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Descrizione della sindrome fibromialgica e degli aspetti psicologici associati, Tesi di laurea di Psicosomatica

Che cos’è la sindrome fibromialgica: diagnosi, sintomatologia, epidemiologia, eziologia, disfunzioni psicofisiologiche, anormalità neuroendocrine, disregolazioni sistema nervoso autonomo, anormalità cerebrali funzionali, terapie. Aspetti psicologici della SF: aspetti psicopatologici e di personalità. bibliografia in merito

Tipologia: Tesi di laurea

2019/2020

In vendita dal 21/01/2023

DottssaSL
DottssaSL 🇮🇹

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Scarica Descrizione della sindrome fibromialgica e degli aspetti psicologici associati e più Tesi di laurea in PDF di Psicosomatica solo su Docsity! 1 LA SINDROME FIBROMIALGICA: DESCRIZIONE DELLA PATOLOGIA Diagnosi La Fibromialgia (FM) è una sindrome da Sensibilizzazione Centrale (SC), caratterizzata da disfunzione nei neurocircuiti che coinvolgono la percezione, trasmissione e processazione degli stimoli nocicettivi afferenti con la prevalente manifestazione di dolore a livello dell’apparato muscoloscheletrico (Wolfe et al., 2016). In associazione al dolore compaiono una serie di sintomi (come astenia, disturbi del sonno, dolore addominale) che sono comuni ad altre sindromi da SC (Cazzola et al., 2008). Ci sono state diverse evoluzioni della definizione diagnostica di FM: con i primi criteri del 1990 dell’American College of Rheumatology (Wolfe et al., 1990), classificativi su parametri clinici e non diagnostici, sono state poste delle basi per evidenziare la patologia, successivamente revisionati dall’ACR (Wolfe, 2010; Wolfe et al., 2011; Wolfe et al., 2016). I primi criteri diagnostici si basavano su una storia clinica di dolore diffuso (da almeno 3 mesi) e dolore in 11 di 18 aree algogene (Tender Points - TP) alla palpazione digitale (Wolfe et al., 1990). Con la “Dichiarazione di Copenaghen” del 1992, la FM è stata definita come parte di una più ampia sindrome che comprende numerosi sintomi tra cui disturbi del sonno, disturbi dell’umore ansioso-depressivi, stanchezza, disfunzioni cognitive, disregolazioni del sistema nervoso autonomo e/o del sistema neuroendocrino (Jacobsen, Danneskiold-Samsoe, & Lund, 1993). Successivamente, la necessità di omogeneizzare la valutazione medica ha portato a studi di standardizzazione della diagnosi con l’obiettivo duplice di identificare criteri alternativi per la diagnosi, proponendo una metodologia diagnostica basata sulla raccolta di dati fisici, psichici e interviste (Wolfe, 2010). Sono stati introdotti i test Widespread Pain Index (WPI) e la Symptom Secerity scale (SSs): il WPI è un indice del dolore diffuso, il cui punteggio viene determinato contando il numero delle aree del corpo dove il paziente ha sentito dolore nel corso dell’ultima settimana. Il punteggio della gravità dei sintomi o SSs, valuta la gravità di 3 sintomi comuni (affaticamento, sonno non ristoratore, problemi cognitivi) mediante una scala di 4 items con punteggio 0-3, dove 3 indica la condizione peggiore, a cui possono essere aggiunti 3 punti per la severità di altri sintomi funzionali somatici associati (SSs: 0-12) (Wolfe, 2010). 2 Nel 2011, l’ACR ha proposto un’ulteriore revisione dei criteri del 2010 (Wolfe et al., 2011). La stima da parte degli psichiatri dei sintomi somatici fu eliminata e la WPI è stata arricchita; la nuova scala FM Stmptom (FS) va da 0 a 31 sintomi, include: 19 aree di localizzazione del dolore, 6 sintomi self-report tra cui difficoltà a dormire, affaticabilità, problemi cognitivi, emicranie, depressione e dolore addominale, una FS ≥ a 13 sommata ai criteri riferiti dai pazienti (Wolfe et al., 2011). L’ultima revisione dei criteri diagnostici della FM risale al 2016. Alla precedente è stato aggiunto anche un altro indice, il Generalized Pain (GP), ossia dolore in almeno 4 o 5 altre regioni corporee, che non siano l’area addominale, quella del torace e della mandibola (Wolfe et al., 2016). In sintesi, i criteri più recenti sono i seguenti (Wolfe et al., 2016): WPI ≥ 7 e SSs ≥5, o WPI 4-6 e SSs ≥ 9; GP; i sintomi sono presenti da almeno 3 mesi ed è possibile una diagnosi di FM in comorbidità con altre patologie. Ad oggi la diagnosi di FM primaria è posta ad esclusione rispetto ad altre patologie reumatologiche, in assenza strumenti di screening efficaci per diagnosticarla, poiché alla sintomatologia non corrispondono alterazioni morfologiche né lesioni anatomo- patologiche, né bioumorali (Jay & Barkin, 2015). Un’accurata diagnosi differenziale dovrebbe essere di prassi sia rispetto alle malattie reumatiche autoimmuni, in particolare con l’Artrite Reumatoide (AR) e altre Lupus Eritematoso Sistemico (LES), Sindrome di Sjögren, (SjS), altre connettività sistemiche (CTD), che alle malattie non reumatologiche come quelle a carico dell’apparato muscoloscheletrico o internistiche (Cazzola, 2010; Sarzi-Puttini, Atzeni, & Mease, 2011). Sintomatologia I sintomi che occorrono maggiormente come principali nella FM sono (Cassisi, 2010; Kaltsas & Tsiveriotis, 2013): dolore cronico diffuso, astenia/fatigue e disturbi del sonno. Ci sono anche sintomi meno classici ma comunque frequenti come mialgie e disfunzioni muscolari, rigidità, sensazione di gonfiore dei tessuti molli, parestesie (Cassisi, 2010; Hamilton, Atchley, Karlson, Taylor, & McCurdy, 2012) e altri sitomi addizionali (Cassisi et al., 2008). Tra i sintomi comuni il dolore diffuso e persistente si manifesta attraverso iperalgesia (elevata sensibilità ad uno stimolo doloroso) e allodinia (dolorabilità eccessiva in seguito 5 Epidemiologia Un primo studio sulla diffusione della FM negli USA, ha rilevato una prevalenza del 3.4% nelle donne e del 0.5% negli uomini (Wolfe, Ross, Anderson, Russell, & Hebert, 1995). Ricerche più recenti invece stabiliscono che la prevalenza della FM nella popolazione mondiale va dal 3% al 6% (Di Tella & Castelli, 2013), di cui il 4.2% dei soggetti sono donne e il 1.4% sono uomini, con un rapporto maschi-femmine di circa 1 a 5 (Sancassiani et al., 2017). La media europea si attesta intorno al 2.5%, quella americana al 3.1% e quella asiatica all’1.7% (Queiroz, 2013). In Italia la prevalenza stimata di tale sindrome è del 3.7% nella popolazione generale ed del 5.5% nelle donne (Branco et al., 2010). La FM viene generalmente diagnosticata nella popolazione adulta, tra i 20 e 50 anni (Di Tella & Castelli, 2013), ma sembrano essere presenti molti casi di FM giovanile (Kashikar-Zuck et al., 2013). La FM può anche presentarsi anche nei bambini e negli adolescenti, con la stessa sintomatologia invalidante degli adulti (Buskila, Bazzichi, Giacomelli, & Sarzi-Puttini, 2010; Tesher, 2015). Da alcuni dati sui follow up, la prognosi della FM sembrerebbe più favorevole rispetto a quella degli adulti in seguito a trattamenti psicoterapici (Sherry et al., 2015). Dal 1990 a oggi, diversi studi epidemiologici sulla popolazione generale e affetta da FM, hanno permesso di quantificare la frequenza e l’impatto di tale sindrome in base alle caratteristiche personologiche, ma anche ambientali, familiari e socio-culturali dei pazienti (Cimmino & Hazes, 2002). Le principali limitazioni di queste indagini riguardano tuttavia, la non omogenea definizione diagnostica della FM, in molti studi considerata distinta (Sarzi-Puttini et al., 2011) e in altri sovrapponibile alla Sindrome da Dolore Cronico Diffuso (Chronic Widespread Pain – CWP) (Marsico & Cimmino, 2010). Come per altre malattie reumatiche, molti ricercatori si sono chiesti se fosse possibile introdurre il concetto di Early Fibromyalgia, in un’ottica preventiva, per cercare di individuare quei fattori di rischio per limitare l’impatto della disabilità derivante dalla sindrome (Marisco & Cimmino, 2010). Tutti gli studi finora effettuati sono concordi nell’individuazione del genere femminile come maggior fattore di rischio, indipendentemente dall’età (Marsico & Cimmino, 2010). In uno studio longitudinale, Forseth ha indagato i possibili fattori di rischio per la comparsa di FM in un gruppo di donne con dolore diffuso (Forseth, Gran, & Husby, 1997): sono risultati predittori una durata del dolore superiore ai 6 mesi; la presenza di dolore assiale e nella parte distale 6 degli arti superiori; la presenza di sintomi tra cui disturbi del sonno, metereolabilità, la cefalea cronica, colon irritabile, le parestesie ed una autoriferita depressione; non sono risultati fattori di rischio l’età attuale, l’età di esordio, il numero di tender points né le caratteristiche del dolore. Altri autori sottolineano la presenza di evidenti fattori di rischio genetici e nell’aggregazione familiare (Buskila, Sarzi-Puttini, & Ablin, 2007). Nel 2003 la Società Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) stimò che circa il 20% della popolazione mondiale era affetta da dolore cronico includendo cefalea cronica, dolore oncologico, post-chirurgico, post-traumatico e dolore muscolo-scheletrico, (Harstall & Ospina, 2003; Queiroz, 2013) nella cui categoria, malgrado la sua debole identità nosografica, si può far rientrare la FM (Mease et al., 2009). Molti studi internazionali hanno rilevato che nei pazienti con FM, sono spesso associate altri disturbi somatici funzionali (Schur et al., 2007), tra cui risultano altre condizioni muscolo-scheletriche come la condizione da fatica cronica, disturbi psicologici (depressione, ansia, attacchi di panico e disturbo post-traumatico da stress), disturbi gastrointestinali (colon irritabile), disturbi cardiovascolari, disturbi endocrinologici, emicranie, croniche o episodiche (Queiroz, 2013; Schur et al., 2007; Wolfe, Michaud, Li, & Katz, 2010) a artrite reumatoide (Weir et al., 2006). Eziologia Sebbene l’eziopatogenesi della FM sia ancora largamente sconosciuta (Wolfe et al., 1990), entrambi aspetti biologici e psicologici giocano un ruolo ugualmente importante (Kirsch & Bernardy, 2007). La centralità di aspetti psicopatologici implicati nella patologia è legata alle alte comorbidità di alcuni disturbi affettivi nella FM, tra i più comuni ansia e depressione (Weiβ, Winkelmann, & Duschek, 2013). Inoltre, c’è una grande variabilità nella manifestazione sintomatologica di tale patologia, da cui lo stesso nome “Sindrome Fibromialgica” (Wolfe et al., 2011): ci sono alcuni individui in cui la componente psicopatologica è meno rilevante rispetto alla sintomatologia fisica e altri in cui gli aspetti psicologici risultano essere a loro volta compromessi (Novo, Gonzalez, Peres, & Aguiar, 2017). La patogenesi della FM sembra associata ad una alterazione del sistema nocicettivo a livello del sistema nervoso centrale (Staud & Rodriguez, 2006; Stisi et al., 2008). Tuttavia la fisiopatologia della FM è multifattoriale: potrebbe riguardare la presenza di fattori psicologici predisponenti, una predisposizione genetica, con disfunzioni 7 neurotrasmettitoriali, neuroendocrine, disregolazioni Sistema Nervoso Autonomo e anormalità cerebrali funzionali (Giamberardino & Affiatati, 2010; Jay & Barkin, 2015). Tra le ipotesi più accreditate c’è quella di Van Houdenhove & Egle, che sostegono che l’interazione tra una predisposizione genetica dell’individuo, la personalità, eventi ambientali stressanti ed esperienze traumatiche infantili portano allo svluppo di una sensibilizzazione del SC (Van Houdenhove & Egle, 2004). La conseguenza della sindrome da Sensibilizzazione Centrale (SC) è un mantenimento cronico della sindrome dolorosa con conseguenti anomalie neuroendocrine e amplificazioni del nervoso autonomo (Stisi et al., 2008). Disfunzioni psicofisiologiche Fattori ambientali e psicologici Un importante elemento che determina l’origine e il mantenimento della FM è costituito da fattori ambientali e psicologici predisponenti (Stisi et al., 2008): esperienze ambientali negative, come abuso fisico ed emotivo specialmente in età infantile, possono concorrere allo sviluppo e al mantenimento della FM (Alciati, 2010). Già ad un livello precoce, nel feto tali esperienze possono influenzare lo sviluppo del Sistema Nervoso Autonomo (SNA) e dell’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene (HPA), che rappresentano i componenti principali della risposta neuroendocrina agli stressors (Kajantie, 2006). La reazione allo stress provocato dal trauma in età infantile avviene in un momento delicato dello sviluppo cerebrale delle sinapsi provocando un’alterazione morfologica del SNC (Crofford, 2007). Questo disfunzionamento costituirebbe il fattore principale che predispone in età adulta a malattie stress-correlate (Stisi et al., 2008). Altri agenti scatenanti lo sviluppo della FM potrebbero essere infezioni batteriche o virali (Ablin, Shoenfeld, & Buskila, 2006), sonno disturbato che acuisce la sintomatologia dolorosa, altre condizioni croniche di dolore presenti in altre sindromi da SC possono provocare la comorbidità con la FM (Stisi et al., 2008). Fattori genetici I fattori genetici possono avere un ruolo nella patogenesi della FM (Buskila & Sarzi- Puttini, 2006), spiegando una quota significativa della variabilità nella percezione del dolore e nello sviluppo del dolore cronico (Buskila et al., 2010). Non sembra casuale l’incremento d’incidenza della FM tra i membri della stessa famiglia: molti studi 10 Wingenfeld et al., 2007), in assenza di anomalie strutturali d’organo (Tanriverdi, Karaca, Unluhizarci, & Kelestimur., 2007). Rispetto ai soggetti sani presentano una ridotta produzione di cortisolo da parte della ghiandola surrenalica durante le 24h, anormalità del ritmo circadiano della produzione di cortisolo e una risposta cortisolemica ridotta in risposta all’ormone CRH prodotto dall’ipotalamo, stimolante la secrezione di un eccessivo livello di corticotropina (ACTH) da parte della ghiandola ipofisaria (Giamberardino & Affaitati, 2010). Bassi livelli di cortisolo determinano una scarsa risposta di tali pazienti allo stress, provocando reazioni immunitarie inefficaci e anormali a stressors ambientali quali traumi e infezioni (Wingenfeld et al., 2007). A livello sintomatologico ne deriva un incremento di fatica, depressione, disturbi del sonno e di dolore, quest’ultimo potenzialmente riducibile attraverso una corretta attivazione dell’AIIS in seguito alla produzione dell’oppioide beta-endorfina, ACTH e cortisolo con conseguenze antinfiammatorie; tuttavia nella FM non è efficacemente ridotto da terapie con corticosteroidi (Abeles, Pillinger, Solitar, & Abeles, 2007; Giamberardino & Affaiati, 2010). Diversi studi hanno riscontrato l’impatto di gravi traumi infantili tra cui abusi fisici e sessuali come fattore promuovente tale disregolazione neuroendocrina tra pazienti con FM (Weissbecker, Floyd, Dedert, Salmon, & Sephton, 2006). Alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, IIT (o HPT Hypothalamic-Pituitary- Thyroid): nei pazienti con FM, l’ormone TRH prodotto dall’ipotalamo, stimola una secrezione ridotta della tireotropina da parte dell’ipofisi; si ritiene che questa disfunzione tiroidea sia secondaria all’insufficiente risposta allo stress in tali pazienti (Stisi et al., 2008); Inoltre diverse alterazioni neurochimiche presenti nei pazienti con FM che sembrerebbero avere un ruolo nella funzione e nel controllo di tale AIIS, anche se non si è ancora in grado di spiegarne il nesso (Giamberardino & Affaitati, 2010). Tra le più importanti alterazioni: deficit noradrenalina (Panerai et al., 2002), deficit del metabolismo di serotonina, bassa concentrazione di beta endorfine nelle cellule mononucleate del sangue periferico, bassi livelli di dopamina (Holman & Myers, 2005), alti livelli di sostanza P (Russell, 2002) e di un suo promotore della sintesi NGF nel liquor (Jay & Barkin, 2015). Disregolazioni Sistema Nervoso Autonomo (SNA) Nelle pazienti con FM si è riscontrata un’attività simpatica eccessiva cioè un’iperattivazione autonomica basale con aumento del tono simpatico (iperattività) e 11 diminuzione del tono parasimpatico (iporeattività), manifestata con aumento della frequenza cardiaca (tachicardia) (Martinez-Lavin, 2007; Martinez-Lavin & Vargas, 2009). La disautonomia nella FM è caratterizzata sostanzialmente da un SN simpatico persistentemente iperattivo in condizioni basali, che provoca disturbi del sonno (numerosi risvegli), ansia, dolore e astenia, ma ipoattivo in condizioni acute, con una conseguente risposta ridotta nei confronti dello stress, infezioni, che possono provocare tachicardia e vertigini e sincopi posizionali (Light et al, 2009; Solano et al, 2009; Vincent et al., 2014). Nel confronto con l’Artrite Reumatoide, la cui sintomatologia è sovrapponibile a quella FM, uno studio recente evidenzia differenti mediatori dell’attività autonomica tra le due patologie, con effetti contrapposti: mentre nell’AR le elevate interleuchine IL-1β producono un dolore infiammatorio, riducendo l’attività del sistema parasimpatico, nella FM avviene un incremento dell’attività simpatica con una maggiore concentrazione nel fluido cerebrospinale delle interleuchine IL-8 causa del dolore disfunzionale non infiammatorio (Kosek et al., 2015). Anormalità cerebrali funzionali Molteplici studi di neuroimaging in pazienti con FM hanno evidenziato l’alterazione della regolazione a livello centrale del dolore (Gracely & Azteni, 2010). Rispetto a questo, attraverso la Tomografia Computerizzata ad Emissione di Fotoni (SPECT), le aree che risultavano a riposo ipoperfuse sono state in molteplici studi il talamo e il nucleo caudato, mentre attraverso la Risonanza Magnetica funzionale (RMf), lo studio di Gracely e collaboratori, ha dimostrato un’iperattivazione della corteccia cingolata anteriore e posteriore, confermando l’ipotesi della SC (Gracely, Petzke, Wolf, & Clauw, 2002). In uno studio di Cook e colleghi invece, a parità di stimolazione dolorosa, è stato evidenziato tramite RMf che i pazienti con FM avevano un’attivazione della corteccia insulare significativamente maggiore rispetto al gruppo di controllo (Cook et al., 2004). Questo dato è interpretabile sulla base della teoria di Damasio, che ha recentemente scoperto che la corteccia insulare, oltre a svolgere un ruolo di sopravvivenza, poiché responsabile della sensazione viscerale e della funzionalità autonomica, è composta da marcatori somatici e ha ipotizzato la presenza di mappe degli stati corporei associati alle nostre esperienze emotive. La corteccia insulare è quindi il luogo in cui si originano sentimenti consci e embodied cognition, o pensiero conscio razionale, che non può essere separato dalle emozioni (Damasio, Damasio, & Tranel, 2013). L’insula quindi fornisce il contesto 12 emotivo adatto per una determinata esperienza sensoriale: integra le informazioni sullo stato del corpo, rendendole disponibili per una più alta elaborazione cognitiva e dei processi emotivi; riceve input sensoriali omeostatici dal talamo e invia informazioni alle strutture del sistema limbico, tra cui l’amigdala e la corteccia orbitofrontale. È stato dimostrato che l’insula è associata ai processi di dolore e le emozioni di base come la rabbia, la paura, disgusto, gioia e tristezza, che possono essere combinate con sentimenti nocicettivi di dolore e questo può modificare il contesto dell’esperienza del dolore. La parte anteriore dell’insula è considerata come parte del sistema limbico perché profondamente coinvolta in desideri coscienti e la parte anteriore nell’emisfero destro, può consentire la decodifica più precisa degli stati corporei (Damasio et al., 2013; Jay & Barkin, 2015). A livello morfologico invece, attraverso l’esame di Risonanza Magnetica Cerebrale con la tecnica della Voxel-Based-Morphomery (MR-VBM) è emerso che i soggetti con FM hanno una diminuzione della sostanza grigia in associazione all’età di 3.3 volte superiore rispetto ai soggetti sani, nei loci della corteccia cingolata, insulare, frontale, del giro ippocampale e del talamo (Alciati, 2010). Tale alterazione è stata associata a disturbi cognitivi come il catastrofismo, correlato a un’intensa attività di aree cerebrali del sistema limbico coinvolte nell’elaborazione emotiva (claustrum e amigdala) e incapacità di riduzione del dolore, per un’eccessiva attenzione a tale sensazione, associate a iperattivazione della corteccia congolata anteriore dorsale e prefrontale dorso- laterale (Apkarian et al., 2004). Trattamenti Approccio multimodale e trattamento integrato Un approccio multimodale alla cura della FM è, ad oggi, la soluzione più appropriata e rispettosa dell’individualità di ogni paziente, proprio per l’eterogenietà della sintomatologia (Sarzi-Puttini, Cazzola, & Azteni, 2010). Un efficace approccio terapeutico comprende molteplici modalità e strumenti di cura: trattamento farmacologico (analgesici, antidepressivi, antiepilettici etc.) e non-farmacologico, tra cui l’esercizio fisico e terapie complementari oltre che terapia psicologica (terapie cognitivo- comportamentali e psicodinamiche) (Arnold & Clauw, 2010; Casale et al., 2008; Kasper, 2009; Thieme, Mathys, & Turk, 2017). Trattamenti medici 15 trattamento della FM e altre sindromi funzionali: in modo particolare è risultata efficace con pazienti con elevati livelli di stress, alto livello di invalidità della patologia nella vita quotidiana e strategie di coping disfunzionali (Häuser et al., 2009). L’ipotesi di fondo per le MUS, è che i pensieri ed i comportamenti disfunzionali siano in grado di alterare la normale percezione anche dolorifica del soggetto (Porcelli, 2009). La CBT applicata alla FM infatti si propone di modificare le distorsioni cognitive del paziente prodotte in seguito alla cronicità dell’esperienza dolorosa, per mezzo dell’interpretazione dei meccanismi psicologici cognitivi ed emotivi sottesi, per migliorare la sintomatologia (Thieme, Gracely, Bazzichi, & Servissi, 2010; Taylor et al., 2016a), promuovendo l’accettazione della patologia (Minelli, & Vaona, 2012). Recenti studi evidenziano come risultati maggiori si otterrebbero soprattutto sul catastrofismo (Ólason et al., 2018) cioè uno stile cognitivo negativo, frequentemente associato alla FM (Nelson & Tucker, 2006) caratterizzato dalla tendenza ad esagerare l’intensità del dolore ed avere pensieri ruminativi su di esso (Sullivan, Rodgers, & Kirsch, 2001). Agendo sul catastrofismo la CBT riduce la sintomatologia depressiva e modifica il comportamento dei soggetti rendendolo più adattivo, andando così in ultimo - ed indirettamente - a ridurre l’intensità del dolore (Rodero, Garcia Campayo, Casanueva Fernández, & Sobradiel, 2008). La CBT mira a ridurre l’iperalgesia, componente chiave della FM, attivando maggiormente la corteccia frontale, che conduce in ultimo ad un’interpretazione migliore degli stimoli dolorifici (Jensen et al., 2012). Tra i punti di forza della CBT per il trattamento dei pazienti con FMS ed elevati livelli di catastrofismo e/o depressione si sono riscontrati la breve durata (dagli 8 ai 16 incontri) (Lami et al., 2018) e la possibilità di condurre la terapia anche in gruppo (van Koulil et al., 2007), nonché i risultati ottenibili in breve tempo (Ólason et al., 2018). Tuttavia, anche se i primi risultati potrebbero essere ottenibili già tra le 2-4 sedute (Lazaridou et al., 2017), un limite rilevabile in tale approccio è che nel trattamento non vengono presi in considerazione gli aspetti profondi dell’elaborazione affettiva e gli aspetti evolutivi antichi che possono condurre ad “alterazione dei sistemi fisiologici e/o dei comportamenti diretti ad affrontare i problemi di salute” (Porcelli, 2009, p. 273). D’altra parte, le difficoltà emotive e cognitive dei pazienti con FM hanno reso indispensabile un tipo di trattamento basato sulle emozioni (Rhudy et al., 2013). L’Acceptance and Committent Therapy (ACT) rappresenta un modello di terza generazione della CBT (Montero-Marìn et al., 2018), più incentrata sulla mentalizzazione del paziente e sull’accettazione consapevole della malattia (Kohl, Rief, & Glombiewski, 16 2014; Luciano, Barrada, Aguado, Osma, & Garcìa-Campayo, 2014). L’accettazione delle esperienze di vita del soggetto fibromialgico è il focus dell’intervento e conduce all’accettazione dell’emozionalità sia negativa sia positiva (Jensen et al., 2012). Gli interventi di ACT, si propongono di accrescere il riconoscimento delle emozioni negative, spostando il focus dal piano somatico a quello psichico (Zeng et al., 2016) ed anche quelle positive, considerate fattore protettivo nella FM (Davis et al., 2004), conducendo in ultimo ad una migliore regolazione emozionale e all’innalzamento delle soglie di percezione del dolore (Davis & Zautra, 2013; Zeng et al., 2016). Inoltre l’ACT permette di lavorare sia sull’evitamento come strategia di regolazione emozionale disfunzionale (van Middendorp et al., 2008) in grado di aumentare la sintomatologia dolorifica, ma anche depressiva o ansiosa (Weiβ et al., 2013), sia sull’accettazione e l’espressione delle emozioni e può condurre alla remissione dei sintomi dolorifici, psicopatologici (Wolitzky-Taylor, Arch, Rosenfield, & Craske, 2012), migliorando la qualità della vita dei soggetti (Luciano et al., 2014). Il focus dell’ACT nel trattamento della FM, è la modifica del funzionamento mentale del soggetto, attraverso l’uso di tecniche atte ad aumentare la flessibilità mentale (Luciano et al., 2017), lasciando in secondo piano le tecniche per la remissione della sintomatologia (Wicksell et al., 2013). La psicoterapia psicodinamica Recenti studi hanno messo in evidenza l’efficacia della psicoterapia psicodinamica nel trattamento della FM (Costa, Melina, Sansalone, & Ianacchero, 2015; Sattel et al., 2012; Scheidt et al., 2013). Questa tipologia di trattamento si concentra prevalentemente sulla storia di vita del paziente e/o sulle problematiche interpersonali del presente (Heidari, Lewis, Allahyari, Azadfallah, & Bertino, 2013). La psicoterapia psicodinamica breve è la forma di trattamento dinamico più utilizzato nella gestione della FM (Sattel et al., 2012): ha una durata complessiva che non supera le 24 sedute o i 6 mesi, e si caratterizza per il ruolo particolarmente attivo del terapeuta e per avere un focus specifico d’indagine dato il limitato tempo disponibile (Gabbard, 2010). Altri tipi di trattamenti psicodinamici brevi per la FM sono tendenzialmente della durata di 10-16 sedute (Lumley et al., 2008; Sattel et al., 2012) e ciò che caratterizza tale approccio è il focus sulle emozioni nell’esperienza interpersonale condivisa (Fonagy, 2015). La teoria interpersonale suggerisce, in linea con la teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1982), che il bambino impara a gestire le relazioni interpersonali e le relative ansie, in base al tipo di relazioni (positive o negative) di cui fa esperienza con altri significativi (Bernier & Dozier, 2002). Se tali prime relazioni non sono soddisfacenti, per contenere l’ansia e mantenere l’autostima il soggetto può 17 sviluppare dei meccanismi di regolazione emozionale disfunzionali (Williams, Howlett, Levita, & Reuber, 2018). Quello che si offre attraverso la psicoterapia psicodinamica breve ad orientamento interpersonale, è una relazione mirata a correggere la disregolazione emozionale a causa di esperienze traumatiche e/o di neglect del paziente (Bernier & Dozier, 2002), enfatizzando il ruolo del funzionamento mentale livello interpersonale e intrapsichico (Abbass, Kisely, & Kroenke, 2009). Nonostante la centralità delle problematiche emotivo-affettive sia ampiamente riconosciuta in questa popolazione, sono pochi gli studi condotti per valutare i benefici della psicoterapia psicodinamica (Lumley et al., 2008; Sattel et al., 2012). Una meta-analisi condotta da Abbass, Kisely, & Kroenke (2009) è giunta alla conclusione che più del 90% delle terapie dinamiche brevi apportano almeno un miglioramento nei pazienti con disturbi somatici, non solo sui livelli di distress, ma anche sull’aspetto legato alla somatizzazione, con una diminuzione significativa della terapia antidepressiva e con un miglioramento della qualità di vita in relazione al funzionamento fisico al follow-up avvenuto a 9 mesi (Sattel et al., 2012). Un altro studio di Scheidt e colleghi, effettuato su pazienti donne con fibromialgia e comorbidità psichiatrica (disturbi d’ansia e depressivi) ha rilevato un concomitante grado d’efficacia del trattamento di psicoterapia psicodinamica individuale breve (25 sedute), rispetto al trattamento psicofarmacologico al follow up avvenuto 12 mesi dopo (Scheidt et al., 2013). Un equivalente grado di miglioramento è stato evidenziato in termini di qualità di vita, minor impatto della patologia a livello sintomatologico e minor tasso di ansia e depressione (Scheidt et al., 2013). Rispetto all’aspetto ansioso-depressivo, presente in gran parte delle pazienti con FM, lo studio di Laaksonen e colleghi (Laaksonen, Knekt, Sares-Jäske, & Lindfors, 2013) ha valutato l’efficacia della psicoterapia psicodinamica breve (STPP) paragonata alla terapia orientata al compito, non evidenziando alcuna differenza tra i due tipi di terapia, entrambi risultati efficaci anche al follow-up avvenuto a 3 anni dal termine del trattamento (Laaksonen et al., 2013). Una buona riuscita della psicoterapia psicodinamica (interpersonale) breve applicata ai disturbi somatizzanti è risultata efficace anche con pazienti alessitimici (Probst, Sattel, Henningsen, Gündel, & Lahmann, 2017a) e l’aspetto maggiormente favorevole sulla prognosi è stato individuato nell’alleanza terapeutica (Probst, Sattel, Henningsen, Gündel, & Lahmann, 2017b). Aiutare dunque il paziente fibromialgico con elevati tratti alessitimici, a riconoscere le emozioni e ad esprimerle verbalmente, può condurre a 20 significativamente più eventi negativi, durante l’infanzia e l’adolescenza, (47.5%) rispetto al gruppo di controllo (23.7%), di cui i più comuni sono risultati conflitti con i genitori, ma essere vittima di abusi emotivi è risultato discriminante nel campione di FM (Anderberg et al., 2000). Prima dell’insorgenza della FM, l’80% delle pazienti aveva vissuto almeno un’esperienza traumatica significativa (Anderberg et al., 2000); tra le più comuni e causa stessa delle riacutizzazioni, sono risultate esperienze di vita psicosociali, oltre che traumi fisici (Anderberg et al., 2000; Näring, van Lankveld, & Geenen, 2007; Oliver & Silman, 2009; Wilson, Robinson, Swanson, & Turk, 2008). Ansia Sono molti gli studi che rilevano una comorbidità psichiatrica con i disturbi di Asse I del DSM-IV-TR (Anderberg et al., 2000; Arnold et al., 2006; Gormsen, Rosenberg, Bach & Jensen, 2010; Uguz et al., 2010) quali Disturbi d’Ansia (DA), con un tasso di comorbidità compreso tra il 13 e il 63.8% (González et al., 2010; Penacoba Puente et al., 2013; Taymur et al., 2015). Rispetto alla popolazione sana, pazienti con FM hanno una probabilità fino a 5 volte maggiore di sviluppare, in comorbilità, disturbi d’ansia, e venti 20 volte superiore per quanto riguarda il disturbo d’ansia generalizzato (DAG) (Raphael, Janal, Nayak, Schwartz, & Gallagher, 2006). Un altro disturbo frequentemente associato con la FM è il disturbo di panico e la fobia specifica, presente nel con un tasso tra il 9-27% (Epstein et al., 1999; Malt, Berle, Olafsson, Lund, & Ursin, 2000; Uguz et al., 2010). In alcuni casi, i livelli di ansia correlano direttamente con la percezione del dolore, per cui più elevati essi risultano, maggiore sarà il dolore percepito (Aparicio, Ortega, Carbonell-Baeza, Cuevas, Delgado-Fernández, 2013). Come ipotesi esplicativa, alla base della relazione tra la FM ed i disturbi d’ansia può essere ipotizzato che l’ansia è in grado di modificare la percezione del dolore (Vlaeyen & Linton, 2000). Essa conduce all’ipervigilanza ed al catastrofismo (McWilliams & Asmundson, 2007) in grado di alterare la percezione degli stimoli e di aumentare in conseguenza l’intensità del dolore (Leeuw et al., 2006). In accordo, uno studio ha indagato il temperamento dei pazienti con FM, dimostrando che la maggior parte di essi possiede un temperamento ansioso, ovvero sono soggetti che rispondono con elevata ansia agli stressors, hanno una tendenza a sperimentare pensieri 21 negativi e anticipano possibili frustrazioni ed eventi negativi (Garcia-Fontanals et al., 2016; Naylor, Boag, & Gustin, 2017). L’ansia ha un impatto forte sulla qualità di vita di tali pazienti: la diagnosi di un disturbo ansioso in atto al momento della valutazione correla significativamente con l’abbassamento della qualità di vita (QdV) in ogni dominio esaminato (Epstein et al., 1999; Jensen et al., 2010): pazienti con FM in comorbidità con disturbi ansiosi hanno mostrato più alto numero di sintomi fisici, più alti livelli d’intensità e di interferenza del dolore e comportamenti apprensivi verso gli altri significativi associati a comportamenti di evitamento (Thieme, Turk, & Flor, 2004). Infine, la FM è di frequente associata al disturbo post traumatico da stress (PTSD) con una percentuale che va dal 15 al 56% (Häuser et al., 2013). Il PTSD secondo il DSM-5 (APA, 2013) ha una più specifica collocazione come conseguenza di stress e traumi (Black & Grant, 2015). La causalità della relazione sarebbe più chiara rispetto agli altri disturbi: il 66% del campione ha sviluppato la FM solo successivamente al PTSD, indicando così che traumi e PTSD, possono essere dei fattori di rischio per lo sviluppo della FM (Häuser et al., 2013). In realtà i due disturbi condividerebbero proprio fattori di rischio comuni, quali i traumi psicologici e fisici (Raphael et al., 2006). Depressione I soggetti affetti da FM sviluppano Disturbi dell’umore (DSM-IV-R) con un tasso tra il 20 e l’80% (Gonzalez, Elorza, & Failde, 2010; Taymur et al., 2015). Diversi studi epidemiologici hanno posto la FM come la seconda condizione medica generale più comune associata a Disturbo Depressivo Maggiore (dos Santos et al., 2012; Patten, Beck, Kassam, & Williams, 2005) e rispetto alla popolazione generale hanno una maggiore probabilità di svilupparlo in comorbilità (3% vs 12%) (Arnold et al., 2006; Berger, Dukes, Martin, Edelsberg, & Oster, 2007). La sintomatologia depressiva comprende l’umore depresso e/o lamentosità, diminuzione notevole nello svolgere attività piacevoli, sonno disregolato, agitazione/rallentamento nella motricità e maggior faticabilità e problemi nell’autostima (APA, 2013). La FM si caratterizza per aspetti simili, quali fatica e disturbi del sonno (Wolfe et al., 1990), umore negativo (Montoro & del Paso, 2015), nonché problematiche a livello di elaborazione 22 cognitiva (coping e problem-solving) della propria condizione e del dolore (Flink et al., 2012; MacDonald, Linton, & Jansson-Fröjmark, 2008). È plausibile l’ipotesi di una vulnerabilità genetica ed ereditabile alla depressione, valutata in studi condotti su interi gruppi familiari, che potrebbe condurre all’esordio sia della depressione sia allo sviluppo della FM (Hudson, Arnold, Keck, Auchenbach & Pope, 2004). Tuttavia dato che non tutti i pazienti con FM la sviluppano, non può essere considerata come necessaria conseguenza dell’esordio della FM (Rose et al., 2009). Seppur la sintomatologia depressiva non ha sempre una influenza diretta sulla percezione del dolore (Gieske et al., 2005; Jensen et al., 2010) è noto come i sintomi depressivi riducono fortemente la qualità della vita dei soggetti con FM (Aparicio et al., 2013). Rispetto alla relazione tra depressione e dolore, lo studio di Aparicio e colleghi su 127 donne con Fibromialgia evidenzia come le sintomatologie ansiosa e depressiva fosse correlata alla percezione del dolore in relazione alla qualità di vita percepita (SF-36) e non in relazione alla dolorabilità all’esame dei teneder points. L’interpretazione tale dato è che effettivamente l’umore negativo influenzi la percezione del dolore legato a una minore qualità di vita nella FM (Aparicio et al., 2013). Tra le ipotesi alla base di questa elevata comorbilità ci si pone la questione della FM come causa del disturbo depressione successivo, oppure come forma attenuata di quest’ultimo, con l’ipotesi di considerarli sovrapponibili (Aguglia, Salvi, Maina, Rossetto, & Aguglia, 2011). La prima ipotesi considerata è che la depressione evolva da una situazione di dolore cronico (Aguglia et al., 2011): tuttavia tale ipotesi è stata smentita da diversi studi che consideravano i pazienti con FM più sofferenti di depressione maggiore rispetto a quelli con dolore neuropatico (Gormsen et al., 2010; Aguglia et al., 2011). Un’altra ipotesi vede la FM come una depressione sottosoglia: tale teoria sarebbe stata smentita da alcune evidenze cliniche che dimostrerebbero che non tutte le pazienti con FM hanno sintomi depressivi durante la loro vita (Aguglia et al., 2011; Gonzalez et al., 2015; Thieme et al., 2015). Infine, una terza teoria vede la FM e la depressione come sindromi che si sovrappongono per una quota di meccanismi patofisiologici, che producono una sintomatologia psicopatologica che li include nei disturbi dello spettro affettivo (Aguglia et al., 2011; Hudson et al., 2004; Raison, 2009; Thieme et al., 2015). 25 Un’ipotesi suggerita dall’analisi della letteratura, sostiene che affetti negativi, quali la depressione, l’ansia e la rabbia autodiretta (Castelli et al., 2013; Burns, Bruehl, & Chont, 2014), mediano la relazione tra FM e alessitimia (Steinweg et al., 2011) e in generale il rapporto tra l’alessitimia e il dolore (Shibata et al., 2014; Saariaho, Saariaho, Mattila, Karukivi, & Joukamaa, 2013); mentre altri studi sostengono che il deficit nella identificazione e descrizione delle emozioni abbia un effetto di mediazione nella relazione tra l’esperienza del dolore e l’intensità affettiva (van Middendorp et al., 2008). Al di là di questa complessa e bidirezionale relazione, studi di neuroimaging hanno dimostrato che individui che provano dolore cronico hanno un’iperattività a livello della corteccia anteriore cingolata pregenuale, della corteccia dell’insula destra e mesencefalo, ma allo stesso tempo un’ipoattività della corteccia prefrontale (Koponen et al., 2005). Il disfunzionamento del sistema di regolazione emotiva può causare un’ipersensibilità a sensazioni corporee dolorose prolungandole (pain catastrophizing) e dolore legato a reazioni affettive negative come la tristezza prolungata (Kano & Fukudo, 2013), predisponendo anche a risposte immunitarie alterate (Honkalampi et al., 2011), per l’iperproduzione di glucocorticoidi che incrementa il rischio di disturbi collegati allo stress (Guilbaud, Corcos, Hjalmarsson, Loas, & Jeammet, 2003). A conferma di tali ipotesi, nella FM è stata rilevata l’iperattivazione sia della corteccia dell’insula che dell’amigdala (Burgmer et al., 2010; Gracely & Ambrose, 2011), strutture neurali appartenenti al network riguardante l’esperienza del dolore, coinvolte nella trasmissione della dimensione affettiva della percezione dolorosa (Apkarian, Bushnell, Treede, & Zubieta, 2005). Un modello che permette di spiegare l’alessitimia integrando la prospettiva psicoanalitica e delle scienze cognitive, è la teoria del codice multiplo (Bucci, 1999): l’aspetto fisiologico (emotions) dell’affetto per essere trasformato in quello psicologico (feelings), segue un processo di elaborazione simbolica o di mentalizzazione dell’emozione. L’incapacità di mentalizzare l’emozione sarebbe dovuta all’incapacità di integrare rappresentazioni interne su di sé e sulle relazioni in schemi emotivi, per la mancanza di connessioni tra l’attivazione sub simbolica (emotiva) e l’elaborazione verbale, per arresto dello sviluppo (deficit), o per disconnessione (trauma) (Bucci, 1999). Coerente con tale concettualizzazione della dissociazione indotta da trauma all'interno e tra gli elementi simbolici e subsimbolici degli schemi emotivi, i clinici considerano il funzionamento cognitivo coartato e i sintomi somatici o comportamentali come una 26 forma di repressione primitiva, che ha a che fare con l’ipotesi del deficit evolutivo nel funzionamento affettivo e identitario del soggetto (Taylor et al., 2016b). Le dissociazioni che avvengono per assenza di connessioni mai formate, a causa di traumi precoci o di deficit durante il periodo dello sviluppo mentale (Lumley, Neely, & Burger, 2007), sono una dissociazione senza rimozione. In questi casi le emozioni sono principalmente vissute come sensazioni somatiche, acting disregolati, percezioni indifferenziate, poiché sono collegate in maniera debole alla modalità simbolica verbale e non verbale. Riguardo l’impatto del trauma sullo sviluppo degli affetti e sulla regressione affettiva, il grado di alessitimia in ogni persona è probabilmente in grado di riflettere l'entità del trauma relazionale cumulativo vissuto (Taylor et al., 2016b). I livelli più lievi di alessitimia probabilmente riflettono le carenze nella sintonizzazione dei genitori e nella capacità di reagire agli affetti del bambino; un alto grado di alessitimia può riflettere traumi più catastrofici come il neglect emotivo genitoriale, l'abuso fisico o sessuale e l'esposizione ad altri traumi. Il concetto freudiano di repressione primaria è ripreso per descrivere ad oggi una risposta adattativa che impedisce a tali emozioni di essere rappresentate, mentre continuano ad esercitare un effetto indiretto sul corpo e sulla vita mentale della persona (Taylor et al., 2016b). A partire da questa ipotesi, l’alessitimia è stata anche definita come dissociazione psicoforme (Näring et al., 2007), cioè una frammentazione di funzioni che sono di solito integrate, come la coscienza, memoria, identità o la percezione dell’ambiente poiché la sintomatologia è principalmente inerente alla sfera psichica, che porta ad interiorizzare un funzionamento strutturato su stati di personalità dissociativi o un’identità dissociativa (Sar & Öztürk, 2007). Sono diversi gli studi che evidenziano la presenza di maggiori esperienze infantili traumatiche nel gruppo di pazienti con FM tra cui l’abuso emotivo, fisico o sessuale (Häuser, Kosseva, Uceyler, Klose, P., & Sommer, 2011; Kilic et al., 2014) di aggressione, negligenza, presenza di genitori alcolizzati, di traumi fisici e di vari eventi catastrofici nei pazienti con FM (Jackson et al., 2015; Paras et al., 2009; Van Houdenhove et al., 2001). Alcuni di questi hanno riportato risultati controversi sulla relazione tra eventi di vita traumatici e comorbidità fisiche e psicopatologiche nei pazienti con FM. Mentre lo studio di Gonzalez non evidenzia differenze tra numero di traumi esperiti e gravità della psicopatologia e il livello di qualità di vita (Gonzalez et al., 2015), lo studio di Jackson e 27 colleghi dimostra che i pazienti che hanno una storia di esperienze infantili avverse o disturbi da stress post-traumatico o che sono vittime di violenza da partner hanno spesso più disturbi somatici, con il rischio di aumento della prevalenza di entrambe le malattie funzionali e croniche (Jackson et al., 2015). La maggior parte degli studi conferma l'ipotesi che le vittime di abusi sessuali non solo sperimentino un aumento della morbilità psicologica, ma anche dei disturbi della somatizzazione (Filippon, Bassani, Aguiar, & Ceitlin, 2013). Tra gli eventi di vita traumatici occorsi nella vita di pazienti con sindromi somatiche funzionali, l'incidenza dell'abuso sessuale è significativamente più elevato rispetto ai controlli nel caso della FM, in particolare delle vittime di violenza sessuale specialmente durante l'infanzia (Manu, 2004; Albrecht & Rice, 2016). Nevroticismo Per Nevroticismo (N) si intende la tendenza dei soggetti a sperimentare soprattutto emozioni negative quali tristezza, ansia e rabbia (Bono & Vey, 2007) e disturbi a livello somatico (Raselli & Broderick, 2007). È una delle cinque dimensioni normative di personalità e misurate con diversi strumenti tra cui il NEO Personality Inventory (Costa & McCrae, 1992) e l’MMPI-2 che lo valuta in una scala psicopatologica della personalità. In un recente studio di Gonzalez, Novo, Peres, & Baptista (2019) è emerso che sebbene il valore medio non sia clinicamente significativo, quando vengono considerate le percentuali rispetto ai soggetti con AR, circa la metà dei soggetti con FM posside il tratto. Seppur la relazione di causalità sia ancora incerta (Montoro & del Paso, 2015), l’N è considerato il tratto di personalità tra i più coinvolti nello sviluppo e/o mantenimento delle patologie muscoloscheletriche, in particolare per la FM (Netter & Hennig, 1998). Netter & Hennig (1998) asseriscono che tale tratto generi elevata ansia, depressione e disregolazione emotiva e che questi processi conducano successivamente a modificazioni fisiologiche, quali alterazioni della frequenza cardiaca o del ritmo sonno-veglia, nonché ipersensibilità agli stimoli, elementi costituenti la FM. A conferma di tale ipotesi, una ricerca di Malt, Olafsson, Lund & Ursin (2002) ha evidenziato come i livelli di N siano correlati alla funzionalità o disfunzionalità dell’asse HPA nella FM. Un’ipotesi alternativa suggerisce che il N eserciti un’influenza sulla patologia fisica preesistente nel soggetto, tale per cui la percezione del dolore fisico risulti aggravata e venga attivato un circolo vizioso di emozioni ed esperienze negative che esacerba il dolore (Vassend, Røysamb, & Nielsen, 2012). Infine, una terza possibilità è che vi sia un’ulteriore 30 BIBLIOGRAFIA: Abbass, A., Kisely, S., & Kroenke, K. (2009). Short-term psychodynamic psychotherapy for somatic disorders. Systematic review and meta-analysis of clinical trials. Psychotherapy and psychosomatics, 78(5), 265-74. Abeles, A. M., Pillinger, M. H., Solitar, B. M., & Abeles, M. (2007). Narrative review: the pathophysiology of fibromyalgia. Annals of Internal Medicine, 146(10), 726-734. Ablin, J. N., Shoenfeld, Y., & Buskila, D. 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