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Ruolo del dialogo e discussione in classe: teoria attività e comunità apprendimento, Appunti di Pedagogia

Didattica socio-costruttivistapedagogiaPsicologia dell'ApprendimentoDidattica

La teoria dell'attività di lev vygotskij e di jean piaget, con un focus particolare sul ruolo del dialogo e della discussione in classe come strumenti per la costruzione di una comunità di apprendimento. I presupposti fondamentali dell'attività, la differenza tra apprendimento e insegnamento, il ruolo degli studenti e della partecipazione, e il contesto di apprendimento. Viene inoltre presentato il concetto di comunità di pratica e apprendistato cognitivo.

Cosa imparerai

  • Che è il concetto di attività per trasformare la classe in comunità?
  • Come l'attività è funzione della cultura e del patrimonio biologico?
  • Qual è il ruolo degli studenti nella comunità di apprendimento?
  • Qual è la differenza tra l'insegnamento e l'apprendimento?
  • Qual è il ruolo delle interazioni interpersonali nelle attività?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 04/02/2019

ilaria_mainardi
ilaria_mainardi 🇮🇹

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Scarica Ruolo del dialogo e discussione in classe: teoria attività e comunità apprendimento e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Didattica per l'inclusione Con "didattica" si fa riferimento ad una dimensione pratica/operativa. La didattica richiede basi di pedagogia e psicologia dello sviluppo così come la medicina richiede basi di biologia e l'ingegneria richiede basi di matematica. Si parla di natura "epistemologica" della disciplina, epistemologia è il "discorso sulla conoscenza scientifica" (es: che tipo di conoscenza costruisce la didattica?). La didattica è una disciplina di second'ordine che richiede una certa base teorica, si rifà ad una scienza di prim'ordine e a concetti teorici (psicologia e filosofia) per declinarla sul piano operativo. La didattia non riguarda solo l'ambito scolastico, ma tutta la moltitudine di contesti in cui avviene una qualche forma di apprendimento. Inclusione, 2 ambiti di riferimento: 1) problema socio-culturale (marginalità, differenze di classe, minoranze culturali) 2) problematica della disabilità Nell'ambito della pedagogia viene generalmente distinta una pedagogia generale, che si occupa della "popolazione statisticamente normale", da una pedagogia speciale, che si dovrebbe invece occupare di quei casi "speciali", extra-ordinari. Aprendo la questione dell'inclusione. La didattica inclusiva cerca di operare su tutta la popolazione senza criteri esclusivi, adattando quei concetti della didattica generale e speciale che si possono applicare su tutti, così facendo la stessa distinzione tra didattica generale e speciale cessa di avere un motivo di esistere nel quadro di una didattica inclusiva. In breve, la didattica inclusiva cerca di superare la distinzione tra didattica speciale e generale. 3 concetti da distinguere sono: inclusione, integrazione e inclusione. Inserimento è “mettere un elemento all'interno di un sistema più ampio”, senza attenzione per le conseguenze o le condizioni ante e post inserimento dell'elemento o del sistema. Integrazione è l'inserimento nel gruppo/sistema dell'elemento, far acquisire una particolare posizione all'elemento nel gruppo che così facendo entra in relazione e influenza gli elementi circostanti. Inclusione è l'inserimento nel gruppo dell'elemento e delle sue relazione che diventano parte delle relazioni dell'intero sistema. La nuova condizione raggiunta dal sistema è irreversibile. L'inclusione deve essere a monte, i programmi devono essere flessibili, plastici e a monte. Il sistema ospitante deve essere adattivo e resiliente. Flessibilità: capacità di adattarsi ad una situazione temporanea senza ledere la struttura di partenza Plasticità: capacità di tenere a memoria un'impronta, una forma ricevuta. Adattività: capacità di agire attivamente verso lo stimolo. Resilienza: capacità di far fronte a “minacce” reagendovi e adattandovisi. Verba e Gould, l'evoluzione umano non è solo adaptation ma anche exaptation (ex-adattamento) . Con exaptation si intendono gli “adattamenti creativi”, pura evoluzione creativa e non adattiva che assume una funzione successivamente, non emerge per adattamento. (considerazioni su video Santi “buona scuola”: accessibilità a saperi e culture, pari opportunità, difficoltà come motore di sviluppo e non come problema, aspirazioni prima dei bisogni, potenziamento e formazione integrata dell'organico funzionale. Ottenuta forse: separazione differenziata insegnanti di sostegno e ordinari.) Tetracomunità Si parla di “costruire” una tetracomunità, generare, trasformare lo stato di cose presenti, innovare- exaptation. Operativizzare lo sfondo teorico socio-costruttivista. Trasformazione implica qualcosa di dinamica, attivare processi, oggi la classe non è una comunità. Rendiamo la classe dinamico innescando “atti” di insegnamento e apprendimento che non sono trasmissioni o acquisizioni ma processi. L'insegnate è un costruttore, ma è necessario prima de-costruire l'immagine dell'insegnante vigente. L'inclusione non è uno stato ma è un processo, per cui si può o meno essere inclusi nel processo di inclusione. Si parla di “processi includenti” o meno, nel caso di mancanza di processi includenti si ha una “sostanziale esclusione”. Non essendo “stati”, i processi inclusivi sono continuamente ridefiniti e ridefinibili. L'inclusione “dipende”, è un costrutto relazionale e non statico e gerarchico (gerarchico es: + o – incluso). “Un approccio didattico ispirato alla teoria dell'attività e ai presupposti storico culturale vigotskiani si realizza trasformando la classe in “comunità”. In tale contesto l'inclusione si promuove proprio per il modo peculiare con cui viene concepito lo sviluppo e l'apporto evolutivo dell'insegnamento su di esso.” Chiave è il concetto di Attività per trasformare la classe in comunità, l’attività autentica non è diffusa nelle aule, diversamente da quel che si pensa. Attività intesa come Leont’ev, appunto nella sua “Teoria dell’attività”. Anzitutto, attività come “fare in classe che implica partecipazione”, implica quindi la dimensione del fare e la dimensione della partecipazione. Un’impostazione frontale/trasmissiva tende a negare queste dimensioni, il contesto è fondamentale poiché è ciò che facilita o ostacola la partecipazione. L’insegnante quindi non deve esser competente solo in termini di abilità disciplinari, ma anche in termini di abilità di architetto e di regista: sapere creare ambienti che siano favorevoli all’attività di insegnamento-apprendimento e sapere come gestirli, modificarli e implementarli. Importante anche il fattore tempo, occorre sapere immaginare e costruire ambienti che sfruttino il tempo in modo ottimale evitando gli ostacoli e proponendo i migliori facilitatori. Alla base della prospettiva sull’attività sta Vygotskij e la sua visione storico-culturale della cognizione, oggi l’approccio chiamato “socio-costruttivista” si articola con il cognitivismo di matrice anglo-americana e concepisce l’apprendimento come attività e quindi “situato”. L’apprendimento è un processo storicamente e culturalmente collocato, e ha a che fare con il contesto in cui avviene e con la modalità di partecipazione che viene stimolata. Una didattica del “fare” è anche sempre una didattica del “far fare”, che chiama all’azione, al movimento e al cambiamento nella partecipazione. Infatti quando si è implicati in un’attività si subisce una modifica, si è modificati dal proprio agire. Qui si colloca anche la differenza tra comportamento (è il fenomeno osservabile) e l’esperienza è (è ciò che produce in noi il comportamento, la consapevolezza del comportamento che aggiunge ad esso l’elemento attivo e intenzionale). Si ha esperienza quando si intraprende un’attività che ci modifica. L’apprendimento è attività che genera sviluppo, che fa acquisire abilità cognitive superiori e fa passare da una concettualizzazione spontanea ad una scientifica attraverso il linguaggio. Coscienza è interiorizzazione di quell’attività, che affondano le loro radici nella società e che si sono sviluppate nella storia. La coscienza per Vygotskij è l’esito di tutti i processi di internalizzazione dell’apprendimento, è ciò che fa sì che questa attività diventi motore di sviluppo e prerogativa della specie umana. Non c’è sviluppo che non sia appreso attraverso la coscienza, cioè che non sia internalizzato, affinché possiamo riutilizzarlo autonomamente. Autonomia per Vygotskij è un sinonimo di coscienza, autonomia come ciò che mi rende libero di agire. Una persona è autonoma quando “sa fare” intenzionalmente, è autonoma perché si dà la Il modo del dono (la modalità con cui avviene) assume la stessa importanza dell'oggetto del dono. (Scuola= latino, scholae: tempo liberato. “Qui sono libero da...”, “libero da incombenze quotidiano”. É più una situazione che un luogo etimologicamente parlando). L’attività didattica deve essere sempre polimorfica (apprendimento, discorso, pratica e ricerca) per essere prolettica, ovvero anticipatrice dello sviluppo. Caratteristiche trasversali e comuni alle varie declinazioni di comunità: - idea di apprendimento: responsabilità, lo studente è coinvolto attivamente, è motivata intrinsecamente a partecipare (e non da ricompense) con gli altri. - Compito: attinente al mondo reale, sufficientemente difficile ma non frustrante e multidisciplinare. - Verifica: devono avere un significato per gli studenti, imparziale ed equa e deve essere integrata nell’istruzione, verifica non solo come conferma dell’istruzione, anzi. - Modello didattico: interattivo, risponde ai bisogni e alle richieste dello studente; generativo: istruzione mirata alla costruzione di significato. - Contesto di apprendimento: attività sono collaborative, forniscono una pluralità di punti di vista, la diversità è valorizzata come risorsa. - Gruppi: eterogenei, equi, flessibili - Ruolo insegnante: facilitatore, stimola i processi comunicativi; guida, fornisce indicazioni; accompagnatore, si considera anch’esso uno studente, disposto a correre rischi per esplorare aree non di sua competenza. - Ruolo studenti: esploratore, apprendista cognitivo (apprendimento avviene in una relazione con delle guide che aiutano a sviluppare idee e abilità), gli studenti vengono incoraggiati ad insegnare agli altri in contesti formali ed informali; gli studenti elaborano prodotti di uso reale per sé stessi e per gli altri. Comunità di Apprendimento e degli apprendenti: l'apprendimento è diverso dall'insegnamento, nell'apprendimento l'attore chiave è l'allievo, la priorità non è l'insegnante che insegna ma lo studente che apprende e impara. Si parla di comunità di apprendimento quando “l'apprendimento” è un dono. Apprendere è diverso sia da insegnare che da studiare, Apprendere nasce nella reciprocità. Non è né studiare né insegnare, Apprendere è spontaneo. Trasformare la classe in “comunità di apprendimento” significa valorizzare il potenziale cognitivo dell’interazione sociale per favorire lo sviluppo. Vuol dire rendere operativa quella che è stata definita la “triplice alleanza” tra cognizione, metacognizione e motivazione che consente ad un apprendimento di essere significativo. Significativo ovvero: efficace (organizzato, reperibile, trasferibile), consapevole e gratificante (riguarda le aspirazioni più che i bisogni). In una comunità di apprendimento i discenti condividono il carico e la responsabilità del pensare e se ne assumono la responsabilità, mentre il docente ha il ruolo di guida esperta nei processi cognitivi. La classe-comunità è un contesto ricco di risorse (multiple = eteogenee; e dislocate), messe a disposizione di tutti e alle quali ciascun allievo può accedere in base ai suoi bisogni di apprendere. Richiamandosi alla concezione di apprendimento per scoperta (Dewey) e al concetto di zona di sviluppo prossimo (Vygotskij), A.L. Brown parla di community of learners, ovvero una comunità “degli apprendisti” dove ogni membro si assume il carico del proprio e dell'altrui apprendimento in un atto consapevole e condiviso di responsabilità congiunta. Dewey: pragmatismo, percezione non come sensazione ma come pratica sul mondo, sperimentazione. Tale sperimentazione deve essere sociale, poiché la ricerca è una “sperimentazione”, un provare diverse alternative e quindi rende meglio, possono essere considerate più alternative, a livello collettivo piuttosto che individuale. La democrazia rappresenterebbe inoltre lo spazio politico migliore per favorire la ricerca poiché si fonda sul confronto di alternative. Vigotskij: visione della comunità più “marxista”, dove si condivide tutto, si fa dono collettivo di tutto. (ragione è diverso da motivo, motivo=motus, moto. Ragione può anche “tenere fermi”. Inoltre non si ha una relazione, ma si è in una relazione). In breve, il valore di una pratica piuttosto che di un oggetto dipende dal contesto, dal modo in cui avviene la condivisione. Il “dono” implica un'attenzione sul valore dell'elemento condiviso. La scuola facendosi “comunità” rende le pratiche e le capacità condivise dei doni, estraendole dal mercato. La scuola infatti tende, oggi, alla monetizzazione delle competenze insegnate. Le materie considerate più importanti sono quelle più spendibili. Il dono invece comporta la gratuità. Le 3 fondamentale educative nella società occidentale sono: leggere, scrivere, calcolare. Sono le basi che vengono insegnate, quelle competenze che nel nostro stile di vita vengono considerate fondamentali (a differenza, per esempio, del cantare, saltare, ballare). Quest'ultime possono essere più importanti in altre culture. Siamo in una società di programmazione, predeterminazione, calcolabilità, in cui ogni spazio di incertezza è visto negativamente e “da migliorare”. Il giudizio è fondamentale nella vita sociale, tuttavia dovrebbe riguardare il valore, dovrebbe fondarsi sull'apprezzamento (a privativo – prezzo; demonetizzazione), giudicare non è valutare il valore intrinseco-economico. Amartya Sen: parla di “fattori di conversione” che consentono di convertire aspirazioni e progetti in possibilità e attuazione di abilità. (Capabilities = misto ottimale di abilità e occasioni, che per Sen, nella società ideale, le occasioni sono rappresentati dagli uni rispetto agli altri). Necessaria una scuola che offre numerosità e varietà di occasioni, che valorizza l'eterogeneità e la differenza. “Accedere non è fruire”, Fruire è quando quella particolare istanza a cui “accedo” diviene anche un mezzo per il perseguimento di un altro fine. Prima di occuparsi di inclusioni bisogna occuparsi degli elementi di esclusione. Oggi la scuola si pone come un servizio volto a soddisfare un bisogno, un deficit. La società si fa così assistenzialistica. Ma le persone non hanno solo bisogno, non si esauriscono nei bisogni, hanno innanzitutto aspirazioni che dovrebbero essere valorizzate. Si ha una standardizzazione dei bisogni, una risposta standard ai bisogni standard e l'esclusione dei bisogni non standard. La comunità di apprendimento si pone invece come luogo di valorizzazione delle differenze individuali, dove non vengono livellate ma utilizzate in forme di lavoro collaborativo. Le potenzialità dei singoli, messe in circolo e fatte interagire, generano zone multiple di sviluppo prossimo che si individuano negli spazi di collaborazione e scaffolding e compongono una rete di risorse diffuse moltiplicando le opportunità di apprendimento. Le potenzialità di questa “expertise distribuita” (non è possesso di qualcuno in particolare; riferimento anche alla “teoria della complessità” che vede la conoscenza e l'intelligenza non come una proprietà individuale ma come una proprietà emergente che non è riducibile ad un soggetto in modo esclusivo) si intrecciano in azioni socialmente orientate: richiesta di aiuto, consultazione reciproca, porre questioni, scambio di informazioni, avanzare domande. (chiedi a tre prima di chiedere a me). Tali azioni trasformano l'esecuzione individuale di un lavoro scolastico nella gestione complice e solida di un compito di apprendimento, stimolando lo scambio tra i pari-differenti e l’individuazione reciproca nei soggetti di zone multiple di sviluppo prossimo. Da “cogito ergo sum” a “sumus ergo cogito” (siamo dunque penso); pensiero non nella “singola testa” ma inserito nella pratica sociale. Cambiamento ascrivibile al paradigma alternativo emerso verso la fine del 900', in cui la pratica cognitiva si fa plurale e comunicativa. Zona di sviluppo prossimo: (Vygotskij) un'area di cambiamento, uno spazio che consente una trasformazione vicina. Uno spazio tra ciò che sono e ciò che posso diventare, ma si tratta di un cambiamento “prossimo”, palpabile. Lo spazio prossimo è lo spazio potenziale più vicino all'attuale. Uno spazio che per Vygotskij, non è raggiungibile da soli ma solo “accompagnati”, se fosse possibile da solo sarebbe possibile nell'immediato e quindi attuale. Uno sviluppo né senza difficoltà (attuale) né con eccessive difficoltà (l'intero potenziale). Né da soli, né esclusivamente guidati dagli altri; aiutati da coloro che sono più “esperti” di noi in quella pratica. La Didattica è la disciplina per l'aiuto ottimale, l'aiuto ha senso solo se vi è la difficoltà, la difficoltà è quindi parte della didattica. La scuola deve insegnare quello che non si svilupperebbe spontaneamente. Pratiche che per essere acquisite devono essere sperimentate, sperimentare le difficoltà con l'aiuto di qualcuno un po' più esperto (zona prossimale di sviluppo). Scaffolding di Bruner Bruner, riprendendo in parte Vygotskij, parla di “Scaffolding” traducibile con: sostegno, impalcatura, ponteggio. “Sostegno” indica la presenza di un aiuto che però non deve essere una sostituzione permanente di una “parte” del soggetto, ma provvisorio per superare delle difficoltà. “Impalcatura” riguarda appunto la presenza temporanea destinata a venire meno. “Ponteggio” si riferisce al passaggio da un posto all'altro. Le difficoltà non sono tanto un problema ma piuttosto un'occasione, un diritto. Tale “impalcatura”, grazie alla mediazione semiotica reciproca con l’insegnante o soggetti più competenti, consente di partecipare ad attività prolettiche, ovvero situazioni di insegnamento/apprendimento in cui vengono anticipate le competenze. Condividere performance “difficili” rese affrontabili dal sostegno reciproco. Comunità di apprendimento è la comunità per rispondere a bisogni e ad aspirazioni. Bisogni e aspirazioni interagiscono tra loro, senza aspirazioni ci riduciamo a “contenitori di bisogni” (individuo consumista di bisogni). (Esperienza deriva da Esperire che deriva da “Perire” e significa: “uscire dalla morte”). La didattica aiuta le persone a diventare autonome, non sole o individualiste. Autonoma: deriva da “auto” e “nomos”, darsi delle norme da sé ha senso solo in un ambito sociale. Quindi non ha nulla a che fare con l'individuo come “solo”. La scuola non deve estirpare il bisogno di aiuto, che non deve essere visto come dipendenza ma come relazione. Che non implica un'asimmetria fissa. Soddisfazione: Bisogno = Gratificazione: Aspirazione. La soddisfazione è più “quantitativa” (infatti è quantificata nelle survey e nei questionari d'opinione). La gratificazione è più “qualitativa”. Analisi quantitativa: dicono “poco” di tanto (rispondono ad un'esigenza di generalizzazione) Analisi qualitativa: dicono “tanto” di poco (rispondono ad un'esigenza di profondità). Metariflessione (Deteuroapprendimento di Bateson): vivere, ragionare nelle antinomie e negli opposti. (es: Culture in cui dal momento della nascita si inizia a morire, vivono preparandosi a morire e preparando il posto per altri che verranno e che li sopravviveranno, non vivono “esclusivamente” per migliorare la propria esistenza e per avere “sempre di più”.) L'allievo-apprendista quindi impara osservando il maestro e sotto la sua guida. Come avveniva in passato in contesti estranei all'istruzione scolastica, per l'acquisizione di abilità necessarie a una pratica esperta. L’apprendistato cognitivo ricalca i passaggi di quello tradizionale: modelling (esperto esibisce la propria prestazione e l’apprendista cerca di imitarla), allenamento (coaching e scaffolding; offerti dall’esperto che osserva e guida nella pratica il principiante), eliminazione graduale dell’assistenza esperta (fading, offrendo responsabilità via via maggiori). Queste fasi aiutano l’apprendista inesperto a formarsi un modello concettuale di procedure corrette per realizzare un compito. La costruzione di un modello concettuale è importante per: 1) fornisce un principio organizzatore per affrontare i tentativi di esecuzione del compito 2) una struttura interpretativa per comprendere i suggerimenti e le valutazioni dall’esperto 3) una guida interna relativamente indipendente per automonitorare le proprie attività di apprendimento. Quindi, attraverso la partecipazione guidata l'esperto introduce il principiante ai saperi del contesto e del compito. L'apprendista si appropria di saperi e procedure tramite la partecipazione a contesti sociali di attività (appropriazione) e interviene l'internalizzazione delle strategie esperte (apprendistato cognitivo). Si distingue così dai contesti educativi tradizionali in cui le pratiche pedagogiche rendono invisibili molti aspetti chiave della competenza esperta richiesta dal compito. I processi cognitivi sottesi rimangono impliciti e gli allievi procedono per tentativi nell'esplorazione e nella ricerca di strategie efficaci (dato che non hanno occasione di imitare e comprendere il funzionamento del modello). L’allievo-apprendista quindi, impara osservando il maestro e sotto la sua guida, che lo aiuta e pone ostacoli critici nello svolgere compiti difficili. L’apprendistato cognitivo include anche la dimensione metacognitiva, ossia la consapevolezza, controllo e autoregolazione. Questi processi, implicano approfondimento del repertorio di strategie, affinché la pratica costante della riflessione attenui l’ansia per gli aspetti esecutivi. Ruolo centrale dei processi cognitivi e metacognitivi sia per le capacità di basso livello, sia per le conoscenze astratte. Nella comunità di apprendimento quindi il focus è su: difficoltà, aiuto e dislivello delle conoscenze. Nella comunità di pratica: focus sulla scelta della pratica migliore. Caratteristica della pratica: continuità, ricorsività, intenzionalità (vi è un senso, un fine gratificante). La pratica implica una grande apertura verso il principiante, verso “colui che fa pratica” e si definisce così anche la figura del maestro. Comunità di pratica è il luogo dell'esperienza in cui l'errore è normale, anche se inserito in uno spazio protetto; in cui prende rilevanza il ruolo del maestro che “anticipa le difficoltà e conosce le possibilità costruttive degli errori. L'errore infatti viene affrontato dal praticante e gestito dal maestro come “costruttivo” e non come “distruttivo”. Generosità del maestro, che coincide in parte con la Zona di sviluppo prossimo di Vygotskij, il maestro insegna non tanto la singola attività in sé ma il principio, la logica, che sta dietro a tale attività. Consentendone così la riproducibilità e l'estensibilità in altri contesti. La comunità di pratica richiede: pensiero critico (sviluppare la pratica negli errori), pensiero creativo (partecipare creativamente) e pensiero affettivo (passione per la pratica). Importante per il maestro, oltre mostrare la competenza e come ci si relazione con il compito, anche la meta di scomparire, attraverso il progressivo fading, la dissolvenza nello sfondo portando al centro l’allievo dalla periferia. (scaffolding come impalcatura temporanea e flessibile). Comunità di Discorso Si fonda su una visione dell'apprendimento come un processo che avviene attraverso la dimensione sociale che gli è propria. Pensiero, attività cognitiva, come eminentemente sociale (siamo dunque pensiamo; Sumus ergo cogitanus). Vygotskij: l'apprendimento superiore (pensiero simbolico; pensare mediante simboli) inteso in opposizione al pensiero animale non simbolico. L'apprendimento superiore è sempre un processo duplice. Prima su un piano intersoggettivo, poi intrapersonale. Si arriva al “pensare con le parole” interiorizzando la comunicazione simbolica. L'uomo pensa attraverso costrutti che hanno origine sociale. L'uso intenzionale della mediazione simbolica costituisce la base dell'apprendimento superiore. Per Vygotskij il pensiero è prima sociale e poi individuale, a differenza di Piaget per cui il pensiero viene prima della dimensione privata e poi sociale. La classe diviene quindi un luogo di mediazione semiotica: in cui l'attività più diffusa è una “traduzione” della conoscenza, uno “scambio di informazioni”, piuttosto che trasmissione. Concetto Vygotskijano/Bakhtiniano di Polifonia della mente (più vai dentro la persona più si trovano echi differenti e non una “singola voce Freudiana”). Attività è sempre polifonica, si “gioca” con maschere, traduzione e simulazioni. Comunità di discorso è dove i linguaggi diventano protagonisti e l'insegnante si fa mediatore; e in cui ci alleniamo all'ascolto, precondizione per il discorso. Dialogo e discussione in classe Come luogo di partecipazione ad attività di costruzione e condivisione dei significati per la costruzione di una “cultura dell'integrazione”, basata sulla valorizzazione della differenza e sul riconoscimento dell'alterità. La classe come “comunità di discorso” è l’ambiente simbolico in cui i linguaggi (non necessariamente verbali) e la loro condivisione tengono insieme il tutto. I linguaggi rivestono propriamente la loro funzione di mediatori di segni e significati culturali. Le discipline sono sistemi organizzati di codici linguistici, di regole di azione, di strategie di risoluzione dei problemi in cui gli alunni vanno familiarizzati entro un processo di acculturazione. Il linguaggio opera come strumento: comunicativo, retorico, argomentativo, epistemico, ermeneutico, entro una dimensione pubblica e condivisa. I partecipanti protagonisti sono soggetti parlanti e ascoltatori, dalla cui relazione dialogica si originano e si condividono i significati, a propria volta continuamente ridefiniti dal loro uso nel linguaggio comune e nei linguaggi disciplinari specifici. Il discorso dunque come “luogo del pensare” nella misura in cui esso non è un’attività mentale ma essenzialmente l’attività di operare con i segni, ma anche luogo della manifestazione di “ruoli” interpretati e negoziati dagli individui. Luogo dell’argomentazione, della critica e della crescita della conoscenza, si fa spazio principale della realizzazione della coscienza. La coscienza si fonda sulla riflessione, e una parte notevole della riflessione si compie nel linguaggio, possiamo ammettere che la coscienza tende sempre a manifestarsi nell’interazione tra gli uomini. Comunità di discorso quindi anche come comunità di coscienza e conoscenza. Linguaggio è tutto ciò che è dato da un insieme codificato di segni tenuti insieme da una grammatica e che hanno una loro semantica condivisa (vincoli e prerogative di comunicazione). Attività chiave è: il Dialogo e la discussione in classe, come luogo di partecipazione ad attività di costruzione e condivisione dei significati, basata sulla valorizzazione della differenza e sul riconoscimento dell’alterità. Gli alunni si appropriano delle forme comunicative esperite insieme all’insegnante esperto (tecniche argomentative, retoriche, ruoli assumibili). Trasformare la classe in una comunità di discorso vuol dire concentrarsi proprio sui mediatori, su ciò che noi usiamo per favorire la condivisione dei significati e la costruzione della conoscenza attraverso segni simbolici. Prima preoccupazione in tal senso: che gli allievi sappiano capire e usare il linguaggio. L’insegnante dovrebbe entrare in classe cercando di familiarizzare l’allievo ad un nuovo linguaggio e facilitare la circolarità della comunicazione dialogica. L’insegnate diviene liberatore (promuovere la fiducia in sé stessi e l’iniziativa cognitiva, evitando di definire preventivamente i percorsi e i risultati accettabili), mediatore, osservatore e iniziatore (crea contesti di apprendimento che coinvolgono nella soluzione dei problemi e nel prendere atto dei propri bisogni). Importante infine valorizzare le differenze e le specificità, potenziando il ruolo della dissonanza, del conflitto cognitivo come punto di partenza privilegiato per il cambiamento. Comunità di ricerca Comunità di ricerca è il luogo in cui si sperimenta, in cui un’esperienza è controllata, finalizzata intenzionalmente all’accrescimento della conoscenza, alla sua critica, alla sua rielaborazione. È un’esperienza che serve a valutare il valore di un’ipotesi, non c’è sperimentazione senza ipotesi; mentre ci può essere esperienza anche senza ipotesi (comunità di pratica). Sostanzialmente la comunità di ricerca è il luogo di una particolare pratica, che è la pratica che usa la realtà come controllo della propria attività e come terreno di scoperta. La classe come “comunità di ricerca” è lo spazio della valorizzazione del dubbio, della domanda e del problema. In essa l’apprendimento è inteso come processo di scoperta che si attiva grazie alla possibilità offerta dagli alunni di esplorare direttamente e motivatamente i vari campi di conoscenza, che in questo modo divengono veri e propri campi di indagini. Ricerca come attività che parte dal dubitare. Nella comunità di ricerca i membri sono tenuti insieme dalla condivisione dei problemi e delle procedure utilizzate per risolverli e prendere decisioni, ma anche dal riconoscersi reciprocamente come “giudici indipendenti” e allo stesso tempo come “compagni di avventura”. Una comunità che si raccoglie intorno al desiderio e al bisogno di ricerca è una comunità che trova la sua identità e stabilità entro il disequilibrio necessario per fare un passo avanti, grazie alla ponderazione condivisa del rischio e al sostegno reciproco nello sforzo cognitivo che la ricerca comporta. Mead afferma: “il bambino non diventa sociale apprendendo. Deve essere sociale per apprendere”. Le implicazioni educative dei concetti di ricerca e di comunità sono riprese da Dewey. Apprendere: ha luogo in una situazione unica e immediatamente sperimentata (Dewey). Discutendo in maniera attiva la materia oggetto d’indagine (Mead). La materia può essere presentata sotto forma di problemi. Dal conflitto, dall’immaginare un punto di vista diverso dal proprio, nasce la possibilità della critica e della crescita della conoscenza. La comunità di ricerca ha svariate caratteristiche in virtù delle quali è contemporaneamente comunità di pratica, discorso e apprendimento. Il concetto fondamentale di “ricerca” è strettamente legato all’esperienza, il vissuto di qualcosa che succede. In particolare l’esperienza del cercare, in origine vi è la “meraviglia” non la certezza, a cui segue la formalizzazione del sapere e la strutturazione della conoscenza. In inglese “Wonder” significa sia chiedersi sia meravigliarsi/stupirsi. Per Dewey la ricerca è un arco che va dal dubbio alla certezza, ricerca come continuo passare, oscillazione, dal dubbio alla certezza. Senza “bloccarsi” nella certezza ma rimanendo nella continua tensione. Il dogmatismo e il fondamentalismo sono l’opposto della ricerca. Un certo fondamentalismo è inevitabile, inevitabilmente infatti è necessario poter dare per scontate alcuni fenomeni, alcune informazioni. Dall’altro lato la ricerca deve spingere ad un continuo rinnovamento del dubbio. Socrate che parte dal “so di non sapere”, alla base della ricerca filosofica c’è l’ignoranza, questo “so Classificare il generale per capire di cosa si sta parlando, si classifica il funzionamento non la persona. ICF ci riguarda: indistintamente e differentemente, la salute è un vissuto dinamico che riguarda tutti. Prendere le mosse dall’ICF è importante perché: • Contiene le classificazioni e la descrizione delle situazioni che riguardano la disabilità • È possibile rintracciarvi ogni stato di salute associato a qualsiasi condizione: esso riguarda tutti ed ha una applicazione universale. (diagramma Slide): Elementi fondamentali degli stati di salute. In questo diagramma il funzionamento di un individuo in un dominio specifico è un’interazione o una relazione complessa fra la condizione di salute e i fattori contestuali (…). Tra queste entità c’è una interazione dinamica: gli interventi a livello di un’entità potrebbero modificare uno o più delle altre entità. L’educatore non può intervenire direttamente sui domini che riguardano le condizioni di salute e la menomazione, ma solo su quelli che si trovano sulla parte destra modello: attività, partecipazione, fattori contestuali. Funzioni e strutture corporee non sono la stessa cosa: le strutture corrispondenti alla funzione possono essere anche più di una implicate in una stessa funzione (es: mangiare). Non basta solo capire le condizioni di salute, ma dobbiamo andare in profondità, capire anche: fattori contestuali e personali. Per attività si intende “l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo”. Per partecipazione si intende il coinvolgimento in una situazione di vita. L’introduzione dei termini compito/azione e coinvolgimento ha delle implicazioni rilevanti perché l’agire viene connesso sia ad una dimensione sociale (coinvolgimento “ingloba il prender parte, l’essere inclusi o l’impegnarsi in un’area di vita, l’essere accettati) sia ad una dimensione intenzionale e soggettiva, che qualifica un’azione come “compito” (che richiede l’avere accesso alle risorse necessarie per svolgerlo). Attività e partecipazione sono indicatori di qualità privilegiati dell’integrazione della persona. La “partecipazione” è una singola situazioni di vita e quindi non ripetibile, la “capacità” invece è un contesto standard con livello medio di facilitatori e ostacoli (si tratta di una situazione astratta), si tratta di una generalizzazione di condizioni medie. Noi in realtà sperimentiamo performance in situazione di vita concrete e irripetibili. I qualificatori utilizzati per riconoscere l’attività e la partecipazione sono performance e capacità. Abbiamo bisogno di due qualificatori perché l’attività è un costrutto astratto/generale, mentre la Condizioni di salute (disturbo/malattia) Attività Partecipazione Funzioni e Strutture corporee Fattori contestuali - Ambientali - Personali partecipazione riguarda il singolo modo particolare con cui la persona “intraprende, svolge, partecipa” a quell’attività, si coinvolge in essa. 2 qualificatori diversi quindi per riconoscere e qualificare componenti diverse. - Capacità: è il più alto grado probabile di funzionamento che un individuo può avere nell’eseguire un compito o una azione in un contesto standardizzato (una sorta di “stima media”). È la probabilità più ampia che la persona ha di fare quell’attività. - Performance: (qualificatore della prestazione), è il coinvolgimento della persona in una “situazione di vita” o “esperienza vissuta” nel contesto reale della loro esistenza. Quello che la persona fa in un contesto di vita, sulla base delle sue reali capacità. Unica e irripetibile, agganciata al contesto. Dipende fortemente dai fattori contestuali a differenza della capacità che rappresenta invece una sorta di astrazione dai singoli casi concreti e particolari. La performance inoltre non è predittiva in senso generale ma contestuale (ossia, mantenendo gli stessi fattori contestuali è possibile che…è in gradi di…). Non possiamo separare le performance dalle capacità. Bisogna lavorare sulle performance affinché non siano estemporanee, agendo su ostacoli e facilitatori. Attività e partecipazione sono messe insieme perché da sole non dicono niente. La performance deve diventare maggiore della capacità, attraverso la mediazione di un altro (zona prossimale di sviluppo). Capacità e performance non sono una mera risposta esecutiva, ma il prodotto dell’adattamento creativo dell’individuo alle richieste e alle aspettative della società e della cultura in cui è immerso. Capacità e performance, attività e partecipazione, vanno distinte perché non sempre alle capacità corrispondono le performance, anzi molto raramente. La capacità è un’operazione statistica, tutti sperano di fare delle performance sopra la media e in ogni caso difficilmente la performance di un soggetto coincide esattamente con la media delle performance. In altri casi vi sono situazioni che inibiscono la performance tenendola sotto la media; è quindi necessario un aiuto strutturale che vada oltre il mito del “fare da soli”. Per capire il funzionamento di un individuo serve sia la capacità sia la performance, la capacità (descrizione uniforme dell’attività in un contesto standardizzato) ci serve come principio regolativo. Grado probabile di funzionamento ci serve per misurare, ricorrendo ai test. La disabilità non è a 360 gradi ma è situazionale. L’ICF è un modello bio-psico-sociale: - In cui non compaiono mai le parole “salute” o “disabilità” - Teorizza una complessità multifattoriale (non è un modello medico come i precedenti che faceva derivare la salute dall’assenza di malattia). Rifiuta la visione causalistica-meccanicistica della malattia (adottata nell’ICD, classificazione medica delle malattie), nell’ICF la disabilità non deriva dalla malattia, se uno ha una malattia/un deficit non significa che inevitabilmente/automaticamente sperimenta la disabilità. Qui sta un primo aspetto rivoluzionario dell’ICF, rifiuto della derivazione meccanicista della disabilità dalla diagnosi, dallo stato di saluto dell’individuo. Allo stesso modo l’ICF rifiuta il modello sociale per il quale: - Molte disabilità in realtà sono costrutti sociali e culturali - Disabilità è ciò che emerge da una società organizzata per farla emergere L’ICF non si conforma né al modello medico (ICD) né al modello sociale, ma recepisce entrambi: modello biologico (salute), modello sociale (contesto), modello psicologico (attività mentale, emozioni, pensieri). L’ICF vede il funzionamento della persona come proprietà emergente dall’interazione di aspetti multifattoriali. Quando il funzionamento è ottimale si percepisce la massima partecipazione e attività del soggetto con conseguente generazione di benessere; quando invece il funzionamento è compromesso, la partecipazione e l’attività del soggetto sono limitate e si genera malessere. La condizione disabilitante ha origine nell’interazione dei diversi fattori e non deriva, in modo esclusivo dallo stato biologico di salute del soggetto. L’ottica dispensativa/compensativa va evitata, poiché parte dall’ottica che vi sono delle “abilità” normali e chi non riesce a svolgerle può essere dispensato dal farlo o viene compensato per avvicinarsi. Seguendo i principi dell’ICF è necessario promuovere l’attività e la partecipazione di tutti i soggetti partendo dalla possibilità di trasformare i fattori contestuali, attivando facilitatori o eliminando barriere. Tenendo in considerazione che non è possibile definire i facilitatori o le barriere a monte, ma questi dipendono dal contesto, dalla situazione contingente e dai soggetti coinvolti. I fattori contestuali sono sia ambientali sia personali. Rappresentano l’intero background della vita e della conduzione dell’esistenza di un individuo. Ambientali: ambiente fisico e sociale, atteggiamenti individuali Personali: retroterra di vita, caratteristiche individuali (dal sesso, alla razza e alle abitudini ed esperienze acquisite). I fattori contestuali interagiscono con l’individuo in una condizione di salute e determinano il livello e il grado del suo funzionamento. Ne consegue che “ambienti diversi possono avere un impatto molto diverso sullo stesso individuo con una certa condizione di salute. Un ambiente con barriere, o senza facilitatori, limiterà la performance dell’individuo; altri ambienti più facilitanti potranno invece favorirla”. Va sottolineato che gli ostacoli, oltre ad essere parte ineliminabile dell’esperienza umana, sono anche utili per l’apprendimento e lo sviluppo (situazioni sfidanti, occasioni di miglioramento). Il facilitatore non è un radere al suolo le difficoltà, il facilitatore è effettivamente facilitatore solo quando riguarda la fruibilità di un’attività e non tanto il suo accesso. L’ostacolo diviene barriera quando non è superabile e crea frustrazione/discriminazione. Così come la disabilità non è della persona, nemmeno l’abilità è della persona. Tuttavia nella partecipazione di persona in una situazione di vita, si può evincere un certo grado di funzionamento della persona, un certo livello della sua capacità. Funzionamento che non è qualcosa di dato ma è contestuale e dipende dal frame interpretativo adottato. Lo stesso gesto può avere a che fare con il rinforzo di diverse abilità. Un nuovo concetto di “disabilità”, la parola disabilità viene proposta come un termine sostitutivo del termine handicap, abolito nella nuova classificazione per il significato negativo assunto nel linguaggio comune. Continuare ancora a parlare di “handicap” significa ostacolare il passaggio e la negoziazione di nuovi significati: l’handicap tutto è fuorché un fardello individuale, è invece una situazione. La situazione in cui viene a trovarsi qualsiasi individuo che sperimenta difficoltà stabili o transitorie nell’adattamento al mondo. La disabilità, più che uno stato ontologico del soggetto, è “la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive”. Definire la disabilità in senso “relativo” al contesto significa intraprendere un vero e proprio progetto culturale. L’intervento educato auspicato è quello in grado di modificare quei fattori ambientali che nel limitare l’attività e nel restringere la partecipazione riducono la performance e la capacità di azione del soggetto, intervenire sulla disabilità significa sempre agire sulle potenzialità di azione e di partecipazione nei contesti di vita. “Diversità” non più descritta come disturbo, strutturale o funzionale, bensì come stato di “salute”. Differenza come non contemporaneità, come asincronia di esperienze che chiedono di essere localmente sincronizzati per consentirne l’interpretazione. Differenza come ineguaglianza, ovvero distanza dall’identità vista come “stessità” (ripetizione, familiarità, ecc.) e come “parità” (simmetria, eguaglianza, ecc.), e invece connotata come “originalità e novità”. Questa analisi evidenzia, dal punto di vista didattico, l’importanza delle dinamiche discorsive che consentono il confronto con l’alterità, la valorizzazione dell’imprevisto, la proiezione diacronica delle esperienze e la sistematizzazione dell’eterogeneità. Valutazione autentica La valutazione: un tema “spinoso”. Come conciliare l’idea di forte motivazione che sottende ad una partecipazione attiva con una pratica scolastica che si propone esclusivamente di rilevare le conoscenze acquisite alla fine di un percorso didattico? Motivi di insoddisfazione: - la difficoltà a trovare giustificazioni ed elementi di trasparenza nell’espressione dei propri giudizi. - esigenza di individuare i criteri e gli strumenti che permettano di esprimere giudizi maggiormente fondati. - il dubbio sul valore reale della valutazione scolastica. Nata negli Stati Uniti agli inizi degli anni 90’ come contrapposizione critica alla valutazione diffusa di orientamento comportamentista fondata soprattutto su test standardizzati. Questa contrapposizione non ha gli stessi riferimenti per quanto riguarda il contesto italiano. La valutazione tradizione italiani infatti, per essendo molto variegata e diversificata, va qui intesa non nel senso degli strumenti, ma nel senso delle intenzioni e degli scopi: verificare l’apprendimento da parte dello studente di una conoscenza trasmessa dall’insegnante. La valutazione tradizionale È una valutazione del profitto scolastico stabilita confrontando i risultati ottenuti dagli studenti con i risultati attesi (obiettivi). È in base alla loro vicinanza o distanza che si traggono inferenze sul grado di apprendimento. Fa ricorso soprattutto a prove standardizzate (normative e criteriali). Normative: test standardizzati (prove invalsi, prove M.T.) Criteriali: prove costruite dai docenti (di circolo, di team, di classe). Il limite della valutazione tradizionale sta “in ciò che” essa intende e riesce a valutare. La valutazione tradizionale si orienta su ciò che l’alunno sa e come lo riproduce. La conoscenza dell’alunno però è più ampia di questi 2 criteri, include anche: come costruire la conoscenza, come la sviluppa, e la capacità di applicazione reale. Una valutazione autentica deve consentire di esprimere un giudizio più esteso su capacità di: pensiero critico, soluzione dei problemi, metacognizione, efficienza nelle prove, lavoro in gruppo, ragionamento e apprendimento permanente. Per noi la valutazione di attività e partecipazione deve essere necessariamente autentica, ossia una valutazione che non ha scopo di generalizzazione, vuole andare in profondità su ciascuno. Valutazione idiografica e non nomotetica volta alla generalizzazione e alla standardizzazione (es: batterie di test, INVALSI), che valuta ciò che uno studente sa in base alla capacità di riprodurre la conoscenza, non di costruirla o svilupparla e neppure di applicarla al mondo reale. Una valutazione coerente che deve permeare tutta la progettazione e l’attività didattica, una valutazione “per l’apprendimento” e non “dell’apprendimento”. (non solo ciò che il soggetto sa, ma anche cosa fa con il suo “sapere”). Si tratta di un uso “personale”, si passa dal generale al particolare. Valutazione che ci possa dare informazioni relative ai processi cognitivi degli studenti, nel loro divenire, per comprenderne sia le reali competenze, sia le possibili difficoltà, coinvolgendoli nei loro percorsi di apprendimento. L’insegnante intraprende azioni di aiuto e supporto allo studente, che ricerca il “proprio valore identitario”, il docente può riscoprire l’originario significato della parola “valutazione” che è appunto “attribuire valore”. La valutazione autentica che: 1) verifica ciò che uno studente sa, ma anche 2) verifica ciò che “sa fare con ciò che sa” e 3) è fondata su una performance reale e adeguata dell’apprendimento. Si tratta di una valutazione non statica: cioè non avviene solo alla fine di percorso. Valutazione dinamica quando tutte le parti sono collegate, e fanno parte della performance, non riducibili ad un unico atto. Presuppone fasi articolate tra loro che restituiscono una visione complessa e autentica della valutazione, non fotografa uno stato in un tempo T; ma cerca di individuare e far emergere lo sviluppo potenziale. Non attraverso test in contesti isolati e individuali, ma visione complessiva che valuti il soggetto in un contesto reale e collettivo/condiviso, ampliando le occasioni di salute e di benessere. Valutazione dell’apprendimento, dell’attività e non della persona. Perché verificare con una prestazione e non con un test? La valutazione di concetti e di fatti isolati (conoscenze) non dimostra le reali capacità di ragionamento, di creatività e di soluzione di problemi in situazioni concrete di vita (competenze). Teorie dell’apprendimento significativo, della cognizione situata, del costruttivismo o del costruttivismo sociale dimostrano che gli studenti comprendono e assimilano in misura maggiore quando hanno a che fare con situazioni reali rispetto a quanto devono apprendere in situazioni decontestualizzate. Decostruzione Come atto iniziale e non finale, partendo dalla consapevolezza che il linguaggio, la cultura, sono costruiti e possono vincolare la nostra libertà, distorcere il nostro modo di leggere la realtà. Il controllo dell’apprendimento deve avvenire, ancorandolo ad attività che riproducano i tipi di lavoro che persone concrete fanno (prestazione). La valutazione autentica è un vero accertamento della prestazione. Solo la valutazione della prestazione in attività di apprendimento significativo ci dice se gli studenti usano in modo intelligente ciò che hanno appreso. Per valutazione autentica: L’apprendimento scolastico: non si dimostra con l’accumulo di nozioni ma non la capacità di trasferire e di utilizzare la conoscenza acquisita a contesti reali. Quini, le prove valutative, sono preparate in modo da richiedere agli studenti di utilizzare processi di pensiero più complesso più impegnativo e più elevato. Non avendo prioritariamente lo scopo della classificazione o della selezione, la valutazione autentica cerca: - di preparare meglio gli studenti a un inserimento di successo nella vita reale - di far raggiungere livelli più elevati di prestazione - di promuovere e di rafforzare tutti, dando opportunità a tutti di compiere prestazioni di qualità. Offre la possibilità di autovalutarsi a: Studenti, 1) per migliorare il processo di apprendimento, 2) per diventare autoriflessivi e assumersi il controllo del proprio apprendimento, 3) per diventare esaminatori di sé stessi. Insegnanti, 1) per migliorare il processo di insegnamento, 2) per sviluppare la propria professionalità, 3) per scoprire il loro ruolo come mediatori dell’apprendimento. Compiti di prestazione: “problemi complessi e aperti posti agli studenti come mezzo per dimostrare la padronanza di qualcosa” (Glatthorn, 1999). Dalla conoscenza inerte ai compiti autentici, dal sapere parcellizzato al sapere complesso, dalla riproduzione alla rielaborazione, dai percorsi chiusi ai percorsi aperti. Nel DAP, Dynamic Assessment Procedure Procedure di valutazione dinamica: • utilizzata in un’ampia varietà di ambiti (matematica, lettura, memoria, problem-solving) • con soggetti di età diversa (dalla prima infanzia all’adolescenza) • su popolazioni diverse (alunni dotati, con problemi di apprendimento, con ritardo mentale, non udenti, appartenenti a culture diverse). Valutazione dinamica, che sintetizza a un’ampia varietà di ambiti, e si applica a soggetti/discenti diversi su popolazioni diverse. Procedura di test-training-retest (3 fasi): (l’insegnante non dovrebbe tanto verificare l’apprendimento ma falsificare il suo stesso insegnamento, cioè falsificare l’avvenuto apprendimento). 1 – Test: valutazione iniziale individuale statica senza aiuti per definire la misura di baseline, di partenza. 2 – Training: applicazione protocollo controllato di assistenza su compito analogo a quello utilizzato per il test (dinamico). (test con aiuto e controllo durante lo svolgimento del compito). 3 – Retest: valutazione individuale e ripetuta delle abilità in un compito analogo senza aiuto con strumenti alternativi. (capacità – performance – capacità, attività – partecipaone – attività). 4 – Confronto per individuare la zono di sviluppo prossimo. Inteso qui come spazio tra la baseline (liv. attuale) e il livello massimo di assistenza. Training potrebbe implicare compiti concreti, non intesi come esclusivamente pratici, ma intesi come aventi un senso, un significato concreto e reale. 5 – analisi quantitativa (valutare età mentale nel livello massimo) e qualitativa (punti di forza e debolezza per determinare l’assistenza specifica per una prestazione ottimale). La DAP prevedere: o Fusione tra valutazione e insegnamento o Diagnosi in funzione prognostica (mi serve come punto di partenza per delle “previsioni”, per guardare al potenziale). o Spostamento del focus dai prodotti ai processi o Insegnamento come attività che favorisce e conserva l’eccellenza (attività situata, cultura, strumento, ecc.). o Si valuta attività e non la persona. Valutazione statica Valutazione dinamica - Orientata alla legittimazione della diagnosi o Esclusoria o L’esaminatore è l’osservatore o L’esaminatore non è assistito - Orientata all’istruzione o Diagnosi vs insegnamento o Staccata o Prodotto o Retrospettiva o Decontestualizzata o Bassa generalizzazione - Orientata allo sviluppo del soggetto o Collaborativa o L’esaminatore è partecipe o L’esaminato riceve una mediazione - Orientata all’interazione reciproca o Diagnosi = insegnamento o Connessa e continua o Processo o Prospettica o Situata o Alta generalizzazione B) Sezioni: PRATICHE - coordinare apprendimento - mobilitare risorse Le attività formative vengono progettate in modo da rispondere alla diversità degli alunni, e gli alunni sono incoraggiati al coinvolgimento attivo in ogni aspetto della loro educazione, valorizzando anche le loro esperienze “oltre l’aula”. C) Sezioni: CULTURA - costruire comunità - affermare valori inclusivi Creare comunità accogliente, cooperative, stimolante, in cui la valorizzazione di ciascuno diviene il punto di partenza per ottimizzare i risultati di tutti, diffondendo valori inclusivi condivisi e trasmessi a tutto il gruppo insegnante, agli alunni, ai membri del Consiglio di istituto, ai dirigenti e alle famiglie. C’è impegno che orienta la mia azione Diversità Differenza È un’attribuzione ontologica, dell’essere degli individui, è proprio degli individui. Ci distinguiamo per le identità, siamo altro rispetto a un altro individuo con un’alta sua propria identità. Caratteristiche degli individui distinguibili dagli altri. No caratteristica propria degli individui, ma è un costrutto comparativo degli individui, relazione, Io sono diverso perché c’è un criterio che mi compara a qualcos’altro. Emerge dalla comparazione di individui; la differenza presuppone la diversità e emerge quando compara le diversità. Esito di separazione tra + e -. Valorizzare le differenze = non azzerare le differenze ma far sì che alcuni aspetti siano da omogeneizzarsi o da smussare. No politica per omogeneizzare, massificare ma per far emergere le differenze, intese come valore aggiunto, non come valore negativo (es: biodiversità). La diversità contribuisce a uno sviluppo più ricco di opportunità, diversità come valore. B2-UD Presuppone una progettazione inclusiva che tenga conto delle diversità, progettare e partecipare. - Progettare a partecipare - Valorizzando esperienza fuori dalla scuola (outdoor education). Es, di Alcuni indicatori: - Gli alunni si aiutano l’un l’altro - Ciascuno deve sentirsi il benvenuto Creare reti omogenee, fare rete (ottica dell’Index), mettere in collegamento. L’index non come strumento da usare in maniera isolata. 3) I materiali: indicatori e domande Ogni sezione contiene da cinque a undici indicatori che definiscono un obiettivo a cui mirare e con cui confrontare le pratiche abitualmente in uso nella scuola, in modo da individuare le priorità per il cambiamento. Per ogni indicatore vi sono una serie di domande che aiutano ad operativizzarlo e a concretizzare l’index; si tenga presente che l’index rimane uno strumento flessibile, il personale di ogni scuola è chiamato a creare la propria versione dell’Index (aggiungendo e modificando domande e indicatori). La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità Adottata nel 2006 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Si compone di un Preambolo e di 50 articoli. La Convenzione rappresenta un traguardo importante in quanto NON esisteva in materia di disabilità uno strumento di diritto internazionale vincolante per gli Stati. La convenzione infatti è un accordo tra paesi, i quali si impegnano a seguire la stessa legge su una questione specifica. Una volta ratificata da un paese, diventa vincolante per le azioni del Governo e spesso determina un cambiamento delle leggi nazionali. In sintesi: - Definisce la disabilità come risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere ambientali che impediscono la loro piena ed efficace partecipazione nella società in una base di parità con gli altri. - I principi (fondamentali) della Convenzione sono: rispetto per la dignità, libertà di scelta e accettazione delle persone con disabilità. - Si basa sul modello sociale della disabilità basato sul rispetto dei diritti umani e sullo slogan del movimento mondiale delle persone con disabilità “Niente su di Noi Senza di Noi”. Riflessioni: La Convenzione riesce davvero a promuovere l’autodeterminazione delle persone con disabilità? Ha favorito la promozione delle culture, delle politiche e delle pratiche inclusive? - CULTURE INCLUSIVE - POLITICHE INCLUSIVE - PRATICHE INCLUSIVE La convenzione non fornisce solo un impianto concettuale per sostenere i servizi e orientare in modo nuovo le scelte politiche, ma introduce una trasformazione culturale. L’approccio alla persona con disabilità diviene una questione di rispetto dei diritti dell’uomo, mentre il focus si sposta dall’assistenza e dagli interventi sanitari alle politiche di inclusione, che concepiscono la disabilità come una condizione che ogni essere umano vive, prima o poi, nel corso della propria esistenza. Art.1: Scopo 1- Scopo della presente Convenzione è promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità. 2- Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazione fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri. Art.2: Definizioni DA VEDERE Art.3: Principi Generali - Rispetto per la dignità intrinseca e l’autonomia - Uguaglianze e Non discriminazione - Partecipazione e Inclusione sociale - Rispetto delle differenze e Accettazione - Parità di opportunità - Accessibilità - Parità tra uomini e donne - Rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità. Art.4: Obblighi generali Gli Stati Parti si impegnano: a promuovere la formazione di professionisti e personale che lavorino con persone con disabilità sui diritti riconosciuti in questa Convenzione così da meglio fornire l’assistenza e i servizi garantiti da quegli stessi diritti. Art.5: Eguaglianze e non discriminazione “Eguaglianza” significa che tutti sono uguali davanti alla legge. “Non discriminazione” significa evitare ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità. Art.6-7: riguarda “l’accumulo” di disabilità Doppia: es. donne con disabilità Tripla: es. Minori stranieri con disabilità. (Visione Unicef sulla disabilità) 1. I bambini con disabilità devono contare ed essere contati: le statistiche nazionali devono contenere dati aggiornati sulle disabilità. 2. I bambini con disabilità devono essere protetti da stigma sociale, discriminazione e altre forme di violenza. 3. I bambini, con o senza disabilità, devono studiare e giocare insieme, nelle scuole normali. 4. Le ragazze con disabilità hanno diritto a maggiori opportunità per realizzare il proprio potenziale. 5. I Governi adottino misure concrete per attuare la Convenzione sui diritti dell’infanzia e la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. 6. Il finanziamento per interventi umanitari deve tenere conto dei bisogni di bambini e adulti con disabilità e rimuovere le barriere anziché costruirne di nuove. Art.9: Accessibilità I mezzi di trasporto pubblico sono sempre REALMENTE accessibili? Il ruolo dell’IMPROVVISAZIONE nel caso di situazioni di inaccessibilità. Art.18: Libertà di movimento e cittadinanza Libertà di movimento, di scelta della propria residenza e di cittadinanza. Registrazione dei bambini con disabilità dopo la nascita. Art.19: Vita indipendente ed inclusione nella società Viene garantita la reale possibilità di scelta alle persone con disabilità? Art.24: Educazione Scuole speciali/classi speciali, presenza dell’alunno con disabilità per tutto o per parte del tempo- scuola la di fuori della classe. Vi è uno sviluppo reale delle potenzialità e delle peculiarità degli alunni con disabilità? Differenti forme di comunicazione vengono incentivate e valorizzate? Vi è una formazione adeguata del personale docente e dei dirigenti? Art.27: Lavoro Inclusione e accessibilità del mercato del lavoro per persone con disabilità. Accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro. In Italia: il ruolo del SIL (Servizio Integrazione Lavorativa). ICF: la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) è
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