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Dialettologia italiana-sbobinature, appunti e sintesi manuale, Sintesi del corso di Dialettologia

Un concentrato di tutto quello che ti serve per l'esame, schematizzato con colori e sottoparagrafi da materiali che vengono dai miei appunti personali e dalla sbobbinatura delle lezioni, oltre che dai manuali.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 21/09/2022

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Scarica Dialettologia italiana-sbobinature, appunti e sintesi manuale e più Sintesi del corso in PDF di Dialettologia solo su Docsity! Definizione dialetti Il termine dialetto da ή δίαλεκτος stava ad indicare le diverse varietà del greco nei loro diversi impieghi nei generi letterari, questo termine è stato rimesso in circolo nel ‘500 per indicare quelle parlate divenute subalterne. Il linguista Max Weinreich, specialista di yiiddish, diceva che una lingua è un dialetto con la marina e l’ esercito. Non è vero che il dialetto si definisce perché non ha una grammatica, al contrario è possibilissimo scrivere una grammatica di un dialetto. La differenza tra lingua e dialetto non è strutturale, ma è sociolinguistica. La definizione di dialetto è utilizzata per indicare una varietà linguistica con tre caratteristiche: ● non è stata standardizzata ● è parlata oralmente solitamente e viene utilizzata da una comunità ristretta ● viene esclusa dagli impieghi formali ed istituzionali (definizione dialetti di Loporcaro 2013) Non standardizzata- I dialetti non hanno subito un processo di codificazione grammaticale come il fiorentino del ‘300 attraverso ad esempio “ Le prose della volgar lingua” di Bembo del 1525 tempo in cui l’italiano veniva usato dagli usi alti degli intellettuali, poi dopo il 1860 si è esteso a tutte le classi italiane. Prima del ‘400 tutti i dialetti venivano considerati allo stesso piano sociolinguistico. Questo non significa che il dialetto non abbia una sua grammatica, ma semplicemente che queste regole non sono state oggette di una profonda riflessione metalinguistica. Perché un parlante riesce a capire quando una parola può essere dialetto o no. ad esempio. nap: Speranziell : il dittongo [je] solo quando la finale è in /o/ o in /i/, essendo questa parola femminile è uscente con -a, è possibile per un parlante napoletano riuscire subito a capire che questa parola non è in dialetto. Un altro esempio nap. [ʃtupidə], ma in realtà la sibilante davanti a [t] resta sibilante, non si palatalizza, quindi [stupidə]. Uso orale in una comunità ristretta- con alcune eccezioni, non si pratica in usi scritti e di solito il dialetto ha un’estensione geografica limitata, rispetto alla lingua. Esclusa da impieghi formali e istituzionali- priva di riconoscimenti ufficiali e istituzionali dalla comunità in cui viene parlato. Una delle caratteristiche più importanti del fiorentino è che è stato riconosciuto come ufficiale dello stato italiano e se ne è servito per contesti ufficiali: leggi, etc. Il napoletano o il siciliano pur avendo una letteratura proficua e di tradizione non sono mai state riconosciute dalle istituzioni, quindi rimangono dialetti. Lo svizzero-tedesco, parlato nei cantoni germanofoni della federazione belga, svizzera interna, dialetto parlato nei contesti di bassa e alta formalità (come in banca, lezioni universitarie), non viene però utilizzato nei contesti di altissima formalità (scritto ufficiale) dove si usa solo il tedesco (ad esempio leggi, moduli per tasse etc..); nonostante il largo utilizzo lo svizzero-tedesco resta un dialetto, perché sul piano istituzionale non ha un riconoscimento ufficiale. La predominanza del dialetto toscano ha relegato le altre varietà al rango di dialetti utilizzati come varietà basse subordinate all’italiano che in molti casi subiscono la toscanizzazione. Data la grande predominanza del dialetto in Italia ci si è spesso interrogati su quale fosse la percentuale di popolo che parlasse la lingua italiana al momento dell’Unità d'Italia; inizialmente De Mauro ha ipotizzato che si trattasse del 2.5%, Castellani ha alzato la media al 12.5%. Fino al 1974 il numero di persone che dichiaravano di usare normalmente il dialetto in ambito familiare era altissimo. La punta più alta di dialettofoni si registrava: 1. Canton Ticino (Svizzera) con l’82% 2. Veneto era del 74.6% 3. Sicilia del 73.1% 4. Altre regioni 30% o meno Con repertorio linguistico si intende l’insieme delle risorse linguistiche a disposizione di una comunità linguistica o del parlante comunitario o individuale, Comprendono una o più lingue o dialetti costituiti a loro volta da un sottoinsieme di varietà diafasiche o diastratiche e l’utilizzo dei vari registi è determinato da delle regole sorte internamente alla comunità. Nel repertorio d’Italia l’italiano standard ha maggior prestigio e in un polo più basso il dialetto. Tra i due codici c’è una netta separazione strutturale. Non c’è continuum tra tutti i dialetti, ma in alcuni, ad esempio il napoletano, c’è un discretum, si riconosce quando si passa dal dialetto all’italiano. Invece un caso particolare è quello della Val Badia, in prov. di Bolzano, dove abbiamo 4 codici diversi: -tedesco (altaformalità) -ladino e sudtirolese (bassi o medi) -italiano (altissima formalità) (variazione di repertorio: non tutti i parlanti ricorreranno ai diversi codici nei diversi contesti) Per il parlante tra il dialetto e la lingua c’è un rapporto di subalternità indubbia: da una parte una subalternità storica in cui il dialetto è visto come corruzione dell’italiano (in realtà no, dato che sia fiorentino che gli altri dialetti sono tutti figli del latino allo stesso modo), cosa assolutamente non vera e subalternità strutturale-funzionale perché secondo alcuni c’è un’assenza di grammatica e apparentemente un lessico limitato, che non consentano la comunicazione di alto livello. Siccome il parlante è cresciuto in una comunità che impiega l’italiano per i contesti di media-alta formalità, quindi si convince che questo è avvenuto perché il dialetto non era all’altezza. In realtà grammatiche dialettali esistono: quella di Altamura di Loporcaro, quella di Agnone che si sta scrivendo. Il dialetto còrso permette ad esempio di fare divulgazione scientifica e quant’altro. La differenza quindi tra lingua e dialetto non è strutturale, ma sociolinguistica. Ugo Vignuzzi: la lingua è un dialetto che ha fatto carriera. 8. ita informale trascurato (fortemente marcato basso in diastratia e diafasia, situazione di massima rilassatezza e contesti informali) Mica possiamo venire, eh? 9. ita gergale ( lingua o criptolingua di gruppi che condividono particolari attività esperienziali.) Ad esempio il gergo degli spazzacamino, dei girovaghi, dei tossicodipendenti, linguaggio giovanile. Una loro caratteristica è la ricchezza di sinonimi per le parole-chiave. “bidone”-imbroglio. Ehi, apri ‘ste orecchie col cavolo che ci si trasborda. Notiamo le diverse forme allocutive lei, voi di cortesia, tu di confidenza, ci clitico tuttofare (in italiano o locativo o di quarta persona). L’italiano popolare è una varietà che rappresenterebbe il livello sociolinguistico basso della nostra lingua e che sarebbe caratterizzato da elementi comuni anche se appartengono a variazioni diatopiche differenti. La lingua della quotidianità. Da un lato è influenzata dal dialetto sottostante che provoca ipercorrettismi, interferenze etc, dall’altro semplifica e ristruttura il codice linguistico: ● carattere paratattico su questo ipotattico ● Impiego di “dire” nella forma di 3° persona singolare per ribadire il discorso diretto, con usi desemantizzati: dice ● strutture a tema libero ● periodo ipotetico della realtà con conguagli di un unico tempo verbale o scambi tra protasi e apodosi ● il che polivalente “spesso andavo al bar che si trovava…” può essere usato come indicatore generico di subordinazione tuttofare, come rafforzativo o integrativo di altre congiunzioni subordinanti, relativizzando qualunque posizione sintattica ● omissione del verbo essere nei sintagmi nominali ● accumulo di congiunzioni e avverbi ● l'estensione di ci che tende a diventare un tuttofare ● frequenti cambi di progetto, quando il parlante inizia a parlare di qualcosa per poi cambiare argomento e, di conseguenza, struttura sintattica. “non credo che la televisione ci piaccia… a vedere sempre interviste, telegiornale e basta…” ● lessico ridotto come il grande uso del sostantivo “cosa” o del verbo “fare” ● Introdurre frasi con ecco, certo, cioè, ma particelle prive di significato alcuno in quei contesti ● reduplicazioni ridondanti di pronomi clitici “a me mi piace” “mi dovevo andare a tagliarmi i capelli” ● scambio tra “essere” e “avere” nei tempi composti ● perifrasi con “fare” ● realizzazione fricativa di quelle che sono affricate /zukkero/ per /tsukkero/ ● rafforzamento dei dimostrativi “questa cosa qua” “quelli là” ● raccordare sostantivi dal valore collettivo a verbi al plurale “la gente si misero a correre” ● l’intonazione, spesso, rende possibile un larghissimo ricorso alla dislocazione a sinistra "questo libro qua è un mese che te lo vedo davanti” ● congiuntivo poco frequente Anche il dialetto subisce delle variazioni, anche se meno ampiamente: -in diatopia localmente circoscritto -in diastratia e’ parlato per lo piu’ da persone medio-basse (anche qui c’e’ differenza tra i dialetti di una persona istruita e una meno istruita) -in diafasia anche qui in contesti medio bassi -in diamesia scarsamente impiegato nello scritto, piu’ orale (tuttavia c’e’ differenza tra il dialetto di una poesia o di una rappresentazione teatrale e un dialetto parlato in famiglia) Tuttavia sul piano strutturale ci sono differenze minime. Costituiscono comunque quattro sub varietà: dialetto letterario, dialetto urbano, dialetto rustico (con variazione più diastratica che diatopica rispetto al rustico legata ai gruppi socio-culturali) e dialetto gergale. Il più antico segno di attività culturale legata alla variazione è la glossatura, cioè la pratica di accompagnare un testo in una lingua poco familiare con annotazioni interlineari o marginali che la rendono più familiare a chi scrive. Successivamente vengono prodotti vocabolari dialettali e grammatiche dialettali che mirano a dimostrare la dignità della parlata in questione non era minore di quella più autorevole lingua letteraria del tempo. La dialettologia moderna è descrittiva. Ciò che caratterizza la dialettologia moderna è la metodologia basata sulla raccolta diretta, sul terreno; pur richiedendo la conoscenza della bibliografia precedente. I dati sono di norma tratti del parlato e non dello scritto. Il dialettologo sceglie le località e i parlanti sotto osservazione. Prima si sceglievano soggetti anziani, incolti e di paesi piccoli perchè non si volevano “contaminazioni”, ma si è capito che il dialetto puro non esiste perchè, come abbiamo detto, la variazione diafasica così come quella diatopica è riscontrabile anche nelle variazioni diatopiche. Lo studio dei dialetti non investe solo le forme, ma anche i loro usi, come per esempio il caso degli allocutivi. Fino al II sec d.c si usava tu con tutti i parlanti, poi si riservò il tu ai pari e vos ai superiori e questa usanza è conservata in alcuni dialetti del meridione (es. sic. [vossja]). Adesso in italiano si usa tu tra i pari e lei più formale, ma il plurale non è loro, ma voi. Esiste, quindi, un tipo di studio che non traduce le parole del dialetto in italiano, ma le assegna al proprio ordine di cose che può differire dalla parola italiana. Il metodo parole e cose fa parte della dialettologia che ricostruisce forme di espressione e contenuti della cultura di una comunità contadina e artigiana ben diversa: linguistica etnografica. Nel 1950 è nata la sociolinguistica volta allo studio delle variazioni nei grandi centri urbani. Le prime indagini sociolinguistiche adottarono il metodo della sociologia e la distinzione tra inchieste macro ( in cui il campione studiato deve avere caratteristiche in media proporzionali alla popolazione studiata nel suo insieme) e inchieste micro. Le variazioni si studiano in ampi corpora anche con registrazioni vocali dei vari fenomeni. E quindi esistono tanti corpora di lingua parlata, di varie lingue, con diversi gradi e di situazioni particolari. Esiste per esempio il Corpus di italiano parlato di Emanuela Cresti e il LIP (Lessico di frequenza dell’italiano parlato) di Tullio De Mauro. Confini dialettali La presenza di isoglosse ci aiuta a definire i vari dialetti, a categorizzarli e a studiarli strutturalmente. Per isoglossa si intende la linea che divide due aree in cui uno stesso tratto linguistico assume valori diversi e ci aiuta a cogliere differenze fra dialetti contigui. Indica sia tratti che sono condivisi da più varietà e tratti tali da opporli ad altre varietà. Ogni varietà si distingue da un’altra per almeno un tratto. L'isoglossa tracciata su una carta geografica è una linea che divide due aree in cui il medesimo tratto abbia valori distinti. Dopo aver individuato un tratto caratteristico nel nord-Italia ad es. /ly’na/ in milanese da LŪNA(M) latina vediamo in quale altre varietà è presente questa vocale turbata da Ū tonica latina e su una cartina geografica tracciamo i confini dove questo fenomeno non è più presente. Che valore assume questo tratto in ogni parte del territorio? Che tratto ha assunto nel territorio? Riporto sulla carta i diversi valori in cui Ū ha valore /y/ e un’area in cui Ū ha valore /u/. La sezione occidentale dell’Italiano settentrionale ha avuto l’esito della vocale turbata, valore presente anche nei dialetti galloromanzi, quindi ancora piu’ a ovest. Nel resto d'Italia l’esito è stato /u/, non turbata. In Lombardia notiamo che c'è il valore /y/ per /lyna/, non è presente in Veneto, nella zona piu’ occidentale dell’Emiliano occidentale abbiamo le vocali turbate e questo confine si estende fino Liguria e Toscana, fino a Garfagnana, ma non l’abbiamo nella Toscana vera e propria. Il confine con i valori assunti dal tratto di questa parola non è detto che coincide con altre parole che contengono questo tratto al millimetro (per questo vedi più avanti la visione esterna sociolinguistica). Ci ritorneremo più avanti. Manzini e Savoia che nel 2005 scrivono un'opera sui Dialetti Italiani studiando alcuni dati raccolti sul campo di morfosintattico o sintattico, mai singole parole, analizzando poi le strutture morfosintattiche basate su dati analizzati secondo la sintassi generativa chomskyana; è assente la dimensione geografica, i dialetti vengono esaminati come portatori di tratti strutturali a prescindere da tratti storici o geografici non ci sono riferimenti a tratti comuni ad aree generali e non c’è nessun interesse alla circoscrizione geografica dei singoli fenomeni. es. accordo pronome postverbale Lecco, Bormio in Valtellina c’è accordo a Corte in Corsica non c’è. ● APPROCCIO ESTERNO, GEO-SOCIOLINGUISTICA Vedono la lingua come diasistema (cioè insieme di varietà es. l’italiano e il siciliano fanno parte dello stesso diasistema) quindi studiando ciò che è esterno alla lingua (diastratia, diafasia, diamesia etc) e vedendo come influenza la lingua. La prima linea è antimmanentista ‘900, Shuchardt, Schimdt, Terracini, Labov e pensano che il continuum dialettale non permetta di fissare confini dialettali netti, ma aree di transizione perpetue, perche’ ci sono differenze minime tra aree contigue e ci sono molti piu’ tratti che uniscono rispetto a cio’ che divide. E permette di concentrarsi sui continua dialettali. I confini possono essere individuati solo per i singoli fenomeni, indicando un fascio di un numero consistente di isoglosse un confine linguistico. Ad esempio la linea La Spezi-Rimini con fenomeni ricorrenti: lenizione intervocalica, scempiamento, apocope delle vocali diversa da -a… Tuttavia non c’e’ una sovrapposizione completa delle isoglosse, ma è continua solamente nel fascio che coincide con gli Appennini. Ad esempio la lezione delle occlusive sorde intervocaliche non si distribuisce sul territorio in maniera del tutto omogenea. Ne deduciamo che il mutamento non procede solo nel tempo, come prevede la visione neo-grammaticale. Questo tipo di approccio si convince del fatto che la variazione può essere molto alta anche in un singolo punto. Sono consci che il mutamento procede anche nello spazio (teoria delle onde, epicentro in un luogo che ha prestigio culturale così che l’apocope delle vocali diverse da -a nel ‘200 era ancora in via di diffusione a Milano) e nel lessico ( diffusione lessicale non necessariamente conquista subito tutto il lessico. Se il mutamento e’ forte si estende a tutto il lessico. Ad esempio nel toscano la lenizione delle sorde intervocaliche non si sviluppa in tutto il lessico: LACUM→ /lagum/, ma FUOCUM →/fwoko/. Il fenomeno è arrivato dal settentrione e si è diffuso in alcune parole, ma non in tutte). Nel ‘900 nasce la geolinguistica: da questi studi nascono gli atlanti linguistici, il primo quello della Francia pubblicato 1902 e il 1910 diretto da Jules Gilleròn e si è avvalso di un unico intervistatore che si è recato in 600 punti del territorio francese sottoponendo un questionario di 1100 parole; ma anche quelli dialettali (come AIS atlante italo svizzero il primo atlante italo romanzo basato su inchieste sul campo) pubblicato 1928-1940 con 3 intervistatori e analizzano i mutamenti nel singolo concetto (onomasiologico, vediamo come è espresso un significato, non un significante [es. essere cieco= cieco, cecato, orbo) non nel fenomeno, con un questionario di 2000 domande. Da segnalare in particolare il VIVALDI Vivaio Acustico delle Lingue e dei Dialetti d'Italia, una banca dati acustica Corollario paradossale: le carte degli atlanti mostrano le isoglosse che con un approccio interno ci consentono di riconoscere i dialetti e i tipi dialettali. Adesso si parla di sociolinguistica. Da questo approccio esterno nello studio dei dialetti nasce l’analisi dialettometrica di Hans Goebl che tratta i dati linguistici che si ricavano dagli atlanti linguistici precedenti tramite formule matematiche, un approccio molto rigido (ad esempio l’atlante che sottolinea la distanza strutturale da Roma: una carta di similiarità) che si presenta ascientifico e presenta aporia in quanto elabora sistematicamente (tramite formule matematiche) degli input asistematici perché colgono atti di parole e non di langue, ciò non forniscono analisi del sistema, senza tradurre in langue, senza razionalizzare atti di parole. è molto rigido e non accoglie altre distinzioni. Ad es. Il vocalismo atono siciliano a livello di langue è trivocalico, ma contestualmente o in variazione libera possono essere realizzati dai parlanti anche in maniera diversa. Quindi i confini dialettali esistono o no? Sembrerebbero esistere anche se non ci aiutano a descrivere la realtà precisamente, ma ci danno indubbiamente un’idea approssimativa della realtà. Sul piano operativo è uno strumento irrinunciabile, soprattutto per la classificazione dei dialetti. In più i confini dialettali sembrano contrapporsi a linee di discontinuità di altra natura (il tratto della La Spezia-Rimini che corre sugli Appennini, tra Emilia e Toscana, è uno dei 33 confini genetici individuati da uno studio. In 31 casi su 33 vi e’ una sovrapposizione fra un confine linguistico e uno genetico. In 21 casi su 33 casi coincide con una barriera geografica, in altri casi no, quindi il mutamento ha una spiegazione che non coincide con quella geografica). Uno studio per i dialetti che si pone in posizione intermedia tra l’approccio interno ed esterno dei dialetti è la Grammatica Storica di G. Rohlfs sulla base dei dati dell’AIS che dà conto dei valori strutturali con una chiara scansione geografica pur senza le carte geografiche. Come il Savoia dà molta attenzione agli aspetti strutturali, ma in più mostra una forte sensibilità sui valori tra microaree e macro aree, una sensibilità geolinguistica. es. consonantismo in fonetica PJ del latino volgare nelle varie zone di Italia, cominciando sempre dalla Toscana (antica-attuale), Italia meridionale e poi Settentrionale, classificandoli poi regione per regione. I rapporti dei dialetti I dialetti si distinguono per rapporti genealogici che esistono fra di loro, possiamo parlare di: ● dialetti primari sono in rapporto di subordinazione sul piano sociolinguistico, ma condividono la medesima origine ( es. siciliano e toscano, entrambi arrivano dal latino). Sono tutte varietà sorelle. Sul piano storico e genealogico hanno la stessa lingua madre. ● dialetti secondari quelli sorti dalla differenziazione geografica di una stessa lingua. Il rapporto genealogico non è di sorellanza, ma di figliazione diretta. Ad esempio l’inglese con l'americano etc Sono secondari rispetto all’italiano anche gli italiani regionali che variano su base geografica e nello schema di repertorio classico dell’Italia si vanno a interporre tra l’italiano e il dialetto. Quali sono le ragioni storiche-strutturali di questa differenziazione di italiano regionale? L’italiano viene appreso con azione di sostrato esercitata dai vari dialetti locali man mano che l’italiano veniva appreso dai parlanti esclusivamente dialettofoni agli inizi del ‘900, assumendo alcuni dei tratti tipici del dialetto. Es ita: /fede/ sic: /fεde/ non ita /corto/, ma /cɔrto/ perché tutte le toniche in siciliano sono aperte, non esistono toniche medio-alte (con questo stesso meccanismo nasce l’itaenglish es. eng: [ðə] ita: /dε/ trasferendo caratteristiche tipiche dell’italiano). Dal punto di vista funzionale che rapporto hanno nel repertorio delle singole comunita’ linguistiche italiane? Il tipo di rapporto è definibile secondo come i parlanti utilizzano il codice. Per bilinguismo intendiamo quando in una comunità sono compresenti due sistemi non differenziati che sono utilizzabili senza distinzioni in qualsiasi contesto comunicativo. Entrambi i codici vengono selezionati dai parlanti a prescindere dal contesto comunicativo, sia bassa formlita’ che alta formalita’. Non e’ il caso dell’Italia perche’ non c’e’ una selezione arbitraria. Per diglossia si intende quando in una comunità vi è coesistenza di due varietà con ciascuna dei ruoli ben definiti, senza sovrapposizioni funzionali (un esempio può essere il caso dello svizzero-tedesco nei cantoni germanofoni con il tedesco usato solo nei contesti di altissima formalita’ e in tutti gli altri contesti svizzero tedesco, o i dialetti locali di alcuni paesi del nord africa nei confronti dell’arabo e poi dei dialetti locali; anche il caso del veneto, ma non e’ una situazione estesa a tutta l’Italia). Una varieta’ solo nei contesti alti, l’altra nei contesti bassi e non esistono contesti in cui entrambi codici possono essere usati indifferentemente. Si parla di basiletto quando, per esempio, nella situazione diglossica esistono due varianti della stessa lingua. Quindi si parla di basiletto per dire “varietà linguistica considerata di livello più alto” e di acroletto per dire “varietà linguistica considerata di livello più alto”. Nei casi italiani non è possibile parlare di diglossia perché: ● l’italiano, ormai, non è circoscritto soltanto agli usi di altissima formalità ● il dialetto, soprattutto dopo il secondo novecento, sta tendendo a regredire solo nei contesti informali, dove prima era l’unico codice disponibile La diglossia poteva descrivere la situazione del primo novecento italiano. Nel caso italiano è più corretto parlare di bilinguismo endogeno a bassa distanza strutturale con dilalia. attribuibile al sostrato bisogna che superi tre prove teorizzate da Ascoli: 1. prova corografica accertare che vi sia sostanziale coincidenza della diffusione geografica delle due varietà nelle quali si osserva il fenomeno (l’odierna area di diffusione del fenomeno deve essere la stessa in cui in epoca preromana si parlava la varietà che noi pensiamo essere di sostrato) 2. prova intrinseca sul piano strutturale il fenomeno si manifesti nelle due varietà in maniera simile, cioè che colpisca gli stessi tratti, produca gli stessi effetti e abbia identici contesti di innesco etc.. (occorre accertare che il fenomeno esistesse anche nella lingua di sostrato, che questa tratto si manifesti nello stesso modo nelle due varietà) 3. prova estrinseca accertare che il fenomeno in esame si rinvenga anche in altre varietà moderne oltre a quella considerata, varietà per le quali si possa ipotizzare la stessa lingua di sostrato (ricorrenza dello stesso fenomeno in lingue di altre aeree con identico sostrato). Oggi si tende meno a ricorrere a questa spiegazioni. Indubbiamente a livello lessicale l’influsso del sostrato è indiscutibile. Ad esempio zolla che nei dialetti dalla Calabria al Salento viene chiamata [ʎʎɛ:fa] e altri simili derivano tutti dal una parola osca *GLEFA perchè in latino in corrispondenza della stessa parola indoeuropea presentava il latino GLEFA. Quanto agli Etruschi la loro relazione con Roma era stata intensa, tanto che gli ultimi re di Roma erano proprio etruschi e da loro veniva l'alfabeto latino. Dal lessico avevano preso la parola persona, popolo e taberna prima entrate nel lessico del latino di Etruria e poi nel latino. In latino sono documentati alcuni relitti, parole che provengono dal gallico o da altre varietà celtiche . Se dunque è incerto se il latino avesse subito mutamenti fonetici a causa delle lingue indigene alle quali si era sovrapposto è invece sicuro che il lessico latino era stato arricchito da nuovi termini. Alcune caratteristiche continuano a essere attribuite a effetti di sostrato. ● es. palatizzazione di Ū in [y] sostrato celtico. ● es. palatalizzazione di A tonica in sillaba aperta [ε] in area emiliano-romagnola per sostrato celtico. ● es. lenizione occlusive intervocaliche in area settentrionale sostrato celtico✅ ● es. assimilazione di -nd- diventa -nn- e -mb- diventa -mm- in area mediana/meridionale sostrato osco ● es. spirantizzazione delle occlusive (gorgia toscana) sostrato etrusco secondo Merlo, ma non secondo Ascoli ● es. retroflessione dei nessi -ll- in [-ɖɖ-] (retroflessa sonora occlusiva) sostrato mediterraneo Iniziamo ad analizzare uno ad uno i fenomeni per capire se superano tutte e tre le prove: Sostrato osco assimilazione progressiva -nd- → -nn- e -mb-→-mm- L’osco era una varietà dell’indoeuropeo come il latino ed effettivamente le parole latine dall’indoeuropeo che presentavano il nesso consonantico di nasale + occlusiva dentale sonora vengono conservate, invece in osco presentavano una nasale geminata. Ad esempio il gerundivo upsannam (opzannam si legge) corrisponde etimologicamente a operandam latino. Alberto Varvaro (♥) nel 1979 tuttavia scopre che questo mutamento nel periodo non era presente, inoltre nell’area meridionale dove è attualmente presente (quando → /qwannu/) non è presente fino al XIII secolo (1200 d.C) e in quel periodo è ancora in fase di diffusione infatti è attestato a Roma e in Umbria, nei dialetti perimediani, che non hanno sostrato osco, e si è poi diffuso verso l’area originariamente osca. I testi del trecento mostrano il fenomeno a Roma, ma ancora non in Campania, mentre in Lucania, Calabria e Sicilia solo nei testi del XVI, nel ‘500. In riferimento a queste contestazioni areali e cronologiche, possiamo escludere questo mutamento a un effetto di sostrato osco. Inoltre Seidl obietta che in osco c’era un condizionamento morfologico che non è presente nel sostrato che non c’è nei dialetti meridionali attualmente. ESCLUSIONE Sostrato mediterraneo -ll- → [ɖɖ] Sostenuto da Merlo, per giustificare la presenza delle retroflesse nel sardo, còrso e nei dialetti del meridione estremo. PELLEM→sic. [peɛɖɖe] Intanto c’è uno scarto sul piano metodologico: il mediterraneo è una lingua che non esiste, non è documentata, né attestata quindi è impossibile da dimostrare la presenza di questo fenomeno. Sul piano documentario: non abbiamo tracce durante la fase latina e inoltre le prime tracce in Sicilia risalgono al XIV secolo (1300), post latino. Sostrato etrusco processo allofonico di spirantizzazione (lenizione) delle occlusive sorde in posizione debole (gorgia toscana) Per posizione debole si intende intervocalica, tra semivocale o tra vocale e vibrante-laterale ( V_V; V_SV; V_r/l), anche in fonosintassi: /amiko/→ [ami:ho] affricativa agglotidale; non in [kasa] perchè è in posizione forte (postconsonantica, iniziale etc) posizione debole: /lakrima/→ [la:hrima] /la kasa/→[la hasa] /la kjave/→[la h:jave] /lupo/→[luɸo] fricativa bilabiale sonora posizione forte (dopo consonante, anche in fonosintassi, in posizione iniziale assoluta): /esko/→[esko] /kokakola/→[kohahola] Ci possono essere esiti leggermente perchè non ha diffusione in tutta la Toscana diversi ad esempio che l’occlusiva si mantiene ma viene seguita da una spirantizzazione: [lukʰa][pratʰo] oppure per esempio la /k/ può essere realizzata con una fricativa sorda ugulare [amiχo]. La lenizione può giungere ad esiti estremi come nella Toscana occidentale, ad esempio a Pisa e Livorno dove abbiamo il dileguo di /k/→[ami:o] La gorgia toscana si può sintetizzare dicendo che è un processo allofonico di indebolimento delle occlusive sorde in posizione debole, anche in fonosintassi Secondo Merlo e Castellani questo mutamento derivava dal sostrato etrusco: 1. prova corografica: il fenomeno si sviluppa in un’area coincidente a quella abitata dagli etruschi prima della conquista romana. 2. prova intrinseca: esistevano aspirazioni nelle occlusive etrusche, tant’è che l’alfabeto etrusco mutuato dall’alfabeto greco occidentale mantengono i seguenti grafemi spiranti greci: /φ,χ,θ/ quindi potrebbe esserci una prova grafica che questi segni servissero per documentare la spirantizzazione delle consonanti. In latino che ha preso l’alfabeto dall’etrusco non ha mantenuto questi caratteri aspiranti perché non avevano alcuna funzione distintiva, mancando nel sistema le consonanti corrispondenti. 3. prova estrinseca: non è accertabile perché non ci sono altre aree popolate dagli etruschi è possibile tuttavia muovere delle obiezioni: Rohlfs porta l’attenzione sulla distanza cronologica: la presenza di /k/ → [h] (glottidale fricativa) appare solo nel 1525 e /t/→ [θ] e di /p/→ [φ]compare nel XVIII. Inoltre la prova intrinseca è debole: non avevamo una spirantizzazione, ma il mantenimento della velare seguito da aspirazione inoltre c’è anche una differenza strutturale perché in etrusco la spirantizzazione non avviene solo per indebolimento intervocalico, ma anche in contesti post-consonantici perchè ad esempio abbiamo [tarχnas] producendosi dopo la vibrante. Sostrato celtico Visione di Ascoli: palatazzazione di Ū tonica nei dialetti gallo italici: Ascoli di questo tratto parlava della più acuta delle influenze celtiche. 1. prova corografica: perché l’area in cui è presente il fenomeno era quello abitato da popolazioni celtofone. 2. prova estrinseca: il fenomeno oggi lo si riscontra nei dialetti italo romanzi, ma anche in tutte le varietà gallo-romanze, quindi in area abitate in epoca preromana da popolazioni celtofone. 3. prova intrinseca: Ū indoeuropea diventa i in bretone, varietà celtica in Bretagna quindi deve aver per forza aver conosciuto una fase intermedia in /y/. Nel latino volgare di Gallia (in francese antico) non è documentato prima del VII sec. d.C. Considerando che la romanizzazione della Gallia risale all’epoca delle conquiste di Giulio Cesare, I sec a.C., dovrebbe apparire prima questo fenomeno. Nelle iscrizioni galliche in lingua celtica non c’è alcuna traccia della palatalizzazione della Ū. Per quanto riguarda la prova estrinseca del bretone ha un peso relativo, perché, pur essendo una varietà celtica parlata ad oggi nella parte nord-occidentale della Francia, è in realtà una varietà insulare sviluppatasi in Britannia e giunta in Gallia soltanto nell’alto medioevo per migrazione. QUINDI E’ ESCLUSO. C’è solo un mutamento che può essere spiegato con il sostrato secondo Di Giovine: sostrato celtico lenizione delle occlusive sorde intervocaliche in area settentrionale a nord della linea La Spezia-Rimini data l’antichità delle attestazioni già nei primi secoli dell’impero nelle diverse iscrizioni e la corrispondenza areale. -t-→ /d/ -k-→ /g/ -p- -v-→ b CORRUZIONE BARBARICA.Fin dal quindicesimo secolo questa catastrofe è stata addebitata alle invasioni germaniche con influssi di superstrato e adstrato. Le lingue romanze sono considerate forme corrotte a causa della mescolanza etnica e linguistica determinata dalle invasioni. Non spiega come mai le lingue germaniche, che hanno tutte una declinazione nominale, avrebbero dovuto provocare la scomparsa di quella latina. TEOREMA DEL SOSTRATO. Un’ipotesi del 1881 di G.I. Ascoli attribuisce il peso decisivo nella formazione delle lingue romanze ai sostrati prelatini. Pochi anni dopo Ascoli, nel 1884 G. Grober collegò la differente fisionomia delle lingue romanze allo stadio di sviluppo raggiunto dal latino alla data della prima latinizzazione delle province corrispondenti. Così il sardo sarebbe più conservatore del francese e ambedue, più conservatori del rumeno. Questa spiegazione, però, presuppone che il latino imperiale fosse molto differenziato al suo interno. In più la latinizzazione è un fenomeno di lunga durata che comincia al momento della conquista della provincia e a volte non era nemmeno finito al momento del crollo dell'impero. Questo processo immediatamente conseguente alla conquista è una semplificazione inaccettabile. È impensabile che il latino di una provincia non abbia risentito degli sviluppi che avvenivano altrove. È vero che un paese colonizzato conserva qualche tratto diatopico e diacronico che dipende dall'epoca in cui si è costituita la tradizione e dalla provenienza dei colonizzatori. Il francese del Quebec mantiene ancora alcuni tratti del francese del sei-settecento. Lo Spagnolo d'America conserva tratti andalusi. La teoria di Grober non è errata, ma non può essere accolta alla lettera. TEOREMA MARIO ALINEI / TEORIA DELLA CONTINUITA’: Alinei Sosterrà che l’Indoeuropeo sia giunto in Europa molto prima di quanto si creda, cioè alla diaspora dell’homo sapiens e che alla fine del Paleolitico Superiore tra 33000 e 9000 a.C. i gruppi linguistici e i linguemi europei erano già nettamente separati e insediate nelle loro sedi storiche. Vede i dialetti come varietà sorelle del latino, comunque molto simile perchè sennò non si parlerebbe attualmente di varietà italo romanze, figlie dell’indoeuropeo, formatesi a seguito della diaspora dall’Africa. I dialetti sarebbero quindi autonome varietà indoeuropee di un sottogruppo chiamato italide esteso in età neolitica dall’iberia all’Adriatico. Tali lingue si sarebbero sovrapposte ad altre già esistenti. Fra le lingue non indoeuropee ci saranno sicuramente il basco, l’etrusco, il sicano, l’elimo e il ligure. Ad esempio l’emiliano continuerebbe una sorta di dialetto indoeuropeo d’Emilia, come mostrano le prove di Alinei. Le prove dell’antichità dei dialetti italiani vengono prese da Alinei soprattutto nel lessico, con riferimento in particolare al significante utilizzato per indicare il vomere dell’aratro in emiliano occidentale: [mattsa] che sarebbe l’esito moderno della varietà dell’emiliano occidentale quando fu inventato il referente in questione nel 5000 a.C. *MATTEA (bastone).Un processo semantico che per metafora deve essersi prodotto all’invenzione del referente stesso, riferendosi alla teoria dell’ auto datazione lessicale. Secondo Alinei la scarsa documentazione sarebbe dovuta al fatto che la scrittura avrebbe utilizzato solo la lingua egemone. La tesi tradizionale afferma che le lingue indoeuropee sarebbero giunte in Europa per migrazione da un’area a nord est del Mar nero tra il 6° e 4° millennio a.C., ma per lingue indoeuropee intendiamo latino e le altre italiche. CONFUTATA ● Assenza di documenti che possano dimostrare l’esistenza di varietà preistoriche italiche affine al latino. Abbiamo documentazione di varietà differenti dal latino. Alinei portava a esempio: em. occ. Matsa⇾*Mattea indoeuropeo per “vomero dell’aratro”, ma potrebbe benissimo derivare dal latino. ● Silenzio degli storici romani di queste fantomatiche lingue simili al latino. I romani non si sono accorti di conquistare popolazioni che parlavano una lingua molto simile alla loro? Invece sottolineavano le differenze. ● Per arrivare a questi risultati Alinei si rifà alla teoria dell’autodatazione lessicale cioè che una parola risalga al momento dell’invenzione del referente, ma forse il mio caro Mario non aveva mai sentito parlare dell’autonomia del significato violando questo principio accertato e di quando il mio amico Saussure diceva che la connessione tra significato e significante non solo è totalmente arbitraria (cavolo è cavolo perchè non è tavolo), ma che il significante può cambiare o essere sostituito (es. galeotti) solo il referente è sempre associato al significato. Matea poteva essere la forma del latino che all’atto della romanizzazione gli abitanti dell’emilliano occidentale cambiano il nome di referente utilizzando il sostantivo latino Matea. MUTAMENTI DURANTE LA STORIA DEL LATINO: Variazione diatopica progressiva del latino: Per effetti di sostrato e superstrato e con variazioni geografiche e sociolinguistiche . Esistevano accenti regionali? Settimio Severo aveva un forte accento “africano” e delle pronunce sbagliate africane ce ne parla anche Sant’Agostino dicendo che non sapevano distinguere le diverse quantità vocaliche. Le indagini minuzziosissime che sono state condotte sulla lingua delle iscrizioni della maggior parte delle province non hanno portato alla luce differenze sostanziali. Per qualche decennio la lingua dei cristiani fu considerata una varietà a sé, in realtà è una lingua tecnica. L'impero romano non ha conosciuto nessuna Diglossia bensì una lingua dominante che si estendeva nello spazio e assorbiva le lingue locali, mantenendo una certa omogeneità, ma non una totale immobilità, che però non dava luogo a avvertibili varietà locali e neppure a una forte mutevolezza nel tempo. Variazione diastratica presente in tutte le fasi del latino: Sappiamo che c’era qualche differenza diastraticamente nel latino classico anche del I sec., ad esempio il dittongo AU⇾Ō come effettivamente si è monottongato in alcuni esiti dell’italiano (FAUCEM→/fɔʧe/ ≠ da non confondere con AU che monottonga in Ŏ nell’VIII seco es. TAURUM→/toro/), per questo Claudium, nobile della gens Claudia, quando passò alla parte plebea nel 59 a.C muta il suo nome in Clōdium perchè era così che i plebei la pronunciavano. Anche nel Satyricon di Petronio vediamo molte differenze nella mimesi del parlato plebeo come la sincope della vocale postonica (CALIDA→calda) , diventata quasi una norma negli esiti romanzi, o i cambi di genere dei sostantivi, alcuni trasmessi anche nel romanzo, perdita della flessione del deponente e alcune sostituzioni lessicali (bellus per PULCHER, manducare per EDO). Variazione diafasica e diamesica: Cicerone nelle Epistolae ad familiares scrive con una sintassi analitica, al posto di una sintetica: scrivere ad meum fratem e non meo fratre usando una frasale al posto del caso, oppure nel graffito pompeiano anteriore al 79 d.C. con l'innalzamento di e atona prevocalica in /i/, ricostruzione di nescit in no(n) scit. Altri esempi nell’Appendix probi del V sec d.C. con 227 parole scritte in appendice a un testo di Valerio Probo etc PROTOROMANZO. In direzione opposta si muovono le indagini che operano sul concetto di proto romanzo a cui hanno fatto ricorso Hall e De Dardel. Grazie alla metodologia comparativa tutte le proto lingue non documentate devono essere ricostruite come lo slavo comune o il germanico. Si è applicata la stessa procedura per le lingue romanze, anche se si sa che derivano dal latino, e in maniera astratta si è arrivato a comprendere che tra il latino e le lingue Romanze ci dovrebbe essere una lingua madre, il proto-romanzo. Non è identico al latino, ha tratti comuni delle lingue romanze, ma non esistenti nella lingua latina, ma anche tratti che esistevano in latino, ma non esistono nel proto romanzo. Non esistendo documentazione alcuna che possa provare l'esistenza di questa lingua, invece del latino abbiamo documentazione abbondante. Le circostanze storiche in cui germanico dette origine alle varie lingue sono sconosciute a noi, mentre il periodo tra tardo impero e alto medioevo è pienamente storico. Mentre il frazionamento viene giustificato invocando ipotetiche migrazioni di singoli gruppi di coloro che lo parlavano, ma nel romanzo non ci sono state migrazioni. L'ipotesi proto romanza ha una sua indiscutibile coerenza astratta, ma non riesce a superare la verosimiglianza storica. Non si riesce a capire bene dove questa lingua debba essere collocata nel tempo e nello spazio. Questa teoria inoltre dovrebbe confermare la Diglossia perenne e non spiega sufficientemente la frammentazione linguistica. LA DIFFERENZIAZIONE GEOGRAFICA TARDA: Varvaro (❤) (1984) parla di una variazione intralinguistica e diatopica del latino prima della frammentazione della Romània, ma una variazione anarchica, non sistematica, senza rapporti con la successiva frammentazione geopolitica e Loefstedt parla di una differenziazione dei dialetti latini a partire dal VII-VIII sec. quando il latino non viene più imparato nativamente, quindi in un latino tardo Però induce a pensare che non esistano latini regionali e quindi sarebbe stato uguale in tutte le aree nel 6° secolo e che tutte le differenziazioni si sono avute simultaneamente in tutti i luoghi da un certo punto in poi . Varvaro (2001). Il latino imperiale era la lingua di una comunità estesa ed estremamente complessa dal punto di vista sociale, economico, culturale e religioso ed essa fu adottata da masse sempre più ingenti di alloglotti attraverso un processo di cambio di lingua, ma non era compiuto dovunque al momento della deposizione dell'ultimo imperatore di occidente. La forza centripeta della rete politica che avvolgeva l'impero era abbastanza forte da generare una coesione effettiva. Un'unità che tollerava senza problemi un forte grado di variazione sia diatopica che diastratica, ma anche senza irrigidirla in varietà individuabili. Gli influssi delle lingue di sostrato e di quelle di adstrato potevano essere assorbiti senza difficoltà in questo sistema complesso, ma coeso. Le variazioni fonetiche da essi indotte restavano fenomeni locali e sub standard, i prestiti o relitti lessicali venivano a fare parte di una lingua comune, se comodi anche fuori dall'area di acquisizione. Nei decenni attorno al 500 d.Cr però cambiò qualcosa, non nella lingua ma fuori da essa. Cadde l'impero d'Occidente e si perse la coesione, non si guardava più a Roma, ma alla propria corte o alla sede del vescovo locale. La scuola continuava a insegnare la norma grammaticale classica, ma le nuove classi dirigenti non considerano più l'istruzione come il valore sociale più alto. La lingua usata dai gruppi di potere era un latino sub standard. La variazione linguistica fu sottratta al controllo di una norma unitaria. Le nuove norme diverse da area ad area autorizzarono fenomeni che erano stati semplici variazioni. Le forze centrifughe si indebolirono. Sì aggiunsero sviluppi locali perché non esisteva più alcuna forma di controllo sociale unitario. In meno di due 1. ALLOGLOTTE NON ROMANZE : a. Tedesche [ per propaggine (cioè sconfinamento linguistico) come varietà tirolesi che si parlano in trentino o bavaresi a Roana e Giazza, dialetti Walser e galinziani in Carnia tra Belluno e Udine e come isole linguistiche (varietà circoscritte) nord italia come varietà tirolesi, bavaresi in trentino, galliziani a Belluno e Udine], b. slovene [per propaggine: tra Friuli e Slovenia, lungo le confine orientali di Udine, Gorizia e Trieste] c. croate [ isole linguistiche in Molise, prov. di campobasso ad Acquaviva Collecroce] d. greche [ isole linguistiche in Calabria, Aspromonte, Roccaforte, Roghudi ma in via di scomparsa, in Salento a sud di Lecce, a Corigliano d’Otranto che in questo caso è demograficamente rilevante e non corre il rischio di estinguersi e in Corsica a Cargese dove invece si è estinta ] e. albanesi [ isole linguistiche estese a tutto il meridione dall’Abruzzo alla Sicilia, in Molise, in prov. di Pescara, a San Marzano di San Giuseppe in prov di Taranto, in diverse zone della Calabria e in Sicilia a piana degli albanesi e Contessa albertina] 2. ALLOGLOTTE ROMANZE: a. Provenzale [per propaggine e come isole linguistiche Val d’Aosta fino all’Alta Val Susa, a Faeto e Celle S. Vito in provincia di Foggia tra Campania e Puglia frutto di una migrazione avutasi durante il Medioevo] b. Franco-provenzale: [per propaggine in Valsusa, isola linguisticae a Guardia Piemontese in provincia di Cosenza] c. Catalano: [isola linguistica ad Alghero in Sardegna, in via di scomparsa] Tutte queste parlate non hanno come lingua tetto l’italiano. C’è solo una questione che porta problematiche : la questione ladina (o retoromanzo) ragionando se ha uno statuto diverso alloglotto e non; se si definisce come varietà alloglotta vuol dire mettere in una stessa famiglia con il friulano delle lingue dolomitiche. Esiste davvero una famiglia ladina diversa da tutte le altre famiglie romanze? Secondo Ascoli (1873) e Merlo esiste una famiglia ladina che comprende: ● Friuliano (ad est) ● Ladino-dolomitico (al centro a trieste) ● Romancio ( fuori dai confini italiani nei canton grigioni) perchè tutte queste varietà hanno comunanze strutturali che hanno solo loro rispetto agli altri dialetti: 1. conservazione dei nessi cons+l latini [nel settentrione, nel meridione e in toscano /j/ e poi eventualmente evolveva ulteriormente] ● friul.chiave [klaf] ● ladin dolomitico. fiocco[flɔk] ● romanci. piovere [plo:vɐr] 2. conservazione di -s nella flessione verbale e in parte nominale ● friul. tu dormi [tu tu dwarmis] ● ladin dolomitico. orecchie [urɜjes] ● romanci. tu porti [tu te pɔtas] 3. conservazione delle forme nominativali ego e tu nel sistema dei pronomi personali. Nei dialetti settentrionali sono venuti meno o quando meno non si usano come pronomi personali e si usa una forma diversa. 4. palatalizzazione di -ca- in [c] palatale occlusiva sorda e -ga- in [ɟ] palatale occlusiva sonora [per questo da considerarsi alloglotte secondo Ascoli] ○ friul [can] cane ○ ladino dolomitico. [ʄal]gallo ○ romancio [ʄat] gatto Se esiste unità ladinica devono essere considerate varietà alloglotte. Questo punto non è condiviso da Pellegrini che contestano l’unità di una famiglia ladina: ● perchè di solito le famiglie linguistiche vengono individuate per le innovazioni non per le conservazioni di tratti che erano comuni anche ad altri dialetti. Nei primi tre punti non si tratta certamente di innovazione, ma tratti che in fase medievali erano comuni a tutti i dialetti settentrionali medievali. La palatalizzazione di -ca- e -ga- è un'innovazione? No, è un’innovazione solo apparente perché si ebbe in tutta l’area gallo-romanza tra il V-VII sec. d.C. e poi si irradiò nell’Italia Cisalpina (anche in Piemonte, Lombardia e Veneto), ma poi regredì lasciando infatti attestazioni toponomastiche (un ambito molto conservatore per studiare certi fenomeni). Un esempio potrebbe essere Chiampo in Veneto (dove attualmente non è presente questo fenomeno) evidentemente da Campus. Non esiste un’unità ladina: friulano e ladino dolomitico sono rappresentati di un tipo cisalpino (settentrionale comune) in fasi assai arretrate. Quindi le innovazioni non hanno raggiunto queste fasi isolate tra le montagne rendendole varietà più conservative. Per la Classificazione dei Dialetti Italiani vedremo quelle proposte da Pellegrini nella Carta dei dialetti d’Italia del 1977. Pellegrini si affida alle isoglosse, cioè sulla differenziazione assunta dai diversi tratti sul territorio, ma anche sui criteri sociopolitici. Gli elementi di selezione della carta si basano su: -criteri esterni : ● ordine politico (confini politici italiani) ● ordine lingua tetto (a prescindere dalle loro caratteristiche strutturali) -criteri interni ● sulla base di criteri strutturali ● sulla base di isoglosse la sovrapposizione di uno stesso tratto permette di tracciare confini dialettali I dialetti si dividono quindi nelle seguenti categorie: 1. DIALETTI SETTENTRIONALI intendiamo i dialetti a nord della linea La Spezia-Rimini. ● gallo-italici (emiliano, romagnolo, lombardo, piemontese, ligure e colonie del sud-italia di tipo gallo-italico) ● veneto (e aree ladinofone) 2. DIALETTI TOSCANI 3. DIALETTI CENTRO-MERIDIONALI intendiamo i dialetti a sud della linea Roma-Ancona, tuttavia Pellegrini ha una visione diversa, perché considera mediani queste varietà che si trovano a nord della Roma-Ancorna. In realtà è una zona di transizione che non può considerarsi parte dei dialetti centro-meridionali: ● Dialetti perimediani a sud della Toscana e facente parte di quest’area di transizione. Poi iniziano i dialetti davvero centro-meridionali: ● Dialetti Mediani ● Dialetti Alto-meridionali ● Dialetti Meridionali Estremi (Salento, Calabria meridionale, Sicilia) Fino a questo punto Pellegrini li considera dialetti italo romanzi in senso stretto. Gli ultimi due sono accolti nella categorizzazione di dialetti italiani per il criterio esterno della lingua tetto. Per le diversità a livello strutturale vengono chiamate varietà Italo romanze indipendenti. 4. DIALETTI FRIULANI 5. DIALETTI SARDI È escluso il dialetto còrso perché viola entrambi i criteri sia esterni che interni non rientrando né nei confini politici né avente per lingua tetto l'italiano, pur essendo molto vicino strutturalmente ai dialetti italo romanzi. Sono esclusi i dialetti gallo-italici lombardi che si parlano a Bellinzona, Lugano nel Canton Ticino e nel Canton Ticino che hanno come lingua tetto l'italiano, ma sono collocate politicamente fuori dall’Italia stessa cosa per le varietà che si parlano in Istria. I Dialetti Toscani Ci troviamo a sud-ovest della linea La Spezia Rimini, a sud-est sono separati dall’area centro meridionale dai dialetti perimediani che fanno da cuscinetto. Il toscano tiene un posto centrale nella storia linguistica italiana per le note ragioni storiche ed è anche per molti aspetti più conservativo rispetto al latino che non gli altri dialetti italiani). I dialetti toscani si dividono: 1. Fiorentino 2. Senese 3. Toscano Occidentale (pisano, livornese, lucchese, zona Volterra etc…) 4. Toscano Meridionale (grossetano, amiatino…) presenta tratti della zona mediana (Giannelli segnala anche un’altra distinzione in quella meridionale anche quella occidentale) es. Il mi fratello gli è un grullo, te tu fai. è una caratteristica che riguarda in particolare il distretto di Firenze. Questo mutamento è post-medievale giungendo dai dialetti settentrionali per contatto (in quasi tutti i dialetti settentrionali sono presenti infatti i clitici soggetto) , per questo non è presente in italiano. I Dialetti Centro-Meridionali Sono i dialetti a sud della linea Roma-Ancona e vanno dalla parte occidentale di Marche e Toscana fino alla Sicilia. Comprendono un’area: -Mediana -Alto Meridionale Lazio Meridionale, Campania, Molise, Lucania, Calabria settentrionale, Puglia escluso il Salento -Meridionale Estremo Sicilia, Salento, Calabria meridionale La suddivisione di Pellegrini dei dialetti centro-Meridionali investe anche un’area che confina con la Toscana e si ferma appunta alla linea Roma-Ancora, facendo da cuscinetto tra i dialetti toscani a ovest, il settentrionale gallo italico a est e a sud i reali dialetti centro Meridionali in senso stretto e non possono essere considerati effettivamente centro-meridionali, in questo modo non si dà rilevanza al confine della Roma-Ancona. Quest’area è la PERIMEDIANA : include il Lazio a nord-ovest del Tevere, la zona di Perugia in Umbria nord occidentale e la provincia di Ancona. Questa ulteriore distinzione in Perimediana la dobbiamo a Ugo Vignuzzi e Francesca Avolio negli anni ‘80 ed è una distinzione necessaria dato che si configurano queste come varietà di Transizione. ● con l’area mediana condividono l’assimilazione del nesso -nd- in -nn- ● coindividono con i dialetti gallo italici di tipo romagnolo la /a/ tonica in sillaba aperta che diventa /ε/ es del perugino: bacio⇾ [bε:ჳo] infatti in romagnolo ⇾ [bε:ჳ] . ● Il vocalismo atono finale perimediano a 4 timbri condividono con il toscano (es. Campŭm⇾ perugino [kampo] in toscano [kampo]) Da segnalare inoltre un’area molto particolare, stavolta all’interno dell’area centro meridionale tra Calabria settentrionale e Basilicata Meridionale che prende nome di AREA LAUSBERG linguista che facendo inchieste in quest’area si accorse delle caratteristiche molto conservative delle parlate di questa zona che diversamente da quanto accade nelle parlate del centro meridione presenta un vocalismo tonico molto conservativo di tipo Sardo o la conservazione di -s e -t nella morfologia verbale e nominale. I dialetti centro meridionali presentano maggiore varietà di vocalismi tonici rispetto a tutta l’area della Romània. SISTEMA VOCALICO TONICO ROMANZO COMUNE Il vocalismo tonico è di tipo romanzo comune dei dialetti Alto Meridionale e dell'area Mediana, di influsso greco bizantino e forse anche i parlanti siciliano fino al VI-IX sec. avevano un sistema panromanzo. Il vocalismo panromanzo si è esteso sostituendo alla [e] ⇾ [i] e alla [o] ⇾ [u] prima le parole con i corrispondenti bizantini e poi si è esteso a tutto il lessico. Partendo da questo sistema ogni varietà dell’Alto Meridione o mediana può aver conosciuto delle variazioni. Ī Ĭ Ē Ĕ ĂĀ Ŏ Ō Ŭ Ū /i/ /e/ /ɛ/ /a/ /၁/ /o/ /u/ E’ il sistema utilizzato in toscana, ma che sta alla base dei dialetti alto-meridionali, perimeridiani, le lingue romanze tranne il sardo e il rumeno. VOCALISMO TONICO SICILIANO Ī Ĭ Ē Ĕ ĂĀ Ŏ Ō Ŭ Ū /i/ /ɛ/ /a/ /၁/ /u/ è presente in tutte le varietà meridionali estreme, in Calabria centro-Meridionale, in Salento e ovviamente in Sicilia. Si caratterizza per essere un tipo pentavocalico, con vocali medie esclusivamente basse. Tale vocalismo è ritenuto da Rohlfs (1966) un sistema primario, uno sviluppo indipendente all’origine eptavocalica, ma che fù un’evoluzione del sistema a 10 timbri latine e Fanciullo (1984) argomenta che lo si dovrà considerare un sistema secondario uno sviluppo ulteriore del sistema romanzo comune incentivato nell’alto Medioevo dall’effetto di adstrato del greco bizantino tra il VI e IX secolo, creandosi una situazione di bilinguismo in cui si parlava il latino volgare di Sicilia dall’altra si parlava anche il greco bizantino, il modello di prestigio che parlava l’elite dell’isola. Supponendo che i parlanti siciliani avessero un sistema panromanzo e dicessero kandela e fornu, il bilinguismo con il greco bizantino a cui erano esposti li induceva a concepire una corrispondenza tra le vocali toniche di queste forme con le vocali latine del greco bizantine kandila e furnu, corrispondenza resa più evidente dati i numeri prestiti lessicali di parole entrate in latine dal greco. Iniziarono quindi a imitare il modello bizantino sostituendo /e/ con /i/ e poi /o/ con /u/, all’inzio con le parole latine che avevano un corrispettivo nel greco bizantino poi estendendolo all’intero lessico. Il greco bizantino presentava le vocali alte ([i] e [u]) là dove il tipo latino recava vocali medio alte: kandila. VOCALISMO TONICO SARDO Ī Ĭ Ē Ĕ ĂĀ Ŏ Ō Ŭ Ū /i/ /ɛ/ /a/ /၁/ /u/ è presente questo tipo di vocalismo nell’Area Lausberg a sud del fiume Agri tra Lucania e Calabria settentrionale nella zona chiamata Wittlerzone; non conosce fusione timbrica. VOCALISMO TONICO ASIMMETRICO Ī Ĭ Ē Ĕ ĂĀ Ŏ Ō Ŭ Ū /i/ /e/ /a/ /o/ /u/ Un vocalismo tonico asimmetrico, simile al tipo rumeno, sempre nell’area Lauseberg, nell’area Lucana a nord del fiume Agri e Lucania Settentrionale, nella Vorpostezon.. La metafonesi è un processo a distanza assimilativo regressivo per cui una vocale, in genere la tonica, assume in parte o in tutto i tratti della vocale o semivocale di una sillaba seguente, spesso la finale. E in questo caso si innalzano, al posto di dittongarsi. Ci sono tre parametri in cui la metafonesi agisce: 1. Quali sono le vocali che innescono la metafonesi (i continuatori di Ī e Ŭ finali del latino volgari) 2. Quali sono le vocali che ne sono colpite che tendono ad assimilare il loro timbro (le vocali toniche medio alte /ɛ/ e /ɔ/ e medio basse/e/ e /o/ 3. Il tipo di effetto che la metafonesi ha prodotto che a seconda delle aree può essere dittongazione o innalzamento Fissato questo concetto passiamo a riconoscere i vari tipi di metafonesi: ● Metafonesi di tipo sabino o ciociaresco (dei dialetti mediani) in cui le vocali medio basse e medio alte si innalzano di un grado in contesto metafonetico: ○ la /ε/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [e] /vɛkkja/ /vɛkkje/ /vekki/ /vekkju/ ○ la /ɔ/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [o] /grɔssa/ /grɔsse/ /grossi/ /grossu/ ○ la /e/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [i] /nera/ /nere/ /niru/ /niri/ ○ la /o/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [u] /rossa/ /rosse/ /russi/ /russu/ ● Metafonesi di tipo napoletano (alto meridionali) le vocali medio-basse dittongano, con quelle medio-alte si innalzano. Compare anche nella Sicilia centro-orientale, ma di sviluppo recente perché nei testi antichi non è presente. Il dittongo si sviluppò successivamente per modificazione delle varianti metafonetiche delle innalzate: ○ la /ε/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [je] /vɛkkjə/ /vɛkkjə/ /vjekkjə/ /vjekkjə/ ○ la /ɔ/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [wo] /grɔssə/ /grɔssə/ /growssə/ /growsə/ ○ la /e/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [i] /nerə/ /nerə/ /nirə/ /nirə/ ○ la /o/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [u] /rossə/ /rossə/ /russə/ /russə/ La metafonesi può assumere delle funzioni morfologiche per il genere es. nap masch [vjekkjə] vecchio femm [vεkkjə] vecchia (senza metafonesi sono femminili, con la metafonesi sono maschili) , ma anche di numero es singl [pε:rə] piede e plu [‘pje:rə] piedi . La metafonesi tuttavia non si è sviluppata per sopperire a questa mancanza di distinzione delle vocali finali perché questa distinzione morfologica è rimasta anche in alcune zone dell’area mediana ed estrema anche se vengono conservate le vocali finali. Inoltre la cronologia relativa ci dimostra perché la metafonesi è avvenuta prima del formarsi completo del vocalismo atono finale napoletano e poi sarebbero venute meno le condizioni di innesco del fenomeno e non ci sarebbe stata distinzione. Tuttavia la metafonia in area alto meridionale appare in regresso. Il limite meridionale della dittongazione metafonetica è la cosiddetta linea Vibo Valencia-Stilo sul versante Calabrese, sul versante Salentino c’è metafonesi delle medio basse fino al Salento centrale e quella di Ĕ può spingersi fino a Gallipoli, ma non a Leuca. In toscano la metafonesi avviene solamente in sillaba aperta per le medio.-alte che sono dittonghi chiusi, non aperti come il dittongamento toscano, invece non si innalzano quelle medio-basse. Poi c’è un caso super particolare che è quello della metafonesi del romanesco medievale con le vocali medio-basse che presentavano il dittongamento metafonetico e le vocali medio alte che invece conservavano la vocale originale, era simile alla metafonesi toscana, ma si aveva in tutti i tipi di sillaba: ● la /ε/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [je] ● la /ɔ/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] diventa [wo] ● la /e/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] resta [e] ● la /o/ con [a] e [e] finali rimane, con [i] e [u] resta[o] Nel Registro Cenci che documenta il romesco medievale del ‘200, ‘300, scoperto da Formentin quindici anni fa, reca alcune condizioni di metafonesi, ma in strutture ben definite. Ora passiamo a vedere i tratti comuni all’intero raggruppamento centro meridionale: Betacismo centromeridionale Ormai in regresso, soprattutto in epoca medioevale era diffuso. Era stato studiato da Herman sui documenti epigrafici dl latino imperiale in cui non c’erano realizzazioni di tipo allofonico, ma con variazione libera. Fenomeno per il quale -B- e -V- del latino conguagliano in unico fonema -v- realizzato allofonicamente come [b] in posizione forte e come [v] [β] in posizione debole. In origine tutta questa area deve aver soppresso la distinzione tra -B- e -V- anche in posizione iniziale con un unico risultante. La (B-) e la (V-) latine che assume due aspetti: -in posizione forte (geminata anche in raddoppiamento fonosintattico, dopo cons, ricorrente dopo /s/)⇾ [bb] -in posizione debole (iniziale assoluta, intervocalica, dopo -r) ⇾ [v] [β] (fricativa bilabiale sonora) es. mediane posizione forte [tre bbokke] bocche [tri bbu:t∫i] tre voci (abbiamo la /u/ per metafonesi) mediana posizione debole [la vokka] la bocca sic posizione forte [tri bbukki] tre bocche [tri bbu:t∫i] tre voci (in questo caso abbiamo la /u/ per vocalismo siciliano) sic posizione debole [la vukka] la bocca [la vu:t∫i] Anche nei dialetti sardi c’è betacismo. Oggi c’è una tendenza alla restituzione dell’opposizione tra /v/ e /b/. Assimilazione progressiva di -nd- e di -mb- Tipico di tutti i dialetti centro-meridionali, a parte qualche piccola area Ad esempio: piombo (PLŬMBUM) ⇾ area mediana [pjummu]; napoletano [cummə]; siciliano [cummu] Tuttavia non è un fenomeno esteso a tutte le aree del centro meridione. L’assimilazione di -nd- abbraccia l’intero centro meridione a partire dalla Toscana meridionale e dell’area perimediana, si ferma nella zona centrale della Calabria e nel Salento, per poi ricomparire in Sicilia a sud di Messina, per poi ricomparire nel Salento a Santa Maria di Leuca. Un fenomeno simile riguarda l’assimilazione progressiva di -ld-⇾in [ll] che riguarda i dialetti mediani con sconfinamenti fino alla linea Cassino-Gargano. A Roma è limitato a CALIDUM e i derivati; in Area Mediana è più estesa: es. CALIDUM⇾ [kallu] diffuso anche a Roma Ci siamo già chiesti se questo mutamento deriva dal sostrato osco, era stato portato ad esempio il latino operandam⇾ osco. upsannam , ma era stata confutata per la prova corografica, ci sono attestazioni tarde di questo fenomeno che tra l’altro si irradia da Roma e dall’Umbria tra il 1200-1300 in epoca medievale, territorio non osco e nei territori di ex popolazione osca si diffonde sono nel ‘500 verso sud, quindi la provo corografica viene meno perchè se fosse stato di sostrato si sarebbe dovuto avere tra il V-IV sec a.C.. Inoltre, per la prova intrinseca, l’assimilazione in osco non si presenta uguale a quello odierno perché non vi sono condizionamenti morfologici che invece erano presenti nell’osco, ma rimane un mutamento fonetico: quindi non hanno lo stesso innesco di mutazione (quando intendiamo “alla stessa maniera” non intendiamo solo l’esito, ma anche in riferimento ai contesti di applicazione che devono essere identici). Le zone che hanno ancora la persistenza di -ND- e -MB- devono essere interpretate non come frutto di restituzione secondaria, ma come aree conservative. Quando avviena l’assimilazione e della sonorizzazione postnasale configura un mutamento a catena: quando→[kwannu] quanto→ [kwandə]. Esiti di dj, ge/gi, j⇾ j es. *DIŎRNUM⇾ med [jornu] nap. [jwornə] sic [jɔrnu] (i primi due con metafonesi innalzamento e dittongamento e poi sistema vocalico siciliano) es. GELARE ⇾ med [je’la] nap. [je’la] (non c’è la ə perchè la vocale finale è tonica) sic [je’lari] (uno dei pochi casi di dialetti che conserva la seconda parte del verbo infinito è possibile che da questa -j- alcune varietà abbiano avuto altre evoluzioni. In posizione forte, post-consonantica, intensa o iniziale assoluta può diventare un’occlusiva palatale sonora [ʄ] La palatalizzazione di -MI- Si palatalizza in [ɲɲ] ad esempio: vendemmia: [venneɲɲa] Analisi diacronica: Quelli in -a continua i plurali in -a. Ma come nasce il plurale in -ora? Non esisteva in latino classico, i neutri avevano esclusivamente il plurale in -a. La forma tempus-tempora presentava effettivamente -ora, ma il segmento -or del plurale nel latino classico era parte della radice, non della desinenza, che come desinenza presentava appunto il morfema vocalico -a. Una rianalisi del segmento, a seguito della perdita della flessione che comportò una semplificazione del paradigma, ha portato a considerare il segmento -or non più come parte della radice, ma l’intero segmento come parte della desinenza perchè ne rimasero le forme tempus per il singolare e tempora per il plurale, siccome hanno ricostruito temp- fosse la radice del nominativo singolare i parlanti sono giunti a questa conclusione durante l’alto medioevo. In realtà tempus era la radice ed era adesinenziale. Sistema dei dimostrativi a tre gradi di vicinanza Con tre gradi di vicinanza intendiamo la possibilità di indicare referenti vicini a chi parla (1° grado di prossimità), di indicare referenti vicini a chi ascolta (2° grado di prossimità) e di indicare a qualcosa che è distante sia dal mittente che dal destinatario (3° grado di prossimità). Non si muove dalle forme latine dei dimostrativi (hic, iste, ille), ma da forme analitiche del latino volgare poi univerbate che si rafforzava con ECCUM + ISTUM (1° grado), IPSUM (2°grado), ILLUM (3° grado). I dimostrativi hanno funzione pronominale e quindi non vanno mai soggetti a fenomeni erosivi di aferesi ad esempio. I grado: ECCUM ISTUM⇾ questo, med: [kiʃtu] alt.mer.: [keʃtə] mer. estre.: [kistu] II grado: ECCUM IPSUM⇾ codesto, med: [kissu] alt. mer.: [kessə] mer. estre.: [kissu] III grado: ECCUM ILLUM⇾ quello, med: [killu] alt. mer.: [kella] mer. estre: [kiɖɖu] Anche in questo caso abbiamo metafonesi che può distinguere genere e numero. ● Forme aggettivali, quindi per alcune varietà anche aferetiche: I grado: ECCUM ISTUM⇾ questo, med: [ʃtu] alt.mer.: [ʃtə] mer. estre.: [stu] II grado: ECCUM IPSUM⇾ codesto, med: [ssu] alt. mer.: [ssə] mer. estre.: [ssu] III grado: ECCUM ILLUM⇾ quello, med: [llu] alt. mer.: [lla] mer. estre: [ɖɖu] La liquida intensa consente di non confondere l’aggettivale dimostrativo, da lu scempio che è l’articolo determinativo maschile singl. Questo sistema tripartito si conserva bene solo in area mediana. Tuttavia in molte aree del centro meridione la tripartizione è scomparsa, ad esempio nella Puglia centro-settentrionale o Salento abbiamo un sistema bipartito con una forma per i primi due gradi e una per la 3°, in Sicilia il più antico sistema tripartito è ormai scomparso e c’è variazione libera per il I grado con [kistu] e [kissu] e [kiɖɖu] per il II e III grado. Il fatto che in sincronia esista la variazione libera di tre termini testimonia che anticamente il sistema era tripartito. A differenza del toscano, la formazione del secondo grado unisce ECCUM a IPSUM, per l’esito di codesto invece c’è stata una base diversa: ECCUM TIBI ISTUM. Inoltre la la occlusive vaelare + labiovelare /kw/ in toscano ha estio /kw/, in meridionale la /w/ è scomparsa perché le labiovelari secondarie se seguite da vocali diverse da -a hanno perso l’elemento labiovelare. Anche in toscano la labiovelare, nel caso di Quid ad esempio, ha eliminato la semiconsonante perchè è seguita da vocali diverse da /a/ dando come risultato che e non que. Come mai in quid sì, ma non è successo in questo e quello? E’ una questione di cronologia relativa quando qui diventava che non si era ancora univerbato eccum istum, quando poi si è univerbato il fenomeno si era già concluso. Nel centro sud evidentemente si è univerbato quando era ancora attiva il fenomeno di dileguo della velare dopo vocale diversa da -a. Marcamento proposizionale dell’oggetto Noto anche come accusativo preposizionale. Con alcune caratteristiche semantiche l’oggetto diretto viene marcato dalla preposizione “a”. es. Lazio meridionale: [sɔ vvisto a vvuːi̯] ho visto a voi nap. [saˈluːtamə aˈssɔːrətə] salutami a sorella con il possessivo eclitico (te). sic.[vitti a ttɔ fiɟɟa] vidi a tua figlia. è una strategia di focalizzazione dell’oggetto diretto. Questo fenomeno lo troviamo in Sardo, ma anche in parlate romanze e non romanze. In spagnolo, l’essere umano definito, lo si fa precedere obbligatoriamente da a: Pedro quiere a Dolores. In italiano questa cosa non esiste, ma nei dialetti soprattutto meridionali (napoli) si ha il fenomeno seguente: Giuseppe ama a Maria. Esso è considerato un ispanismo, ma in realtà è documentato ben prima dell’influenza spagnola. Il romeno ha pure l’oggetto marcato, ma da pe. Solo l’italiano standard e il francese non lo conoscono, ed è ignoto al latino. Esso serve a marcare esplicitamente tratto+animato dell’oggetto. Quali sono i parametri semantici? Intanto bisogna capire il grado di animatezza che presenta il referente l’oggetto diretto, più è elevato il grado di animatezza più è possibile che venga marcato dalla preposizione -a. ● grado di appartenenza del referente individuato dall’oggetto diretto ● il fenomeno non si verifica mai se l’oggetto ha il tratto [-animato] ● non tutti i dialetti si comportano allo stesso modo Silversteine nel 1976 ha fatto una scala di animazione che individua le varie categorie a cui il fenomeno può essere ascritto: ogni dialetto ha un grado diverso, ma è implicazionale va sempre in ordine di animatezza perciò se ad un grado presenta in tratto, vuol dire che lo presenterà anche in tutti i gradi precedenti a quello. pron. di I e II pers. > pron. di III pers. >sost. designanti esseri umani (antroponimi > n. diparentela > n. di mestiere) > sost. designanti esseri animati non umani (n. di animali) > sost. inanimati(n. comuni di cosa > n. di massa > astratti verbali Formazione del condizionale Si registrano due tipi: ● tipo sintetico alto meridionale dall'Abruzzo alla Calabria centrale: forma sincopata del piuccheperfetto indicativo CANTA(VE)RAM- cantara calab. ● tipo sintetico, ma in origine analitico del meridione estremo, ma anche in alcune zone dell’alto meridione: verbo infinito + imperfetto del verbo avere CANTARE + HABEBAM → CANTAR+(*AEA): sic cantaria (ormai in via di scomparsa accanto al più diffuso cantassi) TRATTI COMUNI DELL’ALTO ED ESTREMO MERIDIONE Stesso esito dei nessi PL- e CL- ⇾ [(c)c] (palatale occlusiva sorda) es. PLUMBUM ⇾ nap. [cummə]; sic. [cummu] CLAVE → nap. [caːvə]; sic. [caːvi] Stesso esito dei nessi BJ- e VJ ⇾ [(d)ʤ] (affricata post alveolare sonore) es. RABIAM⇾ nap: [radʤə], sic [radʤa] ≠ tosc [rabbja], med. [rajja] CAVEAM→nap. [kadʤə] sic. [kadʤa]≠ tosc. [gabbja], med. [kajja] Assenza del futuro sintetico romanzo In quest’area il futuro si esprime attraverso una perifrasi con presente di avere+a/da+ infinito del verbo portatore di significato. es. CANTERO’⇾ bari. [aɟɟ a kan’da] ho da cantare VIAGGERO’→sic. [aju a ffari un vjadʤu] ho da fare un viaggio ho da fare qualcosa e dovendola fare, la farà (trapasso semantico) L’assenza del futuro sintetico non deriva dalle origini: la forma canterò si era sviluppata anche nel Meridione come documenta il saggio del ‘99 di Loporcaro; Rohlfs ribatte che la presenza di questa forma di futuro sintetico a un processo di standardizzazione o toscanismo che non ha attecchito. Le cose non stanno così perché nei documenti antichi troviamo molte attestazioni che per varie ragioni non sono interpretabili come toscanismi sia extralinguistiche che strutturali, si era sviluppato in modo autoctono il futuro sintetico, poi è regredito nel tempo lasciando spazio solo al futuro analitico. Inoltre attualmente ci sono delle attestazioni residuali odierne in alcune varietà laterali perchè evidentemente non sono state raggiunte dalle innovazioni, come a Lucera (Foggia): [parlaraɟɟə] ‘parlerò’ (< *PARLARE+HABEO), stessa cosa a Cerignola in provincia di Foggia. Il toscano antico (italiano delle origini) era un sistema a 10 classi flessive, cioè 10 gruppi di sostantivi caratterizzati per avere un paradigma di numero diverso. Ovviamente non tutte queste classi flessive presentano lo stesso numero di lessemi. Le classi flessive di -e/-ora, di -o/-e, di e/a erano molto meno pieni di sostantivi. La maggior parte sono state assorbite dalla classe -o/i. Ormai nell’italiano contemporaneo permangono solo 6 classi flessive e di quelle più particolari soltanto le classi -o/-a e -o/-e (arancio/arance). Il toscano antico (italiano delle origini) era un sistema a 3 valori di genere perché 3 erano i paradigmi di accordo che le parole potevano controllare alle parole a loro associate. Tra l’altro 5 classi flessive su 10 hanno un valore di genere che è il neutro alternante. L’italiano contemporaneo ha 3 valori di genere, ma le classi flessive che nell’italiano antico presentavano il neutro alternante sono soltanto 2, ma hanno troppi pochi nomi di genere neutro alternante, avendo solo 20 lessemi è un genere senza quorum quindi non può essere conteggiato a genere tipologico ed è anche improduttiva. PARADIGMA DEL NUMERO (classe flessiva) PARADIGMA DELL’ACCORDO (genere) -o/-i genere manifesto lo libro/li libri -o/-i I masch -a/-i genere manifesto lo poeta/li poeti -o/-i I masch -e/-i genere nascosto la siepe/le siepi il fiore/i fiori -a/-e -o/-i II femm I masch -a/-e genere manifesto la casa/le case -a/-e II femm -o/-a (nell’italiano antico 238 lessemi, attualmente circa 20) genere manifesto lo uovo/le uova -o/-e III neutro alternante -o/-ora genere manifesto lo prato/le pratora -o/-e III neutro alternante -e/-ora genere manifesto lo nome/le nomore -o/-e III neutro alternante -o/-e (attualmente solo 2: orecchio/orecchie; arancio/arance) genere manifesto lo pomo/ le pome -o/-e III neutro alternante -e/-a (scoperta dalla studentessa Orlando lo arnese/le arnesa -o/-e III neutro alternante nel 2020) genere manifesto invariabili (dei nomi che non presentano uscite diverse dal plurale al singolare) genere nascosto lo re/ i re la città/le città -o/-i -a/-e I masch II femm CLASSI FLESSIVE A GENERE NASCOSTO: alcuni termini di una stessa classe flessiva hanno un paradigma di accordo di tipo maschile e altri un paradigma di accordo femminile (es. classe flessiva -e/-i) per scoprire qual è il genere dobbiamo associare una parola e scoprire quale paradigma controlla. CLASSI FLESSIVE A GENERE MANIFESTO: quando tutti i membri di questa classe flessiva hanno lo stesso valore di genere. (quelli neutro alternante sono tutti manifesti) Nei dialetti alto meridionali e meridiani sono presenti invece quattro valori di genere, quindi 4 paradigmi di accordo: maschile, femminile, neutro di massa e neutro alternante. Tra il genere neutro distinguiamo ● neutro di massa (neoneutro) i nomi che hanno referenti non numerabili come sale, pane, ferro, burro selezionano marche di accordo proprie distinte sia dal maschile e sia dalfemminile e la distinzione di genere avviene con l’articolo determinativo sing: (ovviamente non sono pluralizzabil) Alle volte possono avere la marca diversa oltre che nell’articolo anche nell’aggettivo o pronome, ma è più raro. neutro di massa -o (illoc) maschile -u (illum) femminile (illam) neutro alternante dialetti mediani [lo pa] il pane [lo ferr] il ferro [lu lupu] il lupo [la vortsa] la borsa dialetti napoletani [o llattə] il latte anche se anche loro escono in -o come il maschile hanno una proprietà che li diversifica, MA hanno il raddoppiamento fonosintattico etimologico da ILLOC [o kan, e kan] il cane [a vortsə, e vvortsə] la borsa, le borse con [e] che innesca raddoppiamento fonosintattico come capita nei femminili [o lavrə/ e llavrə] il labbro/ le labbra con [e] che innesca raddoppiamento fonosintattico come capita nei femminili Come mai il raddoppiamento fonosintattico non lo manifesta anche in area mediana? L’ha fatto in passato, ma le varietà mediane stanno perdendo il raddoppiamento fonosintattico anche in contesti etimologici (in presenza di monosillabi che uscivano in consonante) ● neutro alternante ed è tipico di tutti i sostantivi che continuano il plurale in -a o in -ora e che selezionano come paradigmi di accordo con marca maschile al singolare e marca femminile al plurale , ma è un paradigma diverso rispetto agli altri. è un genere con il quorum, in alcune varietà è infatti un genere molto produttivo. neutro alternante [u/e] femminile [a/e] maschile [u/i] neutro di massa [o] Treia in prov di Macerata [u vattʃu / e vrattʃa] il braccio/ le braccia classe flessiva: o/e [a ma/ e ma] la mano,le mani [u ka/ i ka] il cane, i cani [o pa] il pane Agnone in prov di Isernia [ru mataːu̯nə/lə maˈtoːnəra] il mattone/ i mattone anche un sostantivo caratterizzato dal tratto +animato classe flessiva: o/ora [la volpə/ lə vulpə] la volpe, le volpi [ru kafeunə/ rə kafiunə] il contadino / i contadini [lə moilə] miele Dialetto di Macerata: singl masch u ka grossu plu masch i ka ggros-i etc . Il siciliano infatti non è investito dal fenomeno e ha solo due valori di genere perché avendo una riduzione vocalica nelle vocali finali atone non riesce a dar conto dei vari paradigmi di accordo, perché c’è una convergenza vocalica. Ammesso che gli altri generi erano presenti in passato con il vocalismo siciliano si sono annullati. Oscillazione degli ausiliari “essere” e “avere” nei tempi composti Selezione di essere o avere nelle forme composte dei verbi in modo diverso dall’italiano. Ci sono diverse possibilità: ● o variazione libera in tutte le persone (molto diffusa) Conservazione di -S e -T nella morfologia verbale Tratto comune solo nell'area di Lausberg, confine tra Basilicata e Calabria Settentrionale. Questa conservazione di -S- e -T- nella 2° e 3° persona nella morfologia verbale indica quanto sia una varietà conservativa. es. tu tieni→ TĔNES→ [‘tɛ:nisi] Si sono sviluppato anche delle vocali epitetiche che hanno lo stesso timbro che precede la vocale conservata. Tuttavia ci sono tracce anche in Calabria settentrionale. es a Diamante, in provincia di Cosenza CANTAS → [‘kandəsə] tu canti, ma [‘kandə] egli canta Ma si sono perdute le -T finali, ma le forme alla III persona innescano il raddoppiamento fonosintattico sulla parola successiva se inizia con consonante [manʤe ttantə ko:sə] Passato Remoto e Passato Prossimo Nell’alto meridione c’è il mantenimento dell’opposizione dei tempi verbali veicolando precise funzioni aspettuali ( non sulla durata dell’azione, ma su come l’azione si svolge se si è conclusa, se in via di svolgimento etc; presenza/assenza di un legame col momento dell’enunciazione) l’aspetto perfettivo analizza l’evento nella sua globalità, considerando anche il punto di arrivo: ● Il perfettivo compiuto, rappresentato dal passato prossimo indica la permanenza del risultato di un evento che si è compiuto prima; l’azione svoltasi nel passato ha degli effetti nel presente. ● , viene contrapposto al perfettivo aoristico che ha la forma del passato remoto, indica un'azione svolta nel passato colta nel suo singolo manifestarsi che non ha alcun legame con il presente.. Es.nap. stamattina ho mangiato bene: [stammati:nə adʤə maɲɲatə bbwo:nə] vs ieri mangiai bene [aje:rə maɲɲajə malamɛndə]. Questo sistema di alternanza è conservato solo nei centri minori. Oggi nel napoletano è ormai possibile anche il perfetto aoristico con il passato prossimo, a prescindere dai valori aspettuali, sicuramente influsso del toscano. Non è vero che il passato prossimo in estremo meridione è scomparso: in Calabria meridionale e in Sicilia il passato prossimo (che in siciliano ha l’ausiliare sempre con avere) ha valore durativo-iterativo per indicare eventi ripetuti e rilevanti nel momento in cui si parla, mentre il passato remoto è sempre più diffuso: passato prossimo durativo- iterativo: l’amu circatu tutta a matinata (detto durante la mattina, quindi c’è un legame con il momento dell’enunciazione) azione già compiuta u circammu tutta a matinata (detto la sera) Scomparsa del congiuntivo presente Sostituito dal presente indicativo nelle dipendenti e dall’imperfetto congiuntivo nelle principali. Metafonia medio-basse Non è presente la metafonia per le vocali medio-alte dove vige il sistema vocalico siciliano, mentre la metafonia medio bassa ricorre in calabria settentrionale e in Sicilia centro-orientale Nel palermitano c’è una dittongazione incondizionata, a trapani e ad agrigento non c’è alcun tipo di metafonia. Costrutti infinitivali con soggetto espresso Tipica del siciliano del tipo si ni iu senza tu avirici pallatu. Varie spie fanno pensare ad una fase più antica in cui l’espressione del pronome personale soggetto stava avviandosi a diventare obbligatoria ad esempio la fissazione di [iɖɖu] lui nella particella della congiuzione ipotetica [siɖɖu] e la costruzione in cui l’elemento pronominale introduce una frase esprimente dissenso, disappunto, contrapposizione [iɖɖu vɛ:ru diʧa?] Dialetti settentrionali Con la denominazione dialetti settentrionali intendiamo le varietà gallo-italiche, escluso il friulano che si collocano a nord del fascio di isoglosse La Spezia-Rimini. Il confine sud dei dialetti settentrionali dell’intera Romània è la Linea La Spezia-Rimini che distingue intanto le varietà romanze da quelle occidentali (secondo Wartburg), in più a distinguere tra italo-romanzo settentrionale e varietà toscane e centro meridionali. Ci sono diversi tratti che sono comuni in questa area settentrionale: Lenizione (sonorizzazione, spirantizzazione, caduta) delle occlusive sorde intervocaliche : RŎTAM→ mil. [rø: da] (oltre a lenire la /t/ in /d/, notiamo la o che diventa vocale anteriore semichiusa arrotondata). Un aspetto tipico lo troviamo anche in francese→roue, dove c’è il dileguo. Degeminazione delle consonanti doppie latine tanto quelle primarie (già presenti in latino classico) che secondarie (prodottesi in latino volgare con la semplificazione di nessi consonantici divenuti troppo complicati da studiare) CABALUM→ ven. [caval], SEPTEM→ gen. [‘sɛte] . Stessa cosa succede in rumeno, che in realtà è una varietà orientale. La degeminazione insieme alla lenizione costituisce un mutamento a catena così che ad esempio nel dialetto di Imola la -TT- si è degeminata e di conseguenza la -T- singola si è sonorizzata in [d] ad esempio ROTAM→[rwɔda] confondendosi a sua volta con la -d- originaria che in alcuni dialetti si è cancellata: vez. sudare [suàr]. è possibile che la cancellazione intervenga dopo la confluenza delle sorde cancellando anch’esse: es lomb.alp. sudare [swa:] Presenza in antico di -s finale (morf. nominale e verbale), adesso solo residuale Piem. [az ‘fam] hai fame e [(i)t saz] sai nelle II persone singolari dei verbi irregolari in piemontese con il tema monosillabico nel presente e nel futuro. Ven. [vutzu?] vuoi in veneziano solo nelle forme interrogative, anticamente anche quelle non interrogative. Notiamo anche il pronome che viene posposto e si è legato come clitico alla forma del verbo solo nelle interrogative e in queste varietà, saldandosi questo clitico al verbo non si trova più la -s- a fine parole, ma all’interno e perciò viene preservata. e in altre varietà romanze occidentali: CAPRAS fr. ant→ chievre[s] spagn. e port. →cabras In antico in francese, ma tutt’ora presente nelle varietà ibero romanze. I dialetti settentrionali sono distinguibili in due sottogruppi: -dialetti gallo-italici (piemontesi, lombardi, emiliani, romagnoli e, il più autonome, il ligure) - Presenza di vocali turbate: lomb. lüna (La vocale anteriore chiusa arrotondata [y]) e röda (la vocale anteriore semichiusa arrotondata [ø]). Ci sono alcune varietà a contatto con il veneto che possono presentare il valore corrispettivo dei dialetti veneti, ad esempio in alcune parti degli emiliani e romagnoli (che sono gallo-italici) non conoscono vocali turbate. -Presenza di quantità vocaliche distintive: crem. [ty:s] tosato ≠ crem. [tys] tosse come avveniva in latino, ma non in continuità del latino, insorta come innovazione dopo altri mutamenti che hanno permesso la quantità vocalica distintiva. -Apocope: Cadute delle vocali finali diverse da -a (≠ ligure e veneto lagunare) - Caduta o indebolimento del vocalismo atono non finale emil. tlèr TELARIUM ≠ ven. telaro. Il ligure ha dei tratti più autonomi essendo una varietà più conservativa, meno esposta alle innovazioni per ragioni geografico-fisiche: - conservazioni delle vocali atone finali diverse da -a [ve:ʤu] vecchio - presenza esclusiva-per conversazione-dell’articolo forte - esito palatalizzato di CL-, GL-, ma anche di PL-, BL- e FL.- es. PLUMA→ [tʃyma] piuma (affricata postalveolare sorda) DUPLUM→ [duʤu] doppio (affricata postalveolare sonora) - dileguo di R- intervocalica primario (in latino classico) e secondario (latino volgare o dopo cioè per rotacismo da -L-, ma non si dileguo la -R- da degeminazione di -RR-). La -r- arriva a scomparire in una fase Palatalizzazione dei nessi CL-, TL-, GL- conser. palata. affric. postalv CL- → [kl] → [c] → [ʧ] o [ʤ] (fase prevalente) CLAMARE chiamare→ bregagl. canton ticino [klaˈmɛr]→lizzano, appennino bolognese. [camma] → lig, lomb [ʧa ‘ma] OCULUM→[œʧ] con vocale anteriore semiaperta arrotondata ven. [ɔʧo], lig [œʤu] TL (un nesso che in latino classico e che si viene a formale in latino volgare quando la U postonica cade) si comporta come CL conser. palata. affric. postalv GL-→ [gl]→ [ʄ] → [ʤ] (fase prevalente) GLAREAM sabbiolina bregagl. [glɛi̯rɐ] →lizz. [ɟaːra]→piem e ven. [ʤara] Una fase intermedia, rappresentata dall’italiano, sarà stata /k/+/j/ e /g/+/j/ Esiti di consonante velare+vocale palatale -CE/I e -GE/I (assibilazione delle affricate palatali insorte dalle latine consonanti velari+vocali palatali) Prima di tutto sono passate alle affricate palatali come in italiano questi esiti sono conservati ancora nei dialetti lombardi, poi assibilatesi nelle varietà lunigiane zona montuosa in Emilia per le quali abbiamo avuto le affricate alveodentali; alcune varietà, come quelle venete, hanno deaffricato le suddette affricate alveodentali. palata. assibillazione deaffricaizione -CE/I →[ʧ] (fase prevalente)→ [ts] → [s] CENTO→ lomb [ʧent];lunig [tsɛnto]; venez [sento] palata. assibillazione deaffricaizione -GE/I→ [ʤ]→ [dz]→ [z] GINOCCHIO lomb[ ʤe’nøtʃ]; lunig. [dzənɔco]; venez. [zenɔʧo] ⇶Adesso vedremo fenomeni in comune dei dialetti settentrionali di tipo morfologici e sintattici Articolo determinativo maschile singolare con forme deboli Come abbiamo detto la maggior parte hanno la forma debole con una serie vocali prostetiche. Quasi ovunque forme deboli di tipo innovativo: IL CANE mil, ven [el ka], berg. [ul ‘ka], bologn [al kæn] Tuttavia ci sono alcuni esiti conservativi nelle aree laterali con forme forti: genov. [u ken]. Mentre in alcune aree è presente una condizione intermedia con compresenza di tipo forte e tipo debole con una distribuzione allomorfica come nel fiorentino del Due-Trecento che dipende dal segmento precedente, secondo la Norma Grober nei dialetti lomb-alpini, nel Canton Ticino [lu fen] il fieno forma forte quando la parola precedente finisce per consonante o in posizione iniziale assoluta, ma è presente anche la forma [a to l fen] vado a prendere il fieno quando la parola precedente finisce per vocale. In altri dialetti liguri o emiliani l’articolo determinativo maschile singolare dipende dalla consonante iniziale della parola che segue. Scomparsa passato remoto I dialetti settentrionali conoscono tutti, soprattutto nel secolo scorso, la progressiva scomparsa del passato remoto. Le funzioni del passato remoto sono state assunte progressivamente dal passato prossimo. Perdita della bicasualità dei pronomi personali di I e II persona Un’unica forma per tutte le funzioni, che non continua quella etimologicamente nominativale, o continua la forma accusativale me in alcuni dialetti o la forma dativale mihi : emil: me/te, lig, lomb, piem, ven mi/ti. In Italiano invece si conservano tutte e due le forme. Questo mutamento ha toccato in parte il distretto fiorentino. Tuttavia i continuatori di ego e tu restano in queste varietà, ma con funzioni totalmente diverse cioè di clitici soggetto! Presenza dei clitici soggetto Un tratto tipico di tutti i dialetti settentrionali, sviluppatosi per non funzionalizzazione delle particelle soggettive tra Quattrocento e Cinquecento. I clitici soggetto sono particelle proclitiche che accompagnano il verbo finito frapponendosi tra il soggetto vero e proprio e il verbo stesso. Presentano paradigmi diversi a seconda delle varietà sviluppatosi da ego→ /a/ dotato di forza espansiva che è non solo il clitico di 1° persona singolare, ma anche anche della 1° persona plurale e della 2° persona plurale Nella maggior parte dei dialetti sono presenti in tutte le persone ed è obbligatorio: Io canto: -Grizzana in prov di Bologna[më a ‘kɛ:t] -Bellinzona nel Canton ticino, di tipo Lombardo, che è opzionale nella prima singolare e obbligatorio nelle altre persone :[mi a ‘kanti], -ma in Landino a Cavareno [miˈtʃanti], quindi non presenta in questo caso il clitico soggetto perché è la prima persona singolare e questa varietà non la presenta. Infatti è obbligatorio ladino o in friulano solo alla 3° persona singolare e plurale : es. [el el ‘ʧanta] Lui canta Coniugazione interrogativa Pan Settentrionale è il ricorrere a queste forme atone a destra del verbo settentrionale per la formazione dell'interrogativa. Discussa è la questione se tale strategia, in origine certamente sintattica abbia dato luogo a una vera coniugazione interrogativa perché subisce anche enclisi e alcune desinenze sono difficilmente derivabili dai clitici originari. es. veronese [sio] siete? e [sonti] sono io?. Questa “coniugazione interrogativa” è comunque in via di scomparsa e in alcune aree è comune anche l’interrogativa senza inversione. Costrutto impersonale Include: -La posposizione del verbo all’argomento che sarebbe oggetto del verbo -La presenza di un clitico soggetto non coincidente con quella che ricorrerebbe nel costrutto personale -Il mancato accordo per persona del verbo del sintagma nominale per genere e numero del participio Es. bol. [l e: mo:rt do: galen] che come possiamo vedere -[do: galen] il sintagma nominale è posposto al verbo - la selezione di [e] clitico soggetto della III pers singl masch e non femminile -il mancato accordo al femm. plu del participio passato TRATTI SUBAREALI Sviluppo di vocali toniche turbate Questo sviluppo di vocali toniche turbate è proprio dei dialetti gallo-italici (escludendo l’emiliano e il romagnolo). Passaggio di Ŏ→ [ø] in sillaba aperta. Passaggio di Ū→ [y] o (ø) es. lig,piem, lomb [lyna] Le isoglosse dei due esiti sono quasi identici attraversano il Trentino orientale in Valsugana, scendono fino al corso del Po, seguendo il confine Lombardo-Veneto e poi verso Sud, nel cuore dell’Emilia occidentale i due esiti hanno percorsi diversi, e poi ad est verso l'appennino terminano sul Tirreno nella parte meridionale della liguria escludendo la Bassa Lunigiana che non conosce le vocali turbate. Quindi presentato le vocali turbate tutti i dialetti galloitalici tranne: ● Quelli romagnoli ● Quelli emiliani- orientali (zona di Bologna) ● In parte anche i dialetti emiliano occidentali ● Bassa Lunigiana ● Trentino orientale I dialetti emiliano occidentali sono tendenzialmente interessati dal fenomeno, ma non il settore più a est dell’emiliano occidentale non conosce il fenomeno, non abbiamo vocali turbate. Parma rapprasenta un caso particolare perchè è compresa nell’area in cui Ŏ diventa→/ø/, ma non conosce l’esito di Ū in /y/ perchè si trova a est dell’isoglossa. Ŏ→/ø/ ligure →[røːda] ‘ruota’ ≠ b. ven. [rɔda], [fɔgo], [nɔva] lomb. occ. [nøːva] ‘nuova’ emil.oc. parm. [nøːv], [røːda] ‘nuovo’, ‘ruota’ ≠ emil.oc. (reggia emilia) e or. [noːv], [roːda] Ū→/y/ o /ø/ Molto conservativo, con un sistema simmetrico a 4 timbri, con confluenza di /u/ per le O e distinzione tra /i/ ed /e/. Il tipo veneto centrale e lagunare, esclusa la regione bellunese (che si comporta come le varietà galloitaliche): Ī Ĭ Ē Ĕ ĂĀ Ŏ Ō Ŭ /i/ /e/ /a/ /o/ Ha un tipo toscano, uguale, a 4 timbri, ma a riguardo a una differenza per apocope di alcune vocale determinate alcune condizioni: MA: caduta di /e/ finali dopo /n/, /l/ e /r/ scempie: CANEM : can caduta di /o/ dopo /n/ scempia. Se intensi in fenomeno non si verifica. La degeminazione si deve essere sviluppata quando la caduta di /e/ e /o/ prima di alcune vocali scempie si era già conclusa. Anticamente la zona dell’apocope dopo vocale era più estesa perché si aveva anche in area Trevigiana, ma a partire da Treviso queste vocali sono state restituite le vocali finali etimologiche. Vocalismi atoni non finali Il veneto conserva tutte le vocali non finali atone. Mentre varietà emiliano-romagnole, ma anche piemontesi, c’è una tendenza alla cadute della vocale protonica: emiliano [stme:na] settimana. bolognese: [zbdɛl] ospedal Sempre nelle varietà emiliane, ma soprattutto in altre gallo italiche c’è la tendenza alla caduta della vocale postonica: CUBITUM gomito : emiliano [gont], milanese [gumbe], veneto [‘gomedo] invece si conserva. Esiti del nesso -CT- Due distinte trafile tra veneto, ma anche emiliani e romagnoli (stesso esito dell’italiano) e varietà galloitaliche: Subisce un fenomeno di palatalizzazione e questa /j/ semivocalica poi palatalizza la dentale stessa, alcuni dialetti possono presentare la fase intermedia: CT→ [jt]→ [ʧ] es. NOCTEM: piem[nøjt], lomb [nɔʧ] assimilazione regressiva (che porta alla t intensa) con conseguente degememinazione nei dialetti veneti ed emiliano romagnoli: CT→[tt]→[t] es. NOCTEM: emiliaromagna [nœt]; veneto [nɔte] Esiti di -L-/-R- (rotacismo ligure e ambrosiano) ROTACISMO AMBROSIANO Colpisce i dialetti lombardi occidentali nelle aree più conservative e fa passare la -L- intervocalica a vibrante: GULAM gola→ lomb.occ [go:ra] Prima colpiva un'area più estesa, era conosciuto dall’intera area lombardo occidentale, anche dal milanese, poi è regredito a partire dai grandi centri e si conserva adesso solo nei punti più isolati e laterali, come nel Canton Ticino. ROTACISMO LIGURE Colpisce i dialetti liguri e fà scomparire le R sia primarie che secondarie (avutasi per rotacismo di /l/ indebolendosi prima in una approssimante alveolare conservata in alcuni varietà ligure laterali (Principato di Monaco), poi scompare) ALAM ala→[a:ra]→[a:ɹa]→gen [a:] FLOREM fiore→ [fjoːre] → [fjoːɹe] → [ʃuːe] → gen. [ʃuː] I Dialetti Sardi Viene considerato italo-romanzo non in virtù delle loro caratteristiche strutturali, ma sul piano sociolinguistico, avendo come lingua tetto l’italiano, le consideriamo italo-romanzo. Quella della Sardegna è una situazione particolare perché la romanizzazione è avvenuta nel 238 a.C, ma l’avanzamento è avvenuto molto lentamente e a partire dal V sec è rimasta sostanzialmente isolata. Prima di allora aveva sicuramente avuto presenza Fenicia e Punica. A partire dal V sec. d.C. conobbe un sostanziale isolamento finendo sotto il dominio dei Vandali. Nel 534 entrò a far parte della sfera politica bizantina smettendo di conoscere l’influenza del latino ed essendo poco esposto alle innovazioni linguistiche a partire dall’epoca repubblicana e poi nei secoli successivi. Durante il medioevo, 1064-1065 si sono formati 4 giudicati sardi: Torres o Logudoro, Gallura, Arborea e Cagliari, che hanno portato alla creazione di documenti giuridici in sardo. Nel documento più antico si discuteva del territorio di un monastero di Montecassino. Al XIV secolo risale la carta de logu, una carta di leggi. Tra il XI e il XIII secolo ha subito un’importante influenza culturale, ma anche linguistica delle repubbliche marinare pisana e genovese che portano a una progressiva toscanizzazione, non di tutte le parti dell’isola, sicuramente non quella logudorese, più che il gallurese e il sassarese. Nel 1324 è stata conquistata militarmente dagli Aragonesi e nasce il regno di Sardegna, perciò si è sviluppato un bilinguismo sardo-catalano. Nel XV secolo abbiamo invece un’influenza castigliana con conseguente bilinguismo sardo-spagnolo. Questo spiega come ci siano molti prestiti ibero-romanzi e una colonia catalana in Sardegna, in via di scomparsa oggigiorno. Dall’ibero-romanzo che avevano avuto come lingua tetto per quasi 4 secoli vennero assorbiti prestiti lessicali come ad esempio il concetto di brutto che in logudorese viene espresso come [feo] dallo spagnolo feo e in campidanese [leggu] dal catalano lleig. Ancora [ssa bbɔtta] dallo spagnolo e catalano bota per indicare lo stivale. Nel centro-nord l’uso dello Spagnolo faticò ad imporsi, tant’è che a Sassari l’impiego del sardo come lingua ufficiale, continuò fino al pieno Seicento e lentamente si passò ad utilizzare prima lo spagnolo e poi il catalano. Anche la sostituzione dell’italiano alle lingue iberiche non è avvenuta istantaneamente. Nel 1718 con il Trattato di Londra la Sardegna passa sotto i Savoia. Tuttavia fino al 1764, anno in cui da Torino fu disposta una riforma delle università di Cagliari e Sassari che stabilì che l’insegnamento scolastico doveva essere solamente in italiano, veniva ancora utilizzato lo spagnolo. Nel 1861 confluisce nel Regno d’Italia, arrivando ad avere ora ufficialmente e a contatto più stretto come lingua tetto l’italiano avendo più influenza sul lessico che sul piano strutturale. Le varietà sarde si dividono in tipologie: 1. Logudorese (+ il tipo nuorese, nel centro nord; la varietà più conservativa) 2. Campidanese (sud dell’isola, meno conservativo) Queste due varietà sono il sardo propriamente detto. Esiste un fascio di isoglosse consistenti che distingue il campidanese e il logudorese che genera un’interessantissima area di di transizione dove è possibile trovare tratti campidanese e tratti solo logudorese e tratti che presentano un valore di tipo logudorese in alcune parole e un valore di tipo campidanese in altre parole. Le altre due varietà sono molto più toscanizzate: 3. Gallurese (nord-est) toscanizzato, il più simile al còrso 4. Sassarese (nord-ovest) toscanizzato con delle interferenze Parlate alloglotte 5. Catalano (Alghero) solo nel centro storico 6. Tabarchino (varietà ligure migrate a Tabarca, isola di Tunisi) dal 1738 Analizziamo le differenze con il betacismo centro meridionale in regressione: ● quanto ai contesti la posizione debole in sardo è solo la posizione intervocalica, mentre nel centro meridione è considerata debole anche la posizione iniziale assoluta ● quanto alla realizzazione specifica intervolicamente in centro meridione prevede [v] o [β] non dileguo Lenizione intervocalica delle occlusive e della sibilante anche in raddoppiamento fonosintattico Nel dialetto lugodorese che nel caso delle occlusive sorde assume l’aspetto di sonorizzazione e spirantizzazione, nel caso della sibilante si sonorizza, mentre le occlusive sonore si dileguano. P→[β] fricativa bilabiale sonora es NĔPŌTEM → [nɛβɔ:ðɛ] nipote ma non in posizione assoluta PACEM → [paːɣɛ] T→̼ [ð] fricativa dentale sonora es VITAM → [bi:ða] vita ma non in posizione iniziale TERRAM →[tɛrra] K→ [Ɣ ]fricativa velare sonora es MĔDICUM→ [meiɣu] medico (con metafonesi) ma non in posizione iniziale assoluta CAMPUM→[kampu] S→ [z] fricativa alveolare sonora es NASUM→ [na:zu] ma non in posizione iniziale assoluta SOLEM→ [sɔːlɛ] Le occlusive sonore spariscono -b-, -v-, -d-, -g-. Come nei dialetti settentrionali le occlusive sonore si dileguano, ma in settentrione non si verifica in fonosintassi, mentre in sardo può verificarsi in fonosintassi e sonorizza solamente, senza spirantizzare. Come in toscano la lenizione si verifica in fonosintassi, ma è peculiare soltanto al sardo la concomitanza sia della spirantizzazione che della sonorizzazione. Cronologia relativa: si è verificato il primo dileguo delle occlusive sonore, poi spirantizzazione delle sorde. Prima si è verificato il dileguo delle occlusive sonore. Prima Intervocalicamente /p/, /t/, /k/ italiani vengono geminate nell’italiano regionale della Sardegna perchè tali fonemi sono assenti intervocalicam in sardo e quindi li realizza in quello che è presente in sardo, cioè le geminate /pp/, /tt/, /kk/ a parità di contesto intervocalico, che sono possibili nel sistema del latino Conservazione di -S e -T nella flessione nominale e verbale. Il sardo mantiene la sibilante finale soprattutto nei plurali e nei neutro singolari che etimologicamente presentavano la sibilante e tanto -s- quanto -t nelle 2° e 3° persone del verbo: SONAS /sɔnas/→[‘sɔ:naza] con epitesi di vocale con timbro identico alla vocale che precede la consonante finale. SŎNAT /sɔnat/→ [ˈsɔːnaða] TĔMPUS /tɛmpus/→ [ˈtempuzu] singl TĔMPOS /tɛmpɔs/→ [ˈtɛmpɔzɔ] plu In posizione prepausale: ● epitesi di vocale con timbro identico alla vocale che precede la consonante finale ● Lenizione in contesto intervocalico All’interno di parole o precedono parole che iniziano per consonante possono subire fenomeni (non sistematici): ● assimilazione regressiva di [t] alla consonante iniziale della parola seguente: log. [trɛβaʎʎa ppaːɣu] ‘lavora poco’≠[trɛβaʎʎaða] ita. travagliare “soffrire, lavorare” nasce dal latino volgare TRABACULARE un verbo nominale dal nome TRABACULUM inteso come strumento di tortura composto da tre pali arrivata dal francese travail, perchè nelle società del passato alla fatica, alla sofferenza era associato il lavoro. ● trasformazione in altri suoni (soprattutto la [s]): Ploaghe /sas vɛnas/= [saj vɛːnaza] Sviluppo di -LL- in cons retroflessa [ɖɖ] occlusiva retroflessa sonora Così come in Còrso e centro-meridione. VILLAM→[biɖɖa] villa VALLEM → [baɖɖɛ] valle PĔLLEM → [pɛɖɖɛ] pelle *CIPŬLLAM →[kiβuɖɖa] cipolla ⇶Adesso analizzeremo i tratti morfologici e sintattici. Formazione sintagmatica del plurale Non tramite alternanza vocalica, ma posizione di numero segnalata da sibilanti di origine accusativale, una strategia sincronica del marcamento di numero con un aumento sigmatico: TELAM→sing: [te:la] plu [tɛlaza] tela/tele→ TELAS accusativo Talvolta l’opposizione può anche essere veicolata da un’alternanza vocalica: TEMPUS/ TEMPOS (tempora)→ [tempuzu]/[tɛmpɔzɔ] Articolo determinativo da IPSUM Di tutte le lingue romanze solo il catalano e il sardo presentano l’articolo determinativo di Ipsum, sono forme aferetiche. singl masch IPSUM→su plu maschile IPSOS →sòs singl femm IPSAM→ sa plu femminile IPSAS→ sàs Formazione analitica del condizionale e del futuro Condizionale tramite perifrasi imperfetto di “dovere” +infinito DEBEBAT FACERE→ [‘dia ‘ffa:ɣɛrɛ] farebbe Il futuro del latino classico ha forme diverse nelle diverse coniugazioni e soffre dell’evoluzione fonetica di -b- e -v- che lo rende omofono alle forme del perfetto, quindi il futuro latino non si è continuato. Il futuro tramite perifrasi formata da presente di “avere”+prep a+ infinito HABET AD FACERE→ [að a ‘ffa:ɣɛrɛ] farà Sistema dei pronomi personali tonici di I e II persona Un tratto estremamente conservativo mantenendo un’opposizione pluricausale e non binaria come l’italiano o acasuale come i dialetti settentrionali: I persona II persona nominativo [(d)ɛɔ] io [tuɛ] tu oggetto diretto (con la prep a ) [a ‘mmiɛ] a me [a ‘ttiɛ] a te comitativo (con la prep con) [ku ‘mme:ɣuzu] con me [kun ‘te:ɣuzu] con te altre funzioni [pɔ ‘mɛ] per me [pɔ ðɛ] per te Come mai l’oggetto diretto ha la proposizionale? Perché conosce il marcamento proposizionale dell’oggetto diretto. Marcamento preposizionale dell’oggetto. Del tipo ho visto a tuo fratello come abbiamo visto è un fenomeno condizionato dai parametri semantici e dal grado di animatezza con la scala proposta da Silverstein. E sicuramente investirà i pronomi della prima e seconda persona singolare perché sono nella parte più alta della scala implicazionale. In sardo è obbligatorio per pronomi personali, antroponimi, nomi di parentela (privi di articolo). Tuttavia è oscillante a seconda delle varietà nei sintagmi nominali che designano esseri umani. Presenza di costrutti impersonali come quelli settentrionali Posposizione del nome del possessivo Inversione tra verbo e ausiliare nelle interrogativa Note di lessico Conservazione degli strati più antichi del lessico latino, presenza in sardo di tipi lessicali che nel latino volgare di altre aree sono stati sostituiti da altri lessemi. esempio Sapere, da SCIRE→[iski:rɛ] Apocope delle vocali finali diverse da -a NOCTEM→ [nɔt] notte Desonorizzazione consonantica in seguito ad apocope MODO [m:ut] venendo meno il contesto intervocalico Quantità vocalica distintiva La lunghezza dà vita a coppie minime. TUSSIM) [tɔs] ‘tosse’ ≠ TUAS [tɔːs] ‘tue’ TRATTI TIPICAMENTE FRIULANI Innalzamento di -A finale ad →[e] [gɔte] GUTTAM goccia [skope] SCOPAM scope Dittongazione spontanea (senza contesto metafonetico) di Ĕ e Ŏ sia in sillaba aperta che chiusa Ĕ sillaba aperta: [je] sillaba chiusa [ja] es PĔTRAM→[pjere] pietra PĔRDERE→[pjardi] perdere Ŏ sillaba aperta→ [we] sillaba chiusa→ [wa] es. SCŎLAM→ [skwele] ŎRPHANUM→[warfin] c’è sempre una approssimante (palatale e velare) che segue una vocale piena come [e] se la sillaba è aperta, una [a] se la sillaba è chiusa. Conservazione del nesso RJ Nessun’altra varietà romanza conserva il nesso RJ PANARIAM→ [panarje] con il solito innalzamento di -a finale in -e. In toscano abbiamo -j e basta, nel resto della penisola italo romanza viene meno la .-j e resta la -r Semplificazione in [l] dei nessi CL- e GL- GENUCULUM→ [ʤenoli] ginocchio SOLIC(Ŭ)LUM→[soreli] sole Con la caduta della vocale postonica sarà avvenuta un’assimilazione regressiva con -LL- che poi si è degeminata. Inserimento di consonante occlusiva omorganica dopo cons finale HOMO→ [omp] quindi dopo nasale -p- perchè deve essere omorganica cioè suono prodotto dallo stesso organo. ⇶Passiamo alla morfologia Formazione dei plurali La formazione del plurale dipende dalle classi flessive, ● con l’aumento sintagmatico per i nomi di I classe a/e es. porta/pote [pwarta]/[pwartis] ● Plurale sintagmatico per II (u/i) e III (e/i) classi se la forma al singolare termina in -r o in consonante non coronale (non articolata nella parte anteriore della lingua ≠s, z, d, t, n, z, l) ‘fuoco/fuochi’ [fu:k]/[fu:ks] , armadio, armadi [arma:r]/[arma:rs] ● Plurali per II (u/i) e III (e/i) classi con palatalizzazione della consonante finale della forma singolare se al singolare esce con una consonante palatale tutto/tutti [dut]/[duc] rosso, rossi [ros]/ [roʃ] C’è una ragione diacronica della duplice strategia dei nomi di II classe, i plurali sintagmatici continuano desinente in -os accusativali, quelli palatalizzati continueranno in -i nominali che è una vocale palatale e quindi hanno palatalizzato la consonante precedenti. All’interno di un sistema bicasuale un lessema al plurale poteva flettere tanto in -i, tanto in -os, a un certo punto si è posta soltanto una forma che in alcuni casi è stata la forma in -os, in altri casi una forma in -i. Pronomi personali tricasuali I persona II persona nominativo [jɔ] io [tu] tu ogg. indiretto dativo (con la prep a ) [a mi] a me [a ti] a te accusativo e altre funzioni oblique [me] me [te] te Anche il friulano è conservativo da questo punto di vista, ma non sorprende essendo una varietà isolata e laterale. I’ pers plu presente indicativo in [-iη] L’uscita della prima persona plu al presente indicativo [o cantiη] noi cantiamo Inoltre per III persona singola e III pers plurale, si usano due forme diverse, questo tratto differenzia il veneto dal friulano:[al cante] lui canta [a cantiη] essi cantano Essere diverso dal maschile al femminile nella 3 pers masc [je] femm [jesi] Assenza del costrutto impersonale pansettentrionale Il futuro del dialetto Il quadro presentato finora dei dialetti è un quadro idealizzato. Sappiamo che i dialetti Ci siamo fatti l’idea di trovare situazioni perfettamente diglossica in giro per l’Italia dove nei contesti informali è legittimo attendersi che tutti parlano dialetti caratterizzati dai fenomeni descritti area per area. Questo era sicuramente il quadro del passato, ma le azioni sul lungo, breve e medio periodo hanno fatto sì che i dialetti locali si avvicinassero a una varietà di riferimento, sia a scala regionale che nazionale nel ‘900 con la creazione degli Italiani regionali. La toscanizzazione del dialetto potremmo analizzarlo come un mutamento interno al dialetto verificatosi per il contatto con l’italiano o con un vero e proprio cambio di lingua (l’abbandono in toto da parte di una comunità di un codice linguistico e l’adozione di un altro codice linguistico dopo una fase di bilinguismo, un processo che è esterno alla struttura della lingua). Non è chiamo come stanno le cose, ciò che è certo è che in molte realtà italiane all’interno del repertorio è difficile operare una distinzione tra italiano e dialetto, perchè negli enunciati reali c’è una concomitanza dei due codici. Non c’è più una vera diglossia, ma c’è una tendenza a preferire strutture italiane. Caso particolare è quello del romanesco perché tra il ‘400 e il ‘500 ha conosciuto quel processo di avvicinamento al modello tosco-italiano, che gli altri dialetti hanno conosciuto solo nel ‘900 e ci anticipa cosa accadrà al resto dei dialetti. esempio del romanesco medioevale del 14° secolo nel resoconto della morte di Cola di Rienzo in Cronica di Anonimo Romano. Era un dialetto centro-meridionale, simile al napoletano, è diventato poi una varietà molto simile al toscano. L’unico dialetto italo-romanzo di cui si possono distinguere due fasi. Il romanesco di prima fase conosce il dittongamento metafonetico delle medio basse. Il romanesco di seconda fase non conosce al tipo di dittongamento (così come wo si è monottongato) Il romanesco di prima fase ha conosciuto un fenomeno tra 400 e ‘500 la jodizzazione di l preconzonantica Il romanesco di seconda fase restituisce la -l preconsonantica, ma la rotacizza in r. Il romanesco di prima fase conosceva il betacismo. Il romanesco di seconda fase conosce esclusivamente b intensa in contesto intervocalico. Il romanesco di prima fase non tollera l’ossitoria e aggiunge una particella epitetica -ne Il romanesco di seconda fare lo tollera. Il romanesco di prima fase conosceva le forme piene del verbo. Il romanesco di seconda fase conosceva l’apocope della sillaba finale del verbo. I processi di toscanizzazione hanno incoraggiato la crisi del romanesco e la sua mutazione per avvicinarsi al toscano, ma non soltanto nell’espressione scritta, avveniva anche nel parlato. Questa compenetrazione è stata una conseguenza di mutamento per contatto innescato dalla storia politica e demografica di Roma soprattutto fra quattrocento e cinquecento. è in quei secoli infatti che si insedia una classe dirigente sovraregionale in cui figuravano personaggi in stretti rapporti con la Toscana. Si diffonde nel repertorio cittadino una varietà alta di tipo toscano che diviene di riferimento prima per gli usi scritti, poi per quelli parlati imitando questa classe dirigente in stretto rapporto con la Toscana. Il cambio di lingua non si sarebbe verificato se non si fossero verificati gli eventi del ‘500: vi è un duplice shock demografico: ● sacco di Roma del 1527 da parte dei Lanzichenecchi e passa da 54.000 abitanti a 33.000 abitanti. Dopo il sacco si ripopola velocemente e nel 1600 ci sono 100.000 abitanti e a questo ripopolamento contribuiscono persone del centro-nord e soprattutto dalla Toscana. Si viene a creare un continuum fra lingua e dialetto, in cui il dialetto diventa una varietà bassa.
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