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Riforma delle Forme di Stato e di Governo: Assoluto, Liberale, Democratico Plurale, Totali, Sintesi del corso di Diritto Costituzionale

Su diverse forme di stato e le relative forme di governo, tra cui stato assoluto, liberale, democratico pluralista, totalitario e socialista. Vengono descritti i tipi di governi parlamentari, presidenziali e neoparlamentari, e il loro funzionamento in diversi tipi di stati. Viene inoltre analizzato il fascismo e il socialismo, due forme di governo alternative alla democrazia pluralista. Il testo conclude con una sezione sui vari tipi di governi in stati unitari, regionali e federali.

Tipologia: Sintesi del corso

2010/2011

Caricato il 24/11/2011

lucreola
lucreola 🇮🇹

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Scarica Riforma delle Forme di Stato e di Governo: Assoluto, Liberale, Democratico Plurale, Totali e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! LO STATO Il Potere Politico: il potere politico è quella specie di potere sociale che permette a chi lo detiene di imporre la propria volontà ricorrendo alla forza legittima. Altri mezzi attraverso cui si esercita il potere sociale, cioè il potere di influenzare il comportamento di altri individui, sono il potere economico che si avvale del possesso di certi beni necessari, e il potere ideologico che si avvale di forme di sapere come le dottrine filosofiche o religiose. Lo Stato incarna la figura tipica di potere politico che, per far rispettare le sue leggi, può ricorrere ai suoi apparti repressivi, ma l’uso della forza deve essere basato sulla sua legittimazione. Un potere legittimo che deve indurre all’obbedienza, quello che il sociologo tedesco Max Weber chiama “potere legale-razionale”; un potere fondato sul diritto al comando di coloro che divengono titolari del potere attraverso procedure legali ed esercitano tale potere nei limiti stabiliti dal diritto. Il potere legale-razionale è emerso a seguito delle rivoluzioni liberali del 1700 e trova la sua consacrazione nella Costituzione Americana del 1787 e nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata in Francia nel 1789. Il costituzionalismo ha avuto la funzione di sottoporre il potere politico a limiti giuridici con alcuni mezzi quali il principio di legalità, la separazione dei poteri, le libertà costituzionali, mezzi utilizzati in quei sistemi politici che rientrano nel concetto di “Stato di diritto”. Con l’avvento dell’era della sovranità popolare nel XX sec. non bastava più che il potere legittimo fosse sottoposto a regole e limiti, ma doveva essere legittimato anche dal libero consenso popolare espresso tramite le elezioni e altri strumenti (partiti, sindacati, referendum) con cui il popolo può esercitare la sua sovranità. Il diritto costituzionale ha dovuto predisporre i mezzi giuridici ed istituzionali per legittimare la sovranità popolare e ha dovuto escogitare tecniche istituzionali per evitare che tale sovranità potesse diventare una tirannia della maggioranza. Inoltre, negli ultimi tempi, il diritto costituzionale ha dovuto affrontare il contrasto tra il potere politico nazionale e quello sovranazionale europeo e mondiale con conseguente spostamento di alcune funzioni (moneta) nelle istituzioni europee. Sovranità: la sovranità è il concetto giuridico che caratterizza il monopolio della forza legittima di uno Stato in un determinato territorio. La sovranità ha un aspetto interno che consiste in un supremo potere di comando in un determinato territorio senza alcun potere al di sopra di sé, ed un aspetto esterno che consiste nell’indipendenza dello Stato rispetto ad altri Stati. Con l’affermazione dello Stato moderno si sono diffuse 3 teorie che indicavano chi esercitasse effettivamente il potere sovrano: • I giuristi italiani e tedeschi tra fine 800 e inizi del 900 hanno individuato nello Stato come persona giuridica il soggetto di diritto titolare della sovranità, esempio tipico è quello dello Statuto Albertino che non attribuiva la sovranità al re o al popolo ma allo Stato personificato. • Il costituzionalismo francese post rivoluzionario ha attribuito la sovranità alla Nazione quale entità collettiva cui si appartiene perché legati da valori, ideali e tradizioni comuni, come affermato nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino,. • Altra teoria è quella della sovranità popolare definita da Rousseau come volontà popolare del popolo inteso come un ente collettivo, composto dall’insieme dei cittadini, che doveva esercitare direttamente la sua sovranità senza ricorrere alla delega ai suoi rappresentanti. Il costituzionalismo del 900 ha visto la affermazione del principio di sovranità popolare come ricorda la nostra Costituzione all’art.1 “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti della Costituzione”. Non è però una sovranità assoluta ma viene esercitata attraverso una sistema rappresentativo basato sul suffragio universale; inoltre l’affermazione delle organizzazioni internazionali ha comportato un importante processo di limitazione della sovranità esterna iniziato con l’istituzione dell’ONU (1945), ma che è diventato più importante e si è concretizzato con la creazione di organizzazioni sovranazionali come la CECA, la CEE fino all’istituzione dell’Unione Europea. Gli stati membri hanno trasferito a queste organizzazioni poteri rilevanti in campi prima riservati agli stati. Va però sempre ricordato che queste organizzazioni non si sostituiscono allo Stato e la Costituzione italiana pone come limite all’azione delle istituzioni comunitarie, il rispetto dei “controlimiti” rappresentati dai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale. Lo Stato esercita la sovranità su un determinato territorio che viene delimitato attraverso regole elaborate dal diritto internazionale, regole che indicano da cosa è costituito un territorio: • Terraferma: porzione di territorio delimitata da confini naturali (fiumi, montagne) o artificiali (indicati nei Trattati internazionali) • Mare territoriale: fascia di mare costiero sottoposta alla sovranità dello Stato fissata in 12 miglia marine • Piattaforma continentale: parte del fondo marino di profondità costante che circonda le terre emerse. • Soprasuolo: Parte superficiale del terreno La cittadinanza è una condizione essenziale per l’esercizio dei diritti politici come l’elettorato attivo e passivo e di doveri costituzionali come difesa della patria e concorso alle spese pubbliche. La Costituzione stabilisce che nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici (art.22) ma i modi in cui la cittadinanza può essere acquistata e perduta sono disciplinati dalla legge. Si acquista: • Iure sanguinis: figlio (anche adottato) di genitori italiani • Iure soli: figlio di genitori ignoti nato in Italia • Straniero nato in Italia può chiedere la cittadinanza alla maggiore età • Coniuge straniero di cittadino italiano • Straniero con nonno italiano • Straniero regolare dopo 10 di residenza in Italia. Il trattato di Maastricht ha introdotto l’istituto della cittadinanza europea che si affianca alla cittadinanza nazionale integrandola con situazione soggettive come la libertà di circolare e soggiornare nel territorio degli stati membri, l’elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali nello stato membro in cui si risiede e alle elezioni del parlamento europeo (in Italia si viene iscritti in una lista elettorale che consente diritto di voto ed eleggibilità a consigliere comunale e nomina a componente di giunta). Forma di Stato: per forma di stato si intende il rapporto tra le potestà pubbliche e la società civile, nonché l’insieme dei principi e dei valori a cui lo Stato ispira la sua azione. Tra le diverse forme di stato gli studiosi hanno elaborato una distinzione tra Stato assoluto (Stato di Polizia), Stato liberale, Stato di democrazia pluralista, Stato totalitario, Stato socialista. successo dello stato sociale va dal 1950 al 1980 in cui abbiamo forme di politiche keynesiane oppure politiche di tipo regolativo (regolamentazioni del rapporto di lavoro a tutela del lavoratore) o redistributivo (assistenza e previdenza a favore di disoccupati, anziani). La Costituzione italiana non usa la formula “stato sociale” (come invece accade nelle costituzioni spagnola e tedesca) ma delinea uno stato che corregge il mercato e compensa, con i suoi interventi, i risultati della sola logica economica dello scambio. Da una parte riconosce e garantisce proprietà privata, libera iniziativa economica, risparmi privati, dall’altra prevede doveri di solidarietà politica, economica e sociale per rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Negli Stati Uniti lo stato di democrazia pluralista si sviluppa diversamente: i partiti americani sono macchine elettorali al servizio del candidato, non hanno una precisa identità ideologica e la loro attività si concentra nelle campagne elettorali e dopo le elezioni perdono gran parte del loro ruolo e non sono in grado di controllare l’attività degli eletti. Lo sviluppo politico istituzionale americano ha visto il graduale rafforzamento della Presidenza rispetto ai partiti. Inoltre, negli USA si è sviluppata una certa omogeneità della cultura politica e gli interessi riguardano principalmente le modalità di ripartizione del reddito nazionale tra individui, ciò comporta una dominanza privatistica più che pubblicistica nei rapporti economici e sociali. Lo stato di democrazia pluralista ha subito importanti trasformazioni a partire dagli anni 80 del XX sec a causa di rivoluzioni sociali come la globalizzazione, la crisi fiscale, l’integrazione europea. La base dello stato cambia, la classi non sono più ben individuate, le ideologie vanno in crisi, l’appartenenza di classe non ha più valore e lo stato è costretto a ridurre gli eccessivi costi della spesa pubblica. L’esigenza di maggior rigore finanziario, porta alla ricerca di forme di razionalizzazione e riordino dello stato sociale che, deve adeguarsi alle esigenze della competitività internazionale, garantendo sempre pari opportunità di vita ai sui cittadini trasformandosi in stato sociale competitivo. Alcune forme di razionalizzazione hanno riguardato la non gratuità dei servizi sanitari a tutti ma solo ai soggetti meno abbienti, mentre gli altri concorrono alla spesa in relazione al livello del loro reddito; altro intervento riguarda la previsione di fondi pensione gestiti da strutture finanziarie private; infine il ricorso alla sussidiarietà verticale, trasferendo la gestione di servizi pubblici agli enti locali più vicini ai cittadini che possono meglio controllare la qualità dei servizi e i relativi costi; e la sussidiarietà orizzontale, attribuendo certi compiti tradizionalmente propri dello stato sociale ad alcune formazioni sociali senza scopo di lucro (il terzo settore), in grado di fornire servizi tipici dello stato sociale (assistenza agli anziani) ad un costo minore e qualità migliore, prevedendo incentivi di natura monetaria e fiscale. Rappresentanza politica: con il termine rappresentanza si può indicare “l’agire per conto di un altro”, o “il creare qualcosa in un determinato ambito che non c'è”. Nello stato di democrazia pluralista, si afferma il principio della sovranità del popolo, che esige soddisfazione dei propri interessi dallo stato. In un clima di suffragio universale gli interessi del popolo sono molteplici e spesso in conflitto tra loro e ciò può mettere a rischio la capacità del sistema di decidere. Il problema può essere risolto mettendo insieme i due aspetti della rappresentanza politica ossia, rappresentanza come rapporto con gli elettori a garanzia della legittimazione del sistema, e rappresentanza come potere autonomo per evitare la paralisi decisionale. • Lo stato dei partiti. La prima soluzione per accoppiare i due aspetti di rappresentanza è stata data dai partiti politici. Oggi però sempre di più si sente parlare di crisi dei partiti, con cui si intende la difficoltà dei partiti sul versante del rapporto con la società. Mentre in passato i partiti rispecchiavano la rappresentanza diretta di una classe sociale, oggi questo è impossibile per via della difficoltà e complessità della società. I partiti non riescono più quindi ad assicurare la completa rappresentanza della società. • Il rafforzamento del governo e investitura diretta del suo capo. Altra soluzione è quella di realizzare un equilibrio tra le due componenti di rappresentanza politica che fa leva sul rafforzamento del potere esecutivo del governo e sull'investitura diretta popolare del capo di governo. Il Governo è quindi legittimato a governare nell’interesse generale ed è politicamente responsabile nei confronti del corpo elettorale. • Assetti neocorporativi: un’altra modalità che viene seguita per adeguare i sistemi rappresentativi alla complessità sociale, consiste nella creazione degli assetti neocorporativi che si affiancano al sistema rappresentativo basato su elezioni libere e sui partiti. Il governo in questo modo tende a negoziare il contenuto dei provvedimenti riguardanti l’economia con i sindacati dei lavoratori e le associazioni degli imprenditori. • Rappresentanza territoriale: può essere una soluzione anche l’istituzione di una seconda Camera a base territoriale in cui sono direttamente rappresentati gli enti territoriali. • Democrazia diretta: Attraverso questo istituto si affida al popolo l'esercizio di alcune funzioni di rappresentanza diretta: iniziativa legislativa popolare (prevista dall’art.71 a 500.000 elettori), petizione (prevista dall’art.50 per sollecitare provvedimenti legislativi o comuni necessità), referendum (una consultazione del corpo elettorale produttiva di effetti giuridici. Separazione dei poteri: Il principio della separazione dei poteri è stato elaborato dallo stato liberale con l'obbiettivo di tutelare le libertà degli individui. Tre sono i poteri: potere legislativo (produzione di leggi), potere esecutivo (applicazione delle leggi all'interno dello stato), potere giudiziario (applicazione della legge per risolvere i conflitti). Da questa separazione deriva l’attribuzione ad ogni potere di una funzione pubblica ben precisa, ed è fondamentale che sia attribuita a poteri distinti per evitare leggi tiranniche. Inoltre i poteri distinti e separati devono reggersi ad un sistema di pesi e contrappesi, per frenare i loro eccessi reciprocamente. Una significativa applicazione della separazione dei poteri la ritroviamo nella forma di governo presidenziale americano in cui il Presidente, che ha il potere esecutivo, non può sciogliere anticipatamente il Congresso che ha potere legislativo, e viceversa. In molti stati d’Europa invece si è affermata una forma di governo parlamentare in cui, il potere legislativo ed esecutivo sono strettamente collegati in quanto il Governo deve godere della fiducia del Parlamento, che a sua volta può costringerlo alle dimissioni votandogli la sfiducia. Le trasformazioni della società nello stato a democrazia pluralista hanno portato ad una modifica della separazione dei poteri. Rimangono i tre poteri tradizionali tra loro reciprocamente indipendenti, ma ad essi si aggiungono: • il potere di indirizzo politico, che consiste nella determinazione delle linee fondamentali di sviluppo dell'ordinamento della politica interna ed esterna, funzione essenzialmente concentrata nelle mani del Governo; • una funzione di garanzia giurisdizionale della costituzione, che prevede un controllo giudiziale della costituzione (Corte Costituzionale) e in Italia è previsto anche l’organo costituzionale Presidente della Repubblica che ha la funzione di garantire gli equilibri costituzionali. La regola di maggioranza caratterizza il funzionamento dello Stato liberale e di democrazia pluralista e assume significati e principi diversi: • Principio funzionale: la regola di maggioranza è lo strumento mediante il quale gli organi collegiali (es.: parlamento), possono adottare una decisione. In questo modo da una parte i più sono sottratti alla tirannia dei pochi, dall’altra parte esiste il rischio della tirannia della maggioranza che elimina i soggetti in minoranza. Per contrastare questo pericolo le Costituzioni prevedono strumenti di tutela delle minoranze (es. prevedono maggioranze assolute, qualificate, quorum deliberativi, ecc.) • Principio rappresentativo: la regola di maggioranza è lo strumento mediante il quale si scelgono, tramite meccanismi elettorali, le maggioranze e le minoranze politiche in termini di seggi parlamentari. • Principio di organizzazione politica: la regola di maggioranza è il criterio attraverso cui si svolgono i rapporti tra partiti politici nel Parlamento, per assicurare la formazione di una maggioranza parlamentare stabile. Esistono però anche altri sistemi non basati sulla regola di maggioranza che possono esprimere maggioranze stabili e governi autorevoli, ed occorre distinguere tra gli stati a democrazia maggioritaria (Gran Bretagna, Germania, Spagna), e stati a democrazia consociativa (Olanda, Belgio). Nelle democrazie maggioritarie la regola di maggioranza diventa principio di organizzazione per cui, esiste una contrapposizione tra i leader politici durante le elezioni del corpo elettorale, che si manifesta anche dopo, sottoforma di funzione di opposizione da parte del leader sconfitto. In tali sistemi si può realizzare l’alternanza ciclica dei partiti nei ruoli di maggioranza e opposizione. Nelle democrazie consociative i leader dei principali partiti tendono a condividere il controllo politico, i partiti pertanto competono in campagna elettorale per proprio conto, in modo da conquistare seggi parlamentari, e dopo le elezioni tendono a collaborare utilizzando ognuno la propria forza politica di negoziazione per raggiungere dei compromessi politici. In tali sistemi le minoranze partecipano alla formazione delle decisioni, ma manca una vera funzione di opposizione. Stato Unitario, Stato Regionale, Stato Federale: la separazione dei poteri oltre ad essere realizzata in senso orizzontale, cioè nel rapporto tra i poteri dello Stato, si dispone anche in senso verticale, attraverso la distribuzione del potere politico tra lo stato centrale e ad altri enti territoriali da esso distinti. Si differenzia così lo stato unitario, in cui il potere politico è esclusivo dello stato, da quello composto in cui il potere politico è diviso tra lo stato ed enti territoriali, che sono espressione delle popolazioni locali. Lo stato composto prevede 2 varianti: • Lo Stato federale: prevede un ordinamento statale con una Costituzione scritta e rigida e alcuni enti territoriali dotati di proprie Costituzioni interne (gli Stati membri USA, i Lander tedeschi); è prevista una ripartizione di competenze, riguardo ai 3 poteri, tra lo Stato centrale e gli Stati membri; è previsto funzioni elettive verrebbe minacciato da conflitti di interessi. Alcune cause di incompatibilità sono previste dalla Costituzione: incompatibilità tra deputato e senatore (art.65), PdR e qualsiasi altra carica (art.84), parlamentare e membro del CSM (art.104), parlamentare e consigliere regionale (art.122), parlamentare e giudice della Corte costituzionale (art.135). Altre cause sono previste dalla legge 60/1953 per cui sono incompatibili: i titolari di uffici pubblici o privati di nomina governativa, soggetti che gestiscono servizi per conto dello stato, soggetti con carche direttive in istituti bancari o società che esercitano attività finanziarie. Infine la legge ha introdotto cause di non candidabilità, ovvero una inidoneità assoluta, per soggetti condannati per delitti connessi a mafia, traffico di armi e droga. Disciplina delle campagne elettorali: una parte importante della legislazione di contorno ha l’obiettivo di disciplinare la fase che precede le elezioni per assicurare uguaglianza di opportunità dei candidati come previsto dall’art.51 della costituzione. Tale disciplina è affidata alla legge 28/2000 (che ha modificato la precedente 515/1993) che regola la comunicazione politica in periodo di campagna elettorale, ma anche al di furori di questo periodo, secondo criteri ispirati alla parità di trattamento, all’obiettività, alla completezza e all’imparzialità dell’informazione, tutto ciò a salvaguardia della “par condicio”. La legge del 1993 sottopone anche le spese elettorali ad un regime particolare prevedendo limiti di spesa e presentazione alla camera di rendiconti con indicati contributi ricevuti e loro provenienza. In Italia nel 1974 con la è stato introdotto un sistema di finanziamento pubblico dei partiti, negli anni più volte modificato, che prevedeva: - contributi per lo svolgimento dei compiti e delle attività di partito; - contributi alle spese elettorali per le elezioni al Parlamento nazionale, europeo e per i consigli regionali; - obbligo di presentazione del bilancio consultivo alle Camere; - divieto di finanziamento da parte di enti pubblici, pubbliche amministrazioni e società a partecipazione statale. Col referendum del 1993 sono state abrogate le disposizioni riguardo i contributi per lo svolgimento dei compiti e delle attività di partito. Nel 1997 è stata introdotta la contribuzione volontaria attraverso la destinazione di una quota, pari al 4 per mille dell’imposta sul reddito, a favore non di un solo ma di tutti i partiti. Nel 1999 è stato reintrodotto il finanziamento pubblico ma sotto forma di rimborso delle spese elettorali sostenute; nel 2002 la soglia minima per avere diritto al finanziamento è stata ridotta dal 4% all’1% dei voti espressi in ambito nazionale per assicurare l’esistenza anche delle formazioni politiche minori. I sistemi elettorali: il sistema elettorale è il meccanismo con cui i voti espressi dagli elettori si trasformano in seggi. Il sistema elettorale si compone di 3 parti: • Il tipo di scelta dell’elettore: categorica con una scelta secca su un solo candidato; ordinale con un voto espresso in un ordine di preferenze (un voto principale e voti ausiliari) • La dimensione del collegio: collegio unico che serve a ripartire tra i candidati tutti i seggi in palio (parlamento in Israele); più collegi, ciascuno dei quali eleggerà un certo numero di parlamentari, se ne viene eletto uno si tratta di collegio uninominale, altrimenti si tratta di collegi plurinominali • La formula elettorale: il meccanismo attraverso cui si procede alla ripartizione dei seggi. La scelta di questo meccanismo si distingue in maggioritario e proporzionale: • Sistema elettorale maggioritario: il seggio è attribuito a chi ottiene la maggioranza dei voti; con maggioranza assoluta si viene eletti con la metà più uno dei voti validi: se nessuno la raggiunge al secondo turno si scontrano i due più votati ed è eletto chi ottiene più voti (in Francia al secondo turno sono ammessi i candidati con una percentuale del 12,5% tipologia majority di tipo plurality); con maggioranza relativa viene eletto semplicemente chi prende più voti (USA tipologia plurality) • Sistema elettorale proporzionale: i seggi vengono distribuiti a seconda della quota ottenuta da ciascuna lista di candidati, partendo da una quantità di voti almeno pari ad una percentuale minima, detta “quoziente elettorale”; una volta attribuiti i seggi si passa ai candidati eletti in ciascuna lista: nel caso di voto per la lista e voto di preferenza ai candidati, vince chi ha più preferenze; se non è previsto il voto di preferenza i candidati sono eletti in base all’ordine previsto dalla lista (bloccata) scelta dai dirigenti di partito. Le formule proporzionali più utilizzate per il calcolo dei seggi sono 2: • Il metodo d’Hondt (divisioni successive): il totale dei voti di ciascuna lista, detto cifra elettorale, viene diviso prima per 1, poi per 2, per 3, per 4, fino a coprire il numero di tutti i seggi da assegnare; quindi si scelgono i quozienti più alti ottenuti e si assegnano i seggi disponibili in base ai risultati in ordine decrescente. • Il metodo del quoziente: si calcola il totale dei voti di tutti i partiti che costituisce la cifra elettorale generale che viene divisa per il numero dei seggi per ottenere il quoziente elettorale; si calcola il totale dei voti di ciascuna lista per ottenere la singola cifra elettorale che viene divisa per il quoziente elettorale; il quoziente ottenuto da tale divisione rappresenta il numero di seggi spettante alla lista; nel frequente caso in cui le divisioni producano dei resti, e non si riescano ad assegnare tutti i seggi in palio, si può applicare il metodo dei più alti resti (vengono attribuiti i seggi rimanenti alle liste con i resti più alti) o il metodo del quoziente rettificato (si abbassa il quoziente elettorale per ridurre i resti). Il sistema proporzionale garantisce anche la partecipazione delle forze politiche minori anche se con la previsione delle clausole di sbarramento si attua una sorta di selezione. In Italia sino al 1993 si è avuto un sistema proporzionale che assicurava a tutte le forze politiche delle garanzie di sopravvivenza, componente tipica di un parlamento compromissorio. La crisi dei partiti ha prodotto una spinta verso una democrazia maggioritaria fino al referendum elettorale del 1993 che, con l’abrogazione di alcune norme della legge elettorale del senato, consentiva l’elezione con sistema maggioritario. Tale risultato ha espresso un chiaro indirizzo politico a favore di una trasformazione maggioritaria dell’intero sistema elettorale. Nel 2005 il sistema elettorale maggioritario è stato abbandonato e la legge 270 ha introdotto un sistema proporzionale caratterizzato da: • Lista bloccata: voto alla lista senza preferenze per i candidati • Collegamenti di più liste: un’unica coalizione con un unico programma elettorale • Preventiva indicazione del capo di coalizione che diventerà Presidente del Consiglio • Clausola di sbarramento: alla Camera sono ammesse alla ripartizione dei seggi le coalizioni con almeno il 10% con una lista al 2% dei voti; le singole liste con il 4%; le liste in coalizioni con meno del 10% ma che hanno ottenuto almeno il 4%; il criterio adottato è quello dei quozienti e dei più alti resti. Al Senato sono ammesse alla ripartizione dei seggi le coalizioni sul piano regionale con almeno il 20% e con una lista al 3% dei voti; le singole liste sul piano regionale con almeno l’8%; le liste delle coalizione con meno del 20% ma che hanno ottenuto almeno l’8%. • Premio di maggioranza: per garantire che la coalizione più votata possa avere la maggioranza in parlamento; alla Camera la coalizione deve raggiungere almeno 340 seggi; al Senato l’attribuzione di seggi è su base regionale, perciò alla coalizione che ha ottenuto nella regione il maggior numero di voti, vengono attribuiti seggi aggiuntivi fino ad acquisirne il 55%. Il voto degli italiani all’estero: la legge cost. 1/2001 introduce un nuovo comma all’art.48 per cui la legge stabilisce requisiti e modalità per il diritto di voto all’estero istituendo una circoscrizione estero per l’elezione delle Camere alla quale sono assegnati seggi per l’elezione di 12 deputati e 6 senatori. La circoscrizione estero è suddivisa in 4 aree: Europa (comprese le zone europee di Russia e Turchia); America centro-settentrionale; America meridionale; Africa-Asia-Oceania-Antartide). In ciascuna delle aree è eletto 1 deputato e 1 senatore, mentre gli altri seggi sono distribuiti in proporzione ai cittadini che vi risiedono sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. La legge 459/2001 prevede l’elettorato attivo nella circoscrizione estero per i cittadini iscritti nelle liste elettorali dei residenti all’estero predisposte dal Governo. Per l’elettorato passivo possono candidarsi solo i cittadini residenti all’estero. Per le elezioni del Parlamento Europeo la materia è regolata dalla l. 18/1978 modificata dalla 10/2009 che ha introdotto la soglia di sbarramento al 4%. LE FORME DI GOVERNO Forme di governo dello Stato liberale Per forma di governo si intendono i modi in cui il potere è distribuito tra gli organi principali di uno Stato e l’insieme dei rapporti che intercorrono tra loro. Le forme di governo conosciute nello Stato Liberale sono: la monarchia costituzionale, il governo parlamentare e negli USA il governo presidenziale. La monarchia costituzionale: è la forma di governo di tipo dualistica che si afferma nel passaggio dallo Stato Assoluto allo Stato Liberale e, si caratterizza, per la netta separazione dei poteri tra il re (potere esecutivo), e il parlamento (potere legislativo). Tra i due centri di autorità non esisteva alcun tipo di raccordo anche se al Re era consentito di partecipare all’esercizio della funzione legislativa (sanzionava le leggi del Parlamento) e della funzione giurisdizionale (nomina dei giudici). Inoltre il Re aveva il potere di nominare i ministri e poteva sciogliere anticipatamente la camera elettiva del Parlamento. Il Re basava la sua legittimazione politica sul principio monarchico-ereditario, il Parlamento sul principio elettivo. Tale dualismo manteneva un equilibrio sociale e rafforzava il ruolo sociale e politico della borghesia, che ha portato ad una evoluzione della monarchia costituzionale ovvero il governo parlamentare. Il governo parlamentare si instaura quando tra il re e il parlamento si inserisce un terzo organo, il governo, che acquisisce autonomia dal re, per cercare il consenso del parlamento attraverso il rapporto di fiducia. Il governo parlamentare ha conosciuto 2 fasi: una fase di parlamentarismo dualista nella quale il potere esecutivo era ripartito tra Governo e il capo dello Stato e il Governo doveva avere una doppia fiducia, del Re e del Parlamento e il inizialmente e non può essere revocata e non vi sono poteri di scioglimento anticipato: tale tipo di governo trova adozione in Svizzera. LA FORMA DI GOVERNO ITALIANA: CARATTERI GENERALI La forma di governo italiana è parlamentare a debole razionalizzazione, con limitati interventi costituzionali, per assicurare la stabilità del rapporto di fiducia e la capacità di direzione politica del governo. La razionalizzazione si manifesta nella previsione di un Pdr, dotato di poteri di garanzia e intermediazione politica, una Corte Costituzionale a garanzia della Costituzione, e il rapporto di fiducia tra governo e parlamento. La razionalizzazione del rapporto di fiducia (art.94) è diretta a garantire la stabilità del governo, e contempla la mozione di sfiducia e la mozione di fiducia: • La mozione di sfiducia: è l’atto con cui il Parlamento interrompe il rapporto di fiducia col Governo costringendolo alle dimissioni; deve essere motivata e votata per appello nominale con una chiara assunzione di responsabilità per chi fa cadere il governo; deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e messa in discussione non prima di 3 gironi dalla sua presentazione • La mozione di fiducia: prevede che il governo entro 10 giorni dalla sua formazione si presenti dinanzi alle Camere per ottenere la fiducia, che viene accordata o respinta, con una mozione motivata e votata per appello nominale Il procedimento di formazione del governo termina positivamente solo se le Camere votano la fiducia al governo che deve avere una maggioranza pronta a sostenerlo e senza la quale non riuscirebbe ad ottenere la fiducia. Si tratta della maggioranza politica, una maggioranza stabile che si aggrega attorno ad un determinato indirizzo politico che si impegna a realizzare. Da ciò deriva la ratio costituzionale della “questione di fiducia” posta su iniziativa del governo che richiede l’approvazione parlamentare (es. su un disegno di legge). È uno strumento con cui il Governo rivendica la sua responsabilità per l’attuazione dell’indirizzo politico ponendo pressione sulla maggioranza politica per cui, in caso di non approvazione parlamentare, si riterrà venuta meno la fiducia, con conseguente crisi e dimissioni del governo. Nell’esperienza repubblicana le crisi di Governo, infatti, non sono nate a seguito di una mozione di sfiducia, ma a causa della rottura degli accordi tra i partiti, che davano vita alla maggioranza, e il Governo, e in un Parlamento di partiti come quello italiano, in sostanza, il rapporto di fiducia lega il Governo alla maggioranza piuttosto che all’intero Parlamento. La crisi di Governo consiste nella presentazione delle dimissioni del Governo causate dalla rottura del rapporto di fiducia tra il Governo da una parte ed il Parlamento dall’altra. Tradizionalmente si distingue tra: • Crisi parlamentari: determinate dalla mozione di fiducia respinta; dall’approvazione di una mozione di sfiducia; da un voto contrario sulla questione di fiducia posta dal Governo che è giuridicamente obbligato a presentare le sue dimissioni al Capo dello Stato • Crisi extraparlamentari: si aprono a seguito delle dimissioni volontarie del Governo, causate da una crisi politica all’interno della sua maggioranza. Solo in 4 casi ci sono state dimissioni del Governo determinate dalla mancata concessione della fiducia iniziale (De Gasperi, nel 1953, Fanfani nel 1954, Andreotti nel 1972 e nel 1979); in 2 soli casi la crisi è stata determinata dalla votazione negativa sulla questione di fiducia posta dal Governo (Prodi nel 1998 e 2008). Pertanto le crisi extraparlamentari sono state la regola. L’art. 94 Cost. prende in considerazione solo la sfiducia che riguarda l’intero Governo, ma ci sono stati dei casi di mozione di sfiducia nei confronti di un singolo ministro, ed i regolamenti parlamentari hanno riconosciuto questa figura estendendo ad essa la disciplina che la Costituzione ha prevista per la sfiducia nei confronti dell’intero Governo. Il sistema politico italiano ha operato a lungo con multipartitismo esasperato, che ha spinto verso un assetto della forma di governo vicino agli schemi del parlamentarismo compromissorio, mentre a partire dalla IX legislatura si sono affermate tendenze a favore del parlamentarismo maggioritario; per sistema politico a multipartitismo esasperato si intende un sistema caratterizzato dalla presenza di un alto numero di partiti e da una notevole distanza ideologica tra i partiti che ne fanno parte. La destra neofascista e la sinistra comunista non erano considerate come forze utilizzabili per la formazione dei Governi ed esisteva perciò una convenzione tacita che escludeva questi partiti dall’area di governo, chiamata “conventio ad excludendum”. La forma di Governo ha funzionato sulla base di maggioranze formate dopo le elezioni attraverso accordi tra i partiti e sull’esclusione dei due poli estremi (sinistra e destra) e si sono imperniate sulla DC. Col tempo, però, la crisi delle ideologie, la laicizzazione della società, l’integrazione europea, hanno determinato la spinta ad abbandonare la democrazia consociativa a favore di una democrazia maggioritaria. La gran parte dell’elettorato ha smesso di votare sulla base dell’appartenenza ad un determinato partito, ma ha scelto in funzione delle proposte politiche ritenute di volta in volta preferibili. Gli anni ’90 hanno visto una profonda modificazione del sistema politico, con la nascita di nuovi partiti e la scomparsa dei partiti “storici”, che nella maggior parte dei casi si sono trasformati in soggetti nuovi (Margherita, Verdi, Rifondazione comunista, Forza Italia, AN, Lega Nord, Fiamma tricolore). È venuta meno la centralità di un partito che costituisca il pilastro di ogni maggioranza (la DC). In un sistema pluripartitico come quello italiano la maggioranza sarà formata attraverso l’accordo tra più partiti, cioè una coalizione; il Governo che si basa sulla fiducia ottenuta attraverso l’accordo di più forze politiche viene chiamato Governo di coalizione. Vanno distinte: • le coalizioni annunciate davanti al corpo elettorale: il corpo elettorale può scegliere tra coalizione alternative; i partiti si impegnano a realizzare il programma contenuto negli accordi di coalizione e la maggioranza presenta un alto grado di stabilità, visto che la rottura degli accordi e il cambio di maggioranza richiedono il ricorso a nuove elezioni. • le coalizioni formate in sede parlamentare dopo le elezioni: si formano tramite un negoziato per cui ogni partito potrà far valere la forza che deriva dal grado di consenso elettorale ottenuto; le maggioranze si fanno e si cambiano in Parlamento, quindi la rottura degli accordi di coalizione e la formazione di una nuova maggioranza non richiedono di regola una nuova consultazione elettorale. In Italia prima del 1994 le coalizioni si sono sempre formate dopo le elezioni ma, a seguito della crisi del sistema politico e l’avvento di una democrazia maggioritaria, si è sviluppata la tendenza verso un sistema basato sulla competizione tra due coalizioni annunciate al corpo elettorale. IL GOVERNO Il governo è un organo costituzionale formato dal presidente del consiglio e dai ministri che danno vita al Consiglio dei Ministri. La disciplina costituzionale che lo riguarda pone poche regole e principi riguardo struttura e funzionamento, rinviando tutto il resto alla prassi, alla legge e all’autoregolamentazione dello stesso Governo. Gli artt. 92-96 disciplinano la formazione del governo nel seguente modo: • il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio; • i ministri sono nominati dal PdR su proposta del presidente del consiglio; • i membri del governo giurano nelle mani del PdR prima di assumere le loro funzioni; • entro 10 giorni il governo deve ottenere la fiducia del parlamento; • la fiducia è accordata mediante mozione motivata votata per appello nominale. Per ciò che riguarda la struttura l’art.92 si limita a citare gli organi governativi necessari come il Presidente del Consiglio e i ministri che insieme danno vita al Consiglio dei Ministri, ma non esclude che la legge ne individui altri, i cosiddetti organi governativi non necessari (es. vice presidente del consiglio, ministri senza portafoglio). Il Governo si configura come un soggetto politicamente unitario, responsabile dell’indirizzo politico che segue e capace di dare attuazione a tale indirizzo; il problema è che quanto più i membri del Governo sono espressione di partiti e gruppi differenti (come avviene nei Governi di coalizione), tanto più si pone il problema di ricondurli entro un indirizzo unitario. A tal proposito l’art.95 si limita a prevedere che: • il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile; • il Presidente del Consiglio mantiene l’unità dell’indirizzo politico ed amministrativo del Governo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri; • i ministri rispondono collegialmente per gli atti del Consiglio dei ministri e individualmente per gli atti dei loro ministeri. Il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e mantiene l’unità dell’indirizzo politico, il Consiglio dei ministri determina tale politica generale. La formazione del Governo La formazione del Governo nelle democrazie pluralistiche può avvenire secondo 2 modalità: • le democrazie mediate, in cui sono i partiti dopo le elezioni i reali detentori del potere di decidere struttura e programma del Governo; • le democrazia immediate, in cui esiste l’investitura popolare diretta del capo del Governo e a loro volta si differenziano a seconda del diverso ruolo riconosciuto ai partiti politici. La forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione italiana esclude che il corpo elettorale formalmente possa scegliere il Presidente del Consiglio, ma la disciplina costituzionale è compatibile sia con le modalità di formazione tipiche della democrazia mediata, sia con la sostanziale investitura popolare del vertice del Potere esecutivo. Per lungo tempo la formazione del Governo è avvenuta secondo regole convenzionali e prassi coerenti con le esigenze della democrazia mediata. La prassi ha visto l’affermazione di una figura non espressamente contemplata dalla Costituzione, cioè l’incarico per la formazione del Governo. Dopo l’apertura della crisi di Governo il Presidente della Repubblica procede • Sottosegretari di Stato coadiuvano il ministro (od il Presidente del Consiglio) ed esercitano i compiti che quest’ultimo delega loro con apposito decreto. Essi sono collaboratori e non fanno parte del Consiglio dei ministri. Tra i sottosegretari un ruolo del tutto particolare ha il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, che svolge le funzioni di segretario del Consiglio dei ministri • Viceministri sono quei sottosegretari (che non possono superare il numero di dieci) cui vengono conferite deleghe relative all’intera area di competenza di una o più strutture dipartimentali o di più direzioni generali (cioè delle strutture amministrative di massima dimensione all’interno dei ministeri). • Comitati interministeriali, che possono essere di due tipi, e cioè quelli istituiti per legge (che ne fissa composizione e competenze) che hanno competenze a deliberare in via definitiva su determinati oggetti adottando atti produttivi di effetti, in particolare va menzionato il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) al quale la legislazione attribuisce competenze in materia di politica economica. E quelli istituiti con decreto del Presidente del Consiglio con compiti provvisori per affrontare questioni definite. • Commissari straordinari del Governo, nominati al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o ad indirizzi deliberati dal Governo o dal Parlamento • Consiglio di Gabinetto, che il Presidente del Consiglio ha talvolta istituito per riunire i ministri che rappresentano le diverse componenti politiche della coalizione. Il Governo si presenta come soggetto unitario la cui rappresentanza è assunta dal Presidente del Consiglio, che controfirma le leggi e gli atti con forza di legge, tiene i contatti con il PdR, assume le decisioni proprie del Governo, pone la questione di fiducia, previo assenso del Consiglio dei ministri, manifesta all’esterno la volontà del Governo. Le linee generali dell’indirizzo politico ed amministrativo del Governo sono espresse nel programma di governo, predisposto dal Presidente del Consiglio ed approvato dal Consiglio dei ministri. Per attuare il suo indirizzo politico il Governo ha a disposizione una molteplicità di strumenti giuridici: • la direzione dell’amministrazione statale; • i poteri di condizionamento della funzione legislativa del Parlamento; • i poteri normativi di cui è direttamente titolare il Governo e che consistono nell’adozione degli atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti legge) e dei regolamenti. Settori della politica governativa: • La politica di bilancio e finanziaria rientra fra le principali responsabilità del Governo, al quale la legge attribuisce il compito di elaborare i documenti che definiscono il quadro finanziario dell’attività dello Stato come ad es. il disegno di legge finanziaria, disegno di legge di bilancio. L’insieme di questi poteri di proposta, di direzione e di controllo fa capo al ministero dell’economia e delle finanze. • La politica estera si sostanzia nella stipula dei trattati internazionali e nella cura dei rapporti con gli altri Stati nell’ambito delle organizzazioni internazionali cui l’Italia partecipa. Su alcune categorie di Trattati il Parlamento esercita il controllo attraverso la legge di autorizzazione alla ratifica. • La politica comunitaria concerne i rapporti con le istituzioni comunitarie: l’azione del Governo in questo campo è coordinata dal Presidente del Consiglio dei ministri • La politica militare: il documento costituzionale disciplina il regime di emergenza bellica con gli articoli 78 ed 87, secondo i quali: • le Camere deliberano lo Stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari; • il Capo dello Stato dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere; • il Capo dello Stato ha il comando delle forze armate e presiede il Consiglio supremo di difesa, anche se la direzione politica e tecnico-militare delle forze armate rientra nell’indirizzo politico ed amministrativo del Governo. La prassi si è allontanata da questo disegno, perché le operazioni belliche iniziano prima di qualsiasi intervento del Capo dello Stato, del Consiglio supremo di difesa e del Parlamento, che è chiamato successivamente a convalidare politicamente l’operato del Governo. • La politica informativa e di sicurezza riguarda la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione: al Presidente del Consiglio dei ministri sono attribuiti la direzione dei Servizi segreti e la materia del segreto di Stato. Il Presidente del Consiglio può apporre il segreto di Stato su tutti gli atti, i documenti, le notizie, le attività ed ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità dello Stato democratico. La disciplina dei servizi segreti era inizialmente disciplinata dalla legge 801/1977, che ha previsto due distinti servizi: il SISMI (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare), alle dipendenze del ministro della difesa, ed il SISDE (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), alle dipendenze del ministro dell’interno. Nel 2007 è stata approvata la legge 124/2007 che ha riformato il sistema dei sevizi segreti modificati e rinominati in AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e AISI (Agenzia informazioni e sicurezza interna) e non dipendono da un ministro ma dal presidente del consiglio. Pubblica amministrazione e atto amministrativo: Ciascun ministro è, di regola, preposto ad uno dei grandi rami dell’amministrazione statale, che prende il nome di ministero. L’organizzazione dei ministeri attualmente è basata sul principio della separazione tra politica ed amministrazione: agli organi di governo spetta l’esercizio della funzione di indirizzo politico e amministrativo, che consiste nella determinazione degli obiettivi e dei programmi da attuare; ai dirigenti amministrativi, invece, spetta l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi (favorevoli: autorizzazioni, concessioni; sfavorevoli (espropriazioni, sanzioni amministrative) che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa. Gli elementi essenziali dell’atto amministrativo sono: soggetto; oggetto; contenuto; causa; forma (di regola scritta). I vizi dell’atto amministrativo possono essere: • Vizio di legittimità che causa nullità o annullabilità: La mancanza di un elemento essenziale causa nullità dell’atto per cui non produce effetti validi e non è sanabile; l’annullabilità è un ipotesi meno grave (mancanza di un parere, incompetenza dell’organo preposto) e l’atto annullabile produce effetti validi fino all’annullamento, può essere sanato rimuovendo le cause di invalidità • Vizio di merito: riguarda le lo spazio di scelta dell’Amministrazione nell’ambito dei limiti e di vincoli stabiliti dall’ordinamento I mezzi di tutela contro gli atti amministrativi invalidi sono il ricorso amministrativo (per chiedere l’annullamento di un provvedimento illegittimo) e il ricorso giurisdizionale (per motivi di legittimità). Il ministro, definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le conseguenti direttive generali, cui dovranno conformarsi i dirigenti ed assegna a ciascun ufficio di livello dirigenziale le risorse umane, materiali e risorse economico- finanziarie necessarie per realizzare gli obiettivi assegnati. In passato i ministeri sono sempre stati numerosi (circa una ventina) causando la frammentazione di competenze riguardanti la stessa materia tra più strutture ministeriali. La soluzione è stata tentata col d.lgs. 300/1999 che ha ridotto il numero dei ministeri a 12, ma nel 2006 col secondo governo Prodi una modifica al d.lgs. 300/1999 ha portato i ministri a 18 più altri 8 “senza portafoglio”. Infine è intervenuta la legge finanziaria del 2008 che ha riportato il numero dei ministri a 12 e ha stabilito un numero massimo di 60 elementi tra ministri, vice ministri, “senza portafoglio” e sottosegretari. I principi costituzionali comuni a tutte le amministrazioni: • la legalità della pubblica amministrazione e la riserva di legge in materia di organizzazione. Il principio di legalità può definirsi come la sottoposizione dell’amministrazione alla legge, nel senso che l’amministrazione può fare solo ciò che è previsto dalla legge e nel modo da essa indicato mediante atti amministrativi. Quando l’amministrazione utilizza gli strumenti del diritto privato (per esempio, un contratto di compravendita), si imbatte nei normali limiti legali che incontra il soggetto privato, salvo quei particolari aspetti della sua attività che devono sottostare a regole pubblicistiche; • l’imparzialità della pubblica amministrazione (art.97), che vieta di effettuare discriminazioni tra soggetti non sorrette da alcun fondamento razionale, e perciò arbitrarie; • il buon andamento della pubblica amministrazione (art.97), che richiede un’attività amministrativa efficiente-conveniente (in grado di realizzare il miglior rapporto tra mezzi impiegati e risultati conseguiti) ed efficace (capace di raggiungere gli obiettivi prefissati); • il principio del concorso pubblico per l’accesso al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, per cui, salvo i casi stabiliti dalla legge, agli impieghi con le amministrazioni pubbliche si accede mediante concorso; • il dovere di fedeltà, che è sancito in termini generali per tutti i cittadini (art. 54: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. Si vuole assicurare un’amministrazione che nell’attuazione dell’indirizzo amministrativo non sia influenzata da legami di dipendenti pubblici, con gruppi, associazioni, partiti ed è la stessa Costituzione (art 98) ad introdurre • l’elezione di 1/3 dei componenti del Consiglio superiore della magistratura; • la votazione dell’elenco dei cittadini membri “aggregati” alla Corte costituzionale per giudicare sulle accuse costituzionali; • la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica. La Costituzione demanda la disciplina del funzionamento interno di ciascuna camera e la disciplina del procedimento legislativo ordinario ai regolamenti parlamentari. Ogni ramo del Parlamento ha un’organizzazione interna con diversi organi: il presidente d’assemblea, l’ufficio di presidenza, le commissioni, i gruppi parlamentari, la conferenza dei capigruppo. I 2 Presidenti di Camera e Senato, hanno il compito di regolare l’attività di tutti i loro organi facendo osservare il regolamento. Il Presidente della Camera dei deputati presiede il Parlamento in seduta comune, il Presidente del Senato della Repubblica supplisce il capo dello Stato nelle ipotesi d’impedimento ai sensi dell’art.86; Il regolamento della Camera dei deputati dispone che l’elezione del presidente avvenga con scrutinio segreto con un quorum che nella prima votazione è dei due terzi dei componenti la Camera; dopo la terza votazione richiede solo la maggioranza assoluta dei voti. Per il Senato, il regolamento stabilisce che è eletto presidente colui che ottenga la maggioranza assoluta dei voti dei componenti, e se per 2 scrutini non si raggiunge detta maggioranza, è sufficiente la maggioranza dei presenti computando tra i voti anche le schede bianche, se dopo il terzo scrutinio nessuno ha raggiunto detta maggioranza si procede al ballottaggio tra i due senatori che abbiano riportato il maggior numero di voti, e risulterà eletto chi otterrà la maggioranza relativa. Successivamente all’elezione dei Presidenti, le Camere provvedono all’elezione dei vicepresidenti, dei deputati (o senatori) questori e dei segretari che costituiscono l’Ufficio di presidenza, il cui compito, è quello di coadiuvare il Presidente nell’esercizio delle sue funzioni. I vicepresidenti collaborano con il Presidente, che li può convocare ogni volta che lo ritenga opportuno e lo sostituiscono in caso di assenza o di impedimento. I questori provvedono al buon andamento dell’amministrazione di ogni Camera ed esercitano altre funzioni tutte riconducibili al suo funzionamento interno (cerimoniale, mantenimento dell’ordine nella sede di ciascuna Camera) ed alle spese delle assemblee. I segretari sovrintendono alla redazione del processo verbale ed assolvono ad altre funzioni riconducibili al corretto esercizio delle competenze parlamentari. I gruppi parlamentari I gruppi parlamentari sono le unioni dei membri di una Camera espressione dello stesso partito o movimento politico: gli statuti dei partiti disciplinano i gruppi, incaricandoli di tradurre in decisioni parlamentari la linea politica approvata dai vertici del partito stesso. I presidenti dei gruppi danno vita alla Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari, che ha poteri determinanti sull’organizzazione dei lavori dell’assemblea. La conferenza dei presidenti approva il programma dei lavori d’aula ed il relativo calendario. Alla Camera i presidenti dei gruppi possono presentare emendamenti e mozioni che altrimenti richiederebbero la richiesta da parte di un certo numero di parlamentari. Al gruppo è attribuito il potere di designare i membri che faranno parte delle commissioni parlamentari. Le commissioni parlamentari Le commissioni parlamentari sono organi collegiali che possono essere permanenti o temporanei, monocamerali o bicamerali e la loro costituzione deve rispecchiare la proporzione dei vari gruppi parlamentari. Le commissioni temporanee (es. commissioni d’inchiesta) assolvono compiti specifici e durano in carica il tempo stabilito per l’adempimento della propria funzione. Le commissioni permanenti (Giustizia, Difesa, Istruzione) sono organi stabili e necessari di ciascuna Camera, titolari di importanti poteri nell’ambito del procedimento legislativo; inoltre esse si riuniscono per ascoltare e discutere comunicazioni del Governo e per esercitare le funzioni di indirizzo, di controllo e di informazione e si riuniscono in sede consultiva per esprimere pareri. Ciascuna commissione permanente ha competenza in una determinata materia. Le commissioni bicamerali sono formate in parte eguale da rappresentanti delle due Camere; la costituzione all’art.126 prevede una sola commissione bicamerale, quella per le questioni regionali, modificata dalla recente riforma del Titolo V. Con legge sono state istituite commissioni bicamerali con poteri di controllo, indirizzo e vigilanza: • il Comitato per i servizi di sicurezza: ha il compito di verificare che l’attività dei servizi di informazione e sicurezza si svolga nel rispetto delle finalità indicate dalla legge istitutiva; • la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi: che esercita poteri di vigilanza e di indirizzo finalizzati a far sì che l’informazione da parte del servizio pubblico si svolga in modo tale da garantire il corretto funzionamento del sistema democratico. Il funzionamento del Parlamento La durata in carica delle due Camere (legislatura) è pari a 5 anni, ma la Costituzione prevede che le funzioni delle Camere dei deputati possano essere esercitate anche al di là del termine di scadenza nel caso della prorogatio (art. 61.2) e della proroga con legge, che può essere disposta solo nel caso di guerra (art. 60.2). La prorogatio è un istituto in virtù del quale l’organo scaduto non cessa di esercitare le sue funzioni fino a quando non si sia provveduto al suo rinnovo, al fine di assicurare la continuità funzionale del Parlamento. La prorogatio cessa con la “prima riunione delle nuove Camere”; alle Camere in prorogatio è vietato procedere all’elezione del Capo dello Stato (art. 85.3 Cost.); nella prassi si ritiene che le camere in prorogatio possano svolgere la cosiddetta ordinaria amministrazione riguardo gli atti privi di rilievo politico. Altri aspetti del funzionamento del Parlamento riguardano la validità delle sedute e le modalità del voto parlamentare. Per la validità della seduta la Costituzione richiede la maggioranza dei componenti, (quorum strutturale) che si raggiunge con la partecipazione della metà più uno dei deputati o dei senatori. Per la validità delle deliberazioni è richiesta, salvo che la Costituzione non prescriva maggioranza diversa, la maggioranza dei presenti (quorum funzionale). I regolamenti di Camera e Senato dettano disposizioni diverse circa il computo delle astensioni: • alla Camera i deputati che abbiano dichiarato di astenersi, sono computati ai fini del numero legale nelle votazioni in cui esso debba essere accertato, ma sono considerati come non presenti nel computo della maggioranza richiesta per l’adozione della deliberazione (artt.46 e 48 reg.) • al Senato (artt.107-108 reg.) chi è interessato ad astenersi si allontana fisicamente dall’aula o dalla commissione, o se è presente l’astensione si considera come voto contrario La regola generale è quella secondo cui si procede con voto palese. Al voto segreto si fa ricorso tutte le volte nelle quali le deliberazioni riguardino persone. Il voto può essere espresso per alzata di mano, per appello nominale, mediante procedimento elettronico, per schede. Con le modifiche ai regolamenti (approvati nel 1977) tra il 1997 e il 1999 si è cercato di assicurare tempi certi all’esame dei progetti inseriti nel programma e nel calendario per cui è stabilito preventivamente il tempo disponibile per la discussione e vi è una corsia preferenziale per la manovra di bilancio e per la legge comunitaria. Il metodo della programmazione serve a bilanciare le esigenze della maggioranza e la garanzia del ruolo delle opposizioni. L’ordine dei lavori si basa sulla predisposizione del programma, del calendario e dell’ordine del giorno. Il programma contiene l’elenco degli argomenti che la Camera intende esaminare, per un periodo di tempo di almeno 2 mesi e non superiore a 3 mesi. Il calendario specifica il programma ed indica quali materie saranno trattate nelle singole sedute previste; l’ordine del giorno (che organizza i lavori di ogni singola seduta) ha una funzione esecutiva. Le prerogative parlamentari Le prerogative parlamentari sono istituti che mirano a salvaguardare il libero e ordinato esercizio delle funzioni parlamentari a garanzia dell’indipendenza del Parlamento, con la conseguenza che sono irrinunciabili e indisponibili da parte del singolo parlamentare; l’art.68 Cost. prevede due istituti: • l’insindacabilità in qualsiasi sede (penale, civile, disciplinare) per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle funzioni parlamentari; • l’immunità penale, in virtù della quale il parlamentare non può essere sottoposto a misure restrittive della libertà personale o domiciliare, né a limitazioni della libertà di corrispondenza e comunicazione, senza la previa autorizzazione della Camera di appartenenza. La Corte Costituzionale ha precisato che, in assenza della previa deliberazione della Camera il giudice può procedere ma la sua attività è destinata ad arrestarsi non appena vi sia una concreta deliberazione della Camera, “a meno che egli non ritenga che la Camera, con la dichiarazione di insindacabilità, abbia illegittimamente esercitato il proprio potere, per vizi in procedendo, oppure perché mancavano i presupposti di detta dichiarazione. Non è più richiesta l’autorizzazione per sottoporre a procedimento penale il parlamentare (come era previsto dal testo originario dell’art. 68.2 Cost.), secondo il nuovo testo è richiesta l’autorizzazione della Camera di appartenenza per sottoporre il parlamentare a misure restrittive della libertà personale o domiciliare e a limitazioni della libertà di corrispondenza e comunicazione; se c’è una sentenza penale di condanna irrevocabile, per la sua esecuzione non occorre alcuna autorizzazione. Gli interna corporis Ogni Camera è dotata di autonomia normativa per quanto riguarda la disciplina delle proprie attività e della propria organizzazione, di autonomia contabile per la gestione del proprio bilancio e di autodichia, ossia della giurisdizione esclusiva per ciò che riguarda i ricorsi relativi ai rapporti di lavoro con i dipendenti. Oltre alla Funzione legislativa che come afferma l’art.70 è esercitata collettivamente dalle due Camere” il Parlamento ha anche una funzione di controllo e di indirizzo. • Per gli atti posti in essere nell’esercizio delle sue funzioni, la Costituzione (art.90) prevede esclusivamente una responsabilità penale per i “reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione”, sicché al di fuori di queste ipotesi estreme il Presidente è giuridicamente irresponsabile, ed in relazione a questi fatti non potrà essere giudicato nemmeno dopo che è cessato il suo mandato. • Per gli atti e i comportamenti non riconducibili all’esercizio delle funzioni presidenziali: l’opinione prevalente ritiene che il Capo dello Stato sia penalmente responsabile per i fatti commessi e qualificabili come reati anche se l’azione penale sarebbe improcedibile per tutta la durata del mandato, mentre sarebbe civilmente responsabile al pari di qualsiasi altro cittadino. Soluzione della crisi di Governo: per la soluzione delle crisi di Governo il Capo dello Stato dispone di due poteri: il potere di nomina del Presidente del Consiglio (art.92) ed il potere di sciogliere anticipatamente il Parlamento, senza aspettare la fine naturale della legislatura (art.88). questi poteri assumono una funzione di intermediazione politica. Il Capo dello Stato può sciogliere entrambe le Camere od anche una sola di esse; prima di sciogliere le Camere deve sentire i loro Presidenti, che esprimono al riguardo un parere, ritenuto obbligatorio ma non vincolante; il suddetto potere non può essere esercitato negli ultimi 6 mesi della legislatura (si parla di semestre bianco). Nel parlamentarismo maggioritario la decisone sostanziale di sciogliere anticipatamente il parlamento fa capo al governo ma il potere sostanziale di scelta della maggioranza e del governo è nelle mani del corpo elettorale. In un sistema politico pluripartitico con coalizioni postelettorali lo scioglimento è stato considerato come un atto complesso, sostanzialmente deciso dal Capo dello Stato e dal Governo, che registravano la volontà delle forze politiche di non trovare un accordo prima di nuove elezioni. Una volta che è deciso lo scioglimento anticipato del Parlamento, a seguito di una crisi di Governo, il decreto di scioglimento sarà controfirmato dal Governo dimissionario, che resta in carica per l’ordinaria amministrazione. Gli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali sono: • gli atti di nomina, cioè gli atti coi quali il Presidente della Repubblica nomina: • 5 senatori a vita (art.59.2 Cost.); la disposizione costituzionale consente che possano essere nominati complessivamente 5 senatori a vita, ma una diversa interpretazione è stata seguita dai presidenti Pertini e Cossiga, che hanno ritenuto che il limite di 5 fosse riferibile al potere di nomina di ciascun Presidente della Repubblica; • 5 giudici costituzionali (art.135.1 Cost; • il rinvio delle leggi alle Camere per una nuova deliberazione; • i messaggi presidenziali: il PdR può inviare messaggi liberi (in forma scritta) alle Camere • esternazioni atipiche: sono tutte quelle manifestazioni del pensiero presidenziale i cui destinatari sono genericamente la pubblica opinione od il popolo; • la convocazione straordinaria delle Camere (art.62 Cost.) Gli atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi sono: • l’emanazione dei decreti-legge e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti del Governo, che assumono la forma del decreto presidenziale: • l’adozione, con la forma del decreto presidenziale (d.P.R.), dei più importanti atti del Governo, ed in particolare della nomina dei funzionari dello Stato; • la promulgazione della legge, che deve avvenire di regola entro 1 mese dall’avvenuta approvazione parlamentare. • La ratifica dei trattati internazionali, predisposti dal Governo ed eventualmente autorizzati dal Parlamento; la dichiarazione dello stato di guerra previa deliberazione delle Camere: in questo contesto al Capo dello Stato è affidato anche il comando delle forze armate e la presidenza del Consiglio supremo di difesa anche se la titolarità sostanziale dei poteri militari e di difesa è del Governo, che risponderà politicamente dinanzi al Parlamento dell’esercizio di detti poteri • la concessione della grazia e la commutazione delle pene (art.87 Cost.); • la Costituzione (art.87) infine affida al Capo dello Stato i poteri: • indire le elezioni delle nuove Camere fissandone la prima riunione; • indire il referendum popolare; • conferire le onorificenze della Repubblica; • emanare il decreto di scioglimento dei Consigli regionali Supplenza del Presidente della Repubblica: tutte le volte in cui il PdR non può adempiere le sue funzioni, queste sono esercitate dal Presidente del Senato (art.86 Cost.); gli impedimenti si distinguono in impedimenti temporanei ed impedimenti permanenti: nel caso in cui si verifichi un impedimento temporaneo il Presidente del Senato è legittimato all’esercizio delle funzioni presidenziali, assumendo la funzione di supplente del PdR. Nel caso di impedimento permanente, così come di morte o di dimissioni, scatta sempre la supplenza del Presidente del Senato, ma in questo caso il Presidente della Camera dei deputati, ai sensi dell’art.86.2, avvia il procedimento per l’elezione del nuovo PdR. REGIONI E GOVERNO LOCALE Regioni nella storia istituzionale italiana La Costituzione italiana prevede un sistema di autonomie regionali e locali, avendo previsto uno stato regionale basato su Regioni dotate di: • autonomia politica (art.114 Cost): ovvero un proprio indirizzo politico, anche diverso da quello dello stato • autonomia legislativa e amministrativa (art.117 Cost): nelle materie espressamente indicate nella Costituzione • autonomia finanziaria (art.119 Cost): possono stabilire come utilizzare le risorse finanziarie a loro attribuite La Costituzione prevedeva anche la distinzione tra le 15 regioni ordinarie e le 5 regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Trentino, Valle D'Aosta), con l'aggiunta delle province di Trento e Bolzano. Veniva inoltre riconosciuta anche l'autonomia di alcuni enti territoriali come comuni e province, con la differenza che le regioni possono legiferare e la loro autonomia è definita in Costituzione, i comuni e le province possono solo regolamentare e la loro autonomia doveva essere definita da leggi dello Stato. Nonostante le previsioni costituzionali le regioni sono state istituite solo nel 1970 e hanno raggiunto una parziale autonomia di funzioni amministrative tra il 1972 e il 1977, con decreti di trasferimento, alle regioni delle funzioni amministrative. Con la riforma Bassanini (1997) invece le funzioni amministrative venivano attribuite in linea di principio a Regioni ed Enti locali, con la solo eccezione per quelle materie riservate espressamente allo stato dalla legge (difesa, forze armate, beni culturali). Nel 2001 il Parlamento con legge 3/2001 ha modificato il titolo V della Costituzione, modificando il rapporto tra stato, regioni ed enti locali, provocando un decentramento politico, e designando una repubblica delle autonomie articolata su più livelli territoriali di governo (comuni, città metropolitane, provincie, regioni) dotati di autonomia costituzionalmente garantita. Ripartizione di competenze tra stato, regioni ed enti locali La Riforma Costituzionale ha previsto che la Repubblica si divisa in regioni, province, città metropolitane e comuni, ciascuno dotato di autonomia. Inevitabilmente la Repubblica delle autonomie ha provocato una modificazione del modo in cui sono ripartite le competenze tra stato, regioni ed enti territoriali per cui lo stato ha perduto la potestà legislativa generale, e si è quindi passati dal principio del “parallelismo delle funzioni” ai principi di: • sussidiarietà: per cui il livello di governo superiore interviene solo quando l’amministrazione più vicina ai cittadini non possa da sola assolvere al compito • differenziazione: per cui enti dello stesso livello possono avere competenze diverse • adeguatezza: per cui le funzioni devo essere affidate ad enti che abbiano requisiti sufficienti di efficienza Pertanto l'amministrazione pubblica, viene assegnata, se non diversamente richiesto, all'amministrazione locale. I raccordi tra i diversi livelli territoriali di governo ossia gli strumenti di coordinamento e collegamento, tra i diversi livelli di governo territoriale. Le materie sono spesso interconnesse e qualsiasi problema complesso richiede il coordinamento di tutti i centri di potere pubblico. La riforma del 2001 non ha previsto la Camera delle regioni che è lo strumento di raccordo tipico degli stati federali, perciò in Italia attualmente i raccordi principali sono la Commissione bicamerale integrata, la Conferenza stato-regioni e altre Conferenze. • Commissione bicamerale integrata: svolgeva compiti consultivi, ma la riforma del 2001 ha le ha attribuito rilevanti funzioni di raccordo tra stato e regioni prevedendo: • la partecipazione alla commissione bicamerale di rappresentanti di regioni, provincie autonome ed enti locali. • l’intervento della Commissione parlamentare che può esprimere parei quando un progetto di legge riguarda materie di competenza legislativa concorrente. A diversi anni di distanza nessun atto è stato deliberato tramite la commissione bicamerale che sembra ormai essere abbandonata. • Conferenza stato-regione: il principale strumento con cui si svolge la leale collaborazione tra stato, regioni e autonomie locali. Il nucleo fondamentale è la Conferenza Stato-Regioni (che vede Stato, regioni, provincie Trento e Bolzano), a cui è stata affiancata la Conferenza Stato-Città e autonomie locali. Sono sedi di confronto per l’elaborazione del contenuto di possibilità del voto disgiunto) il sindaco e la lista, vince il sindaco che ha ottenuto la metà più 1 dei voti, se ciò non avviene si procede al ballottaggio con elezione per chi prende più voti. La ripartizione dei seggi avviene col proporzionale e metodo d’Hondt con premio di maggioranza alla lista del candidato vincente. L'elezione del presidente della provincia è simile a quella per il sindaco dei comuni con più di 15.000 abitanti. Infine, per tutte le elezioni negli Enti Locali è prevista una clausola di sbarramento che non ammette alla ripartizione dei seggi le liste che non hanno ottenuto il 3%. L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA Giudici ordinari e giudici speciali Esistono più giurisdizioni nel sistema giudiziario italiano: • I giudici ordinari amministrano la giustizia civile e penale attraverso organi giudicanti ed organi requirenti: • Organi giudicanti civili di primo grado (giudice di pace e tribunale) e di secondo grado (corte d’appello). • Organi giudicanti penali di primo grado (giudice di pace, tribunale, corte d’assise) ed di secondo grado (corte d’appello, corte d’assise d’appello, tribunale della libertà). • Organi requirenti sono i Pubblici Ministeri. • I giudici amministrativi sono i Tribunali Amministrativi Regionali, istituiti uno in ciascuna Regione e il Consiglio di Stato. Alla giurisdizione amministrativa è affidata la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi (mentre giudice ordinario spettano le controversie in materia di diritti soggettivi), che prevede la possibilità che siano annullati gli atti della pubblica amministrazione (art.113 Cost.). L’interesse legittimo può essere definito come la situazione di vantaggio che si possiede di fronte al potere dell’amministrazione e si sostanzia nella garanzia della legittimità dell’atto amministrativo nel caso in cui l’amministrazione ha agito illegittimamente, esercitando male un potere attribuitole dal diritto. • I giudici tributari esercitano la giurisdizione nelle controversie fra i cittadini e l’amministrazione finanziaria dello Stato. • I giudici militari, in tempo di guerra, esercitano la giurisdizione secondo quanto stabilito dalla legge; in tempo di pace esercitano la giurisdizione solo sui reati commessi dagli appartenenti alle forze armate (art.103.3 Cost.). Principi costituzionali in tema di giurisdizione: • Principio della precostituzione del giudice (o principio del giudice naturale): “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” (art.25 Cost.): nessuno può trovarsi ad essere giudicato da un giudice appositamente costituito, dopo aver commesso un determinato fatto, ma è la legge che deve indicare i criteri per individuare automaticamente quale sia l’organo competente a giudicare una certa questione. Secondo la Costituzione i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati e contro le decisioni dei giudici originari è ammesso ricorso alla Corte di cassazione, che rappresenta il più alto grado di giudizio. La Corte di cassazione si configura come giudice di legittimità, competente a conoscere le sole violazioni di legge compiute dagli organi giurisdizionali di grado inferiore (dunque non si occupa della ricostruzione dei fatti Alla Corte di Cassazione, è affidata la funzione di “nomofilachia”, la soluzione delle questioni interpretative più controverse al fine di indirizzare l’attività giurisdizionale degli organi giudicanti e requirenti. • Diritto di difesa e giusto processo: la Costituzione garantisce il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (art.24 Cost) nei confronti di soggetti privati e nei confronti dello Stato o di altri enti pubblici (art.113 Cost.). Per assicurare il diritto alla difesa il processo si caratterizza: • per il contraddittorio fra le parti,; • per l’imparzialità e la terzietà del giudice. Questi principi si trovano chiaramente formulati nel nuovo testo dell’art.111 e stabiliscono che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo, che stabilisce anche che la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo. Lo status giuridico dei magistrati ordinari La Costituzione stabilisce che la nomina a magistrato debba avvenire per concorso (art.106.1), ma ci sono delle eccezioni: • possono essere nominati consiglieri di cassazione, per meriti insigni, anche i professori ordinari di università in materie giuridiche o gli avvocati che abbiano svolto la loro professione per 15 anni • il giudice di pace, che è un magistrato onorario appartenente all’ordine giudiziario; L’art.104.1 Cost. afferma che “la magistratura costituisce un ordine autonomo indipendente da ogni altro potere”; l’autonomia dell’ordine giudiziario fa sì che ciascun magistrato possa determinarsi autonomamente senza ricevere alcun condizionamento da altri magistrati appartenenti all’ordine giudiziario; l’indipendenza dell’ordine giudiziario tutela ogni singolo magistrato da tutti quei condizionamenti che possono provenire da poteri diversi dal potere giudiziario. L’art.107.1 Cost. afferma che “i magistrati sono inamovibili”: ciò significa che i magistrati senza il loro consenso non possono essere trasferiti ad una sede diversa da quella che occupano; l’ordinamento prevede che il magistrato possa essere trasferito ad altra sede solo con un provvedimento del Consiglio superiore della magistratura (CSM). Il consiglio superiore della magistratura: CSM A garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura la Costituzione italiana ha previsto che tutti i provvedimenti riguardanti la carriera ed in generale lo status dei magistrati ordinari devono essere adottati da un organo che è sganciato dal Governo, e cioè il CSM, composto (art.104.2 Cost.): • di 3 membri di diritto: il PdR che lo presiede, il Primo Presidente della Cassazione ed il Procuratore Generale della Corte di Cassazione; • membri togati (2/3) che sono eletti dai magistrati ordinari; • membri laici, (1/3) che sono eletti dal Parlamento in seduta comune tra professori in materie giuridiche ed avvocati che esercitano la professione da almeno 15 anni. Se si escludono i 3 membri di diritto, la Costituzione non stabilisce direttamente quanti devono essere i componenti del CSM, ma stabilisce il rapporto tra quelli eletti dai magistrati ed i membri laici (cioè 2/3 ed 1/3); con la presenza dei membri laici i costituenti vollero impedire che l’autonomia e l’indipendenza della magistratura si trasformasse nella creazione di una specie di “casta” separata da tutti i poteri dello Stato. Nel 2002 è stata approvata una riforma della composizione del CSM a seguito della quale i membri togati sono 16 e quelli laici 8 cui si aggiungono i 3 membri di diritto e pertanto il CSM risulta composto da 27 membri. La responsabilità disciplinare opera in caso di violazione dei doveri connessi al corretto esercizio della funzione giurisdizionale, i magistrati ordinari rispondono di ogni comportamento, assunto in ufficio o fuori, in violazione dei propri doveri, in modo da compromettere il prestigio e la credibilità dell’ordine giudiziario, agli occhi dei cittadini. I magistrati ordinari, oltre che alla responsabilità disciplinare, sono sottoposti a quella penale (in caso di reati commessi nell’esercizio delle funzioni) ed a quella civile per la quale la legge ha previsto un regime speciale per i magistrati ordinari, speciali, contabili, militari: esso riguarda i danni subiti dal cittadino per effetto di privazione della libertà personale conseguente ad atti e comportamenti assunti con dolo (ossia intenzionalmente) o con colpa grave (cioè con grave negligenza). Gli atti del CSM assumono la veste di decreti del Presidente della Repubblica e sono sottoposti al sindacato del giudice amministrativo ove vengano impugnati con apposito ricorso giurisdizionale; il Giudice competente è il TAR del Lazio ed in appello il Consiglio di Stato. Il ministro della giustizia Il ministro della giustizia prima della costituzione del 1948 aveva rilevanti poteri in materia di ordinamento giudiziario, status e carriera dei magistrati. Oggi si limita a: • curare l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (art.110 Cost.); • promuovere l’azione disciplinare davanti all’apposita sezione disciplinare del CSM; • partecipare al procedimento di conferimento degli uffici degli incarichi di maggior rilievo nell’ordinamento giudiziario (presidente di Tribunale e di Corte d’appello); • esercita poteri di sorveglianza ed eventuali attività ispettive nei confronti degli uffici giudiziari. FONTI: NOZIONI GENERALI Fonte del diritto è l’atto od il fatto abilitato dall’ordinamento giuridico a produrre norme giuridiche, cioè a innovare all’ordinamento giuridico stesso. Le norme di un ordinamento giuridico che indicano le fonti abilitate ad innovare l’ordinamento stesso si chiamano norme di riconoscimento. Fonti di cognizione: le fonti di cognizione sono gli strumenti attraverso i quali si vengno a conoscere le fonti di produzione: Gazzetta ufficiale (G.U.), Bollettini Ufficiali delle Regioni (B.U.R.) e la Gazzetta ufficiale della Comunità europea (GUCE). Per consentire lo studio e la conoscenza dei nuovi atti è previsto un periodo (vacatio legis), di regola di 15 giorni, in cui gli effetti del nuovo atto sono sospesi, in quanto non “entrano in vigore” immediatamente dopo la pubblicazione, se non è altrimenti disposto; trascorso questo l’annullamento, che è l’effetto di una dichiarazione di illegittimità che un giudice pronuncia nei confronti di un atto: l’atto perde validità (la validità consiste nella conformità di un atto o di un negozio giuridico rispetto alle norme che lo disciplinano). L’atto invalido è un atto viziato; i vizi possono essere formali quando riguardano la forma dell’atto (es. emanato da un organo non competente) o sostanziali quando riguardano i contenuti normativi di una disposizione (viziata perché produce un’antinomia con norme tratte da disposizioni di rango superiore). Di regola quando un giudice dichiara l’illegittimità di un atto normativo, questa dichiarazione ha effetti generali erga omnes: l’atto annullato non può più essere applicato a nessun rapporto giuridico, anche se sorto in precedenza all’annullamento; al contrario dell’abrogazione, l’annullamento opera ex tunc ma solo per quei rapporti giuridici pendenti. • Il criterio della specialità: dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire la norma speciale a quella generale, anche se questa è successiva. Le norme in conflitto rimangono entrambe efficaci e valide: l’interprete opera solamente una scelta di quale norma applicare. Il criterio di specialità, appartenendo alle tecniche dell’interpretazione, opera inter partes. Riassumendo: • Criterio cronologico: provoca una Abrogazione che rappresenta una fisiologia dell’ordinamento ed opera ex nunc con effetti erga omnes (se espressa) o inter partes (negli altri casi). • Criterio gerarchico: provoca un Annullamento che rappresenta una patologia dell’ordinamento ed opera ex tunc con effetti sempre erga omnes. • Criterio di specialità: provoca una Deroga che rappresenta una complessità dell’ordinamento ed opera ex nunc con effetti inter partes o erga omnes (se espressa). Il criterio della competenza Il criterio di competenza prescrive di dare preferenza alla norma competente: se una legge ordinaria dovesse disciplinare alcuni aspetti della vita interna di una Camera, potrebbe essere impugnata perché, violando la competenza della Camera. Riserve di legge e principio di legalità La riserva di legge è lo strumento con cui la Costituzione regola il concorso delle fonti nella disciplina di una determinata materia, imponendo perciò al legislatore di disciplinare una determinata materia per impedire che questa venga disciplinata da atti che stanno ad un livello gerarchico più basso della legge. Il principio di legalità, prescrive che l’esercizio di qualsiasi potere pubblico si fonda su una norma attributiva della competenza: la sua ratio è di assicurare un uso regolato, controllabile, “giustiziabile”, del potere. Il principio di legalità formale richiede solo che l’esercizio di un potere pubblico si basi su una previa norma di attribuzione della competenza; il principio di legalità sostanziale richiede invece che l’esercizio del potere pubblico sia limitato e diretto da specifiche norme di legge, tali da restringere la discrezionalità dell’autorità. Tipologie di riserve di legge: • le riserve a favore di atti diversi dalla legge: • riserve a favore della legge costituzionale. l’approvazione degli Statuti delle Regioni ad autonomia differenziata (art.116), i giudizi di legittimità costituzionale e le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte (art.137); • riserve a favore dei regolamenti parlamentari • riserve a favore dei decreti di attuazione degli Statuti speciali • la riserva di legge formale ordinaria impone che sulla materia intervenga il solo atto legislativo prodotto attraverso il procedimento parlamentare (legge del parlamento), con esclusione degli altri atti equiparati alla legge formale stessa: è il Governo a predisporre i bilanci e a chiederne l’approvazione al Parlamento (art.81); • le riserve di legge in senso stretto prescrivono che la materia da esse considerata sia disciplinata dalla legge ordinaria (del Parlamento) e dalle fonti equiparate, escludendo o limitando l’intervento di atti di livello gerarchico inferiore alla legge, cioè dei regolamenti amministrativi; si distinguono due tipi di riserve di legge: • la riserva assoluta esclude qualsiasi intervento di fonti sub-legislative dalla disciplina della materia, che dovrà essere integralmente regolata dalla legge formale ordinaria o da atti ad essa equiparata; esempio: l’art. 13.2 consente che la libertà personale sia limitata (tramite arresto, perquisizioni ecc.) “nei soli casi e modi previsti dalla legge”; • la riserva relativa non esclude che alla disciplina della materia concorra anche il regolamento amministrativo, ma richiede che la legge disciplini preventivamente almeno i principi a cui il regolamento deve attenersi; • le riserve rinforzate sono un meccanismo con cui la Costituzione non si limita a riservare la disciplina di una materia alla legge, ma pone ulteriori vincoli al legislatore: • riserve rinforzate per contenuto: si hanno in quei casi in cui la Costituzione prevede che una determinata regolazione possa essere fatta dalla legge ordinaria solo con contenuti particolari; per esempio per le perquisizioni domiciliari (e quindi derogatorie rispetto alla disciplina già tracciata dall’art. 14.2), ma solo per “motivi di sanità e di incolumità pubblica”; • le riserve rinforzate per procedimento prevedono che la disciplina di una determinata materia debba seguire un procedimento aggravato (o rinforzato) rispetto al normale procedimento legislativo; per esempio, l’art. 7 prevede che i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, già regolati dal Concordato, possano essere modificati solo previo accordo tra le due parti . LE FONTI DELL’ORDINAMENTO ITALIANO Costituzione e leggi costituzionali: La costituzione come testo normativo è la più importante fonte del diritto, da cui derivano diritti e doveri, obblighi e divieti giuridici, attribuzione di poteri. Le costituzioni possono essere flessibili, quando non prevedono un procedimento particolare per la loro modificazione o rigide, quando prevedono un procedimento di modificazione più complesso. Le costituzioni flessibili sono quelle che si sono diffuse nell'800, per concessione dei sovrani, e potevano essere modificate mediante legge ordinaria. Il senso di queste costituzioni era di decretare il passaggio della titolarità del potere dal Re al quella del “Re in Parlamento” con un accordo consensuale nel procedimento legislativo. Le costituzioni rigide, sono tipiche del 900 (fa eccezione quella americana del 1787) e sono frutto di un compromesso tra stati, come nel caso USA, o tra parti politiche, religiose e sociali per salvaguardare le minoranze. Necessario è a questo punto dare alcune definizioni di termini spesso presenti nel linguaggio giuridico specie nel diritto costituzionale: • Interessi e valori: sono fuori dal diritto ma rappresentano gli obiettivi che spingono il legislatore. • I Principi: sono la forma che interessi e valori prendono nel diritto, diventando norme giuridiche di carattere generale • Le Norme giuridiche: sono il significato che gli interpreti attribuiscono alle disposizioni del legislatore • Le Disposizioni: sono gli enunciati scritti dal legislatore • Le Regole: sono norme giuridiche di carattere circoscritto che rendono concreto e operativo un principio La Costituzione Italiana entrò in vigore l'1 gennaio del 1948 dopo essere stata approvata dall’Assemblea Costituente eletta contemporaneamente al referendum istituzionale. Essa è composta di parti diverse (139 artt. di cui 5 abrogati): • I Principi fondamentali (12 artt.) che rappresentano delle premesse ideologiche e politiche (art.1, la Repubblica Italiana si fonda sul lavoro; art.4, il lavoro è un diritto fondamentale). • I diritti e i doveri dei cittadini: le libertà individuali (i rapporti civili), i diritti sociali, le libertà economiche, i rapporti politici • L’ordinamento della Repubblica: organizzazione costituzionale dello Stato. La Costituzione rappresenta il vertice della gerarchia delle fonti dell’ordinamento italiano; è una Costituzione rigida, il cui mutamento (revisione costituzionale) è soggetto ad un procedimento particolare, disciplinato dall’art.138 Cost., che prevede 2 deliberazioni successive da parte di ciascuna Camera: in tutto vi saranno 4 deliberazioni sullo stesso testo. • La prima deliberazione è a maggioranza relativa; in questa fase le Camere possono apportare al progetto di legge costituzionale qualsiasi emendamento. • Nella seconda votazione invece i regolamenti delle Camere vietano che siano portati emendamenti al testo votato in precedenza e si aprono 2 strade alternative: • se in ciascuna Camera si esprime un voto favorevole con una maggioranza dei 2/3 la legge è fatta e viene promulgata dal Presidente della Repubblica; • se ciò non avviene, basta che la legge sia approvata con maggioranza assoluta (metà più uno dei membri di ciascuna Camera), ma in questo caso non si tratta di un’approvazione definitiva: il testo approvato dal Parlamento è pubblicato sulla GU in modo da darne la massima pubblicità; entro 3 mesi dalla pubblicazione può essere chiesto un referendum costituzionale, in modo da sottoporre il testo ad approvazione popolare. Lo possono chiedere minoranze del corpo elettorale (con la raccolta di 500.000 firme), minoranze territoriali (cinque consigli regionali) e l’assemblea dalla discussione ed approvazione degli emendamenti, decentrandoli in commissione e riservando all’aula l’approvazione finale. Valgono per questo procedimento le stesse garanzie che circondano il procedimento per commissione deliberante per quanto riguarda l’esclusione delle materie coperte da riserva di assemblea e la richiesta che il progetto sia rimesso all’aula. Conclusa la fase dell’approvazione, la legge è perfetta, ma non ancora efficace (cioè produttiva di effetti giuridici): l’efficacia è data dalla promulgazione da parte del PdR che svolge un controllo formale (il testo approvato dalle 2 Camere deve essere identico) e sostanziale: egli, ha il potere di rinviare la legge alle Camere, con messaggio motivato; il rinvio può essere compiuto una volta sola e se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”. Leggi rinforzate e fonti atipiche La Costituzione in alcuni casi ha previsto che per disciplinare una determinata materia bisogna seguire procedimenti particolari di formazione della legge (leggi rinforzate); in altri casi ha previsto che una determinata legge abbia una collocazione particolare nel sistema delle fonti, non avendo la stessa forza attiva o passiva delle altre leggi ordinarie (leggi atipiche). • Le leggi rinforzate: sono tali perché è reso più complesso dell’ordinario il procedimento di formazione del progetto di legge; di regola è il Governo che deve svolgere una fase di acquisizione del consenso degli interessati prima di formalizzare il proprio disegno di legge coinvolgendo comunità locali, religiose, nella preparazione del progetto da presentare alle Camere. Il rafforzamento del procedimento legislativo può essere disposto solo da una norma costituzionale: per es., la riforma del Titolo V stabilisce, nel nuovo art.116, che la legge che intende riconoscere a determinate Regioni “forma e condizioni particolari di autonomia”, oltre a subire il rafforzamento del procedimento di formazione del disegno di legge, debba essere poi approvata da ciascuna Camera a maggioranza assoluta. I procedimenti rinforzati sono procedimenti specializzati seguiti per produrre leggi anch’esse specializzate: si distinguono dalle leggi comuni sia per la forza attiva (possono abrogare solo le leggi che hanno quello specifico contenuto) che per forza passiva (possono essere abrogate solo da leggi formate con quello specifico procedimento): le leggi rinforzate sono anche a loro modo esempi di fonti atipiche. • Le fonti atipiche sono quegli atti che non rientrano del tutto nella legge ordinaria “tipo” perché pur avendo la stessa “forma” della legge hanno una posizione diversa per quanto riguarda la loro “forza”. Le tipologie principali di fonti atipiche sono 2: • le leggi che l’art.75.2 esclude dal referendum abrogativo sono atipiche perché dotate di una forza passiva potenziata • sono atipiche anche le leggi meramente formali, che hanno la forma della legge, ma non hanno un contenuto normativo paragonabile a quello tipico delle leggi e cioè non introducono norme capaci di produrre effetti giuridici generali nell’ordinamento; per es., le leggi di approvazione del bilancio e la legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. L’atipicità del bilancio di previsione consiste nel fatto che la legge che lo approva non può modificare la legislazione sostanziale vigente; la sua forza attiva, la sua capacità di innovare le leggi ordinarie, è azzerata. La legge di bilancio è atipica anche per la sua forza passiva, cioè per le modalità che riguardano la sua abrogazione; essa ha un’efficacia temporale limitata all’anno cui si riferisce; la legge di bilancio non è abrogabile in toto da una legge successiva (e non è abrogabile per referendum). Legge di delega e decreto legislativo delegato art.76 Cost. e art.14 L.400/1988 La legge di delega è la legge con cui le Camere possono attribuire al Governo il proprio potere legislativo; il decreto legislativo (chiamato anche decreto delegato) è il conseguente atto con forza di legge emanato dal Governo in esercizio della delega conferitagli dalla legge: (es. i codici sono stati prodotti attraverso la delega legislativa come anche le principali riforme degli apparati amministrativi e del sistema tributario). L’art.76 Cost. delimita il potere di delega per cui: • La delega può essere conferita esclusivamente con legge formale: si tratta di una delle materie coperte da riserva di legge formale. • La delega può essere conferita solo al Governo, inteso nella sua collegialità (il Consiglio dei Ministri), e non ai singoli organi che lo compongano. • La legge di delega deve contenere indicazioni minime (i contenuti necessari) ovvero: • deve restringere l’ambito tematico della funzione delegata, indicando un oggetto definito; • deve restringere l’ambito temporale della funzione delegata, indicando un tempo limitato entro il quale il decreto deve essere emanato; • deve restringere l’ambito della discrezionalità del Governo, indicando principi e criteri direttivi che servono da guida per l’esercizio del potere delegato. Il decreto legislativo delegato: il potere esecutivo esercita le proprie funzioni attraverso la forma del decreto; decreti sono anche gli atti che il Governo emana nell’esercizio delle attribuzioni legislative che gli sono riconosciute dalla Costituzione. Quanto ai decreti emanati in forza della legge di delega (i decreti delegati), la loro formazione segue questo procedimento: • proposta del/i Ministro/i competente/i; • delibera del Consiglio dei Ministri; • (eventuali adempimenti, se prescritti dalla legge di delega o ex art.14.4, l.400/88); • emanazione da parte del Presidente della Repubblica (art. 87.5 Cost.). I decreti delegati vengono pubblicati sulla GU con la denominazione di “decreto legislativo”. Un particolare caso di delega accessoria è quella che autorizza il Governo a coordinare le leggi esistenti in una certa materia, raccogliendole in un testo unico: il Governo può procedere alla selezione delle norme vigenti, abrogando esplicitamente quelle che ritiene superflue; si distinguono due tipologie di T.U.: quelli innovativi sono vere e proprie fonti del diritto (innovano al diritto oggettivo) e quelli di compilazione che sono i testi unici di mera compilazione raccolte della normativa vigente e sono semplici fonti di cognizione. Decreto-legge e legge di conversione art.77 Cost. e art.15 L.400/1988 Il decreto-legge è un atto con forza di legge che il Governo può adottare “in casi straordinari di necessità e urgenza”: entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché i decreti-legge “perdono efficacia sin dall’inizio” se il Parlamento non li “converte in legge” entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. La disciplina del decreto-legge è contenuta nell’art.77 Cost. e nell’art.15 della legge 400/1988. Il decreto-legge non può essere emanato nelle materie coperte da riserva di assemblea. Il decreto-legge deve essere deliberato dal Consiglio dei Ministri, emanato dal PdR e immediatamente pubblicato sulla GU; l’art.15 della legge 400 prescrive che esso sia pubblicato “con la denominazione di “decreto-legge” e con l’indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione. Il decreto-legge può essere adottato solo “in casi straordinari di necessità e d’urgenza”: è questa l’unica condizione posta dalla Costituzione perché sia legittimo un evento fortemente contrastante con la fondamentale regola della divisione dei poteri, cioè che il Governo, eserciti il potere legislativo. Il regolamento del Senato prevede il parere obbligatorio espresso in via preliminare dalla Commissione Affari Costituzionali sulla sussistenza dei requisiti della necessità e urgenza. Alla Camera invece è stato tolto il parere preventivo della Commissione affari costituzionali, sostituendolo con un “filtro” più complesso in quanto: • nella relazione del Governo, che accompagna il disegno di legge di conversione, deve essere dato conto dei presupposti di necessità e urgenza per l’adozione del decreto-legge e vengono descritti gli effetti attesi dalla sua attuazione; • la Commissione referente a cui il disegno di legge di conversione è assegnato può chiedere al Governo di integrare gli elementi forniti nella relazione; • il disegno di legge è sottoposto, oltre che alla Commissione referente competente, e al Comitato per la legislazione. I decreti-legge, se non convertiti in legge entro 60 giorni, “perdono efficacia sin dall’inizio”; la perdita di efficacia del decreto-legge è chiamata decadenza e travolge tutti gli effetti prodotti dal decreto-legge. Quando il decreto entra in vigore, esso è pienamente efficace e va applicato; ma se decade, tutto ciò che si è compiuto in forza di esso è come se fosse stato compiuto senza una base legale, e tutti gli effetti prodotti vanno eliminati e va ripristinata la situazione precedente. Talvolta non è neppure possibile ripristinare la situazione precedente ma l’art.77 Cost. appresta 2 strumenti attraverso i quali è possibile trovare una soluzione: • la legge di sanatoria degli effetti del decreto-legge decaduto: si tratta di una legge riservata alle Camere con cui si possono “regolare... i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”. • L’altro strumento è individuabile nell’art.77 “il Governo adotta, sotto sua responsabilità, provvedimenti provvisori”; si tratta di responsabilità giuridica nei suoi vari tipi: • responsabilità penale: i ministri rispondono singolarmente degli eventuali reati commessi con l’emanazione del decreto-legge; • responsabilità civile: i ministri rispondono solidalmente degli eventuali danni prodotti ai terzi; • responsabilità amministrativo-contabile: i ministri che hanno espresso voto favorevole al decreto-legge rispondono solidalmente degli eventuali danni prodotti allo Stato (danno erariale); e sarà la procura della Corte dei conti a promuovere l’azione di responsabilità. Il decreto-legge è un disegno di legge “raccomandato”, che salta la fila dei progetti di legge in quanto se il decreto-legge è adottato per varare una disciplina complessa, per la quale il della Repubblica, con proprio decreto, dichiara l’avvenuta abrogazione della legge, dell’atto o della disposizione. In 2 casi le procedure descritte si interrompono: • in caso di scioglimento anticipato delle Camere: il procedimento è automaticamente sospeso e riprende un anno dopo l’elezione; • in caso in cui, prima dello svolgimento del referendum, la legge venga abrogata. La Costituzione prevede 4 tipi di referendum ma l’unica funzione effettivamente normativa la svolge il referendum abrogativo Altri tipi di referendum sono: sospensivo (art.138); fusione-creazione di nuove regioni (art.132); regionali (artt.123,132); locali (art.8 TUEL); di indirizzo (l. cost. 2/1989) Regolamenti dell’esecutivo In alcuni casi però il termine regolamento designa atti tipici, fonti dell’ordinamento giuridico generale: questo è il caso dei regolamenti dell’esecutivo e sono atti sostanzialmente legislativi ma formalmente amministrativi. Il regolamento dell’esecutivo è una fonte secondaria, sottoposta nella gerarchia delle fonti, alle fonti primarie, cioè alla legge e agli atti con forza di legge. La riforma del Titolo V ha introdotto una importante innovazione contenuta nell’art.117.6 Cost. che stabilisce il principio di parallelismo tra funzioni legislative e funzioni regolamentari, limitando la potestà del Governo di emanare regolamenti alle sole materie sulle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva e riservando alle Regioni il potere regolamentare in tutte le altre materie. La disciplina generale del potere regolamentare del Governo è contenuta: • nelle Preleggi: L’art. 3 delle Preleggi dispone che “il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale”, mentre “il potere regolamentare di altre autorità è esercitato in conformità delle leggi particolari”. “I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”, mentre i regolamenti delle altre autorità “non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo”. • l’art.17 della legge 400/1988 riprende l’impostazione delle Preleggi per cui i regolamenti ministeriali “non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo”; è una gerarchia stabilita da una legge ordinaria, non dalla Costituzione. Il procedimento di emanazione dei regolamenti governativi è diverso da quello per l’emanazione dei regolamenti ministeriali: entrambi sono disciplinati dall’art.17 della legge 400. • I regolamenti governativi vengono deliberati, su proposta di uno o più ministri, dal Consiglio dei Ministri e viene poi emanato dal PdR con proprio decreto; l’atto è così perfetto, ma non ancora efficace: deve passare il controllo di legittimità della Corte dei conti e infine viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. • I regolamenti ministeriali sono invece emanati dal Ministro (hanno la forma del D.M., decreto ministeriale) e sono soggetti anch’essi al controllo della Corte dei conti e sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. L’art.17.1 della legge 400 distingue diverse tipologie di regolamento governativo: • regolamenti di esecuzione delle leggi: sono regolamenti che il Governo adotta anche senza una specifica autorizzazione legislativa quando avverta la necessità di emanare norme che assicurino l’operatività della legge e dei decreti con forza di legge. Possono avere una funzione interpretativa – applicativa della legge, o disciplinare le modalità procedurali per l’applicazione di essa. • regolamenti d’attuazione: essi sono emanati per “l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio. • regolamenti indipendenti: sono emanati nelle “materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge. I regolamenti delegati, hanno la funzione di produrre la delegificazione: La delegificazione si propone come rimedio all’aumento del numero delle leggi ordinarie, operando un declassamento, della disciplina normativa che regola una materia, dalla legge al regolamento. La deregolamentazione (deregulation) punta invece alla riduzione delle regole che imbrigliano l’attività dei privati in un certo settore, nella convinzione che senza l’oppressione di vincoli l’iniziativa privata ed il mercato possano riespandersi; la semplificazione intende eliminare il peso ed i costi degli asfissianti procedimenti burocratici, che opprimono la vita dei privati e delle imprese. LE FONTI DELLE AUTONOMIE Gli Statuti regionali sono fonti dell’ordinamento regionale insieme alle leggi regionali e ai regolamenti regionali. Le Regioni ordinarie sono sottoposte ad una disciplina comune, dettata dal Titolo V della Costituzione, art.117, che ne definisce la potestà legislativa; le 5 Regioni speciali (e le due Province autonome) hanno ciascuna una propria disciplina e sono adottati con legge costituzionale e in base all’art.116 è rinviato allo Statuto speciale la definizione di forme e condizioni particolari di autonomia. Con la legge costituzionale 2/2001 anche alle regioni speciali è stata concessa autonomia nello scegliersi la forma di governo in base ad una propria legge statutaria. Lo Statuto delle Regioni speciali è una legge costituzionale particolare in quanto parte delle sue disposizioni (quelle sulla forma di governo) sono derogabili attraverso una legge regionale. Lo Statuto delle Regioni ordinarie ha subito una riforma anche per ciò che riguarda la procedura di formazione: prima lo Statuto regionale era approvato (e modificato) con legge ordinaria rinforzata: la proposta nasceva in Regione e doveva essere approvata dal Consiglio regionale; quindi veniva trasmessa al Governo che la trasformava in iniziativa legislativa; spettava poi alle Camere l’approvazione della legge, senza potervi apportare modifiche. Il nuovo art. 123 dispone che lo Statuto sia approvato (e modificato) “dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta e il Governo ha la possibilità di impugnarlo direttamente dinanzi alla Corte costituzionale entro 30 giorni dalla sua pubblicazione; entro 3 mesi dalla pubblicazione stessa, un cinquantesimo degli elettori della Regione od un quinto dei componenti del Consiglio regionale può proporre un referendum; si tratta di una nuova ipotesi di referendum approvativo o sospensivo, e “lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi”. Gli statuti delle regioni ordinarie sono quindi leggi regionali rinforzate. Il nuovo art.123 riserva agli statuti la disciplina di alcuni aspetti quali la “forma di governo” regionale, i “principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento”, il diritto di iniziativa legislativa e di referendum su leggi e provvedimenti amministrativi regionali, la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali; Leggi regionali La legge regionale è una legge ordinaria formale; la Costituzione la pone su un piano di concorrenza e di separazione di competenza con la legge statale; è parificata alla legge statale per quanto riguarda il controllo di legittimità, riservato alla Corte costituzionale. Alle leggi regionali sono equiparate le leggi provinciali emanate dalle Province di Trento e Bolzano. Il procedimento di formazione della legge regionale è disciplinato in minima parte dalla costituzione, in parte dallo Statuto e per il resto dal regolamento interno del consiglio regionale. Fasi del procedimento: • iniziativa: Giunta regionale, consiglieri regionali, altri soggetti individuati dagli Statuti (corpo elettorale, enti locali); • approvazione in Consiglio regionale: la legge è approvata a maggioranza relativa, ma gli Statuti possono prevedere maggioranze rinforzate; • promulgazione da parte del Presidente della Regione e pubblicazione sul B.U.R. Allo Stato è consentito solo di impugnare le leggi regionali successivamente alla loro pubblicazione senza poter esercitare un veto preventivo (prima della riforma era necessario il controllo governativo). La riforma del titolo V ha completamente mutato l’autonomia legislativa delle regioni rovesciando il guanto delle competenze. Il testo precedente elencava le materie su cui le Regioni ordinarie avevano potestà legislativa (potestà concorrente), aggiungendo che le leggi statali potevano delegare ulteriori competenze alle Regioni (potestà attuativa); Ora invece il nuovo art. 117 stabilisce: • un elenco di materie su cui c’è potestà legislativa esclusiva dello Stato: • a) politica e affari esteri • b) immigrazione • d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato • e) moneta, sistema tributario e contabile dello Stato;i • un elenco di materie su cui le Regioni hanno potestà legislativa concorrente: • a) rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; • b) tutela e sicurezza del lavoro; • c) governo del territorio; • porti e aeroporti civili; Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.”): la concorrenza consiste nel fatto che la legislazione dello Stato determina i principi fondamentali della materia, mentre il resto della disciplina compete alle Regioni; • una clausola residuale per cui in tutte le materie non comprese nei due elenchi precedenti spetta alle Regioni la potestà legislativa (potestà legislativa residuale). Con il nuovo art.117.1 per la prima volta alle Regioni viene consentito (art.117.9 Cost.) di stipulare “accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato”, rinviando alla • Norme non direttamente efficaci espresse da atti non direttamente applicabili: in genere norme che derivano dalle direttive Aderendo alla Comunità europea l’Italia ha accettato che leggi comunitarie entrassero direttamente nel proprio ordinamento. La Corte di giustizia ha precisato che l’effetto diretto comporta la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno dello stato prevalendo sulle norme interne contrastanti; ciò significa un cedimento, una limitazione della sovranità nazionale. L’unica fonte che disciplina l’adesione dell’Italia è la legge di ratifica del Trattato di Roma (e di tutti i successivi) nonché l’ordine di esecuzione in essa contenuto. La corte costituzionale ha ritenuto che ciò fosse sufficiente a porre una cessione di sovranità in quanto la Cost. nell’art.11 “consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni”. Solo con la riforma del titolo V nell’art.117.1 vi è un esplicito riferimento agli obblighi comunitari. La Corte Costituzionale per risolvere le antinomie ha inizialmente applicato il criterio cronologico (criterio non gradito dalla corte di giustizia della comunità europea) e successivamente il criterio gerarchico, ma nessuno dei due è riuscito a chiarire la questione. La sentenza “Granital” del 1984 n.170 (del giudice relatore La Pergola) ha offerto una soluzione stabilendo che: • l’ordinamento comunitario e l’ordinamento italiano sono due ordinamenti giuridici autonomi ed separati, ognuno dotato di un proprio sistema di fonti (c.d. teoria dualista), • la normativa comunitaria non entra a far parte del diritto interno e non esiste neppure un conflitto fra le fonti perché ognuna e valida ed efficace nel proprio ordinamento • con la ratifica e l’ordine di esecuzione del Trattato, il legislatore italiano ha riconosciuto la competenza della Comunità Europea ad emanare norme giuridiche in determinate materie e che queste si impongono direttamente nell’ordinamento italiano non perché hanno forza di legge ma in virtù della forza a loro conferita dal trattato. • entrambi gli ordinamenti sono validi e spetterà al giudice risolvere i conflitti tra norme applicando un criterio di competenza, ovvero il giudice dovrà accertare se in base al trattato sia competente sulla materia trattata l’ordinamento comunitario o quello interno; la norma non applicata non viene abrogata dall’altra anzi resta sempre valida, ma semplicemente non applicata. Dalla sentenza del 1984 e dalle successive sentenze della corte costituzionale si ricava una quadro dei rapporti tra norme comunitarie e norme interne: • Contrasto tra legge ordinaria e norme CE self-executing: in tal caso va applicata la norma comunitaria solo perché ha effetto immediato; • Contrasto tra legge ordinaria e norme CE non self–executing: in tal caso finché la norma comunitaria non è attuata, è la norma interna ad essere applicata. • Contrasto tra norme sub legislative e norme CE: in tal caso il contrasto è risolto con il criterio della gerarchia in quanto l’osservanza del Trattato è disposta con legge formale; • Contrasto tra norme costituzionali e norme CE: la Corte Costituzionale ha sancito che le norme comunitarie possono comportare deroghe alle norma costituzionali di dettaglio ma non ai principi fondamentali della Costituzione. Attuazione delle norme comunitarie La Legge 86/89 nota come legge La Pergola, poi modificata dalla L.11/2005, ha istituito la c.d. legge comunitaria ovvero una legge che ogni anno deve essere approvata dal Parlamento su iniziativa del Governo e che deve contenere le disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi comunitari. Pertanto le direttive comunitarie possono essere attuate seguendo 3 diverse modalità: • attraverso la legge comunitaria o un’altra legge del Parlamento; • attraverso decreti legislativi sulla base della delega contenuta nella legge comunitaria; • attraverso regolamenti del governo GIUSTIZIA COSTITUZIONALE Per “giustizia costituzionale” s’intende un sistema di controllo giurisdizionale del rispetto della Costituzione. Se non fosse possibile agire di fronte ad un giudice per denunciare una legge che contrasta con la Costituzione questa perderebbe il suo significato giuridico e la sua prevalenza gerarchica rispetto alle altre fonti. Modelli di controllo giurisdizionale delle leggi: • la prima distinzione è tra sindacato preventivo e sindacato successivo (rispetto all’entrata in vigore della legge); tipico esempio di sindacato preventivo è quello del Conseil Costitutionel francese prima della riforma costituzionale del 2008. • nell’ambito dei sistemi a sindacato successivo una distinzione separa i sistemi a sindacato diffuso dai sistemi a sindacato accentrato: • nei sistemi a sindacato diffuso il controllo di legittimità è “diffuso” nel senso che ogni giudice può esaminare la compatibilità della legge con la Costituzione, traendone le conclusioni che crede; tipico dei sistemi di Common law. • nei sistemi a sindacato accentrato il controllo è accentrato nel senso che vi è un unico organo, la Corte costituzionale, che può compiere quel giudizio e dichiarare l’illegittimità delle leggi. Nell’ambito dei sistemi a sindacato accentrato si distinguono due ulteriori modelli di giudizio, a seconda della via d’accesso ad esso: il giudizio in via diretta (o principale) ed il giudizio in via indiretta (o incidentale); Il giudizio in via diretta nasce da un ricorso che il cittadino o determinati organi possono presentare direttamente alla Corte costituzionale (previsto dalla costituzione tedesca e spagnola). Il giudizio in via indiretta si presenza come un incidente nel corso di un giudizio: il giudice, sospende il giudizio e presenta la questione alla Corte costituzionale. Il modello italiano di giustizia costituzionale è prevalentemente orientato verso un giudizio successivo, accentrato, ad accesso indiretto. Prevalentemente ma non esclusivamente, infatti: • Esiste anche una forma di sindacato preventivo: prima della riforma del Titolo V era quello che si svolgeva sulle leggi regionali, impugnate dal Governo; oggi è rimasto solo il sindacato preventivo del Governo sugli Statuti regionali delle regioni speciali. • Il sindacato diffuso sulle leggi è presente nel nostro ordinamento come strumento sussidiario, che può attivarsi in caso di non funzionamento della Corte costituzionale; • Il giudizio in via diretta è previsto dalla nostra Costituzione come strumento riservato solo allo Stato, quando impugna la legge regionale, ed alla Regione, quando impugna la legge dello Stato o di un’altra Regione. Alla giustizia costituzionale è anche attribuito il compito di risolvere i conflitti che insorgono tra gli organi costituzionali e inoltre il compito di giudicare i reati commessi dal Capo dello Stato o dai membri del Governo. Il principio della divisione dei poteri mal tollererebbe che un giudice ordinario, appartenente al potere giurisdizionale, possa paralizzare e causare la destituzione del titolare di un altro potere costituzionale. L’art.134 Cost. elenca le funzioni riservate alla Corte costituzionale per cui è competente a giudicare: • “sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge, dello Stato e delle Regioni”; • “sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato”; • i conflitti di attribuzione “tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni”; • “sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione”, (alto tradimento ed attentato alla Costituzione) per cui può essere messo in stato d’accusa (art. 90.1 Cost.); • La legge cost. 1/1953 ne ha aggiunta un’altra, il giudizio di ammissibilità del referendum. La corte costituzionale: La Corte costituzionale non può avere una struttura rappresentativa (come fosse una terza camera) ma la Costituzione rigida ha bisogno di un organo neutro fuori del gioco politico, ma la neutralità deve essere: • neutralità rispetto alla politica in genere (i componenti la Corte devono essere scelti “fra i magistrati anche delle giurisdizioni superiori, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con 20 anni di esercizio”, art. 135.2); • neutralità rispetto alle parti: in Italia sono i poteri dello Stato a ripartirsi la nomina dei 15 giudici costituzionali (art. 135.1 Cost.) per cui: • 5 sono eletti dal Parlamento in seduta comune a scrutinio segreto e con la maggioranza dei 2/3; • 5 sono nominati dal Presidente della Repubblica; • 5 sono nominati dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa: 3 dalla Cassazione, 1 dal Consiglio di Stato e 1 dalla Corte dei Conti; • Neutralità rispetto agli interessi politici e privati: negli U.S.A. questo obiettivo è perseguito sancendo che la carica di giudice della Corte suprema sia vitalizia: i componenti della Corte non sono interessati a garantirsi un personale futuro politico o professionale. In Italia i giudici durano in carica 9 anni, ed il loro mandato non è rinnovabile (art. 135.3 Cost.); sussiste incompatibilità a qualsiasi ufficio, impiego o professione: durante il loro mandato i giudici della Corte costituzionale “non possono svolgere attività inerente ad una associazione o partito politico”. Status del giudice costituzionale e prerogative della Corte: e dagli art.23 ss. della legge 87/953. Il giudizio in via incidentale sorge nel corso di un procedimento giudiziario come incidente processuale che comporta la sospensione del giudizio e la remissione della questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale. La questione di legittimità costituzionale può essere sollevata da una delle parti o d’ufficio, cioè dal giudice stesso dinanzi al quale pende il giudizio principale: l’impugnazione delle parti può dirsi indiretta, poiché queste non possono adire direttamente la Corte, ma devono presentare un’istanza al giudice della causa principale, che dovrà valutare se ricorrono i presupposti necessari per l’attivazione del giudizio di costituzionalità. Il giudice deve verificare la sussistenza di 2 requisiti indicati dalla legge 87/1953: • che la questione sia rilevante per la risoluzione del giudizio in corso per cui il giudizio non può proseguire senza che venga risolta la questione di legittimità costituzionale; • che non sia manifestamente infondata: la non manifesta infondatezza mira a verificare che la questione di legittimità prima facie (a prima vista) abbia un minimo di fondamento giuridico. Nel caso in cui una delle condizioni di proponibilità del giudizio di costituzionalità non dovesse sussistere, il giudice provvederà respingendo l’istanza con un’ordinanza adeguatamente motivata. Qualora il giudice ritenga invece che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata emette un’ordinanza di rinvio motivata, che produce l’effetto di introdurre il giudizio costituzionale. Tale ordinanza deve contenere gli elementi necessari ad individuare la questione di legittimità costituzionale: • l’indicazione dell’oggetto, con le disposizioni della legge di cui si denuncia l’incostituzionalità e le disposizioni costituzionali che si presumono violate; • la motivazione della rilevanza e i motivi che hanno portato a dichiarare la non manifesta infondatezza; • i profili della questione di legittimità in base ai quali si è verificata la violazione, con la descrizione della fattispecie concreta oggetto della controversia. L’ordinanza di rinvio, una volta giunta alla Corte costituzionale, viene pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana. Entro 20 giorni dall’avvenuta notificazione dell’ordinanza le parti del giudizio a quo possono costituirsi mediante difensore abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione. Il giudizio in via principale: Il giudizio in via principale (disciplinato dagli artt.127 e 134 Cost., art.2 legge Cost. 1/1948 e artt-31-34 legge 87/1953) può essere proposto con ricorso da parte dello Stato contro leggi regionali o da parte della Regione contro leggi statali o di altre Regioni. È detto in via principale in quanto la questione di legittimità viene proposta direttamente con un procedura ad hoc e non nel corso di un giudizio. Dopo la riforma del Titolo V il Governo può agire solo successivamente, contro leggi regionali già in vigore che violino le disposizioni costituzionali. L’atto introduttivo del giudizio in via principale è il ricorso; esso deve essere deliberato dal Consiglio dei ministri, se agisce lo Stato, o dalla Giunta regionale per la Regione, nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione della legge (o dell’atto con forza di legge) che si intende impugnare. Il ricorso deve poi essere depositato nella cancelleria della Corte costituzionale entro i 10 giorni successivi alla notifica a cura del ricorrente. Le decisioni della Corte costituzionale possono essere suddivise in: • decisioni di inammissibilità; decisioni di rigetto; decisioni di accoglimento. Inammissibilità: La Corte pronuncia l’inammissibilità della questione quando manchino i presupposti per procedere ad un giudizio di merito; ciò può accadere: • quando manchino i requisiti soggettivi e oggettivi per sollevare la questione di legittimità costituzionale: quando la questione viene sollevata da un organo non qualificabile come giudice o al di fuori di un procedimento qualificabile come giudizio; • quando l’atto impugnato non rientri tra quelli indicati dall’art. 134 Cost.; • quando manchi il requisito della rilevanza; • quando siano stati compiuti errori procedurali (mancata notificazione alle parti) • quando la questione sottoposta alla Corte comporti “una valutazione di natura politica” Rigetto: Con la sentenza di rigetto la Corte dichiara non fondata la questione prospettata dall’ordinanza di remissione per cui la Corte non dichiara che la legge impugnata è illegittima ma si limita a respingere la questione pronunciandosi sulla fondatezza della costruzione prospettata dal giudice. Accoglimento: Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata. La sentenza ha valore costitutivo ed è solo con la sentenza che la legge viene invalidata; perciò i rapporti sorti in precedenza sulla base di quella legge non cadono ipso iure, perché sono sorti in forza di una legge che in quel tempo era valida. L’art.136 Cost. dispone che a seguito della dichiarazione di illegittimità la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Gli effetti della sentenza di accoglimento non riguardano solo i rapporti che sorgono in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato, purché non si tratti di rapporti giuridici ormai chiusi. Un’eccezione alla regola è la sentenza irrevocabile di condanna, per cui ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali in quanto secondo il Codice penale “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. Sentenze interpretative di rigetto: Le sentenze interpretative di rigetto sono le decisioni con cui la Corte dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale, perché essa si basa su una cattiva interpretazione della disposizione impugnata. Nel caso in cui la stessa disposizione possa essere interpretata in modi diversi, l’interprete deve scegliere l’interpretazione conforme a costituzione. Le sentenze di accoglimento: sono dette manipolative o interpretative in quanto non si limitano alla semplice dichiarazione di illegittimità della legge, ma l’illegittimità è dichiarata “nella parte in cui” la disposizione significa o non significa qualcosa. Le principali sono: • Sentenze di accoglimento parziale: la Corte dichiara illegittima la disposizione per una parte solo del suo testo. • Sentenze additive: la Corte dichiara illegittima la disposizione “nella parte in cui” non prevede ciò che invece sarebbe costituzionalmente necessario prevedere e l’addizione è dunque una norma omessa dal legislatore che viene enunciata nel dispositivo della sentenza. La Corte non è libera di inventare la norma da aggiungere al significato normativo ma deve indicare il “verso” dell’addizione. • Sentenze sostitutive: la Corte dichiara l’illegittimità di una disposizione legislativa “nella parte in cui prevede X anziché Y”: con esse la Corte sostituisce una locuzione della disposizione, incompatibile con la Costituzione, con un’altra corretta. • Sentenze esortative: sono sentenze di rigetto nella cui motivazione la Corte rivolge un invito al legislatore ad intervenire per rendere la disciplina adeguata alla Costituzione. • Sentenze di legittimità provvisoria: sono sentenze di rigetto in cui il monito è legato alla dichiarazione, contenuta nella motivazione, della sicura incompatibilità della disciplina vigente con la Costituzione; la legge impugnata viene però fatta salva in considerazione del fatto che essa è transitoria, ed è destinata ad essere superata da un’imminente riforma legislativa della materia; I conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sono lo strumento con cui un potere dello Stato può agire davanti alla Corte per difendere le proprie “attribuzioni costituzionali” compromesse dal comportamento di un altro potere dello Stato. Il conflitto può sorgere sia da un atto di usurpazione di potere, sia dal comportamento di un organo che intralci il corretto esercizio delle competenze altrui. Il ricorso deve contenere “l’esposizione sommaria delle ragioni del conflitto e l’indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia”. Questo giudizio inizia con una decisione della Corte circa l’ammissibilità del conflitto. La Corte decide con ordinanza se il conflitto ha i presupposti soggettivi (che si tratti di poteri dello Stato) e oggettivi (che siano in discussione attribuzioni costituzionali) per essere giudicato nel merito dalla Corte. La sentenza che chiude il giudizio stabilisce a chi spetti la competenza ed essendo un giudizio tra parti si ritiene che non abbia efficacia erga omnes. I conflitti di attribuzioni tra stato e regioni I conflitti di attribuzioni tra Stato e Regione sono lo strumento con cui vengono risolte le controversie che sorgono tra stato e regione o tra regioni. Sono conflitti tra enti. Il conflitto è introdotto da un ricorso, e condizione di ammissibilità di questo è l’interesse a ricorrere: il ricorrente deve dimostrare di aver subito una lesione attuale (non solo potenziale) e concreta (non solo teorica) della sua competenza. Il giudizio deve essere proposto dal Presidente della Giunta regionale, previa delibera della Giunta regionale, per la Regione; dal Presidente del Consiglio dei Ministri (o da un Ministro delegato) per lo Stato. La sentenza che decide il conflitto dichiara a chi spetta (o non spetti) la competenza, con conseguente eventuale annullamento dell’atto che ha generato il conflitto. In linea di principio, la sentenza, dovrebbe avere solo effetti inter partes; ma se la Corte, in un conflitto promosso da una Regione contro lo Stato, stabilisce che la competenza in questione spetta alla Regione, le altre Regioni beneficiano della sentenza, se invece la decisione è favorevole allo Stato, le Regioni che non erano parti nel giudizio non subiscono l’effetto giuridico della decisione. Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo discrezionale lasciato all’autorità pubblica; ogni provvedimento restrittivo delle libertà individuali è condizionato da una previa autorizzazione da parte del giudice: meccanismi di questo tipo sono previsti dagli artt.: 13.2 e 13.3: “Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.”; 15: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.”; • tutela giurisdizionale: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” (art. 24.1 Cost.); assumono importanza strategica i principi costituzionali come la naturalità e la precostituzione del giudice (art. 25.1: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.”), l’imparzialità e l’indipendenza dei giudici; il principio del contraddittorio e il diritto alla difesa; il principio di presunzione d’innocenza sino a condanna definitiva. • responsabilità del funzionario: l’art. 28 Cost. dice che “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.” L’applicazione delle garanzie costituzionali Il problema che si pone è se ed in quale misura i diritti che la Costituzione riserva espressamente ai cittadini possano essere estesi agli stranieri: questa estensione non può essere considerata automatica sulla sola base del principio di eguaglianza, dato che l’art. 3.1 si riferisce espressamente ai soli cittadini; l’art. 10.2 per lo status giuridico dello straniero pone una riserva di legge rinforzata (per contenuto): “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. La Corte ha esteso la protezione dei diritti ai non-cittadini anche in base all’art.2 Cost. che sancisce il riconoscimento e la garanzia dei “diritti inviolabili dell’uomo”. Di regola l’estensione opera nei confronti dei soli diritti definibili “inviolabili” sulla base della Costituzione; per gli altri diritti continua ad avere applicazione la regola fissata dall’art. 16 delle Preleggi, che ammette lo straniero a godere dei “diritti civili attribuiti al cittadino” a condizione di reciprocità. L’art.2 della legge 40/1988 prevede che: “Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato” (quindi anche se entratovi clandestinamente) sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti; lo straniero “regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato” gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano. L’eguaglianza dello straniero nel godimento dei diritti inviolabili è un principio, non una regola tassativa: questo significa che non è vietato al legislatore di prevedere oneri o limitazioni particolari a carico degli stranieri. Agli stranieri la Costituzione riserva alcuni diritti, riassunti sotto l’etichetta di “diritto d’asilo”. L’estradizione è la consegna di una persona ad uno Stato straniero perché essa venga sottoposta a giudizio (o all’esecuzione della sentenza) per comportamenti che anche in Italia sono considerati reato: “non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici”, mentre la Corte costituzionale ha negato che si possa estradare per reati puniti con la pena di morte nel paese richiedente. L’espulsione è invece l’atto con cui lo Stato allontana dal proprio territorio lo straniero, inviandolo verso lo Stato di appartenenza ma lo straniero non può essere espulso verso uno Stato in cui egli possa essere oggetto di persecuzione politica, razziale, religiosa ecc. Il bilanciamento dei diritti: è una tecnica impiegata per risolvere questioni di costituzionalità in cui si registri un contrasto tra diritti od interessi diversi. Quando la Corte costituzionale è chiamata a giudicare della legittimità del compromesso tra interessi confliggenti fissato dalla legge non può basarsi su considerazioni astratte circa la maggior o minor importanza di un interesse o dell’altro, ma deve procedere con valutazioni riguardo l’interesse alla cui tutela la legge impugnata è diretta; la Corte valuta poi la congruità del mezzo rispetto al fine, ossia la capacità della disposizione impugnata di servire alla tutela dell’interesse che il legislatore ha inteso proteggere; infine valuta il costo della tutela accordata ad un interesse: il “costo” si esprime in termini di compressione dell’altro interesse coinvolto nel bilanciamento. I diritti nella sfera individuale La Costituzione per scrivere le garanzie dei diritti procede secondo una logica precisa, che presuppone uno schema di classificazione: negli artt. 13-16 essa enumera i diritti legati all’individuo, alla sua sfera più intima; negli artt. 17-21 enumera diritti che toccano l’attività pubblica degli individui; negli artt. 29- 34 si occupa della solidarietà sociale; gli artt. 35-47 definiscono libertà economiche; gli artt. 48-51 si occupano delle libertà politiche. La libertà personale Nella sua accezione più ristretta e storica la libertà personale coincide con la libertà dagli arresti, ossia con l’habeas corpus: il nucleo fondamentale è dunque la libertà fisica. Solo lo Stato può limitare, a condizione che rispetti le norme dell’art. 13 Cost., la libertà fisica delle persone. L’art. 13.2 si riferisce alla detenzione, all’ispezione ed alla perquisizione personale, ma poi chiude l’elencazione con una locuzione aperta (“qualsiasi altra restrizione della libertà personale”); non tutte le limitazioni della libertà personale ricadono nel divieto dell’art. 13: ne restano infatti escluse quelle di lieve entità, di per sé incapaci di ledere la dignità personale. Le misure di prevenzione sono provvedimenti adottati non a seguito della commissione di un reato, ma in base a indizi o sospetti che certi reati possano essere commessi in futuro; in ciò si distinguono dalle misure cautelari, che sono provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria nel corso delle indagini o del processo, e quindi in conseguenza di un reato già commesso, e dalle misure di sicurezza, che seguono alla condanna. Strumenti di tutela: gli strumenti di tutela previsti dall’art.13 sono i più forti che la Costituzione preveda per limitare la discrezionalità dell’autorità pubblica prevedendo riserva assoluta di legge e riserva di giurisdizione. L’art. 13.3 prevede un’eccezione, anch’essa coperta da riserva di legge rinforzata (“in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge”): in questi casi l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere comunicati all’autorità giudiziaria entro 48 ore e da questa convalidati nelle 48 ore successive; se non vengono convalidati si intendono revocati “e restano privi di ogni effetto”. Rientrano tra i casi eccezionali i casi previsti dal codice di procedura civile in la polizia giudiziaria procede all’arresto in flagranza di colui che viene colto nell’atto di commettere un delitto particolarmente grave ma anche in questi casi rimane la riserva di giurisdizione; infatti il il provvedimento restrittivo deve essere comunicato al giudice entro 48 ore e il giudice deve confermarlo nelle successive 48 ore altrimenti si intendono revocati e privi di ogni effetto. Restrizioni e pene: anche l’individuazione delle pene e delle restrizioni subiscono una riserva di legge in base all’art.13.2. Inoltre l’art. 27.3 sancisce “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”; la giurisprudenza più recente della Corte costituzionale ha allargato il giudizio di ragionevolezza anche alla misura delle pene, cioè alla proporzione che deve sussistere tra gravità della pena e gravità del reato. Trattamento sanitario obbligatorio: Per trattamento sanitario obbligatorio si intende ogni tipo di attività diagnostica o terapeutica imposta all’individuo. L’obbligo, imposto per legge, di sottoporsi a trattamento medico deve essere motivato esclusivamente da esigenze di tutela della salute pubblica, non della propria salute individuale: per essa prevale la libertà di scelta individuale, dovendo sempre il medico informare il paziente delle conseguenze dei trattamenti sanitari che gli propone e che non può eseguire senza il suo consenso. Libertà di domicilio: Secondo una definizione classica, il domicilio è la proiezione spaziale della persona; per questo l’art. 14.2 Cost. estende al domicilio le garanzie prescritte per la libertà personale. Vi è la nozione del codice civile, che fissa il domicilio di una persona “nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi” (art. 43.1 c.c.), distinguendola dalla residenza, che è il luogo dove la persona “ha la dimora abituale” (art. 43.2 c.c.). Per il diritto penale, invece, il domicilio è l’abitazione ed ogni “altro luogo di privata dimora”, nonché “le appartenenze di essi”. Il significato attribuibile al termine “domicilio” impiegato dall’art. 14 Cost. non è quello del diritto civile, ma quello del c.p.; comunque la Corte costituzionale ha mostrato la disponibilità ad estendere la nozione di domicilio includendo anche come domicilio qualsiasi spazio isolato dall’ambiente esterno di cui il privato disponga legittimamente (compreso il bagagliaio dell’auto). Come la libertà personale, anche il domicilio è inviolabile (art. 14.1 Cost.); al domicilio si estendono le stesse garanzie previste per la libertà personale, ossia la riserva di legge assoluta e la riserva di giurisdizione per gli atti di ispezione, perquisizione e sequestro (art. 14.2 Cost.). Il C.P.P. fornisce la definizione dei termini chiave: ispezione, perquisizione e sequestro (sono tutti mezzi di ricerca della prova penale): l’ispezione serve ad accertare le tracce e gli effetti materiali del reato (art. 244 c.p.c.); la perquisizione serve alla ricerca del corpo del reato o di cose pertinenti al reato (art. 247 ss.) ed è preordinata al sequestro di essi (art. 252). Come per la libertà personale, anche per il domicilio è prevista la facoltà della polizia di procedere, in casi eccezionali (flagranza di reato, in caso di evasione e per altri motivi d’urgenza) ad ispezione, perquisizione e sequestro senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria, ma rispettando i termini di trasmissione e di convalida prescritti dall’art. 13.3 Cost. L’art. 14.3 Cost. ammette eccezioni alla disciplina generale descritta, ma queste eccezioni hanno limiti di oggetto (solo per gli accertamenti e le ispezioni, e non anche per le perquisizioni ed il sequestro) e sono coperte da una riserva di legge rinforzata per contenuto: infatti la legge può consentirle solo per motivi di sanità e incolumità pubblica o per fini economici e fiscali. congiunzione tra questi due aspetti che configura ciò che la Costituzione intende vietare, cioè la ricomparsa di “squadre”. Libertà di coscienza: La libertà di coscienza è la libertà di coltivare profonde convinzioni interiori e di agire di conseguenza; essa non ha un esplicito riconoscimento in Costituzione ma fa riferimento all’art.19 che riguarda la libertà di culto, e all’art. 21 che riguarda la libertà di manifestazione del pensiero. Strumenti di tutela: • divieto di discriminazione: le distinzioni per religione e per opinioni politiche; • eguaglianza tra le confessioni religiose: l’art. 8.1 Cost.: “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. Il concordato è lo strumento con cui uno Stato e la Chiesa Cattolica regolano i loro rapporti reciproci. Le intese con le confessioni religiose non cattoliche (art. 8.3 Cost.) hanno esteso ad altre religioni molti privilegi di carattere fiscale, finanziario, pastorale, prima riservati alla Chiesa Cattolica. • libertà di culto: l’art. 19 Cost. garantisce a tutti il “diritto di professare liberamente la propria fede”; la libertà di culto si estende a tutte le attività generalmente collegate ad esso, dal proselitismo ai rituali. L’aspetto negativo della libertà si manifesta su due diversi versanti: da un lato, la libertà a non svolgere alcuna attività di culto; dall’altro la pari tutela della libertà di coloro che non professano alcuna fede religiosa. L’unico limite che incontra la libertà di culto è il “buon costume” inteso come morale sessuale; • obiezione di coscienza: è il rifiuto di compiere atti, prescritti dall’ordinamento, ma contrari alle proprie convinzioni; anche il rifiuto di giurare è una forma di obiezione; Libertà di manifestazione del pensiero: La libertà di manifestazione del pensiero consiste nella libertà di esprimere le proprie idee e di divulgarle ad un numero indeterminato di destinatari (in ciò si distingue dalla libertà di comunicazione); L’art. 33.1 Cost. (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”) tutela quella particolare forma di espressione del pensiero che è l’insegnamento. L’unico limite che l’art. 21 Cost. pone alla libertà di espressione è il buon costume che però non è applicabile alle opere d’arte e di scienza. Mentre per la stampa è vietata qualsiasi forma di censura, questa è rimasta per i soli spettacoli cinematografici. Nella legge penale vi sono varie fattispecie di reato che si realizzano attraverso forme di espressione del pensiero, punendo quindi ciò che l’art. 21 Cost. invece tutela: molti di questi reati di opinione sono stati sottoposti al giudizio della Corte costituzionale, la quale ha seguito alcune direttrici: la Corte ritiene che sia punibile l’espressione del pensiero quando essa sia idonea a determinare direttamente l’azione pericolosa per la sicurezza pubblica e che la libertà di manifestare il proprio pensiero non può giungere sino al punto di offendere l’onore degli altri con l’ingiuria e la diffamazione. La libertà di manifestazione del pensiero comprende anche la libertà di informazione, ed è accettato dalla stessa giurisprudenza costituzionale che la libertà di informazione abbia anche un profilo “passivo”, cioè il diritto di essere informati: tale diritto è garantito solo se è “qualificato e caratterizzato... dal pluralismo delle fonti da cui attingere conoscenze e notizie”: da qui nasce la legislazione anti-trust. Regime della stampa: il regime della stampa è caratterizzato dal divieto di sottoporre la stampa a controlli preventivi, cioè di introdurre autorizzazioni o censure (art. 21.2 Cost.). È ammesso invece il sequestro, cioè un provvedimento di ritiro della stampa successivo alla sua pubblicazione; il sequestro è circondato da garanzie molto rigide: • riserva di legge assoluta: il sequestro è possibile solo in due ipotesi: • “nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi” • “nel caso di violazione delle norme che la legge (sulla stampa) stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”: la stampa è infatti libera, ma non può essere anonima, perché altrimenti si impedirebbe a chi si sentisse danneggiato dalle notizie pubblicate di far valere la responsabilità dell’autore di esse: per questo motivo la “legge sulla stampa” prescrive l’indicazione del direttore responsabile, che deve essere iscritto all’albo dei giornalisti. • riserva di giurisdizione: il sequestro deve essere disposto dal giudice, ma nel caso in cui “vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria” può provvedere la polizia, con obbligo di comunicazione del provvedimento al giudice entro 24 ore e necessità di convalida entro le successive 24 ore. Il regime della radiotelevisione: in assenza di regole costituzionali specifiche la corte costituzionale ha elaborato i principi per al disciplina del regime della radiotelevisione. Su sollecitazione della giurisprudenza costituzionale il sistema radiotelevisivo è passato dal regime di monopolio pubblico iniziale al sistema misto attuale. La riforma introdotta dalla “legge Mammì” (L.233/1990), legittimò il sistema misto pubblico-privato già istituitosi di fatto; il servizio pubblico resta affidato in concessione ad una società a totale partecipazione pubblica, la RAI e accanto ad essa, concessionari privati, che possono gestire emittenti a livello nazionale o locale. L’intento della legge è di limitare le concentrazioni nel settore dell’informazione. I diritti “sociali” Per diritti sociali comunemente s’intendono i diritti dei cittadini a ricevere determinate prestazioni dagli apparati pubblici: sono i diritti caratteristici dello Stato sociale. La Corte costituzionale ha affermato che i diritti di prestazione devono essere bilanciati con esigenze di tipo organizzativo e di finanza pubblica; lo Stato può graduare le prestazioni (per esempio, l’assistenza sanitaria o la misura delle pensioni) sulla base delle disponibilità finanziarie. LA COSTITUZIONE ECONOMICA La finanza pubblica nella Costituzione: lo Stato da un lato deve imporre tributi con cui ottenere le risorse finanziarie necessarie per il suo funzionamento, dall’altro deve erogare la spesa pubblica grazie alla quale i suoi compiti possono essere effettivamente esercitati: la disciplina delle entrate e quella della spesa costituiscono i due aspetti della finanza pubblica. Per quanto concerne le entrate, sono stabiliti due principi fondamentali, il primo è quello secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e in relazione ad un sistema tributario basato su criteri di progressività” (art.53): ciò significa che tutti devono pagare le imposte in funzione del reddito di ciascuno e col crescere del livello di reddito: se l’imposizione fiscale fosse proporzionale il sistema tributario sarebbe “neutrale”, e non realizzerebbe alcun riequilibrio a favore dei meno abbienti. L’altro principio fondamentale è quello secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” (art.23) perciò l’imposizione tributaria è oggetto di una riserva di legge relativa. In materia di spesa la Costituzione pone alcuni fondamentali principi: • ogni anno il Governo deve redigere un bilancio preventivo, che il Parlamento deve approvare con legge (art.81.1): il bilancio preventivo è un documento contabile nel quale vengono rappresentate le entrate e le uscite che, nel corso dell’anno finanziario successivo, lo Stato prevede rispettivamente di incassare e di spendere sulla base della legislazione vigente; la legge del Parlamento con cui è approvato il bilancio non può stabilire nuovi tributi o nuove spese; • Ogni legge che importi nuove spese “deve indicare i mezzi per farvi fronte” (art.81.4); questa disposizione costituzionale introduce l’obbligo di copertura delle leggi di spesa: per evitare di coprire le spese con un eccessivo aumento della pressione fiscale si può far ricorso all’indebitamento del Tesoro dello Stato che può coprire una parte delle spese emettendo obbligazioni che vengono sottoscritte dai privati; i nomi, la durata e le modalità di pagamento degli interessi di queste obbligazioni sono diverse (Buoni ordinari del Tesoro, BOT; Certificati di credito del Tesoro, CTT; Buoni poliennali del Tesoro, BPT; ecc.): in sostanza il Tesoro prende in prestito del denaro e deve restituirlo pagando degli interessi, perciò l’indebitamento del Tesoro fronteggia spese immediate, ma a medio termine crea un aumento della spesa pubblica. La possibilità di ricorrere all’indebitamento per coprire le spese è stata ridotta per effetto della partecipazione dell’Italia all’Unione Monetaria Europea: quest’ultima impone una serie di vincoli alle politiche di bilancio dei Paesi membri ai quali viene imposto il rispetto di “finanze pubbliche sane” con l’obiettivo di ridurre il disavanzo Il progetto di bilancio, la cui iniziativa è riservata al Governo, non può determinare impegni e diritti diversi da quelli preesistenti. La riforma di contabilità del 1978 (L.468) ha introdotto la legge finanziaria con l’obiettivo di distribuire risorse nuove per il futuro e di razionalizzare scelte passate, libera quindi di produrre qualsiasi effetto finanziario. I diritti nella sfera economica: sono quelli compresi dalla Costituzione economica, cioè dal Titolo terzo della prima parte della Costituzione che racchiude le norme in materia di rapporti economici quali proprietà e iniziativa economica; in esso vengono dettati principi in materia di lavoro (artt. 35-38, 46), di organizzazione sindacale e di sciopero (artt. 39-40), di impresa e di proprietà (artt. 41-44). Lo sciopero è la sospensione collettiva temporanea delle prestazioni di lavoro rivolta alla tutela di un interesse dei lavoratori: è un diritto nel senso che chi sciopera non può subire conseguenze negative sul piano penale, civile o disciplinare (a parte la sospensione della retribuzione); lo sciopero tutelato dall’art. 40 Cost. è però solo quello che i lavoratori dipendenti attuano per interessi, anche non economici, di categoria, non anche quello politico, o quello attuato dai datori di lavoro (serrata) o dai liberi professionisti: tuttavia anche queste manifestazioni sono libere e garantite, se non dall’art. 40 Cost., dalle altre libertà (di riunione, di associazione, di espressione ecc.) riconosciute dalla prima parte della Costituzione. L’art. 41 Cost. sancisce la libertà di iniziativa economica che però non può svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. L’art.43 Cost. consente la nazionalizzazione (ENI e ENEL) creando il problema che affonda le sue radici nell’art.42 cioè quello dell’espropriazione: “la proprietà
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