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DIRITTO DEI BENI CULTURALI - riassunto Manuale di Legislazione dei beni culturali (Roccella), Sintesi del corso di Diritto dei beni culturali

Sintesi integrativa del manuale di legislazione dei beni culturali, comprendente approfondimenti e spiegazioni aggiuntive rispetto al libro

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 22/01/2020

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Scarica DIRITTO DEI BENI CULTURALI - riassunto Manuale di Legislazione dei beni culturali (Roccella) e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dei beni culturali solo su Docsity! DIRITTO DEI BENI CULTURALI CAPITOLO 1 – LE ORIGINI DELLA TUTELA 1. La Roma del Rinascimento Le prime regole giuridiche in materia di antichità e di opere d’arte nascono nell’Antica Roma ma non nei rapporti inter privati, bensì nello Ius Publicum, il diritto pubblico. Cum almam nostram urbem: bolla papale emanata il 28 aprile 1462 da papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini). Imponeva il divieto di distruggere o danneggiare gli antichi edifici pubblici o i loro resti esistenti nel soprassuolo di Roma e nel suo territorio, anche se collocati in aree di proprietà privata, senza una licenza del romano pontefice. Il divieto era sanzionato con la scomunica, il carcere e la confisca dei beni. Cum provida: bolla pontificia emanata nel 1474 da papa Sisto IV (Francesco della Rovere). Vietava di spogliare le chiese dei marmi e degli antichi ornamenti. Nel 1602 nel Granducato di Toscana venne istituito il divieto di esportare dipinti di 18 autori elencati (Michelangelo, Raffaello…). L’interesse dei pontefici per la conservazione del patrimonio monumentale storico si inquadrava nel disegno di conservazione delle tradizioni storiche della Roma imperiale diventata cristiana. Tale interesse si intensificò nella prima metà del ‘600. Editto sopra l’estrattioni e cave di Statue, figure, intagli, inscrittioni di marmo, di mischio metallo, oro, argento gioie e cose simili antiche e moderne: emanato nel 1646. Introduceva i primi fondamenti della legislazione di tutela: l’esportazione di beni artistici era assoggettata a una licenza; anche gli scavi archeologici erano assoggettati a licenza, con l’obbligo di denunciare i reperti e di trattenerli per il controllo delle pubbliche autorità. L’accondiscendenza di papi costretti da insostenibili pressioni di principi europei, ma assai più la invadente protervia di mercanti al servizio di ricchissimi nobili inglesi, alimentavano il mercato antiquario. A partire dal terzo decennio del Settecento, i papi porteranno a compimento l’opera di salvaguardia iniziata dai predecessori attraverso provvedimenti mirati di: promozione di savi (oppure imposizione della consegna allo Stato di un terzo delle opere scavate dai privati) e acquisto da parte dello Stato delle collezioni in vendita; fondazione di musei pubblici per accogliere gli acquisti e gli oggetti di scavo; imposizione del vincolo fedecommissario alle maggiori collezioni private. Editto del cardinale Annibale Albani del 21 ottobre 1726: recava la proibizione dell’estrazione di statue di marmo, o metallo, figure, antichità e simili. I monumenti antichi e le opere d’arte del passato alimentavano un ricco mercato antiquario che spogliava Roma. Erano protetti poiché attiravano il turismo e valevano a promuovere l’istruzione artistica: gli artisti contemporanei traevano sempre nuova ispirazione artistica dalla contemplazione dei capolavori dell’antichità. Lo stato pontificio rinnovava quindi la protezione dei beni artistici con l’editto del cardinale Alessandro Albani (1733) e poi con l’editto del cardinale Silvio Valenti Gonzaga (5 gennaio 1750), Prohibitione della estrazione delle statue di marmo o metallo, pitture, antichità e simili. I pontefici erano inoltre grandi committenti: iniziarono la creazione delle collezioni poi ordinate nel museo pio clementino (Clemente XIV e Pio VI) per la cura di Giovan Battista Visconti e del figlio Ennio Quirino. Anche in altri Stati italiani preunitari furono emanate disposizioni di tutela dei beni culturali, motivate dalle stesse esigenze e con le stesse finalità: proteggere il patrimonio archeologico. Questi provvedimenti si collegano almeno parzialmente alle vicende culturali del tempo: nel 1738 re Carlo III di Borbone promosse a Ercolano gli scavi archeologici e nel 1748 iniziarono quelli a Pompei. Nel 1755 emanò la Pragmatica 57: regola giuridica che vietava la sottrazione di reperti archeologici dagli scavi di Pompei, Ercolano e Stabia. 1 Dal 1750 la villa reale di Portici diventò il “Museum Herculanense”. A partire dal 1757, l’Accademia Ercolanense pubblicò otto tomi con la documentazione degli scavi, contribuendo così alla conoscenza del sito, alla diffusione dell’interesse per le antichità e al pieno inserimento di Napoli nel Grand Tour. Nel 1764, fu pubblicata a Dresda l’opera di Winckelmann, “Storia dell’arte nell’antichità”, che ebbe un ruolo fondamentale nel superamento degli studi di antiquaria dell’epoca, nella creazione del gusto artistico e nell’impostazione scientifica della moderna archeologia come studio della storia dell’arte. Nel 1778 vennero istituite due Soprintendenze in Sicilia, a Siracusa e Palermo, per la tutela delle opere d’arte e monumentali. 2. Napoleone e il saccheggio del patrimonio artistico italiano Il 4 brumaio dell’anno IV (26/10/1795) si scioglieva in Francia la Convenzione. Si insediava quindi il Direttorio, che nel 1796 inviava Napoleone in Italia. Dopo aver sconfitto i piemontesi, Napoleone proseguiva le operazioni belliche in Italia settentrionale contro l’Austria, fino alla pace di Campoformido (17/10/1797). La consuetudine dell’epoca ammetteva lo jus predae, ossia il saccheggio da parte del vincitore di un conflitto bellico. Inoltre, già dal 1794, la Convenziona aveva espresso un orientamento politico volto ad assicurare alla Francia, patria delle arti e del genio, le opere di altri paesi. L’ideologia era che queste opere non fossero adatte agli occhi di schiavi, ma ai cittadini della Repubblica francese, patria della libertà e uguaglianza. In occasione delle campagne d’Italia fu costituita una Commission pour la recherche des objects des Sciencies et de l’Art, dove operò Gaspard Monge, la quale organizzò la razzia di molte opere d’arte, libri, incunaboli e manoscritti nei ducati di Modena e Parma, nello Stato Pontificio e nei territori della repubblica di Venezia. Furono così trasportati a Parigi l’Apollo del Belvedere e il Laocoonte dal museo pio-clementino, la Trasfigurazione e la Madonna di Foligno di Raffaello e i cavalli di bronzo della basilica di San Marco, a loro volta provenienti dal saccheggio di Costantinopoli del 1204 in occasione della 4° crociata. Il trattato di Tolentino (17/02/1797), con la quale fu definita la pace tra la Francia e la Santa Sede, sancì il diritto della Francia di ottenere cento opere a scelta, confermando l’armistizio di Bologna (23/06/1796). Il patrimonio artistico francese aveva sofferto per le distruzioni dei rivoluzionari, denunciate all’assemblea nazionale nell’agosto del 1794 dall’abate Henri Grégoire, però si arricchì con le opere provenienti dall’Italia, le quali aumentarono le collezioni del museo del Louvre, progettato da David e aperto al pubblico dopo che Luigi XVI era stato ghigliottinato (21/01/1793) e la Convenzione aveva deciso di nazionalizzare i suoi beni (luglio 1793). 3. Le Lettres à Miranda di A.C. Quatremère de Quincy Il saccheggio di opere fu osteggiato nella stessa Francia. Nel luglio 1796 Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy pubblicava a Parigi in forma anonima un libretto di 74 pagine, il quale comprendeva sette lettere indirizzate al generale napoleonico Miranda, il cui titolo originario è Lettres sur le prejudice qu’occasionneroient aux Arts et a la Science, le deplacement des monuments de l’art del l’Italie, le demembrement de ses Ecoles, et la spoliation de ses Collections, Galeries, Musees, etc. In esse Q. poneva il fondamento ideologico di una parte importante della legislazione italiana e di varie convenzioni internazionali sulla tutela dei beni culturali. LETTERA 1) Q. si rifaceva a concezioni dell’illuminismo per sostenere una repubblica generale delle arti e delle scienze, con membri interessati alla conservazione dell’intero patrimonio artistico. Questa comunità 2 6. L’unità d’Italia e le collezioni d’arte Nel 1871 fu disposto che continuassero ad avere vigore le leggi e i regolamenti speciali preunitari attinenti alla conservazione e agli oggetti d’arte (l. 286/1871). Tale legge regolò anche le collezioni d’arte per le quali vale in special modo la tesi di Q. che “dividere è distruggere”. Il problema della tutela delle collezioni d’arte si poneva in particolare per Roma ove, oltre alle grandi raccolte papali, si erano storicamente formate, per iniziativa di cardinali e di nobili famiglie romane, molte altre importanti raccolte di antichità e di arte. L’integrità di alcune raccolte private era stata protetta nel tempo dagli stessi proprietari mediante il fedecommesso, ossia l’istituzione di una pluralità di eredi in successione tra loro. L’autonomia di ciascun erede era limitata, giacché egli riceveva il bene fedecommissario con l’obbligo della sua trasmissione a successivi eredi già designati dal testamento: era quindi precluso lo smembramento del patrimonio ereditario. I fedecommessi costituivano una limitazione alla circolazione dei beni considerata contraria alle nuove esigenze di libertà dello sviluppo dei traffici e dei commerci e furono aboliti nel regno d’Italia dal codice civile del 1865. L’art. 24 delle disposizioni transitorie per l’attuazione del codice civile stabilì inoltre lo scioglimento, a partire dal 1° gennaio 1866, dei fedecommessi ordinati secondo le leggi anteriori. Dopo la conquista militare di Roma del 1870 il codice civile del 1865 fu esteso anche alla provincia romana, ma le disposizioni transitorie sullo scioglimento dei fedecommessi furono temporaneamente sospese. Poco dopo, la l. 286/1871 stabilì che, nonostante lo scioglimento dei fedecommessi e fino a quando non fosse stato altrimenti provveduto mediante una legge speciale, le gallerie, le biblioteche e le altre collezioni di arte o di antichità rimanessero indivise e inalienabili fra i chiamati alla risoluzione del fedecommesso, loro eredi o aventi causa. La legge volle evitare la possibile dispersione delle collezioni derivante dallo scioglimento dei fedecommessi e quindi tutelò le collezioni d’arte stabilendo non solo la loro indivisibilità, ma anche la loro inalienabilità. L’indivisibilità delle collezioni fu stabilita in modo pieno, senza eccezioni. La speciale disciplina delle collezioni d’arte oggetto in precedenza di disposizioni testamentarie fedecommissarie fu corretta nel 1883 su iniziativa di Zanardelli, al fine di rendere giuridicamente possibile la donazione allo Stato della galleria del principe Tommaso Corsini. La l. 1461/1883 confermò l’indivisibilità delle raccolte già gravate da vincolo fedecommissario, ma consentì la loro alienazione in favore dello Stato, delle Province, dei Comuni, di istituti o altri enti morali laici nazionali, fondati o da fondarsi, con l’obbligo per questi enti di conservare e destinare in perpetuo a uso pubblico le dette gallerie, biblioteche o collezioni. Le due leggi del 1871 e 1883 sono state fatte salve dalla legislazione successiva e sono tuttora in vigore. 7. Tutela della proprietà e protezione del patrimonio artistico Per lungo tempo mancò una legge generale di protezione del patrimonio artistico italiano di proprietà privata. Il codice civile del 1865 stabiliva all’art. 436 che “la proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi e dai regolamenti”. Il codice prevedeva che le leggi potessero limitare le facoltà d’uso delle cose, ma l’ideologia delle forze politiche allora dominanti propugnava la garanzia piena della proprietà e quindi ostacolava l’introduzione di leggi limitative delle facoltà proprietarie per la proprietà privata delle cose d’arte. In un dibattito parlamentare del 1877 su un progetto di legge dedicato alla Conservazione dei monumenti e degli oggetti d’arte e di antichità il senatore Gioacchino Pepoli rendeva esplicito questo scontro di interessi: “l’inalienabilità e sterilità di un cospicuo capitale paralizzano la vita economica di una nazione” Trentadue anni dopo il deputato Giovanni Rosadi, nella relazione al progetto di legge che divenne la l. 20 giugno 1909, n. 364, affermava che l’arte fosse cosa di interesse pubblico. Infatti, solo all’inizio del XX 5 secolo si affermò compiutamente un interesse pubblico alle cose di antichità e d’arte, come espressione della civiltà del paese; queste cose, quindi, pur rimanendo di proprietà privata, furono assoggettate a una tutela pubblica, con limitazioni delle facoltà proprietarie. Le radici culturali della posizione di Rosadi si sono affermate nel Romanticismo, basti pensare a quanto detto da Victor Hugo nel 1832. Le ragioni ideali per la protezione di tutti i beni culturali, indipendentemente dal loro regime proprietario, rimangono quelle propugnate con passione da Q. nel 1796, ma anche quelle sinteticamente e lucidamente enunciate nel 1802 nel chirografo di papa Pio VII: accrescere il decoro e la celebrità, favorire l’occupazione nel settore artistico, sostenere l’istruzione artistica e le nuove produzioni artistiche facendo sì che i modelli dell’arte antica alimentino l’arte contemporanea, attirare il turismo. 8. L’evoluzione della legislazione di tutela La prima legge generale di protezione del patrimonio artistico e archeologico fu la l. 12 giugno 1902 n. 185, recante Disposizioni circa la tutela e la conservazione dei monumenti ed oggetti aventi pregio d’arte o di antichità, conosciuta come legge Nasi. L’applicazione di questa legge era tuttavia differita, nella sua parte relativa all’esportazione, di un anno, e venne ulteriormente differita fino all’entrata in vigore della nuova legge fondamentale, la l. 20 giugno 1909 n.364, sulle antichità e belle arti, nota come legge Rosadi. A questa legge seguì il regolamento per l’esecuzione 363/1913. Essa rimase in vigore fino alla legge del 1° giugno 1939 n.1089, Tutela delle cose d’interesse artistico e storico. La disciplina degli archivi storicamente è stata distinta da quella delle cose d’interesse storico e artistico, anche se già da tempo essi erano considerati beni culturali. Nel periodo più recente sono stati disciplinati dal d.P.R 1409/1963, largamente ispirato al 1089/1939. Nel 1999 è stato emanato, a seguito di legge di delega, il testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (d.lgs. 490/1999), nel quale sono state riunite e coordinate le disposizioni idi legge allora vigenti in materia di beni culturali e ambientali, con le modificazioni necessarie per assicurare il loro coordinamento formale e sostanziale nonché per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti. Nel testo è stata rifusa anche la disciplina degli archivi del 1963. Il TU ha compreso altresì compreso la disciplina di protezione del paesaggio, in quanto si adoperano le espressioni bellezze naturali e beni ambientali, in precedenza oggetto di una legge distinta, la l. 1497/1939. La ragione è stata di carattere pratico: la tutela del paesaggio e quella dei beni culturali ricadevano nella competenza del Ministero allora denominato per i beni e le attività culturali. A seguito di una nuova delega legislativa, è stato emanato il codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004 n.42) che ha abrogato il Tu del 1999. Il nuovo codice ha subito modifiche nel 2006, 2008 e 2017. Consideriamo inoltre la normativa regolamentare. Dopo la l. 1089/1939 non fu mai emanato il relativo regolamento di esecuzione, pertanto secondo l’art. 73 rimase applicabile il regolamento 363/1913. Anche il testo unico del 1999 ha disposto la permanenza in vigore di questo regolamento in quanto applicabile. Infine, il codice dei beni culturali e del paesaggio ha disposto che il r.d. 363/1913 e il r.d. 1163/1911 sugli archivi di Stato restino in vigore, in quanto applicabili, fino all’emanazione dei decreti e dei regolamenti previsti dallo stesso codice (art. 130). Dopo il codice dei beni culturali non sono stati ancora emanati regolamenti di esecuzione sostitutivi. La perdurante vigenza delle disposizioni del r.d. 363/1913, sia pure con la precisazione in quanto applicabili, costituisce un chiaro segno della continuità della disciplina normativa. Il codice dei beni culturali rappresenta la fonte normativa di base di disciplina dei beni culturali, ma è contornato da una ricca legislazione speciale. Esso reca la disciplina sostanziale della materia ma, quando si riferisce al Ministero, indica soltanto il ramo dell’amministrazione statale, non gli specifici organi, la cui competenza si ricava invece dal regolamento di organizzazione del Ministero. Solo in pochi casi il codice stabilisce direttamente l’organo competente all’adozione degli atti da esso previsti (c. art. 21, co. 4 e 5). 6 7 5. La convenzione sul patrimonio culturale mondiale Il valore della solidarietà tra paesi diversi per la salvaguardia dei beni culturali è stato raccolto anche nella convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, firmata a Parigi il 23 novembre 1972, nell’ambito della 17° sessione della conferenza generale dell’Unesco. Essa si ispira al principio che il patrimonio culturale appartiene a tutti i popoli del mondo e che per la sua tutela occorre favorire la collaborazione tra i diversi paesi. La convenzione costituisce un esempio delle recenti trasformazioni del diritto internazionale, che oltre a regolare i rapporti tra gli Stati regola interessi e valori non specifici di singoli paesi, bensì proprio dell’intera umanità. Rientrano in questo quadro le convenzioni internazionali in tema di beni culturali, ma anche quelle in tema di riconoscimento e protezione dei diritti fondamentali dell’uomo. È stata firmata da 193 stati. La degradazione o la sparizione di un bene del patrimonio culturale costituisce un impoverimento nefasto del patrimonio di tutti i popoli del mondo. Si afferma inoltre l’importanza della salvaguardia di beni unici e insostituibili a qualsiasi popolo essi appartengano. Considerato che alcuni beni del patrimonio culturale presentano un interesse eccezionale, la convenzione promuove la partecipazione della collettività internazionale alla sua tutela, che si completi all’azione dello Stato interessato. L’art. 1: reca una definizione del patrimonio culturale, diviso in:  Monumenti: opere di architettura, di scultura o di pittura monumentali, elementi o strutture di carattere archeologico, iscrizioni, grotte e gruppi di elementi che abbiano un valore universale eccezionale dal punto di vista della storia, dell’arte o della scienza.  Complessi: gruppi di costruzioni isolati o riuniti che per la loro unità o per la loro integrazione nel paesaggio hanno un valore universale eccezionale dal punto di vista della storia, dell’arte o della scienza  Siti: opere dell’uomo o creazioni congiunte dell’uomo e della natura, nonché le zone ivi comprese quelle archeologiche, di valore universale eccezionale dal punto di vista storico, estetico, etnologico o antropologico. Riguarda solo beni immobili. Art. 4: ogni Stato parte della convenzione riconosce che l’obbligo di identificazione, tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio è principalmente compito suo, con l’aiuto e la cooperazione internazionali, in particolare sul piano finanziario, scientifico e tecnico. Art. 5: indica agli Stati alcune misure essenziali per la tutela del patrimonio culturale. Gli Stati parte devono istituire sul proprio territorio uno o più servizi di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, dotati di personale adeguato e di mezzi che consentono di condurre a termine i compiti che competono loro. Gli Stati si adoperano inoltre per adottare le misure giuridiche, scientifiche, tecniche, amministrative e finanziarie adeguate per l’identificazione, la tutela, la conservazione, la valorizzazione e il restauro del patrimonio culturale. Art. 6: nel pieno rispetto della Sovranità degli Stati sul cui territorio si trova il patrimonio culturale e senza pregiudizio dei diritti previsti dalla legislazione nazionale, gli Stati parti della convenzione riconoscono che esso costituisce patrimonio universale per la cui tutela ha il dovere di cooperare tutta la comunità internazionale. La cooperazione internazionale per la tutela si sviluppa in due sensi: 10  art. 6 par. 3: ogni Stato parte si impegna a non adottare deliberatamente alcuna misura che possa direttamente o indirettamente arrecare danno al patrimonio culturale situato nel territorio di altri stati.  Art. 7: per tutela internazionale del patrimonio culturale mondiale si intende la costituzione di un sistema di cooperazione e assistenza internazionali miranti a favorire gli Stati parti della convenzione nei loro sforzi per preservare e identificare tale patrimonio  Comitato del patrimonio mondiale Il comitato compila, aggiorna e pubblica l’elenco del patrimonio mondiale, ossia un elenco di beni aventi valore universale eccezionale. L’elenco del patrimonio mondiale in pericolo comprende i beni di cui prima per la cui salvaguardia si richiedono lavori considerevoli e per i quali è stata richiesta assistenza nell’ambito della convenzione. Vi si inseriscono solo i beni minacciati da pericoli seri e concreti, come cataclismi, conflitti armati, deterioramento… Gli Stati parti possono presentare al Comitato domande di assistenza internazionale per i beni situati nel loro territorio, aventi come oggetto la protezione, la conservazione, la valorizzazione o il restauro dei beni. Il comitato decide sulle domande e determina la natura e l’importanza del suo aiuto e autorizza la conclusione degli accordi necessari con il governo interessato. A tal fine il Comitato decide sull’utilizzazione delle risorse del Fondo del patrimonio mondiale, alimentato da contributi degli Stati parti. L’assistenza ha varie forme:  Studi sui problemi artistici, scientifici e tecnici posti dalla protezione, conservazione, valorizzazione e restauro del patrimonio  Nomina di esperti, tecnici e mano d’opera qualificata per assicurare la buona esecuzione del progetto  Formazione di specialisti  Fornitura delle attrezzature che lo Stato non ha o non può acquisire  Concessione di prestiti a interessi ridotti o senza interessi  Concessione, in casi eccezionali e motivati, di sovvenzioni non rimborsabili (art. 22). Il Comitato e lo Stato beneficiario definiscono le condizioni alle quali va eseguito il programma per cui è fornita assistenza. La partecipazione finanziaria dello Stato beneficiario deve essere preponderante a meno che le proprie risorse non glielo consentano (art. 25). Il principio secondo cui ogni Stato ha l’obbligo di assicurare la conservazione del patrimonio culturale situato sul proprio territorio non è del tutto scontata né di generale applicazione (Afghanistan marzo 2001). 6. La convenzione Unesco del 14 novembre 1970 Firmata a Parigi, concerne le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali. Ai fini di questa convenzione son considerati beni culturali i veni che, a titolo religioso o profano, sono designati da ciascuno Stato come importanti per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura, l’arte e la scienza e che appartengono a una delle categorie indicate dall’art. 1 della convenzione. Riguarda beni mobili. Art. 2: finalità. Gli stati riconoscono che l’importazione, l’esportazione e il trasferimento illeciti di proprietà di beni culturali costituiscono una delle cause principali di impoverimento del patrimonio culturale dei paesi d’origine di questi beni e che una collaborazione internazionale costituisce uno dei mezzi più efficaci per proteggere i rispettivi beni culturali contro tutti i pericoli che ne sono le conseguente. Art. 3: sono considerati illeciti l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà di beni culturali effettuati in contrasto con le disposizioni adottate dagli Stati partecipanti in virtù della convenzione. 11 Il valore è quello della conservazione dei beni culturali nel loro contesto. L’interesse alla piena libertà di circolazione dei beni culturali cede di fronte all’interesse a rimettere a ciascun singolo Stato la fissazione di regole e limiti sulla loro esportazione. Non vieta in modo assoluto esportazione e importazione di beni culturali, ma prevede soltanto controlli pubblici. Art. 5: gli Stati parti della convenzione si impegnano a istituire sul proprio territorio uno o più servizi nazionali di tutela del patrimonio culturale, dotati di personale qualificato e in numero sufficiente. Gli stati si impegnano a costituire e tenere aggiornata la lista dei beni culturali importanti pubblici e privati, la cui esportazione costituirebbe un impoverimento sensibile del patrimonio culturale nazionale. Si impegnano inoltre a esercitare un’azione educativa. Art. 6: prevede per gli Stati impegni specifici per il controllo dell’esportazione:  istituire un certificato per far vedere che l’esportazione è stata autorizzata  proibire l’esportazione di beni culturali sprovvisti del certificato  portare questa proibizione a conoscenza del pubblico e dei possibili soggetti importatori/esportatori, Art. 7: prevede gli impegni per prevenire l’illecita importazione di beni culturali e per rimediare a essa:  adottare tutte le misure necessarie per impedire l’acquisizione da parte di musei e altre istituzioni di beni culturali provenienti da un altro Stato parte ed esportati illecitamente dopo la convenzione  proibire l’importazione dei beni culturali rubati in un museo o monumento pubblico civile o religioso o istituzione simile, provenienti da un altro Stato parte, a condizione che venga provato che tali beni fanno parte dell’inventario di tale istituzione  ad adottare misure appropriate per recuperare e restituire, su richiesta dello Stato d’origine, qualsiasi bene culturale rubato o importato illecitamente, a condizione che lo Stato richiedente versi un equo indennizzo all’acquirente in buona fede o che detiene legalmente la proprietà di tale bene. Art. 10: gli Stati si impegnano ad obbligare gli antiquari a tenere un registro che menzioni la provenienza di ciascun bene, il nome e l’indirizzo del produttore, la descrizione e il prezzo id ciascun bene venduto nonché informare l’acquirente del bene culturale del divieto di esportazione di cui tale bene può essere oggetto; nonché a fare ogni sforzo per mezzo dell’educazione per sviluppare nel pubblico il sentimento del valore dei beni culturali. Art. 13: gli Stati si impegnano nel quadro della propria legislazione:  a impedire con tutti i mezzi adeguati i trasferimenti di proprietà di beni culturali diretti a favorire l’importazione o l’esportazione illecite di tali beni  a fare in modo che i propri servizi competenti collaborino al fine di facilitare e velocizzare la restituzione a chi di diritto  a consentire un’azione di rivendicazione dei beni culturali perduti o rubati esercitata dal proprietario legittimo o in suo nome.  A riconoscere il diritto imprescindibile di ciascuno Stato di classificare e dichiarare inalienabili alcuni bei culturali che per questo motivo non devono essere esportati, e a facilitare il recupero di tali beni da parte dello Stato interessato nel caso in cui essi stiano stati esportati. Art. 11: sono illeciti l’esportazione e il trasferimento di proprietà indebita di beni culturali risultanti direttamente o indirettamente dall’occupazione di un paese da parte di una potenza straniera. 7. La convenzione Unidroit Convenzione sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, adottata a Roma il 24 giugno 1995. Promossa dall’istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, la sua finalità 12 dazi doganali o tasse di effetto equivalente, vietati dal trattato, giacché in tal modo si rendeva soltanto più onerosa l’esportazione ma non si realizzava una tutela del patrimonio storico e artistico. L’ordinamento è stato adeguato alla sentenza. Il d.l. 288/1972 convertito in legge con la l.487/1972 ha esentato dalla tassa le esportazioni di beni culturali verso altri paesi membri della Comunità. La l. 84/1990 ha stabilito che “i beni culturali, in quanto elementi costitutivi dell’identità culturale della nazione, per quanto riguarda il regime della circolazione, non sono assimilabili a merci (art. 1). La disposizione è stata in seguito abrogata ma ripresa dal codice dei beni culturali secondo cui “con riferimento al regime della circolazione internazionale, i beni costituenti il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci” (art. 64-bis co. 3). La portata di questa disposizione è tuttavia oscura, dato che i beni culturali sono sicuramente suscettibili di valutazione economica, tanto che per la loro uscita definitiva è richiesta l’indicazione del loro valore venale (art. 68). 11. Sviluppi recenti dell’ordinamento europeo Le disposizioni del trattato di Roma sulla circolazione dei beni culturali sono state confermate dall’Atto unico europeo, firmato a Lussemburgo il 17/2/1986. Secondo una dichiarazione generale allegata, nelle disposizioni di quest’atto nulla pregiudica il diritto degli Stati membri di adottare le misure che essi ritengano necessarie in materia di lotta contro il traffico di opere d’arte e antichità. In seguito i trattati di Maastricht e di Amsterdam non hanno introdotto novità in merito. Dal 1/1/1993 è stato attuato in modo pieno il principio della libera circolazione delle merci all’interno della Comunità (ora Unione) e si deve quindi parlare di spedizione, mentre per esportazione si intende il trasferimento di merci fuori dell’Unione. L’applicazione dell’accordo di Schengen del 14/6/1985 ha comportato in via ordinaria la soppressione dei controlli alle frontiere interne tra i paesi aderenti. Ciò rende più difficile il controllo da parte dei singoli Stati sull’osservanza delle proprie disposizioni che limitano la circolazione dei beni culturali. La Comunità ha riconosciuto questo effetto pratico nel mercato unico e ha adottato due misure di carattere compensativo (regolamento e direttiva). 12. L’esportazione di beni culturali fuori dall’Unione Disciplinata dal regolamento 3911/92/Cee, modificato nel 1996, 2001 e 2003. La disciplina è stata codificata nel regolamento 116/2009/Ce, del 18/12/2008, che definisce un regime di protezione dei beni culturali negli scambi tra i paesi dell’UE e i paesi terzi. Tale regolamento riguarda i rapporti commerciali con i paesi terzi e ha soltanto la finalità di istituire un regime di controlli uniformi alle frontiere esterne dell’Unione. L’allegato definisce le categorie di beni culturali che devono formare oggetto di particolare protezione degli scambi con i paesi terzi. La particolare protezione permette di mantenere traccia delle esportazioni dei beni culturali rientranti nelle categorie indicate dall’allegato, nell’interesse degli Stati in cui i beni si trovano. Il regime europeo consiste in una licenza di esportazione, rilasciata dal paese in cui il bene culturale si trova lecitamente e definitivamente al 1/1/1993, da un’autorità competente dello Stato nel cui territorio il bene culturale si trova dopo essere stato lecitamente e definitivamente spedito da un altro Stato membro dell’UE o dopo essere stato importato da un paese terzo o reimportato da un paese terzo in seguito a una spedizione lecita da uno Stato membro verso il suddetto paese terzo. Questa licenza, chiamata anche autorizzazione, può essere rifiutata se i beni in questione siano contemplati da una legislazione che tutela il patrimonio nazionale avente valore a.s.a. nello Stato competente al suo rilascio. Essa è valida in tutta l’UE e ciascuno Stato decide le sanzioni da applicare in caso di violazioni del regolamento. 15 L’esportazione fuori dall’UE di beni culturali non rientranti nelle categorie elencate nell’allegato al regolamento rimane invece soggetta in via esclusiva alla legislazione nazionale dello Stato membro di esportazione. 13. La restituzione di beni culturali tra i paesi dell’Unione La direttiva 93/7/Cee del 15/3/1993 è stata rifusa con modifiche nella direttiva 2014/60/Ue, ha istituito un diritto di ciascuno Stato di ottenere la restituzione dei beni culturali, classificati o definiti come tali dallo Stato stesso, usciti dal proprio territorio in violazione delle disposizioni nazionali sulla protezione del patrimonio culturale o di quelle del regolamento 116/2009/Ce, a prescindere ai diritti di proprietà dei beni. L’azione di restituzione è promossa dallo Stato richiedente contro il possessore o detentore del bene davanti al giudice competente dello Stato membro richiesto. Si prescrive nel termine di 3 anni a decorrere dalla data in cui l’autorità centrale competente dello Stato richiedente è venuta a conoscenza del luogo in cui si trovava il bene e dell’identità del suo possessore, in ogni caso nel termine di 30 anni dalla data di uscita illecita del bene, elevato a 75 anni nel caso di beni culturali che fanno parte di collezioni pubbliche e dei beni culturali ecclesiastici, tranne negli Stati in cui l’azione è imprescrittibile e nel caso di accordi bilaterali tra stati che prevedano un termine superiore. Il giudice competente ordinala restituzione dopo aver accertato che il bene rientri tra quelli oggetto della direttiva e sia uscito illecitamente dal territorio nazionale. Quando il possessore dimostri di aver usato all’atto dell’acquisto la diligenza richiesta, gli viene accordato un equo indennizzo. Si tiene a ciò conto di tutte le circostanze dell’acquisizione, in particolare della documentazione sulla provenienza del bene, delle autorizzazioni di uscita prescritte dal diritto dello Stato membro richiedente, dal prezzo pagato ,dall’aver consultato o meno i registri accessibili dei beni culturali rubati e ogni altra info pertinente. Se i beni sono stati portati in paesi extra UE si applica l’Unidroit. L’Italia ha dato attuazione alla direttiva del 1993 con la l. 88/1988, la cui disciplina è poi confluita nel TU1999 e infine nel codice (artt. 75 ss.). 16 CAPITOLO 3 – LA TUTELA INTERNAZIONALE ED EUROPEA 1. I beni culturali. Limiti di una categoria Storicamente sono sempre stati in parte di proprietà pubblica e in parte di proprietà privata. Beni culturali di proprietà pubblica Soggetti a un regime speciale che trova la base innanzitutto nella disciplina del demanio (art. 822 c.c. Demanio pubblico), che distingue le due categorie:  demanio necessario: costituito dai beni che appartengono esclusivamente allo Stato, non riguarda direttamente i beni culturali. Si articola nelle categorie del: o demanio marittimo: lido del mare, spiaggia, rade e porti o demanio idrico: fiumi, torrenti, laghi o demanio militare: opere destinate alla difesa nazionale  demanio accidentale: vi rientrano, insieme ad altri beni, gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche e gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. I beni del demanio accidentale non sono di appartenenza pubblica necessaria: l’art. 824 c.c. Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali stabilisce che i beni del demanio accidentale, se appartengono alle Province o ai Comuni, sono ugualmente soggetti al regime del demanio pubblico (idem per le regioni ex 281/1970). L’art. 826 c.c., Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni, include nel patrimonio indisponibile dello Stato le cose d’interesse storico. Archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo. I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 828 c.c.). Le categorie generali del demanio accidentale e del patrimonio indisponibile non sono tuttavia idonee a spiegare compiutamente il regime di questi beni che si trova non tanto nel c.c. bensì nella legislazione speciale. Il codice dei beni culturali ha confermato la disciplina del codice civile stabilendo che “i beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie indicate all’art. 822 del codice civile costituiscono il demanio culturale” (art. 53 co.1). Il “demanio culturale” rappresenta solo una sintesi verbale non indicativa di un regime giuridico unitario. Per i beni culturali di proprietà pubblica rimane infatti sempre la distinzione del codice civile tra beni del demanio accidentale (immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico, raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche), ora denominati beni del demanio culturale, e beni del patrimonio indisponibile (cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo). Il codice dei beni culturali stabilisce che “i beni del demanio culturale non possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi previsti dal presente codice” (art. 53 co.2). ciò riprende l’art. 823 co.1 c.c. “I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano” con una significativa variazione: il c.c. stabilisce l’inalienabilità assoluta dei beni demaniali, mentre il codice dei beni culturali dopo l’art. 53 regola in modo articolato i beni del demanio culturale e stabilisce limiti e condizioni per la loro alienazione. Anche i beni culturali del patrimonio indisponibile di proprietà pubblica sono alienabili, nei limiti per questi beni specificatamente stabiliti dallo stesso codice. Beni culturali di proprietà privata Art. 832 c.c. definisce il diritto di proprietà: “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. 17 commerciali nel mercato delle cose d’arte (confluita nel codice agli artt. 64 e 179), si applica a tutti i beni culturali ex eccezioni art 10 co.5. Chiunque (e solo loro) esercita l’attività di vendita al pubblico esposizione ai fini di commercio o intermediazione finalizzata alla vendita di oggetti d’arte, di antichità o di interesse storico o archeologico, o comunque abitualmente vende i suddetti, ha l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione attestante l’autenticità o la probabile attribuzione e provenienza. In mancanza, deve rilasciare una dichiarazione recante tutte le info disponibili sull’autenticità e la probabile attribuzione e proveniente, apposta su copia fotografica degli oggetti (art. 64). La contraffazione, alterazione o riproduzione di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichità o interesse storico o archeologico, al fine di trarne profitto, costituisce un reato punito con la reclusione fino a 4 anni e la multa fino a 3098 euro. Incorre nel reato anche chi pone in commercio o detiene per farne commercio, introduce a questo fine nel territorio dello Stato o pone in circolazione come autentici esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle stesse opere; chi conoscendone la falsità li autentica; chi accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la falsità (art. 178). Si vuole punire non la copia ma la frode. Le disposizioni non si applicano ai restauri artistici che non abbiano ricostruito in modo determinante l’opera originale (art. 179). Il codice stabilisce che è sempre ordinata la confisca degli esemplari contraffatti/etc. salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato. Esse non possono essere vendute nelle aste dei corpi di reato (art. 178 co.4). nei processi per contraffazione di opere d’arte moderna e contemporanea il giudice è tenuto ad assumere come testimone l’autore attribuito o firmatario (l. 1062/1971 art.9). Art. 63: prevenzione della ricettazione. Chi esercita il commercio di cose rientranti nelle categorie dell’Allegato A del codice deve presentare all’autorità locale di pubblica sicurezza una dichiarazione preventiva di esercizio del commercio di cose antiche o usate, trasmessa al Soprintendente e alla Regione. Devono annotare giornalmente le operazioni eseguite nel registro prescritto dalla normativa in materia di pubblica sicurezza, tenuto in formato elettronico e consultabile in tempo reale dal Soprintendente, che verifica l’adempimento dell’obbligo con ispezioni periodiche. 4. Beni culturali d’interesse religioso I beni appartenenti agli enti ecclesiastici sono soggetti alla legislazione statale di tutela delle cose di interesse artistico e storico fin dalle sue origini. La l. 185/1902 stabilì che fossero inalienabili. La l.364/1909 stabilì che i fabbricieri, i parroci, i rettori di chiesa e in genere tutti gli amministratori di enti morali presentassero all’amministrazione l’elenco descrittivo delle cose soggette alla legge di spettanza dell’ente da loro amministrato. Il successivo regolamento stabilì che le cose di spettanza dei soggetti di cui sopra fossero soggette, ai fini della legge medesima, alla tutela e alla vigilanza dell’amministrazione statale (art. 26). L’art. 28 del regolamento stabilì inoltre che “nelle chiese, loro dipendenze e altri edifici sacri, le cose d’arte e d’antichità dovranno essere liberamente visibili a tutti in ore a ciò determinate”. Il Concordato dell’11/2/1929 escluse ogni intervento dello Stato nella gestione dei beni appartenenti a istituti ecclesiastici o associazioni religiose, ma non innovò le norme in tema di patrimonio storico e artistico (rimane 1909). Il trattato del Laterano riconobbe alla Santa Sede la piena proprietà delle basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo, con gli edifici annessi (art. 13), 14, 15, 16), esclusi da ogni ingerenza statale attribuendo alla Santa sede la facoltà di dare loro “l’assetto che creda, senza bisogno di autorizzazioni o consensi da parte di autorità governativa, provinciali o comunali italiane, le quali possono all’uopo fare sicuro assegnamento sulle nobili tradizioni artistiche che vanta la Chiesa Cattolica”. 20 Salvo queste eccezioni, il patrimonio culturale di interesse religioso è pienamente soggetto alla legislazione italiana di protezione, che assicura però una particolare considerazione ai beni culturali appartenenti a enti ecclesiastici che abbiano una destinazione liturgica o di culto religioso. Art. 8 1089: “Quando si tratti di cose appartenenti a enti ecclesiastici, il Ministro, nell’esercizio dei suoi poteri, procederà per quanto riguarda le esigenze del culto d’accordo con l’autorità ecclesiastica”. L’accordo del 1984 ha ora stabilito all’art. 12 che “la Santa sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico e artistico, al fine di armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d’interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche”. Disposizioni analoghe nelle intese con altre confessioni religiose. La materia dei beni culturali non è però diventata res mixta (regolabile solo in via pattizia), poiché permane integra la sovranità dello Stato e le opportune disposizioni da concordare con le parti interessate sono attuative della e subordinate alla legge statale. Il codice dei beni culturali considera in più punti i beni degli enti ecclesiastici: all’art. 1 co.5 dice: “i privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti a garantirne la conservazione”. L’art. 9, Beni culturali di interesse religioso, ha ripreso e sviluppato l’art. 8 della 1089, stabilendo che “per i beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d’accordo con le rispettive autorità”, il co.2 richiama l’art. 12 del Concordato lateranense. Emerge così la categoria dei beni culturali di interesse religioso come beni degli enti ecclesiastici che rientrano nel patrimonio storico e artistico nazionale e sono pienamente soggetti alla disciplina statale di tutela, ma per i quali lo Stato armonizza l’esercizio dei suoi poteri con le esigenze del culto. N.B: gli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica sono una particolare categoria di persone giuridiche private che possono ottenere il riconoscimento civile sulla base della speciale disciplina del 1985, e che devono avere fine di religione o di culto costitutivo ed essenziale. Gli enti ecclesiastici delle altre confessioni sono regolati dalle relative leggi. Art. 10 co. 1: ai fini della soggezione alla disciplina di tutela, il codice accomuna i beni culturali degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti a quelli degli enti pubblici e delle persone giuridiche private senza fine di lucro. 5. La dichiarazione d’interesse culturale I beni di proprietà di persone fisiche o giuridiche private con scopo di lucro, come le società commerciali, sono soggetti a tutela solo se l’amministrazione abbia emanato e notificato al proprietario un provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale (artt. 10, co.3, e 13). Si rifà alla tradizione, poiché sulla scia degli artt. 9 e 23 dell’editto Pacca, già la l. 364/1909 disponeva in tal senso (art.5). Per abitudine questo provvedimento viene chiamato comunemente notifica o vincolo. Il termine notifica non è corretto perché confonde due atti diversi: la dichiarazione dell’interesse è distinta dalla sua notificazione, che è compiuta tramite il servizio postale o mediante il messo comunale (ora la distinzione appare molto netta, come si vede agli artt. 13, 15 e 128). Il termine vincolo (diretto) potrebbe far pensare che il provvedimento contenga prescrizioni, limiti, obblighi e divieti. Non è così in quanto i suddetti derivano direttamente dal codice come conseguenza del vincolo. Il provvedimento reca soltanto, sulla base di una motivazione storico-artistica, per solito contenuta in una 21 relazione allegata, la dichiarazione che il bene presenta interesse artistico particolarmente e pertanto viene sottoposto alle disposizioni di tutela di legge. La l. 364/1909 richiese che le cose avessero importante interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico (art. 1). La l. 1089/1939 richiese invece che l’interesse artistico, storico, archeologico o etnografico (art. 1) fosse particolarmente importante (art. 3 co.1). questa maggiore intensità dell’interesse è stata confermata dal TU1999 e dal codice all’art. 13, Dichiarazione dell’interesse culturale: “la dichiarazione accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell’interesse richiesto dall’art.10 co.3”. A sua volta l’art.13 co.1 nelle sue varie lettere stabilisce che sono beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’art.13: (lett. a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 (lett. b) Gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante (lett. d)Le cose immobili e mobili a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose L’interesse è diversamente graduato e di intensità ancora maggiore per la dichiarazione dell’interesse culturale relativa a tre categorie di beni: (lett. c) raccolte librarie appartenenti a privati di eccezionale interesse culturale (lett d-bis) le cose a chiunque appartenenti che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della nazione (lett. e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese tra quelle indicate al co. 2 e che tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse La lettera d riguarda beni che non hanno in sé interesse artistico o storico ma rivestono interesse per il loro riferimento con la storia e la cultura in genere (giardino Moreno di Bordighera). La lettera e si riferisce alle collezioni non appartenenti a enti pubblici. La lettera d-bis, istituita nel 2017, presenta la peculiarità di riguardare beni di autori non più viventi o eseguiti oltre 50 anni invece di 70. La dichiarazione non è richiesta per i beni indicati all’art. 10 co.2, i quali rimangono sottoposti a tutela anche quando i soggetti cui appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica. La dichiarazione riconosce che il bene in concreto presenta le caratteristiche indicate dal codice e si basa sull’esercizio di discrezionalità tecnica, con l’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche. In caso di controversia, l’autorità giurisdizionale può valutarne la logicità e coerenza ma non può sostituirla con una valutazione diversa. Non è necessario giustificare l’esistenza di un interesse pubblico alla sottoposizione del bene alla tutela del codice e il provvedimento non richiede una ponderazione degli interessi privati con gli interessi pubblici connessi con la sottoposizione a tutela (art. 9 Cost.). Per la dichiarazione di interesse culturale per motivi archeologici è sufficiente la probabilità di rinvenimento di reperti di significativo valore, valutata secondo un motivato giudizio tecnico-discrezionale. L’imposizione del vincolo non richiede che i reperti siano stati già trovati o portati alla luce. Art. 128, Notifiche effettuate a norma della legislazione precedente: ha stabilito che i beni indicati all’art.10 co.3 per i quali non sono state rinnovate e trascritte le notifiche ex leggi precedenti sono sottoposti al 22 Alcune grandi collezioni d’arte romane storicamente sono state aperte al pubblico e hanno quindi esercitato un ruolo di rilievo nella formazione del gusto artistico e nella diffusione della cultura: la possibilità di visita delle grandi collezioni romane fu decisiva per il lavoro di Winckelmann. La 286/1871 precisò che non erano pregiudicati i diritti dei terzi sui beni svincolati dal fedecommesso, inoltre stabilì (art. 4) che “i diritti che per fondazione o per qualsivoglia titolo possano appartenere al pubblico, sono mantenuti”. L’interesse al godimento pubblico o alla fruizione dei beni culturali è ora protetto ancora di più dal codice. Infatti le collezioni vincolate (aka dichiarate di interesse culturale) possono essere assoggettate a visita da parte del pubblico per scopi culturali. Le modalità di visita sono concordate tra il proprietario e il Soprintendente che ne dà comunicazione al Comune/Città metropolitana di riferimento (art. 104, co.1 e 3). La possibilità di imporre tale obbligo è prevista anche per i beni immobili che rivestano un interesse eccezionale o quando i beni siano stati restaurati a carico totale o parziale dello Stato ovvero lo Stato abbia concesso contributi per il loro restauro. 9. I beni archeologici È possibile dichiarare l’interesse culturale dell’area; ove successivamente lo scavo dia esito negativo ovvero i beni archeologici rinvenuti possano essere rimossi senza residui la dichiarazione potrà essere revocata restituendo l’immobile al regime ordinario della proprietà privata. Le limitazioni alla proprietà privata sono particolarmente intense. Il principio che gli scavi archeologici fossero consentiti solo dietro permesso si ritrova già nella legislazione pontificia e fu confermato nelle successive. Attualmente le ricerche archeologiche e le opere per il ritrovamento dei beni culturali sono riservate al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (art. 88 co.1). Gli altri soggetti possono eseguire gli scavi archeologici solo a seguito di una concessione dello Stato, con l’osservanza delle prescrizioni imposte (art. 89). Non ci sono eccezioni. Il codice considera tutte le ricerche archeologiche, indipendentemente dalle modalità di svolgimento: si ritengono soggette a concessione anche le ricerche archeologiche di superficie, cioè con metal detector. Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico (La Valletta, 16/1/92): la soggezione degli scavi archeologici a un permesso amministrativo corrisponde oggi a un obbligo internazionale pattizio. Essa intende preservare il patrimonio archeologico e garantire il significato scientifico delle operazioni di ricerca archeologica e impegna le parti a porre in atto procedure di autorizzazione e di controllo degli scavi e a vigilare che gli scavi siano praticati solo da persone qualificate e abilitate (art.3). Il Ministero ha supplito alla carenza legislativa del codice stabilendo in via amministrativa che le domande di concessione devono essere accompagnate dal cv del direttore di scavo, da cui si evinca la sua preparazione specifica e congruente con la ricerca da avviarsi. La concessione è rilasciata dal DG Archeologia, belle arti e paesaggio, previa istruttoria della Soprintendenza, normalmente per max 3 anni. Può essere revocata per inadempienza alle prescrizioni o quando il Ministero intenda sostituirsi al concessionario nell’esecuzione o prosecuzione delle opere. In tal caso al concessionario sono rimborsate le spese sostenute per le opere già eseguite con importo fissato dal Ministero. Ove il concessionario non lo accetti, è stabilito da un perito tecnico nominato dal presidente del tribunale (art. 90 co.3 e 4). Art. 88 co. 2 e art. 89 co. 1: il Ministero può disporre l’occupazione temporanea degli immobili ove eseguire le ricerche archeologiche nonché l’espropriazione degli immobili ove eseguire i lavori, ma questo solo se il concessionario di scavo sia un soggetto diverso dal proprietario degli immobili e non sia riuscito ad acquisire il consenso dello stesso proprietario allo svolgimento delle ricerche. Art. 97: consente l’espropriazione per ricerche archeologiche. 25 In caso di ricerca archeologica o di opere per il ritrovamento di cose di interesse culturale senza concessione o la mancata osservanza delle prescrizioni dell’amministrazione sono punite con l’arresto fino a 1 anno e l’ammenda fino a 3099€. Le ricerche senza autorizzazione hanno rilevanza penale anche se non venga ritrovato nulla. Art.90: lo scopritore fortuito di beni culturali deve fare denuncia entro 24h al Soprintendente o al sindaco o all’autorità di pubblica sicurezza e deve provvedere alla conservazione temporanea delle cose rinvenute, lasciandole nelle condizioni e nel luogo di rinvenimento (stesse sanzioni di prima). Codice civile del 1865: definiva il tesoro come “qualunque oggetto mobile di pregio, che sia nascosto o sotterrato, e del quale nessuno possa provare di essere padrone”. Apparteneva al proprietario del fondo, se scoperto nel fondo altrui metà allo scopritore e metà al ritrovatore (art.714). questa regola fu derogata per le cose di interesse archeologico, per esempio la 185/1902 stabilì che fossero ceduti gratuitamente a una pubblica collezione gli oggetti rinvenuti negli scavi archeologici condotti da Istituti esteri o cittadini stranieri, in tutti gli altri casi il Governo aveva diritto alla quarta parte degli oggetti scoperti o al valore equivalente (art.14). la 364/1909 stabilì il principio dell’appartenenza allo Stato delle cose scoperte negli scavi e al proprietario del terreno spettava un quarto delle cose ritrovate o la corresponsione del loro prezzo. Essa non aveva carattere retroattivo e non modificava il regime proprietario dei beni archeologici rinvenuti prima della sua entrata in vigore (se lo erano rimanevano privati). I monumenti archeologici pubblici che non abbiano costituito oggetto di scavo ma siano sempre stati in luce sono normalmente considerati di proprietà comunale (arena di Verona, colonne di san Lorenzo, ma non Colosseo, di proprietà statale). I due principi della proprietà statale dei nuovi rinvenimenti archeologici e della corresponsione ai privati di un premio di rinvenimento sono stati confermati e sviluppati dalla legislazione successiva  Codice civile del 1942: “tesoro è qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario” (art.932). ha regolato i diritti del proprietario del fondo in cui il tesoro si trova e dello scopritore del tesoro ma ha anche stabilito che “per il ritrovamento degli oggetti d’interesse storico. Archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, si osservano le disposizioni delle leggi speciali” cioè all’epoca 1089 e adesso il codice dei beni culturali, che all’art.91 co.1 stabilisce che “le cose indicate nell’art.10 da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli art. 822 e 826 c.c.”. La disciplina dell’art.932 rimane applicabile ai beni culturali solo se ritrovati in luoghi diversi tipo intercapedini dei muri, solai e tramezzi degli edifici. P.s. il codice prevede l’acquisto a titolo originario da parte dello Stato di tutti i beni culturali rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini, non dei soli beni di interesse archeologico. Il codice stabilisce che il Ministero corrisponda un premio al proprietario dell’immobile, al concessionario dell’attività di ricerca salvo che la ricerca rientri tra i compiti istituzionali o statutari del concessionario, e allo scopritore fortuito che abbia ottemperato agli obblighi di legge. Il proprietario dell’immobile che abbia anche ottenuto la concessione o sia stato scopritore fortuito ha diritto a un premio non superiore a ½ del valore delle cose ritrovate. Il premio può essere corrisposto in denaro o mediante rilascio di cose ritrovate, oppure un credito di imposta di pari ammontare (art.92). Comunque il Ministero subordina il rilascio della concessione alla rinuncia del premio di rinvenimento da parte del richiedente e di tutti gli operatori per i quali è richiesto il permesso di partecipazione allo scavo. Stessa dichiarazione è chiesta al proprietario oppure il concessionario può dichiarare di farsene carico pagando il premio direttamente all’avente diritto e obbligandosi a tenere l’amministrazione indenne da ogni conseguenza patrimoniale. Il principio dell’appartenenza allo stato delle cose di interesse culturale rinvenute negli scavi comporta che la proprietà privata di beni archeologici sia oggi ristretta a un numero limitato di casi:  Beni ritrovati prima dell’entrata in vigore della 364 26  Beni rilasciati dallo Stato come premio di rinvenimento in natura  Beni rinvenuti in scavi in aree di proprietà privata e rilasciati dall’amministrazione in sostituzione dell’indennità di occupazione in denaro  Beni acquisiti a seguito di alienazione da parte di amministrazioni pubbliche  Beni acquistati all’estero e importati in Italia Art.176: delitto di impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, con reclusione ino a 3 anni e multa fino a 516 euro. Se il fatto è commesso da chi abbia ottenuto la concessione di ricerca archeologica le pene si raddoppiano. La pena è ridotta da 1 a 2/3 qualora il colpevole fornisca una collaborazione rilevante per il recupero dei beni illecitamente sottratti (art.171), il reato sussiste indipendentemente dall’accertamento dell’interesse culturale. Nel relativo processo l’onere della prova grava sull’accusa: non è possibile condanna fondata soltanto sull’assenza di prova della legittima provenienza dei beni. Inoltre, la regola la proprietà dello Stato e quindi per la soluzione delle altre controversie, diverse dai processi penali per il cd “ furto di cose d’antichità e arte”, l’onere della prova di un acquisto legittimo spetta all’interessato. Il problema si pone innanzitutto per decidere la sorte dei materiali sequestrati ove il processo penale non si concluda con una sentenza di condanna. In tal caso occorre innanzitutto esperire il procedimento di verifica dell’interesse culturale il cui eventuale esito negativo comporta la restituzione dei beni al privato; in caso di esito positivo il privato dovrà dimostrare di avere un titolo legittimo di proprietà dei beni, in quanto il venir meno della punibilità penale non fa venir meno la presunzione di appartenenza dei beni al patrimonio indisponibile dello Stato. Qualora l’amministrazione intenda rientrare in possesso di beni detenuti da privati, incombe al possessore l’onere della prova che i beni sono stati oggetto di scoperta e appropriazione prima dell’entrata in vigore della 364, in alternativa il privato dovrà provare che sussiste un altro legittimo titolo di proprietà. Nessun archecondono è stato approvato dal Parlamento. 10. La protezione dei beni culturali. L’autorizzazione Art.20: Indipendentemente dal proprietario, i beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o ad0biiti a usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da creare pregiudizio alla loro conservazione o integrità. Art.21, co.1 lett.a: non possono essere rimossi o demoliti, anche con successiva ricostituzione, senza un’autorizzazione della Commissione regionale per il patrimonio culturale. Anche lo spostamento è soggetto alla sua autorizzazione. Lett.b: identica autorizzazione della Commissione regionale per lo spostamento anche temporaneo di beni mobili. Lo spostamento dovuto a mutamento di dimora o sede del detentore non è soggetto ad autorizzazione ma deve essere previamente denunciato al Soprintendente competente che entro 30 giorni può prescrivere le misure necessarie perché i beni non subiscano danni nel trasporto (art.21 co.2). Art.21, co.4: le opere e i lavori di qualunque genere compreso il restauro sono soggetti a preventiva autorizzazione del Soprintendente, resa su progetto o se sufficiente su descrizione tecnica dell’intervento presentati dal richiedente e può contenere prescrizioni. Se il lavori non iniziano entro 5 anni dall’autorizzazione, il Soprintendente può integrare o variare le prescrizioni già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione (co.5). Art.22 co.1: nei casi in cui l’autorizzazione si riferisca a interventi in materia di edilizia pubblica e privata e non si debba ricorrere a una conferenza di servizi con altre amministrazioni né sia necessaria la valutazione di impatto ambientale, il codice fissa il termine per provvedere in 120 gg dalla ricezione della richiesta da parte della Soprintendenza. Il termine è sospeso qualora essa chieda chiarimenti o elementi integrativi di giudizio fino al ricevimento della documentazione richiesta, oppure quando occorre procedere ad accertamenti di natura tecnica fino ai risultati degli accertamenti e comunque per non più di 30 gg. Decorso 27 pinacoteche, gallerie e biblioteche, gli archivi, gli immobili di interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento on la storia politica, militare, della letteratura, arte, scienza tecnica, industria e cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; le cose mobili opera di autore vivente o eseguite meno di 70 anni fa, se incluse in raccolte dello Stato e degli enti pubblici territoriali. Co.2: inalienabilità delle cose di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico appartenenti a enti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che siano opera di autore morto ed eseguite oltre 70 anni fa, fino alla conclusione del procedimento di verifica dell’interesse culturale. Sono inoltre inalienabili i singoli documenti appartenenti allo Stato e agli enti pubblici territoriali nonché gli archivi e i singoli documenti degli altri enti pubblici. Co.3: i beni inalienabili possono comunque essere oggetto di trasferimento tra lo stato e gli enti pubblici territoriali. Art.55: gli altri beni culturali immobili facenti parte del demanio culturale sono alienabili previa autorizzazione del Ministero, rilasciabile solo se la destinazione d’uso preposta permetta la conservazione e fruizione pubblica o comunque sia compatibile con il carattere storico e artistico del bene. La richiesta di autorizzazione ad alienare è corredata da: a) Indicazione della destinazione d’uso in atto b) Programma delle misure necessarie ad assicurare la conservazione del bene c) Indicazione degli obiettivi di valorizzazione da perseguire con l’alienazione del bene d) Indicazione della destinazione d’uso prevista, anche in funzione degli obiettivi da perseguire e) Modalità di fruizione pubblica del bene L’autorizzazione è rilasciata su parere del Soprintendente, sentita la Regione e, per suo tramite, gli altri enti pubblici territoriali interessati. Il provvedimento detta prescrizioni e condizioni in ordine alle misure di conservazione programmate; stabilisce le condizioni di fruizione pubblica del bene, tenuto conto della situazione conseguente alle precedenti destinazioni d’uso; si pronuncia sulla congruità delle modalità e dei tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione indicati nella richiesta. Non è rilasciabile qualora la destinazione d’uso proposta sia suscettibile di arrecare pregiudizio alla conservazione e fruizione pubblica del bene o comunque sia incompatibile. Il Ministero ha facoltà di indicare nel provvedimento di diniego destinazioni d’uso ritenute compatibili (co.3-bis e 3-ter). Art.55-bis: il soprintendente comunica eventuali inadempienze dell’acquirente alle amministrazioni alienanti ai fini della risoluzione di diritto dell’alienazione. Art.56: disciplina l’alienazione degli altri beni culturali dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli altri enti pubblici, nonché dei beni culturali delle persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Se il procedimento di verifica dell’interesse culturale si conclude con esito positivo sono alienabili previa autorizzazione del Ministero. Si richiede l’autorizzazione anche in caso di vendita anche parziale di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie da parte di enti pubblici diversi da quelli territoriali o di persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti; nel caso di vendita, da parte di persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di archivi o di singoli documenti. L’autorizzazione può essere rilasciata a condizione che dall’alienazione non derivi danno alla conservazione e alla pubblica fruizione dei beni; per le alienazioni dello Stato e degli enti pubblici territoriali è richiesto altresì che i beni non abbiano interesse per le raccolte pubbliche (co.4). Art.57: le alienazioni in favore dello Stato non sono soggette ad autorizzazione. Art.58: il Ministero può autorizzare la permuta dei beni la cui alienazione, nonché di singoli beni appartenenti alle pubbliche raccolte con altri beni appartenenti a enti, istituti o privati anche stranieri, 30 qualora arricchisca il patrimonio culturale nazionale o le pubbliche raccolte. Le autorizzazioni all’alienazione e alla permuta sono di competenza della Commissione regionale per il patrimonio culturale. Art.164: la sanzione per le contravvenzioni è la nullità degli atti. Art.173: l’alienazione dei beni culturali ex artt. 55 e 56 senza autorizzazione è un delitto punito con la reclusione fino a un anno e la multa fino a 77mila euro. b) Beni di persone fisiche e di persone giuridiche private con fine di lucro Non è soggetta ad autorizzazione Art.59: devono essere denunciati al Ministero tutti gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà di beni culturali. Devono inoltre essere denunciati gli atti che trasferiscono la detenzione di beni culturali mobili, obbligo volto a facilitare l’esercizio della vigilanza (art.18) e le ispezioni del Soprintendente (art.19). Il primo obbligo di denuncia riguarda tutti i trasferimenti di proprietà a titolo oneroso o gratuito, cioè non solo le alienazioni ma anche i trasferimenti in caso di successione per causa di morte. La denuncia è entro 30 gg al Soprintendente del luogo ove si trovano i beni e deve contenere i dati identificativi delle parti e dei beni, nonché l’indicazione del luogo ove i beni si trovano, della natura e delle condizioni dell’atto di trasferimento, del domicilio in Italia e delle parti. Senza queste indicazioni la denuncia si considera non avvenuta. Per la sanzione vedi art.164. Questo obbligo di denuncia ha un’altra finalità oltre alla vigilanza del Soprintendente. Nel caso in cui i beni culturali siano alienati a titolo oneroso o conferiti in società lo Stato può esercitare il diritto di prelazione, cioè sostituirsi nell’acquisto del bene al prezzo denunciato o attribuito (art.59 co.1), esercitabile anche quando il bene sia a qualunque titolo dato in pagamento (art.60). Art.61: il DG Archeologia, belle arti e paesaggio esercita la prelazione entro i 60 gg successivi alla denuncia, se essa manca o è tardiva/incompleta il termine è di 180 gg dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o acquisito tutti gli elementi costitutivi della denuncia stessa. In pendenza del termine per l’esercizio della prelazione l’atto di alienazione rimane soggetto alla condizione sospensiva dell’esercizio della prelazione e l’alienante ha il divieto di consegnare la cosa. Se la prelazione è esercitata solo su parte delle cose alienante l’acquirente ha facoltà di recedere dal contratto. Art.62: è esercitabile anche dalla Regione, dalla Provincia, dalla Città metropolitana o dal Comune nel cui territorio si trova il bene se il Ministero ha rinunciato all’esercizio della prelazione e trasferisce questa facoltà dandone informazione. L’interesse economico dell’alienante non è pregiudicato poiché ottiene lo stesso prezzo sia pur con ritardo dovuto alla scadenza del termine per l’esercizio della facoltà di acquisto. Qualora i bene sia alienato con altri beni per un unico corrispettivo o sia ceduto senza previsione di un corrispettivo in denaro ovvero sia dato in permuta, il valore economico è determinato d’ufficio dal soggetto che procede alla prelazione. Ove la determinazione non sia accettata dall’alienante il valore è stabilito da un terzo designato concordemente, in mancanza d’accordo la nomina è effettuata dal presidente del tribunale del luogo in cui è stato concluso il contratto. La prelazione dello Stato nelle alienazioni di beni culturali a titolo oneroso è stata prevista fin dalla 364/1909, la Corte Cost. ha chiarito che è ben diversa dai provvedimenti espropriativi in quanto si collega all’iniziativa di trasferimento di proprietà a titolo oneroso attivata dalla parte privata titolare del bene. 13. La soppressione della tassa di esportazione 31 La l. 30/3/1998 n.88 ha soppresso la tassa di esportazione, già prevista dagli art. 37 ss. L.1089/1939, anche nel caso in cui i beni culturali vengano portati fuori del territorio dell’UE, in quanto non prevista dal regolamento comunitario nel quale si trovata solo la licenza di esportazione 14. L’uscita definitiva dal territorio nazionale Art.65: pone due divieti non superabili mediante atti amministrativi di autorizzazione. Co. 1: il primo divieto riguarda i beni culturali mobili indicati nell’art. 10 co.1, 2, 3 (rivedi commi). Co 2: il secondo divieto assoluto riguarda:  i beni mobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché a ogni altro ente e istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che siano opera di autore non più vivente ed eseguiti da oltre 70 anni, fino a quando non sia stata effettuata la verifica dell’interesse culturale ex art.12  i beni a chiunque appartenenti rientranti nelle categorie di beni suscettibili di essere dichiarati di interesse culturale (art.10 co.3) e che il Ministero, sentito il competente organo consultivo, abbia preventivamente individuato e per periodi temporali definiti escluso dall’uscita Art.65 co.3: divieto relativo superabile mediante autorizzazione amministrativa:  le cose, a chiunque appartenenti , che siano opera di autore non più vivente ed eseguiti da oltre 70 anni sempre che il loro valore sia superiore a 13.500€, salvo per i reperti archeologici per i quali si prescinde dalla soglia di valore  gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale  i beni a chiunque appartenenti, i quali rientrino nelle categorie indicate ex art.11 co.1 lettere f, g, h: o fotografie con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga a oltre 25 anni o i mezzi di trasporto aventi più di 75 anni o i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi oltre 50 anni Divieti assoluti e relativi di uscita dal territorio nazionale sono fondati sulla natura dei beni culturali gravati dai divieti stessi nonché sulla natura del soggetto proprietario. Art.65 co.4: indica i beni la cui uscita definitiva non è soggetta ad autorizzazione, distinti in due categorie: opere di pittura, scultura, grafica e qualsiasi oggetto d’arte opera d’autore vivente o eseguite da meno di 70 anni; le cose che presentino interesse culturale, siano opera di autore vivente ed eseguite più di 7 anni fa, con valore inferiore a 13.500€ fatta eccezione per i reperti archeologici. L’interessato ha l’onere di comprovare al competente ufficio di esportazione che le cose da trasferire all’estero rientrino in queste due categorie, nel caso in cui l’ufficio sia in dubbio avvia il procedimento di dichiarazione di interesse culturale, che si conclude entro 60 gg dalla data di presentazione della dichiarazione (co.4-bis). Art.68: chi intenda far uscire in via definitiva beni culturali soggetti a divieto relativo deve farne denuncia e presentarli agli uffici di esportazione del Mibact, indicando contestualmente e per ciascuno di essi il valore venale, al fine di ottenere l’attestato di libera circolazione. Esso è una vera autorizzazione amministrativa all’uscita definitiva del bene e corrisponde al certificato previsto dall’art.6 della convenzione Unesco 14/11/1970. L’ufficio di esportazione del Ministero acquisisce dagli altri uffici dello stesso Ministero ogni elemento conoscitivo utile in ordine agli oggetti presentati per l’uscita definitiva e entro 40 gg rilascia o nega l’attestato di libera circolazione attenendosi a indirizzi di carattere generale stabiliti con decreto del Ministro sentito il competente organo consultivo. 32 Gli artt. 75-81 disciplinano la restituzione da parte dell’Italia di beni culturali usciti illecitamente dal territorio un altro Stato UE, gli artt.82-83 riguardano la richiesta italiana ad altri Stati di restituzione di beni usciti illecitamente dal proprio territorio. Art.82: l’azione giudiziaria di restituzione dei beni è esercitata, con l’assistenza dell’Avvocatura generale dello Stato, dal Mibact, d’intesa col Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, davanti al giudice dello Stato membro dell’Ue in cui si trova il bene culturale. Con l’azione di restituzione lo Stato non si presenta nella veste di proprietario del bene, ma in quella di titolare di poteri pubblici di tutela dei beni culturali, il Ministero degli affari esteri valuta una possibile soluzione in via diplomatica. Art.83: qualora l’azione di restituzione si concluda con successo ma il bene non appartenga allo Stato, il Ministero provvede alla sua custodia fino alla consegna all’avente diritto, subordinata al rimborso allo Stato delle spese sostenute. Qualora il soggetto sia sconosciuto, il Ministero ne dà notizia con avviso in GU, se entro 5 anni l’avente diritto non richiede la consegna il bene è acquisito nel demanio dello Stato e può essere assegnato a un museo, biblioteca o archivio dello Stato, di una Regione o di un altro ente pubblico territoriale, al fine di assicurarne la migliore tutela e la pubblica fruizione nel contesto culturale più appropriato. 18. L’ingresso nel territorio nazionale Art.72: su domanda degli interessati gli uffici di esportazione del Ministero certificano l’ingresso nel territorio nazionale di beni culturali provenienti da uno Stato membro dell’Ue o da uno Stato terzo e rientranti nelle categorie di beni la cui uscita è soggetta ad autorizzazione. I certificati di avvenuta spedizione e avvenuta importazione sono rilasciati sulla base di documentazione idonea a identificare la cosa o il bene e a comprovarne la provenienza dal territorio dello Stato da cui sono stati spediti o importati. Non sono ammesse semplici dichiarazioni. Essi hanno validità quinquennale riferita all’ingresso nel territorio e sono prorogabili su richiesta degli interessati. L’art.172 del regolamento 1913 aveva stabilito che l’importatore si intende decaduto da ogni diritto se il certificato di importazione non è rinnovato entro il termine di cinque anni, l’art.173 diceva che chi voglia riesportare le cose importate temporaneamente deve presentarle al medesimo ufficio di esportazione a cui erano state presentate all’atto dell’importazione. L’attestato di libera circolazione per questi beni costituisce atto dovuto da rilasciare senza alcuna discrezionalità, i beni culturali provenienti dall’estero senza certificato di avvenuta spedizione/importazione o con certificato scaduto sono soggetti integralmente alla disciplina dell’uscita dei beni dal territorio nazionale. 19. Occupazione temporanea ed espropriazione Art. 88: stabilisce che il ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo può ordinare l’occupazione temporanea degli immobili ove devono eseguirsi le ricerche e le opere, in modo da ottenere la disponibilità degli immobili per il solo periodo degli scavi. Non richiede la previa dichiarazione (o verifica) dell’interesse culturale degli immobili come presupposto dell’occupazione temporanea, di competenza delle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio. Il proprietario ha diritto a un’indennità di occupazione (all’anno 1/12 di quanto sarebbe dovuto in caso di espropriazione), oppure il Ministero può rilasciare al proprietario che ne faccia richiesta le cose ritrovate o parte di esse, quando non interessino le raccolte dello stato (co. 3). il codice prevede anche tre casi in cui può essere disposta l’espropriazione, che comporta un’indennità corrisposta sempre in denaro. 35 Art. 95: stabilisce che i beni culturali mobili e immobili possono essere espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilità, quando l’espropriazione risponda a un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi. Costituisce uno sviluppo della disciplina posta dalla legge generale sulle espropriazioni per causa di utilità pubblica del 1865, che consentiva allo Stato, alle Province e ai Comuni l’acquisto mediante espropriazione di “ogni monumento storico o di antichità che abbia la natura d’immobile, e la cui conservazione pericolasse continuando a essere posseduto da qualche corpo morale o da un privato cittadino”. Il codice consente l’espropriazione anche di beni culturali mobili, al contrario della disciplina del 1865 e di quella generale dell’espropriazione. Il Ministero può anche autorizzare, a richiesta, le Regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente e istituto pubblico a effettuare l’espropriazione di questo tipo: esso dichiara la pubblica utilità ai fini dell’espropriazione e rimette gli atti all’ente interessato per la prosecuzione del procedimento. Può anche disporre l’espropriazione a favore di persone giuridiche private senza fine di lucro, curando direttamente il relativo procedimento. Art.96: prevede l’espropriazione per fini strumentali dei soli beni immobili, cioè quando sia necessario per isolare o restaurare monumenti, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l’accesso. Vale non a incrementare la proprietà pubblica di beni culturali ma a preservare le condizioni di ambiente e di decoro dei beni culturali immobili, indipendentemente dalla loro proprietà. Stretta affinità con il vincolo indiretto, ma è un’alternativa ancora più incisiva poiché comporta il sacrificio definitivo della proprietà. Art.97: prevede l’espropriazione per interesse archeologico, ossia al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o per il ritrovamento di beni culturali. È alternativa all’occupazione temporanea dell’art.88 e può essere disposta quando essa sia inadeguata al perseguimento degli obiettivi del Ministero. Art. 99 co.1 e 100 co.1: nel caso di espropriazione ex art.95, l’indennità consiste nel giusto prezzo che il bene avrebbe in una libera contrattazione di compravendita all’interno dello Stato. Per gli altri due tipi (96 e 97) si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità L’espropriazione è di competenza della direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero. 20. La non indennizzabilità dei vincoli. Nel caso di vincolo indiretto, il bene rimane nella disponibilità del proprietario il quale non può però esercitare le sue facoltà in modo contrario alle prescrizioni stabilite col provvedimento di vincolo indiretto, anche se tali limitazioni possono comportare una diminuzione di valore del bene. Le limitazioni alle facoltà proprietarie derivanti dal vincolo indiretto sono da ricondurre non all’art.42 co.3 Cost. (la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale), bensì al co.2: “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. L’art.9 co.2 Cost. stabilisce che la Repubblica “tutela il patrimonio storico e artistico della nazione” e i limiti alla proprietà per finalità di tutela dei beni culturali corrispondono allo scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà. La previsione dei vincoli indiretti senza indennizzo non è dunque contraria a Costituzione. La dichiarazione dell’interesse culturale di beni di proprietà privata (art.13) comporta limiti sia alle facoltà di godimento (artt.21 ss.) che a quelle di disposizione (art.59 ss.) e il divieto di uscita dal territorio nazionale (art.65 co.1), ma è riconducibile all’art.42 co.2 Cost. e quindi non indennizzabile. 36 21. Interventi pubblici su beni culturali di proprietà privata Il provvedimento di vincolo diretto comporta non soltanto limiti alle facoltà proprietarie ma anche la possibilità di vantaggi per il proprietario. Art.35: il Mibact ha facoltà di concorrere alla spesa sostenuta dal proprietario, possessore o detentore del bene per l’esecuzione degli interventi di restauro o di altri interventi conservativi, per un ammontare non superiore alla metà della spesa stessa, se gli interventi sono di particolare rilevanza o riguardano beni in uso o godimento pubblico, il ministero può concorrere all’intera spesa. Art.37: il Ministero può concedere contributi in conto interesse, ma solo per interventi sui beni immobili e comunque è meno favorevole per il beneficiario. Art.32-33: il Ministero può imporre al proprietario/possessore/detentore gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni e può provvedervi direttamente (la competenza spetta al soprintendente). Ciò è a carico in genere del proprietario/p./d. ma se sono particolarmente rilevanti o eseguiti su beni in uso o godimento pubblico il Ministero può provvedere in tutto o in parte alla relativa spesa (art.34), con provvedimento di competenza del Segretario regionale dei beni e delle attività culturali e del turismo. Art.38: gli immobili privati restaurati o sottoposti ad altri interventi conservativi con soldi statali sono accessibili al pubblico secondo modalità fissate da accordi o convenzioni tra il Ministero, nella persona del Segretario regionale, e i proprietari. Art.9 co.2 Cost.: la possibilità di interventi finanziari pubblici per beni culturali di proprietà privata è giustificata dal fatto che la Repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della nazione. L’obbligo di apertura al pubblico degli immobili così restaurati costituisce un ragionevole sacrificio, giustificato dal vantaggio ottenuto con l’erogazione finanziaria statale. 22. Il regime fiscale l.n.512 2/8/1982, in seguito modificata, integrata e parzialmente confluita nel TUIR del 1987, ha istituito per i beni culturali varie agevolazioni tributarie. Per l’Irpef, c’è una detrazione d’imposta del 19% per le spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro dei beni culturali gravati da vincolo diretto. La necessità delle spese, se non ordinate dal Ministero, deve risultare da una certificazione della Soprintendenza competente per materia e territorio, previo accertamento della loro congruità effettuato d’intesa con il competente ufficio del territorio del Mef. Anche le erogazioni liberali in denaro a favore di Stato, Regioni, enti locali territoriali, enti o istituzioni pubbliche, per acquisto manutenzione protezione o restauro dei beni culturali danno diritto a una detrazione d’imposta del 19%. Le agevolazioni per l’Irpef decadono in caso di mutamento di destinazione d’uso dell’immobile senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione ovvero in caso di mancato assolvimento degli obblighi di legge per consentire l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato. Inoltre la detrazione non spetta nel caso di tentata esportazione illegale del bene La stessa legge ha escluso dall’attivo ereditario i beni culturali vincolati prima dell’apertura della successione e ha disposto il dimezzamento dell’imposta di successione relativa agli immobili di interesse storico, artistico, militare, architettonico e monumentale caduti in successione. Per questi immobili la base imponibile di Ici, Imu e Tasi è ridotta della metà.. Art-bonus: credito d’imposta per favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura, compresi gli interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici. 37 lavori privati, invece, il progetto dei lavori è soggetto ad autorizzazione solo se l’area è stata già dichiarata di interesse culturale archeologico. Diversamente l’amministrazione potrà utilizzare i suoi poteri solo dopo l’apertura del cantiere e i primi rinvenimenti. 40 CAPITOLO 4 – IL RUOLO DELLE REGIONI E L’AMMINISTRAZIONE 1. Stato e Regioni nella tutela dei beni culturali + 2. Le regioni ordinarie Il titolo V della parte seconda della Costituzione ha istituito 15 regioni ordinarie e 5 regioni a statuto speciale. Secondo la Costituzione del ’47 le Regioni ordinarie avevano potestà legislativa solo per le materie comprese nell’elenco dell’art.117, che non menzionava la materia dei beni culturali, ma solo la materia “musei e biblioteche di enti locali”. Nel 1972 è stato delegato alle Regioni l’esercizio delle funzioni amministrative di tutela del patrimonio librario non statale protetto dall’art.1 co.1 lett. c della 1089. In connessione con questa delega, le Soprintendenze ai beni librari sono state trasferite alle Regioni. Le altre funzioni amministrative in materia di beni culturali sono rimaste allo Stato che però nel 2015 ha assunto nuovamente le funzioni amministrative relative al patrimonio libraio non statale già delegate alle Regioni, fatta salva la facoltà per le Regioni di esercitare le funzioni medesime sulla base di specifici accordi o intese e previo parere della Conferenza Stato-Regioni. 3. Le regioni speciali L’art.116 Cost. assicura forme e condizioni particolari di autonomia alle cinque Regioni speciali. Lo statuto della Sicilia le attribuisce potestà legislativa in materia di “conservazione delle antichità e delle opere artistiche”. Lo statuto del TAD/S attribuisce alle due province autonome i Trento e Bolzano potestà legislativa in materia di “tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare”. Espressioni entrambe sostanzialmente equivalenti a quella di “beni culturali”. In queste due regioni le leggi statali continuando ad applicarsi soltanto per le parti in cui non siano state sostituite da leggi regionali e provinciali. Esse sono dotate di autonomia amministrativa nelle stesse materie sulle quali si esercita la loro potestà legislativa, quindi le funzioni amministrative in materia di beni culturali sono state trasferite alla Regione Sicilia e alle Province di TB. Valle d’Aosta, Sardegna e FVG sono titolari soltanto di potestà legislativa di integrazione e attuazione delle leggi dello Stato in materia di antichità e belle arti, non di sostituzione. Per quanto concerne l’amministrazione, alla Sardegna è stata trasferita la Soprintendenza ai beni librari, al FVG sono state trasferite le competenze della Soprintendenza ai beni librari di Verona per il territorio del FVG. La VDA è subentrata nelle competenze della Soprintendenza ai beni librari di Torino inerenti il territorio della Valle, tuttavia la condizione della regione è diversa: nel 1946 un d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato aveva stabilito che le attribuzioni spettanti alle Soprintendenze alle antichità e belle arti fossero esercitate, per il proprio territorio, dalla VDA, la quale vi avrebbe provveduto con uffici e personale propri. L’art.38 della 196/1978 ha trasferito anche le funzioni amministrative degli organi centrali dello Stato in materia di antichità e belle arti, con riserva al Ministero colo di un nulla osta per le licenze di esportazione; il Ministero può inoltre sostituirsi alla Regione nell’esercizio del diritto di prelazione o della facoltà di acquisto, qualora la Regione vi rinunci. La VDA è quindi subentrata integralmente all’amministrazione statale periferica dei beni culturali, che invece continua a operare in Sardegna e FVG. 4. La riforma costituzionale del 2001 Con la l.c. 3/2001 lo Stato ha ora potestà legislativa esclusiva nelle materie comprese in un elenco tassativo che comprende la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (nuovo testo art.117). La tutela dei beni culturali continua dunque a essere disciplinata da leggi statali, mentre l’autonomia legislativa di Sicilia e TB rimane un’eccezione. 41 La stessa ha attribuito alle Regioni potestà legislativa concorrente in materia di “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” (art.117 co.3). per questa materia la determinazione dei principi fondamentali rimane riservata alla legislazione dello Stato, mentre la disciplina di dettaglio spetta alle Regioni. La distinzione tra tutela e valorizzazione è sviluppata dal codice agli art. 3 e 6. Tutela (art.3): consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata conoscitiva, a individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. L’art.118 Cost. riformato prevede forme di coordinamento tra Stato e Regioni in relazione alla tutela. Valorizzazione (art.6): consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio steso. Comprende promozione e sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale ed è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze. Ilk termine “valorizzazione” compare per la prima volta nel 1964 con la Commissione Franceschini, che analizzò lo stato di salute delle opere d’arte in Italia. Il codice reca una disciplina completa della tutela dei beni culturali ma fissa solo i principi fondamentali della valorizzazione, che è rimessa alle regioni (artt. 7 e 112). Il codice ha però corretto la ripartizione di potestà legislativa disposta dalla riforma costituzionale, impostandola secondo il regime proprietario dei beni, esso stabilisce la disciplina della valorizzazione dei beni statali, mentre la legislazione regionale di dettaglio riguarda la valorizzazione soltanto dei beni presenti negli istituti o nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità (art.112, co.1 e 2). Il principio di unitarietà e centralità della funzione di tutela affidata allo Stato trova motivo nella necessità che l’intera materia sia disciplinata secondo modalità organiche e uniformi su tutto il territorio. 5. L’amministrazione di tutela dei beni culturali In passato il ramo dell’amministrazione statale preposto alla tutela del patrimonio storico e artistico è stato il ministero della pubblica istruzione, in periodo fascista Ministero dell’educazione nazionale. Nel 1875 vi fu costituita la direzione centrale degli scavi e musei del regno, che nel 1881 fu trasformata in DG delle antichità e belle arti. Nel 1907 seguì la creazione delle Soprintendenze. Le funzioni relative agli archivi sono state svolte dal Ministero dell’interno. Solo nel 1974, per iniziativa di Spadolini, è stato creato uno specifico ramo di amministrazione statale, il Ministero per i beni culturali e ambientali. Ad esso sono state devolute:  le funzioni già svolte dalla DG delle antichità e belle arti del Ministero della pubblica istruzione  le funzioni già esercitate dalla PdC dei Ministri relative alla discoteca di Stato, ai servizi delle informazioni e della proprietà letteraria, artistica e scientifica  le funzioni già svolte dal Ministero dell’interno in materia di archivi Nel 1998 il Ministero per i beni culturali e ambientali è stato soppresso ed è stato istituito al suo posto il Mibac, cui nel 2013 sono state trasferite le funzioni in materia di turismo determinando la denominazione di Mibact. In Sicilia e nelle due province di TB le funzioni amministrative di tutela dei beni culturali sono esercitate rispettivamente dalla regione e dalle Province di TB. La VDA è subentrata integralmente all’amministrazione statale e applica la legislazione statale e le norme emanate in esercizio della potestà legislativa regionale di integrazione delle leggi statali. 42 9. Le strutture di livello regionale Le Soprintendenze regionali, istituite nel 2001, sono state trasformate nel 2004 in Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici, diventate nel 2014 Segretariati regionali dei beni e delle attività culturali e del turismo. Sono strutture periferiche dell’amministrazione statale, senza alcun collegamento con le Regioni quali enti autonomi costitutivi dell’ordinamento della Repubblica. I Segretariati regionali sono costituiti solo nelle 15 Regioni a statuto ordinario, FVG e Sardegna. Sono strutture di livello dirigenziale non generale, assicurano il coordinamento dell’attività delle strutture periferiche del Ministero presenti nel territorio reginale; curano i rapporti del Ministero e delle strutture periferiche con le Regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella regione. Il Segretario regionale dispone il concorso del Ministero nelle spese effettuate dai proprietari/etc per gli interventi conservativi ex art.34 e 35; eroga il contributo in contro interessi ex art.37; trasmette al DG centrale le proposte di prelazione che gli pervengono dalle Soprintendenze, dalla Regione o dagli altri enti pubblici territoriali; stipula ex art.38 gli accordi e le convenzioni con i proprietari di beni oggetto di interventi per stabilire le modalità per l’accesso al pubblico; svolge le funzioni di stazione appaltante per gli interventi da effettuarsi con fondi dello Stato o affidati in gestione allo Stato. Commissione regionale per il patrimonio culturale: organo collegiale a competenza intersettoriale presieduto dal Segretario regionale e composto dai Soprintendenti e dal direttore del Polo museale regionale. Coordina e armonizza l’attività di tutela e di valorizzazione nel territorio regionale, favorisce l’integrazione interdisciplinare e multidisciplinare tra i diversi istituti, garantisce una visione olistica del patrimonio culturale, svolge un’azione di monitoraggio, valutazione e autovalutazione. Verifica la sussistenza dell’interesse culturale nei beni appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro; dichiara l’interesse culturale; detta le prescrizioni di tutela indiretta; autorizza gli interventi di demolizione, rimozione definitiva, nonché di smembramento di collezioni, serie o raccolte; autorizza le alienazioni, le permute, le costituzioni di ipoteca e pegno e ogni altro negozio giuridico che comporti il trasferimento a titolo oneroso di beni culturali. Tutti i pareri rilasciati dagli organi periferici del Ministero possono essere riesaminati dalla Commissione entro il termine perentorio di 10 gg dalla ricezione dell’atto, trasmesso per via telematica, contestualmente alla sua adozione, anche alle altre amministrazioni coinvolte nel procedimento, che possono chiedere il riesame dell’atto entro 3 gg dalla ricezione. Decorso inutilmente il termine di 100 gg, l’atto si intende confermato. 10. I musei Fin dal 1907 le Soprintendenze si occupavano anche della gestione delle raccolte e dei singoli beni di proprietà statale destinati alla pubblica fruizione (monumenti, scavi, gallerie). Per circa un secolo i musei statali sono stati gestiti dagli stessi uffici incaricati della protezione del patrimonio culturale e il personale di questi uffici è stato normalmente impiegato in modo promiscuo. Mancava una definizione legislativa dei musei che non avevano alcuna autonomia rispetto alle Soprintendenze. Le poche eccezioni erano il museo egizio di Torino, il Pigorini, il Tucci e la galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, configurati come soprintendenze speciali e incaricate soltanto della gestione dei relativi musei. All’inizio del 2000 alcuni musei sono stati staccati dall’amministrazione statale e costituiti in fondazione autonoma secondo il codice civile, con propri organi di amministrazione (Maxxi, Museo egizio). La più recente riorganizzazione del Mibact ha operato una trasformazione radicale: è stata creata la DG musei da cui dipendono 17 Poli museali regionali, uffici di livello dirigenziale non generale che costituiscono articolazioni periferiche della DG Musei, uno per ognuna delle Regioni nelle quali i musei dipendono dallo Stato. Musei e zone archeologiche senza biglietto d’ingresso continuano a dipendere dalle Soprintendenze. 45 Essi gestiscono gli istituti e musei diversi da quelli di rilevante interesse nazionale. Il direttore del Polo museale regionale programma, indirizza, coordina e monitora tutte le attività di gestione, valorizzazione, comunicazione e promozione del sistema museale nazionale nel territorio regionale. Il codice dei beni culturali definisce il museo “una struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio” (art.101 co.2). Definizione sviluppata dal d.m. 23/12/2014: “il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e le espone a fini di studio, educazione e diletto, promuovendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica”. Essi hanno autonomia tecnico-scientifica, un proprio statuto e bilancio, possono stipulare convenzioni con enti pubblici e istituti di studio e ricerca, ma non hanno autonomia sul personale. Ad alcuni musei, complessi monumentali e zone archeologiche di rilevante interesse nazionale è stata attribuita speciale autonomia. Vi è stato preposto per ognuno un direttore scelto mediante una elezione aperta anche a cittadini non italiani e con contratto di quattro anni. Egli è responsabile della gestione del museo nel suo complesso, nonché dell’attuazione e dello sviluppo del suo progetto culturale e scientifico, autorizza il prestito delle opere. I musei ad autonomia speciale hanno i seguenti organi, presieduti dal direttore, e un collegio dei revisori dei conti. Il Consiglio di amministrazione programma le linee di ricerca e gli indirizzi tecnici dell’attività del museo, adotta lo statuto, approva il programma di attività annuale e pluriennale del museo, il bilancio di previsione e il conto consuntivo. È composto dal direttore del museo e da quattro membri designati dal Ministro dei beni tra esperti di chiara fama. Il Comitato scientifico svolge funzione consultiva del direttore sulle questioni di carattere scientifico nell’ambito di attività dell’istituto. Comprende il direttore, un membro designato dal Ministro, uno dal Consiglio superiore Beni Culturali e paesaggistici, uno dalla regione e uno dal Comune ove ha sede il museo. I componenti del Comitato scientifico sono scelti fra professori universitari in settori attinenti alle attività dell’istituto o esperti di particolare e comprovata quantificazione scientifica e professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali. 46
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