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diritto dell'unione europea: Istituzioni di diritto dell'unione europea, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Appunti riguardanti le istituzioni di diritto dell'unione europea. Testo di riferimento: Manuale di Diritto dell'Unione Europea

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 02/11/2019

Nicole.
Nicole. 🇮🇹

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Scarica diritto dell'unione europea: Istituzioni di diritto dell'unione europea e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! CONSIGLIO EU (ART 15 TUE) Il Consiglio Europeo è nato dalla prassi delle riunioni fra i capi di Stato o di governo degli Stati membri, che fino ai primi anni ’70 si sono tenute per discutere questioni attinenti alla Comunità. Tale prassi trovò una prima formalizzazione al vertice di Parigi del dicembre 1974, in cui i capi di Stato e di governo decisero di riunirsi come “Consiglio europeo”, assieme ai loro ministri degli affari esteri ed ai rappresentanti della Commissione (il Presidente ed uno dei vicepresidenti), con cadenza periodica (3 volte l’anno) e sotto la presidenza del capo di Stato o di governo che esercita la presidenza del Consiglio delle Comunità. L’Atto unico ha poi sancito formalmente l’esistenza del Consiglio europeo e la cadenza delle sue riunioni. È stato il Trattato di Lisbona (1 dicembre 2009) ad inserirlo a pieno titolo tra le istituzioni dell’Unione all’art 13. PAR 2: Il Consiglio europeo è composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal suo presidente e dal presidente della Commissione. L'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza partecipa ai lavori. Per composizione e funzioni, esso è l’istituzione di carattere più politico dell’UE: PAR 1: Il Consiglio europeo dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Non esercita funzioni legislative. FUNZIONI: - Spettano al Consiglio EU le decisioni istituzionali di maggior sensibilità politica per la vita dell’UE: è lui che propone o nomina le cariche più rilevanti non affidate direttamente alla competenza degli Stati membri, come BCE e Commissione; - decide di aspetti importanti della composizione e del funzionamento di altre istituzioni; - ha la responsabilità principale in materia di revisione dei Trattati o di modifica di talune delle loro disposizioni; - prende decisioni di rilievo politico per la membership dell’UE; - anche se il TUE esclude che il Consiglio EU eserciti funzioni legislative, alcune delle sue attribuzioni non sono prive d’impatti sull’azione legislativa delle istituzioni. Spetta, ad es., al Consiglio EU definire gli orientamenti strategici della programmazione legislativa dell’UE nel settore dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia; - tradizionalmente il Consiglio EU è chiamato a svolgere un ruolo di arbitraggio politico sui dossier, anche legislativi, di particolare rilevanza, quando gli stessi siano oggetto di contrasti suscettibili di bloccare l’azione dell’UE. Dopo il Trattato di Lisbona, alcune espressioni di quest’ultimo ruolo trovano formalizzazione in disposizioni dei Trattati, che attribuiscono al Consiglio EU il compito, in alcuni casi, di trovare tra gli Stati membri l’accordo necessario a sbloccare una decisione del Consiglio dell’UE, in altri casi di mediare, prima dell’adozione da parte di quest’ultimo di un atto a maggioranza qualificata, tra la posizione della maggioranza e quella di uno Stato minorizzato. Ulteriore novità portata dal Trattato di Lisbona è che la presidenza del Consiglio EU non è più assicurata dal capo di Stato o di Governo dello Stato membro cui spetta per rotazione la presidenza del Consiglio, ma da un Presidente eletto. Quando venga scelto tra gli stessi membri del Consiglio EU, egli deve dimettersi da capo di Stato o di Governo. La nomina è incompatibile con un mandato nazionale. Dato che l’incompatibilità sussiste solo con un mandato nazionale, è in astratto ipotizzabile che possa esser eletto alla presidenza del Consiglio EU il Presidente della Commissione, senza che lo stesso sia obbligato a lasciare l’incarico ricoperto. PAR 5: Il Consiglio europeo elegge il presidente a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una volta. In caso di impedimento o colpa grave, il Consiglio europeo può porre fine al mandato secondo la medesima procedura. PAR 6: Il presidente del Consiglio europeo: a) presiede e anima i lavori del Consiglio europeo; b) assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio «Affari generali»; c) si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo; d) presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo. Il presidente del Consiglio europeo assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Il presidente del Consiglio europeo non può esercitare un mandato nazionale. RIUNIONE: a Bruxelles, due volte a semestre, salvo riunioni straordinarie, su convocazione del presidente. PAR 3: Il Consiglio europeo si riunisce due volte a semestre su convocazione del presidente. Se l'ordine del giorno lo richiede, i membri del Consiglio europeo possono decidere di farsi assistere ciascuno da un ministro e, per quanto riguarda il presidente della Commissione, da un membro della Commissione. Se la situazione lo richiede, il presidente convoca una riunione straordinaria del Consiglio europeo. VOTO: PAR 4: Il Consiglio europeo si pronuncia per consenso, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente. Nei casi in cui è previsto che esso debba adottare atti formali, i Trattati gli impongono il ricorso a regole di voto formale. Queste sono le stesse che si applicano al Consiglio. Al pari di questo, infatti, il Consiglio EU può ora esser chiamato a votare, a seconda di quanto stabilito dalla disposizione dei Trattati sulla cui base esso delibera, all’unanimità, a maggioranza semplice o a maggioranza qualificata. L’unanimità si forma anche in presenza dell’astensione di uno o più membri del Consiglio EU. La maggioranza semplice, dal 50%+1 dei suoi membri, si applica alle delibere riguardanti il suo regolamento interno o alle questioni procedurali. Quanto alla maggioranza qualificata, anche per il Consiglio EU essa si basa su di un sistema che tiene conto del peso relativo di ciascuno degli Stati membri. Il TFUE prevede che quando il Consiglio EU delibera mediante votazione, il Presidente e il Presidente della Commissione non partecipano al voto. DELIBERAZIONI: In passato, a parte l'ipotesi prevista dal TUE in cui era chiamato ad adottare un atto prestabilito come la strategia comuni, non era nemmeno stabilita la forma che dovevano assumere le deliberazioni del Consiglio EU. Le determinazioni da esso assunte erano per lo più cumulativamente contenute nelle conclusioni della Presidenza, che il Consiglio EU adottava alla fine dei suoi lavori. Non sono mancati però casi nei quali si è preferito individualizzare una decisione consacrandola in uno specifico atto, al fine perfezionata in seno al Comitato dei Rappresentanti permanenti degli Stati membri a Bruxelles, il COREPER, cui compete una valutazione anche politica dei nodi rimasti aperti a livello di gruppo tecnico. Dopodiché spetta al Consiglio al livello di ministri, in una delle sue diverse formazioni (10), prendere la deliberazione finale. Ciascuna delle istanze preparatorie riproduce nella composizione (intergovernativa) e nelle procedure di funzionamento il livello ministeriale. Esse però sono prive di una propria identità e di un potere deliberativo autonomo. Ciò vale anche per il COREPER, anche se previsto dai Trattati, uno dei quali gli riconosce anche il potere di adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento interno del Consiglio. PAR 9: La presidenza delle formazioni del Consiglio, ad eccezione della formazione «Affari esteri», è esercitata dai rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio secondo un sistema di rotazione paritaria, alle condizioni stabilite conformemente all'articolo 236 TFUE. PRESIDENZA. Il Consiglio, nelle sue varie formazioni e articolazioni, è presieduto a turno dagli Stati membri, come previsto dal TUE, sulla base di un sistema di rotazione, che è disciplinato da una decisione del Consiglio EU, adottata a maggioranza qualificata, e, per i suoi meccanismi di dettaglio, da una decisione applicativa del Consiglio approvata con la medesima maggioranza. La prima decisione prevede una presidenza per gruppi predeterminati di tre Stati, che se ne spartiscono l'esercizio per 18 mesi, all'interno dei quali ciascuno Stato esercita a turno la presidenza per 6 mesi con l'assistenza degli altri 2 e sulla base di un programma comune. Ciascun gruppo è composto secondo un sistema di rotazione paritaria, che tiene conto della diversità degli Stati e degli equilibri geografici dell'UE. E la composizione dei gruppi, come l'ordine di successione tra loro, è stata fissata, fino al 2020, dalla seconda decisione. A tale sistema fa eccezione la presidenza del Consiglio Affari esteri, che è sottratta agli Stati ed è riservata all'Alto Rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Il Consiglio è assistito da un apparato amministrativo, il Segretariato generale, al cui vertice è posto il Segretario generale nominato a maggioranza qualificata dallo stesso Consiglio. VOTO: Prima del Trattato di Lisbona, quando una norma del Trattato o un atto delle istituzioni che affidavano al Consiglio il compito di prendere una certa decisione non indicassero una modalità di voto specifica e diversa, il Consiglio deliberava a maggioranza semplice (50%+1). Ora la regola di voto è diventata, in tali casi, la maggioranza qualificata, mentre la maggioranza semplice rimane la regola per l'adozione del regolamento interno e per le decisioni di procedura. Quanto all'unanimità, ha visto ridursi il proprio ambito di applicazione in connessione con l'aumento del numero degli Stati, e resta ora confinata alle sole decisioni politicamente più sensibili (es. per le decisioni da prendere nel settore della PESC). L'astensione del rappresentante di uno Stato in seno al Consiglio non osta al raggiungimento dell'unanimità, ma non rende inapplicabile l'atto allo Stato che si è astenuto. Tuttavia, quando il Consiglio delibera all'unanimità nell'ambito della PESC, quest'ultima regola può trovare un'eccezione, nel senso che se uno Stato accompagna la sua astensione con una dichiarazione formale di non voler esser vincolato dalla decisione del Consiglio, esso non sarà destinatario degli obblighi da questa posti. PAR 3: Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente. PAR 4: A decorrere dal 1 novembre 2014, per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei Membri del Consiglio, con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell'Unione. La minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro membri del Consiglio; in caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta. Le altre modalità che disciplinano il voto a maggioranza qualificata sono stabilite all'articolo 238, paragrafo 2 TFUE. PAR 5: Le disposizioni transitorie relative alla definizione della maggioranza qualificata applicabili fino al 31 ottobre 2014 e quelle applicabili tra il 1 novembre 2014 e il 31 marzo 2017 sono stabilite dal protocollo sulle disposizioni transitorie. PAR 8: Il Consiglio si riunisce in seduta pubblica quando delibera e vota su un progetto di atto legislativo. A tal fine, ciascuna sessione del Consiglio è suddivisa in due parti dedicate, rispettivamente, alle deliberazioni su atti legislativi dell'Unione e alle attività non legislative. A differenza della maggioranza semplice e dell’unanimità, nell’ambito delle quali il voto di ciascuno Stato ha un peso identico, la maggioranza qualificata si fonda, sia nel Consiglio EU che nel Consiglio, su un sistema che tiene conto della diversa grandezza degli Stati. Prima del Trattato di Lisbona tale modalità di voto era applicabile solo al Consiglio sulla base di un sistema di voto ponderato. Tale sistema viene ad essere ora sostituito per entrambe le istituzioni, da un meccanismo di doppia maggioranza, ai sensi del quale la maggioranza qualificata è raggiunta con una maggioranza degli Stati che rappresentino una certa maggioranza della popolazione dell’UE. Per ragioni di compromesso politico con quegli Stati che col passaggio alla doppia maggioranza sono destinati a veder diminuita la propria influenza sulle decisioni, il nuovo sistema di maggioranza qualificata è entrato in vigore il 1° novembre 2014, in coincidenza con l’avvio della nuova legislatura EU e con l’insediamento della nuova Commissione nominata in conseguenza delle elezioni EU. Inoltre, anche se solo per il Consiglio, il vecchio sistema coesisterà per un certo periodo con la nuova maggioranza qualificata, visto che fino al 31 marzo 2017 uno Stato membro potrà domandare che il Consiglio adotti una determinata decisione col voto ponderato in luogo della doppia maggioranza. Il sistema del voto ponderato applicabile fino al 31/03/17 dal Consiglio e fino al 31/10/14 dal Consiglio EU, è quello entrato in vigore col Trattato di Nizza. Con tale Trattato è stata modificata la ponderazione fissata nel ’57, nel tentativo di ristabilire tra le diverse categorie di Stati l’equilibrio iniziale che si era venuto alterando a seguito dei successivi allargamenti. Di conseguenza la nuova ponderazione, prevista dal Protocollo, come integrato dall’Atto di adesione della Croazia, attribuisce ai 4 paesi più grandi (Francia, Germania, Italia e UK) 29 voti ciascuno, 27 a Spagna e Polonia, 14 a Romania, 13 ai Paesi Bassi, 12 a Belgio, Grecia, Portogallo, Repubblica Ceca e Ungheria, 10 ad Austria, Bulgaria e Svezia, 7 a Croazia, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lituania e Slovacchia, 4 al Lussemburgo, Cipro, Estonia, Lettonia e Slovenia, e 3 a Malta. Su un totale di 352 voti, la maggioranza qualificata si considera raggiunta con 260 voti che esprimano il voto favorevole della maggioranza degli Stati, quando la delibera è adottata sulla base di una proposta della Commissione; in caso contrario, la quota di Stati da cui provengono i 260 voti favorevoli deve corrispondere ai 2/3 del totale. Se tale combinazione della maggioranza dei voti ponderati col requisito di una maggioranza di Stati garantisce i piccoli Stati, a favore dei più grandi va l’ulteriore criterio secondo il quale un membro del Consiglio EU o del Consiglio può chiedere che, quando il Consiglio EU o il Consiglio adotta un atto a maggioranza qualificata, si verifichi che gli Stati che compongono tale maggioranza qualificata rappresentino almeno il 62% della popolazione totale dell’UE. Qualora tale condizione non sia soddisfatta, l’atto non è adottato. È stato però calcolato che tale soglia demografica, che non è di applicazione automatica ma condizionata al raggiungimento della maggioranza qualificata solo se espressamente invocata, risulta matematicamente utile solo per la Germania, perché è ad essa che la previsione di quella soglia apre la possibilità di creare, in associazione con altri, minoranze di blocco. Tra i vari criteri di definizione della nozione di popolazione totale dell’UE prevista da tale disposizione, in sede di sua applicazione è stato scelto quello della popolazione residente nel territorio di ciascuno Stato, che pare avvantaggiare ulteriormente la Germania. Il meccanismo di doppia maggioranza prevede che la maggioranza qualificata è raggiunta quando una delibera del Consiglio EU o del Consiglio ottiene il voto favorevole di almeno il 55% degli Stati, che comprendano almeno 15 di loro e rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’UE, fermo restando che la minoranza di blocco deve comprendere almeno 4 membri del Consiglio EU o del Consiglio, altrimenti la maggioranza qualificata si considera raggiunta anche se quelle soglie non sono rispettate. Quando una delle due istituzioni sia chiamata a deliberare non sulla base di una proposta della commissione, è richiesto il voto favorevole di un numero più elevato di Stati membri, la cui soglia minima passa dal 55% al 72%. A differenza dell'altro sistema, l'aggravamento si ha anche quando la delibera non è proposta, nel quadro della PESC, dall'Alto Rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza. La percentuale più alta di Stati membri finisce per essere quella di regola applicabile nel caso di votazione a maggioranza qualificata del Consiglio EU, dato che questo non delibera mai sulla base di una proposta della commissione; e, quando lo fa su proposta dell'Alto Rappresentante, esso vota sempre all'unanimità. Indipendentemente dalle successive modifiche che ha subito il meccanismo di voto a maggioranza qualificata, sull'effettivo ricorso adesso da parte del Consiglio ha fortemente pesato il Compromesso di Lussemburgo, con il quale i governi degli Stati membri previdero la possibilità di un rinvio dell'adozione a maggioranza di una delibera del Consiglio nel caso in cui uno Stato membro invocasse il pregiudizio di propri interessi molto importanti. Interpretato come un diritto di veto, il Compromesso di Lussemburgo ha per lungo tempo impedito che si procedesse a maggioranza qualificata anche nei casi in cui essa era prevista dai Trattati. È comunque prassi costante che in seno al Consiglio, evitando di mettere in minoranza Stati membri, si cerchi il consenso più largo intorno ad ogni decisione, anche quando i Trattati ne prevedono l'adozione a maggioranza qualificata. Meccanismi diretti a tener conto di difficoltà che possono incontrare singoli Stati membri di fronte a decisioni a maggioranza del Consiglio sono previsti anche formalmente nei Trattati o in atti delle istituzioni. Alcuni di questi operano, seppure limitatamente a specifici settori, in modo analogo al Compromesso di Lussemburgo. Nel settore della sicurezza sociale uno Stato membro che lamenti la possibile lesione di propri interessi fondamentali può appellarsi al Consiglio europeo contro la proposta di atto legislativo dell'Unione, azionando quello che è stato definito freno di emergenza. Di fronte alla crescente difficoltà di coagulare minoranze di blocco a seguito di successivi allargamenti, un meccanismo di carattere generale fu formalizzato in una decisione del Consiglio adottata in occasione dell'adesione all'Unione di Austria, Finlandia e Svezia, e nota come Compromesso di Ioannina. Questa decisione, che ha cessato di applicarsi con il successivo allargamento del 2004, prevedeva che quando un gruppo di membri del Consiglio avesse espresso numero di voti contrari a una decisione, ma non suscettibile di costituire una minoranza di blocco, il Consiglio avrebbe fatto tutto il possibile per raggiungere, entro un tempo ragionevole senza pregiudicare i limiti di tempo obbligatorie stabiliti dai Trattati e dal diritto derivato, una soluzione soddisfacente che potesse essere adottata con un consenso più ampio. La conferenza intergovernativa che ha approvato il Trattato di Lisbona ha fatto rinascere il Compromesso di Ioannina, prevedendo in una dichiarazione allegata al suo Atto finale l'adozione di una decisione del Consiglio che reintroduce solo per quest'ultimo un meccanismo analogo a quello di Ioannina. La decisione prevede i casi in cui in presenza di una quasi minoranza di blocco il Consiglio è tenuto a proseguire le discussioni alla ricerca, entro un tempo ragionevole, di una soluzione soddisfacente che tenga conto delle preoccupazioni espresse dagli Stati membri che si oppongono ad una sua delibera. Scaduto questo tempo ragionevole, il Consiglio potrà passare al voto. nessuno Stato membro meno popoloso rappresenti più seggi di uno Stato più popoloso. Nel quadro dei nuovi Trattati la ripartizione dei seggi non è prefissata in un articolo degli stessi, ma viene lasciata ad una decisione del Consiglio europeo, da prendere all'unanimità, nel rispetto del principio di proporzionalità regressiva, su iniziativa e approvazione del Parlamento europeo. In fase di prima applicazione, il parlamento aveva formulato la sua proposta, che prospettava per alcuni Stati membri una diminuzione e per altri un aumento del numero dei seggi rispetto a quelli previsti. Non essendo stato però possibile adottare tale proposta in tempo per le elezioni europee del 2009, a causa della ritardata entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il Consiglio europeo decise un'integrazione provvisoria, per la parte restante della legislatura in corso, dei seggi di quegli Stati membri per il quale era previsto un aumento in base alla proposta del Parlamento europeo. La prima decisione di applicazione di tale articolo è stata perciò adottata in vista delle elezioni europee del 2014. La corrispondenza più o meno diretta tra seggi al Parlamento e popolazione di uno Stato membro non deve far credere che la rappresentatività dei parlamentari europei si fondi sul principio di nazionalità. Per espressa disposizione del Trattato, nulla esclude che su di un seggio spettante uno Stato membro possa essere eletto un cittadino di un altro Stato membro, o che all'elezione della quota di parlamentari di uno Stato partecipino cittadini degli altri Stati. Il TFUE riconosce infatti ai cittadini degli Stati membri, in quanto cittadini dell'Unione, il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni europee anche in Stati diversi dal proprio. Si aggiunga poi, che la Corte di giustizia ha ammesso che l'elettorato al Parlamento europeo possa essere legittimamente attribuito da uno Stato membro anche a soggetti privi della cittadinanza dell'Unione. Le elezioni europee si svolgono sulla base delle regole previste dall'Atto relativo all'elezione dei rappresentanti nel Parlamento europeo a suffragio universale diretto, regole che, ai sensi del TCE, spettava al Consiglio approvare all'unanimità su proposta e previo parere conforme del Parlamento europeo. Secondo quanto originariamente previsto dal TCE, l'Atto avrebbe dovuto stabilire una procedura elettorale uniforme. L'impossibilità di arrivare a un accordo al riguardo ha permesso solo che, dopo un emendamento introdotto dal Trattato di Amsterdam, una successiva modifica dell'Atto indicasse alcuni principi elettorali comuni a tutti gli Stati membri, consistenti in alternative lasciate alla scelta degli stessi Stati: questi possono optare per un sistema a scrutinio di lista o con l'uninominale preferenziale con riporto di voti di tipo preferenziale; possono consentire o meno il voto di preferenza secondo le modalità da essi stabilite; possono costituire circoscrizioni elettorali o prevedere altre suddivisioni elettorali, pur senza pregiudicare il carattere proporzionale del voto; infine possono prevedere o meno una soglia minima, non superiore al 5% dei voti espressi, per l'attribuzione dei seggi. Al di fuori di queste limitate indicazioni, la procedura elettorale rimane disciplinata in ciascuno Stato membro dalle disposizioni nazionali. Il regime delle incompatibilità dei parlamentari europei, tra le quali quelle con il mandato di parlamentare nazionale e con la partecipazione ad un governo nazionale o ad un'altra istituzione dell'Unione, trova disciplina direttamente a livello europeo per mezzo dell'Atto del 1976, cui possono però aggiungersi incompatibilità di origine nazionale disposte dalle singole legislazioni degli Stati membri. PAR 3. I membri del Parlamento europeo sono eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto, per un mandato di cinque anni. PAR 4. Il Parlamento europeo elegge tra i suoi membri il presidente e l'ufficio di presidenza. Il Parlamento EU è eletto per 5 anni e all'inizio di ogni legislatura esso provvede a nominare tra i suoi membri il Presidente e un certo numero di Vicepresidenti, i quali rimangono in carica per 2 anni e mezzo per consentire un avvicendamento in tali cariche dei diversi gruppi politici. I membri del Parlamento, il cui statuto è fissato con regolamenti adottati dallo stesso Parlamento ai sensi del TFUE, si accorpano per gruppi politici, per la cui costituzione sono richiesti, oltre che un numero minimo di componenti, la provenienza degli stessi da più di uno Stato membro e l'esistenza tra loro di affinità politiche. I membri del Parlamento beneficiano di immunità ai sensi del Protocollo sui privilegi e sulle immunità dell'Unione Europea. In forza di questo, essi non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni o dei voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni. Inoltre, per la durata delle sessioni del Parlamento europeo, i membri beneficiano sul loro territorio nazionale delle immunità riconosciute ai membri del parlamento dello Stato di appartenenza, e sul territorio di ogni altro Stato membro dell'esenzione da ogni provvedimento di detenzione o da ogni procedimento giudiziario. L'immunità li ricopre anche quando si recano al luogo di riunione del Parlamento o ne ritornano. Essa può essere revocata in taluni casi dal Parlamento. L'attività dei parlamentari si divide tra le Commissioni parlamentari e la sessione plenaria, cui unicamente spetta il potere deliberativo. L'esercizio di questo avviene a maggioranza dei suffragi espressi, a meno che non sia diversamente stabilito dai Trattati. Regole differenti sono ad es. previste per l'approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti della Commissione. I lavori parlamentari si ripartiscono tra Strasburgo, dove si tengono nell'arco dell'anno le 12 sedute plenarie ordinarie, e Bruxelles, dove si svolgono le riunioni delle Commissioni e dei gruppi politici e alcune brevi sedute plenarie supplementari. A incremento della complessità del funzionamento del Parlamento europeo e dei relativi costi di esercizio, il Segretariato è installato per la gran parte a Lussemburgo. COMMISSIONE (ART 17 TUE) PAR 1. La Commissione promuove l'interesse generale dell'Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Vigila sull'applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei trattati. Vigila sull'applicazione del diritto dell'Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell'Unione europea. Dà esecuzione al bilancio e gestisce i programmi. Esercita funzioni di coordinamento, di esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite dai trattati. Assicura la rappresentanza esterna dell'Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dai trattati. Avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell'Unione per giungere ad accordi interistituzionali. PAR 2. Un atto legislativo dell'Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i trattati non dispongano diversamente. Gli altri atti sono adottati su proposta della Commissione se i trattati lo prevedono. FUNZIONI: Alla commissione spetta un ruolo determinante nell'attività normativa dell'Unione, il quale si esprime, da un lato nella partecipazione alla formazione degli atti del Consiglio e del Parlamento europeo, dall'altro nell'adozione di atti normativi propri. Quanto alla partecipazione alle decisioni altrui, questa è conseguenza diretta del potere di iniziativa legislativa che i Trattati riconoscono in via esclusiva alla Commissione. Non solo tale potere è condizionante dell'avvio del procedimento di adozione di un atto, ma lo è anche nel successivo svolgimento di quel procedimento, dato che in base al TFUE il Consiglio non può discostarsi dalla proposta della Commissione se non votando all'unanimità, anche laddove sia prevista la maggioranza qualificata per l'adozione di quel determinato atto. E in base alla medesima disposizione, la stessa Commissione può modificare in ogni momento la propria proposta iniziale. Con il risultato che, a partire dal proprio potere di iniziativa, essa svolge in realtà un ruolo attivo nello stesso negoziato in seno al Consiglio, dato che, mantenendo ferma o modificando la proposta in funzione degli schieramenti che si profilano tra gli Stati membri, essa contribuisce al coagularsi di una maggioranza qualificata. Non a caso un rappresentante della Commissione partecipa alle riunioni del Consiglio nelle sue varie articolazioni, agendovi alla stregua di una vera delegazione. Altrettanto importante è poi il potere normativo diretto della Commissione. Infatti, anche se i Trattati glielo attribuiscono in casi molto limitati, in realtà la Commissione finisce per disporne in maniera molto più ampia in ragione del ricorso frequente che gli atti adottati dal Consiglio e dal Parlamento fanno alla delega alla stessa Commissione dell'emanazione di successive misure generali di integrazione o applicazione di misure generali di gestione. In secondo luogo, i Trattati attribuiscono alla Commissione un generale potere di esecuzione del diritto, che essa è chiamata a esercitare sia sul piano dell'applicazione amministrativa degli atti dell'Unione, sia su quello della vigilanza rispetto alla corretta osservanza delle norme dell'Unione da parte dei destinatari delle stesse. Per quanto riguarda questo secondo compito, esso si concretizza da un lato nel potere di portare dinanzi alla Corte di giustizia uno Stato membro inadempiente degli obblighi che gli sono posti da quelle norme, dall'altro il potere di sanzionare direttamente, in alcuni casi, i comportamenti contrari al diritto dell'Unione di soggetti privati, così come degli stessi Stati. In terzo luogo, è alla Commissione che spetta la rappresentanza dell'Unione sulla scena internazionale nei settori diversi dalla PESC, sia sotto il profilo della negoziazione degli accordi con Stati terzi, che della gestione successiva degli stessi in particolare per quanto riguarda la presenza dell'Unione negli organismi da essi creati. La somma di tali competenze finisce per dare alla Commissione una responsabilità determinante nell'orientare l'azione legislativa dell'Unione. Sia attraverso l'esercizio di un potere di iniziativa, oltre che condizionante quasi esclusivo, o attraverso le scelte concretamente assunte in materia di vigilanza sulle violazioni del diritto dell'Unione, la Commissione svolge un ruolo di impulso e di indirizzo dell'attività normativa di questa. Essa è inoltre un organo politico che, cumulando in sé compiti di iniziativa normativa, di gestione di politiche, di vigilanza sul rispetto delle norme, e di programmazione delle attività, si pone come motore del processo di integrazione europea, il cui interesse generale è chiamata a rappresentare e garantire. Questa peculiarità ne fa uno degli elementi identificativi della sopranazionalità di quel processo. PAR 3. Il mandato della Commissione è di cinque anni. I membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza. La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza. Fatto salvo l'articolo 18, paragrafo 2, i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo. Essi si astengono da ogni atto incompatibile con le loro funzioni o con l'esecuzione dei loro compiti. PAR 4. La Commissione nominata tra la data di entrata in vigore del trattato di Lisbona e il 31 ottobre 2014 è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro, compreso il presidente e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è uno dei vicepresidenti. PAR 5. A decorrere dal 1o novembre 2014, la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il presidente e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, non decida di modificare tale numero. I membri della Commissione sono scelti tra i cittadini degli Stati membri in base ad un sistema di rotazione assolutamente paritaria tra gli Stati membri che consenta di riflettere la molteplicità Commissione continui anche dopo il 2014 a comprendere un cittadino di ciascuno Stato membro. A tale fine lo stesso Consiglio europeo ha rinviato una successiva decisione da prendere secondo le necessarie procedure giuridiche. Quanto alla durata del mandato dei commissari, essa appare fissata in funzione di quella della legislatura del Parlamento europeo. L'obiettivo è quello di stabilire un collegamento temporale tra la vita delle due istituzioni; obiettivo che si spiega per il fatto che la sostituzione per qualsiasi motivo di uno o più dei suoi membri possa avvenire solo per la parte restante del mandato del o dei commissari sostituiti. PAR 8. La Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al Parlamento europeo. Il Parlamento europeo può votare una mozione di censura della Commissione secondo le modalità di cui all'articolo 234 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Se tale mozione è adottata, i membri della Commissione si dimettono collettivamente dalle loro funzioni e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione. PAR 6. Il presidente della Commissione: a) definisce gli orientamenti nel cui quadro la Commissione esercita i suoi compiti; b) decide l'organizzazione interna della Commissione per assicurare la coerenza, l'efficacia e la collegialità della sua azione c) nomina i vicepresidenti, fatta eccezione per l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, tra i membri della Commissione. Un membro della Commissione rassegna le dimissioni se il presidente glielo chiede. L'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza rassegna le dimissioni conformemente alla procedura di cui all'articolo 18, paragrafo 1, se il presidente glielo chiede. CESSAZIONE ANTICIPATA DEL MANDATO: La cessazione anticipata dal mandato di uno o più membri della Commissione può aversi o a seguito dell'approvazione di una mozione di censura da parte del Parlamento europeo, o per dimissioni volontarie o d'ufficio. Nel primo caso è stabilito che sia l'intera Commissione ad abbandonare collettivamente il suo mandato, non essendo prevista dal Trattato la censura nei confronti di singoli commissari. Nel caso di dimissioni volontarie, la procedura è modellata sull'ipotesi di dimissioni singole, lasciando così qualche dubbio sul modo di trattare l'eventualità di dimissioni volontarie collettive dell'intera Commissione. In ogni caso i membri della Commissione rimangono in carica fino alla loro sostituzione secondo la procedura ordinariamente prevista. Unica ipotesi di cessazione immediata dalle funzioni è quella delle dimissioni d'ufficio. Queste possono essere decise della Corte di giustizia, su istanza del Consiglio o della stessa Commissione, quando un membro di questa non risponda più alle condizioni necessarie all'esercizio delle sue funzioni o abbia commesso una colpa grave, in quanto si sia reso colpevole di una violazione degli obblighi professionali che il Trattato gli impone a tutela dell'indipendenza dell'istituzione. Il requisito dell'indipendenza richiesto ai membri della Commissione non entra in gioco solo ai fini della selezione delle loro candidature, ma si riverbera anche sui loro comportamenti successivi alla nomina. Ai sensi del TUE l'indipendenza dei membri della Commissione si concretizza innanzitutto in un obbligo degli stessi ad astenersi non solo dal sollecitare o accettare istruzioni dei governi nazionali, ma anche dall'agire autonomamente in modo incompatibile con le loro funzioni o con l'esecuzione dei loro compiti, servendo nella loro azione interessi nazionali e non generali. A tale obbligo corrisponde l'obbligo degli Stati membri di non cercare di influenzarli nell'adempimento dei loro compiti. Ulteriore espressione dell'obbligo di indipendenza è data dall'indipendenza anche nei confronti di interessi privati e professionali. I membri della commissione non possono cioè esercitare, durante il mandato, alcuna attività professionale, anche non remunerata, e sono tenuti a un vincolo di integrità e lealtà, astenendosi da commistioni tra l'interesse generale di cui sono portatori e qualsiasi interesse privato o particolare, sia durante che dopo la cessazione della carica. Sotto quest'ultimo profilo, essi devono evitare di accettare, una volta terminato il mandato, funzioni e vantaggi che possano configgere con le responsabilità assolte in qualità di commissario. PRESIDENZA: Per quanto riguarda l'organizzazione interna della Commissione, che ha sede a Bruxelles, il Presidente della Commissione gode di una posizione autonoma e preminente rispetto agli altri membri del collegio. Spetta a lui decidere la distribuzione dei portafogli tra i membri della Commissione; così come è lui che definisce gli orientamenti nel cui quadro la Commissione esercita i suoi compiti, ne decide l'organizzazione interna per assicurare la coerenza, l'efficacia e la collegialità della sua azione, e ne nomina i vicepresidenti. Quanto gli altri membri, essi operano sulla base di una ripartizione di deleghe conferite loro dal Presidente, analoga a quella che si ha tra i portafogli di un esecutivo nazionale. A ciascun commissario fanno capo, in funzione della delega ricevuta, una o più direzioni generali a competenza settoriale. Ferma restando questa ripartizione tra i diversi membri delle competenze settoriali della Commissione, le decisioni ad essa imputabili devono essere approvate dal collegio dei commissari nella sua interezza, il quale delibera a maggioranza del numero dei suoi membri. Il funzionamento della Commissione è ispirato al principio di collegialità. Esso riposa sull'uguaglianza dei membri della Commissione nella partecipazione alla presa di decisione e implica che le decisioni siano prese in comune e che tutti membri del collegio siano collettivamente responsabili, sul piano politico, del complesso delle decisioni prese.
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