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Diritto amministrativo- Riassunto completo per concorsi pubblici, Appunti di Diritto Amministrativo

Pubblica amministrazioneRegole e procedura amministrativaDiritto amministrativo italiano

Riassunto completo ed esaustivo di diritto amministrativo tratto dai manuali Edizioni Simone per la preparazione ai concorsi pubblici

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 02/07/2023

CiroLuca91
CiroLuca91 🇮🇹

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Scarica Diritto amministrativo- Riassunto completo per concorsi pubblici e più Appunti in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! DIRITTO AMMINISTRATIVO NOZIONE E FONTI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 1. Il diritto amministrativo e la pubblica amministrazione Il diritto amministrativo è la disciplina giuridica della Pubblica Amministrazione: esso, in particolare, quella branca del diritto pubblico che riguarda l'organizzazione, i mezzi e le forme dell'attività della pubblica amministrazione, nonché i rapporti tra la P.A. e gli altri soggetti dell'ordinamento, sia quando agisce con poteri autoritativi che quando usa strumenti e forme del diritto privato. Il diritto amministrativo presenta i seguenti caratteri: a) è diritto pubblico interno, in quanto deriva dalla volontà dello Stato e regola rapporti in cui uno dei soggetti è necessariamente lo Stato stesso o un ente pubblico (cioè la P.A.) nell'esercizio di potestà amministrative; b) autonomo, in quanto si avvale di propri principi e proprie regole, diversi da quelli delle altre branche del diritto; c) comune, in quanto si riferisce a tutti i soggetti che fanno parte dell'ordinamento e non soltanto a determinate categorie (ciò ha rilievo ai fini dell'interpretazione e dell'applicazione del diritto); d) ad oggetto variabile in quanto la P.A. in ogni epoca storica persegue fini differenti; e) è un diritto ultrastatale, nel senso che le norme giuridiche che vengono in rilievo individuano la loro fonte tanto nell'ordinamento nazionale quanto in atti di origine sovranazionale. La nozione di pubblica amministrazione può essere intesa sotto un duplice profilo: - in senso oggettivo, si intende l’attività volta alla cura degli interessi pubblici, attività che è posta in essere sulla base della legge, nel rispetto dei fini dalla stessa predeterminati (cd. Amministrazione-attività). L’attività in questione si distingue da quella politica: dal momento che quest’ultima è libera, salvo eventuali vincoli imposti dalla Costituzione e dal diritto comunitario e internazionale. L’attività amministrativa si distingue per essere vincolata nei fini imposti dalla legge e dagli atti generali di indirizzo. Tali limiti riguardano tanto l’attività amministrativa vincolata, quanto quella discrezionale. - in senso soggettivo, si intende per pubblica amministrazione l’insieme delle strutture create per lo svolgimento di funzioni amministrative (cd. amministrazione apparato o amministrazione-organizzazione). 2. Funzione politica e funzione amministrativa La funzione amministrativa (o funzione esecutiva) consiste nella realizzazione dei fini determinati dagli organi e dal potere politico e, dunque, deve essere svolta nel rispetto dei principi costituzionali, ma anche in armonia con le leggi ordinarie e con gli atti ad esse equiparati (decreti legge, decreti legislativi). Nell'esercizio di tale funzione i soggetti pubblici emanano gli atti amministrativi. L'individuazione e la scelta dei fini di interesse generale che lo Stato vuole perseguire in un determinato momento storico costituiscono, invece, oggetto della funzione politica, che incontra come unico limite le previsioni della Costituzione: espressione concreta della funzione politica sono gli atti politici. Alla distinzione concettuale tra funzione amministrativa e funzione politica corrisponde l'ulteriore differenza fra atti politici e atti di alta amministrazione. Gli atti politici sono quelli con cui si esercita in concreto il potere politico, ossia gli atti con cui viene esercitata l'attività di governare, in quanto atti di suprema direzione dello Stato nonché di coordinamento e di controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca. Tipici esempi di atti politici sono quelli con i quali il Presidente della Repubblica indice le elezioni e i referendum, gli atti di iniziativa legislativa, la scelta dei propri rappresentanti da parte del corpo elettorale, le sentenze della Corte Costituzionale. Peculiarità degli atti politici sono sia la libertà nel fine, sia la loro insindacabilità da parte del giudice amministrativo. Gli atti di alta amministrazione, invece, sono quegli atti amministrativi che collegano la funzione politica e la funzione amministrativa; costituiscono, quindi, uno stimolo per adottare atti amministrativi, funzionali all'attuazione dei fini della legge (si pensi, ad es., alle decisioni dei Comitati interministeriali, o alle deliberazioni di nomina e revoca dei più alti funzionari dello Stato). Trattandosi di atti amministrativi, essi sono in tutto e per tutto soggetti al loro regime giuridico e non possono ritenersi liberi nei fini, come, invece, gli atti politici, ma sono vincolati ai fini e alla funzione loro assegnati dalla legge; inoltre, sono sempre sottoposti al vaglio del giudice amministrativo, in quanto in grado di ledere direttamente gli interessi dei destinatari. 3. Le fonti specifiche del diritto amministrativo: le fonti secondarie Le fonti secondarie sono atti o fatti normativi subordinati alle norme di grado primario e, pertanto: - non possono derogare né contrastare con le norme costituzionali; - non possono derogare né contrastare con tutti gli atti legislativi ordinari (fonti primarie); perciò si dice che non hanno forza né valore di legge, ma solo forza normativa: cioè, non possono equipararsi alle leggi ma, nei limiti di esse, hanno una loro forza giuridica quali fonti di diritto; - possono modificare le leggi ordinarie solo se una legge ordinaria abbia delegificato una materia, autorizzando atti del potere esecutivo (di solito regolamenti) a disporre norme, in quella materia, che hanno la stessa forza di quelle emanate con la legge. Si tratta di atti soggettivamente amministrativi che, rappresentando lo strumento normativo tipico per orientare l'azione della P.A., costituiscono le fonti specifiche del diritto amministrativo. 1 4. I regolamenti I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, poiché emanati da organi del potere esecutivo (cioè Governo, enti locali territoriali, enti autarchici, ed in certi casi anche da organi della P.A.), ma sostanzialmente normativi, in quanto idonei ad innovare l'ordinamento giuridico, con prescrizioni generali ed astratte. Il fondamento della potestà regolamentare è riposto nella legge: gli organi amministrativi possono emanare regolamenti solo quando una legge attribuisca loro tale potere. Principale norma attributiva del potere regolamentare è l'art. 17, L. n. 400/1988, che disciplina l'adozione dei regolamenti governativi e ministeriali. I regolamenti non possono: - derogare o contrastare con la Costituzione, né con i principi in essa contenuti; - derogare né contrastare con le leggi ordinarie, salvo che sia una legge ad attribuire loro il potere, in un determinato settore e per un determinato caso, di innovare anche nell'ordine legislativo (delegificando la materia); - regolamentare le materie riservate dalla Costituzione alla legge ordinaria o costituzionale (riserva assoluta di legge); - derogare al principio di irretroattività della legge; - contenere sanzioni penali, per il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.); - i regolamenti emanati da autorità inferiori non possono mai contrastare con i regolamenti emanati da autorità gerarchicamente superiori; - regolamentare istituti fondamentali dell'ordinamento. Classificazione 1)A seconda dei soggetti pubblici che li emanano, i regolamenti si distinguono in:  Regolamenti statali, se vengono emanati da organi dello Stato; essi, a loro volta, si distinguono in:  governativi, se deliberati dal Governo ai sensi della L. 400/1988;  ministeriali, se emanati da singoli componenti del Governo o dal suo Presidente;  non governativi, se emanati da autorità amministrative inferiori (Prefetto, comandante di porto ecc.). Tali regolamenti hanno portata settoriale e la loro efficacia è limitata al territorio nella cui sfera ha competenza l'autorità che li ha emanati;  regolamenti non statali, se vengono emanati dagli enti territoriali, quali Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane. Possono anche essere emanati da altri enti od organi, quali ordini e collegi professionali, Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. La potestà regolamentare è attribuita anche alle Autorità amministrative indipendenti, che sono enti od organi pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal Governo e caratterizzati da autonomia organizzativa, finanziaria e contabile. 2) A seconda che siano destinati ad operare nell'ordinamento generale o in ambito ristretto, i regolamenti si distinguono in:  regolamenti esterni: sono espressione del potere di supremazia di cui l'esecutivo dispone verso tutti i cittadini e chiunque altro si trovi nel territorio dello Stato. Sono fonti del diritto e la loro violazione costituisce violazione di legge;  regolamenti interni: regolano l'organizzazione interna di un organo o di un ente, obbligando solo coloro che fanno parte dell'ufficio, organo od ente. Sono espressioni del potere di autorganizzazione dell'ente o dell'organo stesso, perciò non sono fonti del diritto e la loro violazione non costituisce vizio dell'atto emanato dall'organo o ente, salvo casi eccezionali. 3) A seconda del contenuto, i regolamenti si distinguono in (art. 17 L. 400/1988):  regolamenti di esecuzione (art.17, co. 1, lettera a), adottati per l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari;  regolamenti di attuazione e di integrazione (art. 17, co. 1, lettera b), adottati per l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti nome di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale;  regolamenti indipendenti: la lettera c), co. 1 dell'art. 17 della L. 400/1988 autorizza il Governo a disciplinare materie in cui manchi l'intervento di norme primarie, purché non si tratti di materie soggette a riserva assoluta o relativa di legge;  regolamenti di organizzazione (art. 17, co. 1, lett. d), che disciplinano l'organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni secondo disposizioni dettate dalla legge, cui l'art. 97 Cost. riserva la disciplina di queste materie;  Regolamenti delegati o autorizzati, dispongono l'abrogazione della normativa vigente con l'entrata in vigore del regolamento (delegificazione). Tale procedimento di delegificazione non è ammesso nelle materie coperte da riserva assoluta di legge;  Regolamenti di riordino, periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti e ricognizione di quelle che sono state abrogate o risultano obsolete. I regolamenti sono atti formalmente amministrativi e come tali possono essere impugnati innanzi al T.A.R. (tribunale amministrativo regionale), ma in concreto non ledono in via immediata la sfera giuridica di un soggetto e quindi di solito non sussiste un concreto interesse a ricorrere da parte del privato. Per cui chi solitamente ha interesse all’eliminazione di un regolamento o di una norma in esso contenuta, non può impugnare il regolamento, ma l’atto emanato dalla P.A. in esecuzione del regolamento, di fatto congiuntamente impugna anche il regolamento (doppia impugnativa). Le ordinanze Sono tutti quegli atti che creano obblighi o divieti, e impongono ordini. Per essere fonti del diritto devono avere carattere normativo. Esse non possono contrastare la Costituzione e le leggi ordinarie, inoltre non possono mai contenere norme penali. Si classificano in:  Ordinanze previste dalla legge per casi ordinari.  Ordinanze previste dalla legge per casi eccezionali di particolare gravità.  Ordinanze di necessità o libere emanate per far fronte a situazioni di urgente necessità. 2 Nell’ambito della categoria degli interessi legittimi, in base al tipo di interesse materiale protetto, si distingue tra:  Interessi legittimi pretensivi, il privato pretende che l’amministrazione adotti un determinato provvedimento o comportamento.  Interessi legittimi oppositivi, legittimano il privato ad opporsi all’adozione di atti e comportamenti della P.A. Una diversa dottrina seguita dalla giurisprudenza distingue tra:  interesse sostanziale: considera il momento in cui l'interesse del privato viene a confronto con il potere della P.A.;  interesse procedimentale: è l'interesse del privato che emerge nel corso di un procedimento amministrativo. Interesse procedimentale e sostanziale rappresentano due aspetti dell'interesse legittimo, in quanto il primo è strumentale alla tutela degli interessi sostanziali, rappresentandone la proiezione in giudizio. Vanno, poi, menzionati gli interessi discrezionalmente protetti non a livello di ordinamento generale, bensì al livello di ordinamento particolare dell'amministrazione. Questi interessi non sono tutelabili davanti al giudice, ma esclusivamente davanti all'amministrazione (ad es., tramite i ricorsi amministrativi). Tra essi è possibile inserire quelli relativi al merito dell'azione amministrativa, cioè al merito della scelta operata dall'amministrazione. Scelta che, di regola, non è direttamente sindacabile o sostituibile dal giudice, ma che può trovare riesame nell'ambito dell'amministrazione e con una revisione della scelta da parte della stessa autorità o di altra in genere gerarchicamente sopraordinata. La risarcibilità degli interessi legittimi La Cassazione, a Sezioni Unite, con la storica sentenza 22/7/1999, n. 500, ha riconsiderato la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 c.c., che identificava il danno ingiusto con la lesione di un diritto soggettivo e ha ammesso che la tutela risarcitoria deve essere assicurata in relazione alla ingiustizia del danno che può verificarsi sia nei confronti di un diritto soggettivo, sia di un interesse legittimo. La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo di altro interesse giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della responsabilità di cui all'art. 2043 c.c. (responsabilità aquiliana) ai fini della qualificazione del danno come ingiusto. La definitiva legittimazione del diritto al risarcimento del danno per la lesione di un interesse legittimo è avvenuta ad opera della L. 205/2000 il cui art. 7, riscrivendo il terzo comma dell'art. 7 L. 1034/1971, disponeva che il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. Con tale previsione, il legislatore riconosceva una generale competenza del G.A. in materia di risarcimento del danno, sia nell'ambito della giurisdizione esclusiva che in quella generale di legittimità. La risarcibilità dell'interesse legittimo costituisce oggi oggetto di trattazione da parte dell'art. 30 del Codice del processo amministrativo (dal D.Lgs. 104/2010) che disciplina specificamente, nell'ambito dell'azione di condanna, l'azione esperibile contro la P.A. per danni da illegittimo esercizio dell'azione amministrativa (quindi a tutela di interessi legittimi), nonché nei casi di giurisdizione esclusiva, per danni da lesione di diritti soggettivi. 4. Gli interessi semplici e gli interessi di fatto Gli interessi semplici, detti anche amministrativamente protetti, sono quelli vantati dal cittadino nei confronti della P.A. affinché questa, nell'esercizio del suo potere discrezionale, si attenga alle regole di buona amministrazione, di opportunità e convenienza (cd. merito amministrativo). Essi sono tutelabili solo amministrativamente attraverso lo strumento del ricorso gerarchico, salvo i casi tassativamente indicati dalla legge in cui il privato può adire il G.A. per vizi di merito. Gli interessi di fatto, invece, possono essere definiti come quelle situazioni giuridiche soggettive non protette, cui, cioè, l'ordinamento non accorda alcuna tutela. Tipici interessi di fatto sono quelli vantati da tutti all'osservanza da parte dell'amministrazione dei doveri pubblici posti a vantaggio della collettività indifferenziata (ad es., illuminazione, manutenzione delle strade). Sono interessi, dunque, che, essendo privi del carattere della differenziazione, tipico dell'interesse legittimo, non ricevono alcun tipo di tutela. 5. Gli interessi collettivi e gli interessi diffusi Le situazioni giuridiche soggettive sono soggette ad assumere anche una «dimensione superindividuale». Da questo punto di vista si parla di: - interessi diffusi (o adespoti), che sono quelli comuni a tutti gli individui di una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente; - interessi collettivi (o di categoria), che sono, invece, quelli che hanno come portatore un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (ad es., ordini professionali, associazioni private riconosciute, associazioni di fatto), ma autonomamente individuabile. L'interesse collettivo, a sua volta, si presenta come: - differenziato, in quanto fa capo ad un soggetto individuato e cioè ad una organizzazione di tipo associativo che si distingue tanto dalla collettività che dai singoli partecipanti; da ciò consegue che la lesione dell'interesse collettivo legittima al ricorso solo l'organizzazione e non i singoli che di essa fanno parte; - qualificato: nel senso che è previsto e considerato sia pure indirettamente, dal diritto oggettivo. Dottrina e giurisprudenza sono pervenute al riconoscimento della tutelabilità giurisdizionale degli interessi diffusi, purché siano imputabili a gruppi sociali determinati. 6. Le azioni collettive (class action) Il Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005) fornisce un nuovo modello di tutela degli interessi collettivi dinanzi al G.O. Si tratta della class action, ossia un'azione collettiva promossa, a tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori e degli interessi collettivi, da uno o più soggetti che richiedono il risarcimento del danno non solo a loro nome, ma per tutta la «classe», ossia per tutti coloro che hanno subito il medesimo illecito (art. 140-bis). Attraverso la class action sono tutelabili: 5 a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che si trovano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli artt. 1341 e 1342 del codice civile; b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. In materia di azioni collettive, occorre ricordare che ve ne è una specificamente diretta contro la P.A., prevista dal D.Lgs. 20 dicembre 2009, n. 198. Gli utenti dei servizi pubblici possono infatti agire nei confronti della P.A. e dei concessionari, per la violazione degli standard qualitativi ed economici degli obblighi contenuti nelle carte dei servizi, ovvero per l'omesso esercizio dei poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori, ovvero ancora per la mancata emanazione degli atti amministrativi nei termini previsti (art. 1). Lo scopo di tale azione è quello di garantire il corretto svolgimento della funzione amministrativa o la corretta erogazione dei servizi, affidando la supervisione ed il controllo dei parametri di efficienza, efficacia ed economicità ai singoli utenti, ovvero alle associazioni rappresentative dei loro interessi. La più importante differenza tra l'azione contro la P.A. e quella civilistica ex art. 140 bis del Codice del consumo è data dalla impossibilità, con la prima, di avanzare pretese risarcitorie, essendo lo strumento volto esclusivamente ad ottenere il ripristino del «corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio». In caso di accoglimento della domanda, il G.A. infatti ordina all'amministrazione di adempiere entro un congruo termine, nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (art. 4 D.Lgs. 198/2009). L’AMMINISTRAZIONE STATALE Gli artt. 95, terzo comma, e 97, secondo comma della Costituzione statuiscono, rispettivamente che «la legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei Ministeri», e che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione». L'opinione generalmente diffusa è quella del carattere relativo di entrambe le riserve di legge, con il conseguenze residuare, in materia, di ambiti di esplicazione del potere regolamentare da parte dell'esecutivo. 2. L'organizzazione amministrativa statale L'organizzazione amministrativa dello Stato si struttura:  organizzazione diretta, quando la struttura operativa appartiene direttamente allo Stato e può essere formata sia da organi centrali (ad es., un ministero) sia da organi periferici che operano in determinate parti del territorio nazionale realizzando così il decentramento burocratico (ad es., la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo);  organizzazione indiretta, che si può suddividere in: - enti pubblici istituzionali, quando la struttura operativa è costituita da enti che, pur perseguendo scopi generali e propri dello Stato, sono distinti dalle strutture statali e godono di un certo grado di autonomia (ad es., le Camere di commercio); - enti territoriali, quando le attività di carattere amministrativo sono svolte da enti che esprimono gli interessi di una determinata collettività stanziata su una porzione del territorio nazionale (Regione, Provincia, Comune ecc.), operando il decentramento autarchico (rispettivamente istituzionale e locale). 3. L'apparato amministrativo centrale. Il Governo e l'organizzazione per Ministeri Il Governo è uno degli organi costituzionali del nostro ordinamento, che partecipa alla funzione di direzione politica dello Stato e che esprime la volontà delle forze politiche di maggioranza che lo sostengono con la fiducia. L'art. 92 Cost. individua gli organi necessari di cui si compone il Governo della Repubblica: Presidente del Consiglio, Ministri, Consiglio dei Ministri. Al di fuori di questi, gli artt. 6-11 della L. 400/1988 prevedono altri organi non necessari: Consiglio di Gabinetto, Comitati di Ministri e Comitati interministeriali, vicepresidenti del Consiglio, Ministri senza portafoglio, Sottosegretari di Stato e Commissari straordinari del Governo. Il Ministero, in particolare, è la ripartizione fondamentale dell'amministrazione centrale italiana. Ogni Ministero, infatti, è competente per un ramo di attività amministrativa e per determinate materie ed affari spettanti allo Stato. Il D.Lgs. 300/1999 costituisce la fonte di disciplina delle strutture ministeriali. Questo, in sintesi, l'assetto organizzativo: - nei Ministeri costituiscono strutture di primo livello, alternativamente, i dipartimenti o le direzioni generali; - ad ogni dipartimento sono attribuiti compiti finali concernenti grandi aree di materie omogenee e i relativi compiti strumentali; - ogni dipartimento è articolato in uffici dirigenziali generali; - al di fuori dei dipartimenti possono esistere soltanto gli uffici di staff con funzioni di assistenza diretta all'attività di indirizzo politico e di controllo di competenza del Ministro (gli attuali uffici di gabinetto). A capo di tali uffici può essere posto anche un dirigente estraneo all'amministrazione; - nei Ministeri non organizzati in dipartimenti, le strutture di primo livello sono rappresentate dalle direzioni generali, le quali possono far capo ad un Segretario generale, organo di vertice burocratico, che opera alle dirette dipendenze del Ministro, che ha la funzione di collegamento fra il Ministro e la struttura amministrativa sottostante e di coordinamento dell'azione amministrativa. 4. Le Agenzie e le Aziende autonome Il D.Lgs. 300/1999 ha generalizzato l’istituzione dell’Agenzia pubblica. Le Agenzie pubbliche sono il «braccio operativo» dei ministeri per le attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale. 6 Le Agenzie sono vigilate e controllate dai Ministeri competenti, ma godono di piena autonomia operativa e di bilancio nell'ambito degli indirizzi politici generali e degli obiettivi concreti, assegnati loro dai Ministri e formalizzati in apposite «convenzioni» stipulate con i rispettivi direttori generali. Alcune Agenzie hanno personalità giuridica ed agiscono, pertanto, jure proprio, altre agiscono come organi delle amministrazioni di riferimento. Tutte, in ogni caso, svolgono funzioni operative di tipo strumentale all'amministrazione statale. La posizione di separatezza delle Agenzie è giustificata esclusivamente dalla natura tecnica delle funzioni svolte e non, come invece per le amministrazioni indipendenti, da funzioni tutorie e di garanzia che presuppongono una posizione super partes. La natura di organismi tecnici e separati dalla struttura ministeriale va posta, infine, in relazione con la possibilità, riconosciuta alle Agenzie, di fornire i propri servizi anche a privati, ad enti locali ed alle Regioni (previa convenzione e pagamento dei servizi resi, salvo eccezioni). Tra le Agenzie presenti nel nostro ordinamento si menzionano, tra le altre: le Agenzie fiscali (Agenzia delle Entrate, Agenzia del Demanio, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, l'Agenzia delle entrate-Riscossione); l'Agenzia italiana del farmaco; l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni; l'Agenzia nazionale per i giovani; l'Agenzia per l'Italia digitale; l'Agenzia per la coesione territoriale. Le Aziende autonome sono, invece, organismi atipici, privi, di solito, di personalità giuridica (e quindi non titolare di patrimonio proprio) ma dotati di una propria distinta organizzazione amministrativa, pur facendo parte dell'amministrazione statale. Esse godono di autonomia amministrativa, contabile (il loro bilancio è distinto da quello statale ma allegato allo stesso) e finanziaria, ma sono soggette a controllo politico da parte del Parlamento, gerarchico da parte del Ministro competente e successivo da parte della Corte dei Conti. Il bilancio e il rendiconto dell'azienda sono allegati al bilancio dello Stato. 5. Organi consultivi Dell’amministrazione centrale fanno parte alcuni organi che svolgono prevalentemente funzioni consultive. Il Consiglio di Stato Il consiglio di stato è l’organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione (art.100). La sua funzione consultiva è svolta dalle apposite Sezioni, secondo le disposizioni interne impartite dal suo presidente. Il consiglio dà pareri in materia giuridico-amministrativa, cioè valuta l’attività degli organi amministrativi, sia per merito che per legittimità, e riferisce all’amministrazione richiedente la sua opinione. I pareri possono essere facoltativi od obbligatori; i secondi a loro volta possono obbligare ad agire o meno la P.A. e si dicono perciò vincolanti o non vincolanti. L’Avvocatura dello Stato L’avvocatura dello stato è organo a competenza generale a cui sono affidate rappresentanza e difesa in giudizio di tutte le amministrazioni dello stato, davanti ad ogni tipo di giurisdizione, anche a quella internazionale. Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) è un organo di rilievo costituzionale con funzione consultiva rispetto al Governo, alle Camere e alle Regioni. Le materie di sua competenza sono la legislazione economica e sociale, nell'ambito delle quali ha diritto all'iniziativa legislativa. Dunque svolge la funzione di attività consultiva, informativa e conoscitiva, di iniziativa legislativa, e partecipa anche all’elaborazione della legislazione economica e sociale. 6. Organi di controllo: La Corte dei Conti Gli organi di controllo mirano ad assicurare, nell’interesse pubblico, che gli organi di amministrazione attiva agiscano in modo conforme alla legge e secondo le effettive esigenze dello stato. La corte dei conti, in particolare, costituisce organo della giustizia amministrativa con giurisdizione sulle questioni inerenti alla contabilità pubblica e su quelle espresse dalla legge. È inoltre istituzione superiore di controllo. 7. L’organizzazione periferica dello Stato L’amministrazione dello stato, oltre ad essere articolata in Ministeri ed Agenzie, si avvale anche di enti pubblici strumentali e di diversi uffici amministrativi distribuiti sul territorio nazionale; questi hanno competenza territoriale limitata e costituiscono l’amministrazione periferica dello stato a competenza generale (prefetture). Vi sono anche organi a competenze speciali, che svolgono specifiche funzioni statali (sindaco). GLI ENTI PUBBLICI 1. Il pluralismo della P.A. Nel nostro ordinamento la funzione amministrativa è svolta da una pluralità di soggetti, ciascuno dei quali ha una competenza specifica, che, proprio in quanto affidatari di un interesse pubblico, sono riconducibili alla nozione di Pubblica Amministrazione (cd. pluralismo della P.A.). La pubblica amministrazione, pertanto, è formata da tutti gli organi dello Stato e degli enti pubblici territoriali e non territoriali, ai quali sono affidate le funzioni di realizzazione degli interessi pubblici. Tale attività di concretizzazione dei fini pubblici, individuati dal potere politico (e fissati dal legislatore, che le affida alla cura di una specifica amministrazione), deve, a sua volta, svolgersi in modo tale da garantire che la soddisfazione degli interessi oggetto delle scelte politiche fatte si realizzi con il minor sacrificio possibile di altri interessi. I titolari della funzione amministrativa sono lo Stato- amministrazione che realizza la cd. amministrazione diretta agendo attraverso proprio organi, e gli enti pubblici autarchici che realizzano in tal modo la cd. amministrazione indiretta. 7 presidenza. Tale figura si riscontra in genere negli uffici collegiali. Essa ricorre quando ad uno dei componenti di un ufficio complesso viene riconosciuta una funzione di predisposizione, propulsione, coordinazione, guida e disciplina dei lavori dell'ufficio. Non è dunque una relazione fra organi, ma una relazione tra più soggetti di uno stesso organo. 10. La competenza La competenza di un organo indica il complesso di poteri e di funzioni che esso può, per legge, esercitare per perseguire fini di pubblico interesse. Essa ha, pertanto, anche una funzione delimitativa poiché individua il «quantum», ossia la misura delle attribuzioni di spettanza dell'organo. Nel diritto amministrativo il principio della competenza trova legittimazione nell'art. 97 Cost. il quale, con l'affermare al primo comma che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione e col ribadire al secondo comma che nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, fa comprendere che: - la competenza deve essere determinata sempre per legge; - il principio di competenza trova il suo fondamento nel principio di buona amministrazione, in quanto mira a realizzare i criteri della efficienza e della specializzazione anche nel campo dell'attività amministrativa. Tradizionalmente la competenza viene distinta in tre categorie:  competenza per materia: comporta la ripartizione delle varie attribuzioni in base ai singoli compiti, per cui vengono a formarsi vari settori all'interno della P.A., caratterizzato ciascuno da un compito particolare. La maggiore e più importante ripartizione della competenza per materia è fatta con l'attribuzione dei compiti ai vari Ministeri, ciascuno dei quali si trova a capo di un ramo particolare dell'amministrazione;  competenza per territorio: tale ripartizione presuppone identità di competenza per materia e comporta, all'interno di uno stesso ramo dell'amministrazione, la ripartizione delle attribuzioni con riferimento all'ambito territoriale di un dato organo;  competenza per grado: essa presuppone identità di competenza per materia e per territorio e si pone nell'ambito di uno stesso ramo dell'amministrazione. A seguito delle competenze attribuite per grado viene, in pratica, a formarsi una piramide che ha il suo vertice nel Ministro e giunge agli organi periferici che ne costituiscono la base. A queste si aggiunge la competenza per valore determinata con riguardo all'entità economica dell'oggetto, per cui, nell'ambito di una medesima struttura organizzativa e con riferimento alla stessa funzione, la competenza di un organo è determinata dal valore economico legato al provvedimento da adottare. Trasferimento dell'esercizio della competenza La competenza amministrativa è retta dal principio di inderogabilità, in quanto le sfere di attribuzione e le competenze sono rimesse alla volontà del legislatore (ex art. 97 Cost.). Tuttavia esistono determinati istituti mediante i quali, con provvedimenti amministrativi, nei casi previsti dalla legge, pur non operandosi un trasferimento della titolarità della competenza, si determina lo spostamento dell'esercizio di essa (diversamente, l'atto sarebbe viziato, ed inesistente o annullabile a seconda della gravità dell'incompetenza). Tali istituti giuridici sono:  l’avocazione, da parte dell'organo gerarchicamente superiore, della questione di cui è competente l'organo inferiore. Il potere di avocazione esiste solo in presenza di un rapporto di gerarchia e non può mai essere esercitato quando l'atto è rimesso dalla legge alla competenza esclusiva dell'organo inferiore;  la delega del potere, da parte dell'organo titolare di esso, ad altro organo amministrativo. La delega di poteri (o delegazione) comporta, quindi, il trasferimento dell'esercizio del potere da un organo ad un altro o da un soggetto ad un altro soggetto. Pertanto: - è ammissibile solo nel caso in cui sia espressamente prevista dalla legge, importando una deroga alla competenza coperta da riserva di legge; - deve essere sempre conferita per iscritto, comportando appunto una deroga alla competenza. Quanto gli effetti, la delega trasferisce dal delegante al delegato non certo la titolarità del potere bensì soltanto l'esercizio di esso, mentre titolare ne resta il delegante. Per effetto della delega, quindi, il delegato viene a trovarsi, rispetto all'esercizio del potere, nella stessa posizione del delegante. Per quanto riguarda il regime giuridico degli atti compiuti dal delegato nell'esercizio del potere conferitogli dal delegante è, in linea di massima, quello proprio degli atti del delegato stesso. Quanto al delegante, per effetto della delega egli acquista, nei confronti del delegato: - il potere di imporgli direttive relativamente agli atti da compiere nell'esercizio della delega; - il potere di sostituzione in caso di inerzia del delegato nell'esercizio del potere delegato; - il potere di annullamento, in sede di autotutela, degli atti illegittimi eventualmente posti in essere nell'esercizio della delega; - il potere di revoca della delega. Riguardo ai tipi di delega, si distingue tra:  delega interorganica, che si ha quando lo spostamento di competenza avviene da un organo ad un altro organo della stessa struttura amministrativa;  delega intersoggettiva, che si ha quando lo spostamento di competenza avviene tra soggetti diversi.  La sostituzione, quando in caso di inerzia di un organo gerarchicamente inferiore, l'organo superiore si sostituisce ad esso nel compiere un atto vincolato. Affinché, dunque, possa esserci una sostituzione occorre che: vi sia una previsione di legge; ₋ esista un rapporto di gerarchia tra il sostituto (superiore) ed il sostituito (inferiore);₋ l'organo inferiore abbia ingiustificatamente omesso di provvedere alla emanazione di un provvedimento; ₋ il provvedimento da emettere sia un atto vincolato nell'emanazione; ₋ l'inferiore sia rimasto inerte anche dopo la formale diffida ad adempiere fattagli dal superiore. ₋ 10 Verificatisi tali presupposti, il superiore si sostituisce, direttamente o tramite «commissario ad acta» all'inferiore nell'emanazione dell'atto. Il funzionario di fatto L’espressione funzionario di fatto viene utilizzata con riferimento a quelle ipotesi in cui l’atto di investitura del titolare dell’organo sia viziata o manchi del tutto. Affinché ciò si verifichi è necessaria la presenza contemporanea di 3 presupposti: a) il titolare dell'organo competente ad emanare l'atto manca o è impossibilitato a farlo; b) deve esserci l'effettività di potere: ossia si constata un riconoscimento che la collettività dà a colui che agisce; c) necessità e inderogabilità dell'esercizio delle funzioni. In questo caso l'assunzione dell'atto, anche da chi non abbia un vero e proprio rapporto organico con l'amministrazione, non crea ostacoli alla creazione di veri e propri atti giuridici. La mancanza del preposto all'organo non dipende necessariamente da elementi casuali, può dipendere anche dall'attività del funzionario di fatto che ha impedito al titolare dell'organo di esercitare le proprie funzioni: fenomeno della usurpazione di funzioni pubbliche. 11.Gli enti pubblici economici (E.P.E.) Sono denominai enti pubblici economici quegli enti che operano nel campo della produzione e dello scambio di beni e servizi svolgendo attività prevalentemente o esclusivamente economiche. L’ente pubblico economico deve perciò tendenzialmente mirare alla copertura dei propri costi di produzione e gestione attraverso le tariffe delle prestazioni erogate. Quanto al regime giuridico degli E.P.E., occorre rilevare che:  sono soggetti all’iscrizione nel registro delle imprese;  non sono assoggettabili al fallimento;  a seconda dell'oggetto sociale dell'impresa stipulano con l'utenza contratti disciplinati dal codice civile;  operano in regime di concorrenza con gli altri imprenditori privati. Nel quadro di un generale programma di privatizzazione di vasti settori della pubblica economia, si è disposto con L. 29-1-1992. n. 35 che gli enti pubblici economici possono essere trasformati in società per azioni (S.p.A.) conformemente agli indirizzi di politica economica ed industriale e nel rispetto del criteri di economicità ed efficienza deliberati dai CIPE, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con i Ministri di volta in volte competenti. Una decisiva accelerazione al processo di privatizzazione è stata impressa, inoltre, dalla legge 14 novembre 1995, n. 481 la quale ha istituito le authorities per i servizi pubblici, cosi ponendo le premesse per la privatizzazione e la concorrenza nei grandi monopoli pubblici come l'elettricità, il gas e le telecomunicazioni in genere. Il processo di privatizzazione è stato anche influenzato dall'Unione europea, la quale impone il divieto di discriminazione tra gli operatori economici e tende a ridurre gli ambiti nei quali i soggetti pubblici agiscono in posizione di monopolio o comunque dispongono di particolari privilegi: ciò determina la limitazione dell'area del diritto derogatorio a vantaggio delle regole comuni applicabili al soggetti che gestiscono attività di impresa. 12.Gli enti pubblici in forma societaria Un fenomeno molto presente nel nostro ordinamento è rappresentato dall'utilizzo, da parte di soggetti pubblici, di strutture societarie, dagli stessi partecipate, per l'esercizio di attività pubblicistiche: le cd. società per azioni a carattere pubblicistico. Tale modalità di azione è stata, però, di recente rivista dal legislatore per l'affermarsi a livello europeo della tendenza a ridurre i legami tra potere politico e potere economico e a regolamentare i casi in cui l'ente pubblico si avvale di strutture societarie a cui partecipa per porre in essere attività di carattere pubblicistico. In tale prospettiva è stato emanato il D.Lgs. 175/2016, cd. Testo Unico sulle società partecipate, come mod. dal D.Lgs. 100/20017 e dalla L145/2018, legge di bilancio 2019. II D.Lgs. 175/2016 ha ad oggetto la costituzione di società da parte di amministrazioni pubbliche, nonché l'acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in società a totale o parziale partecipazione pubblica, diretta o indiretta. Preliminare all'esame del contenuto del D.Lgs. 175/2016 è la distinzione generale tra società controllate e società partecipate; mentre la controllata è una società nella quale l'ente pubblico detiene la maggioranza assoluta delle quote societarie, la partecipata è una società in cui una quota di capitale sociale è di proprietà di un ente pubblico. Regola generale è che, salvo eccezioni,sia le controllate che le partecipate sono assoggettate al regime proprio delle società disciplinate dal codice civile e dalle norme generali del diritto privato (art. 1, comma 3, D.Lgs. 175/2016). Secondo la disciplina del Testo Unico, le amministrazioni possono far parte esclusivamente di società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa (art. 3). Per quanto concerne le attività consentite, il legislatore pone il divieto per le PP.AA. di costituire, direttamente o indirettamente, società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società (art. 4, comma 1). Ciò vuoi dire, in sostanza, che le amministrazioni possono costituire o partecipare a società, ma solo se correlate e finalizzate a scopi di interesse pubblico: In questa ricostruzione normativa, il comma 2 dell'art. 4 del Testo Unico individua specificamente i casi in cui le amministrazioni possono costituire società o parteciparvi, mentre, i successivi commi specificano le attività che sono consentite alle amministrazioni. 13.I soggetti pubblici di matrice europea 11 Rientrano nella definizione di pubblica amministrazione indiretta anche le persone giuridiche pubbliche che, seppur nate nell’ordinamento dell’Unione europea, sono entrate a far parte del nostro assetto giuridico come soggetti pubblici. L’organismo di diritto pubblico La figura dell’organismo di diritto pubblico ha trovato la sua prima collocazione nella direttiva 89/440/CEE, con riferimento a tutti i soggetti, indipendentemente dalla loro natura giuridica, che presentino caratteristiche tali che, da un punto di vista sostanziale, giustificano l’applicazione della disciplina sul’evidenza pubblica. Il codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 18 aprile 2016, n.50, uniformandosi alla disciplina europea, da un lato inserisce l’organismo di diritto pubblico tra le amministrazioni aggiudicatrici, dall’altro definisce tale figura come qualsiasi organismo, anche in forma societaria, istituito per soddisfare specificatamente esigenze di carattere generale, aventi carattere non industriale o commerciale, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o dagli altri organismi di diritto pubblico, dotato di personalità giuridica (art. 3 D.Lgs. 50/2016). Gli elementi strutturali dell'organismo in diritto pubblico, dunque, sono tre e devono ricorrere cumulativamente: - il possesso della personalità giuridica; - il fine perseguito, consistente nel soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale; - la sottoposizione ad un'influenza pubblica. L'impresa pubblica Il D.Lgs. 50/2016, Codice dei contratti pubblici, definisce come «pubbliche» quelle imprese sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici, e, quindi, i poteri pubblici, possono esercitare un’influenza dominante, o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria oppure in virtù delle norme che disciplinano dette imprese. L'influenza dominante, in particolare, si presume nel caso di: - detenzione della maggioranza del capitale dell'impresa; - controllo della maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall'impresa; - diritto di nominare più della metà dei componenti degli organi di amministrazione o di vigilanza. 14. L'esercizio privato di pubbliche funzioni Vi sono dei casi in cui un'attività amministrativa diritto pubblico (e, quindi, una potestà pubblica) è esercitata in nome proprio da soggetti privati estranei all'amministrazione: ciò si definisce esercizio privato di pubbliche funzioni. Con tale espressione si intende qualunque tipo di attività, dalla quale derivi l'attuazione di fini pubblici, esercitata da privati, ossia da persone fisiche che non si configurino come organi di enti statali né facciano parte di enti pubblici, ma che siano titolari di una qualche potestà. L'esercizio privato delle pubbliche funzioni non rappresenta una terza specie di amministrazione, dopo quella statale e quella degli enti autarchici: si tratta, invece, di un mezzo particolare e diverso da quelli fin qui considerati di cui si avvalgono, per perseguire i fini pubblici, tanto lo Stato che gli stessi enti. Il soggetto privato che esercita la pubblica funzione deve essere titolato al detto esercizio. Ciò può avvenire, ad esempio, o a causa della titolarità di un particolare ufficio (ad es., comandanti di navi) oppure in esecuzione di una specifica attività professionale (notai). Gli atti compiuti da tali persone, non essendo soggettivamente atti amministrativi, sono sottratti alle regole proprie di questi ultimi compresa l'impugnativa in sede giurisdizionale. Dei danni prodotti ai terzi nell'esercizio della funzione o del servizio, risponde sempre e soltanto il privato, mentre per i danni provocati dagli organi della P.A. questa è tenuta solidalmente con l'autore del danno verso i terzi. Sul soggetto che svolge pubbliche funzioni vige il controllo da parte delle autorità statali. I contratti stipulati dai concessionari di pubblici servizi sono soggetti alle procedure dell'evidenza pubblica. LE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI Le autorità amministrative indipendenti (authorities) sono enti od organismi pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal potere esecutivo e caratterizzate da una autonomia organizzativa, finanziaria e contabile e da una mancanza di controlli dal potere politico. Esse, sostanzialmente, si occupano della regolamentazione e della tutela degli interessi collettivi in ambiti della vita sociale nei quali il bilanciamento degli interessi si presenti delicato. Nel nostro ordinamento manca, in realtà, una nozione generale di Autorità amministrativa indipendente: che si adatti a tutte le tipologie presenti. Si tratta, infatti, di un modello di amministrazione pubblica molto particolare, nato sulla scorta dell'appartenenza dell'Italia all'unione europea, quindi sull'esempio di altri Paesi, che si sono dotati di tali peculiari organismi ed enti per «sottrarre» ai poteri degli esecutivi una serie di settori sensibili in cui era più alto il rischio di conflitto di interessi. Le caratteristiche più n meno comuni alle diverse Autorità, alla luce di quanto detto sono:  l'indipendenza dall'esecutivo;  l'elevata competenza tecnica dei componenti;  la funzione tutoria di settori «sensibili», coinvolgenti interessi di rilevanza costituzionale;  la posizione di neutralità e di imparzialità rispetto agli interessi in gioco. La connotazione principale delle authorities è, senza dubbio, l'indipendenza dal potere politico. La regolazione del mercato e l'assunzione di decisioni che investano tutti i soggetti interessati allo stesso richiedono una libertà di azione che può essere garantita solo dalla mancanza di subordinazione rispetto al potere politico, in primis il Governo: le autorità, infatti, devono poter agire in una posizione di equidistanza rispetto a tutti gli interessi in gioco, siano essi pubblici che privati. A tal fine, la roccaforte dell'indipendenza è rappresentata dall'elevata conoscenza del settore e dall'assunzione di decisioni «tecniche», uniche vere garanzie per un'azione regolatoria libera da condizionamenti. 12  il principio di proporzionalità: vieta alle pubbliche autorità di imporre obblighi e restrizioni alla libertà degli interessati in misura diversa da quella necessaria per raggiungere lo scopo cui è preposta l'autorità responsabile;  il principio del giusto procedimento: si esprime nel diritto degli interessati ad essere ascoltati nel corso del procedimento amministrativo;  Principio di buona amministrazione: esso impone di garantire la tempestività dell’azione amministrativa e, nella connessa accezione di imparzialità, di evitare, in casi analoghi, trattamenti difformi senza adeguata motivazione o di rispettare criteri di massima fissati in precedenza. I principi costituzionali  Il principio di legalità, impone la corrispondenza dell’attività amministrativa alle prescrizioni di legge. In particolare esprime la necessità dell’amministrazione ad essere assoggettata alla legge.  Il principio di imparzialità, (art.3 Cost.) afferma l’obbligo della P.A. di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia senza discriminazioni arbitrarie.  Il principio del buon andamento, espresso tramite l’art.97 Cost. per cui i pubblici uffici sono organizzati secondo legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Tale articolo, inoltre, garantisce l’indipendenza e la neutralità della P.A. da influenze politiche. Questo principio, dunque, mira a soddisfare i seguenti criteri generali: economicità, rapidità, efficacia (raffronto tra risultati conseguiti e obiettivi programmati), miglior contemperamento degli interessi, efficienza (raffronto tra risorse impiegate e risultati conseguiti), minor danno per i destinatari dell’azione amministrativa.  Il principio di ragionevolezza, l’azione normativa deve adeguarsi ad un canone di razionalità operativa, per evitare decisioni arbitrarie e irrazionali. La violazione di detto principio comporta un vizio di eccesso di potere, in particolare in relazione alle figure sintomatiche del difetto di motivazione, o di ingiustificata disparità di trattamento o di contraddittorietà della motivazione stessa.  Il principio di pareggio del bilancio, le P.A. devono assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, in coerenza con l’ordinamento dell’UE (art.97 Cost.). I principi di cui alla legge sul procedimento L’art. 1 della L.241/1990, legge sul procedimento amministrativo, individua una serie di principi e criteri direttivi che, ricollegandosi alle previsioni costituzionali, devono improntare l’azione amministrativa:  Il principio di legalità: per il quale l’attività amministrativa, come detto, deve perseguire i fini dettati dalla legge.  il principio del giusto procedimento che, garantendo il diritto di partecipazione degli interessati, consacra la dialettica tra interessi pubblici e privati, tendendo alla composizione di eventuali contrasti (a titolo esemplificativo si pensi agli istituti della comunicazione di avvio dei procedimento e del cd. preavviso di rigetto);  Il principio di semplificazione si concretizza nell'eliminazione degli oneri informativi o delle fasi procedimentali che appaiono sovrabbondanti nell'economia di un procedimento amministrativo, con l’obiettivo di evitare che l'esercizio delle funzioni amministrative non risulti inutilmente «gravoso» per i soggetti amministrati. In ragione di tale criterio, il legislatore ha introdotto taluni istituti diretti, in conformità all'art., 97 Cast., a snellire e rendere più celere l'azione amministrativa (silenzio assenso, segnalazione certificata di inizio attività, conferenze di servizi etc.). Ai suddetti principi sono informati, in particolare, i criteri fondamentali e le regole dettate dal Capo I della L. 241/1990 a cui l'amministrazione deve attenersi, ossia: economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza (art. 1, comma 1, L 241/1990). In particolare: 1. l'economicità riguarda l’obbligo per la P.A. di realizzare il miglior risultato possibile, in termini dl produzione di beni e servizi ovvero di raggiungimento dell'interesse pubblico fissato legislativamente, In rapporto alla quantità di risorse a disposizione ovvero al minor sacrificio possibile degli interessi secondari coinvolti netta fattispecie; 2. l'efficacia è un concetto che implica il raffronto tra 1 risultati programmati e quelli raggiunti; 3. l'imparzialità implica una posizione di equidistanza dell'amministrazione rispetto a tutti gli interassi coinvolti in una determinata fattispecie. Più specificamente, essa assume una valenza negativa, laddove si traduce nel divieto per la P.A. di realizzare qualsiasi forma di favoritismo nei confronti di alcuni soggetti, ed una valenza positiva, legata alla corretta ed obiettiva valutazione degli interessi, pubblici o privati, sui quali la pubblica amministrazione andrà ad incidere; 4. la pubblicità rappresenta uno strumento di attuazione del principio della trasparenza ed impone alla PA di rendere accessibili agli interessati notizie e documenti concernenti l'operato dei pubblici poteri; 5. la trasparenza, infine, è da intendersi come immediata e facile controllabilità di tutti i momenti e di tutti i passaggi in cui si esplica l'operato della pubblica amministrazione, onde garantirne e favorirne lo svolgimento imparziale. A tale principio sono strettamente connessi il diritto di accesso e l'istituzione degli uffici per le relazioni con il pubblico;  il principio di non aggravamento del procedimento amministrativo, sancito all'art. 1, comma 2, della medesima legge. La previsione per cui «la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria», è la più chiara espressione della finalità propria del procedimento amministrativo: se, infatti, l'adozione del provvedimento finale deve avvenire in tempi rapidi, ossia quelli prestabiliti dal legislatore all'art. 2 della legge n. 241, esso deve comunque essere il risultato di un'istruttoria adeguata che consenta un'attenta valutazione degli interessi in gioco; 15  obbligo di conclusione esplicita del procedimento (art. 2). La P.A. ha il dovere di concludere il procedimento con l'adozione di un provvedimento finale espresso, sia quando il procedimento consegua ad istanza, sia quando debba essere iniziato d'ufficio;  obbligo generale di motivazione del provvedimento amministrativo (art. 3). Le pubbliche amministrazioni sono tenute a chiarire l’evoluzione del ragionamento che ha portato alla decisione, motivando i provvedimenti amministrativi;  l'uso della telematica nell'azione amministrativa. Ai sensi dell'art. 3 bis, legge sul procedimento, le PP.AA. hanno il dovere di incentivare l'uso della telematica sia nei rapporti interni tra le diverse amministrazioni sia tra queste e i privati. 4. Trasparenza e anticorruzione L'azione delle pubbliche amministrazioni è sempre più caratterizzata dall'affermarsi del principio di trasparenza e dalla lotta alla corruzione. La trasparenza va intesa quale accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche (cd. trasparenza «digitale»), alle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione e dell'azione delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. Le espressioni più significative di tale principio, che hanno trovato esplicito riconoscimento nella legge sul procedimento amministrativo, sono:  l'accesso ai documenti amministrativi;  l'obbligo di motivazione dei provvedimenti;  gli istituti della partecipazione al procedimento amministrativo. La L.190/2012 ha elevato il principio di trasparenza a livello essenziale delle prestazioni. Il successivo D.Lgs. 33/2013 (T.U. trasparenza) ha raccolto in un unico corpus normativo le numerose fattispecie di informazioni che le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di fornire ai cittadini consentendo loro di effettuare un controllo democratico sull’operato della P.A. Il principio di trasparenza è condizione e presupposto indispensabile della lotta alla corruzione ed ai fenomeni di malaffare tra gli uffici pubblici. Dal punto di vista normativo, l'anticorruzione è una «materia» trasversale che abbraccia diversi settori dell'azione amministrativa. Si pensi, ad esempio, non solo alle prescrizioni del nuovo Codice dei contratti, D.Lgs. 50/2016, che intendono predisporre procedure maggiormente trasparenti ed aderenti alla libera concorrenza, ma anche alle normative che, soprattutto nel pubblico impiego, intendono tutelare la legalità e l'integrità della P.A. e degli stessi dipendenti: basti considerare il whistleblowing, istituto che intende tutelare chi denuncia i fenomeni di corruzione di cui sia venuto a conoscenza. 5. Gli attori dell'anticorruzione e trasparenza La L. 190/2012 ha predisposto un sistema di prevenzione e repressione dell'illegalità nelle pubbliche amministrazioni. Lo scopo della L. 190/2012 è quello di voler prevenire e reprimere i fenomeni di malaffare nel settore pubblico mediante un «approccio multidisciplinare», in cui la sanzione è solo uno degli strumenti per combattere la corruzione e a cui sono affiancati nuovi obblighi e adempimenti direttamente in capo pubbliche amministrazioni. La governance in materia si articola su soggetti operanti a livello nazionale e su figure, invece, che agiscono nelle singole amministrazioni. Tra i soggetti che operano a livello nazionale un ruolo di primo piano è svolto dall'A.N.AC., Autorità nazionale anticorruzione. Essa ha, tra gli altri, il compito di adottare il Piano nazionale anticorruzione e di prevenire i fenomeni corruttivi tra le amministrazioni pubbliche, le società partecipate e controllate, anche mediante l'attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché, grazie all'attività di vigilanza, nell'ambito dei contratti pubblici. All'A.N.AC., spetta, tra l'altro, anche l'emanazione di Linee Guida in determinati settori (contrattualistica pubblica e attuazione della trasparenza), cui è collegato un potere sanzionatorio in caso di inosservanza da parte delle PP.AA. inadempienti (Commi 1-3 L. 190/2012). Inoltre, l'Autorità gestisce la «Banca dati nazionale dei contratti pubblici», istituita dal Codice dell'amministrazione digitale che raccoglie tutte le informazioni sui contratti al fine di garantire un'accessibilità unificata e il monitoraggio dell'intero sistema contrattualistico. Vi sono poi i soggetti operanti all'interno delle singole amministrazioni (L. 190/2012, co. 7 e ss.): - l'organo di indirizzo politico, cui compete individuare il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, definire gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, nonché adottare il Piano triennale per la prevenzione della corruzione su proposta del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza entro il 31 gennaio di ogni anno, curandone la trasmissione all'Autorità nazionale anticorruzione; - il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), che segnala all'organo di indirizzo e all'organismo indipendente di valutazione le disfunzioni riguardanti l'attuazione delle misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza e indica agli uffici competenti all'esercizio dell'azione disciplinare i nominativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza. Negli enti locali, tale figura in genere coincide con il Segretario o dirigente apicale. Si tratta di una figura unica, sia per la prevenzione della corruzione che per la trasparenza, in base alle modifiche successivamente apportate con l'attuazione della riforma Madia, in particolare dal D.Lgs. 97/2016. Egli ha un ruolo strategico, e per la delicatezza dei suoi compiti è responsabile anche personalmente in caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato; - l'Organismo indipendente di valutazione (OIV), il quale deve verificare, anche ai fini della convalida della Relazione sulla performance, che i piani triennali per la prevenzione della corruzione siano coerenti con gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione strategico-gestionale e che nella misurazione e valutazione delle performance si tenga conto degli obiettivi connessi all'anticorruzione e alla trasparenza. 6. Il sistema dei Piani anticorruzione Il sistema dei Piani anticorruzione si colloca su due differenti livelli, uno nazionale e uno decentrato, ossia a livello della singola amministrazione: 16  il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) che ha il compito di promuovere, presso le amministrazioni pubbliche (e presso i soggetti di diritto privato in controllo pubblico), l'adozione di misure di prevenzione della corruzione. Esso viene adottato dall'A.N.AC., ha durata triennale ed è aggiornato annualmente; si presenta quale atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni ai fini dell'adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione, e, in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, ha l'obbligo di individuare i principali rischi di corruzione con i relativi rimedi e contiene l'indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle relative misure di contrasto (art. 1, comma 2 bis, L. 190/2012);  i Piani triennali di prevenzione della corruzione (PTPC) che sono predisposti da ogni singola amministrazione (decentrato) sulla base delle indicazioni contenute nel PNA. Dalla violazione delle misure di prevenzione previste dal Piano discende, inoltre, responsabilità disciplinare. Nei piani triennali di prevenzione della corruzione sono confluiti anche contenuti del previgente Programma per la trasparenza e l'integrità, per cui oggi si parla anche di PTPCT, ossia Piano Triennale di prevenzione della corruzione e di trasparenza. La L. 190/2012 individua le seguenti aree di rischio all'interno dell'organizzazione e azione della P.A., ossia i settori in cui è maggiore il pericolo di corruzione: - procedimenti di autorizzazione o concessione; - scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del Codice dei contratti (D.Lgs. 50/2016); - concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; - concorsi pubblici e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera. Il Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO) Ai sensi dell'art. 6 D.L. 80/2021, conv. in L. 113/2021, cd. decreto reclutamento, nel nostro ordinamento è stato introdotto un nuovo strumento di programmazione, il Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO), destinato ad accorpare diversi piani, aventi in precedenza ciascuno una propria autonomia circa tempistiche, contenuti e normative di riferimento. Infatti, a partire dall'anno 2022, nel nuovo Piano devono confluire, ad esempio, tra gli altri: • il piano della performance; • il piano della prevenzione della corruzione e della trasparenza; • il piano dei fabbisogni di personale; • il piano per il lavoro agile (cd. POLA). Il Piano, alla cui stesura sono tenute tutte le pubbliche amministrazioni con più di 50 dipendenti (escluse le scuole), ha durata triennale viene aggiornato annualmente e deve definire: 1. gli obiettivi programmatici e strategici della performance secondo i principi del decreto Brunetta (D.Lgs 150/2009), stabilendo il necessario collegamento della performance individuale ai risultati della performance organizzativa; 2. la strategia di gestione del capitate umano e di sviluppo organizzativo, anche mediante il ricorse al Lavoro agile, e gli obiettivi formativi annuali e pluriennali, finalizzati ai processi di pianificazione secondo le logiche del project management, al raggiungimento della completa alfabetizzazione digitale, allo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali e all'accrescimento culturale e dei titoli di studio del personale, correlati all'ambito d'impiego e alla progressione di carriera dei personale; 3. gli strumenti e gli obietti del reclutamento di nuove risorse e della valorizzazione dette risorse interne 4. gli strumenti e le fasi per giungere alla piena trasparenza dei risultati dell'attività e dell'organizzazione amministrativa nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di contrasto alla corruzione, 5. l’elenco delle procedure da semplificare e re ingegnerizzare ogni anno, anche mediante ricorso alta tecnologia; 6. le modalità e le azioni finalizzate a realizzare la piena accessibilità alle amministrazioni, fisica e digitale, da parte dei cittadini ultrasessantacinquenni e dei cittadini con disabilita; 7. le modalità e le azioni finalizzate al pieno rispetto della parità di genere, anche con riguardo alla composizione delle commissioni esaminatrici dei concorsi. Le amministrazioni dovranno pubblicare il PIAO sui propri siti internet istituzionali ed inviarlo al Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la pubblicazione sul relativo portale. Il PIAO, pertanto, si presenta come uno strumento unico di programmazione e organizzazione degli adempimenti in materia di performance, gestione delle risorse mane e prevenzione della corruzione. Il Piano Triennale della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (PTPCT) è destinato a diventare parte integrante del PIAO. 7. Il sistema della vigilanza e le sanzioni Mediante la normativa anticorruzione, il legislatore ha poi costruito un sistema di controllo e vigilanza (con relative sanzioni) fondato essenzialmente su due figure: - l'A.N.AC.; - il Responsabile dell'anticorruzione. A completamento del sistema si pone anche la Corte dei conti per la verifica di eventuali casi di responsabilità amministrativa ed erariale in merito e di relativa condanna. All’Autorità nazionale anticorruzione, in particolare, compete anche esercitare la vigilanza e il controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni in materia di anticorruzione e trasparenza. A livello di singola amministrazione, invece, il fulcro del sistema della vigilanza è costituito dal Responsabile anticorruzione e trasparenza, cui la legge attribuisce le funzioni di vigilanza interna. Tale figura, infatti, si occupa, tra l'altro, di segnalare all'organo 17  atti procedimentali, che si inseriscono in un procedimento amministrativo e sono tra loro coordinati e preordinati all'adozione di un provvedimento amministrativo (atto finale del procedimento); tali sono gli atti propulsivi (come le istanze, le richieste, i ricorsi) e gli atti preparatori (come i pareri, gli accordi preliminari, le designazioni ecc.). Caratteristica degli atti procedimentali è che, di regola, essi possono essere impugnati soltanto insieme all'atto finale, al quale soltanto può essere collegato l'effetto giuridico finale;  atti presupposti, i quali, pur rilevando ai fini della produzione dell'effetto giuridico finale, acquistano un rilievo autonomo all’interno del procedimento amministrativo ovvero costituiscono atto finale di un procedimento autonomo.  in relazione agli agenti, infine, abbiamo:  atti di un solo organo (cd. monostrutturati): posti in essere da un solo soggetto, sia esso individuale (atti semplici) che collettivo (atti collegiali, che rientrano in questa categoria, essendo il collegio un organo unitario, anche se composto da più persone);  atti di più organi (cd. pluristrutturati): che possono, a loro volta, essere: o atti complessi: risultano dal concorso di volontà di più organi diretti allo stesso fine e mossi dallo stesso interesse. Sono anche detti codecisioni e si caratterizzano per il fatto che l'assenza del contributo anche di uno solo degli organi coinvolti per la loro formazione non ne consente la perfezione. o atti di concerto: che sono adottati da un solo organo, ma previo concerto, e cioè d'intesa, con altri organi; o contratti. 2. I provvedimenti amministrativi I provvedimenti sono atti consistenti in manifestazioni di volontà, mediante i quali la P.A., nell'esercizio della propria potestà d'imperio, unilateralmente e concretamente costituisce, modifica od estingue una situazione giuridica, per realizzare un particolare interesse pubblico affidato istituzionalmente (quindi, con legge) alla sua cura. Essi presentano caratteri ulteriori rispetto a quelli propri di tutti gli atti amministrativi, che sono:  Imperatività (o autoritarietà). Tale carattere consiste nella capacità del provvedimento di imporre unilateralmente modificazioni nella sfera giuridica dei destinatari. Tale forza va sotto il nome di autoritarietà o imperatività e si sostanzia: o per i provvedimenti positivi: nella costituzione, modificazione o estinzione dei poteri e delle facoltà del destinatario indipendentemente dal suo consenso e, quindi, anche contro la sua volontà. I provvedimenti positivi, dunque, purché efficaci, ed anche se illegittimi, sono sempre imperativi ed esecutivi; o per i provvedimenti negativi: nella cd. non spettanza e cioè nella definizione autoritativa che quel determinato provvedimento positivo non spetta al destinatario.  Esecutorietà. Le pubbliche amministrazioni, nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti (esecutorietà). Il provvedimento costitutivo di obblighi deve indicare il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva Nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge (art. 21-ter L. 241/1990). L'esecutorietà, pertanto, si concretizza nel potere dell'amministrazione di attuare coattivamente le statuizioni contenute nell'atto, anche contro la volontà del destinatario e senza la necessità di previo ricorso giurisdizionale.  Esecutività. Consiste nell'idoneità del provvedimento efficace ad essere eseguito. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo (art. 21-quater L. 241/1990). Questa previsione, inoltre, sancisce l’obbligatorietà dell’esecuzione immediata di ogni provvedimento. L’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato, o, comunque, da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione, che deve essere esplicitamente indicato nell'atto che la dispone, può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze.  Tipicità – Nominatività. Sono altri caratteri dei provvedimenti. o Tipicità. I provvedimenti amministrativi sono solo quelli previsti dalla legge e ciò con riferimento sia al contenuto che alla funzione che lo stesso è destinato a realizzare. o Nominatività. Implica che ad ogni interesse pubblico corrisponde un certo tipo di atto definito e disciplinato dalla legge. In pratica, mentre la tipicità discende dal fatto che la legge fissa i fini e gli effetti del provvedimento, la nominatività si sostanzia nella circostanza che è la legge a individuare i provvedimenti da utilizzare in base alle singole finalità di interesse pubblico da perseguire per quei determinati effetti da raggiungere. Costituiscono un'eccezione o, almeno, un'attenuazione del principio di tipicità, le ordinanze contingibili ed urgenti che sono atti nominativi, poiché possono essere emanate solo nei casi previsti dalla legge, ma non del tutto tipizzati, poiché la legge lascia all'organo competente uno spazio molto ampio nella determinazione del contenuto e degli effetti. Il principio di tipicità esclude che si possano attribuire all'amministrazione poteri impliciti. Va, infine, ricordato che i provvedimenti amministrativi consistono sempre in manifestazioni di volontà (non sono, perciò, provvedimenti veri e propri le manifestazioni di scienza o di giudizio) e la loro emanazione può essere discrezionale o dovuta.  Inoppugnabilità. Tale carattere si riferisce all'idoneità del provvedimento a diventare definitivo, decorso un breve termine di decadenza per l'impugnazione. 3. Gli elementi dell'atto amministrativo Gli elementi dell'atto amministrativo si distinguono in:  essenziali: se necessari giuridicamente per dar vita all'atto; 20  accidentali: ovvero elementi eventuali, che non necessariamente devono essere contenuti in ciascun atto in quanto hanno semplicemente la funzione di incidere sull'efficacia dell'atto (come ad es.: un termine iniziale, da cui decorrono gli effetti dell'atto, o finale, cioè fino al quale l'atto produce i suoi effetti) senza, però, alterarne il tipo;  naturali: sono quegli elementi che, in quanto previsti dalla legge per il tipo «astratto» di atto, si considerano sempre inseriti in esso, anche se non apposti espressamente. Gli elementi essenziali Gli elementi essenziali sono i seguenti:  l'agente o soggetto. L'atto amministrativo deve essere, necessariamente, posto in essere da un organo della P.A. essendo quest'ultima centro di imputazione giuridica degli atti posti in essere dai suoi organi. Può essere tale: - un funzionario dello Stato, o di altro ente pubblico; - un privato investito dell'esercizio di una pubblica potestà, generalmente in forza di un provvedimento di concessione e limitatamente a quegli atti che costituiscono estrinsecazioni dell'esercizio di pubbliche potestà, quale, ad esempio, l'ingiunzione dell'appaltatore delle imposte comunali;  il destinatario. È l'organo pubblico o il soggetto privato nei cui confronti si producono gli effetti del provvedimento. Il destinatario deve essere determinato o determinabile. La mancanza di destinatario comporta l'inesistenza dell'atto; l'errata individuazione di esso comporta, invece, annullabilità;  la volontà. Anch'essa deve esistere al momento dell'emanazione dell'atto, in quanto ogni atto amministrativo deve essere posto in essere volontariamente;  la finalità. Affinché un atto amministrativo possa esistere è necessario che l'atto sia preordinato ad un compito della Pubblica Amministrazione. La finalità è, pertanto, lo scopo che l'atto persegue;  l'oggetto. È ciò su cui l'atto amministrativo incide e può consistere in un comportamento, un fatto o un bene. Esso deve essere determinato, possibile e lecito;  la forma. Si tratta del modo di essere della manifestazione che l'atto assume per operare nell'ordinamento positivo. Ogni atto amministrativo, affinché venga ad esistenza, deve essere manifestato all'esterno. La forma dell'atto può, di volta in volta, essere: - espressa: mediante atti formali (cioè sottoposti a particolari «formalità») oppure atti non formali. La volontà, inoltre, può essere manifestata con atti scritti, con segnalazioni, oralmente; - tacita: sono tacite quelle manifestazioni che si possono desumere indirettamente da un altro provvedimento o da un comportamento dell’autorità. In diritto amministrativo vige il principio della libertà della forma per cui, al di fuori delle ipotesi in cui è la legge stessa che richiede una forma particolare, l'atto può manifestarsi in qualsiasi forma, anche implicita. Va però detto che la legge richiede di solito la forma scritta. Gli elementi accidentali Anche in diritto amministrativo sono contemplati i cd. «elementi accidentali» che possono essere apposti ad atti discrezionali regolati da norme non cogenti, purché questi non ne alterino il contenuto tipico. Sono elementi accidentali:  la condizione, che è quell’avvenimento futuro ed incerto al cui verificarsi inizierà (cd. condizione sospensiva) o cesserà (cd. condizione risolutiva) l’efficacia dell'atto;  il termine, che è quel momento futuro e certo a partire dal quale (cd. termine iniziale) o fino al quale (cd. termine finale) l’atto avrà efficacia;  L’onere, che è un particolare obbligo posto a carico del destinatario di un atto per lui favorevole (ed è tale quello che comporta un ampliamento della sua sfera giuridica o d'azione). Mira a far sì che con l'ampliamento dei poteri del privato, si realizzi anche l'interesse pubblico (concessione, autorizzazione, etc.);  la riserva, che e una figura tipica del diritto amministrativo e consiste nella facoltà, che la P.A. si riserva, di adottare futuri provvedimenti in relazione ad un dato atto (es: riserva di riscatto in caso di concessione di un servizio). 4. Struttura dell’atto amministrativo L'atto amministrativo si compone delle seguenti parti:  intestazione: cioè l'indicazione dell'autorità da cui l'atto promana;  preambolo: in cui sono indicate le norme di legge o i regolamenti in base ai quali l'atto stesso è stato adottato, nonché le attestazioni relative agli atti preparatori;  motivazione: nella quale la P.A. indica gli interessi coinvolti nel procedimento, e valuta comparativamente gli interessi, motivando le ragioni dell'atto emanato;  dispositivo: che è la parte precettiva dell'atto e costituisce la dichiarazione di volontà vera e propria;  luogo e data di emanazione;  sottoscrizione: cioè la firma dell’autorità che emana l'atto. 5. La motivazione del provvedimento amministrativo La motivazione del provvedimento amministrativo è lo strumento attraverso il quale la P.A. esterna i presupposti fattuali e le ragioni giuridiche che hanno portato alla emanazione di un dato provvedimento: l'art 3 L. 241/1990 è una norma di applicazione generale per tutti i provvedimenti amministrativi, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei 21 concorsi e il personale, ad eccezione degli atti normativi e a contenuto generale. Sottratte alla disciplina della motivazione sono anche le forme dl silenzio assenso ex art 20 L 241/1990. Per quanto riguarda la struttura della motivazione, si parla di presupposti di fatto e ragioni di diritto. Per presupposti di fatto si intendono gli elementi e i dati fattuali acquisiti durante l'istruttoria e che sono stati oggetto di valutazione da parte delle P.A.; invece, le ragioni giuridiche comprendono le argomentazioni condotte sul piano del diritto, cioè le norme che sono state considerate applicabili nella fattispecie concreta all'esame dell'amministrazione procedente. La ratio della motivazione va individuata nella esigenza dl garantire agli interessati la ricostruzione dell'iter logico seguito dall'amministrazione, anche allo scopo di verificarne la correttezza nonché eventuali profili di illegittimità. L'art. 3, comma 3, della L 241/1990 dispone, inoltre, che, se le ragioni della decisione risultano da un altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile anche l'atto cui essa si richiama. Si tratta della cd. motivazione per relationem, ossia della motivazione risultante da altri atti posti in essere nel corso dell'iter procedimentale; in tale caso, è previsto, tuttavia, che anche l'atto a cui è fatto riferimento debba essere indicato e reso disponibile, pena la configurazione di un vizio di legittimità. In ogni atto notificato al destinatario devono infine essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile fare ricorso (art. 3, ult. comma). Per quanto riguarda i profili giurisdizionali relativi all'obbligo di motivazione, bisogna considerare che la mancanza di motivazione può essere considerata quale violazione di legge (art. 3 della L. 241/1990). In caso di motivazione perplessa e contraddittoria, invece, può parlarsi di eccesso di potere, riguardando il vizio, in tale caso, non la motivazione in sé, ma il concreto svolgimento del potere amministrativo. 6. I requisiti del provvedimento amministrativo e la sua efficacia I requisiti di legittimità e di efficacia I requisiti del provvedimento amministrativo sono quelle condizioni che, soddisfatte, consentono allo stesso di raggiungere il fine per il quale è posto in essere. Si distingue tra requisiti di legittimità e requisiti di efficacia. Mentre i requisiti di legittimità sono tutti quei requisiti richiesti dalla legge affinché l'atto, oltre che esistente, sia anche valido (quindi perfetto in tutti i suoi elementi), i requisiti di efficacia comprendono, invece, tutte le condizioni richieste affinché l'atto, già perfetto, divenga anche efficace, ossia in grado di produrre effetti. I requisiti di legittimità sono:  requisiti inerenti all'agente: - la compatibilità, cioè la mancanza di cause che comportino astensione o ricusazione; - la legittimazione, cioè l’esistenza di un'investitura effettuata nei modi di legge; - la competenza per territorio, grado e materia a procedere alla emanazione dell'atto;  requisiti inerenti all'oggetto, cioè l’esistenza di un potere relativo a quel dato oggetto;  requisiti inerenti alla forma, cioè la rispondenza alla previsione di legge;  requisiti inerenti il contenuto: rientrano fra tali requisiti la conformità dell'atto ai precetti legislativi previsti per il suo tipo e il rispetto delle norme sulla sua emanazione. I requisiti di efficacia si distinguono in:  requisiti di esecutività, in base ai quali l'atto, già perfetto, può essere portato ad esecuzione. Tali requisiti, che operano ex tunc, sono identificabili negli atti di controllo positivo e nel verificarsi dell'eventuale condizione sospensiva;  requisiti di obbligatorietà, in base ai quali l'atto, già perfetto ed esecutivo, diviene obbligatorio nei confronti dei destinatari (ad es., la notificazione, la trasmissione e la pubblicazione) Gli ultimi requisiti sono richiesti per i soli atti ricettizi, ovvero quegli atti che producono effetti solo in quanto siano comunicati ai destinatari ed a partire dal momento della comunicazione stessa: essi, quindi, operano con effetti ex nunc. L'efficacia dell'atto amministrativo Per efficacia di un atto amministrativo si intende l'attitudine dell'atto a produrre effetti. L'atto amministrativo diviene produttivo di effetti, a seguito del positivo completamento della fase di integrazione dell'efficacia (controllo e comunicazione all'interessato). Gli effetti dell'atto possono essere: - costitutivi: se creano una situazione giuridica ex novo, o modificano una situazione preesistente ovvero la estinguono; - dichiarativi: se accertano o chiariscono una situazione già esistente; - ampliativi: se favorevoli per il destinatario; - restrittivi: se sfavorevoli per il destinatario. Ai sensi dell'art. 21 bis L. 241/1990 il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata; qualora per il numero dei destinatari la comunicazione non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione può provvedere mediante altre forme di pubblicità idonee. I provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci. Quanto al momento in cui un atto inizia a produrre effetti bisogna distinguere tra:  atti recettizi, sono quelli che producono effetti solo quando sono portati a conoscenza del destinatario;  atti non recettizi, producono effetti dal momento stesso in cui l'atto è posto in essere. Ai sensi dell'art. 21-quater L. 241/1990 (come modif. dalla L. 124/2015), si rileva che i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo. In particolare, vengono in rilievo due figure: - la proroga: è il provvedimento con cui la P.A. differisce ad un momento successivo, rispetto a quello previsto dall'atto, il termine di scadenza dell'atto stesso. Per essere produttiva di effetti essa deve intervenire necessariamente prima della scadenza e 22 sostituzione o in aggiunta all'approvazione; l’annullamento d'ufficio in sede di controllo, è un atto di controllo successivo di legittimità che interviene dopo che l'atto ha acquistato efficacia. b)atti non consistenti in manifestazioni di volontà si dividono in atti ricognitivi, aventi ad oggetto una manifestazione di conoscenza, e in atti di valutazione, aventi ad oggetto una manifestazione di giudizio e nelle intimazioni. 1. Gli atti consistenti in manifestazioni di conoscenza presentano il tratto unitario nella comune funzione dichiarativa, intesa come la funzione volta a dare certezza di fatti giuridicamente rilevanti. Tale attività presuppone l'acquisizione del fatto da accertare e la dichiarazione all'esterno di ciò che si è acquisito (sono esempi: gli accertamenti, le verbalizzazioni, le notificazioni, le comunicazioni). 2. Gli atti consistenti in manifestazioni di giudizio presuppongono un procedimento di apprendimento e si risolvono nell'enunciazione di un giudizio valutativo, per cui sono designati come atti di valutazione. Appartengono a tale categoria i giudizi sulla idoneità dei candidati, le relazioni delle commissioni di inchiesta, i pareri e le proposte (che sono atti di valutazione con, in più, il carattere di atti di iniziativa). 3. Le intimazioni, infine, consistono nel formale avvertimento ad un soggetto, già tenuto in base ad un precedente titolo (legge o ordine) ad osservare un obbligo, di ottemperare all'obbligo stesso. 12. I pareri I pareri sono atti a carattere ausiliario consistenti in manifestazioni di giudizio con cui gli organi dell'amministrazione consultiva tendono ad informare o consigliare gli organi di amministrazione attiva. Sono, di regola, di competenza di speciali organi collegiali. Consistono in giudizi su un'attività che dovrà essere compiuta da parte di chi li chiede: sono, pertanto, atti privi di autonomia funzionale, in quanto emessi in vista del provvedimento conclusivo di un procedimento amministrativo; da ciò consegue che essi, quindi, ma vanno impugnati solo insieme all'atto finale del procedimento cui si riferiscono. I pareri possono essere: - facoltativi: se sia a discrezione degli organi dell'amministrazione attiva richiederli o meno; - obbligatori: se la legge impone all'organo di amministrazione attiva di richiedere il parere all'organo consultivo. La mancata acquisizione del parere comporta l'invalidità dell'atto per violazione di legge. I pareri obbligatori, a loro volta, possono essere: - non vincolanti: quando l'organo di amministrazione attiva è obbligato a richiedere il parere, ma può anche non attenersi ad esso, discostandosene con il proprio operato e motivando le ragioni per le quali se ne discosta; - vincolanti: se l'organo di amministrazione attiva è obbligato a richiedere il parere e ad uniformarsi ad esso. In questo caso il parere vincolante è paragonabile ad una deliberazione preparatoria in quanto appartiene alla fase di determinazione del contenuto dell'atto; - parzialmente vincolanti: se l'organo di amministrazione attiva può adottare un provvedimento difforme, ma solo in un dato senso o seguendo un dato procedimento; - conformi: quando la P.A., ha il potere discrezionale di provvedere o no sull’istanza per la quale è obbligata a richiedere il parere ma, ove decida di emanare l'atto di amministrazione attiva, deve uniformarsi ad esso. Quanto ai termini di rilascio è stabilito che, in caso di pareri obbligatori, questi devono essere resi entro 20 giorni dal ricevimento della richiesta, mentre per i pareri facoltativi, pur rimanendo ferma la «immediata» comunicazione all'amministrazione richiedente del termine entro il quale il parere sarà reso, in ogni caso, tale termine «non può superare i 20 giorni dal ricevimento della richiesta». Quanto alla disciplina per il rilascio, è previsto che nel caso in cui sia richiesto un parere obbligatorio, è facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dallo stesso; nel caso di parere facoltativo, invece, sussiste l'obbligo per la P.A. di procedere indipendentemente dall'espressione del parere. Vizi dei pareri Un parere viziato compromette tutto il procedimento amministrativo, per cui l'atto finale risulterà anch'esso viziato. Da ciò si deduce che anche i pareri facoltativi, potendo viziare l'atto conclusivo, hanno rilevanza giuridica, purché, ovviamente, pur se facoltativi, l'autorità di amministrazione attiva che li ha richiesti ne abbia tenuto conto nell'adottare il provvedimento. Secondo la dottrina dominante il parere può essere viziato da incompetenza, violazione di legge e anche da eccesso di potere. In quanto atto infraprocedimentale, il parere non è di norma autonomamente impugnabile. Pareri e proposte Le proposte tendono a sollecitare l’attività di un altro organo ed al tempo stesso ad esprimere un giudizio circa il contenuto di volontà propulsiva ad una manifestazione di giudizio. I pareri sono in genere condizionati ad una richiesta mentre le proposte sono spontanee. I pareri sono atti infraprocedurali e non influiscono sui poteri di iniziativa dell’autorità decidente mentre le proposte sono gli atti con cui inizia un procedimento. 13.Patologia e vizi dell’atto amministrativo Al pari degli altri atti giuridici, anche l'atto amministrativo può essere viziato. Si considera vizio dell'atto amministrativo la divergenza tra la fattispecie in concreto posta in essere dalla P.A., nell'esplicazione del potere attribuitole, e la norma di riferimento. La considerazione del vizio, quindi, richiede la comparazione tra l'atto posto in essere ed il modello astratto a cui il primo dovrebbe riferirsi. In diritto amministrativo esiste una particolarità in base alla quale la fattispecie concreta deve rispondere ad un duplice criterio: essa deve essere conforme alle norme di legge, da un lato, ed alle regole di opportunità, dall'altro. Si tratta di due parametri costituzionalizzati nell'art. 97 Cost., che sancisce il principio di legalità, nonché quello di buona amministrazione. 25 Ne consegue che i vizi che possono inficiare l’atto amministrativo possono essere vizi di legittimità (qualora l'atto si discosti da quanto disposto da norme giuridiche) e vizi di merito (qualora l'atto, sebbene conforme alle norme, non sia rispondente alle regole di buona amministrazione). La rilevanza dei vizi di merito trova la propria ratio giustificativa nel fatto che l'attività della PA è un'attività funzionalizzata, nel senso che essa non solo deve essere conforme alle norme di legge, ma deve essere, comunque, protesa alla realizzazione dell'interesse pubblico (causa del potere). Gli stati patologici di un atto possono assumere diverse gradazioni a seconda della maggiore o minore divergenza del provvedimento concreto dal parametro normativo:  Invalido: Quando difetti o sia viziato uno degli elementi o requisiti prescritti, ovvero quando vi sia lesione dell'interesse concreto tutelato dalla norma violata. A seconda della gravità dei vizi l'atto può essere nullo o annullabile.  Irregolare: Quando l'atto presenta un vizio per il quale la legge non commina conseguenze negative per l'atto stesso, ma solo delle sanzioni amministrative a carico dell'agente Oltre alle ipotesi di invalidità ed irregolarità dell'atto amministrativo vi sono degli stati patologici caratterizzati dal fatto che il provvedimento, pur conforme allo schema legale, non è comunque idoneo a produrre effetti. Tali sono i casi di imperfezione, inefficacia o ineseguibilità dell'atto amministrativo.  Imperfetto: Allorché non si sia ancora concluso il suo ciclo di formazione (D.P.R. non controfirmato dal Ministro)  Inefficace: Quando l'atto, benché perfetto, non è idoneo a produrre gli effetti giuridici in quanto sono inesistenti i requisiti d'efficacia previsti dalla legge (controlli), dalla natura dell'atto ricettizio (comunicazione), dallo stesso provvedimento (condizione sospensiva, termine iniziale)  Ineseguibile: Quando diventa, di regola temporaneamente, inefficace per il sopravvenire di un atto ostativo (es.: ordinanza di sospensione) 14. L’invalidità dell’atto amministrativo L'atto amministrativo è invalido quando è difforme dalla norma che lo disciplina. In relazione alla natura della norma si possono individuare due grandi categorie di vizi: 1. se la norma è una norma giuridica, il vizio che consegue sarà un vizio di legittimità e l'atto sarà illegittimo; 2. se la norma rientra nella categoria delle cd. norme di buona amministrazione (che impongono alla P.A. di attenersi, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, a criteri di opportunità e di convenienza), il vizio sarà di merito e l'atto sarà Inopportuno. L'atto illegittimo, in particolare, può essere viziato in modo più o meno grave: è nullo se manchevole di taluno degli elementi essenziali richiesti dalla legge, se è viziato da difetto assoluto di attribuzione, se è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge; è annullabile quando sia stato adottato in violazione di legge o sia viziato da eccesso di potere o da incompetenza. L'invalidità può essere:  testuale o virtuale a seconda che sia esplicitamente espressa nel testo oppure solo desumibile da esso;  totale o parziale dal momento che può intaccare tutto l'atto o solo una parte di esso;  diretta o derivata la quale ultima si verifica allorquando l'invalidità di un determinato atto inficia un atto successivo ad esso connesso che, di per sé, potrebbe essere legittimo. 15. La nullità È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge (art. 21septies L 241/1990). Le cause di nullità sono da ritenersi tassative nonché a numero chiuso: l'art. 21septies, infatti, ha provveduto a codificare le relative ipotesi, ribadendone il carattere tassativo. Quanto alle ipotesi di vizi che ingenerano nullità dell'atto amministrativo, stante la indeterminatezza legislativa, si ritiene in giurisprudenza che vanno ricompresi nel concetto di elemento essenziale dell’atto amministrativo: a) la qualità di pubblica amministrazione in capo al soggetto che emette il provvedimento; b) l'individuazione del soggetto o dell'oggetto nei cui confronti il provvedimento ha effetti; c) l'esistenza di una norma attributiva del potere alla pubblica amministrazione procedente; d) La volontà della pubblica amministrazione di adottare l'atto; e) la forma, laddove prescritta dalla legge. Con l'espressione difetto assoluto di attribuzione, la norma richiama la nozione, tradizionale in giurisprudenza, di carenza di potere (in astratto), volendo in questo modo fare riferimento ai casi più gravi in cui il potere di cui si tratta non sussiste o in via generale o comunque in capo ad una determinata autorità. infine, con riferimento alla violazione o elusione del giudicato, la giurisprudenza ha chiarito che: la violazione del giudicato ricorre quando la P.A. abbia riesercitato il medesimo potere già illegittimamente esercitato, in contrasto con il contenuto preciso di giudicato; l'elusione dei giudicato, invece, sussiste nei casi in cui l'Amministrazione, pur formalmente provvedendo a dare esecuzione a quanto disposto con un giudicato, in sostanza esercita un potere diverso, in assenza dei presupposti che lo giustificano, configurando in tal caso uno sviamento del potere al fine di evitare l'esecuzione del giudicato. Si è in presenza di un giudicato o «cosa giudicata» quando un provvedimento giurisdizionale è definitivo e incontrovertibile in quanto non più impugnabile innanzi ad una autorità giurisdizionale, o per decorso dei termini o perché sono già stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione previsti. Dal punto di vista della disciplina processualistica della nullità, il legislatore, con l'art. 31 del Codice del processo amministrativo, ha disciplinato l'azione di accertamento, e relativa declaratoria, delle nullità previste dalla legge. Inoltre, il legislatore del Codice ha attribuito alla giurisdizione esclusiva della G.A. la cognizione delle controversie in materia di nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato (art. 133 c.p.a.). 26 La nullità comporta le seguenti conseguenze sull'atto amministrativo: - inesistenza giuridica dell'atto, e, quindi, inefficacia dello stesso; - inesecutorietà: l'atto nullo è inefficace e, come tale, anche inesecutorio. Qualora all'atto nullo, venga data esecuzione, al soggetto compete il cd. diritto di resistenza; - inannullabilità: l'atto nullo è inesistente e, come tale, non può essere annullato; - insanabilità e inconvalidbilità: l'atto nullo non può essere sanato né convalidato. È invece ammessa la conversione in altro atto valido dell'atto nullo che presenti i requisiti e gli elementi essenziali del nuovo atto e realizzi, se convertito nell'atto diverso, l'interesse pubblico. 16. L'illegittimità dell'atto amministrativo L'atto amministrativo esistente che presenti dei vizi di legittimità che incidono su elementi essenziali di esso, è illegittimo e, come tale, annullabile. Originaria fonte positiva dei vizi di legittimità era l'art. 26 R.D. 1054/1924 (T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, oggi abrogato a seguito dell'approvazione del D.Lgs. 104/2010) che menzionava tre categorie di vizi: incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge. Attualmente essa è rinvenibile nell'art. 21-octies della L. 241/1990 che, al comma 1, individua quegli stessi vizi come causa di annullabilità del provvedimento amministrativo e nell'art. 29 del Codice del processo amministrativo che disciplina l'azione di annullamento, per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza. L'atto annullabile è immediatamente efficace, ma è suscettibile di essere rimosso con una pronuncia costitutiva del giudice amministrativo ovvero attraverso un intervento da parte della stessa P.A. (ossia con un procedimento in autotutela). È importante distinguere l'illegittimità dall'illiceità: - è illegittimo l'atto amministrativo esistente che presenta un vizio di uno dei suoi elementi essenziali e, pertanto, risulta difforme dalla normativa che disciplina i requisiti richiesti per la sua validità. La sanzione predisposta dall'ordinamento si risolve nella possibilità di eliminazione dell'atto perché illegittimo; - l'illiceità si concretizza, invece, nella violazione di norme giuridiche che non disciplinano atti, bensì sanzionano comportamenti lesivi di diritti soggettivi altrui. Illecito, pertanto, non può essere mai un atto, ma è sempre e solo un comportamento contra ius al quale la legge ricollega una responsabilità e un'assoggettabilità a sanzione per l'autore dell'illecito. Secondo quanto stabilito dalla legge sul procedimento amministrativo sono da considerare invalidi solo i provvedimenti amministrativi viziati da violazione di norme di carattere sostanziale. Infatti, le violazioni di carattere formale o procedimentale non danno luogo ad annullabilità del provvedimento laddove il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, in quanto è assente ogni discrezionalità. Analogamente non è annullabile il provvedimento per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento se l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21octies, co. 2, L. 241/1990). L'incompetenza relativa La competenza indica la misura della sfera di attribuzione di un dato organo. La violazione delle norme che la disciplinano dà luogo all'incompetenza che può manifestarsi in due forme:  incompetenza assoluta;  incompetenza relativa. L'incompetenza assoluta, da cui discende la nullità dell'atto, si determina quando la P.A. emana un atto in una materia sottratta alla competenza amministrativa e riservata ad un altro potere dello Stato. È questo il caso dello straripamento di potere. Si ha anche quando l'organo amministrativo emana un atto riservato alla competenza di un settore dell'amministrazione completamente diverso. Questo è il caso del difetto di attribuzione. Infine, si ha quando l'organo amministrativo emana un atto relativo ad un oggetto che si trova nella circoscrizione territoriale di un altro organo amministrativo. Si ha incompetenza relativa quando un organo amministrativo invade la sfera di competenza di un altro organo appartenente allo stesso settore amministrativo o comunque allo stesso ente. Solo l'incompetenza relativa è causa di annullabilità dell'atto amministrativo. A queste ipotesi, la dottrina più moderna affianca quella della acompetenza, che si verifica tutte le volte che un atto è posto in essere da un soggetto che non è neanche investito della pubblica funzione. L'eccesso di potere Per potersi configurare eccesso di potere, che efficacemente viene definito come scorrettezza in una scelta discrezionale, occorrono tre requisiti: 1. un potere discrezionale della P.A.; 2. uno sviamento di tale potere, ossia un esercizio del potere per fini diversi da quelli stabiliti dal legislatore con la norma attributiva dello stesso; 3. la prova dello sviamento, necessaria per far venir meno la presunzione di legittimità dell'atto. Le figure più rilevanti di eccesso di potere (cd. figure sintomatiche) sono:  Travisamento ed erronea valutazione dei fatti: quando la P.A. abbia ritenuto esistente un fatto inesistente ovvero quando abbia dato ai fatti un significato erroneo, illogico o irrazionale.  Illogicità o contraddittorietà della motivazione: quando la motivazione dell'atto sia illogica o contrastante in varie parti, o quando la motivazione sia in contrasto col dispositivo.  Contraddittorietà tra più atti: ricorre quando l'amministrazione emette un atto che è incompatibile con uno emesso precedentemente (si può fare l'esempio di un impiegato licenziato per scarso rendimento quando poco tempo prima aveva ricevuto un encomio). 27 ovvero da altro organo previsto dalla legge nel caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse, di mutamento della situazione di fatto, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. La revoca determina l'inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti e l'obbligo di provvedere all'indennizzo degli eventuali pregiudizi verificatisi in danno dei soggetti direttamente interessati. Le controversie relative alla determinazione e corresponsione di tale indennizzo sono devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. (art. 133 del Codice del processo amministrativo). Il comma 1-bis dell'art. 21-quinquies prevede, infatti, che nel caso in cui la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, gli eventuali rimborsi ed indennizzi corrisposti dalle amministrazioni devono riguardare solo il cd. danno emergente e non anche il lucro cessante. Esistono due tipi di revoca, l'autorevoca e la revoca gerarchica, distinte in base all'autorità amministrativa che la pone in essere: nel primo caso, da parte dell'autorità che ha emanato l'atto, e nel secondo, da parte dell'autorità gerarchicamente superiore. L'esercizio del potere di revoca presuppone:  una mancanza attuale di rispondenza dell'atto alle esigenze pubbliche, dedotta discrezionalmente dalla P.A. in base a una nuova valutazione degli elementi che furono alla base dell'atto da revocare, oppure la constatazione che non risultano sussistenti le ragioni di opportunità che legittimavano l'atto al momento della sua emanazione;  l'esistenza di un interesse pubblico, concreto ed attuale all'eliminazione dell'atto inopportuno. Sono irrevocabili: - gli atti vincolati, perché questi sono sottratti al potere della P.A. di valutare le ragioni concernenti il merito; - gli atti la cui efficacia si è già esaurita (ad es., per scadenza del termine, o per raggiungimento dello scopo); - gli atti costitutivi di status; - gli atti costitutivi di diritti quesiti detti anche diritti acquisiti (costituiscono una categoria di diritti che sono divenuti immutabili con il decorso del tempo); - i provvedimenti contenziosi (ad es., le decisioni sui ricorsi amministrativi); - gli atti di mera esecuzione degli atti imperfetti. La revoca ha efficacia ex nunc, in quanto, gli effetti dell'atto revocato cessano solo dal momento dell'operatività della revoca, mentre restano in piedi gli effetti già prodotto in precedenza. L'abrogazione L’abrogazione è un atto di ritiro che si attua per il sopravvenire di nuove circostanze di fatto che rendono l'atto non più rispondente al pubblico interesse; si differenzia dalla revoca in quanto quest'ultima si concreta nella rivalutazione delle stesse circostanze originarie. Il regime giuridico dell'abrogazione è il seguente: - gli atti suscettibili di abrogazione sono gli stessi che possono essere revocati; - gli effetti dell’abrogazione si producono (come per la revoca) ex nunc; - la differenza tra revoca e abrogazione starebbe nel fatto che la prima comporta un riesame nel merito dell'atto al momento della sua emanazione; la seconda, invece, una valutazione della opportunità di tenere in vita il rapporto creato dall'atto in relazione a mutate situazioni di fatto; tale diversità, ammesso che esista, non influisce sul regime giuridico dell'atto. La pronuncia di decadenza La pronuncia di decadenza, è un atto di ritiro, con efficacia ex nunc (cioè dalla sua adozione) che la P.A. utilizza nei confronti di precedenti atti ampliativi delle facoltà dei privati, in caso di: - inadempimento degli obblighi e degli oneri incombenti sui destinatari; - mancato esercizio da parte dei medesimi delle facoltà derivanti dall'atto amministrativo; - venir meno di requisiti necessari sia per la costituzione che per la continuazione del rapporto. Il mero ritiro È un atto di ritiro che si esplica nei confronti di atti non ancora efficaci, come, per esempio, per gli atti del procedimento non ancora perfezionatosi, gli atti privi di un requisito di esecutività o di obbligatorietà, ovvero gli atti per loro natura inefficaci (ad es.: atti nulli). Perché possa farsi luogo al ritiro è condizione sufficiente l'accertamento della illegittimità o inopportunità dell'atto. 19. La sanatoria dell'atto amministrativo viziato: la convalescenza e la conservazione L'atto amministrativo che non sia radicalmente nullo (e, quindi, improduttivo di effetti) ma solo annullabile può essere, anziché ritirato, sanato con una successiva manifestazione di volontà da parte della P.A. Si distinguono al riguardo ipotesi di convalescenza e conservazione. La convalescenza Nella convalescenza, che tende direttamente ad eliminare il vizio che inficia l'atto, rientrano le figure di:  convalida: è un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo, con cui vengono eliminati i vizi di legittimità di un atto invalido precedentemente emanato dalla stessa autorità. Il provvedimento di convalida deve contenere: - l'atto che si intende convalidare; - l'individuazione del vizio da cui l'atto è affetto; - la volontà di rimuovere il vizio invalidante (cd. «animus convalidandi»). Naturalmente, come tutti i provvedimenti discrezionali, anche la convalida deve essere disposta solo quando vi sia un interesse pubblico a sanare l'atto viziato. La convalida opera ex nunc, ma poiché si collega ad un atto precedentemente emanato conservandone gli effetti anche nel tempo intermedio, di fatto opera ex tunc; 30  ratifica: è un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo, con cui viene eliminato il vizio di incompetenza relativa da parte dell'autorità astrattamente competente, la quale si appropria di un atto emesso da autorità incompetente dello stesso. Si differenzia dalla convalida solo per l'autorità che pone in essere l'atto (che non è la stessa autorità emanante), e per il vizio sanabile (che è solo di incompetenza relativa);  sanatoria: è una forma di convalescenza propria di quegli atti che sono invalidi o per mancanza di un presupposto di legittimità o per il mancato compimento di un atto preparatorio del procedimento. L'autorità provvede a sanare ex post l'atto, facendo verificare il presupposto o compiendo l'atto omesso, sempre che, in questo caso, ciò sia possibile. La conservazione La conservazione tende a rendere l'atto, nonostante la sua invalidità, inattaccabile da parte dei soggetti destinatari con i ricorsi amministrativi o giurisdizionali. Le ipotesi sono: - consolidazione: è una causa di conservazione oggettiva dell'atto amministrativo che dipende dal decorso del termine, entro il quale l'interessato avrebbe dovuto presentare ricorso. Trascorso tale termine, infatti, l'atto amministrativo diviene inoppugnabile e, pur restando invalido, non può essere più impugnato «ab esterno»; - acquiescenza: è una causa di conservazione soggettiva dell'atto amministrativo, che dipende da un comportamento con cui il soggetto privato, dimostrando con manifestazioni espresse o per fatti concludenti, di essere d'accordo con l'operato della P.A., si preclude la possibilità di impugnare l'atto amministrativo; - conversione: consiste nel considerare un atto invalido come appartenente ad un altro tipo, valido, di cui esso presenta i requisiti di forma e di sostanza; - conferma: è una manifestazione di volontà con cui l'autorità ribadisce una sua precedente determinazione, eventualmente ripetendone il contenuto. L’atto di conferma assolve ad una funzione meramente conservativa degli effetti che si considerano sempre causalmente connessi al provvedimento confermato. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO La modalità tipica in cui si esplica il potere amministrativo è rappresentata dal provvedimento amministrativo mediante il quale si concretizza e formalizza la volontà della P.A. su una determinata situazione o realtà. La procedura che precede l'adozione dello stesso provvedimento prende il nome di procedimento amministrativo. Si può perciò definire il procedimento amministrativo come «la serie coordinata di atti e di operazioni volta a prefigurare un assetto di interessi tali da consentire di perseguire, per il tramite di un atto conclusivo, il fine pubblico, garantendo le previste forme di tutela in seno alla istruttoria ed arrecando il minor pregiudizio possibile agli interessi compresenti» . Pertanto, il procedimento si configura quale presupposto per la emanazione del provvedimento finale, mediante l'accertamento e la valutazione degli interessi (pubblici e privati) In gioco e la garanzia della democraticità e della partecipazione dei soggetti privati. Il procedimento risponde a molteplici esigenze quali:  l'accertamento; la valutazione dei vari dati di fatto e dei diversi interessi pubblici e privati coinvolti dall'azione amministrativa che la P.A. deve tener presenti nell'emanazione dei provvedimenti;  il coordinamento dell'operato e del parere dei vari organi che intervengono nell'emanazione dell'atto;  l'esercizio dell'attività di controllo;  la garanzia che anche l'interessato venga sentito prima dell'emanazione dell'atto e possa così far valere le proprie ragioni, riducendosi così i successivi ricorsi. 2. La L. 241/1990 sul procedimento amministrativo Fino all'entrata in vigore della L 241/1990, recante norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, mancava nel nostro ordinamento una disciplina generale del procedimento amministrativo. Solo con la L. 241/1990, improntata a principi come quello della trasparenza e della partecipazione, è stato sancito il passaggio da un'attività amministrativa frutto di una imposizione autoritativa della pubblica amministrazione, ad un'attività che tende ad essere sempre più il risultato di una concertazione con il destinatario del provvedimento amministrativo. Successivamente, con la L 15/2005 e la L. 80/2005, Il legislatore ha ulteriormente proseguito nella strada dell'avvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione, prevedendo Istituti giuridici volti a realizzare dialogo e collaborazione reciproca (si pensi, a titolo esemplificativo: all'istituto del preavviso di rigetto; alla generalizzazione dell'esercizio consensuale del potere amministrativo; alla incentivazione dell'uso della telematica nei rapporti tra amministrazione e tra queste e i privati). Tale logica è alla base anche della novella alla L. 241/1990, operata dalla L. 69/2009, che, in un'ottica di semplificazione e razionalizzazione dell'azione amministrativa, punta a definire una pubblica amministrazione sempre più efficiente e sollecita nel rapportarsi con le esigenze del cittadino. Altri interventi normativi negli ultimi anni hanno contribuito a ridisegnare il volto dell'iter procedimentale nell'ottica del perseguimento dell'efficienza e della trasparenza (si pensi ai D. Lgs. 104/2010, recante il Codice del processo amministrativo, il quale ha trasposto tutte le disposizioni prettamente processualistiche di cui alla L. 241/1990 nel Codice stesso) nonché nella direzione della repressione di fenomeni di illegalità e di corruzione nella P.A. (L. 190/2012 e D.Lgs. 33/2013, cd. T.U. trasparenza). Ulteriori interventi normativi sono da ascriversi al D.L. 69/2013, conv. in L. 98/2013, che ha previsto, tra l'altro, il diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo da parte dell'istante, nel caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento e alla L. 124/201.5 (cd. legge delega di riforma della P.A.). Le disposizioni della L. 241/1990 si applicano (ex art. 29) alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali nonché alle società con totale o prevalente capitole pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative. Le disposizioni di cui agli articoli 2bis (responsabilità per il ritardo nella conclusione del procedimento), 11 (accordi) 15 (accordi tra pubbliche 31 amministrazioni) e 25, commi 5, 5bis e 6 (tutela giurisdizionale dei diritto di accesso) nonché quelle del capo IVbis (efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo) si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche. Le Regioni e gli enti locali regolano le materie disciplinate dalla L.241/1990 nel rispetto delle garanzie costituzionali e della tutela del cittadino. Inoltre, è specificato che attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell'interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l'accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti (comma 2bis); a queste ipotesi deve aggiungersi la disciplina sulla presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni e quella degli istituti della segnalazione certificata di inizio attività, del silenzio assenso e della conferenza di servizi, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano (comma 2ter). Infine, si prevede che le Regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2bis e 2ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela (comma 2quater); e, infine, che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione a quanto detto, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione (comma 2quinquies). 3. Le fasi del procedimento Il procedimento amministrativo si svolge in quattro fasi principali: 1. Fase d'iniziativa: è quella in cui prende avvio il procedimento e attraverso la quale vengono introdotti sia l'interesse pubblico primario che gli interessi secondari di cui sono titolari i privati interessati all'oggetto del provvedimento da emanare. Al riguardo, sì possono avere procedimenti:  ad iniziativa privata, i cui tipici atti sono le istanze (domande dei privati Interessati, tendenti ad ottenere un provvedimento a loro favore), le denunce (dichiarazioni che vengono presentate dai privati ad un'autorità amministrativa, al fine di provocare l'esercizio dei suoi poteri con l'emanazione di un provvedimento) ed i ricorsi (reclami dell'interessato intesi a provocare un riesame di legittimità o di merito degli atti della PA ritenuti lesivi di diritti o interessi legittimi);  ad iniziativa di ufficio. È autonoma, quando l'attività propulsiva promana dallo stesso organo competente per l'emissione dei provvedimenti centrale o conclusivo. È eteronoma, quando l'atto di iniziativa proviene da una PA diversa da quella procedente e a cui spetta emanare la decisione finale. Ta le iniziativa si attua attraverso richieste, che sono atti amministrativi consistenti in manifestazioni di volontà con cui l'autorità amministrativa competente si rivolge ad altra autorità per sollecitare l'emanazione di un atto che altrimenti non potrebbe essere emanato oppure proposte, che sono manifestazioni di giudizio dell'organo propulsivo circa il contenuto da dare all'atto. 2. Fase istruttoria: in tale fase si acquisiscono e si valutano i singoli dati pertinenti e rilevanti ai fini dell'emanazione del provvedimento. È normalmente di competenza della stessa autorità cui spetta l'adozione dei provvedimento finale, ma il privato può collaborare indicando i mezzi di prova o rispondendo a quesiti e questioni o integrando con documentazioni. Le attività della fase istruttoria, caratterizzate dalla incisiva partecipazione dei privati (principio del giusto procedimento), tendono alla: a) acquisizione dei fatti, ossia le condizioni di ammissibilità (posizione legittimante, interesse a ricorrere), i requisiti di legittimazione (cittadinanza, titolo di studio) e le circostanze di fatto (rilevabili con accertamenti semplici quali ispezioni, inchieste etc.); b) acquisizione degli interessi, ossia la raccolta degli interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento, con conseguente partecipazione dei portatori degli stessi; c) elaborazione di fatti ed interessi, nella quale rientrano le richieste di pareri. 3. Fase costitutiva: è la fase deliberativa del procedimento, in cui si determina il contenuto dell'atto. Al termine di questa seconda fase l'atto è perfetto, ma non ancora efficace. Quando l'atto è di competenza di un organo collegiale la fase costitutiva costituisce, a sua volta, un procedimento (cd. subprocedimento), in quanto l'atto verrà posto in essere dopo che il collegio si è riunito, ha discusso ed ha votato la delibero. 4. Fase d'integrazione dell'efficacia: l'atto già perfetto diviene efficace. Vi rientrano:  gli atti di controllo (il controllo deve essere eseguito dagli organi competenti);  gli atti di comunicazione: gli atti possono essere recettizi o non recettizi, a seconda che la comunicazione agli interessati costituisca o meno presupposto indispensabile per la loro efficacia (es. notificazione; pubblicazione). 4. Tempistica procedimentale e profili di responsabilità I termini per la conclusione del procedimento e il potere sostitutivo in caso di inerzia Ai sensi dell'art. 2 L. 241/1990, riguardante la tempistica dell'iter procedimentale:  salvo diverso termine, stabilito per legge o con diverso provvedimento, il termine generate per la conclusione dei procedimenti amministrativi è di 30 giorni (art. 2, comma 2);  per le amministrazioni statali, possono essere individuati termini non superiori a 90 giorni per la conclusione dei relativi procedimenti, mediante decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 2, comma 3);  in presenza di particolari presupposti per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali il termine di 90 giorni può essere ampliato, fino ad un massimo di 180 giorni, mediante 32 4) il preavviso di rigetto (art. 10bis). Nell'ottica di ridurre il contenzioso tra cittadini e PA, e di rafforzare il profilo della trasparenza dell'azione amministrativa, l’art.10bis della L. 241/1990 prevede che nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, deve comunicare tempestivamente agli interessati i motivi ostativi all'accoglimento della domanda. Gli interessati hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La suddetta comunicazione interrompe i termini di conclusione del procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni. Laddove le osservazioni non vengano accolte ne va data ragione nel provvedimento finale. Tra i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza non possono essere addotti inadempienza o ritardi attribuibili all'amministrazione. L'applicazione del principio del giusto procedimento consente ai privati di tutelare i propri interessi già nel corso del procedimento, senza dovere necessariamente attendere la conclusione dell'iter procedimentale ed impugnare, in via amministrativa o giurisdizionale, il provvedimento finale. La disciplina del preavviso di rigetto non si applica nei confronti delle procedure concorsuali e dei procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali; 5) la stipulazione di accordi integrativi e sostitutivi (art. 11). Nella ricerca di un'azione amministrativa condivisa tra P.A. e privato, il legislatore ha previsto due forme di accordi: gli accordi integrativi e gli accordi sostitutivi; 6) la predeterminazione dei criteri per l'attribuzione dei vantaggi economici (art. 12). La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici a persone ed enti pubblici e privati è subordinata, onde garantire la trasparenza e l'imparzialità dell'azione amministrativa, alla predeterminazione da parte della P.A. competente, dei criteri e delle modalità cui la stessa deve attenersi. La violazione di tali criteri determina l'illegittimità dell'atto per violazione di legge. 7. La semplificazione dell'azione amministrativa Il Capo IV (artt. 14-21) della L. 241/1990 contiene una serie di disposizioni di notevole rilievo, dirette a snellire l'azione amministrativa e, di conseguenza, ad uniformare la stessa ai principi e ai criteri di economicità, efficienza, imparzialità e trasparenza. La conferenza di servizi La conferenza di servizi (artt. 14 e ss. L. 241/1990, come novellati dal D.Lgs. 127/2016) costituisce una forma di cooperazione tra le pubbliche amministrazioni che ha lo scopo di realizzare, attraverso l'esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti, la semplificazione di taluni procedimenti amministrativi particolarmente complessi. Vi sono varie tipologie di conferenza di servizi. In particolare, la conferenza di servizi istruttoria può essere indetta qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, ovvero in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati (comma 1). L'art. 14, comma 2, disciplina, invece, la conferenza di servizi decisoria, che viene convocata quando bisogna assumere decisioni concordate tra varie amministrazioni. La conferenza di servizi decisoria è sempre indetta dall'amministrazione procedente quando la conclusione positiva del procedimento è subordinata all'acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, resi da diverse amministrazioni, inclusi i gestori di beni o servizi pubblici. Quando l'attività del privato sia subordinata a più atti di assenso, comunque denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti, di competenza di diverse amministrazioni pubbliche, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell'interessato, da una delle amministrazioni procedenti. Il comma 3 della menzionata disposizione, infine, prevede la figura della conferenza di servizi cd. preliminare per progetto di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi l'amministrazione procedente, su motivata richiesta dell'interessato, corredata da uno studio di fattibilità, può invero indire una conferenza preliminare finalizzata a indicare al richiedente, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivo, le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari pareri, intese,concerti, nulla osta, autorizzazioni, concessioni o altri atti di assenso, comunque denominati. In particolare, si prevede che la conferenza decisoria si svolga, ordinariamente, in forma semplificata e in modalità asincrona, cioè senza che siano convocate riunioni fisiche ma mediante l'invio di documenti per via telematica. Solo quando é strettamente necessario, anche In relazione alla complessità della determinazione da assumere, l'amministrazione procedente può indire una conferenza in forma simultanea ed in modalità sincrona. Alla riunione è prevista la partecipazione contestuale (anche in via telematica) dei rappresentati delle amministrazioni competenti ed è stabilito che i lavori si concludano non oltre 45 giorni dalla data della riunione. In ogni caso, la conferenza si conclude con l'adozione di una determinazione motivata di conclusione della stessa, che sarà positivo o negativa, comportando, come effetto, l'accoglimento o il rigetto della domanda. I nuovi artt.14quater e 14quinquies della legge sul procedimento disciplinano rispettivamente la decisione della conferenza e i rimedi esperibili, dalle amministrazioni dissenzienti, avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza. La determinazione conclusiva sostituisce ogni atto di assenso di competenza delle amministrazioni o dei gestori di beni o servizi pubblici; laddove adottata all'unanimità, essa è immediatamente efficace, mentre in caso di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l'efficacia è sospesa per il periodo utile a consentire l'esperimento dei rimedi previsti. Avverso la determinazione conclusiva è esperibile, infatti, entro 10 giorni dalla comunicazione, opposizione all'autorità individuata, che ne sospende l'efficacia. Gli accordi Gli accordi fra amministrazioni pubbliche (art. 15) sono finalizzati a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di pubblico interesse. Un esempio di tali accordi sono gli «accordi di programma». 35 Il silenzio devolutivo La figura del silenzio devolutivo (art. 17) comporta la possibilità di richiedere ad altri organi valutazioni tecniche di necessaria acquisizione ai fini dell'adozione del provvedimento finale, che quelli precedentemente aditi non hanno effettuato. In tali casi, il responsabile del procedimento deve richiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari. Tale principio non si applica nel caso le valutazioni debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio e della salute dei cittadini. Il sistema delle autocertificazioni Il ricorso all'autocertificazione (art. 18) consente al privato di poter provare, nei suoi rapporti con la P.A., determinati fatti, stati e qualità a prescindere data esibizione dei relativi certificati, semplicemente presentando una dichiarazione cd. sostitutiva. La materia è disciplinata dal D.P.R. 445 del 28-12-2000 (Testo Unico in materia di documentazione amministrativa), La citata normativa detta una disciplina della documentazione amministrativa capace di contemperare, da un lato, le esigenze della certezza pubblica, e dall'altro lato, quelle di semplificazione dell'attività amministrativa. Tra tutti gli strumenti di semplificazione della documentazione amministrativa, di grande diffusione, utilizzo ed efficacia sono le dichiarazioni sostitutive, generalmente conosciute come autocertificazioni, che consentono al cittadino di sostituire un atto amministrativo di certezza con una propria dichiarazione. In particolare, si distinguono:  le dichiarazioni sostitutive di certificazioni (art. 46), con cui l'interessato può sostituire a tutti gli effetti ed a titolo definitivo, attraverso una propria dichiarazione sottoscritta, certificazioni amministrative relative a fatti, stati e qualità risultanti da registri custoditi dalla pubblica amministrazione. La dichiarazione sostitutiva dì certificazione deve necessariamente essere sottoscritta dall'interessato, ma non è richiesta, per la sua validità, l'autenticazione della firma.;  con le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, invece, ex art. 47 del D.P.R. 445/2000, con cui l'interessato può comprovare tutti quei fatti, stati e qualità personali, di cui ha diretta conoscenza, che non risultano compresi tra quelli per cui è possibile il ricorso alla dichiarazione sostitutiva di certificazione, con la sola eccezione di quelli per cui questa possibilità sia esplicitamente esclusa da una legge. La differenza tra le due dichiarazioni è evidente. Mentre nel primo caso vengono partecipate a terzi informazioni che corrispondono, totalmente o parzialmente, al contenuto di altri atti preesistenti, trascritti in pubblici registri, albi o elenchi, nel secondo caso vengono partecipate a terzi informazioni concernenti stati, qualità personali e fatti, che si reputano certi, purché siano a diretta conoscenza del soggetto che redige e sottoscrive la medesima dichiarazione. Ai sensi dell'art. 74 D.P.R. 445/2000, la mancata accettazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazione o dl atto di notorietà costituisce violazione dei doveri d'ufficio. Il comma 2 dell'art. 18 L. 241/1990 stabilisce, poi, nell'ottica della semplificazione dei rapporti con il cittadino, che i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'i-struttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni: si tratta dell'istituto dell'accertamento d'ufficio, anch'esso ripreso dal T.U. documentazione amministrativa, D.P.R. 445/2000 (art. 43). La P.A. procedente può solo richiedere agli interessati. gli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Inoltre è stabilito che spetta al responsabile del procedimento accertare d'ufficio i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare. Il certificato Il certificato è il documento rilasciato da una amministrazione pubblica che ha funzione di ricognizione, riproduzione o partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche (art. 1, comma 1, lett. f), D.P.R. 445/2000). Da tale definizione si evince che il certificato non è altro che uno strumento di comunicazione, grazie al quale è possibile la circolazione, all'interno dell'ordinamento, di informazioni diverse da tutte le altre in quanto dotate di quella particolare qualità che è la certezza Ai certificati si applicano gli artt. 40 e ss. del D.P.R. 445/2000. In particolare, l'art. 41 del D.P.R. 445/2000 detta la disciplina sulla validità del certificati rilasciati dalle i amministrazioni pubbliche. Il legislatore ha distinto due ipotesi specifiche, in relazione all'oggetto della certificazione: mentre i certificati attestanti stati, qualità personali e fatti non soggetti a modificazioni hanno validità Illimitata, le restanti certificazioni (attestanti situazioni suscettibili di cambiamento nel tempo) hanno validità di sei mesi dalla data di rilascio, salvo diversa disposizione di legge o regolamento che prevedono una validità superiore. Presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni L'art. 18bis L. 241/1990, introdotto dal D.Lgs. 126/2016, prevede che dell'avvenuta presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni venga rilasciata Immediatamente, anche in via telematica, una ricevuta, che attesta l'avvenuta presentazione dell'istanza, della segnalazione e della comunicazione e indicai termini entro i quali l'amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento dell'istanza. Il silenzio-assenso Ai sensi dell'art. 20 della L 241/1990 (anch'esso novellato dal D.Lgs. 126/2016), nei procedimenti ad istanza di parte, per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento della detta domanda, senza necessità di ulteriori istanze, se la P.A. non comunica all'interessato, nel previsto termine di conclusione del procedimento, il provvedimento di rigetto ovvero non indice una conferenza di servizi. Tali termini decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato. 36 L'art. 20, comma 4, prevede che il meccanismo del silenzio assenso non si applica per gli atti e nel procedimenti concernenti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente e la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità; né si applica agli atti Imposti dalla normativa comunitaria, o ai casi In cui la legge qualifica il silenzio come rigetto dell'istanza, e nemmeno agli atti e ai procedimenti che le stesse amministrazioni possono successivamente individuare. Ogni controversia relativa all'applicazione della disposizione in commento è devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A. L'art. 17bis della L. 241/1990 disciplina l'istituto del silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche. Esso prevede che, se per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta da parte di altre amministrazioni pubbliche o di gestioni di beni o servizi pubblici, gli stessi dovranno essere resi entro trenta giorni. Il termine potrà essere interrotto se l'amministrazione che deve pronunciarsi presenta richieste istruttorie. Nel caso in cui la P.A. non si pronunci entro questo termine, scatterà il silenzio assenso e, pertanto, l'assenso, il concerto o il nulla osta si intenderanno acquisiti. Il silenzio assenso si applicherà anche ai casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta dl competenza delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute del cittadini, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni statali o di altre amministrazioni pubbliche. In questi casi, a meno che la normativa non preveda termini diversi, i pareri dovranno arrivare entro novanta giorni, dopodiché, anche nel caso specifico, si determinerà il silenzio assenso. 8. La segnalazione certificata di inizio attività, SCIA (art. 19) La segnalazione certificata di inizio attività (SCIA- ex dichiarazione di inizio attività) è un importante strumento di semplificazione nel contesto dei rapporti P.A. - cittadino. Essa, infatti, è stata adattata alle iniziative economiche attivabili dal privato nonché alle attività edilizie. L'art. 19 L. 241/1990 prevede che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio dl attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti dì programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell'interessato. Unica eccezione all'applicazione di tale disposizione riguarda i casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministra-zione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa UE. La segnalazione deve essere a sua volta accompagnata dalle dichiarazioni sostitutive dl certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti agli artt. 46 e 47 D.P.R. 445/2000, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia delle Imprese; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione. L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. Quest'ultima, tuttavia, conserva il potere di agire successivamente: infatti essa, In caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione certificata, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l'attività si Intende vietata. Con lo stesso atto motivato, in presenza di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale, l'amministrazione dispone la sospensione dell'attività intrapresa. Ai sensi dell'art. 19bis L. 241/1990, introdotto dal D.Lgs. 126/2016, in tema dì concentrazione dei regimi amministrativi, si prevede che sui sito istituzionale di ciascuna amministrazione debba essere indicato lo sportello unico, di regola telematico, al quale presentare la SCIA, anche in caso di procedimenti connessi di competenza di altre amministrazioni ovvero di diverse articolazioni interne dell'amministrazione ricevente; possono essere anche istituite più sedi di tale sportello, al solo scopo di garantire la pluralità dei punti di accesso sul territorio. Se per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA sono necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, l'interessato presenta un'unica SCIA allo sportello di cui sopra. SCIA e Sportello unico attività produttive Tra gli strumenti di semplificazione e snellimento dell'azione amministrativa si colloca anche lo Sportello Unico per le attività produttive (SUAP), che ha l'obiettivo di assicurare che un'unica struttura sia responsabile dell'intero procedimento, garantendo a tutti gli interessati l'accesso, anche in via telematica, al proprio archivio informatico contenente i dati concernenti le domande di autorizzazione e il relativo iter procedurale, gli adempimenti necessari per le procedure autorizzatone, nonché tutte le informazioni disponibili presso le strutture dl coordinamento regionale, comprese quelle relative alle attività promozionali. Con il D.P.R.160/2010, il SUAP e diventato l'unico soggetto pubblico competente a livello territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività. Esso deve assicurare al richiedente una risposta telematica unica e tempestiva in luogo degli altri uffici comunali e di tutte le amministrazioni pubbliche comunque coinvolte nel procedimento, costituendo, pertanto, un canale esclusivo tra imprenditore ed amministrazione, al fine di evitare ogni possibile duplicazione procedimentale. 37 2. IL diritto di accesso (artt. 22 e seguenti L. 241/1990) L'art. 22 L. 241/1990 definisce il «diritto di accesso», quale principio generale dell'ordi-namento, come il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi, ed individua come «interessati», tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso. In particolare, il D.P.R. 184/2006 (Regolamento recante la disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi) definisce l'ambito di applicazione soggettivo di tale diritto, precisando che esso è esercitabile nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o europeo, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l'accesso. Il soggetto che chiede l'accesso deve esplicita le ragioni sottese alla propria richiesta, dal momento che non è possibile che vi siano istanze di accesso preordinate ad un generico controllo sull'attività amministrativa, alla stregua di un'azione popolare. E’considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografico, elettromagnetica, o di qualunque altro specie, dei contenuto di atti, anche interni, o non relativi ad uno specifico pro-cedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. I soggetti passivi Sono obbligati a consentire l'esercizio del diritto di accesso in base all'art. 23 L. 241/1990;  le pubbliche amministrazioni  gli enti pubblici  aziende autonome e aziende speciali  gestori di pubblici servizi  autorità di garanzia e di vigilanza A questi soggetti, devono aggiungersi:  l'amministrazione dell'Unione europea. Il regolamento n. 1049/2001/CE stabilisce che qualsiasi cittadino dell'Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto ad accedere ai documenti delle istituzioni; stessa possibilità può essere concessa dalle istituzioni anche alle persone fisiche giuridiche non appartenenti ad alcuno Stato membro;  le imprese di assicurazione. Ai sensi dell'art. 146 D.Lg,s. 209/2005 (Codice delle assicurazioni private), le imprese di assicurazione esercenti l'assicurazione obbligatoria delta responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, sono tenute a consentire ai contraenti ed ai danneggiati il diritto di accesso agli atti a conclusione dei procedimenti dl valutazione, constatazione e liquidazione del danni che li riguardano. L'esercizio del diritto di accesso non è consentito quando abbia ad oggetto atti relativi ad accertamenti che evidenziano indizi o prove dl comportamenti fraudolenti. E, invece, sospeso in pendenza di controversie giudiziarie tra l'impresa ed il richiedente. 3. Esclusione dal diritto di accesso L'art. 24 L. 241/1990 prevede i casi di esclusione dal diritto di accesso. In primo luogo, vi sono i cd. limiti tassativi, ossia quelli sanciti direttamente dal legislatore senza che residui in capo alla P.A. alcun margine discrezionale dl apprezzamento. Trattasi di limiti riguardanti:  I documenti coperti da segreto di Stato;  documenti coperti da segreto o divieto di divulgazione espressamente previsti da legge e da norme regolamentari;  i procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;  l'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;  i procedimenti selettivi, relativamente ai documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relative a terzi. Le singole amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati, o comunque rientranti nella loro disponibilità, sottratti all'accesso, ai sensi di quanto previsto dal cit. comma 1 (art. 24, comma 2). Il comma 6 dell'art. 24 L. 241/1990 attribuisce poi al Governo il potere di limitare ulteriormente il diritto di accesso emanando un apposito regolamento di delegificazione, ai sensi dell'art. 17, comma 2, L. 400/1988, che disponga casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi. Le ipotesi nelle quali il Governo può esercitare questo rilevante potere sono oggi cinque, corrispondenti ad altrettanti «beni giuridici tutelati»: 1. quando dalla divulgazione dei documenti possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e allo difesa nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali; 2. quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria; 3. quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità; 4. quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni; 5. quando i documenti riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale dì lavoro e gli atti interni connessi all'espletamento del relativo mandato. 40 4. Modalità di esercizio L'esercizio del diritto di accesso è disciplinato dall'art. 25 L. 241/1990 nonché dal D.P.R. 184/2006. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, richiesti con istanza motivata rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente (art. 25, comma 1, L 241/1990). Accesso informale Ai sensi dell'art. 5 D.P.R. 184/2006, qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l'esistenza di controinteressati, il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione competente a formare l'atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente. in tal caso il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta, o gli elementi che ne consentano l'individuazione; specificare e, ove occorra, comprovare l'interesse connesso all'oggetto della richiesta; dimostra-re la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato. La richiesta è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, o altra modalità idonea. Ove provenga da una pubblica amministrazione, la richiesta è presentata dal titolare dell'ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo. Accesso formale La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, qualora individui soggetti controinteressati, invita l'interessato a presentare richiesta formale di accesso ed è tenuta a dare comunicazione agli stessi, inviando copia mediante raccomandata con avviso dì ricevimento, oppure per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare motivata opposizione, anche pervia telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, una volta accertata l'avvenuta ricezione della comunicazione. Tale iter deve concludersi entro 30 giorni, dalla richiesta, decorsi i quali quest'ultima si intende respinta (ari 6 D.P.R. 184/2006). Analogamente si prevede la richiesta di accesso formale qualora:  non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta in via informale;  vi siano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità e sui suoi poteri rappresentativi;  vi siano dubbi sulla sussistenza dell'interesse alla stregua delle Informazioni e delle documentazioni fornite;  vi siano dubbi sulla accessibilità del documento o sull'esistenza di controinteressati. La risposta della P.A. e il potere di differimento Al termine del procedimento la P.A., nel caso in cui ritenga dl non accogliere la richiesta, può:  respingerla, se la richiesta riguarda documenti esclusi ex art. 24 dall'accesso;  limitarla ad alcuno soltanto dei documenti richiesti ove gli altri non siano accessibili, ai sensi sempre dell'art. 24;  differirlo, ai sensi del comma 4 dell’art. 24, nel caso in cui la PA, anziché respingere la richiesta, reputi sufficiente spostare l'esercizio dell'accesso ad un momento successivo. L'art. 24, comma 4, L. 241/1990 prevede, infatti, che l'accesso al documenti amministrativi non possa essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento. Il differimento è disposto soprattutto nella fase preparatoria del provvedimenti In relazione ai documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa, ma è comunque da ritenere uno strumento preferenziale rispetto alla definitiva esclusione dall'accesso. L'atto che dispone il differimento dell'accesso ne indica anche la durata. Si ricorda, infine, che il rifiuto, la limitazione o il differimento dell'accesso richiesto In via formale devono essere motivati. 5. La tutela del diritto di accesso Il ricorso giurisdizionale avverso il diniego di accesso La tutela giurisdizionale del diritto di accesso risulta dagli articoli 25 L. 241/1990 e 116 del Codice del processo amministrativo. Il relativo giudizio si svolge dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. In particolare, sul presupposto che, decorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta, questa si intende respinta e che, in tal caso, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale (art. 25, comma 4, L. 241/1990), il citato comma 1 dell'art. 116 del Codice dispone che «contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un controinteressato». L'amministrazione, secondo quanto disposto dal successivo comma 3 dell'articolo in esame, può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente. Il giudizio incardinato ex art. 116, comma 1, che si svolge con rito camerale, si conclude con una sentenza in forma semplificata che può, pertanto, essere di rigetto del ricorso o di accoglimento dello stesso. in tale ultimo caso, sussistendone i presupposti, il giudice ordina l'esibizione dei documenti richiesti e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti entro un termine non superiore, di norma, a 30 giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità (comma 4). La proposizione di un ricorso avverso determinazioni amministrative concernenti l'accesso nel caso in cui sia già pendente un giudizio amministrativo è disciplinata dal comma 2 dell'art. 116 del Codice. In tal caso, il legislatore ha previsto che il ricorso può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notifica all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L'istanza può essere decisa con un'ordinanza separatamente dal giudizio principale, oppure con la sentenza che definisce quest'ultimo. Il ricorso al difensore civico L'art. 25, comma 4, L. 241/1990 prevede (in caso di rifiuto espresso o implicito o di differimento dell'accesso) la possibilità di ricorrere nello stesso termine stabilito per la proposizione del ricorso giurisdizionale (in alternativa al ricorso al T.A.R.), al 41 difensore civico competente per ottenere che venga riesaminata la determinazione. Se quest'ultimo ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica all'autorità disponente che dovrà provvedere nel termine di 30 giorni dal ricevimento della richiesta. In mancanza l'accesso è consentito. Nello stesso ari 25 si precisa che la competenza del difensore civico è ristretta agli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, mentre nei confronti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato il ricorso per riesame deve essere inoltrato presso la Commis-sione per l'accesso ai documenti amministrativi, di cui all'art. 27 L. 241/1990, nonché presso l'amministrazione resistente. La Commissione per l'accesso al documenti amministrativi Ai sensi dell'art. 27 L. 241/1990 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stata istituita la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. Tale organo, nominato con decreto presidenziale, è adibito:  alla vigilanza sull'attuazione del principio di pieno conoscibilità dell'attività della P.A.;  alla predisposizione di una relazione annuale sulla trasparenza dell'attività amministrativa, da comunicarsi alle Camere ed al Presidente del Consiglio dei Ministri;  all'invio al Governo dl proposte in ordine a modifiche legislative funzionalizzate ad una più ampia garanzia del diritto di accesso. L’art. 11 D.P.R. 184/2006 prevede che la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi ha facoltà di:  esprimere pareri per coordinare l'attività organizzativa delle amministrazioni in materia di accesso e per garantire l'uniforme applicazione dei principi;  decidere i ricorsi presentati dinanzi ad essa avverso il diniego espresso o tacito dell'accesso, ovvero avverso il provvedimento di differimento dell'accesso, nonché i ricorsi dei controinteressati avverso le determinazioni che consentono l'accesso. Il Governo può acquisire il parere della Commissione ai fini dell'emanazione del regolamento di cui all'articolo 24, comma 6, L.241/1990 (in cui si prevedono le ipotesi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi), delle sue modificazioni e della predisposizioni e di normative comunque attinenti al i diritto di accesso. 6. L'accesso civico (artt. 5 e seguenti D.Lgs. 33/2013) L'accesso civico è stato introdotto dal D.Lgs. 33/2013 quale espressione dei principi di pubblicità e trasparenza: si tratta di un istituto assolutamente innovativo per il nostro ordinamento, correlato all'obbligo per le amministrazioni pubbliche di pubblicare informazioni, documenti e dati sui propri siti istituzionali, circa ogni aspetto della propria organizzazione ed attività. L'accesso civico, a sua volta, ha due «volti», come si evince dall'art. 5 D.Lgs. 33/2013, novellato dal D.Lgs. 97/2016, di attuazione della riforma Madia della PA.:  da un lato, vi è quello cd. «semplice», disciplinato dal comma 1 dell'art. 5 D.Lgs. 33/2013, ai sensi del quale l'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione. In sostanza, al dovere dl pubblicazione si aggiunge il diritto del privato di accedere ai documenti, dati e informazioni interessati dall'inadempienza;  dall'altro lato, vi è l'accesso civico «generalizzato», delineato nel comma 2 dell'art. 5 cit., secondo cui, per favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e per promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del D.Lgs. 33/2013 medesimo. E proprio in relazione a tale fattispecie che si è parlato, più specificamente, di «Freedom of Informotion Act» (Foia): ciò si traduce nella possibilità per i cittadini di accedere a dati e documenti della pubblica amministrazione anche se non resi pubblici, senza peraltro dover dimostrare un interesse diretto. Entro 30 giorni le amministrazioni dovranno rilasciare gratuitamente i dati e í documenti richiesti. L'accesso civico generalizzato conosce, tuttavia, alcune ipotesi di esclusione e/o limitazione. In particolare, esso è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela dl uno degli interessi pubblici inerenti a: a) sicurezza pubblica e ordine pubblico; b) sicurezza nazionale; c) difesa e questioni militari; d) relazioni internazionali; e) politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) conduzione di indagini sui reati e loro perseguimento; g) regolare svolgimento di attività ispettive. Esso è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: protezione dei dati personali; libertà e segretezza della corrispondenza; interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali. L'esclusione dello stesso, invece, si ha nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge. L'esercizio dell'accesso civico, in entrambe le versioni, non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva dei richiedente. L'istanza di accesso civico, a sua volta, deve identificare i dati, le informazioni o i documenti richiesti e non richiede motivazione, può essere trasmessa anche per via telematica e va presentata alternativamente ad uno dei seguenti uffici: a) all'ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti; b) all'Ufficio relazioni con il pubblico; c) ad altro ufficio indicato dall'amministrazione nella sezione «Amministrazione trasparente» del sito istituzionale; 42 rientranti in particolari categorie, come quelli sensibili e quelli relativi a condanne penali o reati. Il regolamento europeo, all'art. 4, definisce il dato personale come qualsiasi informazione riguardante una persona fisica, identificata o identificabile (interessato). La normativa oggi in vigore si discosta notevolmente dalla precedente impostazione e le originarie definizioni di "dati sensibili” e di dati giudiziari lasciano il posto alle più generiche "categorie particolari di dati personali" (art. 9 reg.) e "dati personali relativi a condanne penali e reati" (art. 10 reg.), richiamati pedissequamente nella nuova formulazione del nostro Codice. Il legislatore del 2018, nel modificare le disposizioni codicistiche, ha espressamente stabilito che le espressioni «dati sensibili» e «dati giudiziari» ovunque ricorrano, sì intendono riferite, rispettivamente, alle categorie particolari di dati personali di cui all'art. 9 dei regolamento (UE) 2016/679 e ai dati personali relativi a condanne penali e reati, di cui all'art.10 dei medesimo regolamento. In particolare, secondo l'art. 9 del regolamento nel novero delle "categorie particolari di dati personali" rientrano, poi, i dati personali che rivelino "l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale", nonché i "dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona". Secondo quanto stabilito nell'art. 4 del testo europeo: i dati genetici sono i dati personali relativi alle caratteristiche genetiche ereditarie o acquisite di una persona fisica che forniscono informazioni univoche sulla fisiologia o sulla salute di detta persona fisica, e che risultano in particolare dall'analisi di un campione biologico della persona fisica in questione (comma 1, n. 13); i dati biometrici sono i dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l'identificazione univoca, quali l'immagine facciale o i dati dattiloscopici (comma 1, n. 14); i dati relativi alla salute, infine, sono i dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica (comma 1, n. 15). Lo stesso discorso va fatto anche per il dato giudiziario che di fatto non scompare del tutto, ma viene presentato sotto la veste del «dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza«, di cui all'art. 10 del regolamento. Il dato personale è "trattato" quando è sottoposto a qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l'ausilio di processi automatizzati ed applicate a dati personali o insiemi di dati personali: la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l'adattamento o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l'interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione. I dati personali, ai sensi dell'art. 5 del regolamento n. 2016/679 devono essere:  trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell'interessato («liceità, correttezza e trasparenza»);  raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in un modo che non sia incompatibile con tali finalità iniziali («limitazione della finalità»);  adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati («minimizzazione dei dati»);  esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere adottate tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati («esattezza»),  conservati in una forma che consenta l'identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati («limitazione della conservazione»). Non meno importante è la previsione che il trattamento deve garantire un'adeguata sicurezza dei dati personali, compresa la protezione, mediante misure tecniche e organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali («integrità e riservatezza»). Il trattamento del dato personale deve essere anche lecito. A tal fine, il regolamento stabilisce le condizioni di liceità (art.6) e dispone che un trattamento è lecito solo se e nella misura in cui ricorra almeno una delle condizioni indicate: a) che l'interessato abbia espresso il consenso al trattamento dei propri dati personali per una o più specifiche finalità; b) che il trattamento sia necessario all'esecuzione di un contratto di cui l'interessato è parte o all'esecuzione di misure precontrattuali adottate su richiesta dello stesso; c) che il trattamento sia necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento; d) che il trattamento sia necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell'interessato o di un'altra persona fisica; e) che il trattamento sia necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento; f) che il trattamento sia necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi. Il nostro Codice della privacy all'art 2ter individua unicamente in una norma di legge o, nel casi previsti dalla legge, di regolamento, la base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri. Il trattamento di categorie particolari dì dati personali L'art. 9 del GDPR stabilisce, come regola generale, il divieto di trattare dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona. Il successivo paragrafo 2 dell'art. 9 del GDPR, prevede delle eccezioni, prevedendo, ad es., che il trattamento di tali categorie di dati sia consentito qualora l'interessato ha prestato il proprio consenso esplicito al trattamento di tali dati personali per una o più finalità specifiche; il trattamento sia necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell'interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale il trattamento sia necessario per tutelare un interesse vitale dell'interessato o di un'altra persona fisica qualora l'interessato si trovi nell'incapacità fisica o giuridica di prestare il proprio consenso. L'art. 2sexies del Codice della privacy stabilisce che i trattamenti delle categorie particolari di dati personali necessari per motivi di interesse pubblico rilevante sono ammessi qualora siano previsti dal diritto dell'Unione europea ovvero, nell'ordinamento interno, da disposizioni di legge o, nei casi previsti dalia legge, di regolamento che 45 specifichino i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante, nonché le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato. Il legislatore individua poi, le ipotesi in cui ex lege è considerato rilevante l'interesse pubblico. Con riferimento ai dati genetici, biometrici e relativi alla salute, proprio per la loro peculiarità, lo stesso art. 9 del regolamento rimette agli Stati membri la possibilità di mantenere o introdurre ulteriori condizioni, comprese limitazioni, rispetto a quelle genericamente individuate dalla norma stessa. Nel nostro ordinamento, il legislatore del D.Lgs. 101/2018 ha inserito nel Codice della privacy un nuovo art. 2septies, dedicato alla previsione di misure di garanzia per il trattamento di questi dati, secondo cui tali dati possono essere trattati in presenza di una delle condizioni previste dallo stesso art. 9, par. 2 del regolamento ed in conformità alle misure di garanzia disposte dal Garante. Il trattamento di dati personali relativi a condanne penali e reati II trattamento di questa peculiare categoria di dato personale secondo il legislatore europeo per essere lecito, e quindi consentito, deve avvenire soltanto sotto li controllo dell'autorità pubblica o se il trattamento è autorizzato dal diritto dell'unione o degli stati membri che preveda garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati. Il nuovo art. 2octies del Codice della privacy prevede che il trattamento di dati personali relativi a condanne penali e a reati o a connesse misure di sicurezza che non avviene sotto il controllo dell'autorità pubblica, è consentito, ai sensi del citato art. 10 del regolamento, solo se autorizzato da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento, che prevedano garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati. In mancanza delle predette disposizioni di legge o di regolamento, i trattamenti dei dati in questione nonché le dette garanzie sono individuati con decreto del Ministro della giustizia, sentito il Garante. II trattamento di dati personali relativi a condanne penali e a reati o a connesse misure di sicurezza è consentito se autorizzato da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento, riguardanti, in particolare, tra le altre ipotesi: l'adempimento di obblighi e l'esercizio di diritti da parte del titolare o dell'interessato in materia di diritto del lavoro o comunque nell'ambito del rapporti di lavoro, nei limiti stabiliti da leggi, regolamenti e contratti collettivi; l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria; l'esercizio del diritto di accesso ai dati e ai documenti amministrativi, nei limiti di quanto previsto dalle leggi o dai regolamenti in materia; l'accertamento del requisito di idoneità morale di coloro che intendono partecipare a gare d'appalto, in adempimento di quanto previsto dalle vigenti normative in materia di appalti. Quando, invece, il trattamento avviene sotto il controllo dell'autorità pubblica trovano applicazioni le disposizioni previste dal precedente art. 2sexies, relative al trattamento di categorie particolari di dati personali. I dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati. 11. Il titolare dei dati: l'interessato L'interessato è la persona fisica identificata o identificabile che è titolare dei dati. In quanto titolare dei dati da trattare, il primo e più importante diritto è quello del consenso al trattamento. Per consenso si intende qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile, con la quale l'interessato manifesta li proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, a che í propri dati personali siano trattati. Qualora il trattamento si basi sul consenso, l'art. 7 del regolamento dispone che il titolare del trattamento deve essere in grado di dimostrare che l'interessato ha prestato il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali. il diritto di revocare il consenso prestato può essere esercitato in qualsiasi momento, ma la revoca non pregiudica la liceità del trattamento basata sul precedente consenso. Per poter prestare il consenso in modo consapevole, l'interessato deve essere preventivamente notiziato di una serie di informazioni relative al trattamento: a tale scopo risponde l'informativa rafforzata che il titolare del trattamento ha l'obbligo di fornire all'interessato prima che questi presti il consenso. Gli ulteriori diritti riconosciuti all'interessato sono: a) il diritto di accesso: si tratta del diritto di chiedere al titolare la conferma che sia o meno in corso il trattamento di dati personali che lo riguardano e in tal caso, di ottenere l'accesso ai dati personali e alle informazioni indicate. Il titolare del trattamento fornisce una copia dei dati personali oggetto di trattamento, ma in ogni caso il diritto di ottenere una copia incontra il limite di non dover ledere i diritti e le libertà altrui (art. 15 GDPR); b) il diritto alla cancellazione, cd. diritto all'oblio: esso consiste nel diritto dell'interessato di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e nell'obbligo del titolare del trattamento di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali (art.17 GDPR); c) il diritto alla portabilità dei dati: l'art. 20 del regolamento disciplina il diritto dell'interessato di ricevere in un formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo automatico, í dati personali che lo riguardano forniti a un titolare del trattamento e ha il diritto di trasmettere tali dati a un altro titolare del trattamento senza impedimenti da parte del titolare dei trattamento cui li ha forniti. Tale diritto può essere esercitato in presenza di due precise condizioni: che il trattamento si basi sul consenso o su un contratto e sia effettuato con mezzi automatizzati; d) il diritto di opposizione: consiste nel diritto dell'interessato di opporsi in qualsiasi momento, per motivi connessi alla sua situazione particolare, al trattamento dei dati personali che lo riguardano (art. 21 GDPR). In caso di opposizione, il titolare del trattamento si astiene dal trattare ulteriormente i dati personali, salvo che egli dimostri l'esistenza di motivi legittimi cogenti per procedere al trattamento che prevalgono sugli interessi, sui diritti e sulle libertà dell'interessato oppure per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria; e) il diritto a non essere sottoposto a decisioni automatizzate: l'art. 22 GDPR dispone che l'interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona. Tale previsione, però, non si applica nel caso in cui la decisione: a) sia necessaria per la conclusione o l'esecuzione di un contratto tra l'interessato e un titolare del trattamento; 46 b) sia autorizzata dal diritto dell'Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento, che precisa altresì misure adeguate a tutela dei diritti, delle libertà e dei legittimi interessi dell'interessato; c) si basi sul consenso esplicito dell'interessato. 12 Titolare del trattamento, responsabile e incaricati La nuova disciplina prevede una serie di figure coinvolte a vario titolo e con differenti attribuzioni nella complessa gestione del trattamento dei dati: titolare, responsabile e incaricati (oggi sono chiamati i designati). Il titolare del trattamento è colui che determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali: specificamente può trattarsi di una persona fisica o anche di una persona giuridica, di un'autorità pubblica, un servizio o altro organismo che operano singolarmente o insieme ad altri soggetti (art. 4 del Regolamento UE). Questa figura corrisponde pertanto al soggetto che ha la piena responsabilità di controllare che i dati vengano trattati in modo appropriato e sicuro, nel rispetto della legge. Tale ruolo gli viene affidato in base alla posizione che il soggetto occupa nell'ente in cui lavora (può trattarsi del datore di lavoro, oppure può occupare una posizione apicale). Il titolare deve essere in grado dl dimostrare sempre di aver fatto tutto quanto sia possibile per realizzare un sistema di privacy sicuro a tutela dell'interessato. Al titolare spetta, come visto, la cd. informativa all'interessato. Al titolare del trattamento si affianca un'altra figura, un soggetto fisico o giuridico, nominato dal titolare anche in base al rapporto fiduciario che intercorre tra i due, che abbia una competenza specialistica, una solida professionalità e capacità operative nella materia del trattamento dei dati personali: il responsabile del trattamento. Egli svolge una funzione di supporto al titolare nel trattamento dei dati, deve godere di esperienza, di capacità e affidabilità. In pratica, al responsabile il titolare chiede di eseguire specifici compiti di gestione e controllo nel trattamento, Se poi le esigenze lo richiedano, il titolare può designare più di un responsabile, da individuare per iscritto. Possono poi essere nominati gli incaricati del trattamento, tenuti ad operare sotto la diretta autorità del responsabile e ad elaborare i dati personali aì quali hanno accesso attenendosi alle istruzioni impartite (anche qui, la designazione va sempre fatta per iscritto). 13. Accountability e valutazione del rischio Il regolamento analizza specificamente due aspetti essenziali propri della figura del titolare e delle sue competenze: le responsabilizzazione e la valutazione del rischio. In particolare: a) accountabllity o responsabilizzazione: è l'obbligo del titolare di mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire, ed essere in grado di dimostrare, che il trattamento sia effettuato conformemente alla normativa europea (art.24 GDPR); b) risk based approach to data privacy o valutazione del rischio. Il rischio legato al trattamento consiste nell'impatto negativo che il trattamento potrebbe avere sulle libertà e i diritti degli interessati. I rischi per i diritti e le libertà delle persone fisiche possono derivare da trattamenti di dati personali suscettibili di cagionare un danno fisico, materiale o immateriale (art.35 GDPR) In particolare, la valutazione di Impatto del trattamento (D.P.I.A., cioè Data Protection Impact Assessment) è un onere posto direttamente a carico del titolare del trattamento, tenuto ad effettuare una valutazione preventiva delle conseguenze del trattamento dei dati sulle libertà e i diritti degli interessati. La valutazione del rischio deve essere fatta per ogni singolo trattamento, e in presenza di possibili rischi elevati, il titolare dovrà individuare le misure specifiche richieste per attenuare o eliminare il rischio. Data breach, violazione del dati personali Il Regolamento UE introduce quindi una più rigorosa valutazione del rischio nell'ambito del trattamenti dei dati personali. Le violazioni dei dati personali sona dette data breach: si sostanziano in violazioni di sicurezza che comportano- accidentalmente o in modo illecito- la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l'accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati. Esse sono quindi capaci di pregiudicare la riservatezza, l'integrità o la disponibilità di dati personali. Il Garante privacy elenca alcuni possibili esempi:  l'accesso o l'acquisizione dei dati da parte di terzi non autorizzati;  Il furto o la perdita di dispositivi informatici contenenti dati personali;  la deliberata alterazione di dati personali;  l'impossibilità di accedere ai dati per cause accidentali o per attacchi esterni, virus, malware ecc.;  la perdita o la distruzione di dati personali a causa di incidenti, eventi avversi, incendi o altre calamità;  la divulgazione non autorizzata dei dati personali. Ogni volta che un trattamento presenti dei rischi elevati per i diritti di libertà delle persone fisiche, il titolare del trattamento è tenuto ad effettuare una preventiva valutazione dell'eventuale impatto negativo del detto trattamento. Qualora, poi, un trattamento comporti la violazione dei dati personali, il titolare deve darne celere informazione all'autorità di controllo, ossia il Garante, senza ingiustificato ritardo e, ove possibile, entro 72 ore dal momento in cui ne è venuto a conoscenza, a meno che sia improbabile che la violazione dei dati personali presenti un rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche. 14. Il modello organizzativo data protection Altra importante novità del regolamento è data dalla previsione di specifiche misure che incidono sull’organizzazione dei soggetti che devono procedere al trattamento di dati personali, al fine di definire un valido sistema di data protection. Il Data Protection Officer (DPO) Il regolamento introduce, all'art. 37, una figura assolutamente nuova e sconosciuta negli ordinamenti nazionali: il Responsabile della protezione dei dati. La designazione di un DPO non è obbligatoria e generalizzata ma viene circoscritta alle sole ipotesi in cui: a) il trattamento è effettuato da un'autorità pubblica o da un organismo pubblico, 47 Il controllo incide sull'efficacia degli atti, paralizzandola qualora la Corte ricusi il visto (controllo preventivo di legittimità); b) Il controllo successivo di legittimità su singoli atti: tale tipo di controllo sì conclude con l'apposizione del visto o con la sua ricusazione; c) Il controllo sul bilancio dello Stato. Il giudizio di parificazione: L'art. 100 Cost. prevede che la Corte dei conti esercita il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. A tal fine, entro il 31 maggio dl ogni anno, il Ministero dell'economia e delle finanze trasmette alla Corte il rendiconto generale dello Stato, vale a dire il documento contabile nel quale sono riassunti i risultati delle operazioni compiute nel corso di un esercizio finanziario. d) Il controllo sugli enti sovvenzionati: la Corte dei conti svolge il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi provenienti dall'Unione europea, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. e) Il controllo sulle gestioni statali pubbliche in corso di svolgimento: in base a quanto previsto dalla L. 15/2009, se la Corte dei conti accerta gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme o da direttive del Governo, ne individua, in contraddittorio con la P.A, le cause e ne dà comunicazione, con decreto motivato del Presidente, al Ministro competente. f) Il controllo sugli equilibri di bilancio: la Corte verifica il rispetto degli equilibri di bilancio di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni, con riferimento al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. I BENI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 1. I beni pubblici Sono beni pubblici i beni che appartengono allo Stato o ad un altro ente pubblico (cd. criterio soggettivo o dell'appartenenza), destinati a soddisfare in modo diretto un pubblico interesse (cd. criterio oggettivo o della destinazione). II complesso di tali beni, definiti beni pubblici, costituisce il patrimonio dello Stato. Tali beni, proprio per la loro funzione d'interesse pubblico, sono assoggettati ad un regime particolare, diverso da quello che regola i beni privati. I beni pubblici si distinguono in demaniali e patrimoniali indisponibili. Tale distinzione si basa su un criterio puramente formale, e cioè sul fatto che la legge definisca il bene come demaniale o meno; infatti:  l'art. 822 c.c. elenca i beni che fanno parte del demanio pubblico;  l'art. 826 c.c. enumera le singole categorie di beni pubblici patrimoniali indisponibili. 2. I beni demaniali I beni demaniali presentano due caratteristiche fondamentali: a) sono sempre beni immobili o universalità di beni mobili; b) devono appartenere ad enti pubblici territoriali e cioè allo Stato, alle Regioni, alle Province, o ai Comuni. Demanio necessario I beni immobili costituenti il demanio necessario sono di esclusiva proprietà dello Stato e non possono che appartenere ad esso, per cui demanialità e appartenenza allo Stato sono due caratteristiche inscindibilmente connesse.Vi rientrano: il demanio marittimo, il demanio idrico e il demanio militare. Demanio accidentale (o eventuale) A differenza del demanio necessario, il demanio accidentale comprende beni che possono anche non essere di proprietà di enti pubblici territoriali. Qualora però lo siano, rientrano nel demanio e non nei beni patrimoniali indisponibili. I beni del demanio accidentale sono: il demanio stradale, ferroviario, aeronautico, gli acquedotti di proprietà degli enti pubblici territoriali e i beni di interesse storico, artistico ed archeologico. Demanio naturale e artificiale I beni del demanio naturale sono demaniali per se stessi, per natura: tali sono i beni del demanio necessario (tranne quello militare). I beni del demanio artificiale sono demaniali per la specifica destinazione loro data: tale è il demanio militare e quello accidentale. Demanio regionale, provinciale e comunale Originariamente i beni demaniali erano di proprietà dello Stato, delle Province o dei Comuni. Con l’introduzione delle Regioni come enti territoriali, è sorto anche il demanio regionale, previsto dall'art. 119 Cost. per le Regioni ordinarie, mentre per quelle a statuto speciale una elencazione dei beni demaniali è contenuta nelle rispettive leggi costituzionali di approvazione degli Statuti. Fanno parte, invece, del demonio comunale i cimiteri ed i mercati di proprietà del Comune. Dal tenore letterale dell'art. 119 Cost. non si parla più di demanio con riferimento agli enti territoriali, ma solo di patrimonio, riconosciuto alle autonomie territoriali. Regime giuridico I beni che fanno parte del demanio pubblico: a) sono inalienabili: ogni atto di trasferimento del bene demaniale è nullo; b) non sono acquistabili per usucapione da parte di nessuno, in quanto non possono formare oggetto di diritti di terzi, se non nei modi e limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano; c) il diritto di proprietà pubblica su di essi, da parte dell'ente è naturalmente imprescrittibile; 50 d) sono inespropriabili, sia a titolo di esecuzione forzata che per pubblica utilità. Utilizzazione e tutela dei beni pubblici In base ai soggetti che utilizzano i beni pubblici, possiamo distinguere i seguenti tipi di uso:  uso diretto (o esclusivo): si ha quando i beni demaniali sono strumenti che la PA utilizza esclusivamente e direttamente per il perseguimento dei propri compiti istituzionali;  uso generale: quando l'interesse pubblico è conseguito con il godimento dei beni demaniali da parte della collettività;  uso particolare: quando il bene serve l'interesse pubblico mediante l'uso non permesso a tutti ma riservato solo a determinati soggetti, pubblici o privati individuati dalla PA e destinatari di un provvedimento ampliativo delle loro facoltà;  uso eccezionale: ricorre nel caso di concessione, provvedimento con cui la PA attribuisce ,ex novo, al destinatario (concessionario) diritti su beni demaniali, tutelabili verso i terzi con le stesse azioni privatistiche riconosciute ai titolari di diritti su beni altrui contro le molestie e le turbative. Per quanto concerne la tutela, per l'art. 823 c.c. spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Il federalismo demaniale (D.Lgs. 85/2010) Negli ultimi decenni, mediante svariati interventi normativi, è stato portato avanti un percorso di progressiva dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, sia per gestirlo più facilmente che per renderlo produttivo sotto li profilo economico. Tali azioni, sviluppatesi in direttrici diverse, sono poi culminate nella emanazione del D.Lgs. 85/2010, cd. decreto sul federalismo demaniale, in attuazione della delega contenuta nella L. 42/2009, sul federalismo fiscale. Tale normativa individua i beni statali che possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. I beni che possono essere trasferiti sono: a) quelli appartenenti al demanio marittimo e relative pertinenze, con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali, b) quelli appartenenti al demanio idrico e relative pertinenze, nonché le opere idrauliche e di bonifica di competenza statale, ad esclusione dei fiumi e dei laghi di ambito sovraregionale; c) gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative pertinenze; d) le miniere e le relative pertinenze ubicate su terraferma; e) gli altri beni immobili dello Stato, ad eccezione di quelli esclusi dal trasferimento. Sono invece esclusi dal trasferimento: gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato, i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, i beni appartenenti al patrimonio culturale, le reti di interesse statale e i parchi nazionali e le riserve naturali statali. 3.I beni patrimoniali I beni patrimoniali dello Stato e degli enti pubblici sono tutti beni che non hanno i caratteri della demanialità. Essi si distinguono in beni indisponibili e beni disponibili:  i primi sono destinati ad un pubblico servizio e, in generale, al conseguimento di fini pubblici e sono perciò beni pubblici;  i secondi hanno carattere strumentale in quanto destinati prevalentemente alla produzione di redditi. Non sono beni pubblici ma solo beni di proprietà di enti pubblici. I beni patrimoniali indisponibili I beni patrimoniali indisponibili sono beni pubblici al pari dei beni demaniali ma, a differenza di questi, possono essere tanto mobili che immobili, ed inoltre possono appartenere a qualsiasi ente pubblico, e non soltanto ad enti pubblici territoriali. I beni patrimoniali indisponibili sono: a) le foreste; b) le miniere; c) le acque minerali e termali; d) le cave e le torbiere; e) la fauna selvatica; f) beni di interesse storico, archeologico, artistico; g) beni militari non rientranti nel demanio militare etc.; h) gli edifici destinati a sede degli uffici pubblici; i) beni costituenti la dotazione del Presidente della Repubblica. I beni patrimoniali disponibili Fanno parte del patrimonio disponibile dello Stato e degli altri enti pubblici tutti i beni ad essi appartenenti, diversi da quelli demaniali e da quelli patrimoniali indisponibili. Il patrimonio disponibile comprende:  il patrimonio mobiliare, nel quale rientra il denaro privo di specifica destinazione, gli utensili, nonché i beni che derivano dalla partecipazione dello Stato al capitale azionario di società pubbliche ed imprese private;  il patrimonio fondiario ed edilizio. I beni patrimoniali disponibili sono beni privati a tutti gli effetti, con la conseguenza che sono soggetti esclusivamente alle regole del codice civile. Essi, dunque, sono: alienabili; usucapibili; assoggettabili a diritti reali a favore di terzi. Differenze I beni patrimoniali disponibili non sono beni pubblici, ma solo beni di proprietà di un ente pubblico. Si distinguono da quelli indisponibili per i seguenti caratteri: a) carattere prevalentemente redditizio b) mancanza di una destinazione attuale ad un pubblico servizio. 51 4. I diritti reali della P.A. su beni altrui La P.A., oltre che proprietaria di beni, può anche essere titolare, come qualsiasi altro soggetto, pubblico o privato, di diritti reali su beni altrui. Diritti demaniali su beni altrui I diritti demaniali su beni altrui sono assoggettati dall'art. 825 c.c. allo stesso regine giuridico dei beni demaniali. Le principali categorie di diritti demaniali su beni altrui sono: le servitù prediali pubbliche ed i diritti (o servitù) di uso pubblico. I diritti di uso pubblico sono caratterizzati dall'utilizzazione da parte di una collettività indeterminata di persone del bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse delle stesse. In tali servitù manca un fondo dominante, perché non sono costituite a vantaggio di un fondo demaniale, bensì della collettività. Diritti patrimoniali su beni altrui Le servitù possono essere costituite anche a favore di beni patrimoniali della P.A. Tali diritti seguono la natura dei beni cui si riferiscono e sono, quindi, disponibili o indisponibili a seconda che attengano a beni disponibili o indisponibili. La P.A. può acquistare diritti reali in base: alla legge; a fatti o atti di diritto comune; a fatti o atti di diritto pubblico. IL POTERE ABLATORIO DELLA P.A. E LE ESPROPRIAZIONI 1.Il regime amministrativo della proprietà privata Il diritto di proprietà, riconosciuto dall'art. 42 Cost., è un diritto assoluto che consiste nel potere di usare, fruire e disporre di una cosa nei limiti fissati dalla legge. La proprietà può essere pubblica o privata e la legge ordinaria ne specifica i modi di acquisto, di godimento ed i limiti, al fine di assicurarne la funzione sociale. Le norme che regolano la proprietà nel senso indicato dalla Costituzione si possono distinguere in tre gruppi a seconda che impongano:  limiti negativi (cioè obblighi di non facere);  obblighi positivi (di facere);  la privazione del diritto per il titolare (con l'espropriazione del bene). Alla proprietà privata possono essere imposti limiti negativi per diversi fini. Ad esempio:  limiti nell'interesse della proprietà pubblica  limiti nell'interesse della difesa militare  limiti di interesse urbanistico  altri limiti La legge e gli atti amministrativi, oltre a porre dei limiti, possono anche imporre obblighi positivi (cioè di facere). Ciò può avvenire: nell'interesse del demanio e nell'interesse dell'agricoltura. La legge, in casi determinati, attribuisce alla P.A. anche il potere di privare i proprietari del proprio diritto: si tratta del potere ablatorio. 2. Gli atti ablatori Gli atti ablatori sono definiti, in generale, come «quegli atti con cui il pubblico potere, per un vantaggio della collettività, sacrifica un interesse od un bene della vita di un privato cittadino». Dal punto di vista funzionale i provvedimenti in esame hanno sempre un effetto privativo di una facoltà o diritto facente capo al destinatario del provvedimento e possono anche avere effetto acquisitivo di una facoltà o diritto a favore dell'amministrazione procedente. Dal punto di vista strutturale,tra le varie classificazioni possibili, la dottrina prevalente utilizza quella basata sulla natura della situazione soggettiva sacrificata. Vi sono pertanto:  provvedimenti ablatori personali che sacrificano un diritto di natura personale,  provvedimenti ablatori obbligatori che incidono su rapporti di obbligazione,  provvedimenti ablatori reali che sacrificano diritti reali. Principi generali di tutti gli atti ablativi sono: il principio della riserva di legge; l'obbligo di indennizzo; la necessità di motivi di interesse generale a fondamento dell’atto ablativo stesso. 3. I provvedimenti ablatori reali: l'espropriazione per pubblica utilità L'art. 42, comma 3, Cost. afferma che «la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale». Tra gli atti ablativi il più importante è l'espropriazione. Si tratta di quell'istituto di diritto pubblico in base al quale un soggetto, previo pagamento di una giusta indennità, può essere privato, in tutto o in parte, di uno o più beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata (ex art. 42 Cost.). L'espropriazione crea un vero e proprio rapporto di diritto pubblico i cui elementi sono: 1. Le parti: il testo unico in materia di espropriazione (D.P.R. 327/2001) definisce all'art. 3 i soggetti del procedimento espropriativo: a) per espropriato si intende il soggetto, pubblico o privato, titolare del diritto espropriato; b) per autorità espropriante si intende l'autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il soggetto privato, al quale sia stato attribuito tale potere, in base ad una norma; c) per beneficiario dell'espropriazione (cd. espropriante) si intende il soggetto, pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di esproprio; d) per promotore dell'espropriazione si intende il soggetto, pubblico o privato, che chiede l'espropriazione. 52 2. La responsabilità civile della P.A. La responsabilità civile si può definire come il dovere giuridico, imposto ad un soggetto, di risarcire il danno prodotto ad un altro soggetto, in conseguenza della violazione della sfera giuridica di quest'ultimo. La responsabilità civile si distingue, a sua volta, in:  responsabilità «contrattuale» quando l'obbligo di risarcimento del danno deriva dalla violazione di un preesistente rapporto obbligatorio (dunque non solo da contratto);  responsabilità «extracontrattuale» quando la responsabilità deriva dal fatto d'aver provocato a terzi un danno ingiusto. La dottrina individua anche un terzo tipo di responsabilità: quella precontrattuale, che nasce dalla violazione delle norme che regolano, appunto, la fase delle trattative negoziali. La responsabilità extracontrattuale Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (art. 2043 c.c.). Anche la P.A. soggiace a questa regola. Il fondamento della responsabilità extracontrattuale della P.A. si rinviene nell'art. 28 della Costituzione, ai sensi del quale i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti; in tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. Gli elementi della responsabilità civile della P.A. sono quelli comuni ad ogni responsabilità civile: il giudice, infatti, investito di un’azione di responsabilità, dovrà accertare l’esistenza di una condotta attiva o omissiva, l’antigiuridicità di tale condotta, la colpevolezza dell’agente, l’evento dannoso, il nesso di causalità tra condotta ed evento. In particolare:  la condotta può consistere in un’azione quanto in una omissione della P.A. dalla quale sia derivato un danno. Deve essere riferibile alla P.A. pertanto occorre che essa sia stata compiuta da un’autorità amministrativa nell’esercizio delle sue funzioni amministrative;  la condotta deve essere antigiuridica ossia ledere la sfera giuridica di un soggetto e sorgere per la violazione di norme giuridiche cd. di relazione, sempre che non ricorra una causa di giustificazione;  è necessaria la riferibilità del fatto all’amministrazione;  l’elemento psicologico (o imputabilità): l’art.2043 richiede che il fatto dannoso sia riferibile a titolo di dolo o colpa alla volontà del soggetto che agisce;  l’evento dannoso: il danno deve consistere sempre nel pregiudizio patrimoniale derivante dalla lesione di un diritto soggettivo perfetto della lesione dell’interesse legittimo;  il nesso di casualità tra fatto antigiuridico ed evento dannoso: una condotta può dirsi causa di un evento quando ne costituisce conditio sine qua non, in quanto senza di essa l’evento non si sarebbe verificato, e quando l’evento, al momento della condotta, era prevedibile come verosimile conseguenza di essa (cd. causalità adeguata). La responsabilità contrattuale La responsabilità contrattuale è quella basata sulla violazione di un rapporto obbligatorio già vincolante per le parti, sorto in virtù di un contratto, ex lege, di atto unilaterale, o ancora, in base ad un precedente fatto illecito. In materia di responsabilità contrattuale della P.A. trovano applicazione i principi generali previsti dal codice civile. La responsabilità precontrattuale Essa tutela l’interesse all’adempimento cioè l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in inutili trattative, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire alcun inganno in ordine ad atti negoziali. In tal senso l’interesse protetto è quello della libertà negoziale. Esempi sono riscontrabili: nella violazione di doveri di buona fede nelle trattative nella formazione del contratto; nel recesso ingiustificato dalle trattative; nella violenza e nel dolo ovvero nella colposa induzione in errore. 3. La responsabilità nei confronti della P.A. Trova il suo fondamento nel cd. potere di supremazia della P.A. nei confronti della collettività, che può essere:  generale, se si esprime sulla collettività indifferenziata, prescindendo da qualità particolari del cittadino e dai rapporti specifici con i singoli;  speciale, se si esprime esclusivamente nei confronti di alcuni soggetti. Alla subordinazione al potere di supremazia speciale verso la P.A. nascono doveri specifici di taluni soggetti, i pubblici impiegati, la cui infrazione comporta a carico del trasgressore delle specifiche responsabilità correlate all’esistenza del rapporto di servizio che lega il dipendente e la P.A. La responsabilità amministrativa e contabile I dipendenti pubblici, qualora arrechino un danno patrimoniale alla propria amministrazione o ad un altro ente pubblico, possono incorrere in quelle particolari tipologie di responsabilità definita amministrativa e contabile. Su di esse giudica la Corte dei Conti. La responsabilità amministrativa è quel tipo di responsabilità che sorge a causa dei danni cagionati all’ente nell’ambito o in occasione del rapporto di ufficio. I relativi presupposti sono: l’ente danneggiato deve essere un’amministrazione pubblica; tra l’ente e il danneggiante deve sussistere un rapporto di servizio; il danno provocato deve essere conseguenza diretta e immediata di una condotta dolosa o gravemente colposa; il danno provocato all’amministrazione deve essere ingiusto. 55 Inoltre, la nozione di danno è da intendersi in senso ampio, ricomprendendo in essa tanto i danni patrimoniali quanto i danni non patrimoniali. Tale responsabilità, poi, può presentarsi come contabile quando riguarda gli agenti contabili, ossia gli incaricati al versamento e riscossione delle entrate dello Stato, coloro che maneggiano pubblico denaro o gli agenti che hanno in consegna oggetti e beni di proprietà dello Stato. Su tali responsabilità giudica la Corte dei Conti. Le regole sulla responsabilità per danno erariale L’art.1, L. 20/1994 detta la regola sia di carattere sostanziale che processuale e prevede che:  la responsabilità è personale e limitata ai soli casi di dolo e colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. Tale norma è stata innovata dal D.L. 76/2020;  fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità;  nel caso di deliberazioni di organi collegiali, la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole;  il diritto a risarcimento del danno si prescrive in cinque anni decorrenti dalla verificazione del fatto dannoso o, in caso di suo accertamento, dalla scoperta dello stesso;  la Corte giudica sulla responsabilità degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia cagionato ad amministrazioni o enti diversi da quelli di appartenenza;  se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso;  l’entità del danno all’immagine della P.A. derivante dalla commissione di un reato contro lo stesso accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salvo prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità percepita dal dipendente. 4.L’illecito amministrativo La disciplina generale dell’illecito amministrativamente sanzionato è contenuta nella L.689/1981 cd. “legge di depenalizzazione”. L illecito amministrativamente sanzionato può definirsi come quella violazione di un dovere generale cui l’ordinamento ricollega, come conseguenza giuridica, il pagamento di una somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa. La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma di denaro non inferiore a 10 € e non superiore a 15.000 €. Nel determinare il quantum dovuto si deve tener conto:  della gravità della violazione, desunta da ogni circostanza del caso concreto;  dell’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dannose della violazione, e cioè del ravvedimento dimostrato dall’autore dopo il fatto;  della personalità del trasgressore, che si desume da eventuali precedenti generici o specifici ed a tutta la sua condotta di vita, le sue qualità morali e sociali, il suo grado di istruzione, etc.;  delle condizioni economiche del trasgressore. LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA L’espressione giustizia amministrativa indica quel complesso di mezzi concessi dall’ordinamento giuridico ai singoli per tutelare le posizioni giuridiche soggettive di cui risultino titolari nei confronti della P.A. Il sistema di giustizia amministrativa permette la coesistenza di tre principi fondamentali del nostro ordinamento: 1. il principio della azionabilità in giudizio di tutte le lesioni di diritti soggettivi ed interessi legittimi, anche se derivanti da atti e comportamenti della P.A.; 2. il principio dell’autonomia del potere giudiziario; 3. il principio di legalità dell’azione amministrativa la cui conformità alla legge viene accertata dall’autorità giudiziaria. Attualmente la giustizia amministrativa in Italia è organizzata secondo il sistema della doppia giurisdizione, nel seguente modo:  l’Autorità Giudiziaria Ordinaria (AGO) è competente a decidere delle violazioni di diritti soggettivi, con il potere di disapplicare l’atto amministrativo che risulti illegittimo e di dichiarare la sua illegittimità;  l’Autorità Giudiziaria Amministrativa (AGA) è competente a giudicare delle violazioni degli interessi legittimi (salvo alcuni casi eccezionali in cui giudica anche per violazioni di diritti cd. casi di giurisdizione esclusiva) e ad annullare gli atti amministrativi illegittimi (cd. giurisdizione di legittimità), nonché, in alcuni casi tassativi, anche a sostituirli con altri atti o a riformarli in parte (sostituendosi alla P.A., cd. giurisdizione di merito);  i conflitti di giurisdizione tra A.G.O. e A.G.A. sono attribuite alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Oltre alla tutela giurisdizionale (ordinaria e amministrativa), i portatori di interessi hanno anche a disposizione dei mezzi di tutela amministrativa ovvero i ricorsi amministrativi. 3.I mezzi di tutela del privato e la normativa di riferimento Il privato che si reputi leso dall’attività posta in essere dall’amministrazione, per poter difendere i propri interessi, può ricorrere sia alla tutela amministrativa, che non necessita dell’intervento di alcun giudice per essere realizzata, che alla tutela giurisdizionale innanzi al G.O o al G.A. Dal punto di vista della tutela amministrativa, la normativa di riferimento è il DPR 1199/1971, con il quale il legislatore ha dettato una disciplina organica dei ricorsi amministrativi. 56 Sul versante della tutela giurisdizionale esperibile innanzi al G.A., l’evoluzione normativa è stata più articolata e il testo di riferimento per la sua disciplina è dato dal Codice del processo amministrativo approvato con D.Lgs. 104/2010. Il D.L. 90/2014, conv. L.114/2014, ha incentivato l’uso della telematica nel processo amministrativo, benché le regole tecniche per l’operatività del processo amministrativo telematico (p.a.t.) sono state approvate con il DPCM 40/2016, entrato in vigore il 1° gennaio 2017. 4.La tutela in sede amministrativa La tutela in sede amministrativa è attuata dalla stessa amministrazione attraverso un procedimento amministrativo instaurato a seguito di un ricorso dell’interessato. La funzione è quella di ricercare se è possibile una soluzione alle controversie evitando il ricorso a mezzi giurisdizionali. Lo strumento è il ricorso amministrativo che è l’istanza (o reclamo) diretta ad ottenere l’annullamento, la riforma o la revoca amministrativo posta in essere dal soggetto che vi abbia interesse nei confronti di un’autorità amministrativa, affinché questa risolva ex autoritate sua la controversia che tale atto ha generato, nell’ambito dello stesso ordinamento amministrativo. I ricorsi previsti nel nostro ordinamento sono: - il ricorso gerarchico; - il ricorso in opposizione; - il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. I principi ad essi comuni sono:  l’obbligo di indicare nel provvedimento amministrativo l’autorità a cui si può ricorrere ed il termine entro il quale il ricorso deve essere proposto;  l’obbligo dell’autorità cui è presentato il ricorso di esaminarlo e deciderlo. Gli elementi essenziali di un ricorso amministrativo sono:  i soggetti;  l’interesse, poiché può essere proposto solo da chi, ritenendosi danneggiato dall’atto della P.A., abbia interesse all’annullamento (revoca o riforma) di esso. Quanto ai requisiti, l’interesse deve essere diretto, personale e attuale;  l’oggetto: può essere un atto amministrativo in senso soggettivo e oggettivo oppure è un comportamento della P.A. o un rapporto insorto tra la P.A. e un terzo o tra soggetti estranei all’amministrazione;  i termini per il ricorso: il termine perentorio per il ricorso è di 30 giorni per il ricorso gerarchico o in opposizione e di 120 giorni per il ricorso al Presidente della Repubblica;  la forma del ricorso: il ricorso deve essere redatto per iscritto su carta da bollo uso amministrativo;  gli elementi del ricorso: l’indicazione dell’autorità cui è diretto; gli estremi del provvedimento impugnato; i motivi del ricorso; la sottoscrizione del ricorrente. 5.Il ricorso gerarchico Può definirsi quel rimedio di carattere generale consistente nella impugnativa di un atto non definitivo proposta dal soggetto interessato davanti all’organo gerarchicamente sovraordinato a quello che ha emanato il provvedimento impugnato. Con riferimento al rapporto di gerarchia si distingue:  il ricorso gerarchico proprio: la gerarchia che viene in considerazione come presupposto di tale ricorso è la gerarchia esterna ovvero il rapporto intercorrente fra organi individuali di grado diverso appartenenti allo stesso ramo dell’amministrazione, per effetto del quale l’organo inferiore è subordinato al superiore;  il ricorso gerarchico improprio: un rimedio di carattere eccezionale previsto in alcuni casi in cui non esiste alcun rapporto di gerarchia. Si tratta di un ricorso ordinario proposto ad organi: individuali avverso deliberazioni di organi collegiali e viceversa; collegiali avverso deliberazioni di altri organi collegiali; statali avverso provvedimenti di altro ente pubblico; statali avverso provvedimenti di organi di vertice. La P.A. ha l’obbligo giuridico di decidere sul ricorso gerarchico che le viene presentato. Tuttavia il legislatore ha considerato anche l’eventualità che la P.A. non sia in grado di adempiere a tale obbligo per mancanza di personale, di tempo o altri motivi. Decorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso senza che la P.A. abbia comunicato all’interessato la decisione dello stesso, il ricorso si intende respinto e l’interessato può proporre ricorso giurisdizionale davanti al giudice amministrativo o ricorso straordinario al presidente della Repubblica, avverso l’atto impugnato in sede gerarchica. 6.Il ricorso in opposizione E’ un ricorso amministrativo atipico rivolto alla stessa autorità che ha emanato l’atto anziché a quella superiore gerarchicamente. È un rimedio di carattere eccezionale utilizzabile solo nei casi tassativi in cui la legge lo ammette e per motivi da essa previsti. Infatti può essere proposto sia per motivi di legittimità che di merito e sia a tutela di interessi legittimi e diritti soggettivi. Il termine per la sua proposizione è quella generale di 30 giorni dalla notifica o emanazione dell’atto impugnato, ma la legge può prevedere nei singoli casi termini diversi. 7.Il ricorso straordinario al presidente della Repubblica Il ricorso straordinario al presidente della Repubblica è un rimedio di carattere generale contro i provvedimenti definitivi. È denominato straordinario poiché può essere proposto solo quando non è esperibili il ricorso gerarchico. Esso è proponibile per la tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi infatti tale ricorso è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa. Il ricorso straordinario: - può avere ad oggetto soltanto atti definiti, da ciò consegue che prima deve essere esperito il ricorso gerarchico se l’atto non è definitivo; 57  un giudizio di cognizione: è volto a stabilire la fondatezza della pretesa vantata dal soggetto leso dalla P.A. per stabilire quale sia la volontà dell’ordinamento riguardo l’attività dell’amministrazione. Si presenta prevalentemente come giudizio di impugnazione di un atto amministrativo finalizzato alla sua eliminazione dal mondo giuridico;  giudizio cautelare: ha una funzione accessoria e strumentale rispetto al processo di cognizione in quanto è teso all’adozione di misure preventive volte a preservare le utilità che saranno fornite da una eventuale sentenza favorevole di cognizione da eventi che possono manifestarsi durante il corso del processo.  un giudizio di esecuzione: ha la funzione di assicurare l’attuazione concreta della pronuncia di cognizione. 10.Le azioni di cognizioni innanzi all’autorità’ giurisdizionale amministrativa Quanto alle azioni esperibili innanzi al G.A., si evidenzia che con l’approvazione del Codice del processo amministrativo è stato introdotto nell’ordinamento una disciplina organica delle stesse che ricalca il sistema delle tradizionali azioni di cognizione. In particolare le azioni esperibili innanzi al giudice amministrativo sono: 1)Azione di annullamento: disciplinata dall’art.29 del Codice. L’azione di annullamento è tesa a realizzare la cd. tutela di tipo demolitorio, ossia la demolizione dell’atto impugnato. L’azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di 60 giorni; 2) Azione di condanna: disciplinata dall’art.30 del Codice. L’azione di condanna ha una portata generale applicabile quando risulti necessaria, dopo l’annullamento, una tutela in forma specifica del ricorrente mediante la modificazione della realtà materiale ovvero sia rimasta inadempiuta un’obbligazione di pagamento o debba comunque provvedersi mediante l’adozione di ogni altra misura idonea a tutelare la posizione giuridica soggettiva del ricorrente. Ed infatti, il giudice amministrativo con la sentenza con cui definisce nel merito il giudizio può: - ordinare all’amministrazione rimasta inerte di provvedere entro un termine; - condannare al pagamento di una somma di denaro anche a titolo di risarcimento del danno; - condannare all’adozione di misure idonee a tutelare la posizione giuridica dedotta in giudizio: ipotesi di cd. condanna atipica. L’azione di condanna può essere proposta sia contestualmente ad un’altra azione che in via autonoma, nei soli casi però di giurisdizione esclusiva e nei casi individuati dallo stesso articolo 30 del codice; tale articolo disciplina anche l’azione risarcitoria esperibile contro la P.A. per danni da illegittimo esercizio dell’azione amministrativa nonché nei casi di giurisdizione esclusiva per danni da lesione dei diritti soggettivi. Quest’ultima è esperibili nel termine di decadenza di 120 giorni da quando il fatto si è verificato al fine di riparare un danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nell’ipotesi in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda di risarcimento può essere presentata nel corso del giudizio o comunque fino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza. Nel caso di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo risarcisce anche il danno da lesione di diritti soggettivi. Inoltre ogni domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi o di diritti soggettivi l’azione è dal legislatore affidata in via esclusiva al giudice amministrativo. Infine è possibile chiedere al giudice amministrativo il risarcimento del danno in forma specifica, qualora ricorrano i presupposti di cui all’art.2058 c.c., ossia quando tale forma di reintegrazione risulti in tutto o in parte possibile e non sia eccessivamente onerosa per il debitore. Peculiare ipotesi è quella contemplata dal comma 4, art. 30: si tratta della responsabilità della P.A. collegata alla inosservanza, dolosa o colposa, dei termini di conclusione del procedimento amministrativo. In tale ipotesi sussiste comunque la possibilità di esperire l’azione risarcitoria ma il termine decadenziale di 120 giorni non inizia a decorrere fino a quando perdura l’inadempimento; in ogni caso decorre comunque dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. 3) Azione avverso il silenzio della P.A. e declaratoria di nullità: è disciplinata dall’art. 31 del Codice. Decorsi i termini di conclusione del procedimento, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere. L’azione può essere proposta fino a che dura l’ inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione. Altre ipotesi contemplata è quella di accertamento e relativa declaratoria di nullità previste dalla legge. Questa azione va proposta nel termine di decadenza di 180 giorni e la nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o può essere rilevata d’ufficio dal giudice. L’azione di esatto adempimento Il D.Lgs. 160/2012 ha introdotto nel Codice del processo amministrativo l’azione di esatto adempimento, consistente nella possibilità di chiedere al giudice amministrativo la condanna della P.A. al rilascio di un determinato provvedimento, e quindi ad un facere specifico. Tale innovazione è venuta attraverso la modifica dell’art.34, comma 1, lettera c del Codice, ove è stata inserita la previsione che l’azione di condanna al rilascio del provvedimento richiesto può essere esercitata contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio ed entro i limiti di cui all’articolo 31, comma 3, c.p.a. La domanda può essere proposta soltanto unitamente alle tipologie di azione individuate, e non in via autonoma, ed è ammissibile solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione. A tali condizioni il giudice può valutare la fondatezza della pretesa sostanziale e condannare l’amministrazione al rilascio di un dato provvedimento. 11.La Corte dei Conti quale giudice contabile La Corte dei conti è titolare della cd. giurisdizione contabile, nella quale vengono tradizionalmente ricompresi i giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danni all’erario e gli altri giudizi di contabilità pubblica, nonché i giudizi in materia pensionistica, quelli aventi ad oggetto l’irrogazione di sanzioni pecuniarie e gli altri giudizi nelle materie specificate dalla legge. (Art.1 D.Lgs. 174/2016, Codice di Giustizia Contabile). 60 La giurisdizione viene qualificata come:  piena, poiché la corte conosce delle controversie sia sotto l’aspetto dell’accertamento dei fatti sia di quello dell’applicazione del diritto. Inoltre essa può accertare l’illegittimità degli atti amministrativi negandone l’applicazione ma non può annullarli o sostituirli;  esclusiva, in quanto la corte conosce sia di diritti soggettivi sia di interessi legittimi. La giurisdizione contabile è esercitata dalle sezioni giurisdizionali regionali, dalle sezioni di appello, dalle sezioni riunite in sede giurisdizionale e dalle sezioni riunite in speciale composizione della Corte dei Conti. Sono organi di giurisdizione contabile di primo grado le sezioni giurisdizionali regionali con sede nel capoluogo di regione e con competenza estesa al territorio regionale. Sono organi di giurisdizione contabile di secondo grado le sezioni giurisdizionali centrali di appello, con sede a Roma, con competenza estesa al territorio nazionale e la sezione giurisdizionale di appello per la regione siciliana, con sede a Palermo e con competenza estesa al territorio regionale. Poi vi sono le sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti, ossia l’articolazione interna della medesima corte in sede d’appello, quale organo che assicura l’uniforme interpretazione e la corretta applicazione delle norme di contabilità pubblica. Esse decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferiti dalle sezioni giurisdizionali d’appello, dal presidente della Corte dei Conti o a richiesta del procuratore generale. Le sezioni riunite in speciale composizione esercitano la propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica decidendo in unico grado sui giudizi in materia di: - piani di riequilibrio degli enti territoriali e ammissione al fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali; - ricognizione dell’amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT; - certificazione dei costi dell’accordo di lavoro presso le fondazioni lirico-sinfoniche; - rendiconti dei gruppi consiliari dei consigli regionali; - contabilità pubblica nel caso di impugnazioni conseguenti alle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo. Tipologia dei giudizi La Corte dei Conti giudica nei seguenti ambiti:  giudizi di conto: nella responsabilità contabile possono incorrere tutti coloro (agenti contabili) che hanno avuto la disponibilità materiale ovvero in consegna denaro, beni o altri valori pubblici, e non abbiano adempiuto all’obbligo di restituzione che su di loro incombe. Essa si verifica per qualunque irregolarità connessa alla riscossione o nei pagamenti o nella conservazione del denaro o dei valori della P.A.;  giudizi di responsabilità amministrativa. E’ esercitata dal pubblico ministero contabile che, a fronte di una specifica e concreta notizia di danno, se non procede alla sua immediata archiviazione, avvia un procedimento istruttorio in cui può compiere ogni attività utile per l’acquisizione degli elementi necessari all’esercizio dell’azione erariale e svolge, altresì, accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona individuata quale presunto responsabile;  giudizi ad istanza di privati;  giudizi in materia di pensioni: la competenza della corte sussiste qualora si impugni un provvedimento amministrativo definitivo, avente ad oggetto il diritto alla pensione degli impiegati, il cui trattamento di quiescenza sia a carico totale o parziale dello Stato. 12.I giudizi davanti alle altre giurisdizioni speciali amministrative Il contenzioso tributario In esso vi rientrano quelle controversie tra contribuente ed amministrazione aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati. La disciplina è rinvenibile nei D.Lgs. nn. 545 e 546 del dicembre 1992, concernenti l’ordinamento degli organi di giurisdizione tributaria e il processo tributario. La giurisdizione tributaria è esercitata in primo grado dalle Commissioni tributarie provinciali con sede nel capoluogo di ogni provincia ed in secondo grado dalle Commissioni tributarie regionali con sede in ogni capoluogo di regione. Al processo tributario si applicano le disposizioni del codice di procedura civile salve specifiche previsioni o eventuali incompatibilità delle norme codicistiche e con la medesima disciplina di settore. I Tribunali delle acque pubbliche Ai Tribunali delle acque pubbliche sono attribuite tutte le controversie concernenti il demanio idrico. Per il procedimento si applicano le norme del codice di procedura civile. Contro le loro decisioni è ammesso ricorso al tribunale superiore delle acque pubbliche come giudice di appello entro 30 giorni dalla sentenza. I Commissari per gli usi civici Il Commissario per gli usi civici è un giudice ordinario con competenza specializzata in materia di accertamento e tutela dei demani civici e dei diritti di uso civico delle comunità locali. Sono competenti a decidere le controversie circa l’esistenza, la natura e l’estensione dei diritti di godimento spettanti alla collettività sui beni demaniali e privati, che possono sorgere nel corso delle procedure di accertamento e valutazione degli usi civici. 61
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