatore e celebra Cangrande della Scala, vicario dell’imperatore, che punirà i pa- dovani. La sua fede lo porta a mettere con spregiudi- catezza nel cielo di Venere anche una figura come Raab, non tanto perché prostituta o, meglio, ex prosti- tuta, quanto perché morta prima di Cristo e quindi senza essere stata battezzata. Ma l’aiuto dato a Gio- suè e quindi, alla lontana, alla nascita di Gesù Cristo ha come premio adeguato la sua uscita dal limbo e l’ascesa in paradiso. 2. A più riprese Dante auspica una crociata per ri- conquistare Gerusalemme e il sepolcro di Cristo. Il trisavolo Cacciaguida muore in una delle prime cro- ciate e va direttamente in paradiso come martire del- la fede (Pd XV). I papi non ci pensano nemmeno, hanno già abbastanza problemi con i regnanti europei e sta arrivando la cattività avignonese (1309-77). Canto X Cielo del Sole, spiriti sapienti, 13 aprile 1300 Dante invita il lettore a contemplare la creazione Il primo e ineffabile Valore, guardando il Figlio con lo Spirito Santo che spira eternamente dall’uno e dall’altro, creò con tanto ordine i cieli che girano nel- lo spazio spinti dalle intelligenze motrici, che chi li ammira non può evitare di godere di Lui, loro creato- re. Leva dunque, o lettore, con me lo sguardo alle sfere celesti, proprio verso quel luogo in cui i due movimenti opposti si intersecano nel punto equino- ziale; e lì incomincia ad ammirare l’arte di quel mae- stro che dentro di sé l’ama, tanto che non allontana mai da lei gli occhi. Vedi come da lì si dirama il cer- chio dello Zodiaco, che porta con sé i pianeti, per soddisfare i bisogni del mondo, che li invoca. E, se il percorso dei pianeti non fosse obliquo rispetto all’e- quatore celeste, molti influssi celesti sarebbero senza effetto e qui sulla Terra ogni situazione in potenza resterebbe bloccata. E, se la divergenza dello Zodia- co dall’equatore fosse maggiore o minore, l’ordine del mondo sarebbe assai manchevole nell’emisfero settentrionale come in quello australe. Ora, o lettore, rimani pure sopra il tuo banco, pen- sando a ciò che ti ho soltanto accennato, se vuoi ral- legrarti molto, prima di stancarti. Ti ho messo le vi- vande davanti, ora cibati con le tue mani, poiché quella materia, di cui ti scrivo, attira a sé tutta la mia attenzione. La salita al cielo del Sole Il maggior ministro della natura, che manda il suo be- nefico influsso sulla Terra e con la sua luce misura il tempo, unito con il punto equinoziale, che ho ricorda- to sopra, ruotava in quella spirale dello Zodiaco in cui ogni giorno sorge un po” prima. E io ero con lui. Ma non mi accorsi di essere salito da Venere al Sole, se non come chi si accorge di un pensiero soltanto dopo che è comparso. Beatrice guida da un cielo a quello superiore così rapidamente, che il suo atto non è più lungo di un istante. Quanto erano lucenti le luci dei beati che erano dentro il cielo del Sole, dove io salii, che apparvero non di colore diverso ma di luce più intensa! E, per quanto io chiami in mio aiuto l’ingegno, l’arte e la pratica, non lo potrei descrivere in modo adeguato da farlo immaginare. Tuttavia lo si può credere e desiderare di vederlo con i propri oc- chi. E, se la nostra immaginazione è tanto inadeguata a raggiungere tale altezza, non c’è da meravigliarsi, perché nessun occhio umano vide mai una luce più intensa di quella del Sole. Così splendente era qui la quarta famiglia dei beati, gli spiriti sapienti, che il Padre celeste sazia sempre mostrando loro come ge- nera il Figlio e come Padre e Figlio generano lo Spi- rito Santo. Beatrice cominciò: «Ringrazia, ringrazia il Sole degli angeli (=Dio) che per sua grazia ti ha sollevato a questo Sole materia- le Il cuore di un mortale non fu mai così ben disposto alla devozione e così pronto a rendersi a Dio con tut- 27 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini ta la sua gratitudine, come feci io a quelle parole. E il mio amore si rivolse a tal punto a Lui, che cacciò Beatrice nell’oblio. Non le dispiacque, anzi, ne sorri- se al tal punto, che lo splendore dei suoi occhi sorri- denti divise la mia mente, rivolta Dio, verso più co- se, Dio e il suo sorriso. Gli spiriti del Sole Io vidi numerosi fulgori vividi e sfolgoranti più del Sole fare di noi centro e di se stessi corona, che can- tavano più dolcemente di quanto non splendevano. Così talvolta vediamo cingersi la Luna, quando l’aria è piena di umidità e trattiene il raggio lunare che forma un alone. Nella corte del paradiso, da dove ri- torno, si trovano molti gemme belle e preziose, tanto che non si possono portar fuori di esso. E il canto di quegli spiriti era una di quelle. Chi non s’impenna per volare fin lassù aspetti che un muto gli rechi le notizie. Cantando così, quei soli ardenti fecero tre giri intorno a noi, come stelle vicine ai poli celesti, mi apparvero come donne che terminano la danza, ma che si fermano tacite, in ascolto, finché non colgono le note del nuovo ballo. Tommaso d’Aquino presenta gli altri spi- riti E dentro a una sentii cominciare: «Poiché il raggio della grazia divina (dal quale si ac- cende il vero amore, che poi cresce, amando) ri- splende moltiplicato in te e ti conduce su per quella scala del paradiso, dalla quale nessuno discende sen- za risalire; se qualcuno ti negasse il vino della sua ampolla per calmare la tua sete di conoscenza, non sarebbe libero se non come un’acqua che scendesse verso il mare. Tu vuoi sapere di quali spiriti è forma- ta questa ghirlanda che avvolge la bella donna che ti conduce per i cieli. Io fui uno degli agnelli del santo gregge che Domenico guida per il cammino, dove ben ci s’impingua, se non si vaneggia. Questi, che mi è più vicino a destra, fu frate e fu mio maestro: egli è Alberto Magno di Colonia ed io sono Tommaso d’Aquino. Se tu vuoi sapere il nome di tutti gli altri, ségui con gli occhi le mie parole facendoli scorrere lungo questa beata ghirlanda. Quell’altra luce fiam- meggiante esce dal sorriso di Francesco Graziano, che aiutò il diritto civile e quello canonico, tanto che ora il paradiso se ne compiace. L’altro spirito, che abbellisce la nostra schiera, fu quel Pietro Lombardo che offrì alla Santa Chiesa ogni suo tesoro come fece la poverella del Vangelo. La quinta luce, che è la più bella fra noi, spira di un tale amore, che tutto il mon- do terreno desidera conoscere il suo destino. Dentro vi è l’alta mente di re Salomone, dove fu infuso un sapere così profondo, che, se le Sacre Scritture dico- no il vero, a veder altrettanto non sorse il secondo. Vicino vedi la luce di Dionigi l’Areopagita, che in vita vide più profondamente di ogni altro la natura e la funzione degli angeli. Nell’altra luce, più piccola, sorride Paolo Orosio, l’avvocato dei tempi cristiani, della cui opera si servì Agostino. Ora, se tu l’occhio della tua mente fai scorrere di luce in luce dietro alle mie lodi, rimani desideroso di conoscere l’ottava lu- pascoli diversi da quelli indicati da lui. E quanto più le sue pecore si allontanano da lui, tanto più tornano all’ovile prive di latte (=la sana dottrina teologica). Ci sono bensì di quelle che temono il danno e che si stringono al pastore, ma sono così poche, che poco panno è sufficiente per fare le loro cappe. Ora, se le mie parole non sono fioche, se il tuo ascol- to è stato attento, se richiami alla memoria ciò che ho detto, il tuo desiderio sarà in parte accontentato, per- ché vedrai dove la pianta domenicana si spunta per l’inosservanza della regola e vedrai che cosa signifi- chi la correzione: “Dove ben ci s’impingua di valori spirituali, se non si vaneggia dietro ai beni materia- li». I personaggi Tommaso d’Aquino (1225-1274) nasce a Rocca- secca (Frosinone) nella famiglia dei conti d'Aquino. Entra nell’ordine domenicano, non ostante l’opposi- zione della famiglia. Studia prima a Parigi, poi a Co- lonia. Insegna a Parigi, poi a Roma (1261-68), quindi ancora a Parigi, dal 1272 a Napoli. Muore a Fossalta, mentre si sta dirigendo al concilio di Lione, in séguito a una malattia, che fa parlare di avvelenamento ad opera di Carlo I d'Angiò. Dante si rifà costantemente al suo pensiero. Combatte con estremo vigore le ere- sie e difende con uguale determinazione le sue tesi filosofiche contro le correnti agostiniane. Egli sinte- tizza pensiero aristotelico e pensiero cristiano, con l’intenzione di togliere ogni motivo di contrasto tra cultura classica e rivelazione. Francesco d’Assisi (1181-1226), figlio di Pietro Bernardone, un lanaiolo di Assisi, ha una giovinezza spensierata, a cui pone fine una crisi religiosa (1205). Entra in conflitto con la famiglia e nel 1207 rinuncia pubblicamente ai beni paterni: nel duomo di Assisi, alla presenza del vescovo, indossa un rozzo saio. Ini- zia a vivere in eremitaggio, richiamando intorno a sé sempre nuovi compagni. Nel timore di eresie, la Chiesa lo sollecita a scrivere una regola, in modo da trasformare il movimento in un ordine monastico. E- gli scrive la regola e ne ottiene una prima approva- zione verbale da Innocenzo II (1209). Incominciano sùbito però le pressioni affinché egli scriva una se- conda regola, meno rigida. Intanto sorge l’ordine femminile delle clarisse ad opera di Chiara d'Assisi, che è sempre vicina a Francesco, e il terzo ordine francescano, aperto anche ai laici. Francesco compie viaggi di predicazione in Spagna e in Medio Oriente (1219). L'ordine però è ormai spaccato in frati rigori- sti e frati che vogliono una regola più moderata. Pur amareggiato, accetta di modificare la regola. La nuo- va regola è approvata da Onorio II (1223). Oltre alle due regole, scrive il Cantico delle creature e il Te- stamento. Bernardo da Quintavalle (1170ca.-1273), Egidio d’Assisi (1190-1262) e Silvestro d’Assisi (1170- 1241) sono i primi discepoli di Francesco. Domenico di Calaruega (1170/75-1221), una citta- dina presso Burgos (Spagna), fonda l’ordine domeni- cano negli stessi anni in cui è attivo Francesco d’ As- 30 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini sisi. Il suo ordine diventa l’ordine dei frati predicato- ri: esso cerca in questo modo di diffondere le verità di fede, di combattere gli eretici e di riportarli dentro la Chiesa. I cherubini e i serafini sono due delle nove schiere angeliche, ordinate in una complessa gerarchia: che- rubini, serafini, troni, dominazioni, virtù, potestà, principati, arcangeli, angeli. Ubaldo Baldassini (?-1160) si ritira in eremitaggio su monte Ansciano, il colle di Gubbio, prima di di- ventare vescovo di Gubbio dal 1129 al 1160. Amiclàte, un povero pescatore, a Giulio Cesare ri- sponde che non deve temere di lasciare aperta la por- ta di casa: la povertà lo mette al sicuro da qualsiasi rapina. La fonte di Dante è Lucano, Phars. V, 519- 531. Commento 1. Il canto ha la stessa struttura del canto successivo: qui un frate domenicano presenta la vita di Francesco d'Assisi e gli ideali dell’ordine francescano, quindi rimprovera i frati del suo ordine, che si sono allonta- nati dalla regola del fondatore; lì un frate francescano presenta la vita di Domenico di Calaruega e gli ideali dell’ordine domenicano, quindi rimprovera i frati del suo ordine, che si sono allontanati dalla regola del fondatore. Le simmetrie però si presentano anche a livelli ulteriori. Ad esempio Francesco sposa Ma- donna Povertà (un motivo consueto dell’agiografia francescana), Domenico sposa la Fede al fonte batte- simale (un’idea originale del poeta). 2. La vita religiosa del Duecento è assai movimenta- ta. Sorgono sete ereticali che vogliono tornare ai va- lori semplici del Vangelo e condannano la ricchezza della Chiesa. Sono i catari, i patari, gli albigesi, che esprimono in ambito religioso il loro malessere so- ciale. Al contrario di costoro, Francesco e Domenico vogliono operare dall'interno della Chiesa. Francesco si rivolge alle classi umili della società italiana. Do- menico si preoccupa di diffondere e consolidare la dottrina cristiana. 3. Dante parla di tre ordini religiosi: a) francescani (Pd XD, b) domenicani (Pd XI e c) benedettini (Pd XXID, E in tutti e tre i casi deve lamentarsi che si corrompono, che si allontanano dalla regola del fon- datore. La loro integrità di costumi dura appena una generazione. Canto XII Cielo del Sole, spiriti sapienti, 13 aprile 1300 La danza festosa delle due corone di spi- riti Non appena la fiamma benedetta di Tommaso d’A- quino disse l’ultima parola, la santa corona dei beati riprese la danza circolare. E non aveva compiuto un intero giro, che un’altra ghirlanda la racchiuse e ac- cordò movimento a movimento e canto a canto. Il canto di quelle dolci trombe (=anime canore) vince tanto le nostre muse (=i poeti) e le nostre sirene (=le donne), quanto il primo raggio supera il raggio rifles- so. Due archi concentrici e dagli stessi colori s’in- curvano attraverso una nuvola trasparente, quando Giunone comanda a Iride, la sua ancella, di scendere sulla Terra a formare l’arcobaleno, e l’arco esterno nasce da quello interno, a guisa della voce di Eco, la ninfa vagante che amore consumò come il Sole con- suma i vapori (e qui sulla Terra fanno che la gente si senta sicura, per il patto che Dio fece con Noè, che mai più avrebbe allagato il mondo con il diluvio). Al- lo stesso modo le due ghirlande di quelle rose eterne giravano intorno a noi, e così la ghirlanda esterna cor- rispose a quella interna. La danza e l’altra grande e- spressione di beatitudine sia del cantare all’unisono sia del mandarsi bagliori a vicenda con gaudio e con affetto, si fermarono nello stesso momento e con vo- lontà concorde (proprio come gli occhi che insieme devono chiudersi e aprirsi davanti al piacere che li fa muovere). Bonaventura da Bagnoregio Poi dall’interno di una delle nuove luci uscì una vo- ce, la quale mi fece apparire come l’ago della busso- la, che si volge alla stella polare, nel farmi volgere verso di lei. E cominciò: «L'amore che mi fa bella mi spinge a parlare del- l’altra guida, per la quale qui si parla bene della mia. È giusto che, quando si parla di uno, si parli anche dell’altro, e che, come essi combatterono insieme per la Chiesa, così la loro gloria risplenda insieme. L’esercito di Cristo, che un così caro prezzo costò riarmare contro il peccato, si muoveva lento, dubbio- so e ridotto di numero dietro l'insegna della croce, quando l’Imperatore che sempre regna venne in soc- corso alla milizia vacillante, per sola sua grazia, non perché ne fosse degna. E, come s’è detto, soccorse la sposa con due campioni, al cui esempio e alla cui predicazione il popolo smarrito si ravvide. La vita di Domenico di Calaruega In quella parte della Spagna, dove il dolce Zefiro sorge ad aprire le novelle fronde delle quali si vede l'Europa rivestire, non molto lontano dalla riva per- cossa dalle onde (dietro le quali, per il lungo suo corso, il Sole nel solstizio d’estate si nasconde ad ogni uomo), sorge la fortunata città di Calaruega sot- to la protezione del grande scudo dei re di Castiglia, nel quale un leone giace sotto un castello ed un altro leone sta sopra un altro castello. Dentro vi nacque l'appassionato amante della fede cristiana, il santo Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 31 atleta benigno coni suoi ed implacabile con i nemici. E, non appena fu creata, la sua anima fu così ripiena di potente virtù, che, ancora in grembo, diede alla madre capacità profetiche. Dopo che furono fatte le nozze tra lui e la Fede al sacro fonte battesimale, do- ve si diedero come dote la reciproca salvezza, la madrina, che diede il consenso per lui, vide in sogno il mirabile frutto che doveva uscire da lui e dai suoi frati. E, affinché il suo nome rispecchiasse la realtà, il cielo ispirò ai genitori a chiamarlo con il posses- sivo di Dominus, al quale apparteneva interamente. Domenico fu chiamato. Ed io ne parlo come dell’a- gricoltore, che Cristo scelse nel suo orto (=la Chie- sa), per farlo prosperare. Apparve sùbito inviato e discepolo di Cristo, perché il primo amore, che in lui si manifestò, fu verso il primo consiglio dato da Cri- sto di essere poveri. Spesse volte, tacito e desto, fu trovato in terra dalla sua nutrice, come se dicesse: “Io son venuto per essere povero e per fare peniten- za!”. Oh, suo padre veramente Felice! Oh, sua madre veramente Giovanna, se il nome, rettamente interpre- tato, vale quello che dice! Non per il mondo, a causa del quale ora ci si affanna dietro ai testi di diritto c. nonico e di medicina, ma per l’amore della vera sa- pienza in breve tempo diventò grande dottore, tanto che si mise a curare e a difendere la vigna (=la Chie- sa), che sùbito si secca, se il vignaiolo (=il papa) è negligente. E alla sede pontificia, che un tempo fu più benigna di ora verso i poveri giusti, non per colpa di lei, ma per colpa di colui che ci siede sopra, che ora traligna, domandò non di dare ai poveri un terzo o la metà, non di avere le rendite del primo beneficio vacante, né “le decime che sono dei poveri di Dio”. Ma contro il mondo errante degli eretici domandò la licenza di combattere per quella fede, con la quale ti avvolgono questi 24 spiriti che ti danzano intorno. Poi con la dottrina e con la volontà unite si mosse con l’approvazione papale, quasi un torrente che la sorgente posta in alto spinge con irruenza a valle. Ed il suo impeto colpì nella sterpaglia eretica, più viva- mente qui in Provenza, dove le resistenze erano più grosse. Da lui sorsero poi diversi ruscelli, che irriga- no l’orto cattolico, così che i suoi arboscelli (=i fede- li) si mantengano più vivi nella fede. La condanna dell'ordine francescano Se fu tale una ruota della biga, su cui la santa Chiesa si difese e vinse in campo la sua guerra civile, ti do- vrebbe essere ben chiara l’eccellenza dell’altra, che Tommaso d’Aquino ha cortesemente elogiato, prima del mio arrivo. Ma il solco, che il fondatore ha sca- vato, è completamente abbandonato, così che ora c’è la muffa dove prima c’era la gromma del buon vino. La sua famiglia, che si mosse dritta con i piedi sulle sue orme, è tanto cambiata, che ora va a ritroso. E presto si vedrà dal raccolto la cattiva coltivazione, quando l’erbaccia si lagnerà di essere tolta dal grana- io (=la Chiesa). Dico bene che chi esaminasse ad uno ad uno i frati del nostro ordine troverebbe ancora qualcuno che potrebbe affermare: “Io sono ancora com’ero”. Ma non sarà né da Casale (=spirituale) né d’Acquasparta (=conventuale), da dove vengono tali interpreti della regola francescana, che uno la fugge, l’altro la fa più rigida. Gli spiriti della prima corona Io sono l’anima di Bonaventura da Bagnoregio e nei grandi uffici ricoperti misi sempre le preoccupazioni temporali dietro a quelle spirituali. Qui con me ci sono Illuminato da Rieti e Agostino d’Assisi, che fu- rono tra i primi scalzi poverelli, che, cingendo il cor- done francescano, si fecero amici di Dio. Qui con lo- ro sono Ugo da san Vittore, Pietro Mangiatore e Pie- tro Ispano, che giù sulla terra risplende peri 12 libri delle Summulae logicales; il profeta Natan e il patri- arca Giovanni Crisostomo, Anselmo d’Aosta e quel Donato, che si degnò di por mano alla grammatica. Rabano Mauro è qui, e risplende alla mia sinistra l’abate calabrese Gioacchino da Fiore, dotato di spi- rito profetico. Ad esaltare un così grande paladino, mi spinsero l’infiammata cortesia e l’assennato di- scorso di Tommaso d’Aquino. E con me spinsero gli spiriti della seconda ghirlanda». I personaggi Bonaventura da Bagnoregio (Viterbo) (1221-1274) entra nell’ordine francescano forse nel 1243. Studia e insegna a Parigi. Lascia l’insegnamento nel 1257, quando diventa guida dell’ordine. Cerca di mediare le due tendenze degli spirituali e dei conventuali, in cui ormai l’ordine è spaccato. Scrive numerose ope- re. La più importante è il commento alle Sententiae di Marco Lombardo. Lo scritto più famoso è Itinera- rium mentis in Deum (Itinerario della mente verso Dio). È soprannominato Doctor seraphicus ed è il massimo rappresentante delle correnti mistiche me- dioevali, che si riallacciano al neoplatonismo e a sant’Agostino e che affermano la superiorità della fede sulla ragione. Nel 1273 è nominato vescovo di Albano e cardinale. Muore l’anno successivo. Domenico di Calaruèga (1170/75-1221), presso Burgos (Spagna), appartiene alla nobile famiglia dei Guzman. Studia teologia e diventa famoso per la sua conoscenza di questioni dottrinali. Fonda l’ordine dei frati domenicani, impegnati a predicare la sana dot- trina della fede e a difendere le verità cristiane dagli eretici. Predica contro gli albigesi (1205 e 1207-14), ma è estraneo alla crociata contro di loro (1207-14), nella quale si distingue per ferocia Folchetto da Mar- siglia, suo collaboratore. Nel 1215 si reca a Roma con Folchetto, per avere da papa Innocenzo Il il ri- conoscimento dell’ordine, che ottiene l’anno dopo. L’ordine si divide poi in tre famiglie: i frati predica- tori, le suore domenicane e il terz’ordine domenicano, aperto ai laici. Iride porta sulla terra i messaggi di Giunone e lascia l’arcobaleno come traccia del suo passaggio. L’arcobaleno è mandato da Dio come segno del nuovo patto fatto con Noè dopo il diluvio universale, con cui aveva punito gli uomini (Gn 8, 20-22). Enrico di Susa (?-1271) è detto Ostiense perché cardinale e vescovo di Ostia dal 1261. Insegna diritto canonico a Bologna e a Parigi, e scrive la Summa su- Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini per titulos Decretalium (Compendio sopra i capitoli delle Decretali), un’opera fondamentale di diritto ca- nonico, che ha una grandissima diffusione. Taddeo d’Alderotto (1215-1295) è un famoso me- dico di Firenze, autore di molti testi di medicina. Spirituali e conventuali sono le due correnti in cui si divide l'ordine, quando Francesco è ancora vivo: i primi vogliono restare fedeli alla regola ed anzi la interpretano in termini più rigidi, i secondi la voglio- no adattare ai tempi e ai nuovi problemi religiosi e sociali che l'ordine deve affrontare. Dante sceglie Umbertino da Casale (Pisa) (1159ca.-dopo il 1325) come rappresentante degli spirituali, Matteo d’Ac- quasparta (Terni)(1240ca.-1302) dei conventuali. Illuminato da Rieti (1190ca.-1260ca.) e Agostino d’Assisi sono tra i primi seguaci di Francesc Ugo da san Vittore (Yprès, 1147ca.-Parigi, 1141) nel 1133 entra nell’abbazia di San Vittore presso Pa- rigi. È filosofo e mistico e seguace di sant'Agostino e uno dei maggiori teologi medioevali. Inizia la Scuo- la di San Vittore, che ha grande influsso sul pensiero mistico medioevale. Pietro Mangiatore (Troyes, 1100ca.-1179), noto an- che come Petrus Comestor, è decano della cattedrale di Troyes e cancelliere dell’università di Parigi. Il soprannome probabilmente gli deriva dalla sua fame insaziabile di lettore di libri. Pietro Ispano (Lisbona, 1226-Roma, 1277) abban- dona la professione di medico, per prendere gli ordini religiosi. Diventa cardinale e vescovo di Frascati (1273), poi papa con il nome di Giovanni XXI (1276). Scrive le Summulae logicales (Piccoli com- pendi di logica), che hanno grande diffusione. Anselmo d’Aosta (1033-1109) è monaco benedetti- no, vescovo di Canterbury dal 1193. È filosofo e teo- logo. Lega la sua fama alla prova ontologica del- l’esistenza di Dio: Dio è l’essere perfettissimo. Se non esistesse, non sarebbe tale, perché mancherebbe di quella perfezione che è l’esistenza. Rabano Mauro (Magonza, 776-Winfel, 856) è inse- gnante e dal 1192 è abate del monastero di Fulda. Dall’847 è arcivescovo di Magonza. È filosofo, mi- stico e teologo. Gioacchino da Celico (1130ca.-1202), detto da Fiore dal nome del monastero che fonda a San Gio- vanni in Fiore (1189), ha fama di mistico e di profe- ta. Nelle sue opere propugna un rinnovamento reli- gioso e sociale. Nell’immaginario collettivo diventa ben presto una figura profetica e leggendaria. Giovamni d’Antiochia (345-407) è detto Crisosto- mo, cioè bocca d’oro, per la sua grande eloquenza. È uno dei grandi Padri della Chiesa. È metropolita di Costantinopoli. Per le sue invettive contro la corru- zione della corte imperiale dell’imperatore Arcadio, è mandato in esilio, dove muore. Elio Donato (sec. IV) è maestro di san Girolamo e famoso grammatico. Scrive le Artes grammatcae (Le arti della grammatica), un testo di grammatica diffu- sissimo nel Medio Evo. Natan è un profeta ebreo che vive al tempo dei re David e Salomone (970 a.C.). È famoso per i rim- proveri a David per la sua superbia e la sua vita peccaminosa (2 Sam 12, 1 sgg.; ] Re 1,34). Canto XIV Cielo di Mercurio, spiriti attivi, 13 aprile 1300 Beatrice pone una domanda in nome di Dante L’acqua in un vaso rotondo si muove dal centro al- l’orlo o dall’orlo al centro, a seconda che sia colpito all’esterno o all’interno. Ciò che dico mi venne subi- to in mente, non appena l’anima gloriosa di Tommaso tacque, per la somiglianza tra le sue parole e quelle di Beatrice, che iniziò a parlare dopo di lui: «Anche se non ve lo dice né con la voce né con il pensiero, costui ha bisogno di andare alla radice di un’altra verità. Ditegli se la luce di cui si abbellisce la vostra anima rimarrà con voi per l’eternità così come è ora. E, se rimane così, ditegli come potrà av- venire, dopo che riprenderete il vostro corpo, che es- sa non damneggi la vostra vista!» La nuova letizia delle due corone Come talvolta quelli che danzano in cerchio, spinti e trascinati da una maggiore letizia, alzano la voce e rallegrano i loro gesti, così a quella preghiera pronta e devota di Beatrice le due sante corone mostrarono nuova gioia, con la danza circolare ed il canto mira- bile. Chi si lamenta perché qui si muore per vivere in cielo, non ha visto qui il refrigerio della pioggia eter- na. Quel Dio, che è uno e trino e che vive sempre e sempre regna in tre persone, in due e in una, non cir- coscritto e che circoscrive tutto, era cantato per tre volte da ciascuno di quegli spiriti con una tale melo- dia che ad ogni merito sarebbe il giusto premio. Salomone parla dell’anima e del corpo riuniti dopo il giudizio universale Jo udii nella luce più splendente della corona interna una voce modesta, forse simile a quella dell’arcan- gelo Gabriele nel rispondere a Maria: «Per tutto il tempo che durerà la beatitudine del pa- radiso, il nostro amore di carità irradierà intorno a noi questa luce. Il suo splendore è l’effetto dell’ardore di carità; l’ardore di carità è l’effetto della visione divi- na ed essa è tanto grande quanto è grande la grazia divina che la illumina, oltre al merito individuale che ha acquisito. Quando ci saremo rivestiti della nostra came gloriosa e santa, la nostra persona sarà più gra- dita a Dio perché è tutta intera. Perciò si accrescerà ciò che il Sommo Bene ci dona di luce gratuita, luce che condiziona la visione che abbiamo di Lui. Perciò la visione di Dio sarà più intensa, crescerà l’ardore di carità che si accende da essa, crescerà lo splendo- re che proviene da essa. Ma, come il carbone che ge- nera la fiamma e che la supera con il suo colore bianco, in modo che continua ad essere visibile, così questo fulgore, che ora ci avvolge, per visibilità sarà vinto dal corpo che ancora la terra ricopre. E il suo splendore non potrà abbagliarci, poiché gli organi del corpo saranno rafforzati per gustare tutto ciò che po- trà dilettarci». 35 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini La terza corona di spiriti L'uno e l’altro coro mi apparvero tanto pronti e sol- leciti a dire «Amen!», che mostrarono un gran desi- derio di riavere i loro corpi mortali. Forse non soltan- to per se stessi, ma per rivedere le madri, i padri e le altre persone che furono care prima di diventare fiamme eterne. Ed ecco che tutto intorno, di uguale fulgore, nasce un chiarore sopra a quello che già c’era, simile ad un orizzonte che rischiara. E, come al calare della sera appaiono in cielo le prime stelle, tanto che pare e non pare di vederle, mi parve di in- cominciare a vedere lì nuove luci dei beati e mi par- ve che ruotavano intorno alle altre due corone. Oh, vero sfavillio prodotto dall’influsso dello Spirito Santo! E come si formò all’improvviso e si fece in- candescente ai miei occhi che, sopraffatti, non lo so- stennero! Ma Beatrice mi si mostrò tanto bella e sor- ridente, che sono costretto a lasciarla fra quelle cose viste in cielo che la memoria non poté seguire. La salita al cielo di Marte Grazie a lei i miei occhi ripresero la forza per rial- zarsi, e vidi che ero trasportato insieme con la mia donna in un cielo più alto. Mi accorsi che ero salito più in alto per lo splendore di fuoco della stella, che mi apparve più rossa del consueto. Con tutto il cuore e con quel linguaggio interiore che è identico in tutti, feci offerta di me stesso a Dio, proprio come conve- niva alla nuova grazia. E nel mio petto non si era an- cora esaurito l’ardore del sacrificio, quando conobbi che quell’offerta era stata accolta con favore, perché dentro i due raggi mi apparvero spiriti splendenti di tanta lucentezza e tanto rosseggianti, che dissi: «O Dio, tu sei il Sole che li abbellisce così!» Gli spiriti si dispongono a croce greca Come la Via Lattea brilla di luce tra i due poli cele- sti, adorna di stelle di maggiore e di minore splendo- re, tanto da far dubitare i saggi; così quei due raggi, costellati di gemme, formavano nella profondità di Marte il segno venerabile della croce greca come in un cerchio fanno due diametri tra loro perpendicolari. Qui la mia memoria vince sul mio ingegno, poiché in quella croce lampeggiava Cristo tanto che io non so trovare un esempio adeguato per descriverla. Ma chi prende la sua croce e segue Cristo mi scuserà di quel che io tralascio, perché in quel biancore io vedevo balenare la figura di Cristo. Lungo l’asse orizzontale e quello verticale della croce si muovevano le luci degli spiriti combattenti, che scintillavano intensa- mente quando si congiungevano e passavano oltre. Così vediamo che i corpuscoli di polvere si muovo- no dritti o storti, veloci o lenti, cambiando aspetto, lunghi o corti, quando attraversano il raggio di luce che talvolta illumina l’ombra, che la gente si procura con l’ingegno e con l’arte, per difendersi dal Sole. Il canto della terza corona E come la giga e l’arpa, con le numerose corde op- portunamente tese, producono un dolce suono anche per chi non distingue le singole note, così dai lumi, che lì mi apparivano, si diffondeva dalla croce una melodia che mi rapiva, anche se io non intendevo le parole. Ma mi accorsi che era un inno di grande lode, poiché mi giungevano le parole «Risorgi» e «Vinci», come a colui che ode e non intende. Io mi innamora- vo a tal punto di quel canto che fino a quel momento non ci fu alcuna cosa che mi legasse con vincoli così dolci. Forse le mie parole appaiono troppo audaci, poiché ad essi preferisco la bellezza degli occhi di Beatrice, guardando nei quali il mio desiderio si ac- quieta. Ma chi si avvede che i vivi suggelli di ogni bellezza - gli occhi di Beatrice - si fanno tanto più belli quanto più si sale in cielo e che io nel cielo di Marte non mi ero ancora rivolto ad essi, può scusar- mi di ciò di cui io mi accuso per scusarmi, e vedermi dire il vero. Il piacere santo di quegli occhi non è qui escluso, poiché, salendo, esso si fa più sincero. -—IoL-- I personaggi Salomone (Gerusalemme, 1011ca.-Gerusalemme, 93lca. a.C.), è figlio del re David e terzo re d'Israele (7 Re 3, 5 sgg.). A Dio chiede un intelletto pronto a giudicare il popolo e a discernere il bene dal male. E lo ottiene. Diventa famoso per la sua sapienza. La giga e arpa sono due strumenti musicali a corde. La giga si suona con un arco ed è diffusissima nel Basso Medio Evo fino al Barocco. È anche una dan- za. L’arpa era usata fin dall’antichità. Commento 1 . Dante insiste e insisterà sulla difficoltà di dire ciò che ha visto in cielo. Il linguaggio umano è incapace di dirlo e ciò che ha visto è indicibile. 2. Salomone riprende un problema che Virgilio aveva già affrontato in /f VI, se i dannati soffriranno di più o di meno dopo il giudizio universale. Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 36 Canto XV Cielo di Marte, spiriti combattenti, 13 aprile 1300 Uno spirito scende dalla croce La volontà di fare il bene (nella quale si risolve sem- pre l’amore divino che ispira sentimenti retti e che la cupidigia fa diventare volontà di fare il male) fece tacere il coro dei beati e fermare le sante corde, che la mano di Dio allenta e tende. Come potranno essere sorde alle giuste preghiere dei vivi quelle anime che, per invogliarmi ad esprimere i miei desideri, furono concordi a tacere? È giusto che soffra senza fine nel- l’inferno colui che, per amore di una cosa che ha una durata effimera, si spoglia di quell’amore divino. Come per i cieli sereni, tranquilli e puri, guizza di tanto in tanto un fuoco improvviso, che fa muover gli occhi che guardavano sicuri, e appare una stella che muti il suo posto, se non che dalla parte dove esso si accende non scompare alcuna stella, ed essa dura poco; così dal braccio destro corse ai piedi di quella croce un astro (=uno spirito) della costellazione che lì risplende. La gemma non si staccò dalla croce, ma si mosse lungo i due bracci, in modo che parve come un fuoco dietro ad alabastro. Con lo stesso affetto l'ombra di Anchise si offrì agli occhi di Enea, se me- rita fiducia Virgilio, la nostra maggior musa, quando essa vide il figlio nei Campi Elisi. Il trisavolo Cacciaguida degli Alighieri «O sangue mio, o sovrabbondante grazia di Dio in- fusa in te, a chi come a te fu mai dischiusa due volte la porta del cielo?» Così disse quella luce. Perciò io la fissai attentamen- te. Poi rivolsi lo sguardo alla mia donna e rimasi stu- pefatto per le parole di quella luce e per il volto di lei: dentro ai suoi occhi ardeva un sorriso tale, che io pensai di toccare coni miei il culmine della mia glo- ria e della mia beatitudine. Quindi lo spirito, piace- vole da udire e da vedere, aggiunse alle prime parole cose, che io non compresi, tanto parlò profondamen- te. Né si nascose a me per sua scelta, ma per neces- sità, perché il suo pensiero andò oltre il limite della comprensione umana. E, quando l’ardore dell’affetto intensissimo si fu sfogato al punto che le sue parole discesero al livello del nostro intelletto, la prima co- sa che compresi fu: «Benedetto sia tu, o Dio uno e trino, che sei tanto cortese verso la mia discendenza!» E proseguì: «Un gradito e lungo desiderio di vederti, sorto in me leg- gendo nel Grande Volume (=Dio), dove non si muta mai né la pagina bianca né quella bruna (=scritta), tu, o figlio, hai soddisfatto dentro questa luce, in cui ti parlo, grazie a colei (=Beatrice) che ti vestì di piume per questo gran volo. Tu credi che il tuo pensiero venga a me da Colui che è Primo, come dal numero uno derivano gli altri numeri. Perciò non mi domandi chi io sia e perché io appaia verso di te più festoso di ogni altro spirito di questa gaia schiera. Tu credi il vero, perché i piccoli e i grandi di questa vita beata vedono nello Specchio (=Dio) in cui manifesti il tuo pensiero prima di pensarlo. Ma, affinché l’amore di- vino, nel quale io veglio con una visione perpetua e 37 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini che mi fa provare la sete del dolce desiderio di ri- sponderti, si adempia meglio, la tua voce esprima con parole sicure, coraggiose e liete la tua volontà, esprima il tuo desiderio, ai quali la mia risposta è già pronta!» Io mi rivolsi a Beatrice, per chiederle di parlare. Ella udì la mia richiesta prima che io parlassi, e mi sorri- se un cenno di consenso, che fece crescere le ali al mio desiderio. Poi cominciai: «Il sentimento e l’intelletto, non appena la prima u- guaglianza (=Dio, i cui attributi raggiungono tutti lo stesso grado infinito di perfezione) vi apparve, quan- do saliste al cielo, si fecero dello stesso peso (= guali, seppure a un grado finito) per ciascuno di voi, perché il Sole, che v’illuminò e che vi arse, è così uguale nel fuoco dell’amore e nella luce della sa- pienza, che tutte le altre uguaglianze a Lui simili (=gli angeli e i beati) sono insufficienti rispetto a Lui. Ma la facoltà di sentire e quella di ragionare nei mor- tali, per l’imperfezione umana che a voi è manifesta, hanno una diversa capacità di volare, perché la ra- gione non è all’altezza del sentimento. Perciò io, che sono mortale, mi sento in questa disuguaglianza, e ringrazio soltanto con il cuore per questa paterna ac- coglienza. Ben ti supplico, o vivo topazio che in- gemmi questo gioiello prezioso della croce, di rive- larmi il tuo nome!» La famiglia degli Alighieri e la Firenze antica «O fronda mia, nella quale mi compiacqui solamente aspettandoti, io fui la tua radice (=il tuo capostipite)» in questo modo iniziò a rispondermi. Poi continuò: «Alighiero I, dal quale la tua famiglia ha preso il no- me e che per cent’anni e più ha girato il monte del purgatorio nella prima cornice (=i superbi), fu mio figlio e fu tuo bisavolo: è ben necessario che tu gli accorci la lunga fatica con le tue opere. Firenze den- tro la cerchia delle mura antiche, dove sente ancora suonare le nove del mattino e le quindici del pome- riggio, viveva in pace, era sobria e pudìca. Non si usavano collane, non corone per il capo, non gonne ricamate, non cinture che fossero più vistose della persona che le portava. Nascendo, la figlia non face- va ancor paura al padre, perché il tempo delle nozze e la dote non superavano, né questa né quello, la mi- sura. Non c’erano case con stanze vuote, non vi era ancor giunto Sardanapàlo a mostrare ciò che si può fare dentro casa. Non era ancora vinto monte Mario (=Roma) dal vostro monte Uccellatoio; e quello, com'è stato vinto nell’ascesa, così sarà vinto nella decadenza. Io vidi Bellincion Berti andare cinto di cuoio e d’osso e la sua donna venir via dallo spec- chio senza il viso dipinto. E vidi la famiglia dei Nerli e quella dei Vecchietti esser contente d’indossare un mantello di pelle non foderata e le sue donne lavora- re al fuso e al pennecchio. Oh fortunate!, ciascuna era certa della sua sepoltura e ancora nessuna era stata lasciata sola nel letto dal marito partito per la Francia. L'una vegliava attenta alla culla e, per con- solare il bambino, usava quel linguaggio che diverte i padri e le madri per primi. L'altra, avvolgendo alla loro che sono insigniti della bella insegna di Ugo il Grande di Brandeburgo (di cui la festa di san Tom- maso commemora il nome e i meriti), da lui ebbero il titolo di cavaliere e il privilegio, anche se oggi Giano della Bella, che la cinge con il fregio d’oro, si schiera con il popolo. C'erano già i Gualterotti e gli Importu- ni; e il Borgo santi Apostoli sarebbe ancor oggi più tranquillo, se essi non avessero come nuovi vicini i Buondelmonti. La casa degli Amidei (dalla quale nacque il vostro pianto, per il giusto disdegno che vi ha rovinati e che pose fine alla vita pacifica della vo- stra città) era onorata, essa e tutti i suoi parenti: 0 Buondelmonte de’ Buondelmonti, quanti danni hai provocato ascoltando i consigli di Gualdrada Donati e sottraendoti alle nozze con la figlia degli Amidei! Molti, che oggi sono colpiti da lutti, sarebbero lieti, se Dio ti avesse fatto annegare nelle acque del fiume Ema la prima volta che venisti in città! Firenze era in pace Ma era necessario che nei suoi ultimi momenti di pa- ce Firenze sacrificasse una vittima a quella statua corrosa di Marte che guarda da Ponte Vecchio. Con queste famiglie e con altre famiglie simili a queste io vidi Firenze in tale pace, che non aveva alcun motivo per cui piangere. Con queste famiglie io vidi glorioso e giusto il suo popolo, tanto che il gonfalone con il giglio non era mai stato capovolto sull’asta in segno di sconfitta, né da bianco in campo rosso era stato mutato in rosso in campo bianco a causa delle lotte intestine (1251)! I personaggi Quella che tossì è una certa dama di Malehaut. Nel romanzo Lancelot du Lac (sec. XII) essa assiste al primo colloquio d’amore tra Ginevra e Lancillotto e segnala con un colpo di tosse la sua presenza, per far sapere ai due innamorati che il loro amore non è più segreto. Campi, Certaldo, Figline, poi Galluzzo, Trespiano, Aquilone e Signa, poi Simifonti e Montemurlo sono località vicino a Firenze. Luni è un’antica città etrusca che sorgeva sulle rive del fiume Magra ai confini tra la Toscana e la Ligu- ria. AI territorio diede il nome di Lunigiana. Orbisaglia è un’antica città romana (Urbs Salvia) che sorgeva nelle Marche presso Tolentino. Chiusi è un’antica città etrusca della val di Chiana, decaduta nel Medio Evo. Senigallia è un’antica città romana delle Marche (Se- na Gallica), decaduta nel Medio Evo. La recente fellonia è quella dei Cerchi, che si schie- rano con i Bianchi di Pistoia e dividono i guelfi fio- rentini in due fazioni discordi, i Bianchi e i Neri. I Chiaramontesi si vergognano ancora perché in pas- sato uno di essi come ufficiale pubblico falsificò la misura del sale per interesse personale. Fu scoperto e condannato. Bellincion Berti (sec. XII), uomo politico contempo- raneo di Cacciaguida, di costumi nobili e integerrimi, indicato come simbolo delle antiche virtù di Firenze. Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 40 È il padre della buona Gualdrada (moglie di Forte- guerra Donati), che non si dimostra altrettanto sag- gia: persuade Buondelmonte de’ Buondelmonti a non rispettare il contratto matrimoniale con la famiglia degli Amidi e di sposare sua figlia. Egli accetta. A- midei e loro consorti (=il parentado acquisito con i matrimoni) lavano l’offesa uccidendolo (1216). Buondelmonte de’ Buondelmonti (?-1216) per por- re fine a una controversia s'impegna a sposare una ragazza della famiglia degli Amidei. Il giorno conve- nuto però non si fa trovare, anzi si fa convincere da Gualdrada, moglie di Forteguerra Donati, a chiedere in sposa la figlia della stessa Gualdrada. Per l’offesa recata, nel giorno di Pasqua del 1216 è assalito e uc- ciso da congiurati delle famiglie degli Amidei, degli Uberti, dei Fifanti e dei Lamberti ai piedi della statua mutila di Marte in capo a Ponte Vecchio, mentre si reca in piazza del Duomo. Lo scontro tra le due fa- miglie coinvolge tutta la città, poiché gli uccisori cercano protezione nei partigiani della casa di Svevia (ghibellini), mentre il governo fiorentino, che li dove- va perseguire, parteggiava con l’imperatore Ottone II Da questo momento Firenze si divide nelle due fazioni dei guelfi e dei ghibellini. Tutti coloro sono sei famiglie fiorentine (Pulci, Ner- li, Candonati, Giangalandi, Della Bella, Alepri) che hanno avuto l’investitura di cavaliere da parte di Ugo il Grande di Brandeburgo (?-1001) e che perciò han- no fatto proprio lo stemma più o meno modificato del signore che li ha nominati. Ugo il Grande di Brandeburgo (?-1001) è marchese di Toscana e gran vicario dell’imperatore Ottone IIL Muore il 21.12, giorno di san Tommaso. Il suo stemma ha sette doghe vermiglie in campo bianco. Giano della Bella (seconda metà del sec. XIM, un nobile di parte guelfa, si schiera con il “popolo” e diviene più volte priore di Firenze (1289, 1293). Contro i magnati e le arti maggiori promulga gli Or- dinamenti di giustizia (1293, modificati nel 1294). Costoro ordiscono una congiura e lo costringono a rifugiarsi in Francia. In base agli Ordinamenti del 1294 i nobili che vogliono entrare nella vita politica devono iscriversi a un’arte. Dante è tra questi. Il giglio bianco in campo rosso è mutato nel giglio rosso in campo bianco dai guelfi quando nel 1251 cacciano i ghibellini dalla città. Commento 1. Dante fa un lungo elenco di famiglie fiorentine. Esso non deve apparire arido, poiché è parte della memoria dello stesso poeta, come di ogni suo concit- tadino e perché nel Medio Evo non esistevano gli in- dividui, ma le famiglie, di cui gli individui facevano parte come cellule transeunti. Eventualmente un in- dividuo fuori del comune come Bellincion Berti dava inizio ad una nuova famiglia. Ed è quello che succe- de. Questi fatti costituivano la cultura dei fiorentini; e il ricordo di questi fatti costituiva la memoria so- ciale o collettiva che tutti - nobili e borghesi, ricchi e poveri - condividevano e in cui tutti s’identificavano. 2. Il poeta vuol credere che il passato sia diverso e migliore rispetto al presente, ma è un'illusione. I fatti che ricorda dimostrano il contrario. Canto XVII Cielo di Marte, spiriti combattenti, 13 aprile 1300 Dante chiede spiegazioni sulle profezie Quale Fet6nte venne alla madre Climène, per accer- tarsi di essere figlio di Apollo - colui che ancora fa i padri esitanti alle richieste dei figli -; tale ero io, e tale ero sentito sia da Beatrice sia da Cacciaguida, che poco prima per me aveva mutato posto sulla cro- ce. Perciò la mia donna: «Manda fuori la fiamma del tuo desiderio» mi disse, «così che essa esca segnata bene della tua impronta interiore: non perché la nostra conoscenza cresca per le tue parole, ma perché t’abitui a dire la sete, così che ti sia versato da bere!» «O cara radice mia (che così t'innalzi che, come le menti terrene vedono che in un triangolo non possono esser contenuti due angoli ottusi, così vedi le cose contingenti prima che accadano, guardando il Punto, per il quale tutti i tempi sono presenti), mentre io ero in compagnia di Virgilio su per il monte che cura le anime e mentre scendevo nel mondo morto alla grazia divina, mi furon dette sulla mia vita futura parole gravi, sebbene io mi senta ben incrollabile ai colpi della sorte. Perciò il mio desiderio sarebbe contento d’intendere quale fortuna mi si avvicina, perché una freccia prevista viene più lenta e fa meno male!» Così io dissi a quella luce, che prima mi aveva parla- to, e, come Beatrice volle, espressi il mio desiderio. Non con oracoli oscuri, nei quali la gente folle un tempo s’invischiava, prima che fosse ucciso 1’Agnel- lo di Dio che toglie i peccati; ma con chiare parole e con linguaggio preciso rispose quell’amorevole pro- genitore, chiuso nella fiamma e che mediante la fiam- ma mostrava la sua propria gioia: Cacciaguida annuncia l'esilio, il suo di- stacco dai guelfi bianchi «La contingenza, che non si stende fuori del vostro mondo materiale, è tutta dipinta nel cospetto eterno di Dio. Perciò da Lui essa prende necessità se non come dall’occhio in cui si specchia la nave che scen- de giù per un fiume impetuoso. Da lì, come da un or- gano viene alle orecchie una dolce armonia, così mi viene alla vista il tempo che ti si prepara. Quale Ip- polito partì innocente da Atene per colpa di Fedra, la spietata e perfida matrigna, tale dovrai partire da Fi- renze. Questo si vuole e questo già si cerca e presto sarà fatto da chi a Roma, dove tutto il giorno si fa mercato di Cristo, pensa a mandarti in esilio. La col- pa dei disordini seguirà i Bianchi, la parte sconfitta, nella voce comune, come sempre avviene; ma la giu- sta punizione divina sarà testimonianza del vero, che la dispensa. Tu lascerai ogni cosa più caramente a- mata, e questa è quella freccia che l’arco dell’esilio scocca per prima. Tu proverai come sa di sale il pa- ne altrui e come è duro scendere e salire per le altrui scale. E quel che più ti graverà le spalle sarà la com- pagnia malvagia e stupida, con la quale tu soffrirai durante l’esilio. Essa tutta ingrata, tutta matta ed em- pia si mostrerà contro di te; ma, poco dopo, essa, non tu, avrà perciò la tempia rossa di sangue. Il suo modo 4l Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini d’agire darà la prova della sua bestialità, così che andrà a tuo onore l’aver fatto parte per te stesso. ...l’ospitalità di Bartolomeo della Scala Il tuo primo rifugio e il tuo primo asilo sarà la corte- sia di Bartolomeo della Scala, signore di Verona, il gran lombardo, che nello stemma sopra la scala porta l’aquila imperiale. Egli sarà così benigno nei tuoi ri guardi, che, nel dare e nel chiedere, tra voi due sar primo chi, tra gli altri, è più lento. Con lui vedrai Cangrande della Scala che, nascendo, ha subìto così fortemente l’influsso di Marte, che diventerà famoso per le imprese militari. Non si sono ancora accorte di lui le genti, per la giovane età, perché soltanto da no- ve anni le ruote dei cieli hanno girato intorno a lui. Ma, prima che il papa guascone inganni Arrigo VII di Lussemburgo, appariranno chiare dimostrazioni del suo valore nel non curarsi del denaro né delle fatiche militari. Le sue magnificenze saranno allora cono- sciute, così che i suoi nemici non le potranno tacere. Affidati a lui ed ai suoi benefici. Per opera sua molta gente sarà trasformata e cambieranno condizione ric- chi e poveri. E da qui porterai scritte nella memoria altre cose di lui e non le dirai!» E disse cose incredibili anche per coloro che saranno presenti. Poi aggiunse: ...e la fama futura «O figlio, queste sono le spiegazioni di quel che ti fu detto. Ecco le insidie che dietro a pochi anni sono nascoste. Non voglio però che tu porti invidia ai tuoi concittadini, poiché la tua vita si prolunga nel futuro ben più in là che la punizione delle loro perfidie!» Poiché, tacendo, l’anima santa mostrò di aver finito di rispondermi, io cominciai, come colui che, dubi- tando, brama un consiglio da una persona che discer- ne, vuole ed ama il bene: La missione di rinnovamento morale af- fidata al poeta «Ben vedo, o padre mio, come il tempo avanza velo- ce verso di me, per darmi un colpo tale, che è più grave per chi più si abbandona agli eventi senza pre- munirsi. Perciò è bene che io mi armi di previdenza, così che, se mi è tolto il luogo più caro, io non perda gli altri a causa dei miei versi pungenti. Giù per il mondo amaro senza fine e per il monte dalla cui bella cima gli occhi della mia donna mi sollevarono e poi per il cielo, di pianeta in pianeta, io ho appreso quel che, se io ridico, a molti risulterà di sapore forte ed acre. Tuttavia, se io sono timido amico al vero, temo di perder la fama tra coloro che chiameranno questo tempo antico...) La luce in cui sorrideva il mio tesoro, che io trovai lì, si fece prima scintillante come uno specchio d’oro colpito da un raggio di Sole; quindi rispose: «La coscienza, offuscata da vergogna propria o al- trui, certamente sentirà aspra la tua parola. Ma, mes- sa da parte ogni menzogna, rendi manifesto tutto ciò che hai visto e lascia pur grattare dov’è la rogna. Perché, se la tua voce sarà molesta nel primo assag- gio, darà poi un nutrimento vitale, quando sarà dige- rita. Questo tuo grido sarà come il vento, che percuo- te di più le cime più alte; e ciò sarà un motivo non piccolo d’onore. Perciò ti son mostrate in questi cieli, nel monte e nella valle dolorosa soltanto le anime che sono per fama note, perché l’animo di colui che a- scolta non si accontenta né presta fede all’esempio che abbia la sua radice sconosciuta e nascosta, né ad altro argomento che non appaia evidente!» I personaggi Fetbnte viene a sapere dalla madre Climène che è figlio di Apollo, perciò chiede al padre di guidare il carro del Sole. I cavalli si accorgono della sua guida inesperta e lo scagliano giù dal carro. Cade sul Po e muore. Le sorelle, che lo piangono, sono trasformate in pioppi. La fonte è Ovidio, Meram., I, 748 sgg. Il guascone è papa Clemente V (1305-1314), che proviene dalla Guascogna (l’odierna Gironda, la re- gione di Bordeaux). Trasferisce la sede papale ad Avignone (1305), è ostile verso l’imperatore Arrigo VII, sceso in Italia, e ne fa fallire la missione (1312). Arrigo (o Enrico) VII di Lussemburgo (1308-1313) nel 1310 viene in Italia per ristabilire il potere impe- riale e pacificare la penisola. Riesce a imporre un po’ di tasse e non ottiene alcun risultato. Dante ha grande fiducia in lui, ma poi è deluso. Poco dopo muore. Ippolito, figlio di Teseo e Ippolita, regina delle amaz- zoni, è cacciato da Atene con l’accusa di avere insi- diato la matrigna Fedra, che il padre aveva sposato in seconde nozze. In realtà era stata la matrigna a tenta- re il figliastro, che l’aveva respinta. Allora, per ven- dicarsi e per paura di essere svergognata, sparge la voce delle proposte di Ippolito, che provocano lo sdegno della popolazione e di Teseo. La fonte è Ovi- dio, Metam., XV, 493 sgg.; e Seneca, Phaedra. La compagnia malvagia e stupida sono i guelfi bianchi, dai quali Dante si allontana dopo la disastro- sa battaglia della Lastra (1304) con cui i fuoriusciti cercavano di rientrare in Firenze. Bartolomeo della Scala è signore di Verona (1301- 1304) e partigiano dell’imperatore. Accoglie il poeta negli ultimi anni dell’esilio (1315-20). Can Francesco della Scala, detto Cangrande (1291- 1329), è fratello di Bartolomeo della Scala. È asso- ciato al potere con il fratello Alboino (1308) e sem- pre con il fratello è nominato vicario imperiale di Ve- rona (1311). Dal 1312 regge da solo la città. Durante il suo governo con audaci azioni militari consolida ed espande il suo dominio. Conquista città e fortezze come Padova e Mantova. Dante è legato a Cangrande da una profonda amicizia, oltre che dalla riconoscen- za per la generosa ospitalità ricevuta (1315-20ca.). A Cangrande il poeta dedica il Paradiso, manda in let- tura i suoi canti e scrive l’Epistola XIII, che è fon- damentale per la comprensione del poema. Commento 1. Il canto ha uninizio elevato con un riferimento alla mitologia: «Quale venne a Climenè, per accertarsi Di ciò ch’avéa incontro a sé udito...», un riferimento ri- 42 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini preso poi con un altro riferimento classico (vv. 46- 47). E prosegue senza il consueto momento di pausa o di passaggio, per giungere sùbito alla parte più im- portante: il poeta con un lungo giro di parole pone al trisavolo la domanda che gli sta a cuore: «Nel corso del viaggio nei tre regni dell’oltretomba mi sono state fatte delle profezie sulla mia vita futura. Me le vuoi spiegare con parole chiare e comprensibili, in modo che io possa prendere le mie precauzioni?» (vv. 13- 27). Cacciaguida scioglie le profezie e gli indica quale sarà la sua vita futura: a Roma, dove a tempo pieno si pratica la simonia, gli si sta preparando l’e- silio ed egli saprà quant'è amaro aver bisogno del- l’altrui ospitalità. Gli indica anche chi sarà il suo primo rifugio: Bartolomeo della Scala, signore di Ve- rona e partigiano dell’imperatore. Lì a Verona cono- scerà anche Cangrande, che ora ha soltanto nove an- ni, ma che è destinato a compiere imprese incredibili anche per coloro che ne saranno spettatori. Le parole più importanti dell’avo riguardano però lo scopo del viaggio: il poeta chiede se dovrà dire tutto ciò che ha visto, che a molti risulterà forte e amaro, oppure se dovrà essere timido amico del vero, ma allora ha pa- ura di perder la fama presso coloro che chiameranno questo tempo antico. Cacciaguida allora gli dà l’in- vestitura sovrastorica della sua missione. L’investi- tura è molto lunga (vv. 124-142) e costituisce il pun- to di vista corretto, che lo stesso poeta indica, per avvicinarsi alla Divina commedia. Il viaggio però non è ancora finito: il poeta deve ancora percorrere molti cieli, incontrare altre anime, essere sottoposto a un esame su fede, speranza e carità, e fare l’ultimo e più grande incontro, quello con lo stesso Dio, del quale vuole avere una visione mistica. 2. Il canto si riallaccia a /f IL, 10-36, quando Dante chiede a Virgilio: «Prima di me sono venuti nei regni dell’oltretomba Enea e Paolo. Il primo perché dalla sua discendenza doveva nascere l’Impero. Il secondo perché doveva portare prove della fede. Ma io per- ché devo venirci? Chi lo permette? Io non mi sento all’altezza del viaggio che sto iniziando». In tal modo il poeta si attribuisce una missione provvidenziale dopo Enea e Paolo: una missione che è ad un tempo terrena e ultraterrena. Che è ribadita dalla figura di Virgilio e di Beatrice, dai canti VI delle tre cantiche e dal canto finale, in cui ha la visione mistica di Dio. 3. Dante affronta più volte e da più punti di vista il problema della fama: If XV, 55-60 (il maestro Bru- netto Latini gli preannuncia fama e gloria), Pg XI, 91- 116 (Oderisi da Gubbio dice che la fama terrena è come un battito di ciglia rispetto all’eternità), Pd XVII, 94-135 (il trisavolo Cacciaguida gli anticipa la gloria futura). Ma tratta anche il problema opposto della non-fama, l’ignavia: /f IL 43-69 (gli ignavi non fecero nulla di buono né di cattivo che meritasse di ricordarli). Per greci e latini l’uomo deve ricordarsi del passato e degli antenati, ma deve pensare anche alle generazioni future, a cui deve lasciare una ricca eredità di ricordi. 4. Dante si pone accanto al Veltro (If I rinnovamento religioso) e al DUX (Pg XXXIII rinnovamento politi- co). È l’intellettuale che ha la missione d’indicare a- gli uomini il rinnovamento morale della società. Canto XIX Cielo di Giove, spiriti giusti, 13 aprile 1300 L’aquila parla a Dante Davanti a me appariva la bella immagine dell’aquila con le ali aperte, che le anime liete, raccolte insieme, formavano nella dolce visione di Dio. Ogni anima appariva un rubino in cui il raggio di Sole ardesse così intenso, da riflettere nei miei occhi lo stesso So- le. Ciò che descrivo non fu mai detto a voce, né scritto con l’inchiostro, né concepito dalla fantasia umana. lo vidi e udii anche il becco dell’aquila parla- re e dire con la voce «io» e «mio», e invece intende- va «noi» e «nostro», poiché raccoglieva molti spiriti. E iniziò: «In vita io fui giusto e pio, perciò ora sono qui innal- zato a quella gloria che non si lascia vincere da alcun desiderio mortale. E lasciai sulla Terra un ricordo talmente buono, che pure le genti malvage lo lodano, anche se poi non seguono le mie opere». Come un solo calore si fa sentire da molte braci, così da quelle anime usciva una voce sola attraverso il becco dell’aquila. Perciò io dissi subito: Dante esprime un antico dubbio «O fiori eterni dell’eterna letizia, che mi fate apparire una sola tutte le vostre voci soavi, risolvetemi con le vostre parole il grave digiuno che a lungo mi ha tenu- to con la fame, non trovandogli sulla Terra alcun ci- bo. Io so bene che la giustizia divina si specchia in cielo in un’altra gerarchia angelica, quella dei troni, e che il vostro cielo vede la giustizia senza alcun velo. Sapete come io sono pronto ad ascoltare con atten- zione. E sapete qual è quell’antico dubbio che mi ha tenuto a digiuno per tanto tempo!» L’aquila risponde richiamandosi alle Sa- cre Scritture Come un falcone, quando è liberato dal cappuccio, muove la testa e sbatte le ali, mostrando il desiderio di volare e facendosi bello, così io vidi fare all’a- quila, che era formata dai beati che cantavano le lodi alla grazia divina e i canti erano tali che soltanto chi è lassù li può conoscere. Poi iniziò: «Colui che tracciò con il compasso i confini del mondo e dentro di esso distinse le cose visibili e quelle invisibili, impresse il suo valore in tutto l’uni- verso, ma il suo Verbo restò infinitamente superiore alle cose create. E di ciò è prova Lucifero. Era la più perfetta di tutte le creature, ma per la sua superbia fu precipitato imperfetto nell’inferno, perché non aspettò il lume della grazia divina. E di qui appare che ogni creatura a lui inferiore è un contenitore inadeguato di quel bene che non ha limiti e che misura se stesso con se stesso. Perciò la vostra vista, che non è altro che uno dei raggi della Mente divina, che è presente in tutte le cose, non può per sua natura essere così forte da vedere il suo principio, che è molto al di là di ciò che essa può comprendere. Perciò la vista sen- sibile, che hanno gli uomini sulla Terra, penetra nella giustizia eterna di Dio come l’occhio nel mare. Dalla riva vede facilmente il fondo, ma in mare aperto non Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 45 lo vede. Eppure il fondo del mare c’è, ma lo nascon- de alla vista il fatto che è profondo. Per la mente umana non esiste una luce che non venga da quella Serenità, che non è mai offuscata. Ogni altra cosa è oscura 0 è un’ombra prodotta dai sensi o è puro in- ganno. Ora ti è stata ben chiarita la profondità che ti na- scondeva la giustizia divina, che faceva sorgere in te dubbi tanto frequenti. Tu dicevi: “Un uomo nasce sulle rive dell’Indo e qui nessuno parla di Cristo, né chi legge né chi scrive. Tutti i suoi desideri e i suoi gesti sono buoni, per quanto la ra- gione umana possa giudicare, ed egli è senza peccato nelle parole come nelle azioni. Costui muore senza essere stato battezzato e senza avere la fede. Che giustizia è quella che lo condanna al limbo? Qual è la sua colpa, se non crede?” Ora chi sei tu, che vuoi sederti sullo scranno in tri- bunale, per giudicare a mille miglia di distanza, con la vista che non arriva a una spanna? Certamente po- trebbe dubitare a tempo pieno chi fa sottili ragiona- menti sulla giustizia divina, se non ci fossero sopra di voi le Sacre Scritture. Oh, creature terrene! Oh, menti grossolane! Dio, la prima volontà, che per se stessa è buona, non si è mai mossa da se stessa, che è Sommo Bene. Tutto ciò che è conforme ad essa è giusto: nessun bene creato la attira a sé, ma è essa che, illuminando con la sua grazia, lo determina!» Come la cicogna, dopo aver sfamato i piccoli, gira in volo sopra il nido e come chi ha mangiato la osserva; così fece l’immagine benedetta dell’aquila, che muo- veva le ali spinte da tanti beati. Ed io alzai le ciglia per guardarla. Ruotando in volo, cantava e diceva: «Come tu non comprendi le parole che ti rivolgo, c: sì il giudizio eterno di Dio è incomprensibile per voi mortali!» Le due vie della salvezza: la fede e le buone opere Dopo che quegli incendi luminosi, ripieni di Spirito Santo, si fermarono e ricomposero il segno dell’aqui- la, che fece i romani guardati con rispetto dal mondo, esso ricominciò: «In questo regno non salì mai chi non credette in Cri- sto, prima o dopo che fosse crocifisso. Ma ora fa” attenzione! Molti, che gridano “Cristo, Cristo!”, nel giorno del giudizio saranno molto meno vicini a Lui di chi non lo ha conosciuto. E l’etiope condannerà questi cristiani, quando saranno divise le due schiere, quella degli eletti che andrà nella beatitudine eterna e quella dei dannati, che conoscerà le pene della dan- nazione eterna. Che potranno dire i persiani ai vostri re, quando vedranno aperto quel libro in cui si scri- vono tutte le cattive azioni degli uomini? La condanna dei governanti cristiani Lì si vedrà, tra le opere di Alberto I d’Asburgo, quella che presto muoverà la penna divina, perché porterà morte e distruzione nel regno di Boemia. Lì si vedrà il dolore che, coniando moneta falsa, porterà alla Francia Filippo il Bello, che morirà per il colpo di zanna di un cinghiale. Lì si vedrà la superbia e la conseguente sete di potere, che hanno fatto impazzire il re di Scozia Roberto Bruce e il re d’Inghilterra E- doardo II, che non vogliono starsene tranquilli dentro i loro confini e si fanno guerra. Si Vedranno la lussu- ria e la vita viziosa del re di Spagna Ferdinando IV e del re di Boemia Venceslao IV, che non conobbe mai né volle mai dimostrare alcun valore. Si Vedrà di Carlo II d'Angiò, re Zoppo di Gerusalemme, che le sue buone azioni saranno segnate con una “I”, che va- le uno, e invece quelle malvage con una “M”, che va- le mille. Si Vedranno l’avarizia e la viltà di Federico II d’Aragona, che governa la Sicilia, l’isola del fuoco, dove Anchise finì la sua lunga vita. E, per far capire quanto vale poco, la sua vita sarà scritta con caratteri abbreviati, che in poco spazio diranno molte cose. E a tutti appariranno le opere indegne dello zio Giaco- mo di Maiorca e di suo fratello Giacomo II di Sicilia, che disonorano due corone regali e l’illustre casata di Aragona. E lì si faranno conoscere il re di Portogallo Dionigi 1’ Agricola, il re di Norvegia Hakon VII e il re di Serbia Stefano Uroì, che ha falsificato con suo danno la moneta veneziana. O beata l'Ungheria, se non si lasciasse più mal governare, e beata la Navar- ra, se usasse come arma i monti Pirenei, che la ci condano, per difendersi contro le mire della Francia! E, come anticipo di tutto questo, ognuno deve crede- re che l’isola di Cipro già si lamenta e soffre a causa di Enrico II di Lusignano, la bestia che la governa, che non si comporta in modo diverso dagli altri re cristiani». 1© I- I personaggi Alberto I d’Asburgo, figlio di Rodolfo I d’ Asburgo, è imperatore dal 1298 al 1308. Si preoccupa di rico- stituire il regno di Germania, perciò si disinteressa dell’Italia. Muore ucciso dal nipote Giovanni. Filippo il Bello (1268-1314), re di Francia, consolida la monarchia francese, facendone uno Stato accentra- to, impone le tasse anche al clero e perciò si scontra con papa Bonifacio VII che lo scomunica (1296). Manda in Italia Guglielmo di Nogaret, suo consiglie- re, che arresta il papa (lo “schiaffo di Anagni”). Nel 1305 impone un papa francese, Clemente V, che no- mina molti cardinali francesi, sposta la sede ad Avi- gnone e gli permette di sopprimere l’ordine dei Tem- plari per incamerarne le enormi ricchezze. Roberto Bruce, conte di Carrick, sale sul trono di Scozia nel 1306. Combatte contro Edoardo Il d’In- ghilterra. Edoardo II sale sul trono d’Inghilterra nel 1307. Combatte contro Roberto Bruce, re di Scozia. Ferdinando IV di Castiglia (1295-1312), re di Spa- gna, condanna ingiustamente a morte i fratelli Carva- jal, che gli preannunciano la morte entro un mese. Venceslao IV, re di Boemia (1278-1305) e dal 1300 anche di Polonia, è buon amministratore, tanto che gli ungheresi gli offrono la corona, che egli accetta per il figlio Venceslao V. Già a 25 anni aveva molti figli naturali. Carlo II d’Angio (1248-1309), detto lo Zoppo, figlio di Carlo I ed erede al trono di Napoli, è sconfitto dal- 46 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini la flotta di Pietro d'Aragona II e preso prigioniero (1284). È liberato dopo la morte del padre. Nel 1305 combina il matrimonio della figlia con Azzo VII d’Este e ne concorda il prezzo in denaro. Federico II d’Aragona (1272-1337) è figlio di Pie- tro II d'Aragona e di Costanza, figlia di Manfredi. Dal fratello Giacomo, divenuto re d’ Aragona (1291), è nominato suo luogotenente in Sicilia. Nel 1296 ac- cetta la corona offertagli dai siciliani. Si scontra con gli Angiò, appoggiati dal papa Bonifacio VIII, che e- rano stati cacciati dall’isola (1282). Anchise, padre di Enea, muore a Trapani, mentre i troiani sopravvissuti sono diretti verso il Lazio. La fonte di Dante è Virgilio, Aen. II, 707-10. Giacomo di Maiorca (1243-1311) dal 1262 è re di Maiorca, che il padre aveva sottratto ai saraceni, conte di Rossiglione e di Cerdagna e signore di Mon- tpellier dal 1276. Giacomo II di Sicilia (1267-1327) è re di Sicilia e poi d'Aragona. Dionigi l’Agricola (1279-1325) fonda l’università di Lisbona e consolida il regno. Ha fama di affarista, si impossessa dei beni dei templari e tradisce la moglie Isabella. Hakon VII (1299-1319) è re di Norvegia. Dante ha vaghe notizie sulla Norvegia. Stefano Uro$ (1276-1321), re di Serbia e dei territori circostanti, con capitale Ragusa, oggi Dubrovnik. Enrico o Arrigo II di Lusignano (1271-1324), re di Cipro e di Acri (1285-24), ha una vita dissoluta e non riesce ad ostacolare l’offensiva in terraferma dei sultani mamelucchi. Commento 1. Dante affronta uno dei problemi più spinosi della teologia: “Se uno nasce in India, che colpa ha se non conosce il Vangelo e non è battezzato?”. La risposta immediata è che i disegni di Dio sono imperscrutabi- li: “State contenta, umana gente, al quia...” (Pg IIL 31-39). Ma poi il poeta si addolcisce e nel canto successivo immagina due eccezioni: l’imperatore Traiano e il troiano Tifeo, che dimostrano che le vie della giustizia divina sono infinite. Tra i due momenti della discussione non perde tempo e rimprovera a- spramente i governanti cristiani, che conoscono il messaggio di Cristo, ma sono pessimi governanti. E verso di loro usa parole durissime. 2. Nella parte finale del canto si incontra una delle numerose invettive presenti nelle tre cantiche. L’in- vettiva onnicomprensiva è Pg VI: il poeta se la pren- de con gli imperatori, i principi italiani, i papi, forse anche con Dio e infine coni fiorentini. 3. “Lì si vedrà...” per tre terzine è l’inizio di un a- crostico, LVE (vv. 115-141), che coinvolge nove ter- zine. L’acrostico, scoperto soltanto nel Novecento, indica la lue, una malattia venerea. E il senso è que- sto: come la lue colpisce gli organi genitali e infetta l’intero organismo, così il mal governo dei re cristiani si dirama dagli organi di governo e infetta tutta la so- cietà. Un altro acrostico di 12 terzine si trova in Pg XII 25-63: la parola VOM, uomo. Canto XX Cielo di Giove, spiriti giusti, 13 aprile 1300 L’aquila tace e gli spiriti cantano Quando il Sole, che illumina il mondo, tramonta dal nostro emisfero, così che il giorno scompare in ogni parte, il cielo, che prima era acceso soltanto dalla sua luce, si fa subito di nuovo luminoso perché com- paiono infinite stelle, che riflettono la sua luce. Que- sto fenomeno celeste mi venne in mente non appena l’aquila, il simbolo dell’impero e dei suoi governanti, tacque con il becco benedetto. Tutte quelle vive luci divennero più luminose e cominciarono canti che so- no scivolati via dalla mia memoria. O dolce amore, che ti ammanti di letizia, quanto ap- parivi ardente in quelle anime che erano pervase sol- tanto da pensieri santi! Gli spiriti che formano la pupilla dell’a- quila Dopo che le pietre preziose e scintillanti, di cui io vidi ingemmato il sesto cielo, interruppero i loro an- gelici canti, mi parve di udire il mormorio di un fiu- me che scende limpido di pietra in pietra, mostrando l'abbondanza d’acqua della sua sorgente. E, come il suono si forma sul manico della cetra e come attra- verso i fori della zampogna si modula l’aria che vi era stata soffiata dentro; così, rimosso ogni indugio, quel mormorio dell’aquila salì su per il collo, come se fosse bucato. Poi si trasformò in suono e uscì per il becco sotto forma di parole, come mi aspettavo in cuore, per scriverle. E incominciò: «Ora tu dovrai fissare la parte di me che nelle aquile mortali vede e sopporta la luce del Sole, perché di tutte le anime, che compongono la mia figura, quelle che scintillano nel mio occhio sono le più nobili di tutti i beati della loro schiera. Colui che splende nel centro dell’occhio come pupilla fu re David, il canto- re dello Spirito Santo, che trasportò l'Arca Santa di città in città. Ora conosce quanti meriti ebbe il suo canto di lode a Dio, poiché esso fu effetto della sua libera volontà, e la beatitudine è ad esso commisura- ta. Dei cinque beati, che formano il cerchio che mi fa da ciglio, colui che è più vicino al becco è l’impe- ratore Traiano, che consolò la vedovella facendole giustizia per il figlio ucciso. Ora qui conosce quanto costa caro non seguire Cristo, poiché ha sperimentato la vita beata in paradiso e quella mesta e piena di so- spiri del limbo. Il beato che lo segue nella parte alta del ciglio è Ezechia, re di Gerusalemme, che aspettò la morte con un atto sincero di penitenza. Ora cono- sce che il giudizio eterno non muta, quando sulla Terra la preghiera di un'anima degna rimanda al futu- ro il giudizio che Dio ha già pronunciato. L’altro che lo segue è l’imperatore Costantino, che, spinto da una buona intenzione (che però diede un cattivo frutto), portò le leggi e l’aquila imperiale in Oriente, per ce- dere Roma al papa. Ora conosce come il male deri- vato dalla sua donazione non gli ha nuociuto, benché il mondo ne sia stato distrutto. E colui che vedi nel- l’arco discendente del ciglio fu re Guglielmo il Buo- no, che è rimpianto dal regno di Napoli e di Sicilia, 47 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini che ora piange amaramente Carlo II d’Angiò e Fede- rico II d’Aragona, che sono vivi. Ora conosce come il cielo apprezza un re giusto e lo fa con il fulgore del suo aspetto. Chi, nel mondo errante, crederebbe che il troiano Rifeo in questo cerchio sia la quinta delle luci sante? Ora conosce della grazia divina molto più di quello che il mondo possa conoscere, anche se la sua vista non discerne il fondo!» Come l’allodola, che prima vola nell’aria cantando e poi tace, contenta dell’ultima nota che la sazia, così mi sembrò l’immagine dell’aquila, simbolo di Dio, beatitudine eterna, il cui desiderio fa sì che ogni cosa diventi quello che è. Anche i pagani si possono salvare Ed anche se il mio dubbio era visibile come un og- getto che il vetro ricopre, non volli perdere tempo re- stando in silenzio e, sotto il suo peso, mi misi a par- lare: «Che cos’è tutto questo? In che modo due pagani possono essersi salvati?» Alla mia domanda vidi le anime dei beati sfavillare di gioia. Poi con l'occhio più splendente il segno be- nedetto dell’aquila mi rispose, per non tenermi so- speso nella meraviglia: «Io vedo che tu credi queste cose perché io le dico, ma non vedi come si siano salvati. Perciò, anche se tu le credi, restano incomprensibili. Fai come chi ap- prende bene la cosa per nome, ma non può vedere la sua intima essenza, se qualcuno non gliela indica. Il regno dei cieli sopporta la violenza che viene dal caldo amore di carità e dalla viva speranza, che vin- ce la divina volontà. Non vince come un uomo che sconfigge un altro, ma vince perché vuole essere vin- ta e, una volta vinta, vince con la sua benevolenza. La prima e la quinta anima del ciglio - Traiano e Ri- feo - ti fanno meravigliare, perché vedi che si trovano tra gli angeli del Paradiso. Non uscirono, come tu credi, dai loro corpi come pagani, ma come cristiani, Rifeo credendo fermamente in Cristo venturo e Tra- iano credendo fermamente in Cristo già venuto. Come Traiano e Rifeo si salvarono Traiano tornò in vita dall’inferno, da dove non si ri- torna mai a una volontà buona, e ciò fu il premio di una viva speranza. Di una viva speranza, che mise la forza nelle preghiere rivolte a Dio [da papa Gregorio Magno] per farlo resuscitare, così che la sua volontà potesse convertirsi alla fede in Cristo. L'anima glo- riosa di cui parlo ritornò nella carne, in cui rimase per breve tempo, credette in Colui che poteva aiutar- la. E, credendo, si accese di un fuoco così grande di vera carità che, morendo per la seconda volta, fu de- gna di venire a questa beatitudine. Rifeo per la grazia divina che stilla da una fontana così profonda che mai una creatura - né uomo né angelo - spinse l’occhio fino alla scaturigine, là sulla Terra pose tut- to il suo amore nella gius . Perciò, di grazia in grazia, Dio gli aprì gli occhi alla nostra redenzione futura. Egli credette in essa e da quel momento non sopportò più la puzza della religione pagana ed anzi rimproverò quella gente perversa. Gli diedero il bat- tore nel monastero di Nostra Signora a Ravenna, sul mare Adriatico. Mi era rimasto poco da vivere, quando fui chiamato e costretto a indossare quel cappello cardinalizio, che oggi passa di male in peg- gio. Invettiva contro gli ecclesiastici Pietro e Paolo, il vaso di sapienza prescelto dello Spirito Santo, andarono a predicare magri e scalzi, mangiando il cibo offerto da chi li ospitava. Ora i moderni pastori vogliono servi che li sorreggano a destra e a sinistra, che li trasportino, tanto sono pe- santi, e che alzino loro lo strascico di dietro. Con i loro mantelli coprono i cavalli, così che due bestie vanno sotto una pelle. Oh, pazienza di Dio, quanto sei grande!» A queste parole io vidi numerose fiammelle che scendevano lungo i gradini della scala e ruotavano, e ogni giro le faceva più belle. Vennero intorno alla lu- ce di Pier Damiani e si fermarono, poi fecero un gri- do così alto, che non potrebbe essercene un altro di simile. Io non lo compresi, tanto mi assordò il tuono. 10 L-- I personaggi Sèmele, figlia di Cadmo e di Armonia, è amata da Zeus, a cui (su istigazione di Era, gelosa) chiede di apparire nel suo fulgore. Zeus la dissuade, ma dietro le sue insistenze mantiene la promessa di esaudire ogni suo desiderio. Ed è fulminata. Zeus però riesce a salvare Dioniso, il bimbo che aveva in grembo, e lo nasconde nella coscia. A tempo debito il padre degli dei ha le doglie e partorisce il bimbo. Saturno è un dio romano di ascendenza greca. Al suo culto erano dedicati i Saturnalia, feste che ricor- davano l’età d’oro degli uomini, priva di conflitti. Pier Damiani (Ravenna, 1007-Faenza, 1072) è dot- tore della Chiesa e proclamato santo. È priore del monastero di Fonte Avellana, collabora con più papi, in particolare con l’amico Gregorio VIL Diventa car- dinale e vescovo di Ostia. Scrive moltissimi opuscoli e moltissime lettere. Opera per moralizzare la Chie- sa. Rinuncia alla sede episcopale e ritorna a Fonte Avellana, dove muore. Pietro (Betsaida, ?-Roma, 64/67d.C.) si chiamava Simone e faceva il pescatore. Segue Gesù e diventa il capo degli apostoli e il vicario di Cristo in Terra. Paolo di Tarso (Tarso, 5/15 d.C.-Roma, 65/67) si chiamava Saulo. È di famiglia ebraica e cittadino ro- mano. Si converte sulla via di Damasco e diventa la mente organizzatrice della Chiesa primitiva. Commento 1. Pier Damiani lamenta che gli eremiti hanno di- menticato gli antichi valori. La stessa cosa era suc- cessa con l’ordine francescano e domenicano (Pd XI e XI. Nel canto successivo Benedetto da Norcia lamenta che i valori iniziali di un ordine durano ap- pena una generazione: passano 20 anni, e la regola si corrompe (Pd XXI). L’indebolimento dei valori è comprensibile: passati i momenti eroici dei primi tempi, nell'ordine entrano novizi che hanno una fede Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 50 tiepida e cercano la sicurezza e le comodità che per- mette una grande organizzazione. 2. AI problema della predestinazione Pier Damiani dà questa risposta: i beati vedono in Dio, ma nem- meno il cherubino più vicino a Dio riesce a vedere tutto in Dio. Perciò Dante, ritornato sulla Terra, do- vrà dire agli uomini di non occuparsi di questo pro- blema. In cielo i beati sono illuminati dalla luce e non conoscono la risposta. A_maggior ragione sulla Terra, dove le menti degli uomini sono immerse nell’oscurità. 3. Nella parte finale del canto si incontra una delle numerose invettive presenti nelle tre cantiche. L’in- vettiva onnicomprensiva si trova in Pg VI il poeta se la prende con gli imperatori, con i principi italiani, con i papi, forse anche con Dio e infine con i fioren- tini. Canto XXII Cielo di Saturno, spiriti contemplanti, 13 aprile 1300 Dante è sopraffatto dal grido dei beati Sopraffatto dallo stupore, mi volsi verso la mia gui- da, come il bambino che si rivolge sempre alla per- sona in cui ha più fiducia. E Beatrice, come una ma- dre che soccorre sùbito il figlio pallido per lo spa- vento e affannato per la corsa, con la sua voce rassi- curante mi disse: «Tu non sai che sei in paradiso? E non sai che il pa- radiso è tutto santo e che quanto vi si fa proviene dalla carità? Ora puoi pensare come ti avrebbero tra- sformato il canto e il mio sorriso, dopo che il grido dei beati ti ha così profondamente sconvolto. In tale grido, se tu avessi inteso le sue preghiere, avresti ri- conosciuto la giusta punizione di Dio, che tu vedrai prima di morire. La spada della giustizia divina non taglia in fretta né con lentezza, fuorché al giudizio di colui che l’aspetta con desiderio o con timore. Ma rivòlgiti ormai verso gli altri beati, perché vedrai spi- riti che sulla Terra furono assai illustri, se sposti lo sguardo come io dico!» Come a lei piacque, girai gli occhi e vidi cento pic- cole sfere che insieme si facevano più belle con i raggi reciproci. Io stavo come colui che reprime in sé il pungolo del desiderio e che non si tenta di doman- dare, tanto ha paura di chieder troppo. La più grande e la più lucente di quelle margherite si fece avanti, per far contento il mio desiderio con le sue parole. Poi dentro di lei udii: Benedetto da Norcia e il suo ordine «Se tu vedessi come vedo io la carità che arde tra noi, esprimeresti sùbito i tuoi pensieri. Ma, affinché tu, indugiando, non giunga in ritardo alla meta subli- me del tuo viaggio, io risponderò soltanto al tuo pen- siero, che sei così timoroso di manifestare. Quel monte, su cui sorge Cassino, un tempo fu abitato dal- la gente che viveva nell’errore e che era mal disposta ad accogliere la verità. Io sono Benedetto da Norcia e per primo portai su di esso il nome di Cristo, che sulla Terra portò la verità che tanto c’innalza perché ci dice figli di Dio. E sopra di me rifulse tanta grazia divina, che io sottrassi i paesi circostanti all’empio culto che sedusse il mondo. Questi altri spiriti ardenti di carità furono tutti uomini contemplanti, accesi da quel calore - la carità -, che fa nascere i buoni pensieri e le buone opere. Qui in questo cielo è Macario, qui è Romualdo, qui sono i miei frati che dentro ai chiostri fermarono i piedi e tennero il cuore saldo alla regola!» Ed io a lui: «L'affetto che dimostri parlando con me e l’espres- sione di carità, che io vedo e noto in tutti i vostri globi fiammeggianti, ha dilatato la mia fiducia in voi così come il Sole fa con la rosa, che diviene tanto aperta quanto è capace di aprirsi. Perciò ti prego, e tu, o padre, fammi certo se io posso ricevere tanta grazia da vederti con l’aspetto che avevi sulla Ter- ra» Ed egli: Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini SI «O fratello, il tuo desiderio di vedere cose elevate si adempierà nell’ultima sfera dove si adempiono tutti gli altri e il mio. Ivi ciascun desiderio è portato alla perfezione, reso maturo e privato dei difetti. Sola- mente in quella sfera ogni parte si trova dov'è sem- pre stata, perché essa non è in alcun luogo e non ha poli intorno a cui ruotare. E la scala di questo cielo sale fino ad essa, perciò si sottrae ai tuoi occhi. Fin lassù il patriarca Giacobbe vide in sogno che proten- deva la parte superiore, quando gli apparve così ca- rica di angeli. La corruzione dell'ordine benedettino Ma, per salirla, ora nessuno stacca i piedi da terra, e la mia regola è rimasta soltanto per rovinare le carte dov'è scritta. Le mura dei monasteri che erano luoghi di santa vita sono divenute spelonche di ladroni e le vesti monacali sono sacchi pieni di farina guasta. Ma l’usura più grave non si alza tanto contro la volontà di Dio, quanto quel frutto (=le rendite dei monasteri) che fa il cuore dei monaci così folle di cupidigia, perché ciò, che la Chiesa custodisce, appartiene tutto alla gente che chiede la carità in nome di Dio; non appartiene ai parenti degli ecclesiastici né ad altri più indegni (=le concubine e i figli naturali). La carne dei mortali è tanto soggetta alle tentazioni, che sulla Ter- ra il buon inizio non dura il tempo che va dalla nasci- ta della quercia al momento in cui essa produce la prima ghianda. Pietro riunì i primi cristiani senz’oro e senz’argento, io riunii i miei seguaci con la preghiera e con il digiuno, Francesco riunì i suoi frati con l’umiltà. E, se guardi il principio di ciascuna famiglia e poi guardi là dove si è spostata, vedrai la virtù di- venuta vizio. Tuttavia le acque del fiume Giordano fatte ritornare indietro e quelle del mar Rosso messe in fuga davanti agli ebrei, quando Dio volle interve- nire, furono un fatto mirabile a vedere più di quello che qui sarà il soccorso divino contro questi mali!» Così mi disse, poi si ricongiunse alla sua schiera e la sua schiera si strinse intorno a lui. Poi, come turbine, salì verso l’alto, roteando tutta. La mia dolce donna mi spinse dietro di loro con un solo cenno su per quella scala, tanto la sua virtù vinse il peso del mio corpo. Né mai quaggiù, dove si sale e si scende con le forze della natura, un movimento fu così rapido che potesse uguagliare il mio volo. O lettore, possa io tornare dopo la morte a quel de- voto trionfo tra i beati, per raggiungere il quale io piango spesso i miei peccati e mi percuoto il petto! Tu non avresti messo e tolto il dito dal fuoco in tanto tempo, in quanto io vidi la costellazione dei Gemelli che segue quella del Toro e mi ritrovai dentro di es- sa. La costellazione dei Gemelli O stelle dei Gemelli che date la gloria, o luce piena d’influssi virtuosi - dalla quale io riconosco che de- riva tutto il mio ingegno, quale che si sia -, con voi nasceva e con voi si nascondeva il Sole che è padre di ogni vita mortale, quando io respirai per la prima volta l’aria toscana. E poi, quando Dio mi elargì la grazia di entrare nella nobile sfera (=l’ottavo cielo) che vi fa girare intorno alla Terra, la vostra regione mi fu data in sorte. A voi ora sospira devotamente la mia anima, per acquistare le capacità che mi permet- tono di affrontare la difficile prova che la attira a sé. Dante guarda i pianeti e la Terra «Tu sei così vicino alla beatitudine suprema (=Dio)» cominciò Beatrice, «che devi avere i tuoi occhi lim- pidi e penetranti. Perciò, prima di addentrarti mag- giormente in lei, guarda in basso e osserva quanta parte dell’universo ti ho fatto percorrere; così che il tuo cuore, quanto più può, si presenti giocondo alla turba che celebra il trionfo di Cristo e viene lieta per questo cielo concavo!» Con gli occhi ripercorsi tutte le sette sfere e vidi questo globo tanto piccolo (=la Terra), che sorrisi per il suo vile aspetto. E approvo come migliore quel giudizio che la considera meno del cielo. E chi pensa ad altre cose si può chiamare veramente forte d’ani- mo. Vidi la figlia di Latona (=la Luna) splendere sen- za quell’ombra che mi spinse a crederla in parte rara e in parte densa. La vista di tuo figlio (=il Sole), o Iperione, qui sostenni, e vidi come si muove intorno e vicino a lui Mercurio, figlio di Maia, e Venere, figlia di Dione. Di qui mi apparve Giove che contempera il freddo del padre Saturno e il caldo del figlio Marte. Di qui mi fu chiaro come i due pianeti spostano le loro posizioni rispetto alle Stelle Fisse. Tutti e sette i pianeti mi mostrarono quanto sono grandi e quanto sono veloci, e quanto sono distanti le loro sfere. Mentre mi volgevo con la costellazione immortale dei Gemelli, la piccola aia, che ci fa tanto feroci, mi apparve tutta dalle catene montuose alle foci dei fiumi. Poi rivolsi gli occhi agli occhi belli di Beatri- ce. I personaggi Benedetto (Norcia 480-Montecassino 543) nasce da una nobile famiglia. Va a Roma per studiare ed è colpito dalla corruzione della Chiesa. Si ritira a vive- re da eremita in una grotta del monte Subiaco, atti- rando numerosi discepoli. Fonda vari monasteri, la cui vita è regolata dall’ideale ascetico della preghiera e del lavoro (Ora et labora). Il rigore della regola produce dissensi. Egli si ritira nuovamente a fare la vita dell’eremita, poi si reca a Montecassino, dove distrugge un tempio di Apollo e fonda il complesso, che diventa la sede principale dell’ordine. Qui muo- re. È proclamato santo. La sua opera ha un grandis- simo influsso per tutto il Medio Evo: i monasteri di- ventano anche centri di cultura; inoltre trascrivono e tramandano ai posteri l’eredità culturale di Roma. Macario di Alessandria (?-391) è uno dei maggiori esponenti del monachesimo orientale, che precede il monachesimo benedettino. Egli elabora una regola per i monaci egiziani e diffonde il monachesimo. Può essere anche Macario il Grande (o l’Egiziano) (?- 404). Ambedue sono monaci eremiti e seguaci di sant'Antonio abate (Qumans, 251ca.-Tebaide, 357). Romualdo degli Onesti (Ravenna, 956-Valdicastro, 1027) fonda il convento di Camàldoli e l’ordine dei Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 52 frati camaldolesi (1018) seguendo la regola benedet- tina riformata. È proclamato santo. Giacobbe ha un sogno: gli pare di vedere una scala che va dalla Terra al cielo, per la quale salivano e scendevano schiere di angeli (Gn. 28, 12). È detto patriarca, cioè capostipite, perché riceve da Dio l'ordine di cambiare il suo nome in Israele. Egli è quindi il padre di tutti gli israeliti. Pietro (Betsaida, ?-Roma 64/67 d.C.), un ex pescato- re, diventa il capo degli apostoli e da Cristo riceve l’investitura di capo della Chiesa: «Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 19). È il primo papa ed occupa il soglio pontificio per ben 32 anni. Muore martire. Francesco d’ Assisi (1082-1126) dopo una giovinez- za spensierata ha una crisi religiosa che lo porta a rifiutare le ricchezze paterne e a fondare l’ordine dei frati minori, la cui regola è approvata prima verbal- mente da papa Innocenzo II (1209) e poi ufficialmen- te da papa Onorio II (1123). La figlia di Latona è la Luna. Secondo la mitologia greca la dea Latona e Zeus generano Apollo e Arte- mide, poi identificati con il Sole e la Luna. Iperione è il padre del Sole. È una divinità greca, poi identificata con Zeus. Maia è la madre di Ermes (Mercurio presso i roma- ni), il messaggero degli dei, il protettore dei viandanti ma anche dei ladri. Il padre è Zeus. Dione è la madre di Afrodite, Venere presso i roma- ni. Il padre è Zeus. Giove o, meglio, Zeus nella mitologia greca è il pa- dre degli dei. È figlio di Saturno, che detronizza, e padre di Ares, Marte presso i romani, oltre che di numerosi altri dei e semidei. Commento 1. Dante non vede i disegni imperscrutabili di Dio, perciò non può capire perché le due guide dell’uma- nità, la Chiesa e l’Impero, si dimostrino così incapaci ad arginare una corruzione diffusa, che coinvolge lai- ci ed ecclesiastici. Ma il poeta - dice Beatrice - non deve temere: la giusta vendetta di Dio arriverà a tempo debito, né troppo in fretta né troppo lenta; ed egli la vedrà prima di morire. Il riferimento non è tan- to alla cattura del papa Bonifacio VII e allo “schiaf- fo di Anagni” (1303), che colpiscono il prestigio del- la Chiesa, né al trasferimento della sede papale ad Avignone (1305), quanto a punizioni in generale, che Dio infliggerà agli uomini. 2. Il poeta delinea in breve la figura di Benedetto e insiste sulla sua opera di evangelizzazione. Benedet- to ricorda i confratelli che nel convento osservarono la regola, poi si scaglia con durezza contro quei mo- naci che hanno fatto dei monasteri spelonche di ladri: essi si preoccupano più delle rendite dei monasteri che della vita spirituale ed hanno i cuori pieni di cu- pidigia verso i beni mondani. Ma quei beni - egli ri- corda - appartengono ai poveri, non ai parenti dei monaci né, tanto meno, alle concubine e ai figli natu- rali. Fa anche amare considerazioni sulla natura u- mana: dalla nascita di un ordine la fedeltà alla regola dura soltanto 20 anni - il tempo che la quercia dia le ghiande -, poi la corruzione attecchisce e si espande. Canto XXIV Cielo delle Stelle Fisse, spiriti trionfanti, 13 aprile 1300 Beatrice invita gli spiriti a soddisfare la sete di sapere di Dante «O voi che come compagni siete stati scelti per la grande cena dell’Agnello benedetto, il quale vi ciba così, che il vostro desiderio è sempre appagato, se per grazia di Dio questi (=Dante) pregusta le briciole che cadono dalla vostra mensa, prima che il tempo gli prescriva la morte, ponete mente all’immenso de- siderio che prova e irroratelo un po’ con quella ru- giada che estingue la sete: voi bevete sempre dalla sorgente della sapienza da cui proviene quel che egli pensa!» Così disse Beatrice. Quelle anime liete si disposero come sfere che giravano sopra un asse fisso, fiam- meggiando, a volte, a guisa di comete. E, come le ruote nei congegni degli orologi girano tanto veloce- mente, che a chi osserva la prima appare immobile e l’ultima che voli; così quelle anime, danzando in mo- do diverso, mi facevano stimare il loro grado di bea- titudine, secondo la loro velocità e la loro lentezza. Da quella ruota, che io notai di più pregio, io vidi uscire un fuoco così felice, che non ne lasciò alcun altro più splendente. Per tre volte ruotò intorno a Be- atrice con un canto tanto divino, che la mia fantasia non è capace di ripetere. Perciò la mia penna salta oltre e non lo descrivo: la nostra immaginazione, co- me le nostre parole, ha colori troppo vivaci per ri- produrre tali sfumature. Pietro interroga Dante sulla fede «O mia santa sorella, che con tanta devozione ci pre- ghi, per il tuo ardente affetto mi spingi a staccarmi da quella bella sfera di beati!» Dopo essersi fermato, il fuoco benedetto indirizzò la parola alla mia donna, che parlò così come io ho det- to. Ed ella: «O luce eterna di quell’uomo di grande fede a cui Nostro Signore lasciò le chiavi (che egli portò sulla Terra) di questo gaudio meraviglioso che è il paradi- so, esamina costui, come ti piace, sui punti lievi e gravi che riguardano la fede, per la quale tu cammi- navi sopra il mare. Non ti è nascosto se egli ama be- ne (=correttamente), spera bene e crede bene, perché hai gli occhi fissi in Dio, dove ogni cosa si vede ri- flessa come in uno specchio. Ma, poiché questo re- gno ha acquistato i suoi cittadini per mezzo della ve- ra fede, è bene che egli abbia l’occasione di parlare di lei, per glorificarla!» Come lo studente all’esame finale, in attesa che il docente proponga la questione, si arma e non parla, per raccogliere nella sua memoria le prove, non per trarre le conclusioni; così io mi armavo di ogni argo- mento, mentre ella parlava, per esser pronto a rispon- dere a tale inquirente e a tale professione di fede. «Dimmi, o buon cristiano, manifesta la tua dottrina: che cos'è la fede» Io alzai la fronte verso quella luce da cui spirava questa domanda, poi mi volsi verso Beatrice, che mi fece sùbito cenno di rispondere. 55 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini «La Grazia divina, che mi permette di fare la mia professione di fede» io cominciai, «davanti al suo primo campione, faccia che i miei concetti siano be- ne espressi dalle parole!» E seguitai: «O padre, come ci ha lasciato scritto la penna veri- tiera del tuo caro fratello Paolo, che insieme con te mise Roma sulla retta via della salvezza, la fede è la sostanza (=il fondamento) delle cose che speriamo e l’argomento (=la prova) delle cose che non appaiono ai nostri sensi. Questa a me sembra la sua essenza». Allora udii: «Tu senti in modo corretto, se intendi bene perché egli, Paolo, la pose prima tra le sostanze e poi tra gli argomenti». Ed io di rimando: «I profondi misteri che qui in cielo mi mostrano il lo- ro aspetto, agli occhi degli uomini sono così nascosti, che la loro verità è ammessa soltanto per fede, sopra la quale si fonda la speranza della beatitudine cele- ste. Perciò la fede prende il nome di sostanza. E da questa fede è necessario argomentare, senza poter contare su altri occhi per vedere. Perciò essa assume il nome di argomento». Allora udii: «Se tutto ciò, che giù tra gli uomini si acquista attra- verso l'insegnamento, fosse compreso bene come lo hai compreso tu, lì non ci sarebbe spazio per le di- scussioni inutili dei sofisti». Così parlò quello spirito acceso d’amore, poi sog- giunse: «Hai passato molto bene tra le tue mani la lega e il peso di questa moneta (=la fede). Ma dimmi se tu ce l’hai nella tua borsa!» Ed io: «Sì, ce l’ho, così lucida e così rotonda, che non ho alcun dubbio sul suo conio (=sulla sua autenticità)». Dalla luce profonda che lì splendeva uscì questa ri- sposta: «Questa gemma preziosa (=la fede), sopra la quale ogni virtù si fonda, da dove ti venne?» Ed io: «L'ispirazione dello Spirito Santo, che, come pioggia abbondante, è diffusa nel Vecchio e nel Nuovo te- stamento, è l'argomento che me lo ha fatto conclude- re in modo così stringente che in proposito ogni altra dimostrazione mi pare superflua». Io udii poi: «L'Antico e il Nuovo testamento, che ti fanno così concludere, perché tu li consideri ispirati da Dio?» Eio: «La prova, che mi dischiude il vero, sono le opere successive, cioè i miracoli, per le quali la natura non scalda mai il ferro né batte l’incudine». Mi rispose: «Dimmi, chi ti assicura che quelle opere siano avve- nute? Te lo dimostra quello stesso libro (=la Bibbia) che si vuole provare, non altri «Se il mondo pagano si rivolse al cristianesimo» dis- si, «senza miracoli, quest’unico miracolo è tale, che gli altri non valgono la centesima parte di esso. Tu entrasti nel campo povero e senza mezzi, per semina- re la buona pianta che un tempo fu ben coltivata e che ora è divenuta selvatica». Quando finii di parlare, la santa corte celeste si mise a cantare in tutti i gruppi il salmo Ti lodiamo, o Dio con quella dolce melodia che lassù si canta. E quel principe che, esaminandomi nella fede passando di domanda in domanda, mi aveva ormai tratto al punto in cui ci avvicinavamo alle conclusioni finali, rico- minciò: «La Grazia divina, che guida con amore la tua mente, ti ha fatto parlare come si doveva parlare, perciò io approvo ciò che hai detto. Ma ora è necessario che tu esprima quel che tu credi e da dove giunse alla tua fede». La professione di fede del poeta «O padre santo e spirito beato, che vedi ciò che cre- desti così che, correndo verso il sepolcro di Cristo, tu vincesti i piedi più giovani di Giovanni» comin- ciai, «tu vuoi che io qui manifesti la forma della mia pronta fede e mi hai chiesto anche la causa di essa. Io rispondo: io credo in un Dio unico ed eterno, che con l’amore che prova verso le creature e con il de- siderio che suscita in esse verso di Lui muove tutto il cielo, senza esserne mosso. E di tale fede io non ho soltanto prove fisiche e metafisiche, ma me le dà an- che la verità rivelata, che discende dal cielo attraver- so i libri di Mosè, dei profeti e dei salmi, del Vange- lo e di voi apostoli, che scriveste dopo che lo Spirito Santo vi nutrì. Credo in tre persone eterne e credo che esse abbiano un’essenza una e trina, che con- giunga “io sono” ed “egli è” (=la prima e la terza persona). Di questa profonda condizione divina (=che Dio è uno e trino), a cui io ora ho accennato, la dot- trina, che si trova in più luoghi del Vangelo, m’im- prime la certezza nella mente. Questa mia fede è il principio, questa è la favilla che poi si dilata in viva fiamma e scintilla in me come una stella in cielo!» Pietro è soddisfatto delle risposte Cone il signore che ascolta quel che gli piace sentire e che perciò abbraccia il servo, congratulandosi con lui per la lieta notizia che gli ha portato, non appena questi tace; così, benedicendomi e cantando, per tre volte mi girò intorno, come io tacqui, la luce dell’a- postolo al cui comando io avevo risposto. A tal pun- to fu soddisfatto delle mie parole! 10 L-- I personaggi Pietro (Betsaida, ?-Roma, 64/67d.C.) si chiamava Simone e faceva il pescatore. Gesù lo soprannomina Kefra, cioè roccia (in latino Petrus). Dalla Palestina va a predicare a Roma, la capitale dell’impero. Di- venta il primo papa ed occupa il soglio pontificio per ben 32 anni. Muore martire. Nel Vangelo riceve da Cristo un’investitura particolare, che darà luogo ad infiniti conflitti: «Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» (Mf 16, 19). Per la Chiesa romana significa che egli è il capo della Chiesa. Per 56 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini le altre comunità che sorgevano significa invece sol- tanto che egli è primus inter pares. Paolo (Tarso, 5/15 d.C.-Roma, 65/67) si chiamava Saulo. È di famiglia ebraica e cittadino romano. Ha un’accurata educazione rabbinica e farisaica, che ac- quisisce studiando a Gerusalemme. Perseguita i cri- stiani, poi si converte miracolosamente sulla via di Damasco (38ca.) e inizia a predicare la nuova reli- gione. Con Barnaba e Marco predica a Cipro e nel- l'Asia Minore (45-48), poi ancora in Asia Minore, in Macedonia e in Grecia, dove fonda diverse chiese. È arrestato e imprigionato a Cesarea per due anni, poi è portato a Roma e decapitato. Scrive numerose lette- re, confluite nel Nuovo testamento. Le sue idee, e- spresse in uno stile vigoroso e passionale, hanno un grande influsso sul pensiero cristiano successivo. Commento 2. L'esame riguarda la fede. Nei due canti successivi prosegue con la speranza e la carità, le tre virtù teo- logali, che poi sono completate dalle quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Gli esaminatori sono rispettivamente Pietro, Giaco- mo e Giovanni, i tre apostoli che hanno accompagna- to Gesù sul monte Tabor (Mt 17, 1-8). 3. L’esame è tenuto da Pietro, il capo degli apostoli, investito di questa funzione direttamente da Gesù Cristo. La definizione però è di Paolo, l’ex persecu- tore che si converte per intervento divino sulla via di Damasco. Pietro era soltanto un bravo pescatore, magari anche di anime. Ma ciò non era sufficiente per mettere in piedi una Chiesa che volesse uscire dalla clandestinità e diffondersi, come diceva il Van- gelo, nel mondo universo a predicare la buona novel- la. Ci voleva un colpo di genio e un volo d’aquila. Paolo, il romano, è la penna che diffonde la fede ed è anche, soprattutto, la mente organizzatrice. Pietro punta su Roma, che è la capitale dell’impero, il cen- tro più efficace d’irradiazione della nuova fede. 4. La fede si trovava già nel mondo greco e romano e anche nelle altre civiltà del tempo e precedenti. Era la fede del popolo negli dei o la fede ufficiale negli dei. Esisteva anche la fede dei filosofi. La teorizza- zione più completa è la teoria della linea di Platone: due livelli di conoscenza, con due ambiti ciascuno: opinione (apparenza, fede), conoscenza (conoscenza matematica, conoscenza intuitiva). In caso di necessi- tà la conoscenza recupera la fede, cioè le credenze, ad esempio la credenza (non dimostrata) negli dei. 5. La fede (in latino fides, fidei) ha un significato de- bole e un significato forte. Il significato debole è quello comune di fiducia: si crede normalmente a ciò che si ascolta. Poi c’è il significato forte, quello cri- stiano: la fede nelle verità del Vangelo. Le verità di fede sono poi indicate dalla teologia, cioè dalla ra- gione applicata alle Sacre scritture. La Chiesa le svi- luppa per avere un sistema teorico da contrapporre ai sistemi dei filosofi pagani, da Platone ad Aristotele agli altri filosofi. Peraltro in tal modo si allontana dalla genuina dottrina del Vangelo, che è un inse- gnamento che riguarda la vira pratica e i rapporti tra gli individui. Canto XXV Cielo delle Stelle Fisse, spiriti trionfanti, 13 aprile 1300 Dante spera che il poema gli permetta di ritornare a Firenze Se mai avverrà che il poema sacro, al quale han po- sto mano cielo e Terra e che mi ha affaticato per molti anni, vinca la crudeltà che mi chiude fuori di Firenze, la bella comunità in cui io trascorsi la mia giovinezza, combattendo i nemici che la minacciaro- no; con un’altra voce e altri capelli ritornerò come poeta e cingerò l’alloro sul fonte battesimale, poiché lì io entrai nella fede, che rende le anime gradite a Dio e sulla quale Pietro mi fa appena esaminato. Giacomo è accolto con gioia da Pietro Poi un altro spirito si mosse verso di noi da quella sfera da cui uscì Pietro, il primo dei vicari lasciati da Cristo. La mia donna, piena di letizia, mi disse: «Guarda, guarda! Ecco Giacomo per cui sulla Terra si va in pellegrinaggio a Santiago de Compostela!» Come quando il colombo si avvicina al compagno e uno manifesta all’altro il suo affetto girandogli intor- no e tubando, così io vidi Giacomo essere accolto dall’altro glorioso apostolo, lodando il cibo spirituale che lassù li nutre. Ma, finite le reciproche manifesta- zioni di giubilo, ambedue si fermarono in silenzio da- vanti a me, con uno splendore tale da vincere il mio sguardo. Beatrice prega Giacomo di esaminare il poeta sulla speranza Allora Beatrice, sorridendo, disse: «O anima illustre, che scrivesti sull’abbondanza di grazie del paradiso, fa’ risuonare qui la speranza! Tu la conosci bene, poiché la raffiguri tante volte quante Gesù a voi tre (=Pietro, Giacomo, Giovanni) mostrò la sua predilezione!» «Alza la testa e sta’ sicuro che ciò che sale quassù dalla Terra deve perfezionarsi ai nostri raggi!» La luce di Giacomo mi diede questo conforto, perciò io alzai gli occhi per guardare i due spiriti luminosi, che poco prima li avevano fatti abbassare con il loro eccessivo splendore. « Dio vuole per sua grazia che, prima della morte, tu incontri nei cieli più alti le anime più degne, affinché, dopo aver visto le verità del paradiso, tu possa con- fortare in te e negli altri la speranza della vita eterna, che sulla Terra fa innamorare del vero bene. Perciò dimmi che cos’è questa virtù, in quale grado la pos- siedi e da dove ti è venuta!» Beatrice risponde alla prima domanda Così mi disse il secondo beato. E quella donna, che guidò le penne delle mie ali a un volo così alto, mi precedette nella risposta: «La Chiesa militante non ha nessun altro figlio con più speranza di Dante, com'è scritto nel Sole che il- lumina tutta la nostra schiera. Perciò gli è concesso di venire dall’esilio terreno alla patria celeste per ve- dere, prima che la morte concluda la sua milizia. Io 57 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini lascio a lui le altre due domande, che gli hai fatto non per conoscere la sua preparazione, ma per fargli riferire sulla Terra quanto questa virtù ti sia gradita. Esse non saranno difficili per lui, né saranno motivo di vanto. Perciò egli risponda da solo e la grazia di- vina lo aiuti in questo compito!» Dante risponde alle altre due domande Come un allievo che risponde al maestro con pron- tezza e buona volontà su quello che ha studiato, per mostrare la sua preparazione, così io dissi: «La speranza è l’attesa certa della gloria futura in pa- radiso, che è prodotta dalla grazia divina e dai meriti acquisiti. Questa luce mi viene da molte stelle, ma colui che per primo la distillò nel mio cuore fu Da- vid, il sommo cantore del sommo Dio. Nel suo canto in onore di Dio egli dice: “Sperino in Te coloro che conoscono il tuo nome”. E chi non lo sa, se ha la mia fede? Dopo i suoi Salmi tu m’infondesti la speranza con la tua Epistola, così io sono ripieno di questa virtù e posso far cadere sugli altri la pioggia che ave- te fatto cadere su di me». Mentre io parlavo, nel cuore vivo di quel fuoco tre- mava un lampo improvviso e frequente, come un ba- lenìo. Poi mi disse: «L'amore, di cui io ardo ancora per la speranza che mi seguì fino al martirio e alla morte terrena, mi spinge a proseguire, perché ti diletti di lei. E mi è gradito che tu dica quello che la speranza ti promet- te». Eio: «L'Antico e il Nuovo Testamento indicano il fine ul- timo, la beatitudine eterna, delle anime che Dio si è fatto amiche e tale fine mi indica la risposta. Isaia dice che ciascuna di esse indosserà una doppia veste - l’anima e il corpo - nella sua Terra. E che la sua Terra è questa vita beata in paradiso. E tuo fratello, Giovanni l’evangelista, ci manifesta questa rivelazio- ne in modo ancor più chiaro nell’Apocalisse, dove tratta delle stole bianche, cioè dei corpi uniti alle a- nime». L’arrivo di Giovanni l’evangelista Alla fine di queste parole, prima sopra di noi si udì una voce dire “Sperino in Te”. Ad essa risposero danzando tutte le corone di beati. Poi in mezzo ad esse un lume si fece tanto sfavillante che, se la co- stellazione del Cancro avesse una stella così lumino- sa, l’inverno avrebbe un giorno di luce lungo un me- se. E, come una ragazza lieta si alza, va ed entra nel- la danza, non per vanità, ma soltanto per far onore alla sposa novella, così io vidi quello splendore in- tensissimo che racchiudeva Giovanni l’evangelista avvicinarsi ai due spiriti di Pietro e Giacomo, che danzavano al ritmo del loro canto, in modo conve- niente al loro ardente amore di carità. E si unì al loro canto e alla loro danza. La mia donna teneva lo sguardo su di loro, proprio come una sposa silenziosa e immobile. «Costui è quel Giovanni che posò il capo sul petto di Cristo e che dalla croce fu scelto per svolgere il grande compito di essere il nuovo figlio di Maria!» percorrere tutti i segni dello Zodiaco per 930 volte, mentre io vissi sulla Terra. La lingua che io parlai era già scomparsa prima che la gente di Nembròd si dedicasse alla costruzione della Torre di Babele, un’opera che non poteva esse- re terminata, perché nessun prodotto della ragione umana durò mai per sempre, perché il gusto degli uomini si rinnova seguendo gli influssi celesti. È co- sa naturale che l’uomo parli, ma poi la natura lascia fare a voi se in un modo o in un altro, a seconda del- le vostre preferenze. Prima che io scendessi nel lim- bo, “I° era chiamato sulla Terra il Sommo Bene, da cui proviene la letizia che mi avvolge di luce. Poi fu chiamato “El”, e ciò fu più adatto, poiché l’uso degli uomini è come la foglia sul ramo, una se ne va e un’altra la sostituisce. Sul monte del purgatorio, che si alza più di tutti sul mare, io rimasi in stato di in- nocenza e di colpa dalle sei del mattino fino alle tre- dici, quando il Sole supera il mezzodì e muta qua- drante». Io L-- I personaggi Anania di Damasco è un seguace di Cristo e svolge una funzione importante nella conversione di Paolo di Tarso, a cui ridà la vista e che poi battezza (Atti, IX, 10 sgg.; XXI, 12 sgg). Giovanni l’evangelista (Betsaida, 10-Efeso, 98/99) è uno degli apostoli di Gesù Cristo. È considerato l’autore del quarto Vangelo, che presenta Dio in ter- mini filosofici, e dell'Apocalisse, un libro profetico. Aristotele (384/383 a.C.-323 a.C.) dimostra l’esi- stenza di un Motore Primo, che muove e che non è mosso. Muove tutti gli altri esseri dell’universo atti- randoli a sé. Il cristianesimo, compresi Tommaso d’Aquino e Dante (Pd, I 1; e Pd, XXXII, 145), iden- tifica il Primo Motore Immobile con il Dio cristiano che crea il mondo. L’autore materiale dell’Esodo è lo scrittore sacro, l’autore effettivo è lo stesso Dio che ha ispirato lo scrittore sacro. Adamo è il primo uomo, che Dio crea e colloca nel paradiso terrestre. Vedendolo annoiato, gli dà una compagna, Eva. Impone loro di rispettare un unico divieto: non mangiare i frutti dell’albero del bene e del male che ivi si trova. Sono tentati dal serpente, mangiano il frutto proibito e sono cacciati dal paradi- so terrestre. Hanno una vita lunghissima e alla morte vanno nel limbo (Gen 1-5). Nembròd o Nimbròd è un famoso cacciatore biblico (Gen 10, 8-12). Pone le basi a un potente regno in- torno alla città di Babele. Dante lo chiama Nembrot- to e, seguendo una lunga tradizione, gli attribuisce l’i- dea di aver voluto costruire la torre di Babele, un at- to di superbia e una sfida al cielo, che provoca l’intervento di Dio e la moltiplicazione delle lingue. La carità è una delle tre virtù teologali: fede, speran- za, carità. I segni dello Zodiaco sono: Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagitta- rio, Capricorno, Acquario, Pesci. Il nome deriva dal greco G@dwakds, zGdiakés, a sua volta composto da 60 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini Géiov, zòon, animale, essere vivente, e ddéc, hodbs, strada, percorso, cioè cerchio degli animali. È costi- tuito da 12 segni, ognuno di 30 gradi di latitudine. Commento 1. Il canto è vario, si può dividere in due parti: a) Giovanni esamina Dante sulla carità; b) Dante pone quattro domande ad Adamo, il primo uomo, che ri- sponde. Il canto si conclude quando Adamo termina di rispondere. 2. Dante non formula le domande, ciò è inutile: A- damo gliele legge nella mente di Dio, lo Specchio Verace. Il poeta così fa una variazione dello schema domanda-risposta. E passa subito alle risposte es- senziali di Adamo. Esse erano assai interessanti per l’uomo del Medio Evo, che viveva in un mondo pic- colo: era piccolo il cosmo ed erano pochi gli anni dalla creazione del mondo. Le risposte provengono dal primo uomo e sono perciò indubitabili. 3. Qui Adamo non nomina Eva. Non parla nemmeno dei figli, Caino e Abele. Adamo è il paterfamilias dell’umanità. La sua innocenza dura veramente poco: soltanto sette ore, un numero simbolico. 4. Stando a Dante e al Medio Evo, Dio creò il mondo in tempi recentissimi, a portata di mano, come Firen- ze dentro le mura antiche. La storia umana era breve e il mondo era piccolo: la Terra al centro dell’uni- verso, il Sole e i pianeti, che giravano intorno alla Terra, infine, lontanissime, le Stelle Fisse. In Pd XXVI, 118-120 Adamo dice di esser vissuto 930 an- ni, di essere rimasto nel limbo per 4.302. Ne è uscito quando Cristo risorto vi scese (33 d.C.). Perciò il mondo fu creato nel 5.198 a.C. e 6.498 rispetto al viaggio di Dante nell’al di là. A partire dal Settecen- to gli scienziati cercarono altri metodi per datare la Terra e oggi calcolano che abbia oltre 4,5 miliardi di anni. È scorretto accusare il Medio Evo di aver sba- gliato: ogni momento storico ha le sue idee sulla sto- ria, sul tempo e sull’importanza di ricordare il passa- to. E tuttavia ha dimostrato intelligenza, poiché ha sfruttato le risorse disponibili: le date relative alla vita dei patriarchi, che trovava in un libro considera- to sacro. In seguito si potevano fare (come si è fatto) misurazioni più accurate con altri strumenti. 5. Il poeta non si è fatto e non si fa problemi a riem- pire il cielo con i segni dello Zodiaco come con la mitologia classica: tutta la cultura pagana può con- fluire nella cultura cristiana, con pochi aggiustamenti. Il modo per farlo è semplice ed efficace: il cristiane- simo non è venuto per distruggere, ma per completa- re il mondo antico, portandovi la fede in Cristo, nel Vecchio e nel Nuovo testamento e nella rivelazione. 6. La carità è definita come amore, l’amore verso Dio. L’uomo però è costantemente tentato ad amare beni inferiori, i beni terreni, che lo fanno deviare dal- la giusta meta. La definizione è filosofica e semplifi- ca quella che si trova nel Vangelo: “Amerai il Signo- re Iddio tuo con tutto il tuo cuore, la tua anima, la tua mente. [...] amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22, 37-40). 7. Dante parla soltanto con Adamo. L'incontro è stra- ordinario, perché Adamo è il primo uomo! Non parla con Dio, né con Lucifero. Canto XXVII Dal cielo delle Stelle Fisse al Primo Mobile o Cristalli- no, mattino del 13 aprile 1300 L’inno alla Santissima Trinità «Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo gloria!» tutto il paradiso cominciò, tanto che m'inebriava il dolce canto. Ciò che io vedevo mi sembrava il sorriso del- l’universo, perciò l’ebbrezza entrava in me attraverso l’udito e la vista. Oh, gioia! Oh, indicibile allegrezza! Oh, vita completa fatta d’amore e di pace! Oh, ric- chezza sicura e senz’altri desideri! L’invettiva di Pietro contro la corruzione della Chiesa Davanti ai miei occhi le quattro luci stavano accese, e quella che venne per prima incominciò a farsi più vivace. Nel suo aspetto divenne tale quale diverreb- be Giove, se egli e Marte fossero uccelli e si scam- biassero le penne. La Provvidenza, che qui in cielo attribuisce a ciascun beato uno specifico incarico, aveva imposto il silenzio a ogni parte, quando io u- dii: «Se cambio colore, non meravigliarti, perché, mentre parlo, vedrai anche tutti gli altri spiriti cambiar colo- re. Papa Bonifacio VIII che usurpa il mio posto, sì, il mio posto, il mio posto!, che è vacante pur nella pre- senza del Figlio di Dio, ha fatto del luogo della mia morte una cloaca del sangue di lotte fratricide e della puzza della corruzione e dei vizi, perciò l’angelo per- verso che cadde dal cielo, laggiù è soddisfatto!» Allora io vidi tutto il cielo cosparso di quel colore rossastro che, a sera e al mattino le nubi mostrano perché sono illuminate dal Sole. E, come una donna onesta che resta sicura di sé e, pur ascoltando, arros- sisce agli atti disonesti altrui; così Beatrice mutò a- spetto. Io credo che in cielo ci fu una tale eclissi, sol- tanto quando Cristo morì sulla croce. Poi le parole di Pietro proseguirono con voce tanto mutata, che il suo aspetto non mutò di più: «La sposa di Cristo non fu nutrita con il sangue mio, di Lino, di Anacleto, per essere usata ad accumulare oro, ma per acquistare questa vita beata Sisto, Pio, Calisto e Urbano sparsero il loro sangue, dopo molte sofferenze. La nostra intenzione non fu che il popolo cristiano sedesse in parte alla destra e in parte alla sinistra dei nostri successori; né che le chiavi che mi furono concesse divenissero simbolo su vessilli che combattessero altri cristiani; né che la mia immagine comparisse sul sigillo di privilegi venduti e falsifica- ti, che mi fanno spesso arrossire e sfavillare di sde- gno. Da quassù nelle vesti di pastori si vedono lupi rapaci per tutti i pascoli: o intervento divino, perché ritardi? Giovanni XXII di Cahors e Clemente V di Guascogna si preparano a bere il nostro sangue deru- bando e infangando la Chiesa: gli inizi furono buoni, ma ora la sede papale è caduta veramente in basso! Ma la Provvidenza divina, che con Scipione l’Afri- cano difese a Roma la gloria del mondo, verrà presto in aiuto, così come io prevedo. E tu, o figlio, che tor- nerai sulla Terra con il tuo corpo mortale, apri la bocca e non nascondere ciò che io non ti nascondo!» 6l Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini L’ascesa dei beati Come l’atmosfera terrestre fa cadere in basso i fioc- chi di neve, quando nel solstizio d’inverno la costel- lazione del Capricorno si congiunge con il Sole, così io vidi l'ottavo cielo adornarsi e far fioccare verso l’alto le fiammelle degli spiriti trionfanti, che si erano trattenuti qui con noi. Il mio sguardo seguiva quelle luci e le seguì finché la distanza, ormai grandissima, gli impedì di spingersi più avanti. Allora Beatrice, vedendo che avevo distolto la mia attenzione verso l’alto, mi disse: «Abbassa gli occhi e guarda quanto hai ruotato con questo cielo!» Dal momento in cui avevo guardato la prima volta, io mi vidi mosso per tutto l’arco meridiano di novanta gradi, che va dal centro alla fine del primo clima (=zona abitabile), così che io vedevo a occidente di Cadice il folle varco di Ulisse e a oriente la costa della Fenicia, dove Giove, tramutato in toro, caricò sul dorso e rapì la giovane Europa. E avrei visto una parte maggiore della Terra, se il Sole non fosse a- vanzato sotto i miei piedi di oltre un segno zodiacale. La salita al Primo Mobile La mia mente innamorata, che vagheggia sempre la mia donna, ardeva più che mai di riportare gli occhi su di lei. E, se mai la natura nei corpi umani o l’arte nei dipinti produssero opere tanto belle da catturare la vista e conquistare la mente, tutte queste bellezze, radunate insieme, apparirebbero niente rispetto alla bellezza divina di Beatrice, che vidi risplendere, quando mi rivolsi a guardare il suo viso sorridente. E la virtù, che mi concesse il suo sguardo, mi strappò via dall’ottavo cielo e dalla costellazione dei Gemel- li e mi spinse nel Primo Mobile, il cielo più veloce di tutti. Le sue parti vicine e lontane sono così uniformi, che io non so dire in quale di esse Beatrice scelse di farmi entrare. Ma lei, che vedeva il mio desiderio, incominciò a parlare, sorridendo tanto lieta, che pa- reva che Dio gioisse nel suo volto: Beatrice parla del nono cielo «La natura del mondo, che mantiene la Terra immo- bile al centro e le fa ruotare intorno tutti gli altri cor- pi celesti, comincia da questo nono cielo come dal suo principio. E questo cielo non ha nessun altro luogo che lo contenga, se non la mente di Dio, in cui si accendono l’amore dei serafini che lo fa ruotare e gli influssi che esso esercita sui cieli sottostanti. La luce e l’amore divino lo circondano, proprio come questo cielo circonda gli altri. E soltanto colui che lo cinge può intendere quel cerchio. Il suo movimento non è determinato dagli altri, ma gli altri moti sono commisurati da esso, come il dieci deriva dal cinque e dal due. E ormai ti può essere chiaro come il tem- po abbia le sue radici in questo cielo e le fronde ne- gli altri. ...e condanna la cupidigia degli uomini Oh, cupidigia che affondi i mortali sotto di te, tanto che nessuno può trarre gli occhi fuori delle tue onde! La volontà del bene fiorisce tra gli uomini, ma la pioggia continua trasforma le buone susine in frutti acerbi. Fede e innocenza si ritrovano soltanto nei fanciulli, poi esse fuggono via, prima che le guance siano coperte di peluria. Alcuni, quando ancora bal- bettano, digiunano, ma poi, quando hanno la lingua sciolta (=da adulti), divorano qualunque cibo in qua- lunque periodo dell’anno. Altri, quando balbettano, amano e ascoltano la propria madre, ma poi, da adul- ti, desiderano vederla sepolta. Così la pelle bianca dei bambini diventa abbronzata negli adulti, al primo apparire della bella figlia di chi (=il Sole) ci porta il mattino e ci lascia alla sera. Tu, per non stupirti troppo della corruzione, pensa che sulla Terra non c’è chi governi, perciò l’umana famiglia va fuori strada. Ma prima che gennaio esca del tutto dall’inverno per la centesima parte del gior- no che sulla Terra è trascurata, queste ruote celesti irradieranno il mondo a tal punto, che la Provvidenza, che è tanto attesa, volgerà le poppe dove ora sono le prue, così che la flotta ritornerà sulla giusta rotta e il fiore produrrà un buon frutto!» TO I personaggi Le quattro luci sono: Pietro, Giacomo il Maggiore, Giovanni l’Evangelista e infine Adamo. Pietro (Betsaida, ?-Roma, 64/67d.C.) si chiamava Simone e faceva il pescatore. Segue Gesù e diventa il capo degli apostoli. Papa Bonifacio VIII (Anagni, 1235ca.-Roma, 1303), al secolo Benedetto Caetani, diventa cardinale nel 1281 e papa nel 1294. Nel 1300 indìce il primo giubileo. Cerca d’imporre l’autorità della Chiesa in Italia e in Europa. Si scontra perciò con il re di Fran- cia Filippo il Bello (1268-1314), che reagisce accu- sandolo d’aver tramato ai danni di papa Celestino V, poi scende in Italia e lo fa arrestare ad Anagni. Muo- re poco dopo. Giovanni XXII (Cahors, 1249-Avignone, 1334), al secolo Jacques Duèse, ha un’accurata preparazione giuridica. Diventa papa nel 1316. Papa Clemente V (Villandraut, 1264-Roquemaure, 1314), al secolo Bertrand de Got, succede a papa Benedetto XI, che occupa il trono pontificio soltanto per nove mesi (1304). È nominato grazie all’appoggio del re di Francia Filippo il Bello, a cui rimane politi- camente vincolato, tanto che porta la sede pontificia ad Avignone. Neanche con i papi successivi la Santa Sede riesce ad esprimere un programma autonomo dai condizionamenti reali e conduce una vita opulen- ta nella reggia avignonese. Publio Cornelio Scipione detto l’ Africano (Roma, 236-Liternum, 183 a.C.) sconfigge Annibale a Zama (202 a.C.), presso Cartagine. Il primo clima è la prima zona abitabile. I geografi dividevano la terra abitabile compresa tra i meridiani di Cadice e del Gange in sette climi (o zone parallele all’equatore). Il primo clima era tagliato nel mezzo dal meridiano di Gerusalemme e comprendeva 90° a oriente e 90° a occidente. Dante era entrato nella Co- 62 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini stellazione dei Gemelli quando era sopra Gerusa- lemme, ora è quindi sopra Cadice. Giove (nella mitologia greca Zeus) si trasforma in to- ro mansueto per rapire Europa, la giovane figlia di Agenore, re di Fenicia. La fonte è Ovidio, Metam, IL 836-75. La centesima parte del giorno, ignorata nel calen- dario di Giulio Cesare (45 a.C.), avrebbe sfasato a tal punto calendario civile e calendario astronomico che gennaio non sarebbe più stato un mese invernale. Nel 1582 la Chiesa rettifica il calendario introducen- do l’anno bisestile ogni quattro anni (29 febbraio) e saltando dieci giorni (05-15 ottobre). La bella figlia del Sole è forse Circe o, fuori di me- tafora, è il fascino delle lusinghe terrene, che tentano l’uomo non appena lascia la fanciullezza. Il passo è controverso. Commento 1. Dante si scaglia contro la corruzione della Chiesa agli inizi e alla fine del canto. Lo fa per bocca di Pie- tro, il capo degli apostoli e il primo papa. E lo ripete con Beatrice, che coinvolge anche i principi cristiani e l’uomo comune. Il bersaglio della sua polemica è l’odiatissimo Bonifacio VII 2. La centesima parte del giorno introduce una pro- fezia che si aggiunge alle altre della Divina comme- dia. Vale genericamente “in futuro”. Presa alla lette- ra indicherebbe un futuro molto lontano: nel 1582, anno della riforma del calendario, la sfasatura tra ca- lendario giuliano e calendario astronomico è di soli 10 giorni, accumulati in ben 1.627 anni. E dovevano passare altri 30 giorni affinché il 21 dicembre dive- nisse il 1° febbraio, cioè altri 1.627 x 3 = 4.881 anni. Quindi soltanto dopo moltissimi secoli l’inverno sa- rebbe iniziato il 1° febbraio. Il poeta dà molto tempo alla Provvidenza per intervenire. Qui come in molti altri casi, Dante impreziosisce il canto con riferimenti alla matematica. 3. “La bella figlia del Sole” è forse la maga Circe, che trasforma gli amanti in animali, come i beni mon- dani trasformano gli uomini in bruti. Genericamente indica le lusinghe e le attrazioni terrene, che irreti- scono l’uomo non appena lascia la fanciullezza. Cac- ciaguida ricorda che ai suoi tempi non c’erano stanze vuote e non era ancora giunto Sardanapalo (Pd XV, 97-117). Ad ogni modo l’identificazione è di secon- daria importanza rispetto all’invettiva di Dante. 4. Il canto dà l’idea del distacco ormai effettivo di Dante dalla Terra e dai beni terreni: dal paradiso fa valutare la vita degli uomini prima da Pietro, poi da Beatrice, che possono soltanto condannare l’attacca- mento degli uomini ai beni terreni. Il poeta ricorre anche a questo punto di vista, che aggiunge agli altri che nel corso del viaggio aveva adoperato. Indub- biamente è superiore agli altri, ma l’uomo lo avrà soltanto dopo la morte. Intanto deve fare suoi gli altri punti di vista... Come diceva Tommaso d’Aquino ed egli ripete, un problema va visto da tutti i punti di vista (Pd IV, 124-142). Canto XXIX Primo Mobile, cori angelici, mattino del 13 aprile 1300 Beatrice parla degli angeli Quando il Sole e la Luna, in congiunzione con le due costellazioni dell’Ariete e della Bilancia, cingono in- sieme l’orizzonte, quanto è il tempo dal momento in cui lo zenit li tiene in equilibrio fino a quello in cui escono da tale equilibrio poiché cambiano emisferi per tutto quel tempo Beatrice tacque e rimase sorri- dente, guardando fisso nel punto luminoso che mi a- veva vinto. Poi cominciò: La creazione degli angeli «Io ti parlo, e non domando quello che vuoi udire, perché l’ho visto nella mente di Dio, dove si concen- trano ogni tempo e ogni luogo. Non per acquisire qualche bene per sé, cosa impossibile, ma affinché il suo splendore, risplendendo, potesse dire, “Io esi- sto!”, l'Eterno Amore si schiuse in nuovi amori (=gli angeli), come gli piacque, nella sua eternità fuori del tempo e fuori di ogni altro spazio. Né prima rimase inattivo, poiché né un prima né un dopo precedettero l’aleggiare di Dio su queste acque. La forma e la ma- teria, congiunte e distinte, formarono esseri che non avevano imperfezioni, come un arco con tre corde scaglia tre frecce. E come nel vetro, nell’ambra o in un corpo trasparente il raggio luminoso risplende in modo tale, che dal momento in cui giunge a quello in cui li illumina non c’è intervallo di tempo; così il tri- forme atto creativo di Dio, quando avvenne, irradiò tutto nello stesso istante senza distinzione di tempo tra atto creativo e suo effetto. L'ordine e le sostanze (=le intelligenze angeliche) furono create insieme; e quelle, in cui fu prodotta la forma pura - immateriale -, furono poste in cima al mondo; la potenza pura oc- cupò la parte più bassa e costituì il mondo sensibile; nel mezzo - tra cielo e Terra - la potenza strinse con l’atto un legame tanto saldo, che non può mai essere scisso. Girolamo scrisse che gli angeli furono creati molti secoli prima che il mondo sensibile fosse creato; ma questo vero è scritto in molti luoghi delle Sacre Scritture, che sono state ispirate dallo Spirito Santo. E tu te ne renderai conto, se le leggi attentamente. E anche la ragione lo può riconoscere facilmente, per- ché non concederebbe che i motori celesti (=le intel- ligenze angeliche) rimanessero anche per un momento privi della loro perfezione, quella di muovere i cieli. Ora tu sai dove, quando e come gli angeli furono creati, e tre dei tuoi desideri hanno ricevuto risposta. Angeli ribelli e angeli fedeli a Dio Né, contando, si arriverebbe al numero venti così ra- pidamente, che già una parte degli angeli turbava la Terra con la propria ribellione. L'altra rimase fedele a Dio, e cominciò l’opera, che tu qui vedi, con tanto diletto che non smette mai di ruotare intorno a Lui. La causa della caduta fu la maledetta superbia di Lu- cifero, che tu hai visto nell’inferno schiacciato da tut- ti i pesi del mondo. Gli angeli che vedi qui ebbero invece la modestia di riconoscere di essere stati crea- 65 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini ti dalla bontà divina, che li aveva fatti capaci di in- tendere e volere. Perciò la loro visione di Dio fu ac- cresciuta dalla grazia illuminante e dal loro merito, poiché hanno una volontà ferma e piena. Non voglio che tu abbia dubbi, ma che tu sia certo che ricevere la grazia è meritorio nella misura in cui la volontà si apre ad essa. Ormai degli angeli puoi comprendere molte cose, senz'altro aiuto, se hai compreso bene le mie parole. Gli errori sugli angeli nelle scuole Ma, poiché sulla Terra nelle vostre scuole si insegna che la natura degli angeli è tale che intende, ricorda e vuole, dirò ancora, affinché tu veda chiaramente la verità che laggiù si confonde, equivocando nelle spiegazioni. Queste sostanze (=le intelligenze angeli- che), da quando gioirono contemplandolo, non allon- tanarono mai lo sguardo dalla faccia di Dio, a cui nulla può essere nascosto. Perciò non hanno la loro visione interrotta da alcun nuovo oggetto, di conse- guenza non hanno bisogno di ricordare attraverso concetti acquisiti in momenti successivi. Perciò sulla Terra si sogna, anche se non si sta dormendo, perché si dicono cose inesatte, in buona come cattiva fede. Ma nel secondo caso c’è più colpa e più vergogna. L’invettiva di Beatrice contro i predicato- ri che vendono indulgenze Voi sulla Terra, quando fate ricerca, non percorrete un unico sentiero, quello della verità, perché vi fate trascinare altrove dal pensiero e dal desiderio di ap- parire! E quassù questo errore è tollerato con minore sdegno, rispetto all’errore di svalutare o distorcere le Sacre scritture. Voi non pensate a quanto sangue sia costato diffondere nel mondo la buona novella e quanto piaccia a Dio chi si accosta ad essa con umil- tà. Per mettersi in mostra, ciascuno diventa sottile e inventa spiegazioni, che poi sono diffuse ampiamente dai predicatori, che dimenticano il Vangelo. Qualcu- no ha detto che, nella passione di Cristo, la Luna tor- nò indietro e si pose tra il Sole e la Terra, impedendo alla luce del Sole di giungere sulla Terra. E mente, poiché la luce del Sole si nascose da sola e ovunque: gli spagnoli, gli indiani e in primo luogo i giudei vi- dero l’oscuramento del Sole. Firenze non ha tanti in- dividui di nome Giacomo o Ildebrando quante sono queste favole, che ogni anno si gridano dai pulpiti di tutte le chiese. In tal modo le pecorelle (=i fedeli), che non sanno, tornano dal pascolo nutrite di vento e non le scusa il fatto di non vedere il proprio danno. Cristo non disse ai suoi primi discepoli: “Andate e predicate al mondo ciance”, ma diede loro un fonda- mento veritiero, e soltanto quell’insegnamento usciva dalle loro bocche. In tal modo fecero del Vangelo scudo e lance, nel combattimento per diffondere la fede. Ora si va a predicare con motti e lazzi, e, pur- ché suscitino risate, i predicatori si gonfiano di orgo- glio e non pretendono altro. Ma nei loro cappucci si annida l’uccello del demonio e il popolo, se lo ve- desse, capirebbe subito quanto valgono poco le in- dulgenze in cui tanto confida. Perciò in Terra è cre- sciuta una tale stoltezza che, senza prova di alcun te- stimonio, si corre dietro ad ogni promessa. Di queste prediche ingrassa il porco di sant'Antonio abate e molti altri, che sono ancora più porci (=hanno concu- bine e figli), perché pagano con una moneta che non è stata coniata (=le false indulgenze). Il numero degli angeli Ma, poiché ci siamo allontanati molto dal discorso iniziale, riporta ora gli occhi verso la dritta strada, il problema degli angeli, in modo che l’argomento sia trattato in breve tempo. Il numero degli angeli è talmente elevato, che non ci fu mai né lingua né mente umana capace di concepir- lo. E, se tu guardi ciò che il profeta Daniele rivela, vedrai che nelle “migliaia di migliaia di angeli”, di cui parla, resta celato il numero preciso. La luce di Dio, che irraggia tutti gli angeli, è da essi recepita in modi diversi, quanti sono gli splendori a cui si uni- sce. Perciò, poiché all’atto della visione di Dio segue l’amore, la dolcezza di quest’amore è fervida o è tie- pida in maniera diversa. Vedi ormai l’altezza e la po- tenza di Dio, l'Eterno Valore, poiché si riflette in così tanti specchi (=gli angeli), pur rimanendo in sé una sola, prima di crearli come dopo averli creati!» 1©I I personaggi I segni dello Zodiaco sono: Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagitta- rio, Capricorno, Acquario, Pesci. Il nome deriva dal greco Gadwikéc, zodiakés, a sua volta composto da Gov, zòon, animale, essere vivente, e 6d6c, hod6s, strada, percorso, cioè cerchio degli animali. È costi- tuito da 12 segni, ognuno di 30 gradi di latitudine. Sofronio Eusebio Girolamo (Stridone [HIiria], 347- Betlemme, 420) è uno dei Padri della Chiesa. Studia a Roma, dove è allievo di Mario Vittorino e di Elio Donato. Si trasferisce a Treviri, poi ad Aquileia e come anacoreta nella Calcide. È disgustato delle dia- tribe tra eremiti. Nel 382 raggiunge Roma, dove è se- gretario di papa Damaso L È autore della Vu/gata, la prima traduzione in latino di tutta la Bibbia. Nel 382 rivede la traduzione dei Vangeli e nel 390 quella dell'Antico testamento, su cui lavora per 23 anni. In Super epistulam ad Titum, c. 1, 2, afferma che Dio creò gli angeli e molto tempo dopo creò il mondo. La dottrina fu a lungo discussa dai teologi. Qui è confu- tata da Dante. Il profeta Daniele (sec. VI a.C.) è uno dei maggiori profeti dell’Antico testamento. Nel libro che porta il suo nome parla dell’esilio degli ebrei a Babilonia (587-538 a.C.). Per la sua saggezza conquista la fi- ducia del re Nabuccodonosor (604-562 a.C.), diventa funzionario di corte e interprete dei sogni del sovra- no. Grazie alla fama acquisita, continua la sua attivi- tà anche dopo la conquista di Babilonia da parte dei medi e dei persiani (539 a.C.). Il re persiano Ciro apprezza i suoi consigli, ma i suoi avversari lo fanno cadere in disgrazia e il re è costretto a darlo in pasto ai leoni. Il profeta si salva ed è graziato. Sant'Antonio abate o d'Egitto o del Deserto (Qu- mans, 25lca.-Tebaide, 357) è un eremita egiziano, Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 66 considerato il fondatore del monachesimo orientale. Fonda piccole comunità di monaci, dedicate al servi- zio di Dio e guidate da un padre spirituale. È il pri- mo degli abati. La sua vita è narrata dal discepolo Atanasio di Alessandria nel 357. Le scuole sono le università. Commento 1. Il canto continua e completa la trattazione del pro- blema degli angeli: a) Gli angeli furono creati insieme coni cieli e si mi- sero subito a far ruotare i cieli. b) Un gruppo di an- geli, capeggiati da Lucifero, si ribellò subito, e furo- no precipitati nell’inferno, creato per l'occasione. La ribellione degli angeli avvenne prima di riuscire a contare fino a venti; la disobbedienza di Adamo ed Eva avvenne appena sette ore dopo la creazione (Pd XXVI, 139-42). Il canto si riallaccia a ff XXXIV, do- ve il poeta aveva parlato di Lucifero e degli angeli che si erano ribellati a Dio. Lucifero, il capo egli an- geli ribelli, era stato scaraventato dal cielo e aveva dato origine alla voragine dell’inferno. 2. Già Dante lamenta che la dottrina delle indulgenze è stravolta e trasformata in una compra-vendita di un posto in paradiso, come lamenterà Martin Lutero nel 1517. Si può ottenere una riduzione totale o parziale delle conseguenze del peccato con le indulgenze, cioè con buone azioni o preghiere a favore dei defun- ti o a favore della comunità in cui si viveva. Predica- tore senza scrupoli stravolgono la dottrina delle in- dulgenze affermando che si acquista il paradiso fa- cendo offerte elevate di denaro alla Chiesa. 3. Beatrice lancia un’invettiva durissima contro i predicatori che raccontano fandonie, allontanandosi dalla retta dottrina, per far denaro. Dante vede fin dai suoi tempi lo “scandalo delle indulgenze”, che nel 1517 spingerà Martin Lutero a pubblicare le 95 tesi che staccheranno la chiesa tedesca da Roma: la sal- vezza non si ottiene con le indulgenze, serve la fede, e ognuno può leggere le Sacre scritture come vuole. 4. L’angelologia è tratta «per forsa di ragionamento». Una volta poste le premesse (o gli assiomi o i postu- lati), che Dio manderà suo figlio a riscattare l'errore di Adamo, le conseguenze sono necessitate: il Figlio deve avere una natura umana e una divina, può esser concepito soltanto da Dio (una terza persona) e da una donna, dunque esiste lo Spirito Santo, dunque la donna non può essere contaminata dal peccato origi- nale, qualcuno deciderà di uccidere il Figlio, ma do- vrà essere anche punito per l'omicidio, la Madonna dovrà essere assunta in cielo in anima e corpo ecc. Magari gli scienziati resteranno perplessi per queste argomentazioni, ma quel che conta è che emerga un sistema teorico capace di gestire il mondo e la vita degli uomini. dove la scienza non può giungere o l’uomo resta muto o decide di usare altri strumenti. Platone è disposto a ricorrere nella fede tradizionale negli dei ed elabora la teoria della linea (360ca. a.C.), Wittgenstein (1921) percepisce che il senso del Mondo è fuori del Mondo e che, anche quando tutti i problemi della scienza fossero risolti, resterebbe qualcosa di inattingibile per il linguaggio: il Mistico. Canto XXX Empìreo, rosa dei beati, mattino del 13 aprile 1300 La scomparsa dei cori angelici e del pun- to luminoso Forse a seimila miglia di distanza arde il mezzogior- no e la Terra proietta già il suo cono d’ombra fin quasi sul piano dell’orizzonte, quando il centro del cielo più lontano da noi comincia a imbiancare, tanto che le stelle meno luminose cessano di essere visibili sulla Terra. E, quando poco dopo viene l’ Aurora, la luminosa ancella del Sole, il cielo spegne le stelle una dopo l’altra, fino alla più luminosa. Allo stesso modo i cori angelici, che ruotano sempre giocosi in- torno a Dio, il punto luminoso che vinse i miei occhi, apparendo racchiuso da ciò che invece Esso racchiu- de, a poco a poco svanirono alla mia vista. Perciò il non vedere più nulla e l’amore mi costrinsero a ritor- nare con gli occhi a Beatrice. Se tutto ciò che finora è stato detto di lei fosse racchiuso in un’unica lode, esso sarebbe insufficiente a svolgere questo compito. La bellezza indicibile di Beatrice La bellezza che io vidi superava non soltanto i limiti umani, ma io credo certo che solamente il suo creato- re la goda completamente. Da questo momento rico- nosco di essere vinto, assai più di quanto potrebbe esserlo uno scrittore di stile medio o di stile tragico da qualche punto del suo argomento, perché, come il Sole in una vista debole, così il ricordo del suo dolce sorriso fa svampire la mia memoria. Dal primo gior- no in cui io vidi il suo volto in questa vita fino a questo momento, al mio canto non è stato impedito di seguire la sua bellezza. Ma ora è necessario che, scrivendo i miei versi, io desista dal seguire la sua bellezza, come ogni artista che ha raggiunto il limite estremo delle sue capacità. La salita all’empiìreo Beatrice - tale e quale io la lascio descrivere a un poeta più capace di me, che sto portando a termine la terza difficile cantica - con l’atteggiamento e la voce di una guida esperta ricominciò: «Noi abbiamo lasciato il Primo Mobile, il cielo più esteso, e siamo entrati nell’empìreo, che è fatto di pura luce: luce intellettuale, piena d’amore; amore del vero bene, pieno di letizia; letizia che supera ogni dolcezza. Qui vedrai gli angeli e i beati del paradiso, e i beati avranno anima e corpo, come tu vedrai nel giorno del giudizio». Come un lampo improvviso che blocchi la vista e, di conseguenza, privi l’occhio della capacità di vedere altri oggetti, così mi avvolse una luce vivissima e mi fasciò di un velo tale con il suo fulgore, che io non vedevo nient'altro. «L'Amore, che rende quieto questo cielo, accoglie sempre l’anima che vi entra con questo saluto, per adattare la candela alla sua fiamma (=la visione divi- na)!» Queste brevi parole non erano ancora giunte dentro di me, che io compresi che andavo al di là delle mie capacità terrene. E mi accesi di una nuova vista tale, Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 67 che nessuna luce è tanto intensa che i miei occhi non fossero capaci di sostenerla. Il fiume di luce E vidi una luce a forma di fiume, rosseggiante di ful- gore, tra due rive ricoperte di mirabili fiori primave- rili. Da questo fiume uscivano faville vive e da ogni parte si posavano sui fiori, simili a rubini incastonati nell’oro. Poi, come se fossero inebriate dal profumo, si immergevano nuovamente nel mirabile gorgo di luce. E, se una vi entrava, un’altra ne usciva fuori. «L’'intenso desiderio che ora t’infiamma e ti costringe ad aver notizia di ciò che tu vedi, mi piace tanto più quanto più esso è grande. Ma è necessario che tu be- va di quest’acqua, prima che la tua sete di sapere sia saziata dentro di te», così mi disse il Sole dei miei occhi. Poi soggiunse: «Il fiume e i topazi (=gli angeli), che entrano ed e- scono, e il sorriso dei fiori sono anticipazioni che a- dombrano la loro vera essenza. Non che da sole que- ste cose siano imperfette, ma la carenza è da parte tua, perché non hai ancora la vista capace di veder- leb La candida rosa dei beati Non c’è bambino che, svegliatosi molto più tardi del solito, non corra sùbito con gli occhi verso il latte come feci io, per fare ancora dei miei occhi migliori specchi, chinandomi verso quell’onda che scorre af- finché ci si immerga. E, dopo che i miei occhi ridotti a fessura si saziarono di quella visione, il lungo fiu- me mi apparve divenuto circolare. Poi, come gente che ha indossato maschera che appare diversa da prima, se si toglie l’aspetto non suo in cui era scom- parsa, così i fiori e le faville si trasformarono in im- magini più festose, così che io vidi chiaramente le due corti del cielo (=gli angeli e beati). O splendore di Dio, grazie al quale io vidi l'alto tri- onfo del regno verace, dammi le capacità di dire quel che io vidi! Lassù nell’empìreo c’è una luce che ren- de visibile il Creatore a quella creatura che trova la sua pace soltanto se vede in Lui. Tale luce si disten- de in una figura circolare (=la rosa dei beati) a tal punto, che la sua circonferenza sarebbe molto più larga di quella del Sole. Tutta la sua parvenza si forma dal raggio che si riflette sulla superficie con- cava del Primo Mobile, che da esso prende il suo moto vitale e la sua capacità d’influire sui cieli infe- riori. E, come un colle si specchia nell’acqua alle sue pendici, quasi per vedersi abbellito quando ha le er- be verdi e i fiori rigogliosi; così, stando tutt'intorno a quella luce, vidi rispecchiarsi in più di mille gradina- te le anime dei mortali che sono ritornate lassù. E, se il gradino più basso raccoglie in sé una luce così e- stesa, dev'essere davvero immensa questa rosa nelle sue foglie più esterne! La mia vista non si smarriva a causa della sua ampiezza e della sua altezza, ma per- cepiva interamente la quantità e la qualità di quel- l’allegria. La vicinanza e la lontananza, lì nell’em- pìreo, non aggiungono né tolgono nulla, perché, dove rischiarava al centro, mentre ai lati la fiamma dimi- nuiva gradatamente. E intorno a quel punto io vidi più di mille angeli festosi, con le ali spiegate, ciascu- no diverso per splendore e comportamento. Qui nel loro tripudio e nei loro canti vidi sorridere una bel- lezza tale, che la letizia era negli occhi di tutti gli altri santi. E, se io avessi tanta ricchezza di parole quanta ne ho di ricordi, neppure così avrei il coraggio di de- scrivere la sua bellezza. Bernardo, non appena vide i miei occhi fissi e attenti nell’ardente carità della Vergine, rivolse i suoi a Lei con tale affetto, che fece i miei ancor più desiderosi di ammirarla! TO I personaggi Bernardo di Chiaravalle (Fontaine-lès-Dijon, 1091 -Ville-sous-la-Ferté, 1153) nel 1112 entra nel mona- stero benedettino di Citaux, seguìto da quattro fratelli e da una trentina di seguaci. Nel 1217 fonda un nuo- vo monastero a Clairvaux, da cui deriva il nome Chiaravalle. Nel corso della vita fonda ben 68 mona- steri. Combatte gli eretici e gli infedeli. Egli riesce a conciliare una vita ascetica e un’azione continua e indefessa in tutte le grandi e le piccole questioni che coinvolgono la Chiesa del suo tempo. Fonda l’ordine monastico-militare dei Cavalieri del Tempio o Tem- plari, che hanno sede a Gerusalemme, e predica la seconda crociata (1147-49), che si conclude rovino- samente. Polemizza con Pietro Abelardo (Le Pallet, 1079-Chalon-sur-Sa6ne, 1142), un filosofo del suo tempo, che abbassa la fede al livello dell’opinione. Ha una venerazione particolare per la Madonna. Indi- ca i quattro livelli di amore che portano l’uomo a Di- o. È canonizzato nel 1174. Commento 1. Scompare Beatrice, anche lei senza salutare, e compare subito Bernardo, simbolo della fede mistica. Il viaggio di Dante era iniziato nella selva oscura. Qui in suo aiuto arriva Virgilio, inviato in suo soc- corso da tre donne, la Vergine Maria, Lucia e Beatri- ce. Con Virgilio (simbolo della ragione) percorre tut- to l’inferno e tutto il purgatorio, fino al paradiso ter- restre. A questo punto Virgilio scompare (Pg XXVII 127-42) e gli subentra Beatrice (simbolo della fede razionale o teologia), che accompagna il poeta per tutto il paradiso, sino alla rosa dei beati. Qui Beatri- ce scompare e cede il posto a Bernardo (simbolo del- la fede mistica), che chiede aiuto alla Vergine Maria affinché Dante abbia la visione mistica di Dio. Nel corso del viaggio Dante e Virgilio incontrano Stazio, che si aggrega a loro per 13 canti sino alla cima del purgatorio e poi Dante e Beatrice incontrano il trisa- volo Cacciaguida, che gli scioglie le profezie sulla sua vita futura e che gli anticipa la fama presso i po- steri. Ora il viaggio si avvicina alla conclusione: lo sprofondamento nella divinità, a cui segue il ritorno a casa, a raccontare l’incredibile viaggio. 2. Il percorso verso Dio è quasi concluso: Virgilio, la ragione naturale, accompagna il poeta per l'inferno e il purgatorio, Beatrice, la ragione unita alla rivela- 70 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini zione, cioè la teologia, lo accompagna fino all’empìreo, Bernardo, la fede mistica, lo accompa- gna all’incontro finale con Dio. E Dio interviene per permettere a Dante di fondersi con Lui. 3. Bernardo, il “vecchio tutto bianco”, può essere confrontato con il demonio Carònte (If ID, con il “gran vecchio di Creta” (If XIV) e con Catone di Uti- ca (Pg D. Canto XXXII Empìreo, rosa dei beati, mattino del 13 aprile 1300 Bernardo indica i beati della candida ro- sa Anche se era tutto preso nel piacere di contemplare la Vergine, Bernardo assunse il suo compito di guida e cominciò con queste sante parole: «La ferita del peccato originale, che Maria richiuse e guarì, l’aperse e la provocò quella che è tanto bella ai suoi piedi, Eva, la prima donna. Nel terzo ordine di seggi siede Rachele sotto Eva, accanto a Beatrice, come puoi vedere. Sara e Rebecca, Giuditta e Ruth, che fu la bisnonna di re David, che, per rimorso del peccato commesso, compose il salmo Abbi miseri- cordia di me, o Signore, tu puoi vedere scendendo di gradino in gradino verso il basso, così come io scen- do per la rosa di beato in beato. E dal settimo ordine in giù, proprio come fino ad esso, seguono altre don- ne ebree, che dividono tutti i petali della rosa, per- ché, a seconda della fede in Cristo, esse formano la linea che divide le sacre scalinate. Da questa parte, in cui il fiore ha tutte le sue foglie, siedono coloro che credettero in Cristo venturo. Dall'altra parte, do- ve i semicerchi sono interrotti da seggi vuoti, stanno coloro che credettero in Cristo venuto. E, come da questa parte il seggio glorioso della Regina del cielo e gli altri seggi sottostanti fanno questa cerniera, così dalla parte opposta fa quello di Giovanni Battista, che per tutta la sua santa vita soffrì le privazioni del deserto e infine il martirio, e poi rimase nel limbo, all’inferno, per due anni. Sotto di lui ebbero in sorte di formare la divisione Francesco d’Assisi, Benedet- to da Norcia, Agostino d’Ippona e altri beati nelle va- rie scalinate fino a quaggiù. Ora guarda l’alta Prov- videnza di Dio, perché i credenti in Cristo venuto e i credenti in Cristo venturo riempiranno in egual misu- ra la rosa dei beati. I bambini nella candida rosa E sappi che sotto l’ordine, che divide a metà le due schiere, i beati non si siedono per proprio merito, ma per merito altrui, a certe condizioni, perché tutti que- sti spiriti sono stati separati dal corpo prima che a- vessero la libertà di scelta. Te ne puoi accorgere fa- cilmente dai volti e anche dalle voci infantili, se tu li guardi bene e li ascolti. Ora tu hai un dubbio e dubi- tando resti in silenzio. Ma io dissolverò il grave nodo in cui ti stringono i tuoi pensieri sottili. Nella vastità di questo santo regno non ci può essere nulla di ca- suale, proprio come non c’è spazio per tristezza, sete o fame, perché tutto ciò che vedi è stato stabilito per una legge eterna, così che ogni cosa corrisponde per- fettamente al volere divino. Perciò questa gente, che venne anzi tempo alla vera vita, non senza ragione siede qui su seggi più e meno eccellenti. La condizione dei bambini nel tempo Il re, per cui questo regno riposa in tanto amore e in tanto diletto, che nessuna volontà osa chiedere di più, creando tutte le anime con volto lieto, le dota di un diverso grado di grazia, a suo piacimento. E qui basti Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 71 osservare ciò che si vede. Questa verità è espressa e risulta chiaramente nelle Sacre scritture con l’e- sempio dei gemelli - Esaù e Giacobbe -, che già nel ventre materno litigarono tra loro. Perciò è giusto che l’altissima luce di questa grazia dia l’aureola di san- tità secondo i meriti specifici di ognuno. Perciò senza alcun merito ottenuto con la loro condotta essi sono collocati in gradi diversi della rosa, differendo sol- tanto per la grazia iniziale concessa da Dio. Nei pri- mi secoli del genere umano, per avere la salvezza e- terna, con l'innocenza bastava la fede dei genitori. Dopo che questi tempi furono passati, fu necessario che i maschi innocenti acquistassero meriti con la circoncisione. Ma, dopo che venne il tempo della grazia, se mancava il battesimo perfetto di Cristo i bambini innocenti furono accolti nel limbo. Dante contempla la Vergine Guarda ormai nel volto che più somiglia a Cristo, poiché soltanto il suo splendore ti può disporre a ve- dere Cristo!» Io vidi sopra Maria scendere una tale allegria, portata dalle sante menti (=gli angeli) create per volare a quell’altezza, che niente di tutto ciò che avevo visto prima mi riempi di altrettanta ammirazione, né mi mostrò una tale somiglianza con Dio. E quell’angelo che per primo discese sulla Terra, cantando “Ave, 0 Maria, piena di grazia” dispiegò le sue ali davanti a Lei. A quel canto divino la beata corte rispose da tutte le parti, tanto che ogni volto divenne più lumi- noso. «O padre santo, che per affetto verso di me sopporti di stare quaggiù, lasciando il dolce seggio, che hai avuto in sorte per l’eternità, qual è quell’angelo che guarda con tanta gioia negli occhi della nostra Regi- na, tanto innamorato che appare di fuoco?» Così mi rivolsi ancora al magistero di Bernardo, che si abbelliva della luce di Maria, come Venere, la stella del mattino, è illuminata dal Sole. Ed egli a me: «La baldanza e la leggiadria, che vi possono essere in un angelo e in un'anima, sono tutte in lui, e così vogliamo che sia, perché egli è l’arcangelo Gabriele, che portò giù la palma a Maria, quando il Figlio di Dio volle caricarsi del nostro corpo. I grandi personaggi della candida rosa Ma ormai séguimi con gli occhi mentre io continuerò a parlare, e guarda le anime più nobili di questo im- pero giustissimo e pio. Quei due che siedono lassù più felici perché sono i più vicini alla Regina del cie- lo, sono quasi le due radici di questa rosa. Colui che sta alla sua sinistra è Adamo, il padre delle genti, per il cui ardito assaggio l’umana specie assaggia tanto male. Alla sua destra vedi Pietro, l’antico padre del- la Santa Chiesa, a cui Cristo affidò le chiavi di que- sto bellissimo fiore. Accanto a lui siede Giovanni Evangelista, che prima di morire vide tutte le perse- cuzioni della bella sposa che Cristo acquistò con la morte sulla croce. Accanto ad Adamo si trova Mosè, il condottiero sotto il quale visse di manna la gente ingrata, volubile e ribelle. Di fronte a Pietro vedi che siede Anna, tanto contenta di contemplare sua figlia Maria e che non muove l’occhio per cantare Osan- na!. E, di fronte a Adamo, il primo padre di famiglia, siede Lucia, che mosse Beatrice, la tua donna, quan- do volgevi gli occhi verso il basso, per ricadere nella selva oscura. Bernardo intercede per Dante Ma, poiché fugge via il tempo al quale tu sei sogget- to, qui faremo il punto, come il bravo sarto che fa la gonna in base al tessuto di cui dispone. E rivolgere- mo gli occhi al Primo Amore, così che, guardando verso di Lui, tu penetri quanto è possibile nel suo fulgore. Tuttavia, affinché forse tu non arretri muo- vendo le tue ali, credendo di inoltrarti, conviene che tu chieda con una preghiera che invochi la grazia da Colei che può aiutarti. Tu mi seguirai con gli affetti, così tu non separerai il tuo cuore dalle mie parole!» E cominciò questa santa preghiera: Io L-- I personaggi Bernardo di Chiaravalle (Fontaine-lès-Dijon, 1091 -Ville-sous-la-Ferté, 1153) nel 1112 entra nel mona- stero benedettino di Citaux, seguìto da quattro fratelli e da una trentina di seguaci. Nel 1217 fonda un nuo- vo monastero a Clairvaux, da cui deriva il nome Chiaravalle. Nel corso della vita fonda ben 68 mo- nasteri. Egli riesce a conciliare una vita ascetica e un’azione continua e indefessa in tutte le grandi e le piccole questioni che coinvolgono la Chiesa del suo tempo. Fonda l’ordine dei templari e predica la se- conda crociata (1147-49), che si conclude rovinosa- mente. È canonizzato nel 1174. Adamo è il primo uomo. È creato da Dio con un po” di fango e messo nel paradiso terrestre. Poiché si an- noiava ad esser solo, Dio gli affianca Eva, la prima donna. I due progenitori disobbediscono a Dio, che li caccia dal paradiso terrestre. Eva è la prima donna. È creata da una costola di Adamo. Mangia la mela offertale dal serpente e la offre a Adamo. Dio li caccia dal paradiso terrestre, ma annuncia una donna che avrà un figlio, che rista- bilirà il patto di alleanza tra Dio e gli uomini. Le donne del popolo ebreo che hanno creduto in Cri- sto venturo sono: Rachele (figlia di Labano e moglie di Giacobbe), Sara (moglie di Abramo) e Rebecca (moglie di Isacco e madre di Giacobbe ed Esaù), Giuditta (giovane e ricca vedova, si concede a Olo- ferne, generale assiro, e poi lo uccide) e Ruth (bi- snonna del futuro re Davide). Davide (1000-940ca.), secondo re d'Israele, scrive 70 salmi, molti dei quali parlano di Cristo e della sua venuta. Appare più volte nel poema. Giovanni Battista o il Precursore (?-Macheronte [Giordania], 35ca. d.C.) nasce in Giudea (Palestina), vive da asceta nel deserto, fonda diverse comunità religiose. Battezza Gesù Cristo, in cui riconosce il Messia indicato dai profeti. È fatto decapitare da E- rode per compiacere Salomè, figlia di Erodiade, sua amante. I beati che hanno creduto in Cristo venuto sono: Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini 72 Francesco d’ Assisi (che fonda l’ordine dei frati mi- nori), Benedetto da Norcia (che fonda l’ordine dei frati benedettini), Agostino di Tagaste (vescovo di Ippona e uno dei grandi dottori della Chiesa). Esaù e Giacobbe sono fratelli gemelli, figli di Isacco e Rebecca. Giacobbe sottrae con l’inganno la primo- genitura, che spettava al fratello, e diventa il simbolo del popolo ebreo (Gen 25, 24-49, 33). Il battesimo perfetto di Cristo è quello che Gesù ri- ceve nell’acqua del fiume Giordano da Giovanni Battista. Dopo la morte e resurrezione di Gesù sol- tanto questo battesimo apriva ai bambini la porta del cielo. Pietro è il principe degli apostoli e il primo vicario di Cristo sulla Terra. Muore martire, crocifisso a una croce rovesciata. È papa per 32 anni, un primato ri- masto insuperato. Mosè è uno dei patriarchi del popolo ebreo. Nasce in Egitto, la madre lo pone in una culla che è trovata dalla figlia del faraone. Il nome significa “salvato dalle acque”. Gli ebrei sono perseguitati da Ramesse II (1279-1212ca.). Egli riesce ad ottenere che lascino l’Egitto. L’uscita dall’Egitto avviene forse al tempo di Merenptah (1212-1202). Guida il popolo ebreo per 40 anni nel deserto del Sinai fino alla terra pro- messa, la Palestina, che riesce soltanto a intravedere. Lucia è una martire siciliana (Siracusa, 283-Sira- cusa, 304), divenuta protettrice di chi, come Dante, ha male agli occhi. Commento 1. Bernardo indica i beati della candida rosa. Sono divisi in due schiere: i credenti in Cristo venturo, che sono tutti personaggi dell'Antico testamento, e i cre- denti in Cristo venuto, che sono soltanto tre, Agosti- no di Tagaste, Benedetto da Norcia, Francesco d’As- sisi. Altri ne aveva incontrati nel viaggio in paradiso. Tra le due schiere si trovano i bambini, che vanno in paradiso secondo norme che cambiano nei vari tem- pi. Il poeta dà particolare importanza alle donne dell’Antico testamento. 2. Il cerchio si chiude. In /f II Virgilio dice a Dante che in cielo la Vergine Maria aveva visto il poeta in pericolo, perciò si era rivolta a Lucia, che si era ri- volta a Beatrice, che era scesa nel limbo e si era ri- volta a Virgilio. Ed ora Bernardo prega la Vergine affinché permetta che Dante abbia la visione mistica di Dio. La Madonna è l’intermediaria tra gli uomini e Dio. Dante lo ripete più volte nel corso del viaggio. 3. La preghiera di Bernardo è annunciata alla fine del canto e inizierà nel canto successivo. Si tratta di una delle molteplici forme di collegamento tra un canto e l’altro. Riassunto dei canti Canto I: la salita al cielo della Luna; l’invocazione ad Apollo e alle muse; Dante sente la musica delle sfere celesti; Beatrice spiega l’ordine che governa tutto l’universo; il luogo stabilito da Dio per gli uo- mini Dante invoca Apollo e le muse, affinché lo aiutino a portare a termine la terza ed ultima cantica. È il mat- tino di un giorno di primavera e Dante e Beatrice ri- prendono il viaggio. Beatrice guarda il Sole e le sfere dei cieli. Il poeta fissa Beatrice e quindi, come lei, fissa il Sole e le ruote dei cieli, provando una sensa- zione sovrumana. Egli sente il suono delle sfere cele- sti e chiede alla donna la causa di quel suono. Bea- trice gli risponde che stanno lasciando la Terra veloci come la folgore e che il suono è provocato dalle sfe- re cristalline su cui sono incastonati i pianeti. Il poeta è allora preso da un nuovo dubbio e chiede come può egli, che è anima e corpo, andare verso il cielo. La donna coglie l'occasione della domanda per e- sporre l’ordine che governa l’universo: Dio ha messo in tutte le creature (angeli, uomini, bruti e cose) un istinto naturale che le fa andare verso il loro fine. Il fine dell’uomo è andare verso l’alto, in paradiso. Perciò il poeta, che è ormai privo d’impedimenti, non deve meravigliarsi se sta andando verso il cielo, per- ché quello è il luogo preparato da Dio per noi. Canto II: cielo primo, Luna; spiriti inosservanti dei voti; l’invito ai lettori; il problema delle macchie lu- nari; Beatrice confuta la spiegazione di Dante; poi spiega la causa delle macchie lunari Dante invita coloro che hanno una barca piccola a tornare alla spiaggia, perché, perdendo lui, forse si smarriscono: la materia che tratta non è mai stata trattata ed egli è aiutato da Minerva, da Apollo e da tutte le muse. Dante e Beatrice corrono veloci verso il cielo della Luna, che li accoglie. Alla vista della Luna il poeta chiede qual è la causa delle macchie lunari, che sulla terra hanno fatto nascere la leggenda di Caino. Prima di rispondere, Beatrice chiede l'opinione del poeta. Dante risponde che la Luna ap- pare così, perché è costituita da corpi rari e da corpi densi. La donna confuta immediatamente questa ipo- tesi: se le cose stessero così, allora durante le eclissi lunari il Sole attraverserebbe la Luna ora più lumino- so ora meno luminoso. Quindi formula e confuta di- verse ipotesi. Infine espone la corretta interpretazione delle macchie: l’intelligenza motrice dei cherubini si unisce in modi diversi coni corpi celesti. Da questa unione, non dal principio del denso e del raro, sono causate le macchie lunari. Canto II: cielo primo, Luna; spiriti inosservanti dei voti; Piccarda Donati e il voto non mantenuto; Co- stanza d’ Altavilla; Piccarda si allontana Dante è contento della risposta. Poco dopo gli appare un gruppo di spiriti. Si volta, per vedere se li ha alle 75 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini spalle, tanto sono trasparenti. Beatrice lo invita a ri- volgersi a loro. Il poeta si rivolge alla luce che sem- brava più desiderosa di parlare e le chiede il nome e la loro sorte. L'anima si presenta, è Piccarda Donati, e con gli altri spiriti si trova nel cielo più basso della Luna, perché i loro voti sono rimasti inadempiuti. Il poeta allora chiede se desiderano un luogo più alto per vedere Dio più da vicino. L'anima risponde che la virtù della carità fa loro volere ciò che hanno e che perciò non desiderano altro. Ciò vale per tutti gli spi- riti che sono distribuiti negli altri cieli, che confor- mano la loro singola volontà alla volontà di Dio: nel fare la sua volontà è la loro beatitudine. Allora Dan- te chiede qual è il voto che rimase inadempiuto. Pic- carda racconta la sua vita: da giovane si ritirò in convento per seguire la regola di Chiara d’Assisi. Ma uomini, abituati più a fare il male che a fare il bene, la rapirono e la costrinsero a sposarsi. La stes- sa cosa è successa all'anima di Costanza d’Altavilla, che è al suo fianco. Fu costretta ad andare sposa a Enrico IV di Svevia. Quindi Piccarda, cantando l’Ave Maria, scompare. Allora il poeta rivolge gli occhi a Beatrice ed è quasi abbagliato dallo splendore della donna. Canto IV: cielo primo, Luna; spiriti inosservanti dei voti; due dubbi; il dubbio sulla sede dei beati; Bea- trice spiega l'ordinamento del paradiso; il dubbio sulla corresponsabilità delle due parti nella violenza; volontà assoluta e volontà relativa; il cammino dal dubbio alla verità Dante ha due dubbi, ugualmente intensi. Beatrice ini- zia dal più grave: tutti i beati si trovano nell’empìreo. Gli spiriti che ha visto nel cielo della Luna sono di- scesi per mostrare visibilmente al poeta qual è il loro grado di beatitudine: rispetto agli altri gradi, esso è il meno elevato. Senza questo segno sensibile il poeta non avrebbe capito, perché senza le percezioni dei sensi non si può passare alla conoscenza propria dell’intelletto. Per questo motivo la Chiesa permette che Dio venga rappresentato con mani e piedi. Bea- trice a questo punto coglie l’occasione per chiarire un'affermazione di Platone: il filosofo greco ha detto che le anime discendono dalle stelle e poi, alla mor- te, risalgono alle stelle. Forse egli intendeva non pro- prio le anime, ma gli influssi che dai cieli scendono sugli uomini. L’altro dubbio, meno pericoloso, ri- guarda il problema della violenza che ha impedito di adempiere ai voti. La vera violenza - continua la donna - si ha quando chi la subisce non fa nulla per favorirla. Le anime appena incontrate in qualche mo- do l’hanno favorita: sono state trascinate con la vio- lenza fuori del monastero, ma, una volta finita la vio- lenza, non hanno fatto niente per ritornarvi. Il fuoco, se spinto verso il basso, ritorna sempre verso l’alto. La volontà dev'essere irremovibile, come quella di Lorenzo che resiste al dolore del fuoco o di Muzio Scevola che brucia il suo braccio. Ma essa è molto rara. Piccarda però - osserva il poeta - aveva detto poco prima che Costanza conservò sempre l’affetto verso il velo monacale. Beatrice allora chiarisce ulte- riormente la questione distinguendo tra volontà asso- luta e volontà relativa. La prima non acconsente al male, la seconda vi acconsente per evitare un male maggiore. In questo senso le anime sono correspon- sabili della violenza subita. Piccarda si riferiva quin- di alla volontà condizionata, poiché era rimasta fuori del convento per evitare un male maggiore, Beatrice invece intendeva la volontà assoluta, che ignora de- liberatamente le conseguenze di una scelta coatta. A questo punto il poeta ha un terzo dubbio. Se è possi- bile che un voto inadempiuto sia compensato con al- tri beni, che risultino sufficienti alla giustizia divina. Beatrice risponde nel canto successivo. Canto V: cielo primo, Luna; spiriti inosservanti dei voti; il problema del voto inadempiuto; l’essenza del voto e l’intervento della Chiesa; la salita al cielo di Mercurio; l’incontro con un nuovo spirito Beatrice legge in Dio la domanda che Dante vorrebbe porle, cioè se un voto inadempiuto si può compensa- re con un altro servizio, in modo che l’anima eviti una controversia con Dio. La donna dice che il più grande dono che Dio fece è la volontà libera, che ca- ratterizza soltanto gli uomini e gli angeli. Quando l’uomo fa un voto, la sacrifica con un atto libero del- la volontà stessa. Ora, se il fedele crede di riprender- si giustamente quel che ha offerto, è come se volesse fare una buona opera con i proventi di un furto. La Chiesa però talvolta dispensa dai voti, il che pare contraddire l'affermazione appena fatta, perché l’es- senza del voto ha due aspetti: il primo è la cosa che si offre, cioè la materia del voto, il secondo è il pat- to tra chi fa il voto e Dio. Quest'ultimo non si can- cella mai, se non è osservato. Si può permutare per- ciò soltanto la materia del voto. Ma la permuta non può essere fatta senza il consenso dell’autorità eccle- siastica. Inoltre la nuova materia deve essere maggio- re. Perciò la donna invita ad essere fedeli alle pro- messe e a non essere sconsiderati a farle, come fu Jefte, giudice d’Israele, che, se sconfiggeva i nemici, promise di sacrificare a Dio la prima persona di casa che gli venisse incontro. E venne la sua unica figlia. Gli conveniva riconoscere di aver sbagliato, piuttosto che mantenere la promessa e fare peggio. Poi Dante e Beatrice salgono nel cielo di Mercurio e una schiera di luci va verso di loro. Beatrice invita il poeta a par- lare con loro. Uno spirito si avvicina e invita Dante a chiedere della loro condizione. Il poeta allora chiede chi è e qual è la loro condizione. Canto VI: cielo secondo, Mercurio; spiriti attivi; l’imperatore Giustiniano; la storia dell’Impero; la condanna di guelfi e ghibellini; gli spiriti attivi del cielo di Mercurio; Romeo di Villanova Nel cielo di Mercurio l’imperatore Giustiniano trat- teggia la storia dell’impero da quando Enea lasciò la Troade in Asia Minore alla fondazione di Roma, dal- la conquista della Gallia ad opera di Giulio Cesare alla nascita dell'Impero con Ottaviano Augusto, dalla distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito al sor- gere del Sacro Romano Impero ad opera di Carlo Magno, per concludere parlando dei guelfi e dei ghi- 76 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini bellini ai tempi di Dante. L'imperatore accusa i guel- fi di parteggiare per la Francia contro l’Impero e ac- cusa i ghibellini di essersi appropriati del simbolo imperiale per interessi di parte. Sia gli uni sia gli altri sbagliano e questi errori provocano disordine ed in- giustizia nella società umana. Quindi l’imperatore tesse l’elogio di Romeo di Villanova, il quale, calun- niato dai baroni, mostrò al conte Raimondo Berenga- rio di avere maritato le figlie a quattro prìncipi e di aver aumentato del 20% il patrimonio. Poi Romeo lascia il conte per vivere come mendìco. Ora la sua presenza impreziosisce il cielo di Mercurio. Canto VII: cielo secondo, Mercurio; spiriti attivi; gli si allontanano; fu giusta la morte di Cristo e la punizione degli ebrei; la redenzione dell’uomo attra- verso la crocifissione; l’immortalità degli angeli e degli uomini La luce di Giustiniano e le altre luci scompaiono len- tamente alla vista del poeta. Dante ha un dubbio: perché fu giusta la morte di Cristo sulla croce e la conseguente punizione dei giudei. Beatrice gli ri- sponde. Con l’atto di disobbedienza a Dio Adamo condannò se stesso e l’umanità intera. Dio allora mandò sulla Terra suo Figlio a sacrificarsi sulla cro- ce. La sua natura umana fu pura e senza peccato co- me fu creata in Adamo, ma come figlio di Adamo fu ugualmente cacciata dal paradiso terrestre. Perciò la punizione della croce, se si commisura alla natura umana, fu giusta. Invece, se si commisura alla natura divina, fu ingiusta, perché come Figlio di Dio non aveva colpa. La morte sulla croce ha quindi due con- seguenze: la punizione della natura umana fa riaprire la porta del paradiso; l’offesa alla natura divina è una nuova colpa, che è punita con la distruzione di Geru- salemme e la dispersione degli ebrei. A questo punto il poeta chiede perché Dio sia ricorso a questo modo per redimerci. Beatrice risponde: o Dio perdonava soltanto per sua cortesia o l’uomo rimediava con le sue forze. Con le sue capacità l’uomo non poteva ri- mediare alla colpa e soddisfare la giustizia divina, poiché non poteva abbassarsi con l’umiltà e poi ob- bedire, tanto quanto volle alzarsi e disobbedire. Per- ciò era necessario che Dio riportasse l’uomo alla vita perfetta, che aveva perduto, per la via della punizio- ne o per quella del perdono o per tutte e due. Dio procedette per tutte e due: perdonò l’uomo e sacrifi- cò se stesso per renderlo capace di rialzarsi. Poi Dante ha un terzo dubbio: perché gli angeli sono im- mortali e perché le cose sono soggette alle trasfor- mazioni, cioè al divenire. La donna risponde che Dio ha creato gli angeli nella pienezza del loro essere, in- vece le cose ricevono la loro forma dall’influsso dei cieli creati. E l’anima umana è immortale, perché è stata creata direttamente da Dio Canto VIII: cielo terzo, Venere; spiriti amanti; il cie- lo di Venere; Carlo Martello d'Angiò; il malgoverno del fratello Roberto; il problema dei caratteri non e- reditari; la Provvidenza e il corretto uso delle risorse Dante si accorge di essere nel cielo di Venere perché Beatrice si fa più bella. Il poeta vede numerose luci che si muovono in una danza circolare. Una di esse, Carlo Martello, si avvicina. Il poeta chiede chi è. La luce risponde che è stato per poco tempo sulla terra e che Dante ha avuto grande affetto per lui. Doveva regnare sulla Provenza, sul regno di Napoli e di Un- gheria, e anche sulla Sicilia, se il malgoverno degli angioini non avesse spinto la popolazione a cacciare i francesi. Perciò invita il fratello Roberto a non au- mentare le tasse e l’odio conseguente. Eppure il suo carattere avaro discende da antenati liberali. Dante allora chiede come ciò sia possibile. Carlo Martello risponde che le sfere celesti riversano sulla terra tut- to ciò che serve al buon funzionamento della società umana. Per questo motivo uno nasce legislatore, un altro generale, un altro sacerdote. Le sfere celesti pe- rò non distinguono la casa del povero da quella del ricco. In tal modo i figli sono diversi dai padri. Le inclinazioni provenienti dal cielo però danno cattivi risultati, se sono usate fuori del loro ambito. Ed è quel che succede: si costringe a farsi religioso chi è nato per cingere la spada e a farsi sovrano chi è nato a tener prediche. Per questo motivo il comportamento degli uomini è sbagliato. Canto IX: cielo terzo, Venere; spiriti amanti; la pro- fezia di Carlo Martello; Cunizza da Romano, la nin- fomane; Folchetto da Marsiglia, lo sterminatore di eretici; Raab, la prostituta, e i piani di Dio; il fiore maledetto che corrompe la Chiesa Dopo Carlo Martello un’altra anima si avvicina al poeta, che chiede mentalmente chi è. L'anima dice di essere Cunizza da Romano, la sorella del feroce Ez- zelino, che fece gravi danni alla Marca trevigiana. La naturale inclinazione all’amore la portò nel cielo di Venere. Poi la donna presenta l’anima di Folchetto da Marsiglia, dicendo che era famosa in vita e che reste- rà famosa ancora per molti secoli. Invece la popola- zione della Marca trevigiana non si preoccupa di s0- pravvivere sulla terra grazie alla fama; né si pente non ostante le disgrazie che l'hanno colpita. Ma pre- sto Padova sarà punita, perché non si sottomette all’imperatore. A Treviso Rizzardo da Camino, si- gnore della città, sarà catturato ed ucciso per la sua tracotanza. Feltre piangerà il tradimento del vescovo Guido Novello contro i fuoriusciti ghibellini di Ferra- ra. Quindi l’anima ritorna alla sua danza circolare. Dante si rivolge allora all’altra anima, che si presen- ta: è Folchetto da Marsiglia e ha dedicato all’amore tutta la sua giovinezza. Ma ora nel cielo di Venere si è lieti perché la volontà divina ha riportato sulla retta via le inclinazioni amorose. Poi Folchetto presenta l’anima di Raab, che è la più splendente del cielo di Venere. Essa fu assunta in cielo prima di tutte le al- tre anime redente dalla resurrezione di Gesù Cristo, perché ha favorito la prima vittoria di Giosuè in Ter- ra Santa. Poi Folchetto lancia un’invettiva contro Fi- renze, che conia il fiorino che ha corrotto fedeli ed ecclesiastici, e contro il papa e i cardinali, che pen- sano soltanto al denaro ma che presto saranno puniti. 77 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini Canto X: cielo quarto, Sole; spiriti sapienti; Dante invita a contemplare la creazione; la salita al cielo del Sole; gli spiriti del Sole; Tommaso d’Aquino pre- senta gli altri spiriti; il canto della corona di beati Dante invita il lettore a contemplare i cieli, che gli avrebbero dato un grande godimento, e descrive lo Zodiaco. Il poeta poi si accorge di essere salito nel cielo del Sole, perché la luce diviene più intensa. Gli spiriti del Sole si precipitano e cantano, mentre si mettono a girare intorno al poeta e a Beatrice. Poi si fermano. Uno spirito accoglie Dante con letizia, si presenta e poi presenta gli altri spiriti. È Tommaso d’Aquino, un frate dell’ordine che Domenico guida per il cammino, dove ben ci s’împingua, se non si vaneggia. Poi Tommaso indica Alberto Magno di Colonia, frate domenicano e suo maestro. Passa a presentare gli altri spiriti: il giurista Francesco Gra- ziano, Pietro Lombardo che offrì alla Chiesa tutti i suoi tesori, re Salomone, dove fu infuso un sapere così profondo, che, se le Sacre Scritture dicono il ve- ro, a veder altrettanto non sorse il secondo, il filoso- fo e teologo Dionigi l’ Areopagita, l'avvocato cristia- no Paolo Orosio, il filosofo e uomo politico Severi- no Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile, il mistico Riccardo di San Vittore e infine il filosofo parigino Sigieri di Brabante. Quindi la corona dei be- ati inizia a muoversi e si mette a cantare in coro in perfetto accordo. Canto XI: cielo quarto, Sole; spiriti sapienti; invetti- va contro i falsi ragionamenti; Tommaso d’ Aquino; la vita di Francesco d'Assisi; l’elogio dell’ordine fran- cescano; la condanna dell’ordine domenicano Sulla terra gli uomini stanno perdendo il loro tempo dietro ai beni vani, quando Dante, libero da ogni pas- sione, sale al cielo con Beatrice. La luce di Tomma- so d'Aquino gli parla della vita e dell’opera di Fran- cesco d’Assisi. La Chiesa di Cristo stava attraver- sando momenti difficili, perciò Dio suscita due prìn- cipi, affinché l’aiutassero: Francesco d’Assisi, che fonda l’ordine francescano, e Domenico di Calarue- ga, che fonda l'ordine domenicano. Francesco sorge come un Sole ad Assisi, lascia le ricchezze paterne e sposa madonna Povertà, fonda l’ordine dei frati mi- nori e ne chiede l'approvazione prima a papa Inno- cenzo II e poi a papa Onorio II Va a predicare tra gli infedeli, ma, non ottenendo risultati, ritorna ad oc- cuparsi dei fedeli italiani. Riceve le stigmate sul monte della Verna e, prima di morire, raccomanda ai suoi frati madonna Povertà. Tommaso perciò coglie l’occasione per lodare i frati francescani e per rim- proverare i frati del suo ordine, che si sono allontana- ti dalla buona dottrina teologica. Dante perciò ora può capire perché ha corretto la sua affermazione «dove ben ci s’impingua di valori spirituali, se non si vaneggia dietro ai beni materiali». Canto XII: cielo quarto, Sole; spiriti sapienti; la dan- za festosa delle due corone di spiriti; Bonaventura da Bagnoregio; la vita di Domenico di Calaruega; l’elo- Lucifero lo dimostra: era l’essere più perfetto, ma per la sua superbia, che lo staccò da Dio, rimase im- perfetto e fu precipitato nell’inferno. La vista umana è finita, non può vedere tutto. Essa penetra nella giu- stizia eterna di Dio come l’occhio nel mare. Dalla riva vede facilmente il fondo, ma in mare aperto non lo vede. Eppure il fondo del mare c’è, ma lo nascon- de alla vista il fatto che è profondo. Dopo questa premessa l’aquila riferisce e quindi affronta il dubbio di Dante. Il poeta diceva: “Un uomo nasce sulle rive dell’Indo e qui nessuno parla di Cristo, né chi legge né chi scrive. Tutti i suoi desideri e i suoi gesti sono buoni, per quanto la ragione umana possa giudicare, edegli è senza peccato nelle parole come nelle azio- ni. Costui muore senza essere stato battezzato e sen- za aver la fede. Che giustizia è quella che lo condan- na al limbo? Qual è la sua colpa, se non crede?” L’aquila lo rimprovera: non si può giudicare a mille miglia di distanza, se la vista non arriva a una span- na! E ricorda che Dio, che è Sommo Bene, non si è mai allontanato dal Bene, da Se stesso. E tutto ciò, che fa conforme alla sua volontà, è giusto: nessun bene creato la attira a sé, ma è essa, la sua volontà, che determina il Bene, illuminandolo con la sua gra- zia! Ruotando in volo, l’aquila cantava e diceva che, come Dante non comprende le parole che gli rivolge, così il giudizio eterno di Dio è incomprensibile per i mortali. Quindi afferma che in cielo non salì mai chi non credette in Cristo, prima o dopo che fosse croci- fisso; e che molti, che gridano “Cristo, Cristo!”, nel giorno del giudizio saranno molto meno vicini a Lui di chi non lo ha conosciuto. Infine se la prende con i re cristiani che conoscono la fede nel vero Dio, ma la ignorano e lancia un’invettiva durissima contro di es- SL Canto XX: cielo sesto, Giove; spiriti giusti; l'aquila tace e gli spiriti cantano; gli spiriti della pupilla; an- che i pagani si salvano; l’imperatore Traiano e il tro- iano Rifeo L’aquila, il simbolo dell'Impero e dei suoi governan- ti, tace con il becco, le luci diventano più luminose e cominciano altri canti. Poi essa riprende a parlare. Invita Dante a fissare la sua pupilla, dove sono le a- nime più nobili: re David, che trasportò l'Arca Santa di città in città, poi l’imperatore Traiano, che consolò la vedovella facendole giustizia per il figlio ucciso, Ezechia, re di Gerusalemme, che aspettò la morte con un atto sincero di penitenza, l’imperatore Costantino, che, spinto da una buona intenzione (che però diede un cattivo frutto), portò le leggi e l'aquila imperiale in Oriente, per cedere Roma al papa, re Guglielmo il Buono, che è rimpianto dal regno di Napoli e di Sici- lia, il troiano Rifeo, che nessuno prevedrebbe salvo. Dante, visibilmente sorpreso, chiede in che modo due pagani possano essersi salvati. Alla sua domanda le anime dei beati sfavillano di gioia e rispondono: essi non morirono come pagani, ma come cristiani: Rifeo credendo fermamente in Cristo venturo e Traiano credendo fermamente in Cristo già venuto. Papa Gre- gorio Magno pregò per Traiano, l’imperatore ritornò in vita per breve tempo, credette in Cristo, poi morì e 80 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini si salvò. Da vivo Rifeo per la grazia divina pose tut- to il suo amore nella giustizia. Perciò Dio gli aprì gli occhi alla nostra redenzione futura. Egli credette in essa e da quel momento abbandonò la religione pa- gana. La fede, la speranza e la carità gli diedero il battesimo più di mille anni prima che esso fosse isti- tuito. La volontà di Dio è ben lontana dagli sguardi dei mortali, che non vedono interamente neanche la Causa Prima. Quindi il becco dell’aquila invita gli uomini a non aver fretta a giudicare. Essi, che pur vedono in Dio, non conoscono ancora tutti gli eletti. Mentre l’aquila parla, Dante vede le luci di Traiano e Rifeo che brillano all'unisono come il battere degli occhi. Canto XXI: cielo settimo, Saturno, spiriti contem- planti; la salita al cielo di Saturno; la scala degli spi- riti contemplanti; un beato si ferma a parlare con Dante; l’imperscrutabilità dei disegni di Dio; Pier Damiani parla della sua vita e del suo ordine; con- danna i monaci che si sono allontanati dalla regola; e lancia un’invettiva contro gli ecclesiastici Beatrice dice che non sorride, altrimenti gli occhi di Dante sarebbero come colpiti da un fulmine: sono saliti al settimo cielo, quello di Saturno. Il poeta fis- sa gli occhi e vede una scala scintillante, che saliva verso l’alto, tanto che non riusciva a vederne la fine. Per i gradini scendevano innumerevoli anime sfavil- lanti. Uno spirito si ferma vicino ad essi, facendosi più luminoso. Beatrice invita il poeta a parlare. Dan- te chiede all’anima perché si è avvicinata e perché in questo cielo tace la musica del paradiso, che negli altri cieli suona così devota. Lo spirito risponde che essi non cantano per la stessa causa per cui Beatrice non ha sorriso. Ed egli è sceso giù per i gradini della scala per festeggiarlo, con parole e con la luce che lo avvolge. Dante capisce che il libero amore di carità spinge le anime di questo cielo ad eseguire i disegni di Dio. Ma fa fatica a capire, perché soltanto essa è stata destinata a incontrarlo. La luce si mette a ruota- re intorno a sé, quindi risponde che egli è illuminato dalla luce di Dio, tanto da vedere Dio. Ma che nem- meno quel serafino, che più fissa l’occhio in Lui, po- trebbe rispondere alla sua domanda, poiché quel che il poeta chiede si sprofonda a tal punto nell’abisso del giudizio divino, che nessuna creatura può pensare di raggiungerlo. Se essi, che sono illuminati dalla lu- ce divina, non riescono a capire i disegni di Dio, a maggior ragione è incapace di farlo chi sulla Terra è immerso nell'oscurità. Perciò Dante abbandona la questione e si limita a domandare umilmente chi fu. Lo spirito risponde che sugli Appennini sorge una cima chiamata Catria, sotto la quale è consacrato un eremo che di solito è dedicato al culto di Dio. Qui si dedicò al servizio di Dio, contento di quella vita con- templativa. Allora quel chiostro mandava molte ani- me a quei cieli, ora non lo fa più. In quel luogo fu Pier Damiani, invece fu Pietro Peccatore nel mona- stero di Nostra Signora a Ravenna, sul mare Adriati- co. Gli era rimasto poco da vivere, quando fu chia- mato a indossare il cappello cardinalizio. A_questo punto lancia una durissima invettiva contro gli eccle- siastici: Pietro e Paolo andarono a predicare magri e scalzi, mangiando il cibo offerto da chi li ospitava. Ora i moderni pastori vogliono servi che li sorregga- no, tanto sono pesanti, e che alzino loro lo strascico di dietro. Con i loro mantelli coprono i cavalli, così che due bestie vanno sotto una pelle. A queste parole numerose anime che scendevano i gradini della scala vengono intorno alla luce di Pier Damiani e si ferma- no, poi lanciano un grido così alto, come un rumore di tuono, che il poeta non riesce a comprendere. Canto XXI: cielo settimo, Saturno, spiriti contem- planti; il canto dei beati; Benedetto e il suo ordine; poi cielo ottavo, Stelle Fisse, spiriti trionfanti; Dante e Beatrice salgono alla costellazione dei Gemelli; il poeta osserva la Terra e i pianeti Il poeta è colpito dal canto dei beati. Beatrice gli di- ce che, se lo avesse compreso interamente, avrebbe conosciuto la giusta punizione divina contro gli ec- clesiastici corrotti, a cui assisterà prima di morire. L’anima più luminosa di quegli spiriti si avvicina al poeta e risponde alla sua muta domanda: è Benedetto da Norcia, è uto come eremita, ha fondato nume- rosi monasteri, ai quali ha dato la regola Ora et labo- ra, ed ha cacciato i culti pagani da Montecassino, dove ha posto il centro del suo ordine. Con lui sono Macario e Romoaldo e gli altri confratelli, che resta- rono fedeli alla regola. Il poeta chiede al santo di ve- dere il suo vero aspetto. Questi risponde che il suo desiderio sarà realizzato soltanto nell’ultimo cielo, a cui lo porta quella scala che ha davanti agli occhi. Essa è la stessa scala che il patriarca Giacobbe vide in sogno, percorsa da una moltitudine di angeli che la salivano e la scendevano. Poi il monaco si lamenta della corruzione che ha invaso i suoi monasteri, che sono ormai divenuti spelonche di ladroni, poiché i monaci si preoccupano unicamente delle rendite del monastero, che invece appartengono ai poveri. Ma contro di essa interverrà direttamente Dio. E ritorna alla sua compagnia. Poi Dante e Beatrice iniziano a salire la scala. In un attimo si trovano nella costella- zione dei Gemelli, proprio quella sotto la quale egli è nato. Beatrice lo invita a guardare in basso, per vede- re la terra, quella piccola aia che ci fa tanto feroci. Il poeta guarda la Terra, che ha un aspetto meschino, e i sette pianeti che girano intorno ad essa. Poi rivolge gli occhi alla donna. Canto XXIII: cielo ottavo, Stelle Fisse; spiriti trion- fanti; i beati redenti dal trionfo di Cristo; Dante guar- da, ma non sa ricordare; Cristo e di Maria salgono al cielo; i beati cantano O Regina del cielo Beatrice indica a Dante i beati redenti dalla morte e resurrezione di Cristo. Il poeta vede migliaia di luci, dominate dalla luce di Cristo, che le supera tutte con la sua intensità. Poi la donna invita il poeta a guar- darla, perché ora i suoi occhi sono capaci di farlo. Ma il volto di Beatrice è indescrivibile. Quindi la donna lo invita a guardare Cristo, la Vergine e i bea- ti. Il poeta ascolta l’invito. Cristo gli appare tutto sfolgorante. Sotto di Lui sono le schiere dei beati. 81 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini Poi Cristo sale all’empìreo. Dante può così fissare gli occhi sulla Vergine, la cui luce splendeva più di quella di tutti i beati. Su di essa l’arcangelo Gabriele discende dal cielo sotto forma di corona luminosa e le circonda il capo, quindi elogia Colei che ha con- cepito lo stesso Dio. Sùbito dopo i beati cantano il nome di Maria. Essa poi sale al cielo seguendo suo Figlio. I beati allora cantano O Regina del cielo. Qui in cielo essi stanno ottenendo il premio che si acqui- sta sulla Terra versando lacrime e disprezzando i be- ni mondani. Qui, sotto Cristo e coni beati dell’Antico e Nuovo testamento, Pietro, che tiene le chiavi del paradiso, trionfa per la vittoria sul peccato. Canto XXIV: cielo ottavo, Stelle Fisse; spiriti trion- fanti; Beatrice invita gli spiriti a rispondere a Dante; Pietro esamina Dante sulla fede; la professione di fe- de del poeta; Pietro è soddisfatto delle risposte Beatrice intercede per Dante presso i beati e presso , affinché lo esamini nella fede. Lo spirito si na al poeta danzandogli intorno, poi gli chiede che cos'è la fede per un cristiano. Dante risponde che è sostanza delle cose che speriamo ed argomen- to delle cose che non appaiono ai nostri sensi. Il san- to chiede poi chiarimenti: perché essa è sostanza e argomento. Il poeta risponde: è sostanza (=fonda- mento) perché su di essa si fondano le cose che spe- riamo (la resurrezione della carne e la vita eterna); e argomento (=prova) perché da essa argomentiamo le cose che non appaiono ai nostri sensi. Poi fa ancora altre domande: se il poeta ha la fede (risposta positi- va), dove l’ha attinta (dalle Sacre scritture, ispirate dallo Spirito Santo) e quali prove dimostrano che la sua fede è vera (i miracoli fatti dagli apostoli di cui si parla nei Vangeli e, se non si presta fede ad essi, il miracolo più grande che il mondo pagano si sia con- vertito senza miracoli). Ad ogni domanda il poeta ri- sponde correttamente. Così alla fine dell’esame il santo si congratula con lui. Canto XXV: cielo ottavo, Stelle Fisse; spiriti trion- fanti; Dante spera che il poema gli permetta di ritor- nare a Firenze; Giacomo è accolto con gioia da Pie- tro; Beatrice prega Giacomo di esaminare il poeta sulla speranza; risponde lei alla prima domanda; l’ar- rivo di Giovanni l’evangelista Dante spera che il poema sacro, al quale han posto mano cielo e Terra e che lo ha affaticato per molti anni, vinca la crudeltà che lo chiude fuori di Firenze, così egli cingerà l’alloro poetico sul fonte battesima- le. Un altro spirito si avvicina. Beatrice lo presenta: è Giacomo, per cui sulla Terra si va in pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Giacomo e Pietro hanno reciproche manifestazioni di giubilo. La donna lo prega d’interrogare Dante sulla speranza. La luce di Giacomo esulta, poi chiede che cos’è la speranza, in quale grado la possiede e da dove gli è venuta. Bea- trice risponde alla prima domanda: la Chiesa militan- te non ha nessun altro figlio con più speranza di Dan- te, perciò gli è concesso di venire dall’esilio terreno alla patria celeste prima della morte. Dante risponde alle altre due domande: a) la speranza è l’attesa certa della gloria futura in paradiso, che è prodotta dalla grazia divina e dai meriti acquisiti; b) questa rispo- sta gli è venuta da David, che nei Sa/mi cantò la grandezza di Dio, e dall’Epistola dello stesso Gia- como, che lo ha riempito di quella virtù. Allora l’apostolo gli chiede che cosa la speranza gli promet- te. Dante risponde che l'Antico e il Nuovo Testamen- to indicano il fine ultimo, la beatitudine eterna, delle anime che Dio si è fatto amiche. Lo testimoniano sia il profeta Isaia sia Giovanni l’evangelista, suo fratel- lo, che lo rivelò nell’Apocalisse. Una voce canta “Sperino in Te” e tutte le corone di beati rispondono danzando. Poi una luce si avvicina a quelle di Pietro e Giacomo, e canta e danza con loro. Beatrice la pre- senta: è Giovanni l’evangelista, che nell’ultima cena posò il capo sul petto di Cristo e che dalla croce fu scelto per essere il nuovo figlio di Maria. Dante è abbagliato dalla luce del nuovo arrivato. Giovanni dice che non si deve abbagliare: il suo corpo è rima- sto sulla Terra e resterà Îì con tutti gli altri, finché il numero dei beati uguaglierà quello fissato dai decreti di Dio: sono saliti in cielo con l’anima e il corpo sol- tanto Cristo e Maria. Alle parole dell’apostolo le tre luci fermano la danza e il canto. Il poeta si volta per vedere Beatrice, ma è accecato e non la vede, anche se è vicino a lei. Canto XXVI: cielo ottavo, Stelle Fisse; spiriti trion- fanti; Giovanni esamina Dante sulla carità; e sulle radici della carità; Beatrice gli restituisce la vista; Dante pone quattro domande ad Adamo; Adamo ri- sponde La fiamma di Giovanni rassicura Dante: non ha perso la vista, la riacquisterà guardando Beatrice. Poi lo invita a dirgli verso dove si dirige la sua anima. Il poeta risponde che la sua anima va verso il Bene Su- premo, Dio, che allieta la corte dei beati, poiché Egli è il principio e la fine di tutto ciò che l'Amore di ca- rità gli insegna in modo ora più lieve ora più forte. L’apostolo allora lo invita a chiarire la risposta e a dire chi indirizzò il suo buon volere verso la carità. Dante risponde che l’amore di carità si è impresso in lui attraverso argomenti razionali come attraverso l’autorità delle Sacre Scritture, che sono state ispira- te da Dio. E Dio, non appena è compreso, subito ac- cende amore verso di Sé. Perciò verso Dio, più che verso altri beni, deve muoversi la mente di chi com- prende quest’argomentazione. Aristotele poi gli ha mostrato che Dio è il primo amore di tutte le sostan- ze eterne. Glielo ha spiegato anche l’autore dell’Eso- do, Dio, che, parlando di sé, dice a Mosè: “Io ti farò vedere ogni bene”. E glielo spiega lo stesso apostolo, che nel Vangelo parla del mistero dell’Incamazione. Giovanni concorda, poi pone un’altra domanda: se ci sono altri motivi che lo fanno volgere verso Dio- carità. Dante risponde indicandone alcuni: l’esistenza del mondo e la propria esistenza, la morte di Cristo per la sua salvezza, la virtù della speranza, la cono- scenza delle Sacre Scritture che lo hanno portato all’amore verso i beni celesti. Non appena tace, Bea- trice e gli altri beati cantano con grande dolcezza 82 Divina commedia. Paradiso, a cura di P. Genesini «Santo, santo, santo!» Poi con lo sguardo la donna guarisce la vista del poeta, che diventa più potente. Dante domanda subito chi è il quarto lume che si è aggiunto. La donna risponde che è Adamo, il padre di tutte le genti. Il poeta sente l'impulso di porgli quat- tro domande: quanto tempo è passato da quando Dio lo creò; quanto tempo rimase nel paradiso terrestre; che cosa sdegnò Dio; quale lingua egli inventò e poi parlò. Adamo risponde: a) la causa dell’esilio sulla Terra non fu la mela che mangiarono, ma l’infrazione dei limiti che Dio pose loro; b) visse 930 anni, rima- se nel limbo per 4.302 anni [e dall’ascesa al cielo al 1300 sono passati altri 1.266 anni, per un totale di 6.498 anni]; c) la lingua che egli parlò era già scom- parsa prima della costruzione della Torre di Babele, perché essa cambia, sotto l'influsso del cielo, a se- conda delle preferenze degli uomini; d) rimase nel paradiso terrestre dalle sei del mattino fino alle tre- dici, sette ore. Canto XXVII: dal cielo delle Stelle Fisse al Primo Mo- bile; l'inno alla Santissima Trinità; l’invettiva di Pie- tro contro la corruzione della Chiesa; l’ascesa dei beati; la salita al Primo Mobile; Beatrice parla del cielo nono e condanna la cupidigia degli uomini I beati iniziarono a cantare l’inno alla Santissima Tri- nità. Dante è inebriato da ciò che vede e sente: quel- la dei beati era la vita completa fatta d’amore e di pace, che soddisfaceva tutti i desideri. La luce di Pietro incomincia a farsi più vivace e lancia una du- rissima invettiva contro la corruzione della Chiesa. Accusa papa Bonifacio VIII di usurpare il suo posto e di aver fatto del luogo della sua morte una cloaca del sangue di lotte fratricide, della puzza della cor- ruzione e dei vizi, perciò il demonio nell’inferno è soddisfatto. Mentre parla, Pietro cambia colore, se- guìto da tutti gli altri spiriti. Poi continua: la Chiesa non fu nutrita con il sangue dei martiri per essere u- sata ad accumulare oro, ma per acquistare quella vita beata. Egli e gli altri papi non vollero che il popolo cristiano sedesse in parte a destra e in parte a sinistra dei loro successori; né che le chiavi che gli furono concesse divenissero simbolo su vessilli che combat- tessero altri cristiani; né che la sua immagine compa- risse sul sigillo di privilegi venduti e falsificati, che lo fanno spesso arrossire e sfavillare di sdegno. Quindi accusa Giovanni XXII di Cahors e Clemente V di Guascogna di bere il sangue dei martiri deru- bando e infangando la Chiesa. Ma egli prevede che la Provvidenza divina interverrà presto contro tale corruzione. Quindi invita Dante a dire quello che egli ha detto, quando tornerà sulla Terra. Poi le fiammelle degli spiriti trionfanti, che si erano trattenuti qui con Beatrice e il poeta, si mettono a fioccare verso l’alto. Beatrice dice a Dante di guardare verso il basso, così vedeva quanto aveva ruotato quel cielo: si erano mossi di 90° ed egli vedeva lo stretto di Gibilterra. Il poeta guarda poi Beatrice, bella più che mai. E la virtù, che esce dagli occhi della donna, lo strappa via dall’ottavo cielo e dalla costellazione dei Gemelli e lo spinge nel Primo Mobile, il cielo più veloce di tut- ti. Beatrice descrive il cielo nono, che come tutti gli
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