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Separazione consensuale e espropriazione forzata: struttura e critiche - Prof. Dalmotto, Appunti di Diritto Processuale Civile

Sulla separazione consensuale e l'espropriazione forzata, due procedure legali differenti che possono portare a situazioni di separazione contenziosa. La separazione consensuale può essere introdotta da una sola parte, mentre l'espropriazione forzata è volta al pagamento di somme di denaro e prevede una doppia fase: una fase di pignoramento e una successiva fase di assegnazione o vendita. Anche le garanzie legate all'espropriazione forzata e i casi in cui il bene da pignorare è presso terzi. Il testo include anche una discussione sulle opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 18/02/2019

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Scarica Separazione consensuale e espropriazione forzata: struttura e critiche - Prof. Dalmotto e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Diritto processuale civile II Libro 4 del codice: seppure sono regolati dei procedimenti speciali a cognizione piena, come la separazione personale dei coniugi. I procedimenti più significativi sono sommari in questo libro. Cosa intendiamo per cognizione sommario? Cognizione a cui perviene al giudice all’esito di un processo semplificato. Questa semplificazione può avvenire in due modi: procedimento per decreto ingiuntivo o per convalida di sfratto ovvero del procedimento sommario di cognizione dell’art. 702: costituisce insieme al processo del lavoro il modello di riferimento per tutti i procedimenti speciali extracodicistici. i procedimenti sommari possono essere tali in virtù della semplificazione della trattazione oppure perché prevedono una prima fase semplificata e una seconda fase a cognizione piena, ma solo eventuale. Ad esempio nel procedimento per decreto ingiuntivo la prima fase è inaudita altera parte e dunque molto semplice e la seconda è eventuale. Il procedimento è semplificato e speciale. La seconda fase è a cognizione piena, ma la prima è molto semplice. La seconda parte può esserci se la parte si oppone e dà impulso al processo. Il decreto ingiuntivo nella prima fase sommaria: es. creditore chiede l’ingiunzione del pagamento di un credito e il giudice ordina ciò. Il debitore può opporsi e così si instaura il processo a cognizione piena. Serve l’opposizione. La possibilità per il giudice di emanare l’ingiunzione di pagamento nella prima fase è subordinata all’esistenza di un diritto al pagamento di una somma determinata e serve che sussista una prova scritta: rendono credibile la fondatezza della richiesta. Ciò determina che il meccanismo del debitore che fa opposizione è possibile, ma non molto frequente. Il fatto di opporsi non è priva di pregiudizi per il debitore, per cui se non in rari casi non accade. È studiato in questo modo per non caricare tribunali. L’opposizione non rende ineseguibile il decreto ingiuntivo. Il decreto rimane efficace ed esecutivo se non in ipotesi particolari. Questo tipo di procedimento è il procedimento più utilizzato nella prassi. Permette una soddisfazione efficace dei crediti. I tempi sono molto rapidi. Fatte queste premesse addentriamoci nel discorso: presupposti per la fase monitoria: non tutte le posizioni soggettive permettono di intraprendere questo procedimento. Lo si può fare quando si vanta il diritto di un pagamento di una somma di danaro o cose fungibili o una cosa mobile determinata. Occorre il diritto al pagamento l’esigibilità di una determinata somma. La maggioranza dei decreti riguardano somme di denaro. Viene usata sopratutto dai fornitori di beni e servizi. Il campo si deve ulteriormente restringere tenendo conto della prova da porre a fondamento di tale diritto. i diritti devono essere attestati da una prova scritta. In ciò facendo scelta di un modello di tipo documentale. In altri ordinamenti si è preferito adottare un procedimento monitorio puro. Non è nemmeno necessaria la prova scritta è sufficiente che il ricorrente affermi l’esistenza del diritto. Il nostro legislatore ha scelto il procedimento documentale. Tutto questo salvo che per un piccolo settore per il quale il legislatore ha scelto un sistema puro: decreto ingiuntivo per i crediti riguardanti i soggetti che hanno prestato la loro opera in occasione di un processo, tutti coloro che esercitano una professione con una tariffa legalmente approvata. Per cui gli avvocati. Possono chiedere dunque il decreto ingiuntivo anche se non hanno una prova scritta. La categoria più importante è la seconda cioè i soggetti con una tariffa legalmente approvata: basta un’allegazione, la parola. Si richiede altresì che venga insieme a questa allegazione venga depositata la parcella liquidata dall’associazione professionale. Ma non prova niente. Naturalmente un professionista può seguire la via semplificata, ma possono anche seguire la via del procedimento documentale che è più garantista. Cosa intendiamo per prova scritta? In questo caso la prova scritta per permettere l’ingiunzione on necessariamente non corrisponde alla definizione di prova scritta che si ha per l’accoglimento di una domanda. In questo caso ha ia portata più ampia, ma per determinati documenti inidonei all’accoglimento della domanda lo sono per l’ottenimento di un decreto ingiuntivo. Le scritture contabili ad esempio hanno efficacia solo tra imprenditori. È ragionevole perché una scrittura è lo specchio dell’altra tra debitore e creditore per cui è normale che la prova sia considerata piena in questo caso si azzerano tra di loro. Le scritture contabili allo stesso modo sono inutilizzabili nei confronti di chi non è tenuto a tenere scritture contabili a sua volta. Ma per i decreti ingiuntivi a differenza della legge civile si possono usare come prova anche le scritture contabili nei confronti dei privati. Queso avvantaggia molto il ceto imprenditoriale e sfavorisce il privato. Il soggetto che ha ottenuto il decreto deve integrare la prova scritta insufficiente. Un ricorso basato su una fattura può portare all’emissione di un decreto ingiuntivo? Sì, ma dal punto di vita teorico non possiamo proprio classificare come prova scritta. Non rientra nelle ipotesi tassative, ma il giudice ritiene sia un documento evidentemente. Il giudice competente è per materia o per valore il tribunale o il giudice di pace. Bisogna vedere l’importo sopra i 5000 tribunale. La competenza per territorio segue i criteri civilistici classici. Ricorsi a giudice non competente: 2 orientamenti: il giudice avrebbe potuto rifiutare sulla base sulla base della sua incompetenza, il giudice secondo altra dottrina invece non poteva farlo, salvo opposizione in cui la parte ingiunta avrebbe dovuto sollevare la questione di competenza. Alla fine si è scelto di seguire il primo orientamento giurisprudenziale. Il giudice può rilevare d’ufficio la propria incompetenza e rifiutarsi di emanare il decreto ingiuntivo. Il procedimento: ricorso con un’istanza di ingiunzione al tribunale competente. Il ricorso deve contare i requisiti di tutti gli elementi art 125 nella cancelleria. Il giudice esamina il ricorso che sia supportata da documentazione idonea. Riscontrata la sussistenza dei requisiti formali il giudice emana il cosiddetto decreto ingiuntivo. È assunto dal giudice al di fuori del contraddittorio sennò si chiamerebbe ordinanza e non decreto. Si tratta quindi di una cosa tra il creditore e il giudice. In realtà abbiamo un’occasione aggiuntiva: no prove sufficienti. In questo caso il giudice chiederà l’integrazione. Il decreto è sospeso finché la documentazione non sarà integrata. Il fatto di poter accedere al decreto non significa che non si possa scegliere il più comune procedimento ordinario di cognizione. Ovviamente il procedimento speciale più veloce. Questa è la parte inaudita alter parte. Il creditore se ottiene il decreto deve notificato al debitore. deve essere adempiuto entro 60 giorni dall’emanazione del decreto. Se il termine non viene rispettato l’ efficacia del decreto diviene inefficace e bisogna rifare il tutto. Decreto ingiuntivo: deve essere notificato alla parte a pena di nullità. Notificato il decreto il debitore ha la scelta tra l’opposizione, che di per sé è rara, oppure adempiere. Il decreto può essere immediatamente esecutivo oppure potrà diventarlo al momento dell’opposizione. Ad ogni modo è immediatamente efficace. Termini per opporsi e modalità: si propone con la notifica al creditore ingiungete con l’atto di citazione in opposizione e viene dunque invitato a presentarsi di fronte al giudice. Questa citazione deve essere notificato nel termine di 40 giorni. Il termine può essere dilazionato fino a 60 giorni in casi particolari su disposizione del giudice, può essere anche ridotto a 10 giorni per gli stessi motivi. Se l’intimato risiede all’estero ha 10 giorni in più o 10 in meno. Se parliamo di paesi extraeuropei abbiamo ulteriori 10 giorni in più. Un tempo era vietata la notificazione dei decreti ingiuntivi all’estero, ma poi il legislatore ha modificato la relativa disposizione: art. 633. Ora questo divieto è venuto meno. Se il debitore non fa nulla nei termini il decreto diventa irrevocabile, è come se fosse passato in giudicato e il debitore non può esperire altri rimedi. Si disquisisce di questa comparazione tra decreto non opposto e l’efficacia della sentenza passata in giudicato. Però dal punto di vista pratico rimane irrevocabile. Quando si fa opposizione al decreto a chi va notificata? Al creditore, ma a lui personalmente o al suo difensore? Al difensore se ha eletto domicilio presso il suo rappresentante, come di solito avviene tra l’altro. L’opposizione è un atto pressoché simmetrico all’atto di citazione con cui si introduce il giudizio ordinario a cognizione, ne contiene tutti gli elementi contemplati nella parte generale. Questa assimilabilità formale non trova lo stesso riscontro dal punto di vista sostanziale: il contenuto sostanziale in realtà è più simile alla comparsa di risposta. Nel giudizio di opposizione le parti formali e sostanziali i soggetti sono invertiti. Perché il creditore che è sostanzialmente attore diviene convenuto e il debitore diviene il attore formalmente e convenuto sostanzialmente. Questo rovesciamento è una costruzione giurisprudenziale. Le regole processuali si applicano quindi secondo il criterio formale. Per cui ci sono anche delle conseguenze processuali. Se andiamo oltre l’applicazione delle regole processuali e guardiamo le regole di giudizio la situazione è differente: la parte attrice sostanziale continua ad avere l’onere della prova e viceversa ciò non grava sul convenuto sostanziale. Questo concetto si ricollega al fatto che il decreto ingiuntivo e il suo ottenimento non inverte l’onere della prova. Sorgono anche altre particolari articolazioni a questi principi generali: ad esempio circa la proposizione delle domande riconvenzionali: deve essere allegata all’atto di opposizione, nell’atto di citazione in questo caso può essere formulata diversamente dal processo ordinario. Il creditore potrà a sua volta nella comparsa di risposta allegare anch’egli una domanda riconv. arretrati. Insieme alla domanda di convalida di sfratto l’attore proprietario può chiedere al giudice l’intimazione al conduttore di pagare gli affitti scaduti, unitamente all’atto di citazione notificato e poi depositato in cancelleria. L’intimazione di pagamento è molto simile al decreto ingiuntivo nella pratica, perché è sempre inaudita altera parte. Se il conduttore compare, non salda gli affitti arretrati, ma si oppone si apre una fase a cognizione piena e la particolarità è che si svolge nelle forme del processo del lavoro nelle disposizioni applicabili. Norma di chiusura: opposizione dopo la convalida è possibile opporsi tardivamente come nel procedimento per il decreto ingiuntivo, con gli stessi limiti previsti per lo stesso. Ad ogni modo questo non è possibile se sono passati già 10 giorni dall’inizio dell’esecuzione. Il giudice competente per questo processo è il tribunale del luogo dove è si trova l’appartamento. 9/10/2018 Procedimenti da tutela cautelare: oggi trattiamo in particolare il procedimento cautelare uniforme che si applica in relazione all’ottenimento dei provvedimenti cautelari. In principio il libro terzo non conteneva una parte generale in cui venivano trattati i procedimenti cautelari, ma disciplinava distintamente i vari procedimenti che avrebbero condotto alle singole misure cautelari disciplinatie dal titolo stesso. Il legislatore del 1990, riformando il capo terzo del codice di procedura, ha uniformato i distinti procedimenti delle singole misure e ha mantenuto delle norme che contengono solo più deroghe rispetto alla disciplina uniforme. La materia della tutela cautelare trova la propria regolamentazione nella sezione prima del capo terzo e le altre due sezioni prendono in considerazione le singole misure e norme speciali e derogatorie. Alcune misure non sono disciplinate all’interno di questo capo, ma in altre parti o extra codicem e analizzeremo successivamente il coordinamento tra queste fonti. Tornando all’esame del procedimento cautelare uniforme: premesse generali: Sono necessarie Considerando la durata dei processi che si aggira intorno alla durata dei tre anni per il primo grado e in appello due anni e in cassazione altri due anni: si considera ragionevole la durata di 7 anni a detta della nostra Corte Costituzionale (Questo vale anche per alcuni procedimenti sommari, che sebbene siano più brevi, richiedono molto tempo ugualmente, quando si instaurano elementi a cognizione piena). Dati i tempi alcune situazioni recano necessariamente pregiudizio alla parte che vede il suo diritto frustrato. A tutto ciò si pone rimedio con la tutela cautelare, alle lungaggine del processo abbiamo come rimedio i casi in cui si può ottenere un titolo esecutivo di carattere provvisorio, mentre lo strumento attraverso il quale si tenta di soddisfare la pretesa attrice è di norma la tutela cautelare. Tipi di tutela cautelare: 1) Tutela cautelare anticipatoria: consente a chi agisce di ottenere provvisoriamente ciò che domanda o qualcosa di analogo a ciò che richiede. Questa tutela è simile alla tutela che si ottiene con un titolo esecutivo provvisorio, in effetti è difficile distinguerli l’uno dall’altro. Si anticipa il soddisfacimento che si potrà avere alla pronuncia della sentenza. Li distinguiamo dai provvedimenti esecutivi perché in realtà non sono disciplinati dal capo terzo, né direttamente, né in modo collegato, ma sono trattati autonomamente. es. di misure anticipatorie: nella pendenza di un giudizio di nullità o annullamento il giudice può sospendere l’esecuzione ad es. di una deliberazione ex codice civile art. 2378. Questa è una misura cautelare in senso proprio perché si applica il procedimento cautelare uniforme. Altro esempio di provvedimento cautelare anticipatorio: tizio fa concorrenza sleale, ciò induce caio a iniziare un procedimento volto a inibire questa attività e ad ottenere un risarcimento. In via cautelare in attesa della sentenza potrà intanto chiedere di cessare la condotta sleale. Altro esempio: mi serve un farmaco ma il servizio sanitario non me lo fornisce perché non è ancora in commercio, svolgo un’azione affinché il giudice me lo procuri e chiedo una tutela anticipatoria affinché il farmaco mi sia dato subito. Non si aspetta che il giudizio di merito volga al termine. Ci sono casi in ci la lunghezza del processo possa presentare danni irrimediabili, e questi sono i casi coperti dalla tutela anticipatoria. In caso la sentenza si pronunci in conformità al provvedimento, allora questo viene assorbito dalla sentenza. Se la sentenza invece va in direzione opposta negherà la sussistenza del provvedimento. Infatti il compito del giudice ha un ruolo molto delicato perché dovrà valutare che la domanda sia ragionevolmente fondata, devono sussistere il fumus bonis iuris e il periculum in mora. Un secondo tipo di tutele cautelari con le stesse finalità adotta una tecnica differente, non anticipando il soddisfacimento, ma è per converso di tipo conservativo, cristallizzando una certa situazione di fatto finché non viene esaurito il giudizio di merito, concedendo una misura cautelare che renda fruttuosa la conseguente procedura di esecuzione forzata. Es.: rivendico un credito e temo che il mio debitore si spogli della garanzia offerta dal proprio patrimonio dissipandolo o cedendolo a terzi potrò chiedere un sequestro sui beni sino alla concorrenza del credito vantato. In questo caso la misura cautelare non è anticipatoria, ma blocco, congelo la sua situazione patrimoniale in modo da poter ottenere il soddisfacimento del mio credito quando il giudice me lo concederà. Altro es: due persone litigano sulla proprietà della bicicletta e in questo caso si può chiedere un sequestro giudiziario, viene così custodito l’oggetto finché non si stabilisce chi ne è il legittimo proprietario. Anche un’azienda può essere sequestrata in questo modo. Il giudice deve operare una valutazione del fumus bonis iuris e del periculum anche in questo caso. Tutela cautelare: distinzione 1) tutela anticipatoria: sono le inibitorie e le sospensioni e i provvedimenti d’urgenza 2) tutela conservativa: sequestri Il procedimento cautelare uniforme ha la struttura di un processo sommario. I procedimenti cautelari si propongono con ricorso. Ci sono provvedimenti cautelari che possono essere richiesti in corso di causa (durante il giudizio di merito): giudizio cautelare litispendente oppure ante causam. Competenza: per i provvedimenti cautelari la regola generale è che per i provvedimenti cautelari ante causam si domandino al giudice competente per la causa nel merito: competenza per relazione. Se la misura è chiesta in corso di causa la misura viene chiesta al giudice che in concreto è stato investito della causa: il giudice presso cui pende la causa che sia competente secondo gli altri criteri. Non tutti i giudici hanno competenza cautelare: gli arbitri non hanno competenza ad esempio come non può averla il giudice di pace, solo i giudici professionali hanno competenza cautelare. Questo significa che se la domanda cautelare nel merito è o dovrebbe essere proposta al giudice di pace la misura cautelare dovrà essere domandata al tribunale, quindi la simmetria della regola generale in questo caso si spezza. Secondo il professore questo divieto per il giudice di pace è fondato, perché reputa che il giudizio sommario così come la valutazione del periculum in mora siano procedimenti difficili e delicati che sono riservati ai giudici professionali. Nel caso degli arbitri questo divieto è considerato da Dalmotto meno sensato perché è scelto dalle parti per cui di conseguenza dovrebbe essere investito anche dei provvedimenti cautelari. Il codice lo vieta nella disciplina relativa all’arbitrato rituale nell’ultima parte del libro quarto del codice di procedura. Anche qui il divieto di provvedere sulla richiesta della tutela ha dei riflessi sulla competenza perché il criterio per cui l’istanza cautelare si pone al giudice non opera e quindi la competenza è del tribunale che sarebbe competente del merito. Giurisdizione: casi in cui la giurisdizione non coincide tra merito e misura cautelare. La giurisdizione per l’emanazione delle misure viene individuato dal diritto internazionale. Possono esserci dei casi in cui il giudice di merito non è competente, perché le norme riconoscono la giurisdizione cautelare del luogo In cui si deve applicare la misura. Es. una società italiana e una americana litigano su un contratto che si deve eseguire in America. Se la società americana vince e risulta creditrice e la società americana ha in Italia delle ricchezze e che sorga l’opportunità di sequestrare i beni. In questo caso sussiste la giurisdizione cautelare, ma non nel merito. In linea di massima le richieste di tutela cautelare sono anticipatore, più raramente in corso di causa. Procedimento: la domanda viene introdotta con ricorso, che si deposita presso il giudice competente. Contenuti del ricorso: indicazione delle parti, ragioni della domanda cautelare, dimostrazione del fumus bonis iuris (più impegnativo rispetto ad un atto introduttivo ordinario). Un ulteriore elemento di complicazione è che con la domanda si dovrà anticipare quale sarà la domanda nel merito se la richiesta cautelare è ante causam: questo perché il fumus e il periculum possono essere valutati del giudice solo se contestualizzati. Successivamente alla richiesta, il giudice deve fissare l’udienza di comparizione delle parti, insieme alla fissazione ordina al convenuto di costituirsi in giudizio con termini flessibili, decisi su discrezionalità del giudice. (Il legislatore non prevede espressamente un limite di tempo). Art. 669 sexties: il giudice ascolta le parti e procede in assenza di ogni formalità. Dopo il contraddittorio il giudice si pronuncia in tempi molto brevi. Sequestro conservativo inaudita altera parte: caso di deroga al procedimento sopra descritto. Si tratta dei casi in cui si ritiene che la presenza della controparte potrebbe recare dei danni rispetto la pretesa attrice. Ad ogni modo la difesa deve essere garantita, dunque il giudice deve fissare il contraddittorio entro 15 giorni dall’emanazione del decreto, in tale occasione potrà confermare, annullare o revocare l’ordinanza. Svolgerà un’istruzione sommaria senza formalità sempre. Il provvedimento che sia positivo o negativo può essere controllato da un altro giudice. È sempre ammesso il reclamo della controparte. Procedimento cautelare uniforme: il procedimento è privo di formalità. Duplice possibilità di sviluppo del processo: è possibile una forma di procedimento a contraddittorio differito in cui la convocazione della controparte potrebbe ostacolare l’emanazione del decreto. Mentre in altri casi il contraddittorio si instaura immediatamente. Una volta era previsto il reclamo solo contro il provvedimento concessivo della cautela, non era previsto lo stesso per il diniego della misura cautelare. Il legislatore del ’90 non riteneva opportuno concedere un rimedio all’assenza della misura cautelare, perché questo diniego non impedisce che venga presentata una nuova domanda per ottenere una misura cautelare. La corte costituzionale però ha dichiarato questo articolo incostituzionale nella parte in cui non era prevista questa possibilità. Per cui adesso il ricorso è ammesso in entrambi i casi. La logica del reclamo cautelare è quella di mettere le informazioni elaborate nella fase precedente a un giudice differente rispetto al primo: di solito è il tribunale in composizione monocratica a decidere in merito alla questione inizialmente. Mentre è il collegio del tribunale senza il giudice che ha emesso la misura sarà l’organo a cui si ricorre per il provvedimento emesso. Questo almeno in linea di massima: il provvedimento può essere disposto anche dal tribunale in grado di appello, non per forza al giudice monocratico. In questo caso il reclamo si fa in un’altra sezione della corte d’appello. Il principio è che il giudice non sia mai lo stesso. Queste due ipotesi assorbono tutti casi. Il procedimento del reclamo è simile a quello di primo grado: ormai il contraddittorio si è instaurato. Importante: il reclamo può essere proposto entro 15 giorni. La cancelleria deve darne avviso alle parti. Con si fa valere con il reclamo? Il reclamante dirà che il primo giudice ha valutato male il periculum e il fumus bonis iuris. È possibile dedurre in sede cautelare anche la sopravvenienza di fatti o circostanze nuove. Ad es. è stato negato un provvedimento richiesto dal creditore. Se dopo il diniego della misura il creditore si rende contro che il debitore si sta disfacendo della sua garanzia patrimoniale e il pericolo in astratto esiste. Possibile sovrapposizione con la riproposizione dell’istanza. Un provvedimento può essere revocato in qualsiasi momento se le circostanze lo consentono. Viceversa i provvedimento che non era stato concesso se sopravvengono cause di pericolo e il provvedimento viene emesso in un secondo momento. Il reclamo da un lato e la deroga si vengono parzialmente a sovrapporre: perché sei sono nuovo elementi si hanno due rimedi simmetrici, anche se per fatti opposti. Fintanto che si può proporre il reclamo si dovrà privilegiare questa strada, ma trascorsi i 15 giorni si chiederà la revoca o la modifica facendo leva su nuove circostanze di fatto. Cambia il giudice di fatto: il tribunale in composizione monocratica nel primo caso e collegiale nel ricorso, mentre nella revoca il giudice sarà per forza lo stesso che ha emanato il provvedimento. Stabilità della misura cautelare: non passa in giudicato e non ha la stabilità di una sentenza, è sempre a rischio se ci sono nuovi elementi insomma. Il giudizio cautelare è strumentale al giudizio di merito: vediamo come si rapportano tra di loro la misura, quanto è stabile nel proseguimento nel giudizio di merito, che è il fine ultimo. Concettualmente abbiamo tutela cautelare quando abbiamo l’aspirazione a una tutela di merito . I giudizi di merito prima ella modifica del 2005: una volta ottenuto il provvedimento cautelare si doveva comunque instaurare un giudizio di merito che sarebbe dovuto rimanere tale fino a una sentenza: ciò che era stato disposto se la sentenza fosse stata confermativa si sarebbe cristallizzata al suo interno. La sentenza faceva sì che ciò che avevo sequestrato viene posto in pignoramento ecc. la misura cautelare viene assorbita dalla sentenza. Se ottengo invece un sequestro e il giudizio di merito. Se invece non si conferma quanto detto in cautela: la sentenza travolge la misura cautelare emanata perché l’accertamento avviene e si ritiene che quel credito non sussistesse. Tutto questo tipo di ragionamento è valido tutt’oggi ma è più lieve, meno severo, dobbiamo distinguere tra le misure conservative e quelle anticipatore. per le misure conservative tutto ciò che abbiamo detto vale perché dal punto di vista logico è inevitabile. Se ottengo un sequestro di un bene di cui rivendico la proprietà e non agisco nel merito che senso ha che il bene sequestrato continui a rimanere tale? Hai dimostrato che non hai interesse e I PROVVEDIMENTI D’URGENZA I provvedimenti d’urgenza sono un grande contenitore in cui vengono fatte rifluire tutte le misure cautelari che non trovano una disciplina tipica e non possono essere definiti come sequestri o come provvedimenti di enunciazioni e non sono altre misure cautelari tipizzate dal nostro ordinamento. I provvedimenti di sospensione e le delibere assembleari impugnate sono provvedimenti cautelari tipizzati non nel codice di procedura civile bensì nel codice civile. I provvedimenti di urgenza sono tutte quelle misure cautelari che non vengono attratte da una corrispondente figura tipica. Ad esse si tende ad attribuire una natura anticipatoria ed è il legislatore che dichiara che nel caso in cui venga concesso un provvedimento d’urgenza, ex art 700, non è necessario instaurare un procedimento di merito ai fini della stabilità del procedimento cautelare. Tutte le ipotesi che ci vengono in mente di provvedimenti di urgenza sono di natura anticipatoria. —es: tizio che agisce per vedersi riconosciuto il diritto ad un trattamento sanitario ancora non autorizzato dalla P.A, —oppure il tizio che chiede che venga inibito l’altrui svolgimento di atti concorrenziali sleali o —altri es come il provvedimento ex art 700 è stato usato in materia di lavoro per ottenere la reintegra del posto del lavoro per il lavoratore che era stato licenziato ingiustamente . Sono detti anticipatori perché anticipano la soddisfazione delle aspettative della parte che agisce in giudizio e quindi non è necessario instaurare successivamente la causa di merito. Un problema si può porre in relazione a quei provvedimenti d’urgenza che mostrano una natura conservativa e cioè i provvedimenti d’urgenza che in realtà hanno un contenuto conservativo e a tal proposito si chiede se essi seguiranno il  regime delle misure conservative in senso stretto ,quindi il regime dei sequestri o seguiranno il regime di stabilita dei provvedimenti d’urgenza dell’ex art 700. È difficile rispondere ma è chiaro che se noi ci atteniamo alla legge seguiranno il regime dell’art 700, se invece dobbiamo guardare alla sostanza dei fenomeni seguiranno le conseguenze previste per i sequestri, se la loro finalità è di tipo conservativo. Questa è una discussione interessante dal punto di vista teorico ma in pratica ha un’importanza modesta perché la maggior parte dei provvedimenti ex art 700 che vengono concessi nei tribunali hanno natura anticipatoria. Anche per la concessione dei provvedimenti d’urgenza è sempre necessario il riscontro dell’apparenza di fondatezza del diritto e poi se essi non venissero emanati, il ricorrente subirebbe un grave pregiudizio.Per i provvedimenti dell’art 700 il legislatore è piuttosto severo sotto il profilo della necessità e quindi si ha un pericolo in mora dal momento che espressamente prevede che essi siano concepibili solo quando, durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, il ricorrente sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile. Questa locuzione “irreparabile” è particolarmente importante e significativa e spesso la concessione o meno di un provvedimento d’urgenza si gioca sulla riscoperta dell’irreparabilità o meno del pregiudizio subito dal provvedimento d’urgenza. In alcuni casi l’irreparabilità del pregiudizio è palese, es: se io agisco per chiedere che mi venga somministrata una certa medicina come il siero Bonifacio contro il tumore, qui il pregiudizio è irrimediabile ed è evidente perché il soggetto morirà. Altri casi sono più delicati come per es l’inibitoria volta alla cessazione di un comportamento in concorrenza sleale, questo si ricollega alla possibilità di un danno irreparabile per chi chiede l’inibitoria del comportamento illecito della controparte? in generale posso richiedere il risarcimento per equivalente e quindi il danno irrimediabile non sussiste ma non sempre sussiste la possibilità di un risarcimento per equivalente perché se chi mi deve risarcire per equivalente fallisce non potrà mai risarcirmi o comunque lo farà in moneta fallimentare. Può capitare che nel frattempo fallisca il creditore ed il problema si porrà ugualmente perché significa che avrà subito un danno irrimediabile dovuto al fatto che è entrato in carenza di liquidità proprio per il mancato pagamento dell’altro soggetto. Una prima risposta potrebbe essere quella per cui l’inibitoria è concepibile nella misura in cui si rischi il fallimento o del soggetto che pone in essere la concorrenza sleale o per il pericolo di fallimento da parte mia. —Es: se il risarcimento mi arriva quando sono già fallito e sono fallito perché l’altra parte mi ha danneggiato, mi servono a poco quei soldi. C’è inoltre un ragionamento però più sofisticato: l’irrimediabilità del pregiudizio può derivare anche nel fatto che la misura del pregiudizio non è facilmente quantificabile. Es: due negozi di scarpe simili come tipologia di oggetti venduti e come immagini sono posti entrambi uno di fianco all’altro e in nessuno dei due negozi c’era il rischio di fallimento però è difficile calcolare quanto è il pregiudizio che uno ha subito per la concorrenza sleale dell’altro. Essendo difficile da calcolare può essere riconosciuta la sussistenza di un pregiudizio irrimediabile anche quando il risarcimento per equivalenza in concreto non è possibile perché di difficile o impossibile quantificazione. Tutta la tematica dei provvedimenti dell’ex art 700 si gioca nell’interpretazione del riconoscimento della sussistenza di questo pregiudizio irrimediabile e quindi nell’interpretazione d questo concetto di irrimediabilità del pregiudizio ma possiamo dire in linea di massima che si ha sempre un pregiudizio irrimediabile quando viene leso il diritto della persona —es: se c’è uno stabilimento  che emana sostanze cancerogene queste potrebbero farmi ammalare di tumore, magari se son fortunato guarisco però intanto per tutto il periodo che son rimasto malato ho subito un danno irrimediabile. — Altro es: Se sono stato licenziato illegittimamente e vengo reintegrato, mi dovranno ridare tutti gli stipendi che non mi hanno corrisposto nel periodo di assenza, però rimane il fatto che mi è stato cagionato un danno irrimediabile perché per un certo periodo di tempo non sono andato a lavorare ed è considerato una lesione del diritto della personalità, in quanto la costituzione dichiara che ciascuno di noi realizza la propria personalità attraverso il lavoro. Diverso è il discorso quando c’è un diritto di credito e cioè il pagamento di una somma di denaro o la consegna di una cosa. In questi casi la possibilità di un risarcimento per equivalente ci può essere e quindi non subirò alcun pregiudizio. A tal proposito alcuni pensano che non è cosi vero che la possibilità di avere un risarcimento per equivalente scongiuri un mio possibile pregiudizio perché può capitare che il soggetto che mi deve risarcire per equivalente, sparisca.Quindi è possibile che un meccanismo di annullamento di questo pregiudizio non sia in concreto possibile perché in futuro il debitore può non esserci più o comunque può non essere quantificabile il risarcimento per equivalente oppure può non esserci più il soggetto destinatario del risarcimento per equivalente perché proprio in dipendenza della situazione che si è venuta a creare, fallisce e quindi per questo può subire un pregiudizio irrimediabile. —Es bambino non vaccinato che non viene ammesso a scuola. Questo potrebbe lamentare il pregiudizio al fatto di vedersi erogare l’istruzione e stare assieme ai sui compagni. Altre misure cautelari sono disciplinate in altre parti del codice di procedura civile, parti diverse rispetto al capo terzo del libro quarto, ma per queste misure cautelari si fa riferimento alla disciplina che il codice di diritto appresta alle misure cautelari in questione. Quindi non si può operare un richiamo al capo terzo e in particolare alla prima sezione. Quali sono le misure cautelari che non sono disciplinate nel capo terzo del libro quarto del codice di procedura civile? Per molti istituti che sono disciplinati nel codice di procedura civile al di fuori del capo terzo, ci si domanda se siano misure cautelari in senso stretto o se siano misure che non possono qualificarsi come misure cautelari. Dal punto di vista pratico questa discussione lascia il tempo che trova perché anche se noi dovessimo attribuire a queste misure una natura cautelare comunque non potremmo applicare la disciplina del capo terzo del codice di procedura civile.Questo si spiega perché se andiamo a leggere l’art 669-quaterdecies, vedremo che le disposizioni si applicano ai soli provvedimenti cautelari previsti nel capo terzo e in quanto compatibili agli altri provvedimenti cautelari previsti nel codice civile nelle leggi speciali ma non si applicano ai provvedimenti cautelari che sono previsti esternamente rispetto al capo che stiamo esaminando. Agli effetti pratici la loro disciplina si ricava dalle norme sull’inibitoria rispetto alla sentenza di primo grado e di appello e non si applicano le norme sulle disposizioni del procedimento cautelare uniforme. Ci si chiedeva se fosse possibile ammettere il reclamo contro il provvedimento che ammette o esclude l’inibitoria. A questa domanda si risponde che se andiamo a vedere il codice di procedura civile un reclamo non è previsto. Allora si può applicare in via diretta o analogica quello che è previsto all’art 669? Secondo il professore No, perché l’applicazione diretta è vietata in quanto l’art 669-quaterdecies è chiaro nell’escludere dall’applicazione delle norme della sezione prima del capo terzo, i provvedimenti cautelari che in ipotesi fossero previsti fuori dal capo e in via analogica non ci son gli estremi per una applicazione perché l’art 669-quatercedies esclude un’applicazione diretta. In tema di separazione notiamo che si tratta di un provvedimento di cui intanto è discussa la natura cautelare, e in secondo luogo si tratterebbe di un provvedimento cautelare previsto dal codice di rito nel libro IV e pertanto non si ha applicazione della disciplina degli art 669 e seguenti perché non richiamano gli altri provvedimenti cautelari esterni al capo terzo, come suscettibili dell’applicazione della sezione prima del capo dedicato ai procedimenti cautelari. Anche questo è stato abbastanza discusso perché un tempo non era prevista la possibilità di reclamare contro i provvedimenti presidenziali, possibilità introdotta con reclamo alla corte d’Appello. Siamo al di fuori della sfera di applicabilità dell’art 669 bis ma siamo dentro la sfera di applicabilità della prima parte delle istituzioni generali delle misure cautelari quando andiamo ad individuare una misura cautelare nel codice civile o nelle leggi speciali: -nel codice civile di provvedimenti cautelari se ne trovano più di uno e quello più importante a cui abbiamo fatto riferimento è il provvedimento di sospensione delle delibere delle società di capitali. A questa misura cautelare prevista nell’art 2378, si applicano le disposizioni della prima sezione del capo terzo, salva l’incompatibilità quindi bisogna vedere in concreto quali disposizioni sono applicabili e quali no e quindi far un’analisi dell’istituto. — per es nella sospensione delle delibere assembleari si ritiene che non sia applicabile la sospensione della delibera ante causam ,perché l’art 2378 richiede espressamente che l’instaurazione cautelare sia avanzata in corso di causa. Viceversa si ritiene che, dato che l’art 2378 nulla dispone a riguardo, contro il provvedimento che ammette o rifiuta la sospensione della delibera assembleare impugnata sia proposto reclamo ai sensi dell’art 669 deces. Quindi bisogna vedere quali previsioni dell’art 669 bis siano applicabili e quali no e non sono applicabili le disposizioni in tema di istanza ante causam e sono applicabili quelle in tema di conservazione dell’efficacia della misura cautelare.Se il procedimento di merito si estingue la misura cautelare a carattere anticipatorio si conserva anche in caso di abbandono del giudizio di merito di impugnazione della delibera assembleare.  Sulle leggi speciali il discorso è analogo a quello svolto sul codice civile. Fino ad ora abbiamo parlato della tutela cautelare in funzione strumentale rispetto all’attuazione di un diritto, però in determinati casi la tutela cautelare, che ha sempre come mira ultima quella di assicurare il soddisfacimento di un diritto, si esercita direttamente sull’attività istruttoria ed è cioè volta a consentire una prova, che se si dovessero aspettare i tempi lunghi del processo civile, non si potrebbe acquisire e se a causa di ciò non si può acquisire la prova non si potrebbe ottenere neanche una tutela del diritto e quindi sono misure che hanno una natura cautelare che sono volte a soddisfare un diritto attraverso la possibilità di acquisire una prova che diversamente si disperderebbe. Alludo a due procedimenti e conseguenti misure: 1)i procedimenti di istruzione preventiva; 2) il sequestro giudiziario. SEQUESTRO GIUDIZIARIO: Il generale il sequestro può essere usato per conservare una cosa e per conservare la garanzia patrimoniale del debitore rispetto alla pretesa del creditore o può essere usato per conservare delle prove come libri, registri, documenti, modelli o campioni e ogni altra cosa da cui si può desumere elementi di prova. In casi limitati è possibile ottenere dal giudice un’ordine di esibizione di documenti che io non possiedo ma che possiede la controparte oppure terzi, (qui bisogna ripassare la parte sull’esibizione e comunicazione dei documenti che abbiamo visto nella prima parte del corso di due anni fa), è possibile che in attesa che il giudice nel giudizio di merito disponga l’ordine di esibizione, chi conserva questi documenti non ne curi la conservazione o li distrugga e in questi casi nell’attesa che il giudice di merito si pronunci circa un’eventuale istanza di esibizione  o comunicazione dei documenti, è possibile agire in via cautelare domandandone il sequestro. In questo modo il destinatario dell’ordine di esecuzione o di comunicazione è costretto, in attesa che il giudice si pronunci su quest’obbligo di esibizione, ad affidarli ad un custode per conservarli.Questo per quanto riguarda il sequestro giudiziario. necessario ai fini dell’espletamento della consulenza tecnica preventiva ex 696bis esistenza di un periculum, se lo si può far dopo? Il motivo per cui si fa l’ATP è chiaro: per preservare la prova sulla cui base il giudice troverà un convincimento, il motivo per cui si debba invece anticipare l’esperimento di un CT anche in assenza di un periculum nel farlo dopo non si comprende a prima battuta. Si comprende però se noi riflettiamo sul fatto che il momento naturale in cui vengono svolte le CTU è assai avanzato nell’ambito del processo di merito. In particolare le CTU si esperiscono dopo che il Giudice abbia ammesso i mezzi di prova, cioè dopo che si sia chiusa la fase introduttiva ( con lo scambio degli atti introduttivi ) e dopo che la causa è stata ampiamente trattata, perché si è svolta la prima udienza eventualmente la seconda udienza se la prima è stata rinviata, si sono scambiate le morie istruttorie anche se l’appendice scritta non è sempre necessaria: una delle parti la deve chiedere, ma di fatto viene quasi sempre richiesta. Comunque, in un processo dov’è necessario disporre un CT è quasi sempre un processo di complessità tale da indurre le parti ad avvalersi di questo momento del contraddittorio che è rappresentato dalle memorie ex art 183 cpc, se non altro per fare un’istanza al giudice per chiedere una CT e per proporre un quesito. Il giudice la può disporre d’ufficio ma questo di solito viene sollecitato dalle parti. Tra il momento il cui il giudice dispone la consulenza e quello in cui inizia il processo può essere trascorso più di un anno, anche pieno di attività. Ora, ci sono delle situazioni in cui dopo che si è fatta la CT si sa già come va a finire. Pensate alle cause di responsabilità medica: chi ha torto e chi ragione lo decide il consulenze che verifica come si sono svolte le procedure mediche, poi ci potranno essere questioni giuridiche ( es: prescrizioni dei diritti) però in casi come questi è prevalente l’aspetto tecnico scientifico su quello giuridico. In tutti questi casi i legislatore ha ragionato nel senso che se una valutazione di ordine tecnico si sapesse fin dall’inizio sarebbe meglio per tutti, perché dopo che si è ascoltata la CT nel 90% dei casi il giudice si attiene ai risultati di quella CT e l’esito del giudizio è a quel punto fortemente prevedibile. Allora si è ragionato nel senso di far fare la CT subito, anche ante causam, così le parti possono decidere sulla base anche di quella e possono trovare un accordo. Questo perché nonostante il giudice sia Jus pritum peritorum, non si discosta quasi mai dalle risultanze tecniche. In questo modo tutti ci risparmiamo quel segmento del processo dato dallo scambio degli atti introduttivi, dalla presenza alle udienze delle memorie istruttorie che altrimenti si dovrebbe fare prima di arrivare ad esperire una perizia che normalemente orienta l’esito finale del processo e quindi rende frequenti le conciliazioni. Che ci sia una finalità conciliativa è addirittura reso esplicito dalla CTP che nel conferire la consulenza da espresso mandato al consulente del giudice di ricercare la conciliazione delle parti. Non che in sede di ATP non si faccia, ma non è formalizzata, nell’ammissione della CTP ai fini della composizione della lite è espressamente previsto di tentare di conciliare. È un istituto di grande successo, anche io ne ho fatte molte di consulenze preventive. • Funziona così bene la consulenza tecnica nella materia medica che il legislatore ha introdotto una legge sulla responsabilità medica Gelli-Bianco intervenuta in questa materia certamente di attualità e in questa legge la CTP ai fini della composizione della lite è addirittura obbligatoria, prevista come condizione di procedibilità per i delitti di responsabilità sanitaria. È dunque un istituto piuttosto efficace che però non ha un connotato cautelare e dunque la sua posizione nel codice è un po’ strana. Quali sono le norme procedimentali che si seguono per la CTP? Quelle dell’accertamento tecnico preventivo e della consulenza tecnica disciplinata dal codice di rito per i giudizi di merito, quindi non c’è necessità di soffermarci oltre. Rimane ancora un procedimento disciplinato dopo il capo relativo ai procedimenti cautelari, ma che richiama la disciplina dei procedimenti cautelari. Si tratta dell’istituto disciplinato nel capo IV°: il procedimento possessorio. Con oggi abbiamo esaurito la disciplina dei procedimenti cautelari del capo terzo del libro quarto con la precisazione per cui la CTP non è uno strumento cautelare, ma che il legislatore ha messo tra gli strumenti cautelari. Capo terzo che è distinto in più sezioni uno sui procedimenti cautelari in generale e poi varie altre sezioni sui singoli procedimenti cautelari. Il capo IV° è fuori dalla materia cautelare anche se il riferimento a questa disciplina è importante perché parte della disciplina del procedimento possessorio è desunta per richiamo espresso del legislatore alla disciplina del capo terzo in part. sulla sez. 1°. Sempre incidentalmente tra il capo terzo e quarto c’è il capo terzo bis che ha ad oggetto il procedimento sommario di cognizione di cui non parleremo perché già visto nel corso di Proc. Civ. I che rappresenta un’alternativa nel caso in cui la causa sia non difficile, lo troviamo lì perché siamo nell’ambito dei procedimenti speciali, ma perché lo abbiano numerato tre bis non lo so. PROCEDIMENTI POSSESSORI l’ultimo dei procedimenti sommari I procedimenti possessori non sono procedimenti cautelari, hanno degli elementi affini, cioè si appresta una tutela rapida per la difesa del possesso, ma i procedimenti possessori non sono di per se rivolti alla tutela di un diritto, sono volti ad ottenere la tutela di una situazione di fatto. Ora la materia del possesso è di competenza dei corsi di civile però dovete ricordare alcuni concetti fondamentali, la definizione è un potere di fatto sulla cosa che l’ordinamento tutela indipendentemente dal diritto sussistente o meno sulla stessa. Il possesso viene difeso dall’ordinamento in maniera pregiudiziale, nel senso che l’ordinamento si preoccupa di tutelare le situazioni di fatto anche quando esse siano differenti rispetto alle situazione di legittimo diritto e questo per una ragione precisa: l’ordinamento vuole che il diritto sia tutelato solo attraverso mezzi legali. Se rivendico la proprietà del pc del vostro collega perché lo riconosco come mio non posso farmi giustizia da me e legittimare questa mia pretesa sulla base della titolarità del mio diritto. Se vado e gli strappo il computer commetto un reato (esercizio arbitrario delle proprie ragioni ) il vs collega avrà a disposizione un rimedio possessorio per essere reintegrato nel possesso del bene spogliato. Questa tutela è particolarmente garantita dall’ordinamento perché vi appresta un procedimento apposito che si esperisce in forme sommarie applicando le disposizioni procedimentali del procedimento cautelare, per velocizzare e tutelare prontamente il bene. Questa tutela si esplica oltre che con la predisposizione di strumenti veloci ed efficaci anche per il fatto che la tutela del diritto è posta prima rispetto alla tutela della situazione di diritto. Nel momento in cui io spoglio clandestinamente il vs collega del bene perché io sono proprietario del pc (magari anche con prove) quando il vs collega si difenderà con un’azione possessoria io non potrò difendermi adducendo che il bene è mio. La cd azione petitoria che ha ad oggetto l’accertamento della proprietà sul bene potrà essere esperita solo dopo che si è concluso il processo possessorio, anzi dopo che sono stati esperiti i rimedi possessori. Solo dopo che il bene è tornato al possessore, solo a quel punto potrò dire che il PC è mio e quindi rivendicarlo nelle opportune sedi di giustizia. Ciò per inibire la giustizia fai da te. Il procedimento possessorio ha dato adito a questioni interpretative interessanti. Per semplicità ho fatto solo riferimento ad una nozione di spoglio ma voi saprete che i procedimenti possessori sono di due tipi : azione di spoglio e di manutenzione. Nella prima viene sottratto con violenza o clandestinità dal suo possessore, nella seconda il possesso del bene viene molestato, diminuito o minacciato. Nei confronti dello spoglio il legittimato all’esercizio non è il solo possessore ( corrispondente a quello del proprietario ) ma nel caso di spoglio violento o clandestino anche il mero detentore ( colui che detiene il bene in virtù di un titolo ) quindi colui il quale viene spogliato di un bene può esercitare l’azione possessoria. Dobbiamo innanzitutto riscontrare lo spoglio o la molestia e la legittimazione attiva di chi mette in atto il rimedio possessorio. La competenza del giudice è determinata: per le azioni possessorie è competente per materia il tribunale del luogo dove si verifica lo spoglio o molestia (ved. disposizioni del libro 1 del codice) art 21 cpc. Esempio tipico di spoglio è X che passa sempre da un sentiero in campagna ed un giorno si torva una sbarra sulla strada, X vantava il possesso i una servitù di passaggio. Il procedimento si introduce per ricorso, come i procedimenti cautelari, e il giudice ex art 703 comma 2° provvede esattamente come nell’abito di un proc. cautelare, secondo le regole del procedimento cautelare. Uniformemente si prevede espressamente che l’ordinanza che accoglie o respinge la domanda possessoria è reclamabile. Quindi contro l’ordinanza che accoglie la domanda di tutela possessoria o la nega si può fare reclamo e va fatto normalmente al collegio del tribunale se competente è il tribunale nel 1° grado cautelare. Perché il legislatore ha sentito la necessità di prevedere espressamente la possibilità del reclamo nel terzo comma dell’art 703 ? È stato discusso a lungo se la norma sul reclamo fosse compatibile con lo strumento dell’incidente possessorio. Con l’entrata in vigore della novella del ’90, che ha disciplinato i procedimenti possessori, parte della dottrina aveva ipotizzato che nel procedimento possessorio il reclamo non dovesse essere preveduto. Questo perché in effetti queste liti sul possesso delle cose rischiano di durare tantissimo, perché se applichiamo la struttura del procedimento cautelare in quanto tale dobbiamo ipotizzare un primo momento in cui vengono disposti i provvedimenti interddittali ( come nel 1° grado cautelare ) poi dobbiamo ipotizzare un reclamo, ma non basta perché dopo secondo alcuni, ipotesi confermata dal legislatore, bisogna fare il merito possessorio, cioè chiedere al giudice che ciò che è emerso nella fase interdittiva sussista o meno e viene verificato in un giudizio di merito. Il giudizio di merito si verifica se il possessore era anche proprietario direte voi… ma è un errore, perché è sempre un giudizio sulla sussistenza del possesso e sul fatto che taluno sia stato spossessato o molestato del possesso. Ma mentre nella fase “cautelare”, più precisamente la fase interdittale, l’accertamento è sommario sulla base si un giudizio di verosimiglianza, il giudizio di merito possessorio rimane sempre sullo stesso oggetto: la sussistenza o meno del possesso, lo spoglio, la molestia. Solo che l’accertamento diventa pieno, allora si è detto: mettiamo che io sottragga il PC al vs collega. Lui allora fa un’azione possessoria contro di me, il primo pezzo è quello interdittale secondo le forme del procedimento sommario per la restituzione del bene. Poi se una delle due parti lo fa c’è il reclamo, dopo di che c’è il giudizio sul merito possessorio con le forme della cognizione piena. Ma non basta perché dopo il merito in 1° grado, appello e cassazione siamo a metà dell’opera perché a quel punto io inizierò una causa petitoria nei suoi confronti per stabilire che sono io il proprietario del bene che avrà anch’essa tre gradi di giudizio. Uno svolgimento così complicato a molti interpreti non piaceva, dunque taluni hanno iniziato a dire che nell’ambito del procedimento possessorio non si facesse il reclamo, altri che il merito possessorio non esistesse. Si è discusso per anni dopo di che, è intervenuto il legislatore portando alcune indicazioni precise, se pur discutibili, ma che fanno chiarezza su come stanno le cose : 1 in realtà la possibilità del reclamo nei confronti del provvedimento reso nella fase interdittale sussiste, il 3° comma dell’art 703 inserito nel 2005 risolve così il problema. 2 il merito possessorio esiste , ma non è necessario. Il 4° comma ex art 703 CPC dal 2005 prevede che: Le domande di reintegrazione e di manutenzione nel possesso c.c. 1168, 1169, 1170 si propongono con ricorso al giudice competente a norma dell'articolo 21. Il giudice provvede ai sensi degli articoli 669bis e seguenti, in quanto compatibili. L'ordinanza che accoglie o respinge la domanda è reclamabile ai sensi dell'articolo 669 terdecies. Se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento di cui al terzo comma, il giudice fissa dinanzi a sé l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito. Si applica [[n669novies]], terzo comma. Se richiesto dalle parti entro 60 giorni dalla dichiarazione del provvedimento o senza reclamo dal provvedimento con cui viene emanata la misura interdittale. L’architettura è un po’ complessa ma il legislarore ci dice che il merito esiste ma non è necessario, dev’essere chiesto da una delle parti, il provvedimento se non chiesto continua ad esplicare i suoi effetti. Però possono chiederlo, e se lo chiedono, e questa è una particolarità del procedimento possessorio, il passaggio tra la fase sommaria (”interdittale”) e la fase di merito avviene non tramite proposizione ad opera di una delle due parti di un atto introduttivo del giudizio, bensì tramite una “passerella” tra l’uno e l’altro. Quindi se richiesto dalle parti dopo il provvedimento possessorio il giudice fissa l’udienza per la prosecuzione del giudizio nel merito. Il legislatore ha trovato una soluzione di compromesso, perché se da un lato il giudizio di merito se richiesto va fatto, ha anche detto che i giudizio sommario prosegue nel giudizio di merito senza soluzioni di continuità che inizia sommario e prosegue nella successiva udienza del giudizio di merito vero e proprio. Dopo di che il processo andrà avanti nella sede di merito se il giudizio di merito possessorio dimostrerà l’insussistenza della situazione possessoria di cui si chiede la tutela, il provvedimento possessorio che fosse stato reso verrà revocato diversamente se non era stato concesso il provvedimento possessorio verrà dato in sede di merito. Per l’appunto questa cosa è un po’ faticosa da concepire a livello intuitivo, ma l’oggetto è sempre questo sia in fase sommaria che di merito si discute sempre sulla situazione possessoria, la discussione sul diritto si ha eventualmente dopo. Tutto questo viene spiegato nell’art 704 cpc e 705 cpc. Se io faccio causa al vs collega rivendicando la proprietà ed intanto gli sottraggo il computer dopo che il giudizio petitorio era stato intrapreso con la notifica dell’atto di citazione ( prima gli notifico l’atto di citazione e poi gli entro in casa e gli sottraggo il pc ) anche se ho intrapreso il giudizio petitorio la tutela possessoria è sempre esperibile dal vostro collega. L’art 705 invece è più interessante perché afferma che : se sottraggo il pc perché ho le prove che il pc è mio ma subisco la restituzione attraverso la tutela possessoria del possessore io, convenuto in giudizio possessorio, non potrò difendermi con un’eccezione petitoria e non potrò neanche iniziare un giudizio petitorio fino a che il giudizio possessorio non sia stato definito oppure, essendosi iniziato un giudizio di merito, fino a che questo non si sia esaurito e non si sia esaurito con l’esecuzione della decisione cioè con ritorno del bene nella sfera di dominio del comune. Una differenza tra la separazione contenziosa e consensuale è stata che mentre in un caso i coniugi litigano, il ricorso è presentato da uno dei coniugi il quale prende iniziativa nei confronti dell’altro coniuge; nella separazione consensuale il ricorso può anche essere congiunto cioè i coniugi possono depositare il medesimo ricorso sempre dinnanzi al tribunale del luogo dell’ultima residenza dei coniugi, ma nulla vieta che anche nell’ambito della separazione consensuale l’iniziativa venga presa da uno nei confronti dell’altro. Perché non è obbligatorio che il ricorso sia unico e presentato da entrambi i coniugi? Perché magari i coniugi preferiscono ad esempio essere assistiti da avvocati diversi oppure effettivamente uno è più incline alla separazione e inizia a fare il primo passo e l’ altro si aggrega in un secondo momento. Generalmente se entrambi i coniugi hanno un buon rapporto, nel senso che si fidano l’ uno dell’altro, si rivolgono allo stesso avvocato, facendo ricorso congiunto; diversamente, anche se intendono addivenire a separazione consensuale possono ricorrere separatamente di modo tale che ci sia uno che inizia e l’ altro che viene dietro, assistito da un’ altro avvocato e che assuma le vesti del convenuto. Pero vi dicevo che nella fase introduttiva, separazione contenziosa e separazione consensuale non si distinguono molto, perché l’atto introduttivo è un ricorso ed in entrambi i casi il ricorso è depositato nella cancelleria del tribunale dell’ultimo luogo in cui i coniugi hanno posto la residenza comune, salvo il fatto che in quella consensuale il ricorso sia presentato congiuntamente. Le cose divergono però, nella prospettiva di ciò che deve accadere dopo; cioè in caso di separazione contenziosa il ricorso è depositato nella prospettiva di ottenere dal presidente del tribunale (che è il primo soggetto con cui le parti prendono contatto) un provvedimento che incide provvisoriamente ma profondamente sul rapporto tra i coniugi e i figli, cioè un provvedimento provvisorio ed urgente nell’interesse dei coniugi e dei figli. Nel caso di separazione consensuale la fase introduttiva è finalizzata a sollecitare un’ udienza davanti al presidente del tribunale in cui, il presidente si limiterà a recepire le condizioni, a prendere atto delle condizioni che i coniugi hanno concordato tra di loro, poi le condizioni vengono trasmesse al collegio del tribunale. Tenete presente che in materia di separazione e divorzio il giudice è competente in composizione collegiale del tribunale, anzi con l’obbligatorio intervento del pubblico ministero, il presidente trasmette le condizioni al collegio che omologa queste condizioni, a meno che non ravvisi un pregiudizio per gli interessi della prole. Viceversa nel processo di separazione personale contenziosa dei coniugi, se si addiviene all’ udienza presidenziale il presidente del tribunale il quale da provvedimento (provvisori ed urgenti), successivamente nomina il giudice istruttore, poi il procedimento continua nelle forme ordinarie davanti al collegio del tribunale e poi la decisione viene presa collegialmente. Queste indicazioni che ci ha dato sono di carattere preliminare per farci capire il contesto in cui ci stiamo muovendo. Adesso vediamo le stesse cose in maniera più dettagliata dal punto di vista giuridico tecnico. Partendo dal procedimento di separazione giudiziale cosiddetta contenziosa. Ha anticipato che sulla domanda che ha come presupposto l’ intollerabilità della prosecuzione della convivenza ovvero la possibilità che questa comporti un pregiudizio per l’ educazione dei figli. La domanda si propone con ricorso al tribunale del luogo in cui si riscontra l’ ultima residenza comune dei coniugi, ma in realtà la disposizione dell’ art 706 in materia di competenza delle cause di separazione è piu complessa di come la ha letta, perchè accanto al criterio della competenza del tribunale del luogo dell’ ultima residenza comune dei coniugi ne troviamo sgranati parecchi altri successivamente. Innanzitutto ci si potrebbe domandare: era realmente necessario che il legislatore prevedesse dopo il criterio di collegamento del luogo dell’ ltima residenza comune dei coniugi, ulteriori criteri subordinati? o no? Teoricamente questa è una domanda legittima, perchè uno potrebbe anche dire ma il legislatore poteva fermarsi li. (Vediamo se uno ci è arrivato. Attribuiamo un credito da spendere liberamente alle giostre). Se tra gli obblighi del matrimonio c’è quello alla convivenza dovrebbe esserci un’ ultima residenza comune, pero il legislatore dice, in mancanza il luogo che conferisce è quello del convenuto come ultima residenza o domicilio, quindi c’è un caso in cui non c’è un’ ultima residenza in comune. Bè si ci possono essere dei casi in cui la legge dice: “i coniugi devono vivere assieme” ma poi di fatto essi hanno sempre vissuto in località diverse e posto in luoghi diversi la residenza. Esempio: La coppia si sposa a londra, due avocati d’affari si sposano e vivono a londra per “x” anni, poi se ne tornano in ita uno a torino e l’ altro a milano, in un caso come questo anche se non c’è stata una cosi palese violazione dei luoghi di coabitazione, l’ ultima residenza comune non è utilizzabile perchè l’ ultima residenza comune sarà all’ estero a londra. Quindi in un caso come questo il criterio subordinato si applica, quei due coniugi non avevano un ultima residenza comune in italia, quindi giocoforza ammettere che il criterio dell’ultima residenza comune non è applicabile perchè porterebbe ad avere la causa fuori dalla giurisdizione italiana. Quindi anche senza ricorrere al caso di scuola dei coniugi che si sono sposati senza mai aver vissuto assieme, il caso proposto è piu vicino alla realtà. È anche possibile che il criterio subordinato, il tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio, non sia applicabile perchè tornando agli sposi di londra, litigano a londra, uno dei due ritorna in ita, quello con il cuore piu infranto, torna dai genitori; l’ altro resta a londra con il suo nuovo amante, e a quel punto chi vuole separarsi non trova il criterio di collegamento perche l’ ultima residenza comune era a londra. Subentra quella del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio, ma il convenuto continua a stare all’ estero e allora un ulteriore subordine, guardando il secondo il comma dell’ art 706 dice che, qualora il coniuge convenuto residente all’ estero risulti irreperibile, fuggito per un viaggio intorno al mondo con il nuovo amore per esempio, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o domicilio del ricorrente finchè vi è una emulazione se vi ricordate, dei criteri successivi enunciati dal foro delle persone fisiche. E se anche l’ attore è residente all’ estero, perchè ci può essere una dissociazione tra la giurisdizione e il luogo di residenza delle parti, se i coniugi si sono sposati in italia ma hanno sempre vissuto all’ estero tutti e due, noi lo troviamo sulla base dei criteri che adesso vi ho enunciato, troviamo un giudice precostituito per legge, e per risolvere la situazione il legislatore dice una cosa abbastanza divertente, dice che è competente qualunque tribunale della repubblica. Quindi il caso per cui due coniugi si siano sposati in italia ma hanno sempre vissuti a londra, e li si sia rotto la loro la relazione ma nessuno dei due è rientrato in italia, entrambi sono rimasti a londra oppure si sono trasferiti uno al polo nord l’ altro al polo sud: in questi casi qui potrà essere scelto per separarsi qualsiasi tribunale della repubblica. Lui dice di non essere esperto di diritto internazionale ne tanto meno di legge regolativa del matrimonio, gli sembra di ricordare che per il fatto che il matrimonio sia celebrato in italia, sia altresi possibile separarsi qui da noi. Ci sono diversi casi di dissociazione tra regole di competenza e regole di giurisdizione che noi avevamo visto in materia cautelare se vi ricordate. Si è un po dilungato sui criteri di competenza (anche se nel 99% dei casi si applica quello del luogo dell’ ultima residenza comune), per ragionare con noi sull’ applicazione di questo criterio e poi perchè ci ritorneremo quando parleremo del divorzio, dove in origine era stata dettata una regola simile ma che poi vedremo essere stata modificata dalla corte costituzionale. Individuato il giudice competente, solitamente non ci sono grandi problemi pero talvolta puo essere complicato per i motivi che abbiamo detto. Viene depositato nella sua cancelleria il ricorso e nei 5 giorni successivi al deposito in cancelleria il presidente del tribunale deve fissare con decreto la data di comparizione in udienza dei coniugi davanti al presidente del tribunale stesso, (non come solitamente avviene nei procedimenti con ricorso come il processo del lavoro), non si ha la nomina del giudice istruttore che fissa la data della prima udienza, qui fissa l’udienza dinnanzi a se perché il procedimento di separazione dei coniugi ha una struttura un pò particolare, perché prima che inizi il processo vero e proprio c’è una fase presso il presidente del tribunale che come vedremo ha due funzioni: una “conciliativa” e l’ altra “lato senso cautelare”, ma non anticipiamo troppo il discorso. Il presidente del tribunale fissa davanti a se l’ udienza che deve essere tenuta entro 90 giorni dal deposito del ricorso, questo è un termine ordinatorio, se vengono rispettati siamo tutti contenti, se non vengono rispettati non succede nulla, pazienza, sono termini indicativi. E con il medesimo provvedimento di fissazione dell’ udienza il presidente del tribunale da un termine per la notificazione del ricorso e del decreto alla parte convenuta come solitamente accade nei procedimenti introdotti con ricorso. Il giudice che è soggetto con il quale la parte attrice prende per primo contatto, si limita ad emanare decreto di fissazione di udienza. Dando, se non sono previsti dalla legge, i termini per la notificazione del decreto all’ altra parte. L’ onere di instaurare il contraddittorio con l’ altra parte ricade sempre sulla parte privata la quale, in concreto deve una volta che è stato emanato il decreto di fissazione d’ udienza, deve notificarlo nei termini indicati dal presidente del tribunale il quale ovviamente assegna dei termini, tali per cui la parte convenuta abbia tempo sufficiente per preparare la propria difesa, depositando se lo ritiene una memoria difensiva e dei documenti a sua volta. Indicazione dal punto di vista teorico abbastanza marginale ma dal punto di vista pratico importante, tanto nel ricorso della parte attrice quanto in allegato alla memoria difensiva, i coniugi dovranno presentare le ultime dichiarazioni dei redditi, in genere almeno a torino sono chieste le ultime tre dichiarazioni dei redditi, le parti possono depositare tutta la documentazione che vogliono e che ritengono opportuna per la propria difesa e però il deposito della dichiarazione dei redditi è obbligatorio e ancorchè non sia iscritto, è ovvio che dovranno depositare una copia autentica dell’ atto di matrimonio e documenti similari per dimostrare di essere coniugi e devono indicare nel ricorso se esistono figli. Perchè ci devono essere questi elementi nel ricorso per separazione nella memoria difensiva prima che si approdi all’ udienza dinnanzi al presidente del tribunale? Perché innanzi tutti il giudice deve poter verificare che effettivamente sia stato celebrato matrimonio e sussista interesse alla separazione dei coniugi, in secondo luogo serve copia della dichiarazione dei redditi e servono allegazione in merito all’ esistenza dei figli, perchè il giudice abbia gli elementi minimi per poter poi pronunciare quei provvedimenti urgenti che sono di competenza del presidente del tribunale nella prima udienza, e che sono volti a porre a carico di uno dei coniugi un’ assegno di mantenimento a favore del coniuge sfavorito; ed anche per stabilire riguardo le condizioni dell’affidamento dei figli. Lo scopo dell’ udienza dinnanzi al presidente del tribunale come ha anticipato è duplice, da un lato c’è uno scopo di carattere conciliativo e dall’ altro c’è uno scopo lato senso cautelare. Lo scopo conciliativo: il presidente del tribunale opera una sorta di tentativo di conciliazione tra i coniugi, uno previsto dalla legge e raramente sortisce effetto, cioè il presidente del tribunale deve procurare di conciliare i coniugi, se i coniugi si riappacificano in sede di udienza presidenziale ovviamente il ricorso è improcedibile per cessazione della materia (del suo contendere). È molto improbabile che il tentativo di conciliazione volto alla riappacificazione dei coniugi da parte del presidente del tribunale sortisca qualche effetto, in genere i coniugi si presentano già arrabbiatissimi, spesso non si salutano neanche ed è difficile che il presidente del tribunale operando da buon padre di famiglia riesca a conciliarli. Il prof non lo ha mai visto accadere. Spesso avviene un'altra cosa, dato che le separazioni nascenti come separazioni contenziose, proprio in virtù dell’avvicinamento delle posizioni che vengono procurate dal presidente del tribunale, si convertono poi in separazioni consensuali. Uno dei coniugi parte con la separazione poi l’ altro o gli viene dietro aderendo a tutte le condizioni che questo ha prospettato nel ricorso per la separazione, in questo caso il procedimento, ancorchè non presenti ricorso congiunto, è sin dall’inizio un procedimento per separazione consensuale, oppure propone a sua volta delle condizioni di separazione. Talvolta accade che tra le condizioni proposte dalla parte attrice e quelle proposte dalla parte convenuta non c’è un abisso incolmabile, o perchè gli avvocati si sono parlati prima o perchè il giudice riesce a far colmare quell’ ultimo miglio che separa i due coniugi. Un procedimento che viene iniziato come contenzioso e si converte in consensuale, praticamente si esaurisce lì , perche poi il presidente del tribunale emetterà verbale che indicherà quali sono le condizioni verso cui entrambi i coniugi hanno ritenuto di convergere e le trasmette, come se fosse una separazione di tipo consensuale, al collegio del tribunale perchè le omologhi. Il tentativo conciliativo del presidente del tribunale è molto importante perchè in molti casi riesce a far colmare quelle differenze che permangono tra attore e convenuto e quindi a far concludere il procedimento con una conciliazione. In genere vi devo dire che questo esito e abbastanza frequente non cosi tanto per l’ opera dei giudici perche nulle more dell’ attesa tra udienza presidenziale, gli avvocati sentono di poter accorciare le distanze e presentare davanti al giudice la proposta comune. Se la conciliazione non riesce cioè, i coniugi non si riappacificano e non è possibile trovare un’ accordo su posizioni condivise, il presidente del tribunale deve provvedere con dei provvedimenti temporanei ed urgenti emanati nell’ interesse della prole e dei coniugi. Perchè il legislatore prevede questo potere del presidente del tribunale? Perchè se i coniugi non si mettono d’ accordo, non riescono a convergere verso una proposta unitaria di condizioni condivise di separazione, questo apre lo scenario di un procedimento di cognizione, che vedremo come si svolge, comunque è facile immaginare che questo procedimento sarà lungo perchè a tutti gli effetti è a cognizione piena, può durare anni specie quando uno dei coniugi contrasta la posizione dell’ altro ovvero quando le parti si fanno la guerra solo per il gusto di litigare. E allora si pone il problema di assicurare nelle more di questo giudizio un regime a cui i coniugi devono attenersi nel reciproco interesse, nel senso che devono regolare i loro rapporti. Quasi sempre nell’ ambito di una separazione c’è uno dei coniugi che viene maggiormente pregiudicato dalla separazione e quindi deve avere assicurato un certo sostentamento. Pensate a coppia in cui un coniuge ha sempre lavorato e l’ altro si è occupato dei figli, improvvisamente subentra crisi familiare e quello che ha lavorato si trova in una situazione avvantaggiata rispetto a quello che non ha reddito, dovrebbe essere quanto meno dato tempo all’ altra parte per trovare lavoro per mantenersi. Ad un certo punto poi è delicata la posizione dei figli, perchè con chi devono stare? Chi li mantiene? A che scuola devono andare? Tutti questi problemi sono indifferibili ed il presidente del tribunale si pronuncia subito con questi provvedimenti provvisori ed urgenti, che sono particolarmente importanti perchè tengono ad assicurare il regime della famiglia separata nelle more del giudizio che si svolge ai piedi dei coniugi che litigano. Quindi tempestivamente il più in fretta possibile deve con urgenza nelle more del giudizio stabilire le condizioni della separazione per i coniugi e per la prole stessa. Suggerisce che chi inizia il procedimento di separazione è bene che lo faccia già con atti introduttivi piuttosto corposi e argomentati in vecchie e domande a cui fanno seguito ad essa domande nuove. La domanda formulata in giudizio, secondo l’impostazione che è quella prevalente solo nel momento in cui vengono depositate le memorie introduttive, tra l’ altro visto il caso pratico che viene nel discorso: della domanda di addebito della separazione; questa ricostruzione dal punto di vista teorico è stata giustificata anche con considerazioni di ordine pratico, non si sa quanto convincenti. Secondo coloro che hanno sostenuto questa tesi cioè che il processo inizia veramente con il deposito delle memorie integrative e che la fase dinnanzi al presidente del tribunale è una mera fase pre- processuale che non conta, per costoro è opportuno conseguire che la domanda di addebito venga proposta dopo e non sin dall’inizio, perché se uno inizia a far ricorso per separazione chiedendo di addebitare la stessa all’ altro coniuge e quindi esprimendosi in maniera non elogiativa nei confronti dell’ altro coniuge; questo rende meno facile che dinnanzi al presidente del tribunale si raggiunga una qualche forma di conciliazione, anche nella forma meno pregnante di far evolvere il procedimento verso una separazione consensuale. Viceversa se si consente di tenere la possibilità di chiedere l’ addebito con le memorie integrative quando cioè il tentativo di conciliazione del presidente sia fallito, intanto uno ha già tentato di trovare accordo con il proprio coniuge dinnanzi alle fasi iniziali del presidente, poi se non ci si è riusciti , nulla è pregiudicato si può tirare fuori tutte le possibilità fino ad usare l’ arma finale in sede di giudizio introdotto dalle memorie integrative. La domanda di addebito, anche qui richiama nozioni di diritto sostanziale piuttosto significative perché se la separazione è addebitata ad uno dei coniugi ciò può incidere sulla misura dell’ assegno di mantenimento di uno dei coniugi ( essendo che il mantenimento è composto da più voci tra cui: risarcitoria, compensativa, assistenziale) e naturalmente se uno dei coniugi è stato trattato male nel senso che non è addebitabile a lui la separazione, potrà poi rivendicare piu soldi perche verrà a comporre il suo assegno se ne ha diritto anche in riferimento risarcitorio rispetto alla violazione di un diritto, violazione che non è addebitabile a lui ma all’ altra parte. E poi l’ addebito rileva ad altri effetti uno dei quali abbastanza divertente, il prof lo ricorda ai suoi clienti, se poi il cliente dovesse morire in corso di separazione sua moglie erediterebbe ma se ce l’ addebito invece no perchè interrompe il diritto alla successione del coniuge, questi sono gli elementi fondamentali sulla questione dell’ addebito. Ma potrebbero essere formulate anche nuove domande che sono di tipo risarcitorio, la giurisprudenza ammette che dalla violazione dei doveri coniugali possano nascere delle intese risarcitorie che non trovano corrispondenza nell’ assegno di separazione, pero per chi voglia approfondire queste tematiche si iscriva al corso di diritto di famiglia; a lui interessava evidenziare la funzione di queste memorie integrative e segnalarci che si ritiene che il vero e proprio processo inizia a pendere con il deposito delle memorie integrative, che quindi essendo di fatto, queste gli atti introduttivi del giudizio, rispetto ad esse non sono gia maturate preclusioni, prima non c’era nulla, c’è stata la fase presidenziale che è una fase di tipo pre-processuale quindi in relazione ad essa non maturano particolari preclusioni di decadenza, esse maturano a partire dal deposito degli atti introduttivi. Gli atti introduttivi sono le memorie introduttive in senso proprio del giudizio di separazione, poi il procedimento si sviluppa come ordinario giudizio di cognizione, è un procedimento devoluto alla competenza del tribunale in costituzione collegiale, con cio che ne comporta per esempio in tema di strutturazione delle fasi decisorie che è diversa rispetto a quella dei giudizi davanti al giudice monocratico. Il giudice in forma collegiale che lo decide, mentre invece la trattazione avviene davanti al giudice istruttore, contro la sentenza è previsto appello e poi ricorso per cassazione. Quindi questi procedimenti possono durare molti anni (3anni in 1 grado, 2anni in appello e in cassazione), prima di separarsi possono passare molti anni. In parte questo inconveniente viene superato dalla possibilità di chiedere una sentenza parziale di separazione che intanto dichiara che i coniugi sono separati e poi la guerra può continua per quanto riguarda gli aspetti economici all’ affidamento dei figli, che sono problematici, perche se ci pensiamo per giungere alla dichiarazione di separazione basta una cosa, che uno dei due alleghi l’ intollerabilità della prosecuzione della convivenza. E badate che questo è importante perche non si puo arrivare alla seconda fase, che vedremo la settimana prossima riguardante il divorzio, è vero che il termine per iniziare il procedimento divorzile si conteggia a partire dalla data dell’ udienza presidenziale. Prima 3 anni erano calcolati. Adesso è necessario l’ anno che trascorra tra la separazione e divorzio a partire dall’ udienza presidenziale, ma quello è il termine iniziale di conteggio che puo portare ad approdare al divorzio in tanto in quanto si abbia sentenza di separazione che sia passata in giudicato, quindi dopo un anno potenzialmente uno può divorziare, dopo un anno dall’ udienza presidenziale in cui (si è dimenticato di dirlo) tra l’ altro i coniugi sono autorizzati a vivere separati e si scioglie la comunione legale dei beni. Ma questo effetto è possibile in tanto in quanto la sentenza di separazione sia passata in giudicato, magari questo accadrà dopo parecchi anni. Quindi se da un lato dopo un anno posso fare il divorzio fin tanto che la sentenza di separazione sia passata in giudicato, questo puo avvenire dopo molto più tempo di un anno ed il divorzio non si può fare, per questo è stato inventato dalla giurisprudenza e poi recepita (decreto…) la possibilità di chiedere la sentenza parziale che intanto dichiari i coniugi “separati” per consentire che si passi alla seconda fase. Lui ha ancora altre cose da aggiungere sulla separazione ma continueremo la prossima settimana analizzando il procedimento di divorzio la cui spiegazione sarà più rapida perchè le forme sono simili, e analizzando poi il procedimento stragiudiziali che possono portare alla separazione ed al divorzio. Fino a qualche anno fa doveva intercorrere un periodo piuttosto significativo tra la separazione ed il divorzio, avrete letto sui giornali che è stato introdotto oggi il “divorzio breve” e questo tempo si è molto ridotto, dovrebbe essere ragionevole, e tra non molti anni si potrà vedere la scomparsa di questa articolazione tra separazione e divorzio. La volta scorsa stavo esaurendo il tema della separazione che concluderei oggi facendo qualche ulteriore piccola aggiunta. Poi tratterei del divorzio e delle procedure extra giudiziarie per la separazione e per il divorzio, che da un punto di vista pratico sono piuttosto importanti. La volta scorse c’eravamo arrestati nella trattazione della disciplina della separazione, in modo particolare nell’articolazione della fase presidenziale, cioè quella che si svolge davanti al presidente del tribunale per trovare una conciliazione tra i coniugi, addirittura una conciliazione che faccia venire meno il procedimento di separazione o più prosaicamente una trasformazione della procedura da giudiziaria a consensuale. Questa fase davanti al presidente è volta alla pronuncia dei cosiddetti provvedimenti provvisori d’urgenza nell’interesse dei coniugi che ,a dispetto della definizione un po’ minimalistica che vi ha attribuito il legislatore, sono assai importanti perché ́ tendono a dare un tono a tutto il procedimento successivo, e comunque a valere nelle more del procedimento, salvo possibile ma non frequente revoca del giudice istruttore che sia stato nominato per la trattazione della causa. Sono così tanto importanti questi provvedimenti provvisori ed urgenti, questi provvedimenti presidenziali, che il legislatore ha sentito la necessità di prevedere la reclamabilità davanti alla Corte d’appello. Insieme con i provvedimenti provvisori ed urgenti, come vi ho accennato la volta scorsa, il presidente del tribunale nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparazione davanti allo stesso. Il provvedimento di fissazione dell’udienza di comparazione davanti al giudice istruttore viene notificato, com’è normale, dalla parte attrice al convenuto che eventualmente non sia comparso. Se viceversa entrambe le parti hanno contraddetto dinanzi al presidente del tribunale ovviamente non ci sarà ̀ bisogno di una tale notifica poiché ́ il contraddittorio tra le parti si è già ̀ instaurato. Con l’ordinanza di fissazione dell’udienza il presidente assegna : -il termine al ricorrente del deposito in cancelleria delle memorie integrative rispetto al ricorso per separazione -il termine al convenuto per la costituzione in giudizio, dice la legge, nonché per la proposizione di eccezioni di merito. Questa previsione, cioè ̀ la concessione di un termine per il deposito di memorie integrative all’attore e soprattutto di un termine per il convenuto di costituirsi senza incorrere in preclusioni, è prevista anche per il giudizio ordinario in cui ,ricordate, che se il convenuto non si costituisce 20 giorni prima non ha la possibilità ̀ di formulare eccezioni processuali e di merito rilevabili d’ufficio durante la causa. Già ̀ da questa previsione si ricava che nell’intenzione del legislatore il processo di separazione inizia realmente a pendere solo con il deposito degli atti, della memoria integrativa e della memoria di costituzione del convenuto. La fase precedente in realtà ̀ è una mera fase di tipo preparatorio, diciamo così, una fase pre processuale. Questo ha conseguenze piuttosto importanti soprattutto dal lato dell’attore poiché ́ se è vero che il procedimento inizia realmente a pendere solo con il deposito della memoria integrativa questo significa che la memoria integrativa è il vero primo atto del procedimento e potranno, eventualmente, essere poste anche nuove domande. Di quali nuove domande parliamo? Alla fin fine in un giudizio di separazione si discute del vivere separati e non di altro. Ma in realtà ̀ non è così. Accanto alla domanda fondamentale che deve sussistere nell’ambito di un giudizio di separazione, cioè ̀ di dichiarare la separazione dei coniugi, ve ne sono altre importanti. Innanzitutto c’è: la domanda di corresponsione di un assegno di mantenimento per il coniuge maggiormente sfavorito dalla separazione. Ci può ̀ essere una domanda di addebito della separazione a uno dei due coniugi, poiché ́ è possibile che uno dei due ritenga che sia l’altro il responsabile del motivo della separazione. La sfavorito dalla separazione. Ci può ̀ essere una domanda di addebito della separazione a uno dei due coniugi, poiché ́ è possibile che uno dei due ritenga che sia l’altro il responsabile del motivo della separazione. La separazione deve comunque essere pronunciata quando sussistono i presupposti se è diventata intollerabile la convivenza o arreca pregiudizio anche in assenza di colpa di uno dei due coniugi. Pensate al caso nel quale un coniuge si ammala di una grave malattia mentale e l’altro coniuge, per quanto la cosa possa essere sgradevole vedendola con gli occhi del giudizio morale, chiede la separazione poiché ́ legittimamente può ̀ chiedere la separazione poiché ́ vivere con un matto è impossibile, vista anche l’assenza di colpe dell’altro coniuge. Oppure ci sono motivi obiettivi, abbiamo preso percorsi di incomunicabilità ̀ senza colpa di nessuno. Però può anche succedere che la separazione sia addebitabile a uno o e non all’altro coniuge che intrattiene una relazione extraconiugale e sicuramente può ̀ essere visto come colpevole della separazione. Ecco può ̀ essere avanzata una domanda di addebito. Questa domanda di addebito che se non proposta nel ricorso per separazione, nella memoria difensiva che può ̀ essere depositata dinnanzi al presidente del tribunale potrebbe essere considerata una domanda nuova e quindi inammissibile in un processo. In realtà ̀ la giurisprudenza ritiene che così non sia perché ́, per l’appunto, l’inizio del processo si viene a fissare con il deposito della memoria integrativa. La domanda di risarcimento del danno, conseguenza del comportamento contrario ai doveri matrimoniali dell’altro coniuge, potrebbe essere proposta per la prima volta in questa memoria, per quanto si discuta se ci possa essere la domanda risarcitoria che non sia assorbita dai provvedimenti economici e dall’assegno di mantenimento. Al di là della componente risarcitoria questa è una questione ampiamente dibattuta in diritto di famiglia sulla quale non possiamo soffermarci ampliante. Pero al di là della proposizione di domande nuove, pur sempre possibili, queste memorie integrative sono importanti in quanto portano al compiuto dispiegamento delle istanze istruttorie delle parti. Cioè ̀ nella pratica spesso avviene che si colga l’occasione per il deposito delle memorie e conseguenti memorie integrative, per arricchire il proprio armamentario probatorio, cioè ̀ per produrre nuovi documenti, nuovo materiale probatorio poiché ́ nel frattempo si è avuto il tempo, più ̀ tempo per andare alla ricerca di nuovi elementi che sono emersi dalla fase dinnanzi al presidente del tribunale. Con il che si apre un vero e proprio giudizio ordinario di cognizione. Generalmente con gli atti introduttivi si chiede anche al giudice istruttore di revocare o modificare i provvedimenti presidenziali che sono stati emanati prima. È facoltà ̀ del giudice istruttore, ma a meno che dalle memorie introduttive non emargino importanti elementi di novità ̀ che il presidente del tribunale non aveva potuto considerare, spesso e volentieri non ci sono novità ̀ di fatto e il giudice istruttore tende a confermare i provvedimenti presidenziali e quindi tendono ad avere efficacia per tutto il corso del procedimento che può ̀ essere lungo. E’ possibile anzi probabile che debbano ascoltarsi testimoni, che debbano esperirsi delle consulenze tecniche, per esempio in materia di affidamento di minori si ritiene che sia necessario affidarsi a esperti della materia. Vengono spesso chiesti e quindi, in sostanza, può ̀ darsi che il giudizio di separazione vada molto alle lunghe. È vero che nella pratica era emerso l’uso che poi è stato praticato in via legislativa di chiedere al giudice di pronunciare intanto sulla separazione lasciando i residui argomenti alla trattazione del giudice stesso. Vi dicevo, ciò era stato elaborato diciamo così, dalla pratica, dall’inventiva degli avvocati, ed era utile per ottenere comunque una sentenza che potesse consentire di iniziare successivamente il giudizio di divorzio. Ora tra gli effetti dello svolgimento dell’udienza presidenziale, dinnanzi al presidente del tribunale, lo citavamo l’alta volta, c’è quello che con i provvedimenti presidenziali il presidente autorizza, o per meglio dire, all’esito dell’udienza presidenziale, il presidente autorizza le parti a vivere separate. (il professore cerca l’articolo ). Forse sarà ̀ nelle disposizioni contenute nel codice civile. Uno studente afferma che si tratta dell’art. 191 del codice civile che però è lo scioglimento della comunione che è anche un effetto della separazione. In realtà questo effetto e’ implicito nell’art. 691 secondo comma che afferma che “nel caso di separazione la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati.” E questo vuol dire che il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati nella prima udienza e in quel momento si scioglie anche la comunione tra i coniugi, effetto questo qui rispetto al quale non c’è un nesso di implicazione necessaria, cioè si potrebbe anche pensare che la comunione dei coniugi si sciolga nel momento in cui viene pronunciata la sentenza di separazione dei coniugi. Anzi questo è ritenuto preferibile da taluni, i quali hanno osservato che la separazione è annotata nel registro dello stato civile e quindi sarebbe più congruo ricollegare l’effetto dello scioglimento della comunione a un evento a cui è dato pubblicità, se non altro con l’iscrizione. Solo che con la legge sul divorzio breve del 2015 il legislatore ha ritenuto di anticipare l’effetto della pronuncia di all’udienza presentando al presidente del tribunale un regolamento comune; oppure può anche darsi che in udienza non si arrivi ancora con l’accordo e che il giudice convinca le parti a raggiungere la situazione comune, se le parti sono molto vicine magari questo intervento del giudice è anche efficace, certo se sono molto vicine magari trovavano già un accordo per il tramite dei loro avvocati, però magari manca quell’ultimo pezzettino che il giudice riesce ad accorciare, unificando quindi le posizioni delle parti che erano per altro poco distanti tra loro. Altro tratto comune sta nel fatto che tanto nella separazione contenziosa quanto nella separazione consensuale, giunti all’udienza presidenziale, il giudice autorizza le parti a vivere separate; si determina l’effetto in virtù della disposizione che il vostro collega aveva prima opportunatamente ricordato dello scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi (i coniugi sono in comunione dei beni a meno che non avessero a suo tempo dato, contraendo matrimonio, regime della separazione dei beni). Dicevo, altro fatto comune è quello dell’autorizzazione a vivere separati, del conseguente scioglimento della comunione legale e dell’inizio a decorrere del termine per poter divorziare; queste sono tutte conseguenze che nascono dall’udienza presidenziale tanto se ci si trova di fronte ad una separazione contenziosa quanto se ci si trova di fronte ad una separazione consensuale. Poi dimenticavo, altro elemento comune tra la consensuale e la giudiziale è che il presidente del tribunale deve dettare la precisazione tra le parti, cioè che queste rinuncino a separarsi, ma io non ho mai visto coniugi che arrivati a questo punto si tirano indietro e rinunciano a separasi, in più l’adempimento è previsto dalla legge. Se tutti gli elementi ricordati fino ad ora sono elementi di analogia, se non addirittura di identità tra la separazione consensuale e quella giudiziale, l’elemento di differenziazione è dato dal fatto che (oltre che la separazione processuale può anche essere introdotta con ricorso unico ovvero da una memoria difensiva) a questo punto nella separazione giudiziale il presidente del tribunale adotta i provvedimenti provvisori urgenti ad interesse dei coniugi e della prole, nella separazione consensuale invece trasmette il verbale che recepisce le condizioni comuni che i coniugi hanno approvato, lo trasmette al Collegio del tribunale perché omologhi questi accordi. Il tribunale in composizione collegiale omologa questi accordi senza operare la valutazione di merito, con il solo limite che essi non possono essere contrari all’interesse della prole; cioè se i coniugi si mettono d’accordo per un certo regime della separazione, il tribunale non piò sindacare sul fatto che gli accordi siano effettivamente equi, se ho trovato quell’accordo i coniugi, a meno che uno non fosse in stato di incapacità. Invece ci sono delle differenziazioni: elemento dato dal fatto che a questo punto nella separazione giudiziale il presidente del tribunale adotta i provvedimenti provvisori ed urgenti. In quella consensuale invece trasmette il verbale che recepisce le condizioni comuni che i coniugi hanno trovato, le trasmette al presidente del tribunale perché omologhi questi accordi. Il tribunale in composizione collegiale li omologa senza operare valutazioni di merito, con il solo limite che essi non possono essere contrari agli interessi della prole. Cioè se i coniugi si mettono d’accordo per un certo regime della separazione, il tribunale non può sindacare sul fatto che gli accordi siano effettivamente equi, ma se hanno trovato quegli accordi, sul punto il tribunale non può entrare operando una sua valutazione. E però se questi accordi sono contrari all’interesse della prole, l’omologazione degli stessi può essere rifiutata dal tribunale e quindi il procedimento continua nelle forme contenziose. Come un procedimento iniziato nelle forme contenziose può convertirsi in un procedimento di separazione consensuale, anche il procedimento di separazione consensuale può evolvere nelle forme contenziose nel caso in cui il tribunale rifiuti l’omologa delle condizioni proposte dai coniugi. In realtà questo non lo dice l’art 711 cpc che si occupa della separazione consensuale, ma lo recita la corrispondente norma in materia di divorzio. E dal momento che le disposizioni in materia di divorzio si reputano applicabili alla separazione, in via interpretativa si deve raggiungere il risultato detto in precedenza. Naturalmente anche le condizioni della separazione consensuale possono essere revocate o modificate, qualora sussistano i medesimi presupposti che consentirebbero la revoca o la modifica di condizioni della sentenza di separazione. Esempio: io mi metto d’accordo con mia moglie per darle 2000 euro al mese di mantenimento, poi succede che per il dispiacere della separazione divento tossicodipendente e i carabinieri mi beccano mentre compro della droga e l’università mi licenzia, forse le mie condizioni economiche non mi consentono più di mantenere la moglie con quella cifra. Quindi è possibile chiedere al tribunale nelle forme camerali previste dall’art 710 cpc una revisioni delle condizioni della separazione, diventate eccessivamente gravose. Magari chiederò anche a mia moglie che mi ospiti a casa sua, per non dover più pagare l’affitto, ma con ogni probabilità lei si rifiuterebbe perché la ripresa della convivenza vale a significare la riconciliazione tra i coniugi e quindi il termine per divorziare si interromperebbe e non decorrerebbe più e quindi il passaggio della ripresa della convivenza è delicato perché sta a significare riconciliazione e quindi bisognerebbe ricominciare poi tutto dall’inizio. IL DIVORZIO Innanzitutto, mentre per addivenire alla separazione basta che la prosecuzione della convivenza sia divenuta intollerabile o di pregiudizio per l’educazione dei figli, per avere una pronuncia di una sentenza divorzio devono sussistere dei precisi presupposti di legge. Tra di essi, quello di più frequente invocazione nella pratica è l’essere decorso un certo lasso di tempo rispetto alla precedente separazione. Ora, ci sono anche delle strade direttissime per arrivare al divorzio, ma sono di non frequente riscontro nella pratica. Può essere un’ipotesi di presupposto di fatto che legittima l’immediata dichiarazione di divorzio il fatto che uno dei coniugi abbia realizzato dei fatti gravi di reato nei confronti dell’altro coniuge. Esempi: • Soggetto condannato a qualsiasi pena, per omicidio volontario di un figlio, ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio. • Coniuge condannato all’ergastolo, non per reati commessi in danno dell’altro coniuge. Perché se l’altro coniuge deve rimanere in carcere a vita viene meno uno dei presupposti fondamentali per continuare il matrimonio. • Ipotesi del matrimonio rato e non consumato. Qui ci sarà semmai un problema di prove. • Cambiamento del sesso di uno dei coniugi Con l’omicidio consumato del coniuge invece si parla di omicidio volontario e con la morte si determina ovviamente il divorzio per causa naturale. Nella grandissima maggioranza dei casi, la ragione necessaria e sufficiente è che sia trascorso un certo periodo di tempo dall’udienza presidenziale in cui i coniugi sono stati autorizzati a vivere separati. Perché dopo questa separazione si vede se i coniugi hanno o meno ancora la determinazione di porre fine al matrimonio. Non basta che sia decorso il termine dall’udienza, occorre però anche che la separazione sia stata pronunciata e non solo che vi sia stata la pronuncia dell’autorizzazione a vivere separati con una sentenza parziale di separazione. Qual è questo periodo di tempo? Fino al 2015 occorrevano 3 anni tra l’udienza presidenziale in sede di separazione e la proposizione del ricorso per divorzio oltre alla sentenza di separazione. Nel 2015 è stato introdotto il cd divorzio breve che significa che è possibile proporre la domanda di divorzio in un tempo molto più breve rispetto a quello di 3 anni. Il termine attualmente utilizzato è di 1 anno. E addirittura solo 6 mesi in caso di separazione consensuale. Lett b. del comma 3, parte seconda, art 3 della legge sul divorzio: “b) Se è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile. L'eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta.” Cioè 1 anno dalla presidenziale, in caso di separazione contenziosa e 6 mesi in caso di consensuale. Ora nel caso di consensuale non ci sono grandi problemi, sennonché i coniugi sono sottoposti ad un doppio stress: prima separazione e poi divorzio. Invece nella separazione contenziosa ci sono seri problemi, perché ́ si è legittimati ad iniziare il giudizio di divorzio quando il giudizio di separazione non si è ancora concluso. Perché ́ è vero che noi possiamo ottenere Invece nella separazione contenziosa ci sono seri problemi, perché ́ si è legittimati ad iniziare il giudizio di divorzio quando il giudizio di separazione non si è ancora concluso. Perché ́ è vero che noi possiamo ottenere una sentenza parziale di separazione, ma in 1 anno non si sarà ̀ chiuso il fronte del giudizio di separazione, con la pronuncia di una sentenza passata in giudicato relativa ai profili economici tra i coniugi e per la prole. Quindi abbiamo una situazione paradossale: è stato realizzato il divorzio breve, e nel senso che dopo 1 anno dall’udienza presidenziale si può ̀ iniziare il divorzio, ma sicuramente non si arriva ad una sentenza sulle condizioni economiche. E così abbiamo una situazione in cui c’è un giudizio di separazione che va avanti sui profili economici e già ̀ inizia un giudizio di divorzio che si conclude magari con una sentenza prima che il giudizio di separazione sia arrivato a termine. Mentre un tempo questa situazione era eccezionale, adesso questo potrebbe diventare la normalità ̀. Il che lascia sconcertati, perché questo sistema di separazione e divorzio diventa disfunzionale. E allora la sentenza di separazione diventa di scarsissima utilità perché coprirà un periodo di tempo molto esiguo. In effetti taluni tribunali si stanno orientando nella prassi in questa maniera: pronunciata una sentenza parziale di separazione e riscontrato che è stato iniziato il giudizio di divorzio, è invalso l’uso di non portare avanti il giudizio di separazione perchè tanto si verrebbe ad operare una duplicazione delle attività senza alcuna utilità, quindi si risparmia dell’attività processuale. I giudici della separazione almeno potranno dedicarsi ad altre attività. Ha ancora un senso mantenere separate le separazioni e i divorzi in presenza di un lasso di tempo così breve in cui i coniugi devono riflettere? Addirittura, solo 6 mesi nel caso di separazione consensuale. Non è un periodo di tempo così significativo per maturare chissà ̀ quale riflessione sulla decisione di aver interrotto il matrimonio. Ma queste sono considerazioni che porteranno il legislatore a ritornare sulla disciplina della separazione e sul divorzio. Ormai sono pochi gli ordinamenti che prevedono questa duplice fase: prima separazione e poi divorzio. Io sono combattuto perché ́ dico che da un lato non ha senso come ripartizione, però prendo anche una doppia parcella con il divorzio. Però spesso bisogna fare un prezzo di favore per amici e colleghi. Sulla struttura del processo di divorzio si può ̀ dire che è analoga tra la separazione e il divorzio. Le norme dell’uno vengono ritenute applicabili anche all’altra, quindi c’è una tendenza all’omogeneità ̀, ricavabile dalle espressioni testuali dalle interpretazioni. Vi è una distinzione in tema di competenza. Il giudice competente in entrambi i casi è il tribunale in composizione collegiale, con l’intervento necessario del pubblico ministero. Ciò che varia è la competenza per territorio. Nel 2005 il legislatore dettò una disciplina della competenza analoga per separazione e divorzio. Però questa previsione legislativa a me non sembrò razionale: cioè ̀ è razionale prevedere come giudice competente per la separazione il giudice dell’ultima residenza del coniuge, perché ́ la coabitazione è uno dei doveri che discendono dal matrimonio, quindi deve essere un giudice vicino alle parti che litigano, perché ́ i coniugi vivono insieme. A me che qualcosa non tornasse mi è balzato all’occhio da un’esperienza pratica in cui si è rivolto a me per divorziare un calabrese che si era sposato in Calabria, si erano separati in Calabria, poi lui era andato ad Aosta e lei a Pinerolo. A quel punto dove si sarebbe dovuto fare il divorzio? Paradossalmente in Calabria che era scomodo per tutti quanti. Nel frattempo, un giudice ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della disposizione, nella parte in cui prevedeva che il giudice competente per il divorzio fosse quello dell’ultima residenza, osservando che con la separazione i coniugi avrebbero potuto fissare la nuova residenza in posti lontani dalla residenza comune. La Corte costituzionale, sulla base della sua ragionevolezza, considerando che la Corte ritiene immanente il principio di trattamento uguale di situazioni uguali e diverso di situazioni diverse, ha affermato l’illegittimità costituzionale di questa disposizione. Prevedendo quindi che per effetto di questa abrogazione, risorgessero i criteri generali. Per cui in caso di divorzio, la competenza in virtù di questa pronuncia costituzionale è del giudice del luogo dove ha la residenza il coniuge convenuto in giudizio. Il diritto è bello perché consente delle riflessioni e l’espressione di opinioni diverse. E quindi devo dire che io sono sempre stato convinto che la Corte costituzionale abbia operato eccezionalmente bene, perché ha risolto un problema che mi ero posto, tanto che quel divorzio è stato fatto a Pinerolo. Leggendo però uno dei vostri manuali (il Luiso) ho trovato un’opinione contraria, ossia era meglio la situazione precedente. È stato fatto un ragionamento che mi ha fatto riflettere: in questa maniera si consente il forum shopping. Non è un mistero che non tutte le corti decidono le questioni allo stesso modo. Vi sono corti che sono più generose nel riconoscere assegni di mantenimento. Talvolta, mettersi nella condizione di far radicare la è possibile procedere alla separazione o al divorzio tramite una procedura di negoziazione assistita. Vi ricordo che il procedimento di negoziazione assistita è quello che porta alla formazione di un titolo esecutivo attraverso una procedura formalizzata dalla legge che si svolge tramite l’intermediazione di due avvocati. In taluni casi, il previo esperimento della procedura di negoziazione assistita è obbligatorio. Tale modalità alternativa può essere adottata in tutti i casi, cioè non soffre delle limitazioni di cui soffre il procedimento di separazione e di divorzio dinanzi all’ufficiale di stato civile. La negoziazione assistita si può fare in tutti i casi in cui la negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio è alternativa alle procedure giurisdizionali. La procedura di negoziazione assistita infatti può svolgersi anche in presenza di figli minori o affetti dalle limitazioni che vi avevo detto in precedenza, e anche prevedendo patti di trasferimento patrimoniale. Nel caso che è accaduto a me di questa coppia che si voleva separare, io ho suggerito di fare una negoziazione assistita, ma non solo perché c’erano dei figli non autosufficienti, ma anche perchè i coniugi erano in una di quelle situazioni che vi ho detto prima: avevano una casa in comproprietà e bisognava assumere delle determinazioni sul destino di questo bene in comune. La presenza o meno dei figli comporta una divaricazione nell’ambito del procedimento di negoziazione assistita gli avvocati abbiano raggiunto un accordo tra i coniugi, se non ci sono figli minori o non autosufficienti l’accordo viene poi depositato presso la Procura della Repubblica ai fini della concessione del nulla osta: mancando figli da tutelare, ci si limita a controllare la regolarità formale degli atti; se ravvisa la regolarità, concede il nulla osta e una volta che l’accordo abbia il nulla osta in questione, gli avvocati lo trasmettono all’ufficiale di stato civile per la trascrizione nei registri dello stato civile; se l’avvocato non lo fa, è soggetto ad una multa da 2.000 a 10.000 €. Se esistono invece figli minori o maggiorenni ma portatori di handicap o economicamente non autosufficienti, la procedura di negoziazione assistita è la stessa e si conclude con un accordo autenticato dagli avvocati; ma invece che sottoporlo al Procuratore della Repubblica per il nulla osta, lo si sottopone al Procuratore della Repubblica per l’autorizzazione, che è del tutto simile alla omologa; il PM non si limita a controllare la regolarità formale, ma controlla anche se viene leso l’interesse dei figli. Io non ho mai compreso perchè il legislatore abbia operato questa distinzione, ma così è: il PM verifica che non ci siano irregolarità formale e che l’accordo risponda all’interesse dei figli non autosufficienti (in sostanza, il PM fa quello che viene fatto dal collegio del tribunale con l’omologa); se tutto va bene, la cosa finisce lì, e l’avvocato deve trasmetterlo all’ufficiale di stato civile. Se il PM ravvisa che l’accordo non è congruente rispetto all’interesse dei figli, nel caso in cui i presupposti di legge non vengano rispettati, gli esiti sono più complessi: rispetto alla separazione e al divorzio dinanzi all’ufficiale di stato civile: innanzitutto, nulla è previsto nel caso in cui il PM non ravvisi l’esistenza dei requisiti di regolarità formale; in questo caso il PM deve limitarsi a rifiutare l’accordo; nel caso in cui invece l’accordo sia regolare dal punto di vista formale ma il PM ravvisa che l’accordo non è congruente rispetto all’interesse dei figli, tale accordo deve essere trasmesso entro 5 giorni al Presidente del tribunale (art. 6, comma 2, della legge sulla degiurisdizionalizzazione). Questo articolo ha dato luogo a parecchia confusione, perchè non si capisce cosa debba fare il Presidente del tribunale. Ci sono diverse soluzioni interpretative: si può pensare che il Presidente tenti di far convergere le parti verso una separazione o un divorzio consensuale; secondo una seconda corrente interpretativa, sì, si può addivenire in sede di udienza presidenziale ad una separazione o divorzio consensuale, ma a soluzioni diverse da quelle già rifiutate dal PM; una terza interpretazione è quella per cui se i coniugi insistono nelle condizioni già prospettate al PM e da esso rifiutate, il Presidente del tribunale non possa trasmettere al collegio per l’omologa ma debba per forza di cose far evolvere la procedura in una procedura di divorzio non consensuale ma contenzioso, situazione a cui comunque si approderebbe nel caso in cui l’omologa venisse rifiutata. Cè quindi un ventaglio di soluzioni piuttosto ampio, rispetto a cui non è facile decidere: tutte queste interpretazioni sono possibili. Secondo me è giusto pensare che i coniugi possono insistere nelle condizioni che avevano sottoposto al PM, anche perchè se non possono insistere il procedimento dovrebbe per orza di cose interrompersi e ricominciare da capo. Una volta che noi riteniamo che le parti possano insistere nelle loro posizioni, è difficile dire se il Presidente del tribunale debba subito nominare il giudice istruttore e quindi far proseguire il procedimento come contenzioso oppure se debba mandare questi accordi all’esame del collegio e poi eventualmente se il collegio rifiuta l’omologa il procedimento si convertirà in giudiziale. Secondo me questa seconda è l’interpretazione più corretta, perchè io non credo nella infallibilità dei pubblici ministeri. Non possiamo dare per scontato che il collegio del tribunale non le avrebbe omologate e quindi non possiamo imporre che il presidente faccia approdare le parti ad un procedimento contenzioso. Sono tutte considerazioni interessanti ma che in pratica sono meno importanti di quanto appaia, perché se il PM si è espresso in senso negativo è probabile che le parti quando vanno dinanzi al Presidente del tribunale modificano un pochettino le condizioni rispetto a quelle non approvate dal PM. E allora a quel punto si arriverà ad un accordo di separazione o di divorzio che il Presidente del tribunale trasmetterà a cuor leggere al collegio per l’omologa. Qualche ulteriore considerazione riguardo a questo procedimento di negoziazione assistita: sicuramente è un procedimento che ha presupposti di ammissibilità rispetto al procedimento dinanzi all’ufficiale di stato civile; non soffre di limitazioni di sorta. In quali difetti incorre? Sicuramente è più costoso di quello dinanzi all’ufficiale di stato civile, ove il difensore non è necessario e se compare ha un ruolo marginale; è più costoso perchè prevede la presenza di due avvocati che bisogna pagare. Cosa che nella separazione consensuale è frequente ma non è indispensabile, perchè può esserci anche un solo avvocato. Qualche parola sugli altri procedimenti in materia di famiglia, contenuti tutti quanti in un medesimo Capo. Quelli di gran lunga più importanti sono i procedimenti di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno. L’interdizione comporta la completa incapacità del soggetto interdetto dal compiere negozi giuridici; l’inabilitazione comporta una sua mera limitazione, nel senso che questo soggetto potrà compiere negozi giuridici ma dovrà avere l’assistenza di un tutore per perfezionarli; l’amministrazione di sostegno è più complicata, nel senso che predispone un vero e proprio regolamento di atti che l’assistito può compiere o non compiere autonomamente o con l’eventuale assistenza dell’amministratore di sostegno. Il procedimento di interdizione e di inabilitazione si caratterizza per una struttura particolare, descritta dall’articolo 712. La legittimazione attiva è molto ampia, nel senso che è attribuita a chiunque vi abbia interesse, addirittura anche il PM. Questo ricorso deve essere comunicato al PM, che è parte necessaria del procedimento di interdizione o di inabilitazione. L’articolo 713 è interessante perchè prevede che se il PM gliene fa richiesta, il Presidente può con decreto rigettare senz’altro la domanda. C’è quindi una sorta di filtro, nel senso che il PM può chiedere l’immediato rigetto del ricorso e, se richiesto in questo senso dal PM, il Presidente può rigettare la domanda. Perchè è previsto questa sorta di filtro in limine litis? Perchè evidentemente a nessuno fa piacere di ricevere un ricorso per interdizione o inabilitazione. Una particolarità è che esiste una possibilità di passerella rispetto a provvedimenti diversi rispetto all’interdizione o all’inabilitazione. Cioè, è possibile che il procedimento inizi con la richiesta di interdizione o inabilitazione e si concluda con un provvedimento di amministrazione di sostegno, come è anche possibile il contrario, seppur meno frequentemente. Questa possibilità di interscambio è stata prevista dalla legge che ha introdotto l’amministrazione di sostegno, che è una legge molto posteriore al codice civile. Ci eravamo riservati di definire alcuni aspetti che erano rimasti da trattare sul tema dell’interdizione e inabilitazione. Come ricorderete, la domanda di interdizione e inabilitazione si propone per ricorso ed è competente in materia il tribunale del luogo ove risiede la persona contro la quale è stata proposta istanza di interdizione o inabilitazione. Il ricorso deve contenere i soliti elementi ex art. 125 cpc. Devono essere indicati i fatti su cui la domanda è fondata e i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado e il coniuge o il convivente di fatto, nonché il tutore o il curatore dell’interdicendo o dell’inabilitando. La settimana scorsa a dire il vero vi avevo detto che la domanda può essere proposta da chiunque vi abbia interesse, però l’ho detto indotto dalla considerazione che la domanda può essere altresì proposta dal PM. Questo infatti è uno dei casi in cui il PM è legittimato a introdurre il procedimento. Tuttavia, a ben vedere non è proprio così, perché ieri ripassando la normativa in materia mi sono accorto che c’è una simmetria fra i soggetti da indicare nel ricorso per interdizione e inabilitazione e i soggetti che possono proporre la domanda. Se andiamo a leggere le disposizioni del cc in materia di interdizione e inabilitazione (art. 414 ss. cc), vedremo che l’istanza di interdizione o inabilitazione può essere proposta, ex art. 417, dal coniuge, dalla persona convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo, ovvero dal PM. Quindi da tutti quei soggetti che devono necessariamente essere indicati nel ricorso e in più dal PM. Il fatto che l’istanza sia proponibile anche da quest’ultimo fa sì che la legittimazione delle persone sopra elencate sia debole, poiché qualunque interessato può sollecitare il PM ad esercitare l’azione e ! di fatto chiunque, se trova l’ascolto del PM, può azionare questo meccanismo. Procedimento Il presidente delibera l’istanza di interdizione o inabilitazione dopo aver sentito il PM. Tuttavia, se questi gli chiede di respingerla, il presidente provvede con decreto di rigetto (decreto perché il presidente del tribunale provvede senza sentire altre persone). Se il presidente non rigetta immediatamente la domanda, fissa l’udienza di comparizione davanti a lui e ne dà comunicazione al ricorrente e alle altre persone indicate nel ricorso se lo ritiene utile (parenti e affini ovvero il coniuge), nonché, sempre se lo ritiene, a tutte le persone indicate nel ricorso stesso come informate sui fatti. All’udienza di comparizione il giudice istruttore esamina l’interdicendo o l’inabilitando, sente il parere delle altre persone convocate e può disporre d’ufficio l’assunzione di ulteriori informazioni, esercitando la facoltà di ammettere d’ufficio tutti i mezzi di prova ex art. 419 cpc. Tale art., dettato nell’ambito del processo del lavoro, è stato in realtà scarsamente usato in quella materia, per non allontanarsi dalla posizione di terzietà che è propria del giudice, mentre invece è molto usato in questa materia. Ciò è abbastanza naturale se si considera che nel processo del lavoro entrambe le parti (per quanto poste in posizione diseguale) sono in grado di difendersi da sole, mentre in questo caso abbiamo da un lato un supposto incapace e dall’altro lato una persona, il ricorrente, spesso mosso da interessi patrimoniali o comunque bene agguerrita. Che succede se l’interdicendo o l’inabilitando è conciato così male da non poter nemmeno comparire a giudizio davanti al giudice istruttore? In questo caso il legislatore specifica che il giudice, con l'intervento del PM, si reca per sentirlo nel luogo dove si trova. L’interdicendo e l’inabilitando possono stare in giudizio e compiere gli atti del procedimento anche quando il giudice ha accertato che il soggetto è privo della capacità naturale (! evidentemente non è ancora stato privato di quella legale perché il processo è in corso) e gli ha nominato un curatore speciale, che normalmente è incaricato di compiere gli atti al posto della parte. In questo caso, la particolarità sta nel fatto che in tale processo l’interdicendo o inabilitando cui sia stato nominato un curatore speciale per una sua ritenuta incapacità naturale continua a conservare il potere di compiere gli atti del procedimento, soprattutto per quanto riguarda l’impugnazione dell’ordinanza di interdizione o inabilitazione. Ciò è ovviamente previsto a tutela della persona interessata dall’interdizione o dall’inabilitazione. Diversamente, sarebbe troppo facile interdire o inabilitare la persona. Trattandosi di un procedimento in materia di famiglia, la sentenza con cui si conclude il procedimento è allo stato degli atti. Il provvedimento di interdizione o inabilitazione, infatti, può sempre essere revocato, perché può darsi che l’incapace naturale riacquisti la capacità. Non è frequente, ma non è detto che non avvenga se il soggetto viene adeguatamente curato. In tal caso, sarà proposto un ricorso per revoca se il giudice ne ravvisa le condizioni. Tuttavia, a differenza che per i procedimenti in materia di separazione, divorzio e affidamento dei figli, non c’è un procedimento semplificato in camera di consiglio. IL PROCEDIMENTO DI AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO – Libro IV, titolo II (art. 720-bis) Introduzione Per quanto riguarda l’amministrazione di sostegno, l’istituto è profondamente diverso rispetto all’interdizione o inabilitazione. Se confrontate le disposizioni di interdizione e inabilitazione con quelle di amministrazione di sostegno ve ne rendete conto. Quelle di interdizione e inabilitazione contenute negli art. 414 ss. del cc impediscono all’interdetto o inabilitato di compiere qualsiasi attività giuridica, salvo quelle espressamente previste dalla legge (in particolar modo, in caso di inabilitazione è consentito all’inabilitato – che ha un grado di deboli, perché per la loro struttura consentono di intraprendere solo un’esecuzione forzata per il pagamento di somme di denaro. In quei casi, per intenderci, potrò solo intimare al debitore di pagare la cambiale, non espropriargli la casa. Per i titoli di credito, questa minore efficace dipende dalla loro stessa natura. Al contrario, nella scrittura privata autenticata si potrebbe scrivere di tutto, anche un’obbligazione di fare (costruire un muro, scrivere un libro, rilasciare un immobile), ma la loro limitazione al pagamento di obbligazioni di denaro dipende da una scelta del legislatore, non dalla loro intrinseca natura. Quanto agli atti pubblici (es. un titolo notarile), invece, essi consentono qualsiasi tipo di esecuzione forzata al pari dei titoli esecutivi giudiziali. Tuttavia, la differenza fra titoli giudiziali e stragiudiziali si distingue in ordine alla loro forza solo in misura limitata, ma la reale differenza sta nel fatto che i titoli giudiziali hanno anche un contenuto di accertamento, di cui sono privi i titoli stragiudiziali. Ciò consente a chi subisce un’esecuzione forzata sulla base di un titolo stragiudiziale di contestare il merito della pretesa = di contestare che sussista realmente il debito, possibilità non data per i titoli giudiziali. Infatti, il debitore esecutato non potrà contestare che il titolo giudiziale non rappresenti esattamente il credito. Le contestazioni circa l’esistenza del credito dovranno essere svolte in sede giudiziaria. Se c’è un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, già nella fase monitoria, e se sulla base di questo è iniziata esecuzione forzata, il debitore esecutato non potrà, in sede di esecuzione forzata, dire che la somma che gli è stata ingiunta non la deve pagare, ad es. per il fatto di non essere mai stato in rapporto di debito-credito con il soggetto che gli ha notificato il decreto ingiuntivo. Questa contestazione dovrà semmai farla semmai in sede giudiziale. Idem se c’è una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva che mi condanna al pagamento di una somma e sulla base di essa viene iniziata esecuzione forzata. E così in relazione a tutti i titoli esecutivi giudiziali suscettibili di un rimedio come il reclamo o le impugnazioni, fino a quando non si raggiunga lo stadio del giudicato. Quando il provvedimento passa il giudicato, non potranno più essere fatte contestazioni circa il suo contenuto = circa il fatto attestato. Non potevano essere fatte in sede di esecuzione perché ogni contestazione deve svolgersi in sede giudiziale, e a maggior ragione non possono essere fatte neppure dopo il passaggio in giudicato. Ciò spiega perché un titolo esecutivo giudiziale sia considerato qualcosa di più solido rispetto a un titolo stragiudiziale, ossia per l’obbligatorietà della contestazione in sede giudiziale. Viceversa, le contestazioni sul titolo stragiudiziale possono essere fatte per l’appunto già in sede esecutiva. Se viene presentata una scrittura privata in cui si prospetta il pagamento di una somma, il debitore esecutato potrà proporre un incidente di cognizione in sede esecutiva e affermare che in realtà non deve alcun pagamento, perché ad es. quell’obbligazione è contenuta in un contratto nullo per contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Tanto i titoli esecutivi giudiziali quanto quelli stragiudiziali possono essere contestati circa il merito di ciò che rappresentano, anche dopo il passaggio in giudicato, se si deduce che dopo la loro formazione siano avvenuti fatti nuovi, anche se questi non potrebbero più essere fatti valere in sede giudiziale per la preclusione del giudicato. Se ad es. una sentenza prevede che io venga condannato al pagamento di una somma, posso contestarla impugnandola in appello. Però può darsi che mi lasci sfuggire i termini per appellare, oppure che ritenga poco probabile una riforma di tale sentenza, e dunque non proponga appello. La sentenza passa in giudicato per decorrenza dei termini per impugnare (6 mesi dalla sua pronuncia oppure 30 gg dalla notificazione della stessa, se una parte l’ha notificata all’altra) ed io pago la somma dovuta. A quel punto, può capitare che sopravvenga un fatto che ha portato ad estinguere l’obbligazione rappresentata in quel titolo e ! io posso farlo valere in giudizio nonostante la sentenza sia già passata in giudicato. Prima di entrare nei dettagli del processo di esecuzione, mi sembra utile operare una panoramica sui vari procedimenti esecutivi che sono esperibili. Il libro III infatti disciplina più procedure esecutive volte al soddisfacimento di diversi tipi di obbligazione. Nell’indice del libro III, vediamo che il titolo I è dedicato al titolo esecutivo o al precetto, atti che debbono precedere l’esecuzione in senso stretto, quindi preparatori rispetto al processo. La loro disciplina vale per tutti i tipi di processo esecutivo disciplinati in questo libro. Andiamo ora a vedere i singoli processi di esecuzione: si distingue fra espropriazione forzata da un lato, ed esecuzioni in forma specifica dall’altro. L’espropriazione forzata è un processo di esecuzione particolare disciplinato nel titolo II del cpc. Nel titolo III e IV sono disciplinate due esecuzioni in forma specifica, che sono l’esecuzione per consegna o rilascia e l’esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare. Qual è la differenza fra espropriazione forzata ed esecuzione in forma specifica? Che l’espropriazione forzata è volta a dare esecuzione coattiva alle obbligazioni di pagamento di somme di denaro, mentre l’esecuzione in forma specifica sono volte a dare esecuzione in via coattiva ad altre obbligazioni, quali per l’appunto la consegna, il rilascio, gli obblighi di fare e gli obblighi di non fare. La struttura del procedimento di espropriazione forzata, essendo volto al pagamento di somme di denaro, è molto più complessa rispetto a quella dei procedimenti di esecuzione in forma specifica perché normalmente prevede una doppia fase: una fase di pignoramento dei beni o dei crediti del debitore e una successiva fase di assegnazione o vendita degli stessi. Dunque, comporta la monetizzazione dei beni o dei crediti del debitore esecutato, ovvero la loro assegnazione al creditore. Al contrario, nelle esecuzioni in forma specifica c’è un soddisfacimento diretto del creditore procedente mediante assegnazione diretta. Se io ho un credito X nei cfr di Tizio, per ottenere la mia soddisfazione in forma coattiva dovrò avviare un procedimento complesso: dovrò vedere se il mio debitore ha dei beni, poi pignorarglieli e poi farglieli vendere, oppure farmeli assegnare (scelta rara, perché bisognerebbe trovare dei beni che mi vadano bene e che siano del valore per cui procedo, altrimenti dovrò dare un conguaglio al mio debitore, cosa in genere poco apprezzata). Solo a quel punto ottengo la mia soddisfazione. [Certo, potrei essere così fortunato da trovarmi in una situazione in cui l’ufficiale giudiziario si reca a casa del debitore e trova un mucchio di banconote sotto il materasso da poter direttamente dare al creditore procedente, ma questi eventi non si verificano mai.] Più speditamente si procede nei processi di esecuzione in forma specifica. Se io ho diritto ad ottenere la consegna di un bene, l’ufficiale giudiziario lo recupera e me lo consegna. Se ho diritto a che venga rilasciato l’immobile, l’ufficiale giudiziario vi si reca e lo sgombera. Se si deve ottenere un’obbligazione di fare o non fare, l’ufficiale – se può sostituirsi al debitore – adempie lui stesso alle obbligazioni di fare (es. abbattere un muro) oppure, quando ciò sia possibile, impone al debitore il buon fare. All’interno dei procedimenti di espropriazione forzata, il legislatore opera ulteriori suddivisioni dovute alla natura del bene pignorato, che può essere un bene o una pluralità di beni mobili, ovvero un bene immobile. Ecco, l’espropriazione forzata di beni mobili ovvero di crediti è diversa rispetto all’espropriazione di immobili, perché la seconda è più complicata e onerosa (il creditore procedente deve anticipare spese che poi gli verranno rimborsate quando soddisferà il credito), anche se a ben vedere è l’arma atomica finale, quella che consente di vincere la guerra. Talvolta capita di leggere sui giornali pignoramenti di mobiletti in radica, di idromassaggi, di sedie… Capite che in quei casi prima di soddisfare il credito ce ne va. L’immobile pignorato, invece, prima o poi verrà venduto e il debitore comincerà a preoccuparsi perché la situazione si fa seria. Il pignoramento si realizza in forme differenti nell’un caso e nell’altro. Nell’ambito dell’espropriazione forzata mobiliare, dobbiamo ulteriormente distinguere due procedure: quella dove ad essere pignorati sono i beni mobili nella disponibilità del debitore, ad es. i mobili di casa, così mi vendico anche (espropriazione mobiliare presso il debitore) e quella dove ad essere pignorati sono i beni di proprietà del debitore ma detenuti da terzi in virtù di un titolo giuridico, ovvero dei crediti che il debitore ha nei confronti di un terzo (che è quindi debitore del debitore esecutato). In questo caso c’è una disciplina apposita (espropriazione mobiliare presso terzi oppure espropriazione di crediti) e il terzo va sempre sentito, perché bisogna essere sicuri che – ancorché presso terzi – il bene sia del debitore esecutato. Se pignoro la fotocopiatrice che sta nello studio di un avvocato perché sono creditore della società di leasing che ha dato a quell’avvocato la locazione finanziaria del bene, riservandosene la proprietà, devo sentire l’avvocato se per caso nel frattempo non abbia riscattato la fotocopiatrice, diventandone proprietario, o se effettivamente la fotocopiatrice sia ancora della società di leasing. Se si intende pignorare un credito, bisognerà sentire il terzo debitore del mio debitore. Mi spiego: se voglio pignorare lo stipendio del mio debitore, farò un’esecuzione per espropriazione di crediti (in questo caso del credito che il mio debitore vanta nei confronti del suo datore di lavoro, che gli è debitore rispetto al pagamento dello stipendio mensile). Evidentemente quel datore di lavoro dovrà essere sentito, perché magari il rapporto di lavoro si è interrotto e dunque quell’obbligazione di pagamento non sussiste. Vedete come all’interno dell’espropriazione forzata mobiliare sono necessarie queste distinzioni ulteriori. Ricapitolando, nel titolo I ci sono gli atti prodromici rispetto a qualsiasi titolo di esecuzione, nel titolo II l’esecuzione forzata (con la sua distinzione interna), nel titolo III c’è invece un primo tipo di esecuzione forzata in forma specifica, l’esecuzione per consegna o rilascio (che riguarda la consegna di un bene mobile o il rilascio di un bene mobile), nel titolo IV abbiamo la disciplina dell’esecuzione forzata relativa agli obblighi di fare e non fare e nel titolo IV-bis, introdotto di recente, si prende in considerazione il caso in cui si debba eseguire in via coattiva un’obbligazione di fare infungibile o di non fare. Se l’obbligazione ha ad oggetto un fare infungibile, non si può attuare l’obbligazione in via coattiva nelle forme dell’esecuzione in forma specifica perché l’ufficiale giudiziario non può sostituirsi al debitore (es. l’obbligazione di scrivere un libro, di cantare a La Scala, di realizzare un’opera d’arte). In quel caso, l’operato di uno non equivale a quello di un altro, e così anche per le obbligazioni di non fare (anche se alcune di esse possono essere realizzate in via coattiva impedendo il fare corrispondente attraverso certi accorgimenti, ad es. impedendo – in forza di una sentenza - il passaggio nel proprio fondo attraverso determinati espedienti, anche se è un caso di scuola senza riscontri giurisprudenziali perché è difficile da realizzare). In questi casi o l’esecuzione in forma specifica è del tutto inefficace oppure è largamente ostacolata. Ecco il perché dell’introduzione del titolo IV-bis, intitolato “Misure di coercizione indiretta”. Nel caso dell’obbligazione di cantare a La Scala, posso prevedere una quota da pagare per ogni giorno di ritardo nell’inadempimento. Così l’obbligazione infungibile si tramuta in una obbligazione pecuniaria, coercibile attraverso le forme dell’espropriazione forzata. Il meccanismo è piuttosto efficace, tant’è che il legislatore – dopo una prima fase di incertezza – ha reso possibile l’applicazione di questo meccanismo anche ad obbligazioni di fare fungibili (abbattere un muro, tagliare una siepe, etc.). E’ vero che in quei casi ci si potrebbe rivolgere all’ufficiale giudiziario, ma è più facile agire in questa forma alternativa. Dopo le misure di coercizione indiretta, nel titolo V sono disciplinate le impugnazioni, ossia le contestazioni mosse nei confronti di chi ha dato luogo all’esecuzione forzata. Abbiamo già accennato qualcosa a proposito della più ampia possibilità di impugnare titoli giudiziari. L’ultimo titolo, il titolo VI, è dedicato alla sospensione ed estinzione del processo esecutivo. Dopo la panoramica di ieri sul libro III, oggi si esaminano i vari argomenti accennati ieri. TITOLO I (disposizioni comuni ai vari procedimenti di esecuzione forzata) Riguardo al titolo esecutivo: In merito al titolo esecutivo ne esistono due tipi: giudiziali e stragiudiziali, entrambi danno luogo a processo esecutivo ma alcuni di essi hanno efficacia minore come si è detto ieri. Diversa efficacia dei titoli: giudiziari (forma di accertamento nell’ambito della procedura giudiziaria e quindi se si vuole contestare quanto nel titolo e esistenza reale del diritto rappresentato, bisognerà contestare in sede giudiziale) e stragiudiziali (la contestazione si può operarsi anche tramite opposizione all’esecuzione) . Per iniziare esecuzione forzata è necessario e sufficiente avere un titolo esecutivo, questo titolo esecutivo pero deve essere per un diritto certo, liquido ed esigibile. E’ necessario e sufficiente avere un titolo esecutivo per iniziare una esecuzione forzata ma nella misura in cui il diritto in questione sia un diritto certo liquido esigibile. Con questa formula il legislatore ha inteso dire che il titolo esecutivo deve rappresentare in maniera chiara un diritto. Non è che deve essere incontestabile, cosa cui farebbe alludere la qualità della certezza né che debba essere per una somma determinata di denaro (perché il titolo esecutivo può essere anche per un obbligo di fare); in realtà il legislatore vuole dire che il titolo esecutivo deve contenere un diritto che sia chiaro (in questo senso ecco perché il legislatore utilizza l’aggettivo certo e liquido). E’ possibile infatti trovarsi di fronte a documenti (titoli esecutivi: sentenza, atto pubblico, scrittura privata) ma che non individuano in maniera certa e liquida il diritto. Quei titoli esecutivi non sono utilizzabili perché hanno solo le caratteristiche formali ma non sostanziali del titolo esecutivo, e quindi anche se esistono non possono dar luogo ad esecuzione forzata. Inoltre il diritto che è rappresentato nel titolo esecutivo deve essere Esigibile; se è sottoposto a termine non ancora scaduto o a condizione non ancora realizza ovviamente non si potrà procedere ad esecuzione forzata. (nel scrittura privata si scrive che nel 2020 si dovrà restituire 100 euro, titolo esecutivo solo quando se autorizzato dal giudice può essere imposto anche ai creditori. Nonostante questi istituti molto favorevoli ai debitori se ne è fatto un uso molto limitato. Per incentivarne la conoscenza e quindi applicazione il legislatore ha previsto che il creditore nell’atto di precetto debba avvertire il debitore che volendo può ricorrere a questi istituti per far si che la sua situazione di sovra-indebitamento venga risolta. E’ un istituto che non garantisce uno sconto sempre ma ci vuole il fatto che il debitore non riesca proprio a far fronte ai suoi debiti. Il precetto diventa inefficace se entro 90 giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione. Dopo aver notificato il precetto si hanno 90 giorni per iniziare esecuzione, se no scade. Si può fare un altro precetto se quello di prima era scaduto (perdita di tempo e più spese). Il precetto, Istituto che è sempre positivo e sempre utile? c’è un rischio evidente perché il debitore potrebbe far sparire i beni e cautelarsi in altri modi (venderli) prima che i suoi beni siano colpiti dal pignoramento. Anche se non è che è facile far sparire in beni in poco tempo (immobile). Più facile con conti correnti, automobile (anche se, se si tratta di tali beni potrebbero prima già essere stati sequestrati) Art 482 consente di sventare il rischio derivante dalla notifica preventiva del precetto chiedendo al presidente del tribunale autorizzare l’esecuzione immediata. Questa autorizzazione di procedere immediatamente in via esecutiva viene data dal presidente del tribunale in calce al precetto che poi verrà notificato contestualmente all’inizio dell’esecuzione o addirittura in un momento successivo. Istituto poco frequente perché non è facile per il debitore correre in difesa dei suoi beni, se ci sono situazione di pericolo spesso sono già state cautelate (con sequestri o altre misure) e al di la della notificazione del precetto già che ci sia titolo esecutivo giudiziale è già un campanello d’allarme per il debitore che si potrebbe muovere per tempo, prima della notifica del precetto, senza utilizzare quei 10 giorni che gli vengono dati dalla notifica del precetto. Questi erano gli atti preliminari all’esecuzione. (discorso esaurito) Può iniziare l’esecuzione forzata in senso stretto. Noi affronteremo l’argomento iniziando dall’espropriazione forzata mobiliare presso il debitore. Inizia con il pignoramento da parte dell’ufficiale giudiziario (UG) di uno o più beni mobili del debitore che l’UG cerca presso l’abitazione del debitore ovvero in luoghi sotto il dominio del debitore. Il pignoramento viene sollecitato sulla base di un’istanza del creditore, (dopo aver notificato il titolo esecutivo e il precetto, dopo che siano decorsi i 10 giorni dalla notificazione del precetto), il creditore può fare istanza all’UG (che è il soggetto che compie gli atti del procedimento esecutivo sotto la sorveglianza del giudice dell’esecuzione) affinché proceda al pignoramento dei beni del debitore fino a concorrenza della somma dovuta pignorandoli appunto presso l’abitazione del debitore ovvero in luoghi a questi appartenenti. L’UG quindi si reca presso questi luoghi, individua i beni che gli sembrano idonei per soddisfare il credito per cui si procede e intima al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni pignorati che vengono esattamente indicati. (Art. 492) Di ciò l’UG redige processo verbale. L’UG messo in moto dall’istanza del creditore si reca presso il debitore, lì individua una serie di beni che possono soddisfare la pretesa creditoria per cui si agisce in via esecutiva e li pignora intimando il debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre a garanzia del credito i beni pignorati. Cosa vuole dire “intimare al debitore di non sottrarre a garanzia del credito i beni pignorati”? Vuole dire, non farne una disposizione materiale e giuridica che sia di pregiudizio rispetto al creditore procedente: non venderli, no distruggerli, non farne un uso che ne diminuisca il valore. - Qualora invece il debitore non si attenga a questa intimazione e tenti di sottrarre a garanzia del credito questi beni, la sua attività sarà inutile perché qualunque atto di disposizione, dopo che sia stato intimato il pignoramento, è inefficace nei confronti del creditore procedente. Quindi dopo che il bene è stato pignorato il fatto che il debitore lo venda o ne disponga in qualsiasi altro modo è in linea di principio inutile perché questo atto di disposizione giuridica non è opponibile al creditore procedente. - E anche eventuali tentativi di sottrarre a garanzia del credito il bene (non tramite atti di disposizione giuridica) ma con atti materiali (nasconderlo, distruggerlo) potrebbe essere annullati perché un altro effetto del pignoramento (oltre a determinare questa inefficacia degli atti di disposizione giuridica del bene) è quello di assegnare il bene ad un custode e sottrarlo alla disponibilità materiale del debitore. (L’UG potrebbe nominare come custode lo stesso debitore esecutato, in questo caso il debitore se viola gli obblighi di custodia incorre anche in responsabilità penale) L’aspetto più delicato relativo all’efficacia del pignoramento dei beni mobili: Il pignoramento è un atto di efficacia a vantaggio del creditore perché rende a lui inopponibili gli atti di disposizione del bene pignorato. (il debitore quindi potrà vendere il bene pignorato a chi vuole però chi l’acquista poi non potrà opporre la proprietà che ha acquistato al creditore procedente, quindi il creditore procedente è comunque garantito) MA questa regola ha un limite; perché questa regola dell’indisponibilità si scontra con le regole (nel c.c.) dell’acquisto di beni mobili da parte dell'acquirente di buona fede. L’acquirente di buona fede acquista il bene mobile a titolo originario e se lo acquista a titolo originario il bene mobile è evidente che rispetto al suo acquisto eventuali vincoli di indisponibilità cedono perché comunque l’acquirente di buona fede acquista a titolo originario tutto ciò che c’era prima è cancellato. L’acquisto di buona fede prevale su altri titoli e sui vincoli di indisponibilità. Secondo Dalmotto: I beni pignorati non devono venire quindi lasciati nella disponibilità del debitore esecutato (nominandolo, come spesso avviene, custode dei beni stessi) perché a quel punto un’eventuale alienazione di questi beni ad un terzo di buona fede potrebbe integrare l’ipotesi di un acquisto del bene in buona fede in maniera più facile rispetto a quella situazione che si verificherebbe se il bene in questione non fosse più stato presso il debitore ma stando in un magazzino giudiziario in custodia. Diventerebbe difficile per l’acquirente che un bene mobile glielo ha venduto un suo conoscente quando non l abbia materialmente appreso perché non presso il debitore. Se il bene non è presso il debitore la buona fede è difficile da dimostrare. La materiale apprensione del bene costituisce una garanzia per il creditore, che sul bene in questione non vi siano atti di disposizione sul bene in questione. Quindi è una garanzia non solo per gli atti materiali MA anche rispetto ad atti di disposizione giuridica (è vero che questi in astratta sono inopponibili al creditore procedente ma c’è sempre la regola sull’acquisto in buona fede dei beni mobili ma se il bene non è più presso il debitore sarà piuttosto dura per l’acquirente del bene pignorato dimostrare di aver acquistato in buna fede) Un ultimo punto critico dell’espropriazione forzata mobiliare risiede nella liquidazione dei beni da pignorare. Scoprire se una persona ha degli immobili è semplice perché basta vedere i registri immobiliari. Il problema è quello di scoprire i beni mobili di valore da pignorare—> questo è compito (non facile) dell’ufficiale giudiziario che si reca presso il debitore. L’UG generalmente non trova beni a sufficienza per coprire il credito per il quale si procede. cosa succede in questi casi? Si potrebbero immaginare in astratto due situazioni: 1) Quella in cui vengono imposti al debitore degli obblighi, sotto pena di sanzione, di indicare i beni che possono essere utilmente pignoranti. (In Germania si predilige questo) 2) un sistema in cui sia la Pubblica Amministrazione che attraverso sue indagini va a scoprire dove il debitore ha i beni. Si predilige in Francia in cui l ufficiale giudiziario ha poteri forti d’indagine. In Italia si adottano entrambi per indecisione del legislatore. Infatti per effetto di successivi interventi riformatori il legislatore ha previsto che se l’ufficiale giudiziario che accede all’abitazione o ai luoghi nella disponibilità del debitore, non trova beni a sufficienza, può chiedere al debitore di indicargli ulteriori beni pignorabili e poi il legislatore aggiunge che se il debitore li indica allora l’ufficiale mette a verbale le dichiarazione del debitore e i beni si danno per pignorati. Può anche darsi che questo debitore abbia detto che ci sono i beni e li abbia indicati, ma generalmente i debitori non rispondono positivamente alla domanda dell’ufficiale giudiziario, ancorché si assumono un rischio perché il non collaborare con l’ufficiale giudiziario è un reato ma comunque difficile da scoprire, si scopre che io mento nel non indicare i beni solo se si sa che questi beni esistono ma se si sa che esistono allora l'ufficiale non chiederà nulla e pignorerà subito. Meccanismo che non funziona in Italia. E infatti il legislatore dispone che se da queste dichiarazioni spontanee del debitore esce fuori qualcosa da pignorare, si può chiedere all’UG di fare indagini anche con strumenti telematici che comportino l’accesso a banche dati che normalmente non sono consultabili (es. agenzia delle entrate). Possibilità data all’UG che in teoria dovrebbero esercitarlo autonomamente da propri terminali ma in pratica non è cosi perché all’enunciazione legislativa non è seguita un'attuazione pratica e dotazione di struttura; ma comunque funziona abbastanza perché a quel punto la richiesta è trasmessa dall’UG al soggetto che ha disposizione maggior numero strumenti indagine (agenzia delle entrate) ed essa risponde al quesito dell’UG così che si scopra altri eventuali e ulteriori beni mobili posseduti dal debitore. Questa possibilità di chiedere all’UG di procedere con queste indagini per via telematica può essere anticipata. Cioè si hanno sostanzialmente due strade: - Iniziare l’esecuzione forzata mobiliare e vedere che non c’è nulla, chiedere al debitore di autodenunciarsi e a quel punto sollecitare le indagini di tipo patrimoniale da parte dell’Ug. - Oppure procedere in maniera diversa che è quella di far svolgere le indagini all'UG ancora prima dell’inizio dell’esecuzione forzata, indagini patrimoniali sulle banche dati, già prima. Ancora prima del giudizio di esecuzione si fa istanza affinché l’UG proceda, per il tramite delle banche dati, a queste indagini. Questo può essere utile anche per scegliere per quale tipo di procedura esecutiva seguire. Se dalle indagini esce fuori che il debitore non ha nulla ma ha solo stipendio, non si perde tempo a promuovere altri tipi di espropriazione forzata ma si farà subito espropriazione forzata presso terzi e pignoro subito il credito (lo stipendio). altro esempio Se scopriamo che ha appena acquistato una Ferrari gli si farà un pignoramento mobiliare o pignoramento autoveicoli. Per poter svolgere queste indagini patrimoniali che sono utili anche per scegliere la procedura esecutiva in concreto da prediligere, bisogna fare un’istanza al presidente del tribunale e mettere in allegato il titolo esecutivo e il precetto notificati; questo per dare un segnale di serietà della propria richiesta, cioè che tale richiesta (di indagine con strumenti telematici) viene fatta proprio al fine di avere un’esecuzione forzata successiva più efficace, avendone diritto. Se chiedo all’UG di fare queste indagini prima ancora che l’esecuzione forzata sia iniziata, devo dimostrare che effettivamente voglio fare un’esecuzione forzata e questo lo si fa allegando al ricorso che viene proposto al presidente del tribunale il titolo esecutivo e il precetto notificati. In modo tale che il presidente possa autorizzare l’UG a fare tali indagini proprio perché il creditore ha preannunciato seriamente l’intenzione di intraprendere un’esecuzione forzata. Perché tutte queste cautele (provare che si vuole iniziare l’esecuzione forzata e che se ne abbia titolo)? Cosi per non utilizzare surrettiziamente l'UG per fare indagini che poi non sono al fine di fare esecuzione forzata ma per altri scopi del creditore (mero interesse di chiunque voglia sapere la situazione patrimoniale di un’altra persona)Espropriazione forzata mobiliare Fase introduttiva (o prima fase) è votata all’individuazione dei beni da pignorare e all’imposizione del vincolo indisponibilità sui beni individuati dall’ufficiale giudiziario come necessari e sufficienti per la soddisfazione del credito per cui si procede. È una fase assai delicata, il problema maggiore che s’incontra è quello d’ individuare beni a sufficienza per poter poi soddisfare il credito del creditore procedente attraverso la loro vendita o assegnazione. Siamo nell’ambito del discorso dedicato al procedimento di espropriazione forzata ossia al processo d’esecuzione anche definito in forma generica, contrapposto alle forme di esecuzione in forma specifica. Procedimento d’individuazione dei beni da pignorare: Accanto alla procedura normale: accesso dell’ufficiale giudiziario ai luoghi dove si trovano i beni del debitore. Vi sono ulteriori forme attraverso le quali si cercano i beni da pignorare, le quali vengono in gioco quando l’ufficiale giudiziario ad un primo accesso, nell’ambito della procedura esecutiva dell’espropriazione forzata mobiliare, non reperisce beni che ad una loro prima e sommaria stima non sono di valore sufficiente a soddisfare la pretesa del creditore. In questo caso l’ufficiale giudiziario interroga il debitore esecutato e lo invita ad indicare altri beni o crediti che siano utilmente pignorabili, vi è anche una sanzione penale nel caso in cui il debitore non indichi ulteriori beni su cui possa essere eseguito il pignoramento. Ma normalmente questa modalità è poco risolutiva, poiché raramente il debitore indica ulteriori beni, se il creditore procedente già li conoscesse dovrebbe indicarli all’ufficiale giudiziario, ma dal momento che il creditore procedente e l’ufficiale giudiziario vertono nell’ignoranza sul fatto è facile per il debitore continuare a tenerli nascosti evitando così l’esecuzione e di poter essere perseguito, perché prima bisognerebbe scoprirli (è sarebbero già stati pignorati) e solo dopo si potrebbe, a questi, anche imputare la sanzione penale (inottemperanza ad un ordine legalmente dato da un pubblico ufficiale). L’altra trattativa e che il creditore faccia istanza al presidente del tribunale affinchè autorizzi l’ufficiale giudiziario a fare delle indagini attraverso modalità telematiche circa i beni del debitore da pignorare. Queste indagini possono essere efficaci poichè ufficiale giudiziario è autorizzato ad accedere a banche dati riservate, ad es. quelle dell’agenzia dell’entrate (o delle pubbliche amministrazioni), questa possibilità era stata in un primo momento resa possibile solo in relazione al mancato pignoramento (attraverso le forme dell’espropriazione forzata mobiliare) di beni di valore sufficiente, ma successivamente - per rinforzare l’efficacia dell’azione espropriativa, tenuto conto che in molti casi già prima dell’esecuzione si sa che difficilmente l’ufficiale giudiziario potrà trovare beni a sufficienza con l’espropriazione mobiliare e comunque non si conoscono beni immobili o crediti utilmente pignorabili - il legislatore l’ha consentita anche prima che l’espropriazione avesse inizio e l’ha estesa alla generalità delle forme di espropriazione forzata. Per questa modalità bisogna fare apposita istanza al presidente del tribunale e corredarla con il titolo esecutivo del precetto, poiché non si vuole che questo strumento venga surrettiziamente utilizzato per fare delle indagini sulla solvibilità del soggetto in questione indipendentemente dall’esistenza di un credito per il quale si proceda in via esecutiva. All’esito di questa indagine sarà più facile decidere quale strada intraprendere: quella dell’espropriazione forzata mobiliare o quella dell’espropriazione forzata mobiliare ma presso terzi o di crediti o quella dell’espropriazione forzata immobiliare. Il pignoramento mobiliare presso il debitore (analogo discorso vale per quello presso terzi) . Non tutti i beni rinvenuti dall’ufficiale giudiziario nei luoghi appartenenti al debitore sono utilmente pignorabili, il debitore e non del terzo che ne può direttamente disporre e se è un’espropriazione di crediti, che effettivamente il credito sussista, cioè che il debitore sia a sua volta creditore del terzo, ossia che il terzo sia il debitore del debitore esecutato a seconda del lato da cui vedete il fenomeno. La dichiarazione che viene chiesta al terzo poi può dar luogo a sviluppi secondo una serie di variabili che illustreremo. Prima di farlo però, volevo farvi notare come sia diversa l’espropriazione mobiliare presso il debitore rispetto all’espropriazione presso terzi, per i motivi già detti, e cioè perché inizia con un pignoramento che si fa con modalità diverse, con attività materiale dell’ufficiale giudiziario nel coso si espropriazione mobiliare presso il debitore, con la notificazione di un atto di pignoramento nell’ipotesi di espropriazione presso terzi; e questa diversità del primo atto della procedura esecutiva è dovuta alla differente struttura dell’espropriazione, perché l’espropriazione mobiliare presso il debitore vede solo la partecipazione di due soggetti, creditore procedente e debitore esecutato, quella presso terzi vede il coinvolgimento di un ulteriore soggetto, il terzo, e quindi il pignoramento deve essere portato a conoscenza anche di questo terzo e ciò si fa con la notificazione, per l’appunto, dell’atto in questione che contiene non solo la formula che porta l’indisponibilità del bene o del credito pignorato ma che porta anche l’invito al terzo a rendere la dichiarazione circa la proprietà della cosa pignorata ovvero l’esistenza del credito. Forti sono peraltro anche le analogie, perché per quanto non appaia a prima evidenza, il pignoramento comunque è e resta un atto dell’ufficiale giudiziario. È evidente nel caso dell’espropriazione mobiliare presso il debitore, perché è l’ufficiale giudiziario che va sui luoghi appartenenti al debitore, individua i beni e li pignora pronunciando la formula relativa al divieto di sottrarre la garanzia del credito e mettendo a verbale questa attività. Ma anche nel pignoramento che si esegue nell’espropriazione presso terzi, l’atto è pur sempre dell’ufficiale. È vero che in pratica, l’atto viene predisposto dal creditore, che lo redige normalmente valendosi di un proprio legale, però questo atto nel momento in cui viene notificato, che è un’attività propria dell’ufficiale giudiziario, diventa atto dell’ufficiale giudiziario stesso, tant’è che produce anche l’effetto di imporre il vincolo di indisponibilità proprio dei pignoramenti, cioè vincolo di indisponibilità tale per cui quel bene non può essere sottratto alla garanzia del credito per il quale si procede. Quindi nel momento in cui l’ufficiale giudiziario notifica questo atto, fa proprio il contenuto dello stesso e l’atto produce anche l’efficacia poi di indisponibilità del bene o del credito che è assoggettato a pignoramento. C’è questa analogia per quel che concerne la riferibilità soggettiva dell’atto e anche per quel che concerne l’efficacia oggettiva, cioè il vincolo di indisponibilità che ne discende. Una differenza è sicuramente data dal fatto che solo nell’espropriazione presso terzi, c’è anche la richiesta al terzo di fare la dichiarazione circa la proprietà del bene ovvero circa la titolarità del credito. Cosa è possibile che avvenga? Le alternative fondamentali sono due: cioè che il terzo riconosca che il bene pignorato non è suo ma del debitore esecutato oppure no, oppure dica che il bene è proprio suo. L’automobile non è che il debitore esecutato me l’ha data in locazione, è che proprio l’ho acquistata; il leasing ormai si è esaurito io ho riscattato il bene e quindi adesso il bene non è più del concedente in leasing che è debitore esecutato ma è diventato di mia proprietà… quindi neghi la proprietà del bene in capo al debitore esecutato e quindi la possibilità di portare avanti quella esecuzione forzata perché non si sta più pignorando un bene del debitore, si sta pignorando il bene di un terzo, cosa che evidentemente non è possibile. Nel caso di pignoramento di crediti possiamo avere l’alternativa tra queste due risposte: quella secondo cui il terzo si riconosce effettivamente debitore del debitore esecutato oppure può darsi che il terzo risponda, ma no, io non debbo nulla al debitore, in quel caso l’espropriazione forzata non dovrebbe poter andare avanti perché manca il credito da pignorare. Spesissimo ci sono risposte di questo tipo, specie quando si tenta di pignorare il conto corrente del debitore presso la banca. Tu sai che in realtà il creditore procedente intende pignorare il credito che ha il correntista nei confronti dell’istituto bancario, di ritirare dalla rimessa in conto corrente la somma di cui ha la necessità, ma molto spesso la banca, che sarebbe il soggetto terzo pignorato, risponde: sì, c’è un conto corrente ma su questo conto corrente non c’è provvista quindi non ce nessun credito da parte del correntista nei miei confronti, nel senso che non mi può richiedere il pagamento di nessuna somma perché, per l’appunto, non essendoci provvista non c’è disponibilità di pagarti nulla perché sul conto non c’è niente. In realtà c’è una terza possibilità, che pur di frequente si verifica, cioè che il terzo non risponda a nulla, né sì né no, quindi non si riconosca né debitore del debitore esecutato né neghi questa qualità ovvero che non dica nulla in merito alla proprietà del bene nella sua disponibilità che è stato pignorato. In questa ipotesi, nel regime precedente rispetto ad una riforma che è intervenuta nel 2014, si sarebbe dovuto aprire un procedimento di accertamento circa la proprietà del bene pignorato ovvero del credito pignorato, accertamento da svolgere nelle forme del giudizio ordinario di cognizione, ma il legislatore ha inteso, per così dire, favorire il creditore procedente, per cui nell’attuale sistema, la mancata risposta da parte del debitore si intende come ammissione, ammissione effettivamente di essere debitore del debitore esecutato ovvero ammissione che il bene pignorato non è suo ma del debitore esecutato. Solo una sua risposta negativa al quesito che gli viene posto notificando l’atto di pignoramento comporta, in effetti, la possibilità di apertura di un giudizio volto all’accertamento della sussistenza del credito ovvero della titolarità del debito. Naturalmente questa possibilità è data intanto, in quanto il creditore procedente insista nella sua azione, altrimenti la risposta negativa del terzo pone termine alla procedura esecutiva. È interessante osservare che diversamente da quello che era previsto nel regime precedente, il giudizio che si instaura al fine dell’accertamento di esistenza del credito ovvero della proprietà del bene, si svolge in forme semplificate ed ha valore solo ai fini dell’esecuzione forzata stessa, cioè allo scopo di accertare ai fini esclusivamente della procedura esecutiva in questione se il credito del debitore nei confronti del terzo effettivamente sussiste ovvero se il bene effettivamente è di proprietà del debitore e non del terzo presso il quale è stato pignorato. In tutti i casi in cui il bene sia riconosciuto dal debitore esecutato ovvero il credito sia riconosciuto come sussistente, cosa può avvenire, o perché il terzo lo conferma o perché rimane silente o perché questa la situazione, nonostante la risposta negativa del terzo, sia stata accertata dal giudice con efficacia rispetto alla procedura esecutiva, in tutti questi casi il procedimento di espropriazione forzata presso terzi procede e procede con l’assegnazione del bene pignorato o del credito pignorato al creditore procedente, con la distinzione: mentre l’assegnazione è l’esito normale della procedura esecutiva quando ad essere pignorato è stato un credito, nel caso di pignoramento presso terzi di un bene, l’assegnazione non è l’esito normale ma l’esito eccezionale, cioè nella normalità dei casi il bene verrà venduto e poi il ricavato ottenuto verrà assegnato al creditore procedente. Ma nel caso pignoramento di crediti, invece, esso è direttamente assegnato al creditore procedente, il che determina una conseguenza pratica molto semplice, che è quella che il terzo, una volta che il credito sia stato assegnato al creditore procedente, potrà liberarsi della sua obbligazione di pagamento solo pagando al creditore procedente, se pagasse al debitore esecutato, pagherebbe male perché il credito è stato assegnato, nella misura in cui può essere concretamente assegnato, al creditore procedente. Se io sono creditore del vostro collega e so che lui ha un lavoro alle poste, quindi esperisco una procedura di espropriazione forzata presso terzi, in questo caso presso le poste, volta la fine di pignorarli il credito retributivo che ha nei confronti delle poste, una volta che mi ha assegnato il suo credito retributivo, nella misura di 1/5 per altro, perché si tratta di un credito che è relativamente impignorabile, lo stipendio verrà pagato per 4/5 al vostro collega e 1/5 direttamente a me che sono l’assegnatario di quel credito. Posso essere anche più fortunato, posso venire a scoprire che per spirito di solidarietà, il vostro collega ha prestato 10000 euro a un suo collega di studi con scadenza e restituzione a un anno, gli pignoro il credito che lui vanta nei confronti del soggetto cui ha dato a mutuo questa somma, questa volta tra l’altro non incontro neanche il limite percentuale perché il credito è interamente pignorabile nel caso in questione, il terzo che ha ricevuto a mutuo dal debitore esecutato la somma, una volta che il credito suo sia stato pignorato da me e il giudice abbia assegnato il credito al creditore procedente, il terzo si libererà dell’obbligazione di pagare a restituzione la somma che aveva ricevuto a mutuo, pagando direttamente a me che sono il creditore procedente e non pagando chi gli ha dato la somma a mutuo. Se lo facesse, sicuramente io potrei poi far valere la mia pretesa nei suoi confronti. Un’altra cosa interessante che vale la pena di ricordare in tema di espropriazione presso terzi, è il regime della competenza, e questo ci permette anche di fare un passo indietro e di parlare della competenza nell’ambito dell’espropriazione mobiliare anche presso il debitore. Ora, già vi ho detto ma vi ribadisco che nell’ambito della procedura esecutiva, il protagonista principale è l’ufficiale giudiziario, però è importante anche il ruolo del giudice, soprattutto in senso di controllo e per risolvere alcuni incidenti che possono sorgere nell’ambito del processo di esecuzione. Chi è il giudice competente per il processo di esecuzione? Da un punto di vista di competenza per materia, il giudice competente è sempre il tribunale. Quando entrerà in vigore, ma tra molti anni, un po’ come la riforma della prescrizione, la riforma del giudice di pace, dopo che sarà esteso anche a questo il processo civile telematico, parliamo degli anni intorno al 2026, la competenza sulla espropriazione forzata mobiliare, sarà attribuita al giudice di pace, credo però con l’eccezione dell’espropriazione forzata presso terzi. Ma oggi come oggi, il giudice dell’esecuzione è sempre il tribunale. Il problema è poi di individuare la competenza per territorio. La regola generale è quella secondo cui il giudice competente per l’esecuzione è quello del luogo dove l’esecuzione deve farsi. Per cui se è una espropriazione mobiliare, sarà il giudice del luogo dove insistono i luoghi appartenenti al debitore, quindi dove l’ufficiale giudiziario dovrà recarsi per eseguire il pignoramento. Nel caso dell’espropriazione presso terzi, la regola però è diversa, per motivi di ordine pratico e anche perché in un caso di espropriazione di crediti, evidentemente è difficile individuare un luogo fisico con riferimento all’oggetto del pignoramento. Il criterio di competenza è diverso e fa riferimento al luogo, dove risiede il debitore. In precedenza, prima delle riforme che si sono avute introno al 2014, il criterio era individuato con riferimento al luogo di residenza, domicilio o sede del terzo, ma successivamente il criterio viene individuato dal legislatore con riferimento al luogo di residenza, domicilio o sede del debitore. Il fatto che si faccia riferimento alla residenza, al domicilio o alla sede di uno dei soggetti della espropriazione è facilmente comprensibile, qui a differenza che nella espropriazione mobiliare presso il debitore, non rileva tanto un luogo materiale dove si esegue l’esecuzione forzata, luogo materiale che il legislatore individua con riferimento ai luoghi appartenenti al debitore stesso. Bisogna far riferimento piuttosto al luogo di residenza, domicilio o sede dei soggetti dell’espropriazione ed è significativa la scelta prima del terzo, che deve rendere la dichiarazione, e poi del debitore. Perché prima si individuava come criterio di individuazione della competenza, il luogo dove il terzo aveva la residenza, il domicilio o la sede? Perché si partiva dal presupposto che si dovesse, per così dire, infastidire il meno possibile il terzo incolpevole (che colpa ha il terzo se ha un debito nei confronti di un soggetto che poi viene sottoposto a esecuzione forzata, ovvero che colpa ha il terzo se ha preso in locazione un bene mobile che è di proprietà di un debitore che poi verrà assoggettato ad esecuzione forzata) eppure gli viene richiesto di rendere una dichiarazione in ordine alla proprietà del bene, all’esistenza del credito, e questa dichiarazione, originariamente era necessario che fosse presa in udienza davanti al giudice. Questa previsione successivamente è venuta meno, oggi come oggi, per rispondere alla domanda del creditore procedente sulla proprietà del bene sottoposto a pignoramento ovvero sull’esistenza del credito, il terzo basta che risponda al creditore con una lettera raccomandata o ancora più velocemente tramite una PEC. Ma un tempo non era così, bisognava comparire in udienza, davanti al giudice per rendere la dichiarazione, scomodando il terzo era parso al legislatore, in un certo senso favorirlo prevedendo che l’udienza per la dichiarazione del terzo si svolgesse quanto meno in un luogo a lui comodo, quindi nel luogo di residenza, domicilio o sede del terzo. Venendo meno questo obbligo di rendere la dichiarazione all’udienza per la dichiarazione del terzo, veniva meno anche la ratio di questa previsione, ratio peraltro messa in crisi anche da un altro fattore, fattore che nella pratica, quando si fanno delle espropriazioni di crediti, in genere se ne tenta più d’una. Caso tipico è quello del tentativo di pignorare dei conti correnti: non è sempre facile sapere dove il nostro debitore ha un conto corrente, perché non è che esista un’anagrafe dei conti correnti, l’agenzia delle entrate lo sa, ma la gente comune non sa dove i propri debitore hanno i propri conti corrente. Quindi la scelta può essere: o fare l’istanza al presidente del tribunale per autorizzare l’ufficiale giudiziario ad accedere alle banche dati dell’agenzia delle entrate, però è già una complicazione questa, bisogna fare un’istanza, poi procederà l’ufficiale giudiziario, tenete anche conto che questa procedura non è senza costi, perché il legislatore prevede che se si dà l’incarico all’ufficiale giudiziario di fare la ricerca per via telematica, questi poi sarà destinatario di una certa percentuale di quello che è stato ricavato dall’esecuzione e se l’esecuzione porta a non ricavare nulla, l’ufficiale giudiziario deve essere comunque pagato per l’attività che viene resa. Ci si può, in ipotesi, rivolgere ad un’agenzia di investigazione, che misteriosamente, tramite canali che non mi sono mai stati sufficientemente chiari, ci dice che il nostro debitore ha un conto corrente in un certo posto piuttosto che in un altro, però anche queste agenzie costa evidentemente. Quindi nella prassi, spesso e volentieri, si tenta di fare più esecuzioni forzate nei confronti di più istituti bancari. via di un titolo giuridico, allora si dovrà attuare il pignoramento mobiliare presso terzi. Quest’ultima forma di pignoramento ha una struttura identica a quella del pignoramento di crediti; la particolarità di queste procedure è data dal coinvolgimento di un soggetto terzo e proprio in forza di ciò, l’atto introduttivo dell’espropriazione mobiliare presso terzi, ovvero dell’espropriazione di crediti, è differente. Non c’è un ufficiale giudiziario che compie un’attività materiale, ma vi è la notifica di un atto di pignoramento, rivolta a due soggetti: al debitore e al terzo. Da un lato si rende nota, sia al debitore sia al terzo, l’imposizione di un vincolo giuridico sul bene pignorato, quindi c’è l’intimazione di non sottrarre il bene al credito e dall’altro lato questo atto di pignoramento contempla un invito al terzo a rendere una dichiarazione in merito alla proprietà del bene pignorato, se è proprio o del debitore pignorato. Una differente forma di pignoramento è prevista sia per le automobili che per gli immobili. Per compiere un’espropriazione forzata che abbia ad oggetto un’automobile sono possibili due diverse procedure. Una è quella classica per i beni mobili, o presso il debitore o presso luoghi non appartenenti al debitore, tramite autorizzazione da parte del presidente del tribunale. Il problema di ricorrere a questa esecuzione è che per l’estrema mobilità del bene può essere difficile trovare l’automobile, in quanto il debitore tenderà a sottrarsi all’esecuzione stessa. L’attività necessaria per l’espropriazione forzata è complessa e può portare ad insuccessi, in quanto bisogna fare richiesta all’ufficiale giudiziario, il quale deve fare l’accesso materiale ai luoghi dove presume essere parcheggiata l’automobile. Nel nostro ordinamento le automobili, pur essendo beni mobili, sono soggette ad una registrazione; infatti il proprietario è tenuto a iscrivere la propria automobile nel pubblico registro automobilistico. Il legislatore ha pensato di consentire il pignoramento degli autoveicoli in una maniera molto semplice, cioè prevedendo che l’ufficiale giudiziario possa effettuare il pignoramento mediante la trascrizione dello stesso nel pubblico registro automobilistico. Una volta che l’automobile sia stata pignorata in questo modo viene data comunicazione al debitore esecutato e questi dovrebbe essere tenuto a consegnare all’ufficiale giudiziario l’automobile affinché venga venduta. Naturalmente non tutti coloro ai quali viene pignorata l’automobile si fanno parte diligente nel consegnarla all’ufficiale giudiziario affinché questi proceda nella vendita. Se il debitore viene scoperto alla guida dell’autoveicolo pignorato, il bene viene requisito e consegnato all’ufficiale giudiziario. Si tratta quindi di un meccanismo di esecuzione affidato un po’ alla collaborazione del debitore, che deve consegnare spontaneamente il bene pignorato attraverso una semplice trascrizione sul pubblico registro automobilistico e pertanto, in certi casi, potrebbe essere più efficace procedere nella maniera tradizionale, cioè andando di sorpresa con l’ufficiale giudiziario a pignorare. I pignoramenti degli autoveicoli sono abbastanza frequenti, anche perché si scopre facilmente se il debitore è proprietario di un’automobile, in quanto è sufficiente fare un’interrogazione al pubblico registro automobilistico online e nel giro di poco tempo si ottiene la risposta. Ultima particolare modalità di pignoramento è prevista per l’espropriazione forzata immobiliare, la regina delle espropriazioni forzate, in quanto comporta una maggiore probabilità di soddisfacimento del creditore procedente. Anche qui, come per gli autoveicoli, è abbastanza facile venire a sapere se il debitore possiede proprietà immobiliari, interrogando ai pubblici registri immobiliari tramite visure. In genere il pignoramento arriva prima di una vendita immobiliare vera e propria, attuata per tentare di sottrarre il bene all’esecuzione; mentre in caso di vendita simulata, vi è il rimedio dell’azione revocatoria. È possibile inoltre, sulla base di un titolo esecutivo giudiziale, ancor prima di iniziare il pignoramento, chiedere l’iscrizione di ipoteca giudiziale sull’immobile, che comporta grossi benefici in quanto in sede di distribuzione si è privilegiati rispetto ad ogni altro creditore. Di fatto rende l’immobile non più commerciabile. È da considerare inoltre che l’ipoteca è un diritto reale di garanzia, quindi se il debitore dovesse vendere l’immobile, l’esecuzione potrebbe essere fatta nei confronti del nuovo acquirente, anche se non era ancora stato imposto il pignoramento, perché la garanzia dell’ipoteca segue il bene. L’espropriazione immobiliare si caratterizza per le particolarità del suo atto introduttivo, il quale si realizza tramite il pignoramento, che viene fatto tramite la notificazione di un atto di pignoramento. In un certo senso è simile al pignoramento presso terzi, perché presuppone la notificazione di un atto scritto e non è realizzato attraverso un’attività materiale, come invece accade nel caso del pignoramento mobiliare presso il debitore. Occorre quindi notificare al debitore esecutato un atto di pignoramento, in cui si descrive esattamente il bene immobile che il creditore procedente intende pignorare e si intima al debitore di non sottrarre quel bene a garanzia del credito per il quale si procede. A differenza del pignoramento mobiliare presso terzi non vi è alcun invito a rendere dichiarazioni, in quanto in questo caso vi è solo il debitore esecutato. Tuttavia il pignoramento sarà efficace nei confronti dei terzi dal momento in cui venga iscritto; di fatto quindi il momento in cui il pignoramento è veramente efficace è quando l’atto di pignoramento, oltre ad essere stato notificato al debitore, viene trascritto sui registri immobiliari. Il debitore potrebbe vendere il bene a terzi validamente se costoro trascrivessero l’acquisto nei registri immobiliari prima che venga trascritto il pignoramento. Intervento dei creditori nell’espropriazione forzata: Siamo abituati a considerare il processo di esecuzione forzata, in particolar modo l’espropriazione forzata, quasi come fosse una questione privata tra un creditore e un debitore. L’attenzione del legislatore è focalizzata sul creditore procedente, che da impulso alla procedura esecutiva, tralasciando un po’ gli altri creditori, poiché siamo nell’ambito delle procedure esecutive individuali. Infatti l’esecuzione forzata viene sempre promossa da un solo creditore, mosso dall’interesse di soddisfare il suo credito. In questo l’esecuzione forzata che studiamo si differenzia in maniera radicale rispetto alle procedure concorsuali che sono oggetto del diritto fallimentare. In queste ultime il legislatore ha di mira la soddisfazione del complesso dei creditori; se il debitore è un imprenditore commerciale che versa in stato di insolvenza, l’ordinamento si interessa di questo soggetto prevedendo che, su impulso di qualsiasi singolo creditore o addirittura dell’autorità pubblica, si intraprenda una procedura volta al soddisfacimento di tutti i suoi possibili creditori in maniera proporzionale. Infatti, una volta dichiarato il fallimento, la prima attività del curatore fallimentare nominato dal giudice è quella di prendere contatto con tutti i possibili creditori, allo scopo di creare un piano di riparto per soddisfare tutti in maniera proporzionale al credito, secondo i criteri di priorità che la legge prevede. Innanzitutto bisogna pagare il curatore fallimentare, poi i creditori privilegiati secondo il grado di privilegio e infine i creditori chirografari, ossia quelli che non hanno alcun titolo di prelazione o particolari privilegi. Non avviene così nell’ambito delle procedure esecutive individuali, in quanto non c’è nessun soggetto, né un curatore, né l’ufficiale giudiziario, che debba avvertire della pendenza dell’esecuzione forzata i creditori. Il creditore instaura il procedimento per la sua personale soddisfazione e lo continua. Anche se questo scopo di realizzare la par condicium creditorum non sia sollecitato da particolari meccanismi nell’ambito dell’esecuzione individuale, tuttavia è possibile la sua realizzazione in una certa misura. Se un debitore ha più creditori e uno di questi, munito di titolo esecutivo, inizia un’espropriazione forzata nei confronti del debitore, è possibile che a questo procedimento di espropriazione non partecipino altri soggetti, quindi sia promosso e portato a termine da quell’unico creditore munito di titolo esecutivo. È anche possibile però che, nonostante non siano stati avvertiti da nessuno, altri creditori intervengano nel procedimento di esecuzione forzata; se questi creditori, diversi dal creditore che ha promosso l’espropriazione forzata, intervengono nel processo esecutivo, potranno partecipare alla distribuzione del ricavato in regime di par condicio creditorum, come se si fosse all’interno di un fallimento sostanzialmente. A ben pensarci la differenza è meno radicale di quello che pare: nel caso delle procedure esecutive concorsuali tutti i creditori sono chiamati a raccolta per partecipare alla distribuzione del patrimonio del debitore, mentre nelle procedure esecutive individuali questa chiamata a raccolta non c’è, ma non è vietato che altri creditori del debitore esecutato intervengano nella procedura che è stata promossa dal loro collega creditore e così, intervenendo volontariamente, possano poi partecipare alla distribuzione del ricavato in condizioni di parità rispetto al creditore procedente. Su questo schema di massima bisogna poi introdurre una serie di precisazioni e di limitazioni. Non è sempre vero che nell’espropriazione forzata può intervenire qualsiasi creditore che si aggiunge al creditore procedente; una volta ciò era possibile mentre oggi non più. Un tempo era infatti possibile a chiunque si affermasse creditore del debitore esecutato di intervenire nella procedura esecutiva facendo valere il proprio credito e quindi andando a sommare la propria richiesta a quella del creditore procedente. Era consentito intervenire a chiunque si affermasse creditore, anche indipendentemente dal fatto che questi avesse un titolo esecutivo. Poi il debitore esecutato avrebbe potuto fare opposizione rispetto all’intervento di coloro che si affermavano creditori, la quale avrebbe aperto un giudizio di cognizione volto all’accertamento dei crediti in questione. Volendosi realizzare una riforma dell’espropriazione forzata, in un senso di maggiore efficienza della stessa, di una più spedita realizzazione del credito per il quale si procede, in tempi relativamente recenti, negli anni 2000, il legislatore ha riformato questo sistema e ha introdotto la regola secondo la quale sono legittimati ad intervenire nel processo esecutivo, non tutti coloro che si affermano come creditori, ma solo quelli che abbiano un titolo esecutivo, ossia quei creditori che avrebbero potuto iniziare essi stessi la procedura di esecuzione forzata. Questo è un forte ridimensionamento della platea dei soggetti che possono partecipare al procedimento di esecuzione forzata. Nell’ambito delle procedure concorsuali per partecipare alla ripartizione dell’attivo del fallito non è necessario avere un titolo esecutivo, basta che ci sia un credito, la cui serietà viene vagliata in sede di formazione dello stato passivo dal curatore fallimentare. Se costui non dovesse ammettere il credito si può fare opposizione. Nell’ambito delle procedure esecutive individuali invece è possibile la partecipazione di altri creditori solo nella misura in cui costoro siano muniti di titolo esecutivo. Un’eccezione è stata introdotta al fine di favorire ancora una volta un particolare ceto, quello dei soggetti che svolgono un’attività imprenditoriale, che sono obbligati alla tenute dei libri contabili. Costoro, anche se privi di titolo esecutivo, possono liberamente intervenire nell’ambito della procedura esecutiva. Art. 499 comma 1:” possono intervenire nell’esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su un titolo esecutivo, nonché i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri ovvero erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile.” Questi soggetti sono quelli che possono richiedere un decreto ingiuntivo sulla base degli estratti autentici delle proprie scritture contabili; possono intervenire nell’espropriazione forzata intrapresa da altri sulla base del fatto che il loro credito sia previsto in tali scritture contabili. Oltre a questi soggetti possono altresì intervenire nella procedura di esecuzione forzata, anche se non hanno un titolo esecutivo, i creditori che avevano eseguito un sequestro (poiché il sequestro non è altro che una forma di pignoramento anticipato) e coloro che avevano un diritto di pegno un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri; in pratica i creditori pignoratizi e i creditori ipotecari. La forma di esecuzione forse più semplice in assoluto è quella per consegna, quando si tratta di consegnare una cosa mobile, che è l’obbligazione tipica del venditore. L’esecuzione per consegna, al pari di tutti gli altri tipi di esecuzione forzata, presuppone il compimento degli atti preliminari all’esecuzione forzata (notificazione del titolo e del precetto). Nel precetto che si pone anteriormente all’esecuzione per consegna bisogna descrivere il bene: questo è ovvio, perchè il precetto deve individuare esattamente qual è l’obbligazione il cui adempimento spontaneo si chiede al debitore. Decorso il termine indicato nel precetto ai fini dell’esecuzione spontanea, l’ufficiale giudiziario, richiesto dal creditore procedente, si reca sul luogo dove si trovano le cose che devono essere consegnate, le cerca e ne immette nel possesso il creditore procedente. Tutto qui. Leggermente più complicata è la procedura di esecuzione forzata in forma specifica per rilascio. Quella per rilascio è propria dei beni immobili, i quali non si possono ovviamente consegnare. Se c’è qualcuno che impedisce al proprietario di goderne, deve essere sloggiato. Cioè, occorre rilasciare il bene immobile perché ne possa fruire il titolare. Ovviamente, dovrà esserci la notifica del titolo esecutivo e del precetto, e nel precetto bisognerà indicare qual è l’immobile da rilasciare. Anche in questo caso, l’ufficiale giudiziario si reca sul luogo dell’esecuzione per immettervi il creditore; ma, a differenza che nell’esecuzione per consegna, ciò è preceduto da una comunicazione (c.d. monitoria), in cui, almeno 10 giorni prima dell’accesso dell’ufficiale giudiziario sul luogo per rilasciare l’immobile, egli preavvisa l’occupante che il tal giorno si recherà nel luogo dove deve farsi l’esecuzione forzata e immetterà nel possesso dell’immobile colui che ha il diritto ad essere immesso nel possesso dell’immobile. Questo perchè occorre dare un po’ di tempo all’occupante per organizzarsi e sgomberare l’immobile dalle cose sue, trovando una nuova abitazione. Decorsi questi 10 giorni, recita il codice, l’ufficiale giudiziario si reca sul luogo dell’esecuzione e, facendo uso quando occorre della forza pubblica, immette la parte istante nel possesso dell’immobile. Nella realtà, le cose sono molto più complesse, perchè questo tipo di esecuzione forzata coinvolge i diritti primari, che sono importantissimi, cioè quelli all’abitazione, per cui nella pratica le cose non si svolgono mai così: c’è il preannuncio dell’esecuzione dell’accesso dell’ufficiale giudiziario, cioè dell’esecuzione dello sfratto, talvolta l’ufficiale giudiziario accede al luogo dove è sito l’immobile e l’occupante volontariamente consegna le chiavi, ma spesso e volentieri l’ufficiale giudiziario si trova di fronte ad una occupazione che persiste. In questo caso, l’ufficiale giudiziario concorda con l’occupante un secondo accesso. Se neanche la seconda volta l’immobile è stato liberato, bisognerà fissarne un’ulteriore. Si richiederà quindi dopo un po’ l’intervento della forza pubblica. L’utilizzo della forza pubblica viene graduato, nel senso che è un po’ a discrezione di chi esercita la forza pubblica, cioè il questore, il prefetto. Nelle zone a maggior tensione abitativa, c’è una regolamentazione di tipo amministrativo che gradua l’utilizzo della forza pubblica: in passato, sono stati fatti diversi provvedimenti amministrativi di c.d. blocco degli sfratti, cioè il fatto che non veniva concessa per determinati periodi l’utilizzo della forza pubblica; il che poi si ripercuote sulla norma processuale, che diventa inefficace. In pratica, un problema che spesso si pone nella esecuzione forzata per rilascio è quello del materiale che si trova all’interno degli immobili che sono stati liberati, perché molto spesso avviene che l’occupante lascia nell’immobile propri mobili, che normalmente non hanno nessun valore commerciale e che però non sono beni del proprietario dell’immobile e quindi di questi beni non può direttamente disporre. Questo problema viene adesso articolatamente disciplinato all’art. 609: in buona sostanza, questi beni dovrebbero essere venduti e il loro ricavato destinato a coprire le spese dell’esecuzione forzata. Se, come spesso avviene, ciò non è possibile, perché i beni non hanno valore e nessuno li compra, è prevista finalmente la loro distruzione. Passando all’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare, in sostanza anche qui la regolamentazione sembrerebbe molto semplice, leggendo l’art. 612. Le modalità di esecuzione devono essere determinate dal giudice dell’esecuzione, che provvede sentita la parte obbligata. In determinati casi, la determinazione delle modalità di esecuzione può essere anche molto complessa. Io mi ricordo che c’era da eseguire un’obbligazione per la quale una discoteca di Bardonecchia faceva troppo casino e quindi le vecchiette che volevano stare tranquille si lamentavano. In quel caso, bisognava eseguire coattivamente una obbligazione di non fare troppo rumore, che poteva essere realizzata tramite l’apposizione di materiali isolanti. Quindi potete immaginare che in quel caso lì il compito del giudice dell’esecuzione era stato abbastanza complesso. Le obbligazioni di fare o di non fare possono sì trovare una loro esecuzione forzata in forma specifica, ma talvolta questa esecuzione è difficile o addirittura impossibile. Intendo dire che è impossibile eseguire una obbligazione di fare tipo infungibile: infatti, se quell’obbligazione è infungibile, può essere eseguita solo da una persona specifica (ad esempio, l’obbligazione di uno scrittore di scrivere un libro è un’obbligazione infungibile); sicuramente, il giudice dell’esecuzione non può far eseguire coattivamente una tale obbligazione nominando un altro scrittore. Quindi, all’interno delle obbligazioni di fare bisogna distinguere tra quelle fungibili e quelle infungibili: le prime sono suscettibili dell’esecuzione forzata in forma specifica, le altre no. Per le obbligazioni di non fare, alcune sono suscettibili di esecuzione forzata in forma specifica, altre no o con estrema difficoltà. Sono suscettibili le obbligazioni di non fare che vedono come altra faccia della medaglia una obbligazione di fare uguale e contraria: se c’è l’obbligazione di non fare rumore, potrebbe essere suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica nell’altro senso. Però effettivamente ciò presenta sempre delle difficoltà: pertanto, per le obbligazioni di fare infungibili e, in generale, per quelle di non fare, il legislatore, in tempi relativamente recenti, ha preveduto l’introduzione di una forma di coercizione indiretta: cioè, in pratica, si prevede che per ogni giorno di ritardo dell’esecuzione spontanea dell’obbligazione, è posto a carico del debitore un’obbligazione di pagamento di una somma di denaro, che è per definizione suscettibile di esecuzione forzata in forma generica, cioè di espropriazione forzata. Nella sua originaria formulazione, l’art. 614 bis, limitava questa forma di coercizione indiretta alle obbligazioni di fare infungibili e alle obbligazioni di non fare, ma il restringimento a queste due forme di obbligazioni era contenuto nella rubrica dell’articolo e non anche nel corpo dello stesso, il che diede subito luogo a diverse discussioni. Questo contrasto interpretativo è stato risolto dal legislatore stesso, perchè la rubrica dell’art. 614 bis è stata modificata e ora non compare più il riferimento alle obbligazioni di fare infungibili, ma compare la dicitura “misure di coercizione indiretta”, e pertanto l’art. 614 bis si reputa applicabile anche alle obbligazioni di fare fungibili, e probabilmente anche alle obbligazioni di consegna e di rilascio. L’unica esclusione è ovviamente l’obbligazione di pagamento di una somma di denaro. Il legislatore ha accolto l’interpretazione più estensiva perchè ci si è accorti che questo strumento della coercizione indiretta può essere molto efficace e alleggerire il carico di lavoro dei tribunali. Infatti, se si tratta di buttar giù un muro, e se ci sono da pagare 100€ al giorno, forse l’obbligato lo butta giù lui il muro, senza stare a scomodare il giudice, l’ufficiale giudiziario, l’impresa incaricata, ecc. La forma della coercizione indiretta oggi come oggi coesiste ed è alternativa rispetto alle forme di esecuzione forzata in forma specifica. C’è però un dettaglio che limita alquanto il ricorso alla coercizione indiretta: infatti, la coercizione indiretta deve essere preveduta come possibile in un provvedimento di condanna. E quindi, la coercizione indiretta è possibile solo se c’è un titolo esecutivo giudiziale e se il creditore si è ricordato di chiedere al giudice la previsione di una misura di coercizione indiretta, perché il titolo esecutivo giudiziale deve contenere la previsione in discorso, e la può contenere solo se è stata richiesta. Per qualche ragione misteriosa, non si domanda spesso il provvedimento ex art. 614 bis: probabilmente, benché la misura sia stata introdotta da molti anni, perchè non è ancora stata sufficientemente metabolizzata. Se ci si dimentica di chiederlo, una volta ottenuto il titolo giudiziale, non potremo chiedere al giudice dell’esecuzione di determinare la somma di denaro dovuta all’obbligato, perchè questa determinazione deve essere stata fatta dal giudice della cognizione e non può essere fatta dal giudice dell’esecuzione. Ma deve trattarsi per forza di una sentenza? Direi di no, perché se doveva trattarsi di una sentenza, allora il legislatore avrebbe utilizzato il termine sentenza. Secondo me, sia perchè non lo impedisce il tenore letterale dell’art. 614 bis, ma anzi lo suggerisce utilizzando un termine più ampio, sia per ragioni di tipo funzionalistico di ordine teleologico, l’art. 614 bis può essere utilizzato allorché si domandi un provvedimento cautelare, in particolar modo un provvedimento d’urgenza. Infatti, molto spesso i provvedimenti d’urgenza prevedono obbligazioni di fare o non fare (ad esempio, obbligazione di non convocare un’assemblea dei soci di una s.p.a.). L’unico limite esplicito che è previsto alle misure di coercizione indiretta è quello verso le controversie di lavoro subordinato: cioè, non si può ottenere misure di coercizione indiretta allorché si verta nel campo delle controversie di lavoro subordinato o parasubordinato. Il motivo probabilmente risiede nel fatto che in passato ci fu un’ampia discussione sul fatto che l’obbligo di reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro fosse o meno coercibile. Alla fine si è giunti alla conclusione che non lo fosse, e il legislatore ha ritenuto addirittura di escludere forme di coercizione indiretta. Naturalmente, il giudice ha una certa discrezionalità nel concedere queste misure di coercizione indiretta: può rifiutarle quando ciò sia manifestamente iniquo, e comunque è una formula che è difficile da declinare in termini univoci. In passato, c’erano forme di coercizione indiretta molto più efficaci: fino all’800, ad esempio, era prevista la prigione per debiti. Per quanto riguarda l’estinzione, il processo di esecuzione si estingue normalmente per inattività delle parti: quando il creditore non dà più impulso al procedimento, il procedimento si estingue. Le ragioni che stanno a monte del fatto che il creditore procedente non dia più impulso al procedimento sono fondamentalmente sempre due: cioè, o il creditore procedente vede che non c’è materia per soddisfarsi (ad esempio perchè i pignoramenti non hanno dato esito positivo oppure i beni hanno una possibilità di realizzazione molto esigua) oppure in corso di esecuzione il debitore paga. Perchè dovrebbe pagare? Perchè comunque spesso gli conviene: nel senso che una volta che sono stati pignorati dei beni capienti per il soddisfacimento del creditore, al debitore conviene pagare, perché le percentuali di realizzo della vendita forzata sono normalmente più basse rispetto ai valori di mercato, quindi il debitore ci perde o comunque può non volere che un determinato bene sia venduto. E quindi, spesso, in corso di esecuzione il debitore paga (ad esempio, offre la conversione del pignoramento di determinati beni, cioè offre di pagare convertendo il pignoramento in una sua obbligazione di pagamento: in quel caso, per il debitore è anche possibile rateizzare il pagamento). Il meccanismo del pagamento del debitore in forme rateali si era affermato nella pratica utilizzando la sospensione del procedimento su accordo delle parti: è consentito alle parti metterei d’accordo per sospendere il procedimento. Perchè dovrebbero farlo? Il creditore non avrebbe in teoria interesse a sospendere la procedura esecutiva, però ci possono essere dei casi in cui entrambe le parti siano d’accordo nella sospensione del procedimento esecutivo: casi piuttosto improbabili possono essere ad esempio quelli in cui, per una particolare congiuntura di mercato, i beni pignorati, se venduti subito, avrebbero una scarsa possibilità di realizzazione, ma l’istituto veniva in realtà quasi sempre utilizzato per fare pagare il debitore a rate. Domani parleremo delle opposizioni all’esecuzione; la settimana prossima vi distribuisco un po’ di atti di procedimenti esecutivi e magari li vediamo assieme per fare un po’ un ripasso. Le ipotesi più importanti di incidente di cognizione all’interno del processo di esecuzione forzata sono, per l’appunto, date dalle opposizioni, disciplinate dal Titolo V (il penultimo titolo del Libro 3 del codice di procedura civile). Il Titolo successivo ha poi ad oggetto la sospensione dell’esecuzione del processo esecutivo, e, in qualche maniera, si connette a quello precedente perché alcune sospensioni possono essere disposte nel processo esecutivo all’interno di una opposizione. Le opposizioni all’esecuzione possono essere fondamentalmente di due tipi: opposizioni all’esecuzione o opposizioni agli atti esecutivi. • Con l’opposizione all’esecuzione, il debitore esecutato contesta il diritto del creditore procedente a procedere ad esecuzione forzata (quindi, proprio a chiedere l’adempimento coattivo dell’obbligazione del debitore). • Con l’opposizione agli atti esecutivi, il debitore esecutato contesta la regolarità formale di singoli atti dell’esecuzione forzata o di atti preparatori o presupposti all’esecuzione (quindi contesta la regolarità formale del titolo esecutivo, del precetto o degli atti di esecuzione successivi alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto). L’opposizione di terzo, che è un tipo di opposizione disciplinata a parte rispetto all’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, potrebbe forse essere assimilabile all’opposizione all’esecuzione, per il fatto che con essa il debitore esecutato contesta, in effetti, il diritto del creditore procedente di procedere ad esecuzione forzata, ma lo contesta per un fatto particolare: perché i beni sottoposti ad esecuzione (in particolar modo i beni pignorati) non sono del debitore sostanziale esecutato ma sono del terzo che viene così ingiustamente (in quanto soggetto reclamo), il soggetto interessato non sarà il creditore procedente (in quanto la procedura esecutiva continua) ma il debitore esecutato, perché, ancorché remota, c’è la speranza che il giudice del merito rivaluti quanto è stato stabilito in sede di diniego della sospensione dell’esecuzione e ravvisi il suo diritto a far dichiarare che l’esecuzione forzata non poteva essere iniziata, ovvero che un atto da questa procedura è illegittimo, e quindi deve essere rinnovato; • nel caso di mancata concessione, il debitore esecutato sarà condannato anche alle spese sostenute per il giudizio di merito, pertanto nella pratica il debitore esecutato non persegue tale strada pur avendo in prospettiva l’interesse ad ottenere il riconoscimento della fondatezza delle sue ragioni • se la pronuncia del giudice dell’opposizione avviene prima che l’esecuzione forzata sia terminata o prima che abbia prodotto effetti pregiudizievoli nei confronti del debitore esecutato, il debitore opponente raggiunge il suo obiettivo di non essere pregiudicato dall’esecuzione forzata, sebbene non avesse ottenuto la sospensione dell’esecuzione • se la sospensione viene concessa, l’interesse a conseguire la causa nel merito sarà del creditore procedente (e non del debitore esecutato che già si vede la procedura nei suoi confronti che non potrà andare avanti), incentivato anche dal fatto che il legislatore, per deflazionare i procedimenti, ha espressamente previsto che nel caso in cui, dopo la concessione della sospensione dell’esecuzione, il giudizio non si è coltivato nel merito, il pignoramento che è stato realizzato decade (se il debitore esecutato ha avuto “ragione” nella fase volta a sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, poiché le cause di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo fanno si che il debitore esecutato sia già soddisfatto non potendosi più pignorare nulla a lui dato che al titolo è stata sospesa l’efficacia e poiché, nel caso in cui ci sia già stato un pignoramento, la legge prevede che se il creditore procedente non instaura una causa di merito il pignoramento decade, ecco che in quella situazione il soggetto che ha interesse a portare avanti l’opposizione non può che essere il creditore procedente, perché vuole modificare e vedersi riconosciuta l’efficacia del propri titolo al fine di procedere all’esecuzione forzata e questo fine è perseguibile solo tramite una sentenza che ponga nel nulla il decreto di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ovvero vuole portare avanti quel procedimento esecutivo che è iniziato con il pignoramento e che in caso di sua omissione esso decadrebbe). • Avendo già subito una sconfitta (il debitore esecutato ha ottenuto la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ovvero dell’esecuzione forzata già pendente), il creditore procedente deve quindi effettuare una valutazione sulle possibilità di un esito a se favorevole del giudizio di merito (in caso di perdita del giudizio di merito sarà condannato al pagamento delle spese). Con riferimento all’opposizione di terzi • già si è detto che trattasi di un’opposizione all’esecuzione in cui un terzo contesta la possibilità del creditore procedente di procedere nell’esecuzione forzata in quanto si stano pignorando beni che non sono del debitore bensì sono suoi che è estraneo al rapporto debitorio • si può parlare solo di opposizione all’esecuzione pendente, perché il momento in cui si vede che si sta procedendo ad esecuzione forzata nei confronti di un terzo piuttosto che del debitore si ha solo nel momento in cui si realizza il primo atto di esecuzione • per tale tipo di opposizione è stata prevista una disciplina apposita, perché nell’ambito di questo giudizio l’opponente soffre di alcune limitazioni alla prova: • limitazioni che si riconnettono alla presunzione di proprietà dei beni pignorati in capo al debitore esecutato quando essi siano pignorati in determinati luoghi: l’ordinamento presume che il bene che sia pignorato nella casa o nell’ufficio o azienda del debitore sia di proprietà del debitore stesso (a seguito dell’azione dell’Ufficiale Giudiziario che cerca i beni da pignorare nei luoghi appartenenti al debitore stesso, altrimenti necessiterà di specifica autorizzazione del Presidente del Tribunale) • limitazioni alla possibilità per il terzo di dimostrare che i beni che sono stati pignorati presso al casa o l’azienda del debitore (luoghi specificatamente appartenenti al debitore) siano suoi e non del debitore (si ha quindi una presunzione di proprietà dei beni pignorati che sono nella sua casa o nella sua azienda o, parimenti, si ha una limitazione alla possibilità di prova del terzo che i beni pignorati presso al casa o azienda del debitore siano del terzo e non del debitore). Il terzo che assuma suoi i beni pignorati al debitore presso la sua casa o azienda, deve provare che tali beni sono suoi non tramite testimoni (quindi anche non tramite prova presuntiva) ma lo deve provare per iscritto (es. contratto d’acquisto, scontrino), tranne che l’esistenza del diritto del terzo si ritenga verosimile per la professione o per il commercio esercitati dal terzo o dal debitore. Parlando della sospensione dell’esecuzione o dell’efficacia del titolo esecutivo che si genera per l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, ma questa ipotesi è diversa rispetto a quella in cui ci siamo occupati quando, ad esempio, abbiamo parlato della sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo pronunciato tale nella fase monitoria in senso stretto, o per la sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado; in questi casi, il titolo viene sospeso o l’esecuzione viene sospesa, non per effetto dell’insaturazione di un procedimento di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, bensì nell’ambito dei procedimenti a ciò specificatamente dedicati (per effetto della pronuncia del giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo o per effetto della pronuncia di appello nel caso in cui si chieda la sospensione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva o anche di appello allorquando si faccia ricorso per Cassazione). Il provvedimento che sospende l’esecutorietà o l’esecuzione viene importato nella procedura esecutiva ma non è necessario fare un’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi: ad avviso del Professore è sufficiente far riconoscere al giudice dell’esecuzione la pronuncia inibitoria resa nell’ambito del giudizio di appello o dell’opposizione al decreto ingiuntivo, e questo riconoscimento è contemplato ex art. 623, che prevede che il giudice dell’esecuzione può disporla anche al di fuori del giudizio di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi.
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