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Diritto delle comunicazioni, Appunti di Diritto

Appunti di diritto delle comunicazioni, esame superato con votazione 30 e lode. Appunti delle lezioni integrati con le slide del corso

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 27/02/2021

Chiara-Cataldo4
Chiara-Cataldo4 🇮🇹

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Scarica Diritto delle comunicazioni e più Appunti in PDF di Diritto solo su Docsity! 01/10/2020 DIRITTO DELLE COMUNICAZIONI LA LIBERTÁ DI PENSIERO E DI INFORMAZIONE L’art. 21 Cost. fra le libertà fondamentali, caratterizza i rapporti fra Stato e cittadini (quindi la forma di Stato). L. Paladin afferma che «lo stesso sistema di stampo occidentale (o liberale) non potrebbe vigere in Italia (o negli stati a democrazia occidentale), se non sussistessero le situazioni garantite dall’art. 21 della Costituzione repubblicana». Nella nostra Costituzione il principio della libertà di pensiero è fra i più analiticamente disciplinati e regolamentati anche da altre fonti. Alla libertà di pensiero dedicano grande attenzione anche le altre Costituzioni contemporanee di altre parti del mondo e anche altre fonti di diritto, internazionali e sovranazionali. L’art. 21 è formulato in modo particolarmente semplice. Il costituente ha scelto la semplicità della formulazione in base alla sua esperienza e a quella che immaginava fosse stata la connotazione del mondo di lì a venire, ragionando sulle lacune marginali e con una prospettiva passata o futura (secondo dopoguerra) privilegiando l’attenzione alla stampa rispetto agli altri mezzi. Oggi l’art. 21 Cost. va compreso alla luce di altre fonti di diritto:  Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, Assemblea generale dell’ONU, 10 dicembre 1948, art. 19  Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali , approvata nel 1950 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa, ratificata dall’Italia nel 1955, art. 10  Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, dotata dello stesso valore giuridico dei Trattati sovranazionali a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 2009, art. 11, con una formulazione fatta in tempi recenti per prendere in considerazione mezzi non limitati alla stampa L’articolo 21 Cost.: il testo costituzionale (1) Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. (2) La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. (3) Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dall'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. (4) In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da due ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattr’ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattr’ore successive, il sequestro si intende revocato e di ogni effetto. (5) La legge può stabilire, con norme di carattere generale virgola che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. (6) Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere le violazioni. La manifestazione del pensiero:  Definizione ampia dell’art. 21, la titolarità del diritto e il suo oggetto  Limiti «logici» legati a beni di rango costituzionale  Libertà anche «negativa»  Libertà di «informare»  Libertà di «essere informati»  La titolarità del diritto sotto il profilo soggettivo  La titolarità del diritto sotto il profilo oggettivo  Il caso particolare della pubblicità cd. commerciale (collegata all’iniziativa economica privata)  Le differenze rispetto alla libertà di comunicazione (art. 15 Cost.)  Il collegamento con altre libertà costituzionali (ad es. di insegnamento, religiosa, dell’arte e della scienza, ecc.), il nesso con valori e libertà sui quali è fondato l’ordinamento democratico repubblicano La Corte cost. nella sent. n. 84/1969 ha definito la libertà di pensiero e di informazione come «la pietra angolare dell’ordinamento democratico». L’ordinamento democratico regge soltanto grazie alla libertà di pensiero e di informazione, in assenza di questa il nostro ordinamento non potrebbe essere l’ordinamento democratico. La titolarità del diritto sul piano soggettivo L’art. 21 comma 1 afferma che tutti i soggetti possono esercitare questo diritto, in quanto diritto dell’uomo: cittadini, stranieri, minori di età, singoli, formazioni sociali (v. Corte cost., sent. n. 126/1985 sulla forma collettiva di manifestazione del pensiero). A tutti coloro a cui spetta questo diritto esso è garantito nello stesso identico modo (a tutti spetta la stessa identica garanzia). In passato si è discusso sulla differente estensione del diritto in ragione delle caratteristiche/qualità del soggetto titolare dello stesso (ad es. giornalisti).  Eccezione: insindacabilità per le opinioni espresse dai parlamentari e dai consiglieri regionali nell’esercizio delle loro funzioni Queste eccezioni esistono perché vi è una specifica base costituzionale (presenti in Costituzione) grazie all’esistenza degli artt. 68 e 122 Cost. che prevedono delle insindacabilità specifiche che tutelano i parlamentari e i consiglieri regionali. Non è una tutela per i singoli individui che ne fanno parte ma per tutelare l’istituzione di appartenenza in modo da permettere il migliore funzionamento possibile dell’istituzione nell’interesse di tutta la collettività (v. ad es. Corte cost., sentt. nn. 1150/1988 e 443/1993). La titolarità del diritto sul piano oggettivo a) Possibile una definizione esaustiva dell’oggetto della libertà?  In linea principale è possibile affermare che: oggetto della libertà del pensiero è «ogni possibile forma di espressione di idee, pensieri, opinioni, notizie che si vogliano comunicare agli altri in generale»  È poi possibile un’interpretazione ampia de «ogni forma di…», estendendola in modo tale da ricoprire anche il pensiero altrui (fatto proprio in modo lecito), relativo a fatti di attualità, notizie, conoscenze ecc., «informazioni» possono essere oggetto dell’interpretazione ampia di quella definizione dell’oggetto della libertà  Esclusi comportamenti/azioni dalla tutela fornita dall’art. 21; problematica complessa dell’incitamento ad un’azione  istigazione/apologia/propaganda sono una conseguenza particolare della libertà di manifestazione del pensiero che si può tradurre in un’espressione concreta dell’art. 21. La Corte cost. ha sempre bilanciato questo profilo del pensiero, che diventa anche comportamento, con altri beni di rango costituzionale (v. ad es. sent. n. 87/1966), tale sentenza fa riflettere sulla questione dell’esclusione dalle garanzie dell’art. 21 Cost. anche se poi riconducibili al pensiero che, a sua volta, è riconducibile alle garanzie dell’art. 21  Concetti elaborati o irrazionali? Il caso della pubblicità commerciale (la pubblicità presenta concetti che colpiscono la sfera irrazionale) è un fenomeno che presenta un nesso con l’art. 21 e 41 Cost. In base all’approccio a questo fenomeno viene deciso se ricondurre la pubblicità commerciale alle tutele dell’art. 21 o dell’art. 41 Cost. Oggi la società è democratica e pluralista (Corte cost., sent. n. 293/2000) e la nozione di “buon costume” applicabile oggi è legata a questa evoluzione della società e a cui tutti devono tenere conto.  Natura extra-giuridica del concetto-valvola  Evoluzione dei mezzi di comunicazione  Evoluzione della giurisprudenza costituzionale, dal Codice penale al rispetto della «persona umana»: il concetto di buon costume indica un «comune sentimento della morale», che nell’attuale società democratica e pluralista deve porsi come uno strumento per il rispetto della persona umana, valore che anima l’art. 2 Cost. (v. Corte cost., sent. n. 293/2000) L’art. 21 è un concetto-valvola, un contenitore che nel corso degli anni può cambiare contenuti, la giurisprudenza della Corte cost. ha sottolineato questo ricordando che questo contenitore va ricondotto al «comune sentimento della morale» e alla pluralità di concezioni che possono evolvere e presentarsi nel corso degli anni all’interno di quella che oggi è definibile come una società democratica e pluralista, con il rispetto dell’art. 2 Cost. Limiti ulteriori - Onore - Diritto alla riservatezza - Segreto di Stato, d’ufficio, investigativo - Segreto professionale, scientifico e industriale L’onore deve essere tutelato rispetto a: - Ingiuria e diffamazione, oltraggio e vilipendio - Esercizio dei diritti di cronaca, critica e satira - Verità della notizia - Interesse pubblico e sociale Il diritto alla riservatezza: un soggetto ha un forte interesse a proteggere la sfera della propria vita privata da indiscrezioni che possono provenire da professione giornalistica, nuove tecnologie LA LIBERTÁ DI PENSIERO, DI ESPRESSIONE E INFORMAZIONE NELLA CEDU E NELL’UNIONE EUROPEA Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 10 CEDU, Libertà di espressione (1) Diritto alla libertà di espressione, tale diritto include la libertà d’opinione, di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. libertà declinata in modo particolare in relazione alle imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive. (2) L’esercizio di queste libertà comporta doveri e responsabilità, quindi viene sottoposto a condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge o da misure necessarie in una società democratica (sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, difesa dell’ordine, ecc.). Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 11, Libertà di espressione e di informazione (1) Diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. (2) La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati. LIBERTÁ DI PENSIERO E FORMA DI IMPRESA Gli artt. 21 e 41 Cost. Manifestazione del pensiero: anche come attività economica esercitata in forma di impresa? La società contemporanea ha visto nascere e fiorire l’industria della comunicazione. In passato il mondo industriale era ancorato all’editoria tradizionale, oggi il mondo tradizionale dell’editoria si è trasformato in un mondo dell’editoria in rete e l’industria della comunicazione ha investito anche il fenomeno della pubblicità commerciale e comunicazione commerciale. ART. 41 COST. (1) L’iniziativa economica privata è libera. (2) Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. (3) La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (nell’interesse di tutta la comunità). Intreccio profili artt. 21 e 41 Cost. (fenomeni che sposano da un lato la libertà di pensiero e dall’altro quella della libertà di iniziativa economica privata):  Stampa  Radiotelevisione  Pubblicità commerciale  Comunicazione commerciale e pubblicità istituzionale  Internet Problemi? Questione di interesse in relazione all’attuale sistema radiotelevisivo Il sistema radiotelevisivo nasce come un monopolio che progressivamente diventa un sistema misto. Il Mondo dell’editoria tradizionale è ancorato a soggetti specifici:  Editore-imprenditore  Dipendenti Il «caso» dell’impresa giornalistica che coinvolge:  Editore, direttore, giornalisti IL «CASO» DELL’IMPRESA GIORNALISTICA La configurazione dell’attività giornalistica in forma di impresa fa sorgere la domanda: chi è titolare della manifestazione del pensiero? a) Limitata al solo imprenditore-editore? b) Estesa a tutti i soggetti che operano dentro l’impresa? Ad a): ne conseguirebbero forti limiti all’attività dei giornalisti, trasformando la loro libertà in una libertà di carattere funzionale Ad b) soluzione: determinazione dell’indirizzo editoriale ricondotta a tutta la comunità giornalistica, editore, direttore e giornalisti Alcuni esempi a sostegno della tesi precedente: a) La cd. «clausola di coscienza»: il contratto collettivo di lavoro dei giornalisti prevede la possibilità che il giornalista si dimetta nell’ipotesi di mutamento della linea editoriale del giornale per cui lavora b) Pareri dei comitati di redazione relativamente alla scelta del direttore del giornale c) Autonomia dei giornalisti (maggiore se l’editore è un soggetto pubblico/se l’attività si configura come pubblico servizio – v. RAI) Profilo problematico: l’autonoma responsabilità penale del direttore o del vicedirettore (v. art. 57 c.p.) a) Spetta al direttore un particolare esercizio sul contenuto del periodico da lui diretto in modo tale che il periodico non diventi lo strumento per commettere dei reati b) Responsabilità oggettiva? Pena del carcere? c) Eccezione: intervento del direttore solo in caso di possibili sanzioni penali da fronteggiare; regola: il direttore si confronta con modalità dialettica con i giornalisti per decidere cosa pubblicare e cosa non pubblicare (artt. 20 e 41 l. n. 633/41) Ulteriore profilo specifico: i rapporti fra impresa giornalistica e soggetti ad essa estranei a) Diritto di rettifica (che interessa l’attività editoriale e quella radiotelevisiva) b) Questione dell’«accesso»: al momento disciplinato solo in relazione al servizio pubblico radiotelevisivo (inserire nel palinsesto televisivo trasmissioni che riguardano specifici gruppi sociali) IL «CASO» DELLA PUBBLICITÁ COMMERCIALE E/O DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA Caso affrontato dall’ordinamento nazionale e dagli operatori privati di settore che hanno dato vita ad un istituto di autodisciplina pubblicitaria che fa riferimento ad un codice della comunicazione pubblicitaria, dove si parla di temi dell’attività pubblicitaria come l’impresa, la titolarità della manifestazione del pensiero, l’”indirizzo editoriale” che fa capo o meno alla comunità della comunicazione pubblicitaria. LA LIBERTÁ DI COMUNICAZIONE L’articolo 15 Cost.: il testo costituzionale (1) La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. (2) La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Ordinamento prerepubblicano, Statuto albertino 1848: non prevede la libertà di comunicazione, in quanto l’ordinamento prerepubblicano basato sullo Statuto albertino prevedeva una disciplina di tutti i diritti riguardanti la corrispondenza non contenuta nello Statuto ma in una serie di disposizioni amministrative, civili e penali. Il limite nell’affrontare questa disciplina di segreto epistolare era che quel tipo di approccio normativo tutelava il segreto epistolare nei confronti di quelle violazioni compiute «solo» da privati, non dalla pubblica autorità, con un diverso rapporto tra organi di vertice dello Stato (a qualsiasi livello) e cittadini. Ordinamento repubblicano, Costituzione 1948 (e Corte cost., sentt. 1146/88 e 366/91): l’ordinamento stabilisce che all’interno della Costituzione italiana esistano alcuni principi supremi che non possono essere modificati nemmeno da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. A questo tipo di principi viene ricondotto anche il diritto di libertà (art. 15) perché attiene al nucleo essenziale dei valori della personalità e si configura come le «espressioni del minimo inviolabile della persona umana» (A. Pace). Dai lavori preparatori della Costituzione si prevede lo stretto collegamento che i costituenti avevano in mente tra libertà di comunicazione (art. 15 Cost.), libertà individuale/personale (art. 13 Cost.) e libertà di domicilio (art. 14 Cost.). Queste libertà sono «espressioni del minimo inviolabile della persona umana» e sono garantite sotto tre profili: dimensione fisica (art. 13), dimensione spaziale (art. 14) e dimensione spirituale (art. 15). L’oggetto della tutela costituzionale contemporanea (art. 15) è ampliato rispetto alla previsione vigente lo Statuto albertino. L’art. 15 introduce nel nostro ordinamento una garanzia rafforzata della libertà di comunicazione, con l’inviolabilità della libertà di comunicazione che limita anche il legislatore costituzionale quando fa leggi di revisione costituzionale o leggi costituzionali. b) Identica matrice: pluralità delle attuali modalità comunicative  fenomeno della cd. convergenza multimediale? L. cost. n. 3/2001, «Ordinamento della comunicazione» con un riparto di competenze tra Stato e Regioni che rende difficile la distinzione delle due libertà 06/10/2020 LE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE TELECOMUNICAZIONI (O TLC) E PRINCIPI COSTITUZIONALI  TLC: rilevanza in ambito economico e tecnico  Gardini afferma che c’è un ulteriore valore che possiamo ricondurre alle telecomunicazioni: rispetto al valore patrimoniale o tecnico ha un valore che riguarda la dimensione della libertà. Le telecomunicazioni sono lo strumento che permette, ancora meglio, alle persone di comunicare tra di loro, di realizzare quelle attività di comunicazione in modo più libero, senza interferenza da parte di terzi e delle autorità, rispetto alle quali l’idea di “servizio di interesse economico generale” risulta successiva e congruente: prima c’è la libertà, poi c’è il servizio di interesse economico generale TCL E PRINCIPI COSTITUZIONALI C’è un’evoluzione che passa attraverso la base giuridica (artt. 15 e 21 Cost.) Art. 15 Cost.: libertà e segretezza della corrispondenza non sono limitati alla sola corrispondenza epistolare, ma ad ogni altra forma di comunicazione, cioè quando nascono nuovi strumenti, come le telecomunicazioni che servono per comunicare, laddove quello strumento è riconducibile alla libertà di comunicazione di cui all’art. 15, anche questa nuova forma di comunicazione è coperta dalla tutela dell’art. 15. Nel 1946-47 (e poi nel 1948) il costituente pone un fondamento costituzionale che serve a noi oggi per fronteggiare un fenomeno così innovativo. Nesso che unisce art. 15 con art. 21 Cost.: le attuali forme del pensiero sono collegate alle forme di comunicazione che veicolano il pensiero, quindi anche le telecomunicazioni vengono accolte Fra attività «pubblica» e trasmissione del pensiero «personalizzata»: l’art. 15 disciplina la trasmissione del pensiero umano personalizzata (rivolta a destinatari specifici), invece nell’art. 21 tutela un’attività che è pubblica (es. attività giornalistica) Distinzione terminologica tra manifestazione del pensiero (e informazione) e comunicazione a) Tale distinzione prescinde dalla modalità espressiva (ad es. parola, scritto, altro) b) Gli artt. 15 e 21 Cost. sono condizionati dal mezzo di trasmissione utilizzato  se invio una lettera chiusa a qualcuno nessun altro potrà leggera, dubbi sorgono nel caso di invio di lettera mediante posta elettronica in cui altre persone possono leggere il messaggio  le due libertà è vero che prescindono dalla modalità espressiva ma non si può trascurare che il mezzo di trasmissione utilizzato incida sulla libertà stessa Forme pubbliche di trasmissione del pensiero (protetti e riconducibili all’art. 21 Cost.) a) Radiodiffusione b) Stampa c) Pubblicazione sulla rete web Forme personalizzate e riservate di comunicazione (art. 15 Cost.) a) Telefonia fissa e mobile b) Corrispondenza (es. lettera, cartolina) c) Telegrafo, fax e telefax d) Posta elettronica e) Partecipazione a gruppi di informazione in luoghi virtuali non aperti sulla rete web (es. blog) LE TLC NELLA NORMATIVA INTERNAZIONALE (FRA STATI APPARTENENTI ALLA COMUNITÁ INTERNAZIONALE)  Convenzione internazionale sulle telecomunicazioni, Madrid 1932: avviene durante il fascismo in Italia in cui non c’era ancora la Costituzione ma lo Statuto Albertino  Convenzione internazionale delle telecomunicazioni, Atlantic City 1947: si scriveva la Costituzione italiana  Convenzione internazionale sulle telecomunicazioni, Buenos Aires 1952: la Costituzione italiana era in vigore solo dal 1° gennaio 1948 Queste convenzioni comportano principi, disposizioni, norme applicabili al mondo attuale delle telecomunicazioni e delle attuali Costituzioni? LE CONVENZIONI INTERNAZIONALI E LA DEFINIZIONE DEL FENOMENO DELLE TELECOMUNICAZIONI  definizione comune a tutte e tre le convezioni: le TLC sono l’insieme delle forme di «emissione, trasmissione o ricezione di segni, di segnali, di scritti, di immagini, di suoni o di informazioni di qualsiasi natura, per filo, radioelettrica, ottica o a mezzo di altri sistemi elettromagnetici». La definizione adottata dalle Convenzioni internazionali sulle telecomunicazioni: ancora utile? Risposta positiva: permette di comprendere le principali caratteristiche tecniche del sistema delle telecomunicazioni e l’evoluzione che, da quando è stata scritta la definizione, conduce verso le cd. «comunicazioni elettroniche (contemporanee)». Se la norma giuridica pone le fondamenta del fenomeno che lo inquadra anche in un’ottica di sua evoluzione, allora non ha bisogno di essere cambiata nel corso del tempo e può essere un punto di riferimento anche per le evoluzioni successive nel corso del tempo. La definizione adottata dalle Convenzioni internazionali sulle telecomunicazioni: utile per distinguere i mezzi mediante i quali si realizza la comunicazione (a livello elettronico), ossia i mezzi sono distinguibili come: ➢ trasmissivi a filo (il conduttore è costituito da un conduttore fisico, un cavo ad es.) ➢ trasmissivi senza filo (il supporto è costituito dall’etere, nel quale i segnali si propagandano a mezzo di onde radioelettroniche) La definizione adottata dalle Convenzioni internazionali sulle telecomunicazioni Le Convezioni internazionali forniscono un quadro di insieme che riguarda i TRE MOMENTI COSTITUTIVI della comunicazione a distanza, ossia ➢ l’emissione (attraverso onde hertziane) ➢ la trasmissione (della radioonda via etere oppure facendo uso di conduttori artificiali) ➢ la ricezione (possesso di un apparato adatto) Questi tre momenti costitutivi sono riconducibili alle convezioni internazionali e riescono a coprire i lineamenti fondamentali di: ➢ telefonia ➢ telegrafia ➢ radiocomunicazioni (ossia radiotelevisione e radiofonia) La definizione adottata dalle Convenzioni internazionali copre anche tutte le possibili FORME DEI MESSAGGI TRASMESSI ossia segnali, scritti, ecc. Alcune precisazioni tecniche: ➢ proprietà dei campi elettrici: capacità di «generare onde che si diffondono nell’etere senza necessità di conduttori artificiali», se si possono sfruttare tali proprietà i mezzi non via cavo prevalgono su quelli via cavo ➢ le onde radioelettriche (hertziane) si «diffondono nello spazio alla velocità della luce e in tutte le direzioni (distanze limitate dalla potenza dell’apparato emittente e con frequenze determinate dal numero di onde irradiabili in un dato intervallo temporale)», esse superano, in termini di velocità e di capacità di raggiungere anche luoghi lontani dall’apparato emittente, il mezzo trasmissivo via filo (cavo) [Collegamento con: radiotelevisione italiana di monopolio televisivo e poi di sistema misto] I MEZZI mediante i quali si realizza la comunicazione Telefonia e telegrafia ➢ identico supporto utilizzato: conduttore fisico ➢ differenti segnali trasmessi: parole e suoni; segnali convenzionali Alcune precisazioni tecniche: radiotelefonia e radiotelegrafia, ossia le cosiddette radiodiffusioni, realizzano «comunicazioni telegrafiche e telefoniche senza il supporto di fili conduttori». Radiotelefonia e radiotelegrafia consistono nella «trasmissione di programmi radiofonici o televisivi destinati ad ampie zone di ricezione (stiamo usando un mezzo non a filo); si caratterizzano per la circolarità, ossia per la possibilità di ricezione del messaggio inviato da parte di una pluralità indeterminata di persone (soggetti fisici)». IL PROCESSO DI CONVERGENZA MULTIMEDIALE IL SISTEMA DELLE TLC Esistono innovazioni tecnologiche diverse che hanno caratterizzato il sistema, le principali innovazioni tecnologiche sono quelle che più influiscono sul sistema delle TLC al punto da essere motivo di riflessione da parte del legislatore nazionale o dell’UE per trovare un’ulteriore base giuridica capace di fronteggiare questi nuovi fenomeni. All’origine delle trasformazioni che hanno interessato le tecnologie contemporanee attuali dell’informazione e della telecomunicazione abbiamo delle novità riconducibili all’applicazione dell’informatica alle telecomunicazioni (cd. telematica), alle tecniche di trasmissione che incidono sui mezzi trasformandoli in nuovi mezzi di comunicazione e anche su nuovi metodi di comunicazione e al processo di convergenza: i mezzi esistenti interagiscono tra loro e chiedono basi giuridiche che affrontino il tema della multimedialità e interattività. Tutto ciò si ripercuote sul diritto delle comunicazioni elettroniche e sui mercati che accolgono quelle comunicazioni e che chiedono dei regolatori dei mercati particolari. LE PRINCIPALI INNOVAZIONI TECNOLOGICHE  Telematica (intesa come applicazione di procedure informatiche computerizzate ai mezzi esistenti di comunicazione) fornisce servizi di natura informatica attraverso le reti di telecomunicazione. A ciò diventa fondamentale l’uso di:  Il cavo a fibre ottiche e il satellite come nuovi mezzi trasmissivi: permettono maggiormente di sfruttare in modo più articolato le nuove piattaforme di comunicazione; il satellite funge da ripetitore e rende possibile il rimbalzo del segnale radioelettrico ad alta frequenza anche tra punti lontani del pianeta terrestre  Evoluzione dalla tecnica analogica alla tecnica numerico-digitale (es. evoluzione televisione da analogica a digitale terrestre) Quali implicazioni sul piano giuridico? Un tempo era semplice distinguere il diritto che specificava un mezzo dal diritto che specificava un altro mezzo (diverse regole giuridiche per televisione, radiotelevisione…), oggi con un unico strumento (computer, cellulare) si possono usare e sfruttare servizi diversi di telefonia mobile o radiotelevisione, in questo modo “spezzo” il collegamento tra diritto scritto e creato per uno specifico mezzo, perché si ha un unico mezzo che dà servizi differenti. Questa novità sul piano giuridico pone delle problematiche notevoli per il giurista, il quale devono confrontarsi con un processo di convergenza multimediale che non permette di usare di nuovo lo schema giuridico che avevamo fino al mondo precedente la convergenza multimediale. Multimedialità: uno stesso mezzo può veicolare linguaggi di comunicazione diversi Interattività: utente e richieste  l’utente passa da passivo ad attivo (es. fare richieste in relazione ai mezzi che sta usando) Processo di convergenza delle tecniche e delle infrastrutture di trasmissione che chiede una disciplina che tenga conto del fatto che lo stesso mezzo offre servizi differenti Il legislatore prova a “rincorrere” la tecnologia e fissare il diritto che potrebbe governarla: modo di pensare/ agire sbagliato. Il diritto, quando decide di disciplinare ogni singolo nuovo fenomeno tecnologico, risulta perdente in quanto è chiamato a porre regole per un singolo fenomeno e non per un medium che offre servizi differenti. Il legislatore nazionale e internazionale o dell’UE dovrebbe occuparsi non solo di porre singole regole relative ad uno specifico nuovo mezzo che può fare molte cose ma anche di porre i lineamenti fondamentali di una politica del processo di convergenza multimediale (oggi non è ancora stato fatto, quindi è possibile dire che il diritto “rincorre” la tecnologia). IL DIRITTO DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE DAL REGIME DI MONOPOLIO ALLA LIBERALIZZAZIONE DEL SETTORE Prima del processo della cd. convergenza tecnologica era “semplice” per i legislatori nazionali individuare la normativa che regolamentava un determinato mezzo di comunicazione. Non solo le telecomunicazioni, ma l’avvento di nuove tecnologie che hanno portato alla convergenza multimediale, hanno avuto sulle regole che governano questo settore. Finché c’era una corrispondenza tra mezzo usato per comunicare e servizio (es. televisione – programmi televisivi) allora il legislatore poteva fissare con facilità le relative norme e spesso accadeva che nascevano naturalmente dei monopoli a livello statale perché i costi delle nuove tecnologie e il mantenimento delle infrastrutture relative al servizio da erogare erano elevati e potevano essere sostenuti solo da una concessionaria dello Stato. Con l’evoluzione delle tecnologie questo modello si rompe e ci sarà un’evoluzione che passa dal regime di monopolio alla liberalizzazione del settore. CASO ITALIANO Fino agli anni ’80 esisteva la cd. «riserva statale» relativa al complesso delle attività infrastrutturali e gestionali delle telecomunicazioni. L’esistenza dei quattro profili (conoscenze e capacità tecnologiche, costo relativo a queste, costo per mantenere le infrastrutture nel corso del tempo, scarsità di mezzi di comunicazione) fa nascere in modo «naturale» dei monopoli. Fino agli anni ’80 le telecomunicazioni, in Italia, sono governate dalla riserva statale: lo Stato decide a quale impresa dare in concessione un determinato servizio (v. poi radiotelevisione) perché solo il monopolista è in grado di erogare un certo servizio sopportandone i costi, garantendo quel servizio sotto i profili tecnologici da curare, assicurando a tutta la società l’erogazione non momentanea ma costante nel tempo di quel servizio. IL DIRITTO DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE, L’ART. 43 COST. Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. Esempio: RAI individuata dallo Stato come società concessionaria (monopolio) in relazione alle trasmissioni radiotelevisive. Le trasmissioni radiotelevisive sono fondamentali in quanto fonte di informazione per tutta la cittadinanza, quindi ha carattere di preminente interesse generale. IL DIRITTO DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE, L’ART. 41 COST. (1) L'iniziativa economica privata è libera: impresa individuale tutelata direttamente dal Comma 1. (2) Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. (3) La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. L’art. 41 ci dice che possono nascere spontaneamente imprese private su un mercato relativo. L’art. 43 e 41 Cost. si confrontano in relazione a: può durare nel tempo un monopolio in un ordinamento giuridico costituzionale in cui l'iniziativa economica privata è libera? Il monopolio si sgretolerà? Risposta affermativa Ogni attività d’impresa che riguarda le telecomunicazioni deve essere in grado di porre in essere infrastrutture da installare, deve considerare la proprietà di quelle infrastrutture, con la gestione dell’infrastruttura e del servizio relativo, deve ragionare sui singoli servizi erogati grazie alle infrastrutture, deve farne conto con i contenuti che fornisce all’interno del servizio erogato grazie alle infrastrutture che ha installato di cui è proprietaria e che gestisce ed esercita  ruolo centrale dei proprietari e dei gestori delle infrastrutture e dei servizi da essere erogati. Differenza tra monopolio e liberalizzazione del settore: se installazione e proprietà, gestione ed esercizio, erogazione, decisione sui contenuti relativi alla fornitura sono affidati solo a una concessionaria di Stato allora siamo di fronte ad un monopolio, quando invece l’impresa individuale si fa valere dal punto di vista economico-finanziario sul possesso delle infrastrutture ed erogazione dei servizi aventi particolari contenuti allora viene meno il monopolio e si configura un mercato con più attori. EUROPA  In Europa, come in Italia, il regime di monopolio dura fino agli anni ‘80  Pronuncia della Corte di giustizia sovranazionale (dell’UE), caso British Telecommunications  Conseguenze della pronuncia: a) Estensione delle regole della concorrenza anche al settore delle TLC: il giudice dell’UE dice che l’organizzazione sovranazionale è fondata su un mercato avente la regola della buona concorrenza; il fatto che questa regola si applica anche al settore delle TLC significa attaccare il monopolio esistente all’interno del settore delle TLC b) Bisognerà disciplinare in modo diverso i diritti in via esclusiva sulla gestione della rete e dei relativi servizi che fino a quel momento erano affidati a soggetti pubblici (diritti che hanno i monopolisti degli Stati membri nell’ambito delle TLC)  Le conseguenze hanno un’evoluzione: danno vita ad una serie di direttive (dette «di prima generazione»: atti normativi che vincolano gli Stati membri non agli strumenti da utilizzare ma allo scopo da conseguire indicato in quella direttiva) mirate a: a) Abolire dalle legislazioni nazionali i diritti esclusivi a favore dello Stato o del monopolista di Stato b) Armonizzare gli ordinamenti settoriali degli Stati membri dell’allora CE Le direttive, dato che vincolano gli Stati membri al raggiungimento di un dato scopo ma non allo strumento richiesto per raggiungere quello scopo, armonizzano gli ordinamenti degli Stati membri. I regolamenti fissano le regole direttamente che ciascuno Stato membro deve osservare in un determinato settore, sono regole identiche per tutti gli Stati membri, quindi solo quando si adottano direttive si parla di armonizzazione perché con il regolamento abbiamo una normazione identica in tutti gli ordinamenti. Le direttive «di prima generazione» ragionano da un lato, su come eliminare i diritti esclusivi o speciali in capo ai monopolisti, dall’altro come valorizzare specifici servizi che possono essere erogati da soggetti diversi dal monopolista. IL SETTORE DELLE TLC: LA CONCORRENZA Applicare il principio della concorrenza significa far nascere tre mercati distinti: 1. Telefonia fissa 2. Telefonia mobile 3. Linee affittate Direttiva n. 88/301 del 1988: aboliti i diritti speciali ed esclusivi relativi all’importazione, commercializzazione e manutenzione delle apparecchiature terminali di telecomunicazione. Direttive nn. 90/387 e 90/388 del 1990: a) Introdotto il principio tra Gestione delle reti di telecomunicazioni ed erogazione dei contenuti (servizi) b) Stabilizza la distinzione fra servizi di base (riservati) e servizi a valore aggiunto (liberalizzati) c) Sancita la regola generale dell’accesso alle reti per la prestazione dei servizi liberalizzati d) Servizi a valore aggiunto (liberalizzati) o VAS = applicazione delle nuove tecnologie digitali e dei sistemi elettronici di elaborazione incide sul formato e sul contenuto delle informazioni veicolare, e ne accresce così il valore. I primi sono i servizi telematici (videotel e televideo), in seguito sistemi trasmissivi più evoluti (audiotext, videotext) Spec. Direttiva n. 90/387 del 1990: norme di Open Network Prevision per garantire trasparenza, non discriminazione, qualità e orientamento ai costi nella erogazione. DIRETTIVE NN. 90/387 E 90/388 DEL 1990: COME SI CARATTERIZZA LA SEPARAZIONE FRA SOGGETTO CHE GESTISCE LA RETE E SOGGETTO CHE EROGA IL SERVIZIO? Distinguendo il soggetto che eroga il servizio da quello che gestisce la rete è possibile creare progressivamente un mercato al posto di un monopolio.  Diverse connotazioni tra cui scegliere a) Separazione proprietaria: le società che erogano il servizio e le società che gestiscono la rete sono controllate, anche a livello di holding, da soggetti differenti b) Separazione gestionale o funzionale: separazione operativa, non proprietaria, tra servizi al dettaglio e servizi all’ingrosso dell’operatore dominante – se servizi all’ingrosso: gestiti da una divisione industriale chiamato ad assicurare l'uso condiviso e neutrale dell’infrastrutture essenziali c) Separazione societaria: uno stesso gruppo imprenditoriale gestisce la rete ed eroga il servizio; utilizza però differenti persone giuridiche controllate da una holding d) Separazione contabile: redazione di consuntivi economici diversi a seconda delle attività esercitate Ogni Stato membro sceglie soluzioni differenti che riguardano la politica, anche industriale, all’interno del settore delle TLC che può avere in mente di realizzare a partire dagli anni ’90. 07/10/2020 NEI TRE MERCATI RILEVANTI E POI IN ALTRI: A livello nazionale:  Leggi 1996-1997 (nn. 650/96, 189/97, 249/97, dPR n. 318/97) per il recepimento delle direttive comunitarie. Vengono introdotti nuovi profili nell’ordinamento giuridico: a) nuovo regime di libertà di accesso e concorrenza nelle reti e nei servizi di TLC (abolizione diritti speciali ed esclusivi: significa permettere un nuovo regime di libertà di accesso e di concorrenza nelle reti e nei servizi di telecomunicazioni b) accesso al mercato secondo principi di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità: l’idea è creare, nel mercato delle telecomunicazioni, non un operatore storico (concessionario) e accanto ad esso un altro operatore forte, ma dare la possibilità a tante imprese di entrare a far parte di questa realtà Questa evoluzione era già nell’aria alla fine degli anni ’90. La Commissione europea aveva adottato la Communications Review del 1999 che si confrontava sul tema della neutralità tecnologica e della convergenza, ossia con la necessità che l’evoluzione tecnologica non diventasse uno strumento nelle mani di qualche segmento del mercato favorendo quello specifico segmento (lo stesso valeva per la concorrenza), ragionando sulla liberalizzazione delle telecomunicazioni come un’evoluzione che passava dalla regolazione pubblicistica, di base autoritativa (modello Command and Control) al diritto privato della concorrenza tenendo conto che la tecnologia doveva essere a disposizione di tutti i suoi attori, senza sfavorire nessun attore. LE TLC: LA DIRETTIVA QUADRO E LE CINQUE DIRETTIVE Il progetto di riforma del settore viene affidato a cinque direttive, nella cornice della Direttiva n. 2002/21/ CE (dir. quadro) 1. Direttiva n. 2002/19/CE (dir. accesso): disciplina gli accordi in materia di accesso e interconnessioni conclusi tra i prestatori di servizi. Accesso = rendere disponibili risorse o servizi ad un’altra impresa a determinate condizioni, in via esclusiva o non esclusiva, con uno scopo specifico cioè fornire servizi di comunicazione elettroniche. Interconnessione = collegamento fisico e logico delle reti pubbliche di comunicazione usate dalla stessa impresa o da un’altra impresa per permettere agli utenti di comunicare con gli utenti della stessa o di un’altra impresa oppure accedere ai servizi di un’altra impresa 2. Direttiva n. 2002/20/CE (dir. autorizzazioni): realizzare un’effettiva deregolazione di titoli e procedure che consentono l’acceso al mercato delle comunicazioni elettroniche 3. Direttiva n. 2002/22/CE (dir. servizio universale): servizi che gli Stati membri devono indistintamente mettere a disposizione dei cittadini ad un determinato livello qualitativo, a prescindere dall’ubicazione geografica dei cittadini stessi, considerando le circostanze specifiche nazionali e ad un prezzo abbordabile (es. mettere a disposizione telefoni pubblici a pagamento, misure speciali per persone diversamente abili, garantire agli utenti che ne fanno richiesta un allacciamento alla rete telefonica pubblica, ecc.) 4. Direttiva n. 2002/58/CE (dir. trattamento dati personali): aggiornamento di una direttiva del 1997 del PE e del Consiglio su dati personali e regolamento vita privata nel settore delle TLC; in seguito, ci furono diversi sviluppi (oggi c’è il regolamento sulla protezione dei dati personali) 5. Direttiva n. 2002/77/CE (dir. concorrenza): gli Stati membri, per la fornitura di una rete o per la prestazione servizio di comunicazione elettronica, non possono o dare o mantenere in vigore diritti esclusivi o speciali ma devono adottare tutti i provvedimenti che garantiscano ad ogni impresa il diritto di prestare servizi di comunicazione elettroniche/installare, ampliare, fornire reti di comunicazione elettronica La direttiva ha la finalità di creare un quadro normativo che stimoli la concorrenza tra tutti i soggetti che operano nel settore, con riferimento sia alle infrastrutture che a servizi; si vogliono impedire forme di restrizione che limitano la negoziazione degli accordi relativi all’accesso o all’interconnessione. LE TLC: IL CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE In Italia il Parlamento adotta la legge delega n. 166/2002 in modo da incaricare il Governo ad adottare il d.lgs. n. 259/2003, il quale dovrà mettere ordine fra tutte le norme esistenti grazie alle cinque direttive. Il Codice delle Comunicazioni elettroniche è un testo unico che mette ordine rispetto ai contenuti delle cinque direttive. In dottrina si discute sul fatto che, se da un lato il codice riproduce le disposizioni contenute nelle direttive di seconda generazione del 2002, a volte la riproduzione di quella normativa rinuncia a adattamenti linguistici che una trasposizione normativa chiede in modo che il testo normativo sia bene applicabile all’interno dell’ordinamento giuridico di riferimento (un testo scritto male rende difficile comprendere le regole che questo ha al suo interno). Dubbio: d. lgs. comunque compatibili con l’ordinamento comunitario/sovranazionale? Se le regole nel Codice delle Comunicazioni elettroniche non sono scritte bene, la disciplina solleva qualche perplessità sulla compatibilità con l’ordinamento dell’UE anche perché tocca un settore significativo in termini di mercato, risorse economico-finanziarie e posti di lavoro. IL CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE Il principio ispiratore della normativa sovranazionale è dato dal diritto della concorrenza che comporta la riduzione della regolazione pubblicistica: se c’è regolazione pubblicistica non ci può essere mercato (libera concorrenza). Scelta d’avanguardia del legislatore italiano: con l.n. 249/1997 nasce un’autorità amministrativa indipendente (AGCom) che si occupa di telecomunicazioni e di radiotelevisione (approfondimento Invernizzi). Recepimento delle direttive cd. di seconda generazione Il Codice delle Comunicazioni elettroniche non riesce ad esprimere pienamente (anche a livello linguistico) il principio che doveva accompagnare quelle direttive, ma ha lasciato anche dei dubbi: - Esclude dal campo di applicazione del Codice l’attività radiotelevisiva - TUSMAR, d. lgs. N. 177/2005 (v. slides sul servizio radiotelevisivo) - Due discipline separate (TLC e radiotelevisione): e la convergenza?  rimane questo dubbio che si aggiunge ai precedenti - Ordinamento della comunicazione nato con l’art. 117 Titolo V Cost., competenza concorrente Stato/Regioni (solo lo Stato dovrebbe fissare i principi fondamentali relativi alla materia), che senso ha creare l’AGCom se poi le regioni hanno un ruolo particolare? - Configurazione strutturale e funzionale dell’AGCom, questo perché a livello di UE le autorità nazionali perdono parte dei loro poteri di regolazione in quanto si vuole lasciare libero gioco alle forze di mercato, questa perdita di potere va a livello nazionale nelle mani di un sistema a rete di autorità amministrative indipendenti che eserciteranno le loro competenze in materia. Questo vale per Commissione Europea (con funzione di antitrust) e autorità antitrust nazionali ma tocca anche l’AGCom, questo perché non è stato ritagliato un ruolo di maggiore peso a quello del Ministro delle Comunicazioni (in materia, ad es., di rilascio dei titoli individuali di accesso alle TLC, di gestione delle frequenze relative al digitale, di vigilanza e controllo dell’assolvimento degli obblighi derivanti da autorizzazioni e licenze; di sindacato discrezionale della conformità alle regole della concorrenza di quei negozi che realizzano la cessione dei diritti di uso sulle frequenze). Sorgono dubbi sul fatto di lasciare al Ministro delle comunicazioni (cioè al Governo) funzioni che avrebbero dovuto essere affidate a quel soggetto che avrebbe seguito meglio le indicazioni della Commissione europea e la logica di un funzionamento del mercato ancorata al principio di concorrenza sovranazionale Vengono emanati nuovi atti che danno vita a soggetti che devono intervenire anche all’interno dei livelli nazionali in modo da gettare le basi per creare un’unica autorità sovranazionale di settore (non esiste ancora). La CE nel 2002 istituisce il «Gruppo dei Regolatori europei» (2002/627/CE), nasce poi nel 2009 il regolamento 2009/1121/EC sul BEREC (soggetto chiamato a sostituire il Gruppo dei Regolatori europei). Inizialmente il Gruppo dei Regolatori europei aveva funzioni d’aiuto per individuare una serie di profili da affidare poi ad una disciplina giuridica, anche a livelli inferiori a quelli della legge ordinaria, facendo nascere negli Stati membri la migliore disciplina possibile all’interno del settore. Era composto dai rappresentanti delle 27 A.I. nazionali, ha funzioni consultive sulle politiche di regolazione e sviluppo delle comunicazioni elettroniche. LE TLC: LA REVISIONE DEL QUADRO NORMATIVO DEL 2002 Nel 2009 c’è un’ulteriore revisione del quadro normativo del 2002 e nasce un nuovo pacchetto di direttive o Telecoms Package, recepito dai dd. llgs. 28 maggio 2012, nn. 69 e 70. Questo pacchetto nuovo è articolato sulle norme affidate:  Direttiva 2009/140/EC, Better Regulation, emenda le direttive del 2002 quadro, accesso e interconnessione (introduce regole asimmetriche e accesso al mercato per avere maggiore concorrenza nel mercato delle telecomunicazioni)  Direttiva 2009/136/EC, Citizen’s Rights, modifica le direttive del 2002 servizio universale, privacy (anche protezione dei consumatori oltre tutela degli utenti e profili sulla tutela dei dati personali)  Regolamento 2009/1121/EC, crea l’Organismo dei Regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (BEREC) che sostituisce il gruppo di soggetti che fino al 2009 avevano funzioni consultive del settore che facevano immaginare essere un primo passo verso la creazione di un’autorità unica a livello sovranazionale del settore IL BEREC Composto da membri designati da ciascuna Autorità nazionale, non ha personalità giuridica, non è un’Agenzia sovranazionale. Vuole contribuire alla creazione di una disciplina di elevata qualità e connotata da indipendenza che riguardi il mercato delle telecomunicazioni e che sia a favore dell’Europa e dei suoi cittadini. Nella prima definizione non si fa riferimento agli imprenditori che sono attori diretti di quel mercato, ma si parla del beneficio che Europa e cittadini possono trarre dall’opera di consulenza di questi membri. Attribuzioni: volte ad assicurare un’applicazione coerente del quadro normativo europeo, permettendo al BEREC di fornire pareri non vincolanti sui provvedimenti della Commissione europea. Il parere può non essere vincolante (la CE lo ascolta ma poi assume la decisione che desidera, indipendentemente dal contenuto di quel parere), però la CE (ha diritto di iniziativa) deve tenere conto dei profili che vengono sottolineati da coloro che sono individuati dalle autorità nazionali di settore. GLI ANNI SUCCESSIVI, PRIMA E DOPO IL GDPR (REGOLAMENTO GENERALE SULLA PROTEZIONE DEI DATI) Tutto ciò andrà confrontato con gli anni a noi più recenti e con la tutela dei dati personali. Il problema della tutela dei dati personali si è posto in relazione al caso di Facebook, in cui è emerso che anche il cittadino europeo è sottoposto al trattamento dei dati personali da parte di imprese statunitensi. LA DISCIPLINA DI INTERNET Il tema di internet viene trattato all’interno del fenomeno della convergenza tecnologica che ha permesso, da un certo momento storico in poi, la diffusione di una pluralità di servizi attraverso lo stesso mezzo tecnico, superando l’impostazione tradizionale che poneva in stretta corrispondenza i mezzi e i servizi (es. guardare la televisione voleva dire accendere l’apparecchio televisivo) e mentre prima per il servizio erogato da quel mezzo era facile creare delle apposite regole, con questo superamento diventa difficile rispondere a queste novità con una normativa innovativa. I dati di ogni genere vengono veicolati attraverso delle particolari infrastrutture uniche perché grazie al sistema numerico-digitale (successivo al sistema analogico) è possibile l’emissione contemporanea di segnali di natura differente, a questo si aggiungono i nuovi mezzi di trasmissione dei segnali (cavo in fibra ottica e satellite a diffusione diretta) che consentono un ampio raggiungimento della popolazione; inoltre la fondamentale innovazione della rivoluzione tecnologica è la telematica (applicazione dell’informatica alle TLC). Legislatore, normativa e leggi esistenti hanno “rincorso” l’evoluzione tecnologica (prima arriva la novità a livello tecnologico e poi il diritto). Oggi bisogna, dal momento che il digitale sostituisce l’analogico e la telematica diventa l’innovazione fondamentale che apre la via ad una rivoluzione tecnologica inarrestabile e sempre più veloce, non si possono avere norme che di volta in volta “seguono” le nuove tecnologie ma è più importante avere un ampio indirizzo politico, a livello europeo, degli Stati membri e anche italiano, che sappia fungere da quadro per l’evoluzione, senza “rincorrere” l’evoluzione tecnologica fissando regole giuridiche per mezzi che cambiano nel tempo. LA TELEMATICA  Permette la creazione della World Wide Web, ossia la rete di comunicazione globale Un diritto di libertà non può impedire di esercitarne un altro ma bisogna trovare un bilanciamento (di solito fatto dalla Corte costituzionale). Il disegno di Rodotà non è stato tradotto all’interno di un vero e proprio nuovo art. 21 bis. Il dibattito è rimbalzato dal forum di Roma alla dottrina italiana fra tutti gli studiosi che si sono confrontati con la posizione di Rodotà (scrittura + inserimento in Cost. dell’art. 21 bis) cioè con il tema della costituzionalizzazione del diritto di accesso alla rete. La risposta data non è stata quella che avrebbe dato corso alla legge costituzionale, cioè al Progetto Rodotà perchè una serie di studiosi ha ritenuto che il diritto di accesso alla rete inteso come diritto costituzionale fosse ricavabile dalle leggi già esistenti italiane e dalle norme già esistenti dell’UE. Non è necessario cambiare la Costituzione (aggiungere un nuovo comma relativo ad Internet all’art. 21) oppure intergrare la Costituzione (inserendo l’art. 21 bis) perchè il diritto di accesso alla rete inteso come diritto fondamentale di tutti si può ricavare interpretando le norme nazionali vigenti e quelle dell’UE vigenti. Se questo diritto costituzionale non viene espressamente disciplinato in Costituzione ma comunque esiste allora nascono necessariamente due ulteriori profili: «possibilità di qualificare le reti di accesso a Internet come infrastrutture strumentali alla erogazione di un servizio pubblico» e, di conseguenza, configurare l’«esistenza o meno di un servizio pubblico e […] di un obbligo a carico dei pubblici poteri di realizzare le infrastrutture che erogano questo servizio pubblico» Tutto ciò è affidato ad un programma a lungo termine che inizia in un momento specifico ma senza una fine precisa. Nel 2010 nasce l’Agenda digitale per l’Europa, ossia una comunicazione adottata a livello dell’UE che chiede ai 27 Stati membri di fare qualcosa di specifico. Il Governo italiano ha creato una cabina di regia per realizzare l’Agenda digitale italiana. Questa cabina deve coordinare tutti gli interventi realizzati dai diversi livelli di Governo: Governo nazionale (dall’esecutivo o dalla normativa del Parlamento, ruolo del ministro delle comunicazioni o di economia e finanza) e Regioni per ridurre il cd. digital device. Le Regioni devono ragionare sulle strategie di sviluppo da adottare all’interno del processo di digitalizzazione del paese; queste strategie devono perseguire non soltanto logiche di mercato ma anche obiettivi di crescita economica e sviluppo della società civile fondati su eguaglianza, equità e buon equilibrio territoriale. Oggi tutte le Regioni italiane hanno già sviluppato piani per ridurre la disuguaglianza digitale mediante piani che prevedono accordi con il Ministero economico e delle comunicazioni (un tempo separati, oggi coincidono). Queste strategie devono avvalersi di partnership pubblico-private per sviluppare reti di nuova generazione. LE REGOLE NECESSARIE PER GOVERNARE INTERNET Azzariti (2011) diceva che le regole necessarie per disciplinare Internet devono essere intese come un “corpus complesso e articolato di regole di comportamento che operino su un piano planetario, non essendo sufficiente né la sola indicazione di un principio generale, dal quale fare discendere un uso corretto della rete a salvaguardia di un fascio complesso e articolato di diritti, né la definizione di una legge generale da parte di un solo paese, che si infrangerebbe dinanzi alla capacità di Internet di varcare i confine. Se la dimensione di Internet è quella planetaria, la regolamentazione giuridicamente efficace non può che essere quella globale”. Questo approccio è ovvio a livello teorico ma per tradurlo in un diritto globale bisognerebbe fare a livello delle Nazioni Unite un trattato che fissi la disciplina di Internet e che sia ratificato da tutti gli Stati parte della comunità internazionale e poi tradotto all’interno degli Stati con leggi ordinarie che rispettano i principi fissati nel trattato. Per gli Stati membri dell’UE si sta cercando di avere a livello europeo regole inerenti alla disciplina di Internet che possano essere simili in tutti i paesi grazie a direttive o identiche in tutti i paesi membri tramite l’adozione di regolamenti. QUALE DIRITTO PER INTERNET VIGENTE ED ESISTENTE? Anziché parlare di un diritto per Internet bisognerebbe parlare dei vari diritti esistenti e tra loro collegati per Internet perché ci sono delle disposizioni che riguardano Internet riconducibili al diritto nazionale (italiano), al diritto dell’UE (o sovranazionale), al diritto europeo (discendente dalla Convezione del 1950), al diritto internazionale e alla giurisprudenza nazionale e sovranazionale (dell’UE). Diritto nazionale  Artt. 21 e 15 Cost.: diritto di accesso a Internet come diritto fondamentale passa attraverso la tutela sulla libertà di manifestazione del proprio pensiero e della libertà di comunicazione, entrambe spettanti a tutti e non solo ai cittadini  Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259/2003): testo unico avente lo scopo di ordinare tutta la normativa esistente e affidata a diverse direttive, riesce a farlo più formalmente che sostanzialmente perché questo codice traspone il testo delle direttive originarie in modo troppo ordinario e non riesce a rendere a livello linguistico la ratio che accompagnava quelle direttive, gli obiettivi che caratterizzavano il diritto posto con quelle direttive  Recepimento atti sovranazionali (v. infra, UE): norme contenute in direttive o regolamenti  Giurisprudenza: in modo più elastico deve fronteggiare i casi inerenti Internet dando risposte ai casi concreti riuscendo a sviluppare un vero e proprio diritto (“diritto vivente”) I Costituenti e la codificazione del diritto di manifestazione del proprio pensiero e di comunicazione: artt. 21 e 15 Cost. Grazie a questi articoli è possibile individuare un criterio ordinatore per comportamenti e manifestazioni che avvengono attraverso la Rete 1. Intenzione del mittente = inviare a una o più persone determinate (modalità scelte per garantire riservatezza dei contenuti)  libertà di comunicazione, art. 15 Cost. 2. Forme di espressione del mittente (navigazione compresa) «caratterizzate dalla volontà dell’autore di comunicare apertamente il proprio pensiero a un numero non predeterminato di destinatari» (Gardini 2014)  libertà di manifestazione del proprio pensiero Di conseguenza: 1. L’attività giornalistica su testate telematiche (affidate alla rete) cade di certo sotto la libertà di manifestazione del pensiero, tutelata dall’art. 21 Cost.  integrale applicazione dei principi concernenti il diritto di cronaca, critica e satira (se si distingue l’attività giornalistica in base al mezzo: disparità di trattamento perché tratterei lo stesso fenomeno – attività giornalistica- in modo diverso in base al mezzo utilizzato, invece la condotta è la stessa ed è solo il mezzo che cambia, quindi viene fornita la stessa tutela) 2. Da non confondere con la possibilità di applicare a Internet principi/regole nate per la stampa cartacea (ossia principi/regole nate per un determinato mezzo non possono prescindere dal nesso con il mezzo stesso, invece cronaca, critica e satira possono prescindere dal mezzo utilizzato) 3. Per la giurisprudenza in tema: v. infra e slides lezioni avv. Invernizzi Diritto sovranazionale (UE) Qualche esempio:  Carta dei Diritti, art. 11 (come art. 10 Conv. 1950, infra)  Regolamento CE 10 marzo 2004 n. 460/2004 (PE e Consiglio), ENISA, Agenzia europea per la sicurezza delle reti e delle informazioni  Programma per l’Internet più sicuro, Safer Internet Plus, 2005-2008 (v. a. a. ss.) non limitato a questi 3 anni ma portato avanti poi nei decenni successivi  Interventi normativi su tutela della privacy, responsabilità e ruolo degli operatori della società dell’informazione  Proposta di direttiva sul Cybercrime (in sostituzione della Decisione quadro esistente; COM/2010/517) Diritto europeo (Convenzione 1950) Non è il diritto dell’Unione europea ma quello che sorge in relazione a:  Convenzione 1950 (Salvaguardia Diritti della persona umana) , art. 10, crea Consiglio d’Europa e il sistema relativo, prevede il diritto alla libera espressione «include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazioni di frontiera (a-territorialità)»  Convenzione sul Cybercrime (Convenzione contro la criminalità informatica), adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, firmata anche dagli USA, ratificata dall’Italia con legge il 18 marzo 2008 (l. n. 48) DIRITTO E «SOGGETTI» INTERNAZIONALI  Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 1948, art. 19 che riconosce a ogni individuo anche il diritto di «cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere»  Internet Governance Forum (IGF)  ONU 2006, nasce a Ginevra, incontri periodici per promuovere il dibattito fra tutti gli stakeholders del settore (Stati, operatori del settore, associazioni di utenti, mondo accademico)  Suddiviso in gruppi di lavoro permanenti ( dinamic coalitions) che perseguono obiettivi specifici (ad es. D.C. on Privacy, D.C. on the Internet Bill of Rights, Freedom of Expressione and Freedom of the Media on the Internet, ecc.)  Obiettivo: i portatori di interesse una volta tornati nei loro stati e all’interno delle loro associazioni di settore, provino a tradurre in regole di autodisciplina, norme legislative nazionali quello che emerge come importante all’interno del dibattito svolto forum (non è un semplice punto d’incontro) LA GIURISPRUDENZA  ILLECITI E RESPONSABILITÁ SOGGETTIVE  TIPOLOGIA DEI SOGGETTI IN RETE La giurisprudenza ha dovuto confrontarsi con tre categorie di illeciti riconducibili alla rete: 1. Gli illeciti di Internet 2. Gli illeciti contro Internet 3. Gli illeciti per mezzo di Internet: la giurisprudenza ci permette di riflette sul soggetto su cui ricade la responsabilità dell’illecito (spec. 3) LE RESPONSABILITÁ SOGGETTIVE L’utenza ha un diritto di accesso alla rete e dovrebbe poter svolgere un’attività sulla rete. Il punto di contatto tra accesso e attività, cioè tra l’utente e la rete è affidato ad un soggetto chiamato Internet Service Provider (o ISP). INTERNET SERVICE PROVIDER È possibile distinguere i soggetti ISP in base alle funzioni che realizzano, nonostante tutti cadano sotto la definizione generale di “cerniera tra utente e Internet e viceversa”. Il provider non è un soggetto solo ma una molteplicità di soggetti che svolgono molteplici funzioni. I provider possono essere:  Content provider (fornitore di contenuti, autore dei contenuti pubblicati sul server)  Network provider (fornitore di accesso alla rete attraverso la dorsale di Internet)  Access provider (offre alla clientela l’accesso Internet attraverso modem o connessioni dedicate)  Host provider (fornisce ospitalità a siti Internet)  Service provider (fornisce servizi Internet, come accessi o telefonia mobile)  Cache provider (immagazzina dati provenienti dall’esterno in una specifica area di allocazione temporanea - la c.d. «cache» – per accelerare la navigazione in Rete) Solo di recente questo settore vede l’ingresso prima di imprenditori privati e senza norme che ne permettessero il loro ingresso che poi trasformerà il monopolio in un sistema misto che origina da un monopolio affiancato nel tempo da imprenditori privati. Dopo la Seconda guerra mondiale: 1. Fase di recessione economica in cui l’Italia ha necessità di essere ricostruita dal punto di vista materiale e morale (perdita di vite umane, regime nazista, olocausto) 2. Tardivo sviluppo del sistema radiotelevisivo 3. Il periodo prerepubblicano (prima che entri in vigore la Costituzione) già conosceva la riserva statale; fin dal 1910 veniva posta la riserva statale sullo sfruttamento dei servizi radiotelegrafici: rilascio di concessioni e licenze operatori privati e pubblici 4. Adozione art. 43 Cost.: riserva originaria allo Stato di imprese o categorie di imprese che si riferiscano a situazioni di monopolio e abbiano carattere di preminente interesse generale (se il servizio è essenziale lo Stato può erogare quel servizio in condizioni di monopolio) 5. L’esistenza dell’art. 43 Cost. è accompagnata dalla logica di scarsità: se l’etere è un bene scarso anche le frequenze veicolabili attraverso l’etere sono scarse e di conseguenza è necessario un monopolio naturale, cioè riservare allo Stato la radiodiffusione (riserva statale nel settore della radiodiffusione) perché la scarsità inciderebbe sulla radiodiffusione creando un duopolio forte ma non garantendo alla cittadinanza le radiocomunicazioni EVOLUZIONE STORICA DELLA DIFFUSIONE DEL SISTEMA RADIOTELEVISIVO IN ITALIA 1924: servizio radiofonico affidato con licenza esclusiva all’URI (Unione Radiofonica Italiana), siamo all’inizio dell’esperienza fascista in Italia (Marcia su Roma, presa di potere da parte di Mussolini e della sua dittatura) 1927: URI trasformata in EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) governata da una licenza esclusiva a favore dello Stato 1929: EIAR ottiene la concessione esclusiva per 25 anni delle trasmissioni (lo Stato vuole appropriarsi di questo strumento per creare e plasmare il consenso nei confronti del potere politico esistente) 1936: Codice postale (r.d. n. 645/1936) rafforza ulteriormente la riserva statale (estesa a tutti i servizi di telecomunicazione: anche servizi telegrafi, telefonici, radioelettrici, via cavo e ottici) 1944: EIAR diventa (con il decreto radio tendenziale n. 457/1944) diventerà RAI (Radio Audizioni Italiane); confermato il monopolio anche durante l’occupazione nazista 1952: la Costituzione è ormai in vigore da 4 anni, si sta tentando di creare una Repubblica democratica fondata sul lavoro e principi fondamentali, RAI diventa RAI-Radiotelevisione Italiana 1954: dopo due anni di sperimentazioni, a gennaio viene avviata la trasmissione televisiva a livello nazionale; la concessione relativa a questo servizio viene affidata in via esclusiva alla RAI; nasce il servizio pubblico anche in relazione alla trasmissione radiotelevisiva (non solo radiofonica), si afferma il modello di Stato sociale (art. 3, comma 2 Cost.: eguaglianza in senso sostanziale) 14/10/2020 Il sistema radiotelevisivo è ancorato alla nozione di «riserva statale» (art. 43 Cost.) e attualmente è caratterizzato da un sistema diverso dal monopolio di Stato, cioè il sistemo misto. DAL PERIODO PREREPUBBLICANO ALLA LEGGE GASPARRI (2004) Nel periodo storico prerepubblicano si impone la nozione di riserva statale: è possibile riservare allo Stato l’erogazione di determinati servizi pubblici essenziali (irrinunciabili, fondamentali) per tutta la cittadinanza (chiamati sudditi nel periodo prerepubblicano sotto la direzione dei Savoia). Quindi lo Stato può erogare il servizio della radiotelevisione perché ha un significato particolare per tutto il corpo sociale. Nel periodo prerepubblicano (vigente lo Statuto Albertino) vengono svolti interventi legislativi in materia di radiofonia. Questi interventi legislativi hanno le seguenti caratteristiche: 1. Legge n. 395/1910: codifica la riserva statale relativa all’esercizio dell’attività radiotelegrafica e radioelettrica, cioè entrambe le attività spettano allo Stato, il quale poi sceglierà l’impresa che potrà erogare questi servizi in modo esclusivo 2. La prevalenza dell’interesse pubblico su quelli privati è il motivo conduttore di quegli anni 3. Le radici vanno trovate nelle dottrine autoritarie/classiste di inizio ‘900, di cui la legge n. 395/1910 è un’espressione 4. Solo lo Stato può sostenere i costi di attivazione e funzionamento necessarie per la trasmissione, potendo poi anche mantenerle nel tempo (non è importante il costo inziale ma quello di mantenimento delle infrastrutture necessarie per dare quel servizio) Legge n. 395/1910: la riserva statale relativa all’esercizio dell’attività radiotelegrafica e radioelettrica va riportata a due pilastri che sono le linee generali di intervento legislativo:  Le comunicazioni e i mezzi che le trasmettono vanno protetti (tutela segreto comunicazioni) perché la comunicazione verso un determinato destinatario deve essere accompagnata dalla segretezza  Regole che riguardano tutti gli strumenti di telecomunicazioni (poste, telegrafo, telefono) VICENDE SUCCESSIVE AL 1910 Lo Stato continua a mantenere un’esclusiva sul servizio di trasmissione radiofonica, cioè vi è una società concessionaria di quel servizio essenziale, ed essendo essenziale, solo allo Stato spetta erogarlo. La creazione/affidamento ad una società concessionaria l’esclusiva sul servizio di trasmissione radiofonica avviene perché il servizio ha natura di «pubblico servizio» che deriva dall’importanza di comunicare tramite quello specifico mezzo. La possibilità di concessione a società private concessionarie dello svolgimento del servizio o della convenzione che nasce in modo che la società privata possa erogarlo rispetta la natura di servizio pubblico. Esistono dei regi decreti che (r.d.nn. 2191/1924 e 2207/1927) che fanno in modo che il servizio radiofonico passi dall’URI all’EIAR (amministrato dall’Istituto per la ricostruzione industriale = IRI). Nascono regole per cui, solo l’URI in un primo tempo e poi solo l’EIAR, possono svolgere il servizio radiofonico. È vero che esiste un consiglio di amministrazione sia per l’URI che per l’EIAR ma all’interno di quel consiglio di amministrazione, grazie ai regi decreti, il controllo statale è molto intenso. L’intensità è dovuta alla presenza di almeno quattro membri di nomina governativa nel consiglio di amministrazione; inoltre, il piano annuale delle trasmissioni deve essere approvato a livello governativo. In questo periodo siamo in piena dittatura fascista quindi gli interventi da quel momento in poi hanno natura autoritario per rafforzare il controllo statale, il monopolio dello Stato sulle telecomunicazioni. Codice postale, r.d.n. 645/1936: serie di disposizioni in cui vi è tutta la consapevolezza del regime fascista del valore della radio, la quale poteva raggiungere anche le comunità rurali per plasmare le posizioni dei singoli e riportarle a quelle del partito nazionale fascista; a livello giuridico si configura lo strumento necessario per permettere alla dittatura di raggiungere la periferia. Fino al 1944-45 il sistema italiano è caratterizzato dall’imporsi di un sistema autoritario (fascismo) e da un lato sia la mano pubblica sia la comunicazione pubblica sono espressione di un sistema monopolistico delle radiocomunicazioni in cui lo Stato non è solo regolatore esterno dell’attività di trasmissione ma diventa anche soggetto che interviene nelle scelte di gestione del servizio (aspetti tecnici, contenutistici). Finisce la guerra, nel 1946 vengono fatte scelte in base alle quali poi potrà nascere la Repubblica, un’assemblea costituente permetterà la creazione della Costituzione italiana che entra in vigore il 1° gennaio 1948. L’esperienza italiana si trova ancorata all’esperienza radiotelefonica ed è solo a partire dalla Costituzione e dagli anni ’50 che verranno avviate le sperimentazioni inerenti alle trasmissioni televisive. La trasmissione si trasforma nella possibilità di trasmettere le trasmissioni televisive solo dal 1954. Il 3 gennaio 1954, Fulvia Colombo annuncia la prima trasmissione televisiva. Alle spalle abbiamo: due anni di sperimentazione del sistema televisivo, un monopolio di stato sviluppato alla base del modello radiofonico, tutto ciò conferma la tesi per cui per comprendere la televisione serve capire l’evoluzione della radiodiffusione. Abbiamo ancora un modello ancorato al monopolio che riconosce a radio e televisione la capacità di plasmare l’opinione pubblica. In epoca prerepubblicana e fascista plasmare l’opinione pubblica vuol dire imporre un unico pensiero cancellando le libertà individuali; il monopolio che nasce con la Costituzione italiana è ancorato ad esigenze contrarie a quelle della dittatura, legate ad una logica di scarsità (spettro limitato di onde) e alla necessità di difendere i cittadini (non più sudditi) una logica che garantisca a tutti la fruizione del mezzo e il pluralismo all’interno dell’ordinamento giuridico. IL PERIODO REPUBBLICANO FINO ALLA LEGGE GASPARRI Il sistema (radio) televisivo successivo al 1954 presenta oltra a queste radici specifiche (per capire la televisione bisogna conoscere l’evoluzione del sistema radiofonico) anche un problema fondamentale: il fattore tecnologico incide fortemente sulla disciplina giuridica e sull’apertura di una situazione di monopolio iniziale che oggi è diventata un sistema misto (concessionaria pubblica affiancata a soggetto non pubblici che erogano l’attività televisiva). Con l’adozione della Costituzione e la scrittura dell’art. 21, la televisione ancora non esiste (solo nel 1954 viene dato avvio alle trasmissioni televisive); quindi, nonostante l’annuncio di un nuovo mezzo di comunicazione di massa che avrebbe accompagnato/sostituito la radio, come è possibile scrivere l’art. 21 Cost. senza menzionare quel nuovo strumento? In dottrina vengono poste alcune questioni: i costituenti hanno capito il potere della televisione inerente alle sue possibilità di raggiungere la popolazione? Il potere della televisione era stato capito ma si era anche capito che i media potessero essere al servizio della politica L’art. 21 Cost. comma 1 fa riferimento a «ogni altro mezzo usato come veicolo per manifestare il pensiero proprio o collettivo…», quindi non si deve ragionare sulle intenzioni del costituente ma su ciò che il legislatore ha fatto dal 1948 in poi, vedendo se altri soggetti (il primo fu la Corte cost.) sono intervenuti nell’evoluzione di questo media incidendo sul sistema complessivo della radiotelevisione. DALLA RAI, CONCESSIONARIA DI STATO, AL SISTEMA MISTO IL SERVIZIO PUBBLICO RADIOTELEVISIVO 1. Nozione travagliata e controversa (dottrina italiana ed europea) 2. Emerge in giurisprudenza e poi viene applicata all’intero settore della radiotelevisione 3. Il servizio pubblico radiotelevisivo in Europa ha radici comuni: come evoluzione del monopolio della radio e della televisione 4. In Italia: solo dalla seconda metà degli anni ’70 si assiste ad un fenomeno di privatizzazione del settore, cioè nascono soggetti non pubblici che si occupano di attività televisiva, cioè in assenza di norme giuridiche affidate a leggi che disciplinano questo fenomeno specifico, non sarà il legislatore ma la Corte cost. ad intervenire (sent. n. 202/76 Corte cost.). Nascono televisioni private che accompagnano il servizio pubblico, non c’è una copertura legislativa di questo fenomeno: siamo ancora al monopolio di stato 5. In Europa e nell’EU: adozione della direttiva Televisione senza frontiere; all’interno del Consiglio d’Europa c’è un’iniziativa simile che porterà a una convezione sulla televisione transfrontaliera 6. In ambito sovranazionale viene adottato il cd. Protocollo di Amsterdam: servizio pubblico radiotelevisivo come pilastro della cultura europea; riconosce gli Stati piena autonomia «definitoria» su cosa sia/debba essere il servizio pubblico radiotelevisivo IL SERVIZIO PUBBLICO RADIOTELEVISIVO: LA DEFINIZIONE TRADIZIONALE In Italia, dalla seconda metà degli anni ’70, si conosce l’epoca «moderna» della radiotelevisione e della televisione. Questo periodo è ancorato alle sentt. nn. 225/1974 e 202/1976 della Corte cost. e alla legge n. 103/1975 che sono i punti di riferimenti che segnano una svolta nella definizione di «servizio pubblico radiotelevisivo»: si ribadisce un’impostazione fondamentale del servizio pubblico radiotelevisivo che rimane in vigore fino ad oggi, aprendo il cammino all’affermazione dei privati. IL SERVIZIO PUBBLICO RADIOTELEVISIVO: GLI ARTT. 41 E 43 COST. Art. 41 Cost.: «libertà di iniziativa economica privata senza contrastare l’utilità sociale o recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Questo articolo va letto in modo sistematico assieme all’art. 43 Cost. Art. 43 Cost. «A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente e trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale»  quando c’è interesse generale (come richiesto dall’art. 43 Cost.), quindi la Corte può sottrarre la diffusione radiotelevisiva alla libera iniziativa economica (art. 41). La Corte afferma che ci sono ragioni di utilità generale che giustificano, ai sensi dell’art. 43 Cost., il fatto che lo Stato avochi a sé i servizi radiotelevisivi che eserciterà in più favorevoli condizioni di obiettività, di imparzialità, di completezza, di continuità in tutto il territorio nazionale (sent. n. 59/1960). Una cosa è avere le risorse economico-finanziarie per avviare l’attività nel settore, un’altra ben diversa è fare lo sforzo di mantenimento delle infrastrutture nel tempo. Quando il privato offre un servizio vi è il rischio che questo possa essere fatto solo inizialmente perché poi egli non potrà reggere lo sforzo economico-finanziario nel tempo. La sent. n. 59/1960 riafferma la legittimità costituzionale (corrispondenza a ciò che viene stabilito dall’art. 43 Cost.) del monopolio statale ragionando su: 1. Profilo tecnologico: le tecnologie del tempo sono caratterizzate da scarsità, impedendo così al settore di diventare un mercato; in caso contrario si avrebbe un mercato 2. Profilo economico-finanziario: osservare creazione (sforzo iniziale) e mantenimento del tempo delle infrastrutture Tutto ciò comporta il rischio del diritto a essere informati in modo ottimale perché in quel momento storico, l’apertura a soggetti diversi dal monopolio di Stato avrebbe portato a un oligopolio privato che non avrebbe garantito la missione della RAI intesa come concessionaria di Stato. Tra il 1970 e il 1975 aumentano gli investimenti pubblicitari in televisione e minacciano la stampa, punto di riferimento iniziale per la pubblicità, per la loro grande crescita. Nel 1971 non esistono leggi ordinarie che governano il settore della televisione italiana. In questo vuoto si fa strada l’iniziativa economica privata, l’imprenditore cresce perché non vi sono limiti da parte di leggi ordinarie. In questo anno iniziano le trasmissioni di TeleBiella che trasmette, a seguito del cambio della tecnologia, mediante il cavo che consente di avere più canali a disposizione: diventa la prima emittente via cavo in Italia. Rimane quindi un favore per il monopolio statale: mezzo televisivo capace di plasmare la pubblica opinione, necessità di dare informazioni in modo corretto e pluralista; tuttavia, se non ci sono fonti normative che accompagnano questo settore vi è il rischio che l’iniziativa economica privata prenda piede in assenza di norme. Nella sent. n. 225/1974 si evidenza la necessità di un intervento del legislatore che deve riuscire a fare una legge di riassetto del sistema televisivo capace di intervenire sulla composizione degli organi direttivi della concessionaria di Stato in modo che non risultino espressione del Governo (imparzialità). Ciò farà aprire un periodo in cui il legislatore si mostrerà inerte nel rispondere alle sollecitazioni della Corte cost. Sent. n. 225/1974: la consulta stabilisce che il monopolio statale è incostituzionale nella sola misura della ritrasmissione di programmi esteri sul territorio italiano perché non si stanno usando le bande di trasmissione riservate al servizio televisivo a trasmissione circolare (usati dalla RAI), quindi non ha senso confermare la riserva statale in questo ambito perché questo impedirebbe la libera circolazione delle idee, potrebbe compromettere un bene essenziale della vita democratica e realizzare una sorta di autarchia democratica delle fonti di informazione. Sent. n. 226/1974: la radiodiffusione in ambito nazionale deve stare nella riserva statale, invece la riserva statale dei servizi televisivi via cavo a livello locale (Regioni) è costituzionalmente illegittima perché il cavo offre un numero illimitato di canali e il costo non è rilevante a livello locale. Estendere il monopolio statale alla televisione via cavo a livello locale non può essere giustificato dall’esistenza di un monopolio dovuto a ragioni tecniche, come per la televisione via etere, quindi questo monopolio contrasta con gli artt. 41 e 43 Cost. RIASSUNTO Anni ’60: se pochi sono i canali e si permette all’imprenditore privato di trasmettere, allora metto in crisi la trasmissione nazionale della RAI (scarsità di risorse) Anni ’70: non ci sono più onde radioelettriche ma c’è il cavo che permette di usare diversi canali, quindi non esiste più la ragione tecnica per giustificare il monopolio a livello locale; se la televisione via etere poteva essere agganciata all’art. 43, la situazione del 1974 contrasta con l’art. 41 perché impedisce al privato di entrare in un contesto in cui può avere ingresso ma anche all’art. 43 (a livello locale è come dire che non serve un monopolio statale perché ci sono tanti canali e quindi ci deve essere una pluralità di informazioni possibili) In merito al settore radiotelevisivo la Corte invita il legislatore ad approvare una legge quadro in materia di diffusione radiofonica e televisiva, intervenendo sugli organi direttivi della RAI in modo che non siano espressione del Governo e con una struttura che garantisca l’obiettività. Queste sollecitazioni vengono accolte dal Parlamento che adottata la legge per la riforma della RAI (legge n. 103/1975). DAL 1976 AL 1981: LA CORTE COSTITUZIONALE Sent. n. 202/1976: il monopolio statale a livello nazionale è costituzionalmente legittimo, il monopolio statale a livello locale è incostituzionale. La Corte non solo afferma che la tecnologia a livello locale non impedisce che altri trasmettano mettendo a rischio l’informazione tutta e i beni giuridici ma anche che il costo dell’istituzione e mantenimento degli impianti non è un costo rilavante, quindi l’iniziativa privata può intervenire senza problema. Si ha la rottura con il monopolio di stato perché fa venire meno il ragionamento sulla scarsità di risorse (tecnologia), sui rischi economico-finanziari di mantenimento delle strutture, sui rischi di compressione della libertà di manifestazione del pensiero dovuto a un oligopolio perché a livello locale ci potranno essere diversi attori. Potrà quindi nascere il sistema misto limitato al solo ambito locale, nel quale aumentano le diverse emittenti che diventano realtà nazionali grazie ad una modalità che nasce negli Stati Uniti d’America. Negli USA il territorio è molto ampio, quindi la televisione del tempo inventa syndication (registrazione programmi in videocassette recapitate a tutte le antenne locali situate nel territorio nazionale-locale mandate in onda lo stesso giorno, alla stessa ora e nello stesso programma senza una interconnessione strutturale come quella a disposizione della RAI). Si ha la rottura del monopolio RAI. La Corte cost. per definire la situazione giuridica soggettiva degli operatori di emittenza locale usa il termine “diritto”: il mancato intervento del legislatore per disciplinare il diritto soggetto di trasmissione locale porta a questa situazione. Se la Corte usa l’espressione “diritto” allora le imprese possono rivendicare di fronte al giudice competente (magistrato) in relazione al rispetto del loro diritto a trasmettere (diritto azionabile, cioè può essere fatto vale in giudizio). C’è pluralismo, cioè tanti attori diversi in quello specifico momento storico (non è pluralismo di punti di vista che danno vita alla crescita culturale del paese) in un mercato che si afferma di fatto e in cui manca l’intervento del legislatore per disciplinare non solo questa situazione, ma molti ritengono che egli avrebbe anche dovuto anche fare una scelta di politica di comunicazione: ragionare se voleva un monopolio statale, un sistema simile a quello britannico con un soggetto pubblico accompagnato da imprenditori privati. Essendo in difficoltà questo non viene fatto. 15/10/2020 LA LEGGE N. 103/1975 (v. slides lezioni avv. Invernizzi: organi di governo del sistema) Il legislatore nazionale per rispondere alle sollecitazioni delle Corte cost. adotta la legge n. 103/1975 in cui viene ancora ribadita la riserva statale con dei profili che serviranno a fronteggiare fenomeni di fatto del settore. Con questa legge nasce la Commissione parlamentare di vigilanza, cioè non è più il Governo che ha potere sul sistema radiotelevisivo ma anche il Parlamento è chiamato a controllare ciò che accade in quel settore. GLI ANNI OTTANTA: LE SOLLECITAZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE La Corte cost. continua a sollecitare il legislatore di intervenire a livello normativo con leggi ordinarie per mettere ordine nel settore. Fino al 1985 (nello specifico gli anni dal 1976 al 1981) il legislatore nazionale non reagisce (assenza interventi legislatore, quindi la PA non ha strumenti per agire di conseguenza), i privati possono affermarsi (ingresso privati) nonostante il monopolio e spetta ai privati un diritto soggettivo all’uso delle radiofrequenze, tuttavia resta il dubbio se tale diritto sia rivendicabile davanti al magistrato competente o richieda una normativa ulteriore per essere rivendicato. DAL 1980 AL 1981 Adozione di un decreto ministeriale da parte del Ministro Poste e telecomunicazioni (18 novembre 1980), recante “Censimento delle emittenti radiotelevisive a carattere locale e degli impianti ripetitori privati”. Questo dato non porta ad una conseguenza: se esistono tante emittenti radiotelevisive a livello locale bisogna ragionare sul rinnovo della concessione alla RAI, ma ciò non accade. Con il d.p.r. 10 agosto 1981, si ha il rinnovo concessione RAI, ma si consolida al tempo stesso il fenomeno di interconnessione funzionale: la RAI copre il territorio nazionale e locale ma i privati riescono a coprire comunque l’intero territorio nazionale tanto quanto fa la RAI, grazie al fenomeno della syndication. DAL 1980 AL 1981: LA CORTE COSTITUZIONALE Sent. n. 148/1981: la Corte interroga nuovamente il legislatore in merito alla questione della riserva statale chiedendosi se il rischio oligopolio (solo RAI e Berlusconi si contendono un mercato che non è aperto e che non garantisce la pluralità di posizioni ideologiche di pensiero diverso). La Corte continua a segnalare la necessità di un intervento del legislatore statale. Dal 1980 al 1981 c’è un intenso sviluppo che fa in modo che Canale 5 è il primo e unico marchio che propone la stessa programmazione in tutta Italia, rafforzando l’immagine del canale stesso. Appariranno poi Italia Uno (Rusconi) e Retequattro (Mondadori) che rappresentano il volto della televisione privata rispetto a quella pubblica che viene incarnata ancora dalla RAI. Sia Italia Uno che Retequattro verranno cedute alla Fininvest spa e dal 1982 al 1984 Berlusconi diventa il punto di riferimento della televisione commerciale; le quote di Retequattro saranno ancora suddivise tra Mondadori e Fininvest. 1985-1988: LA CORTE COSTITUZIONALE Sentt. nn. 231/1985 e 826/1988, sottolineano il significato di: 1. Possedere impianti ripetitori di programmi esteri, non in contrasto con il monopolio di stato che trasmette programmi a livello nazionale 2. La allora TMC (Tele Montecarlo) rompe il duopolio RAI/Fininvest 3. Importanza del tema del pluralismo dell’informazione radiotelevisiva (pluralismo esterno e interno), si evidenzia l’urgenza di intervento del legislatore per porre una soluzione a un oligopolio privo di regole che consentano il pluralismo dell’informazione radiotelevisiva DAL 1980 AL 1984: LA CORTE COSTITUZIONALE Sent. n. 237/1984: la presenza di un oligopolio comporta che vi siano regole solo per la concessionaria di Stato (anomalia esercizio attività private senza autorizzazione), dove si crea una testa forte a livello privato quando Fininvest acquisisce Italia Uno e Retequattro, dove si interviene con decreti legge. Nel 1984 Craxi voleva che Fininvest mantenesse il controllo delle sue emittenti, ma il decreto legge può porre regole solo temporaneamente per situazioni di emergenza (lo strumento dovrebbe essere la legge che però non viene adottata). GLI ANNI OTTANTA Sviluppo «marchio» Canale5, Fininvest ottiene Canale5 dopo l’acquisizione di Italia1 e Rete4. C’è una tensione a livello politico (pro/contro monopolio statale). Democrazia cristiana e Partito comunista italiano sono a favore perché pensano di poter mantenere il controllo politico su questo monopolio; Partito socialista italiano invece vuole aprire il mercato radiotelevisivo all’iniziativa privata in modo che gli operatori emergenti lo sostengano. Si adotta un decreto-legge che non viene adottato per profili di incostituzionalità, allora si adotta il d.l. n. 807 del 1984 che sarà convertito in l.n. 10 del 1985, questa legge contiene soluzioni provvisorie. LA LEGGE N. 10/1985: afferma l’importanza dei principi del pluralismo e di libertà relativi al sistema misto in modo da non bloccare il fenomeno della syndication che contrasta con l’esistenza del monopolio lasciando convivere monopolio e syndication, non riesce a disciplinare correttamente l’emittenza pubblica con quella privata. Il d.l. n. 807 del 1984 aveva posto norme transitorie (le emittenti private potevano continuare a trasmettere le attività già in corso, compresa la syndication) a cui questa legge non dà una Agcom su: quante parte della popolazione viene raggiunta dalle reti digitali terrestri (non può essere raggiunta meno della metà della popolazione), presenza di decoder a prezzi accessibili (le tv prima del digitale terrestre non avevano bisogno di strumenti ulteriori per captare le trasmissioni, mentre con il digitale terrestre servono i decoder per la ricezione di programmi) e capire l’offerta effettiva al pubblico di programmi diversi offerti dal digitale o dal satellite-cavo in modo da capire come suddividere le frequenze (quindi il mercato) rispetto al digitale e all’analogico. Si ottiene una normativa transitoria, quando invece l’obiettivo era di trovare una normativa che non fosse più transitoria relativa al mercato di settore. Il decreto-legge permette di coprire il tempo che passa tra la legge che il Presidente non promulga e il problema della scadenza del 2003. Dopo questo decreto-legge si pone un Iter difficile in aula per confrontarsi su quella normativa che accolga tutte le indicazioni date nel corso degli anni. Questa volta la normativa nasce, la legge approvata dal Parlamento viene trasmessa al Presidente della Repubblica che decide di firmare la l.n. 112/2004, Gasparri che pone la base per l’adozione del Testo unico e la creazione di un quadro giuridico unitario e coerente rispetto ai rilievi pronunciati dalla Corte per assicurare il pluralismo, scrivere norme adatte alla transizione tecnologica, tenere conto del pacchetto di direttive del 2002. La legge Gasparri porta un profilo problematico: crea il SIC (sistema integrato delle comunicazioni) cioè non suddivide i mercati dei singoli servizi offerti (televisione, radiodiffusione, pubblicitario) ma integra questi mercati distinti rendendo così difficile l’adozione di una normativa antitrust (se avesse suddiviso sarebbe stato più facile stabilire norme antitrust). La legge Gasparri rinvia alla normativa successiva e sarà il TU che dovrà riformare l’assetto complessivo del sistema radiotelevisivo italiano per adeguarlo all’avvento della tecnologia digitale e al processo di convergenza (uno stesso mezzo può erogare servizi differenti) tra radiotelevisione e altri mezzi di comunicazione interpersonale. Il TU dovrà: disciplinare soggetti e attività inerenti tutto il settore radiotelevisivo, porre regole per tutelare utenti di quell’ambito di mercato, stabilire regole per il cd. spettro elettromagnetico, fissare norme e regole per tutelare la concorrenza del mercato a livello nazionale ed europeo, ragionare sul servizio pubblico generale radiotelevisivo La legge Gasparri: profili confluiti nel d.lgs. n. 177/2005, ossia nel Testo unico «della Radiotelevisione» o «dei Servizi di media audiovisivi e radiofonici», ha in animo una riforma integrale dell’assetto del sistema radiotelevisivo italiano, per adeguarlo all’avvento della tecnologia digitale (passaggio da analogico a digitale), al processo di convergenza fra radiotelevisione e altri mezzi di comunicazione (fra individui, di massa). Troviamo principi generali a garanzia del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisivi (come da giurisprudenza della Corte costituzionale), inoltre introduce una distinzione fra: 1. Operatori di rete: soggetti titolari del diritto di installazione, esercizio e fornitura di una rete di comunicazione elettronica su frequenze terrestri in tecnica digitale, via cavo o via satellite e di creare impianti di messa in onda, multiplazione, distribuzione e diffusione delle risorse frequenziali necessarie per trasmettere i programmi agli utenti 2. Fornitori di contenuti: soggetti dotati della responsabilità editoriale nella predisposizione dei programmi televisivi o radiofonici, e dei relativi programmi-dati destinati alla diffusione e all’accesso condizionato su frequenze terrestri in tecnica digitale e legittimati a svolgere attività commerciali e editoriali connesse alla diffusione delle immagini e dei suoni dei relativi dati (immagini e suoni tradotti in un alfabeto universale) 3. Fornitori di servizi interattivi associati o di servizio di accesso condizionato: soggetti che forniscono, attraverso l’operatore di rete, servizi al pubblico di accesso condizionato mediante distribuzione agli utenti di chiavi numeriche per l’abilitazione alla visione dei programmi; sono dotati di differenti titoli abilitativi per lo svolgimento della propria attività. N.B.: ciascuno di questi soggetti ha un titolo abilitativo differente, cioè avere l’autorizzazione relativa allo svolgimento dell’attività di operatore di rete/forniture di contenuti/fornitore di servizi NON comporta l’assegnazione delle radiofrequenze; l’assegnazione delle radiofrequenze in base a criteri pubblici, obiettivi, trasparenti, non discriminatori, ecc. avviene con un altro procedimento. Inoltre: obbligo di separazione contabile per le imprese che operano nel settore delle comunicazioni radiotelevisive in tecnica digitale. La separazione contabile consente di dividere le attività degli uni dagli altri e ragionare su un principio di concorrenza applicabile ad attori e parti del mercato chiari. Consente l’evidenziazione dei corrispettivi per l’accesso e l’interconnessione alle infrastrutture di comunicazione, i costi dovuti al servizio pubblico generale, valutazione dell’attività di installazione e gestione delle infrastrutture separata da quella di fornitura dei contenuti o dei servizi (anche se svolte dallo stesso soggetto che deve separarle contabilmente), la verifica dell’insussistenza di sussidi incrociati o pratiche discriminatorie. Il servizio pubblico radiotelevisivo e il servizio pubblico generale radiotelevisivo: solo la concessionaria (pubblica) di Stato eroga un servizio pubblico, mentre le televisioni «propriamente» commerciali non erogano nessun servizio pubblico o pubblico generale. Le altre erogano un servizio pubblico generale paragonabile a quello della concessionaria pubblica (es. su Canale 5 viene preparato un telegiornale). Esiste un servizio pubblico generale che non è quello erogato dalla concessionaria di stato e in merito al servizio pubblico generale viene detto che l’attore privato che eroga il servizio pubblico generale è diverso sia dalle televisioni «propriamente» commerciali sia dalla concessionaria di stato (RAI). Ulteriori profili disciplinati: esistono principi in materia di emittenza radiotelevisiva locale (ossia in uno o più «bacini» bisogna riportare il tema della quantità di emittenza radiotelevisiva locale). Riservata all’emittenza locale una parte della capacità trasmissiva stabilita dal piano di assegnazione delle frequenze per la diffusione televisiva sulle frequenze terrestri (imiti di affollamento, obblighi degli enti pubblici in relazione all’acquisto di spazi di comunicazione istituzionale sulle reti locali, ecc.): ⅔ vanno alla concessionaria o agli attori che erogano un servizio pubblico generale, ⅓ deve arrivare alle Regioni (emittenza locale) a cui spetta la competenza di rilasciare un parere relativo al piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale (ubicazione impianti) e un parere anche per tutelare le minoranze linguistiche-culturali. Ulteriore profilo disciplinato, nucleo duro del «nuovo» sistema radiotelevisivo: la tutela della concorrenza e del mercato, cioè al sistema misto radiotelevisivo si applicano limitazioni e divieti per evitare gli abusi di posizione dominante e la nascita di concentrazioni di imprese  rispetto della normativa antitrust Il TU ha come riferimento anche la normativa sovranazionale, oltre al pacchetto delle direttive del 2002 si ha anche la direttiva 89/552/CE Televisione senza Frontiere, la direttiva 2007/65/CE Servizi media audiovisivi senza Frontiere. Di recente viene introdotta la legge «Renzi» che ha introdotto diverse modifiche (es. modifiche sulla nomina del Consiglio di amministrazione della RAI). In sintesi: il Testo unico, è importante conoscere le matrici del Codice (come si arrivata alla legge Gasparri, profili sovranazionali), interrogarsi sul fatto che la radiotelevisione sia un’impresa di servizi e quali sono i nuovi attori, differenza tra servizio pubblico e servizio pubblico generale. La concessionaria di Stato: RAI (approfondimento avv. Invernizzi)  le azioni della concessione  la nomina dei membri del Consiglio di Amministrazione  il ruolo del Ministero  il sistema di finanziamento  sistema partitico – utenti/cittadini A livello di UE esiste un Protocollo sul sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri: il Protocollo di Amsterdam (annesso al Trattato di Amsterdam, 2 ottobre 1997). È articolato in modo da ricordare che tra la radiodiffusione pubblica e la società passano le esigenze democratiche di quella società, un sistema di radiodiffusione mal governato rischia di non garantire esigenze democratiche (diritto ad informare ed essere informati). Il protocollo lascia ad ogni singolo Stato membro la competenza di definire la missione di servizio pubblico del rispettivo organismo a quello deputato; inoltre spetta a ogni singolo Stato membro provvedere al finanziamento dei servizi pubblici, evitando di turbare la concorrenza del più ampio settore. La concessionaria di Stato: RAI  Origini e nascita  La giurisprudenza costituzionale:  Corte cost., sentt. nn.  59/1960  225 e 226/1974  202/1976  826/1988  420/1994  466/2002  Legge n. 103/1975  Legge n. 10/1985 (progetti di legge e d.l. precedenti)  Legge n. 223/1990 («Mammì»)  Legge n. 249/1997 («Maccanico»)  Legge n. 112/2004 («Gasparri»)  TU della radiotelevisione, D. lgv. n. 177/2005  Legge n. 220/2015 («Renzi») 19/10/2020 LA PUBBLICITÁ COMMERCIALE All’inizio del secolo in Europa e in Nord America diventano famosi artisti che mettono la loro arte al servizio della pubblicità commerciale, ossia di una comunicazione che prescinde dal valore artistico ma dà un particolare connotato al veicolo della pubblicità commerciale. In Italia, Jack Rennert dedica un libro a Leonetto Cappiello (1875-1942) il quale mette la propria arte a disposizione della pubblicità, in particolare Fernet-Branca. Quello che evidenzia questa pubblicità da altre è il fatto che il manifesto è firmato. Barontini poi dedica anche un libro a questi grandi maestri, da Cappiello a Natali, ricostruendo l’evoluzione che in Italia accompagna questo modo di ragionare su come presentare ad un pubblico, che diventa sempre più ampio, i prodotti che vengono realizzati da diversi soggetti. all’interno di questo codice sono frutto dell’accordo degli operatori di settore e delle loro associazioni di categoria CODICE DEL CONSUMO Il codice accoglie disposizioni specifiche inerenti alla pubblicità ingannevole ma anche disposizioni che danno una definizione ampia e generica sulla pubblicità commerciale. La pubblicità commerciale è: qualsiasi forma di comunicazione che supporti in modo intenzionale un’attività economica, non necessariamente a carattere imprenditoriale. È pubblicità commerciale ciò che viene diffuso al pubblico (tratto implicito) non per esprimere una forma di pensiero ma per finalità promozionale (pubblicizzare, promuovere un prodotto). La “forma” del messaggio: qualsiasi forma di messaggio purché sia diffuso in qualsiasi modo viene qualificata come pubblicità commerciale Il “momento della trasmissione” del messaggio: nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale/produttiva. La “finalità” del messaggio: allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su beni mobili o immobili oppure la prestazione di opera e servizi. Le interpretazioni di “forma”, “trasmissione “e “finalità” del messaggio sono identici o simili per il Codice del Consumo e per il Codice autodisciplinare. Di conseguenza non costituiscono “pubblicità commerciale”: messaggi al pubblico per sensibilizzare rispetto a tematiche di interesse sociale, messaggi al pubblico per sollecitare apporto volontario di contribuzioni di qualsiasi natura, allo scopo di realizzare obiettivi di carattere sociale. stiamo parlando di fenomeni come la pubblicità progresso che propone una riflessione su specifiche questioni, senza valorizzare un bene incrementando il suo valore economico; si tratta di pubblicità che spingono a riflettere su una tematica. Esiste una forma di pubblicità sociale priva di collegamento con attività a carattere commerciale: sfera di applicazione del Codice di autodisciplina (per espresso richiamo). Questo richiamo indica che il codice rispetto alla normativa statale si pone in un ambito più ampio rispetto a quello di interesse della normativa statale. IL CODICE DI AUTODISCIPLINA (O CODICE DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA) La prima parte del codice è formata dalle norme preliminari e generali, la lett. e) afferma: è pubblicità ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi quali siano i mezzi utilizzati, nonché le forme di comunicazione disciplinate dal Titolo VI (sulla cd. pubblicità sociale: rinvio). Tutte le definizioni trattate nelle diverse fonti forniscono una definizione ampia e generica. Nel tempo, questo fenomeno si pone in modi diversi e pertanto richiede che le fonti di diritto statale e privato si confrontino con un allargamento dei confini della nozione di pubblicità commerciale. È meglio scrivere poco e bene, cioè una definizione ampia e generica non richiede al legislatore nazionale, sovranazionale o privato (autodisciplina) di cambiare la definizione ad ogni cambiamento concreto del fenomeno, quindi se è vero che la definizione di pubblicità commerciale che troviamo nelle fonti statali sia ampia e generica è anche vero che codificare regole più ampie di queste avrebbe richiesto di cambiarle molto più spesso mettendo in difficoltà chi deve valutare il rispetto di quelle norme. Ad esempio: comunicazione “istituzionale” (scopo promozionale indiretto), comunicazione degli enti pubblici (per far conoscere prodotto/servizio offerto contro corrispettivo) come le Regioni che sponsorizzano sulla televisione il loro territorio come meta turistica, associazioni no-profit (servizi agli associati, raccolta fondi) come l’ambito della salute, cure per malattie o percorsi di riabilitazione. La pubblicità commerciale è tale indipendentemente dal mezzo di diffusione, è irrilevante il mezzo di diffusione: stampa, TV, giornali (che non accompagnano la stampa cartacea), below-the-line (volantini, cataloghi, promozioni, ecc.). Indipendentemente dal mezzo con cui viene diffusa, essa cade sotto le definizioni generiche e ampie e quindi le norme relative alle quattro fonti. Contenuti pagine telematiche: parte del sito dedicata al bene/servizio, parte del sito dedicata alla promozione del bene/servizio (es. pagine centrale dedicata ad una notizia, parti laterali del giornale relative ad un prodotto oppure aperura di un filmato promozionale, ecc.) FRA NORME SULLA PUBBLICITÁ COMMERCIALE ED EVOLUZIONE DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA Oggi esistono norme statali sulla pubblicità commerciale ma la comunicazione pubblicitaria ha subito un’evoluzione notevole. Quando un fenomeno in un qualsiasi ordinamento giuridico si confronta con un’evoluzione particolare di ciò che le norme di quell’ordinamento intendevano disciplinare in origine, c’è un solo soggetto deputato ad interpretare le regole scritte giuridiche (vincolanti) in modo da individuare in quelle disposizioni scritte delle regole che sappiano adattarsi alle nuove realtà che si pongono nel corso del tempo. È proprio il sistema autodisciplinare che ha dovuto fronteggiare casi particolari che hanno richiesto uno sforzo definitorio da parte del Giurì di autodisciplina pubblicitaria, una sorta di arbitro che prende decisioni (lodi). Esempi: mela della Apple con i colori del Gay Pride, mela con il morso che ricorda Alan Turing, la pubblicità della Barilla presenta un prodotto, un marchio e un attore (prima non era concepito). Comunicazioni aventi nuove caratteristiche riescono ad essere trasversali, con difficoltà per coloro che devono scrivere le norme (il diritto “rincorre” le norme); in tali casi non si scrivono regole ampie altrimenti il legislatore dovrebbe “rincorrere” i fenomeni, meglio regole che esprimono un approccio generale alla disciplina del fenomeno rispetto alla ricerca di specifiche regolamentazioni che vanno in crisi. Oliviero Toscani desiderava introdurre una nuova forma di comunicazione pubblicitaria la quale sottolineasse dei valori, passando dei messaggi, all’interno del legame tra consumatori e l’imprenditore del marchio. Il punto di confine sta nell’uso di tragedie umane e lo strumento pubblicitario (es. migrazioni). LE CD. SPONSORIZZAZIONI Si parla di sponsorizzazioni di fronte ad una comunicazione commerciale o pubblicitaria in senso lato caratterizzata dall’assenza dell’invito all’acquisto di un bene/servizio, per il modo con cui è costruito il messaggio. È una forma particolare di comunicazione promozionale (facendoci vedere qualcosa d’altro di istiga ad acquistarlo). Vede coinvolti due soggetti: il cd. sponsee che si obbliga dietro un corrispettivo in danaro/beni/servizi nei confronti di un altro soggetto, lo sponsor. L’obbligo sta nell’associare le proprie attività al nome/segno distintivo di un altro soggetto, il cd. sponsor. In questo modo si riesce, non a mostrare un prodotto da acquistare, ma divulgare un segno distintivo. Queste divulgazioni comportano un riferimento implicito al bene da acquistare, ma spesso le sponsorizzazioni si vedono applicate regole identiche a quelle della pubblicità commerciale. LA PUBBLICITÁ COMMERCIALE: I CD. CRITERI DI LICEITÁ La pubblicità commerciale rispetta la normativa statale o autodisciplinare qualora venga realizzata nel rispetto dei criteri di liceità. All’interno del Codice di consumo e del Codice autodisciplinare i caratteri leciti della pubblicità commerciale sono trattati allo stesso modo, senza distinzione tra i criteri di liceità (pubblicità rispettosa dei criteri presenti nel nostro ordinamento). Le condizioni di liceità sono normativamente predefinite cioè all’interno del Codice di consumo e del Codice autodisciplinare ci sono una/più disposizioni specifiche che spiegano le condizioni/criteri che deve rispettare la pubblicità commerciale. Inoltre, sono condizioni che devono essere rispettare indipendentemente dalla tipologia del mezzo di comunicazione/dello strumentario tecnico prescelti. LE TRE «CONDIZIONI DI LICEITÁ» La pubblicità deve essere: 1. Onesta: «palese» significa obbligo di trasparenza imposto all’operatore pubblicitario, ossia pubblicità immediatamente riconoscibile come tale e nettamente distinta da altre forme di comunicazione (anzitutto dalla comunicazione volta ad informare i cittadini dal punto di vista sociale, economico, sanitario, ecc.) per tutelare il consumatore più debole. Il consumatore vedendo la pubblicità di un prodotto deve capire di cosa si tratta e il suo utilizzo; ci sono prodotti che passano attraverso la marca (la marca ricorda il prodotto, es. borotalco Roberts) 2. Veritiera: «veritiera» per il Codice di autodisciplina significa obbligo di rispondenza al vero imposto all’operatore pubblicitario, l’obbligo consiste nel trasmettere ai fruitori informazioni aderenti alla realtà = conciliare la finalità promozionale con la rispondenza al vero delle informazioni trasmesse ai potenziali consumatori (NB: previsioni specifiche in tema di pubblicità ingannevole). Se il prodotto è quello che vedo tramite quella marca (es. borotalco Roberts) allora risponde a vere informazioni «Veritiera» per il Codice di autodisciplina significa obbligo di rispondenza al vero imposto all’operatore pubblicitario, possibilità di essere richiamato a dimostrare la veridicità di dati, affermazioni, illustrazioni, ecc. (es. se pubblicizzo un prodotto in cui viene coinvolto l’aspetto della salute è possibile che venga richiesta la fondatezza dell’affermazione, la presenza di evidenze scientifiche) 3. Corretta: «corretta» significa obbligo non solo di rispondenza al vero imposto all’operatore pubblicitario ma anche di trasmissione del messaggio pubblicitario in modo da non creare falsa rappresentazione della realtà del bene che viene reclamizzato. È corretta una pubblicità che con un’immagine chiarisce come viene realizzato un prodotto, che conduce alla modalità di creazione del prodotto o che riposta a caratteristiche della produzione del prodotto stesso SINTESI «PALESE» «VERITIERA» Criterio che attiene al «quomodo» della comunicazione pubblicitaria: obbligo generalizzato di «manifestazione» dell’intento persuasorio Criterio che attiene alla sostanza, al contenuto della pubblicità e al rispetto della verità dei fatti presentati al consumatore Il termine «palese» fa riferimento alla modalità (sto facendo pubblicità non informazione) Il termine «veritiera» fa riferimento alla sostanza che deve essere veritiera aldilà della forma evidente 21/10/2020 LA PUBBLICITÁ COMMERCIALE: TIPOLOGIE E LICEITÁ IL REQUISITO DELLA CORRETTEZZA Il Codice del consumo (D.lgs. 206/05) e il Codice di autodisciplina prevedono profili che riconducono al principio della correttezza: la pubblicità non deve MAI diventare lo strumento che direttamente o indirettamente finisce, influenzando in quanto scorretta il consumatore, con il ledere la sfera complessiva di interessi (non solo economici) di un concorrente. Il requisito della correttezza conosce due pilastri che vanno osservati anche da chi valuta che il messaggio rispetti la normativa statale e autodisciplinare. Ci sono aspetti strutturali (es. forma) e sostanziali (merito) del messaggio, quindi bisogna valutare quindi se il messaggio leda/non leda gli interessi dei consumatori (ricevere informazioni non corrette lede l’interesse ad essere adeguatamente informato) e dei concorrenti (non attaccare la credibilità del prodotto). IL PRINCIPIO DI TRASPARENZA E LE SUE DECLINAZIONI IL PRINCIPIO DI TRASPARENZA: IN GENERALE CODICE DEL CONSUMO I messaggi pubblicitari devono essere sempre riconoscibili come tali e poter essere distinti dal fruitore da ogni altro tipo di comunicazione (riconoscibilità ai fini di differenziazione rispetto ad altro tipo di comunicazione). Effetto sul fruitore: se il principio di trasparenza viene rispettato il fruitore (consumatore) di trova di fronte un messaggio che lo rende consapevole della finalità promozione che caratterizza il messaggio stesso e, se è consapevole, esercita un’attenzione adeguata (consumatore attento al messaggio che gli viene proposto). Il consumatore deve essere attento perché bisogna dargli strumenti per l’attivazione meccanismi di «autodifesa» ed essere in grado di fare una corretta decodifica della pubblicità commerciale. Le radio/telepromozioni sono inserite all’interno di un programma che non interrompono, presentando un prodotto forniscono all’utente informazioni, sono simili alle televendite ma con assenza dell’acquisto in via diretta. In origine furono introdotte dalle reti private per evitare i limiti sull’affollamento pubblicitario. Le tele/radiovendite sono offerte dirette al pubblico attraverso il mezzo televisivo o radiofonico per fornire, dietro pagamento, beni o servizi, compresi beni immobili, diritti e obbligazioni non a fini conoscitivi ma per riuscire a fare in modo che venga acquistato dall’interessato (consumatore reale) senza passare per canali distributivi intermedi (impossibilità di acquisto indiretto). Differenze rispetto agli spot: offerta la pubblico (art. 1336 c.c.): vera e propria proposta contrattuale, NON semplice sollecitazione a contrarre (ossia «invito ad offrire»). LE SPONSORIZZAZIONI Le sponsorizzazioni servono per finanziare non un singolo individuo ma un programma, ossia un contributo di imprese private/pubbliche (non impegnate in attività televisive, radiofoniche o di produzione di opera televisiva) con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o i prodotti dell’azienda purché non si facciano specifici riferimenti alle attività/ai prodotti del soggetto che ha finanziato il programma. Nella pubblicità c’è la promozione diretta di un determinato prodotto e l’invito all’acquisto. Nelle sponsorizzazioni c’è la divulgazione di un segno distintivo senza nessun invito all’acquisto, ma una presentazione visiva verbale di un segno distintivo (marchio, insegna, ecc.). Ci può essere una stretta correlazione economica tra programma sponsorizzato e sponsor. Il TUSMAR fissa criteri a tutela della libertà dell’operatore televisivo e dell’utenza; impedire che l’esigenza di guadagnare diventi uno strumento, nelle mani di chi invece vuole usare il veicolo radiotelevisivo per far circolare il proprio prodotto, spingendosi al punto da condizionare le scelte di programmazione dell’operatore televisivo o condizionare l’utenza incidendo sui programmi forniti. Sono ammesse sponsorizzazioni senza MAI ledere responsabilità/autonomia editoriale dell’emittente nei confronti delle trasmissioni. Il TUSMAR afferma che la sponsorizzazione televisiva invita all’ascolto, sono offerte di programma (es. programma offerto da…) che precedono il programma stesso o ringraziamenti per l’ascolto, oppure comunicazioni simili ai ringraziamenti a fine programma (cd. billboards). Ci deve sempre essere libertà editoriale anche se il programma è d’intrattenimento, quindi è escluso l’intervento sui contenuti del programma. SEMPRE esclusione di slogans pubblicitari e della presentazione di prodotto/servizi ma c’è l’indicazione del marchio menzionato. I CD. PROMOS I Promos sono programmi dei quali è prevista la trasmissione in un momento successivo. Come nella sponsorizzazione televisiva, non si sta vendendo il prodotto ma si sta ricordando il marchio (es. presentata da/offerta da…). LA SPONSORIZZAZIONE RADIOFONICA Le regole sono identiche a quelle relative alla sponsorizzazione televisiva, ma sono presenti eccezioni/differenze: 1. Segnali acustici trasmessi al momento dell’interruzioni dei programmi (cd. spot jingles), accompagnati dalle sole citazioni di nome/marchio dello sponsor 2. Insussistenza limiti numerici relativi ai cd. promos I LIMITI DELL’AFFOLLAMENTO PUBBLICITARIO LA DISCIPLINA DELLE INTERRUZIONI PUBBLICITARIE Che interrompano o meno, le pubblicità affollano la programmazione. Se non ci fosse una regola relativa all’affollamento pubblicitario non ci sarebbe una tutela ragionevole della concorrenza (chi si accaparra più pubblicità inciderebbe in modo negativo sul principio di concorrenza). Sotto il profilo dei limiti, la pubblicità si distingue in tabellare (spot), extratabellare (televendite) e telepromozioni. Fin dalla fine degli anni ’90 le telepromozioni non venivano equiparate agli spot, allora l’emittente poteva introdurre un numero eccessivo di telepromozioni per far passare una pubblicità non come spot e quindi riuscire a sottrarre la telepromozione ai limiti giornalieri di affollamento ancorato al modello dello spot. Sulla questione si sono pronunciati TAR Lazio, sent. n. 1987/1997 e Consiglio di Stato, Sez. II, parere n. 2481/2001 i quali affermano che si tratta di un modo di aggirare un limite, quello di ricorrere ad una comunicazione pubblicitaria diversa dallo spot. Il TAR Lazio sottolinea che non è tanto il tema della quantità di spazio che deve occupare il sistema radiofonico o televisivo (limite quantitativo), ma il limite è qualitativo: la sponsorizzazione influenza non solo in quanto è tanto ma per la sua persuasività. Non è considerata come “pubblicità”: 1. Una semplice citazione visiva o acustica nei titoli di testa/coda di un programma, del nome o del marchio delle imprese che abbiano contribuito alla realizzazione del programma stesso come coproduttori, SE nel programma non c’è comunicazione promozionale relativa (anche alle imprese rappresentate dal coproduttore), ad esempio se Barilla fa un programma legato all’assegnazione del premio Nobel ad un’organizzazione mondiale, Barilla rimane coproduttore se nel programma non c’è nessun riferimento al prodotto, invece Nestlè che fa latte condensato, biscotti, ecc. collegate all’impresa principale non avremmo il ruolo di coproduttore ma sarebbe pubblicità 2. Trasmissione di programmi artistici, culturali, sportivi o di intrattenimento o di informazione SE riproducono avvenimenti, manifestazioni o spettacoli non dovuti ad iniziative della concessionaria e dei quali essa abbia acquisito i diritti di ripresa e/o trasmissione ANCHE SE avvenimenti, manifestazioni o spettacoli sono sponsorizzati in ragione di accordi economici direttamente intercorsi fra i loro organizzatori e una o più imprese ai quali la concessionaria è rimasta estranea (es. un evento sportive è pieno di pubblicità, ma esso viene seguito per alter ragioni) R.A.I. CONSESSIONARIA PUBBLICA TU 2005: il divieto di eccedenza si calcola prendendo il 4% dell’orario settimanale di programmazione, il 12% di ogni singola ora e un’eccedenza eventuale del 2% nel corso di un’ora (ma da recuperare/compensare in quella antecedente o successiva). Queste percentuali tengono conto anche del canone, essendo una rete pubblica. C’è un divieto di eccedenza calcolato con regole ulteriori a seconda del tipo di pubblicità (tabellare/extra tabellare). RETI PRIVATE A LIVELLO NAZIONALE, AD ES. MEDIASET TU 2005: il divieto di eccedenza si calcola prendendo il 15% dell’orario giornaliero di programmazione, il 18% di ogni ora, eccedenza fino al 40% della programmazione quotidiana (per pubblicità extratabellare – spot), con distinzione trasmissione nazionale/locale. Questo calcolo si fonda sul fatto che le reti private vivono dell’introito pubblicitario che servono all’imprenditore a vivere in quel determinato ambito. Esistono dei principi generali che riguardano tutta la disciplina delle interruzioni pubblicitarie indipendentemente dal mezzo. Le comunicazioni commerciali, in generale, non possono pregiudicare integrità/valore dei programmi in cui sono inserite ma si devono rispettare intervalli naturali (non meno di 20 minuti tra interruzioni successive). Esiste una “classificazione” dei programmi che non si possono interrompere: di informazione (tg, notiziari, ecc. mai sponsorizzati), religiosi, di informazione, per bambini (mai pubblicità e televendite; interruzione commerciale solo se di durata superiore ai 30 secondi). Nel settore radiotelevisivo si applica il principio di trasparenza: riconoscibilità del messaggio grazie alla sua modalità di presentazione o di percezione (a livello radiofonico). I divieti: non fare pubblicità di medicinali, cure mediche con ricetta, prodotti a base di tabacco Criteri particolari: bevande alcoliche (effetti negativi sui minori) 22/10/2020 LA PUBBLICITÁ INGANNEVOLE C’è pubblicità ingannevole quando ricorrono due presupposti: 1. Idoneità della pubblicità a indurre in errore gli immediati destinatari di essa/i soggetti che raggiunge (il sole fruitore potrebbe essere tratto in errore) 2. Idoneità (dato il carattere mendace/ingannevole della comunicazione) a) a pregiudicare il comportamento economico dei consumatori b) o a ledere un concorrente Nella realtà non sono così distinti. Il fruitore viene tratto in inganno da un messaggio pubblicitario ingannevole, ma quando si trasforma in consumatore (fare una scelta economica, quindi l’acquisto) il comportamento economico è già stato pregiudicato, quindi proprio per questo quando viene fatta la scelta si scarta il prodotto di un concorrente perché si sceglie il prodotto che ci ha tratto in inganno In teoria: due fattispecie distinte (1. e 2.): momento (comune) della capacità decettiva/ingannevole del messaggio 1. Pregiudizio del comportamento economico dei fruitori del messaggio 2. Semplice lesione del concorrente Nella realtà: 3. Difficile distinzione dei due illeciti 4. Oppure: interpretazione estensiva della nozione della nozione di pregiudizio economico (non ancorata all’acquisto) La pubblicità ingannevole non chiede che ci sia un intento da parte dell’operatore pubblicitario, ci troviamo infatti di fronte ad un illecito «oggettivo»: abbiamo due fattispecie di illecito a carattere puramente oggettivo, sia quella che incide sul consumatore che quella che indice sul corretto funzionamento del mercato prescindono dalla colpevolezza dell’operatore pubblicitario. È indifferente che l’operatore pubblicitario avesse l’intenzione di indurre in inganno il fruitore e abbia elaborato questa intenzione quando ha creato il messaggio e poi lo ha divulgato. Si parla quindi di illecito «di pericolo»: non importa l’effettiva induzione in errore del destinatario del messaggio, non importa l’effettiva lesione del comportamento economico del destinatario del messaggio o del concorrente, in rilievo viene la mera (semplice) idoneità della pubblicità a produrre conseguenze pregiudizievoli sul consumatore potenziale (fruitore) o sul concorrente. L’illecito «di pericolo», quando c’è un soggetto diverso dal fruitore o dal concorrente sul mercato che non ha usato la pubblicità ingannevole chiamato a giudicare se la pubblicità è ingannevole, allora se la pubblicità è ingannevole gli interpreti (Agcm –Autorità garante della concorrenza e del mercato– e Organi di Autodisciplina) hanno un unico strumento di valutazione: qualora vi sia il concreto prodursi dell’effetto potenzialmente decettivo, allora la condotta è censurabile e il messaggio viene valutato in relazione alle sanzione che possono essere applicate a quel messaggio. La valutazione riguarda il contenuto del singolo messaggio pubblicitario, NON di un’intera campagna promozionale, quindi deve essere relativa ai caratteri essenziali del prodotto/servizio pubblicizzato. Gli interpreti valuteranno il messaggio in base al contenuto di immagini e informazioni e alle omissioni informative (si può tratte in inganno anche omettendo di dire qualcosa, es. effetti collaterali di un prodotto). Intorno alla valutazione dell’ingannevolezza del messaggio, sta anche la valutazione della capacità di decodifica del fruitore del messaggio. L’ingannevolezza è un concetto di per sé relazionale perché va valutato secondo un preciso parametro di riferimento. Gli interpreti (Giurì di Autodisciplina e Antitrust) assumono che ci sia asimmetria informativa tra il fruitore del messaggio e l’operatore pubblicitario (crea e dà contenuto al messaggio), quindi si individua come parametro il «consumatore medio» o il «consumatore più sprovveduto», espressione che deriva dalla normativa dell’UE di quei tempi, indicando un soggetto che non è in grado di decodificare quanto ha di fronte a sé. L’attitudine ingannatoria di un messaggio pubblicitario altera la scelta economica del consumatore e di conseguenza si traduce in una lesione del concorrente. Dal punto di vista privatistico, questo risultato è La pubblicità comparativa, per quanto riguarda i rapporti concorrenziali , ha un volto di vantaggio e svantaggio. Fare una pubblicità comparativa che permette di comparare un prodotto nuovo consente al nuovo prodotto di posizionarsi sul mercato o entrare in mercati mono-oligopolistici (vantaggio). Un prodotto nuovo, se sceglie lo strumento della comparazione, è vincolato alle caratteristiche fondamentali del prodotto con cui si vuole fare la comparazione, quindi riduce la libera possibilità di scelta delle informazioni da veicolare (svantaggio). I CRITERI DI LICEITÁ I tre criteri del Codice del Consumo e del Codice di Autodisciplina hanno una nozione ampliata con riferimento alla pubblicità ingannevole (dovrà sottostare quindi al divieto di ingannevolezza). La nozione è agganciata ad una valutazione che riguarda: a) contenuto e presentazione del messaggio (profilo comune) ossia merito e forma b) ingannevolezza del confronto (esclusivamente beni/servizi relativi a eguali esigenze/obiettivi- segmenti di mercato)  Comparazione delle caratteristiche a) essenziali dei beni/servizi raffrontati (soprattutto se comparazione parziale): «essenziali e pertinenti», «rappresentativi», «verificabili», b) settoriale (prodotti con denominazione di origine)  Divieto comparazione caratteristiche simili: se non vi è un vantaggio informativo per il consumatore, ossia dalla comparazione delle caratteristiche essenziali del bene/servizio raffrontato non traggo informazioni che mi fanno scegliere più consapevolmente allora non traggo un vantaggio informativo che possa giustificare quella comparazione, ma può accadere una comparazione «parassitaria» o di «agganciamento»: non sfrutto la comparazione per dare maggiori informazioni sul prodotto, ma il paragone con l’altro riesce a trascinare il prodotto, con rischio di imitazione/contraffazione di beni/servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale (depositati) LA PUBBLICITÁ DEI PRODOTTI PERICOLOSI Esistono prodotti pericolosi per la salute o la sicurezza dei fruitori/consumatori. Divieto di pubblicizzare prodotti che possono essere rischiosi in quanto inducono i fruitori/consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza. Secondo il Codice del Consumo vi sono due fattispecie che integrano la pubblicità di prodotti pericolosi: 1. Omissione informativa circa la pericolosità del prodotto pubblicizzato 2. Idoneità dell’omissione a determinare i destinatari a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza Per Agcm e Giurì di Autodisciplina pubblicitaria: attenzione rivolta non alla pericolosità del prodotto pubblicizzato ma al nesso fra obbligo di informazione (del produttore) e assunzione di comportamenti imprudenti da parte del fruitore/consumatore (a causa dell’omissione/cattiva informazione il consumatore ha assunto comportamenti imprudenti). I prodotti «pericolosi» sono: farmaci, prodotti dimagranti, sigarette “lights”, ecc. PUBBLICITÁ E MINORI Ci troviamo non di fronte al consumatore medio ma ad un soggetto che per caratteristiche psicofisiche è maggiormente esposto a messaggi pubblicitari che possono “ingannarlo”, richiedendo quindi un’elevata tutela. Codice del Consumo e Codice di Autodisciplina definiscono la pubblicità ingannevole per i minori o i bambini; ai fini della qualificazione della pubblicità come ingannevole si individuano tre fattispecie e la rilevante presenza di “bambino” o “adolescente”. Pubblicità «ingannevoli» per bambini e adolescenti se: 1. Minacciano la sicurezza (fisica non psicologica) dei bambini e degli adolescenti 2. Abusano della credulità o mancanza di esperienza dei bambini e degli adolescenti 3. Impiegano minori abusando di conseguenza dei sentimenti degli adulti per i bambini e gli adolescenti Pubblicità «ingannevoli» se (ad 1): inducono a una condotta pericolosa indipendentemente dal destinatario del messaggio, importa invece toccare la sicurezza fisica (e/o psichica). Pubblicità «ingannevoli» se (ad 2): inducono in errore a causa della minore capacità decodificativa data dall’età, la quale amplia la portata dell’ingannevolezza dato questo parametro di giudizio (rende più forte il parametro di giudizio). Pubblicità «ingannevoli» se (ad 3): divieto impiego di minori di 14 anni nella pubblicità a causa della genericità della formulazione: vietato l’uso del minore se questo uso equivale a forme velate di ricatto/violenza morale sugli adulti, ad es. allarmismo, senso di inferiorità dato dal mancato acquisto del prodotto, ecc. (esercitare pressione negativa sul sentimento dell’adulto tramite l’adolescente). 26/10/2020 L’AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA LA COMUNICAZIONE COMMERCIALE: LO IAP E IL SUO CODICE IL CODICE DELLA COMUNICAZIONE COMMERCIALE La prima edizione del Codice di autodisciplina pubblicitaria risale al 12 maggio 1966, momento storico nel quale non esisteva ancora il Codice del consumo e nemmeno un testo unico sulla radiotelevisione o sui servizi/media audiovisivi. Si avverte lo stesso l’esigenza di normativa e per questo si scrivono, tra soggetti privati attivi in quel settore e che si occupano di quel settore, delle norme private (non confondere con il diritto privato). Il codice è una somma di norme che nascono in base ad un accordo tra UPA (Utenti Pubblicità Associati) e FIP (Federazione Italiana della Pubblicità). In questo codice vengono scritte regole a cui dovrà attenersi chi si occupa di pubblicità, crea anche un ordinamento giuridico minore (coesiste con quello dello Stato) e anche dei soggetti per monitorarla o giudicarla. Il codice nato nel 1966 nel corso del tempo subisce modifiche del testo e innovazioni, tanto che oggi parliamo non più di Codice di autodisciplina pubblicitaria ma di Codice della comunicazione commerciale. Queste norme autodisciplinari non sono poste dallo Stato o dall’UE ma dagli operatori del settore, di conseguenza: Codice vincolante SOLO per aziende (che investono in pubblicità), agenzie, consulenti pubblicitari, mezzi di diffusione della pubblicità, loro concessionarie. Per fare in modo che le regole del Codice trovino uno spazio di applicazione sempre più ampio, ossia diventare normativa privata di riferimento per la maggior parte degli operatori di settore, esiste un escamotage per ampliare il gruppo dei soggetti sottoposti al codice: clausola di accettazione. Deve essere inserita obbligatoriamente nei contratti standard di pubblicità, ossia il soggetto che sottoscrive il contratto accetta di rispettare le pronunce del Giurì di autodisciplina pubblicitaria, soggetto che decide se una pubblicità rispetta o meno il Codice della comunicazione commerciale, questo vuol dire che questi soggetti devono adeguarsi alla pronuncia del Giurì (lodo) per rispettare le regole che altrimenti non seguirebbero. Questa clausola non riguarda la diretta accettazione del codice, ma il rispetto della pronuncia del Giurì. Nel 1976 il Tribunale di Milano si trova a dover decidere sul Caso Armando Curcio S.p.A. contro il Giurì di autodisciplina: Armando Curcio vuole sottrarsi al rispetto delle decisioni del Giurì. Il Tribunale di Milano riconosce l’efficacia vincolante dell’autodisciplina anche in sede di ordinamento statale, cioè le norme del Codice della comunicazione commerciale vanno osservate come “usi e consuetudini commerciali”. Questo ordinamento a fini minori non contrasta con lo Stato e ha una collocazione privilegiata all’interno dell’ordinamento statale. FINALITÁ E STRUTTURA DEL CODICE La finalità del Codice è assicurare che la comunicazione pubblicitaria sia un servizio per il pubblico con speciale riguardo alla sua influenza sul consumatore e ha un ruolo particolarmente utile nel processo economico (imprese, aziende). La struttura del Codice:  Norme preliminari e generali  6 Titoli  46 Articoli  Regolamenti DISCIPLINA DEL CODICE Il Codice si occupa della disciplina di due diversi ambiti di pubblicità: pubblicità/comunicazione commerciale (o pubblicitaria) e pubblicità/comunicazione sociale. La prima ha finalità promozionale, mentre la seconda non ha finalità promozionale. Titolo VI del Codice: comunicazione sociale è qualunque messaggio che senisibilizzi il pubblico su temi di interesse sociale, o che solleciti il volontario apporto di contribuzioni di qualsiasi natura per realizzare scopi di natura sociale (es. sostenere ricercar scientifica su malattie particolari). ORGANI DI AUTODISCPLINA E AGCM Gli Organi di Autodisciplina:  Costituiscono un soggetto privato (non privatistico)  Fondamento giuridico convenzionale: l’esistenza di Comitato di controllo e Giurì nasce dall’accordo tra soggetti privati  Attribuzioni attivabili solo su impulso dei soggetti sottoposti al suo controllo: competenze attivabili solo su iniziativa dei soggetti sottoposti al controllo di quell’organo, non da parte di soggetti esterni  Giudizi vincolanti solo per gli associati, ma grazie alla clausola di accettazione acquistano valenza più ampia Agcm:  Organismo statale  Fondamento pubblicistico: nasce grazie alla previsione normative di un atto (legge) dello Stato  Tutela degli interessi della collettività tutta  Attribuzioni fissate dalla legge COORDINAMENTO FRA ORGANI DI AUTODISCIPLINA E AGCM Questo coordinamento riguarda la pubblicità ingannevole che porta i consumatori a fare scelte che altrimenti non avrebbero fatto, falsando di conseguenza la corretta concorrenza sul mercato. Negli organi di autodisciplina il procedimento è distinto da quello dell’Agcm, solo nel relativo ambito ha efficacia vincolante, le parti coinvolte possono stabilire in via convenzionale di non instaurare il procedimento amministrativo (dinanzi all’Agcm) fino alla decisione definitiva del Giurì. Soltanto l’Agcm può agire su istanza di parte, può anche sospendere discrezionalmente il procedimento amministrativo in corso (per non più di 30 giorni) se il procedimento amministrativo e quello avviato in sede autodisciplinare sono stati instaurati in relazione alla stessa fattispecie concreta (stesso caso) senza però poi risultare vincolata alla decisione del Giurì (l’Agcm può distaccarsi dalla decisione presa dal Giurì). È importante che l’Agcm possa assumere gli atti della decisione del Giurì per tenerne conto quando deve motivare la sua decisione (in sede motivazionale). GLI ORGANI DI AUTODISCIPLINA Sono il Comitato di controllo e il Giurì e vanno distinti dall’Agcm (organo statale). È solo il Giurì che giudica, è una sorta di arbitro che le parti scelgono e di cui si impegnano a rispettare le decisioni che prenderà, l’arbitro pronuncia poi una sentenza chiamata lodo. Giurì e Comitato hanno entrambi dei principi per il giudizio: libero convincimento, non rappresentano gli interessi di una certa categoria/imprenditore, la parte relativa al rapporto tra Comitato di controllo-consumatori, tra Giurì-imprenditori e prima della pronuncia del Giurì deve essere accompagna dal massimo riserbo. IL COMITATO DI CONTROLLO Il Comitato di controllo è il soggetto a cui si rivolgono i consumatori se ritengono necessario segnalare una pubblicità che non rispetta le norme del Codice di comunicazione commerciale: è l’organo garante degli interessi generali dei consumatori. I membri:  Nominati dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) LE CONSEGUENZE DELLA DECISIONE DEL GIURÍ L’ordine di desistenza è una sanzione significativa (accompagnato dalla pena aggiuntiva eventualmente della pubblicazione) per il danno derivante dal mancato utilizzo della campagna pubblicitaria, quindi è un danno all’attività commerciale (soprattutto quando vengono fermate pubblicità di breve durata, come quelle di Natale), inoltre vi è anche un danno all’immagine aziendale, ossia la vera sanzione non è un danno pecuniario ma all’immagine aziendale che può danneggiare la credibilità e far allontanare i consumatori. LA PUBBLICITÁ “ISTITUZIONALE” Caso della pubblicità Benetton In questo caso non vi è sola una promozione o uno scopo promozionale dell’immagine dell’oggetto ma c’è uno specifico contesto umano che richiama il marchio (United colors) che riguarda non solo i vestiti colorati ma i bambini di tutto il mondo per indicare tutto il valore positivo che sta dietro al prodotto. Questo tipo di pubblicità rimane nello schema della pubblicità commerciale. In questo secondo caso non si vede più il marchio sugli abiti, le persone sembrano appartenere ad un gruppo molto simile (stesso colore dei capelli e della pelle). Gli unici segni distintivi sono il fiocchetto rosso e la spilla arcobaleno (movimento del Pride e i valori che esso vuole difendere). Questa di certo è una comunicazione pubblicitaria. Nella terza foto si mostra la tragedia dell’immigrazione, del salvataggio in mare. Questa immagine è accompagnata dal logo che pubblicizza i prodotti di Benetton. Qui però è difficile assegnare questa immagine come pubblicità commerciale, avente un fine promozionale. Il Titolo V del Codice riguarda la tutela della creatività. Le creazioni pubblicitarie non sono protette per legge. Il materiale relativo (ad es. storyboard) può essere depositato presso la Segreteria IAP ottenendo in questo modo la protezione di questo materiale rispetto ad indebite utilizzazioni: a) dei progetti di campagne pubblicitarie (3 anni) b) dei progetti di campagne pubblicitarie a stampa (12 mesi) c) dei progetti di campagne pubblicitarie radio/televisive (18 mesi) Il mezzo è uno strumento significativo ed importante per il tempo di durata della protezione offerta dall’autodisciplina all’interno del Codice di autodisciplina. In mancanza di un nesso tra mezzo e comunicazione pubblicitaria non si avrebbe né la previsione all’interno del Codice, né la differenziazione temporale della protezione. 28/10/2020 LA PUBBLICITÁ «ISTITUZIONALE» La pubblicità istituzionale è sempre uno strumento per la piena realizzazione dell’iniziativa economica privata (raccolta risorse, principalmente finanziarie) oppure è una forma di comunicazione che può essere riportata alla manifestazione del pensiero? È un fenomeno da ricondurre alla base costituzionale fornita dall’art. 41 o a quella fornita dall’art.21 Cost.? Questa questione nasce negli anni Ottanta-Novanta quando Oliviero Toscani è il fotografo che si occupa delle campagne pubblicitarie di Benetton. Egli sostiene che la pubblicità commerciale (o la pubblicità tout court) non è solo uno strumento promozionale ma una forma di comunicazione vera e propria. L’art. 21 Cost. permette nel nostro ordinamento di osservare la manifestazione libera del proprio pensiero come la pietra angolare della democrazia esistente: tutti, non solo i cittadini, hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero; il costituente si focalizzava sulla stampa e che un divieto alla manifestazione del pensiero era esclusivamente perché contrarie al buon costume (concetto-valvola). L’art. 41 Cost. è dedicato all’iniziativa economica privata, la quale è libera e si svolge da parte del singolo nell’interesse “egoistico”, per questo non può essere in contrasto con l’utilità sociale in modo da recare danno a sicurezza, libertà e dignità umana. Se la pubblicità commerciale è una forma di comunicazione allora, da un lato potrebbe essere strumento servente l’iniziativa economica privata ed essere sottoposta a dei limiti: rispettare l’utilità sociale (predisposta a raggiungere un bene collettivo), senza danneggiare sicurezza, libertà e dignità umana; tuttavia, chiamandola comunicazione commerciale facciamo riferimento all’art. 21, comma 1, e rientra tra gli altri mezzi che permettono la manifestazione del pensiero. Premessa: la pubblicità istituzionale si colloca tra ciò che serve al mercato, nel rispetto di valori etici, o tra gli strumenti che possono comunicare valori etici ma nascono incidentalmente in relazione ad esigenze del mercato? Perché da un certo momento in poi Benetton sceglie di utilizzare un’immagine che non ha nulla a che fare con il suo prodotto, ma accompagnata dalla denominazione dell’azienda stessa? Il Giurì di Autodisciplina si confronta con questo tipo di immagine nel 1992, dove viene adottata la decisione 5 febbraio 1992, n. 21, in Giurisprudenza Pubblicitaria. La raffigurazione del cimitero di guerra: Giurì, Decisione 5 febbraio 1992, n. 21 La posizione del Comitato di controllo Il Comitato constata che il messaggio pubblicitario viene pubblicato su Corriere della Sera e Sole 24Ore, viene adottato e poi diffuso in ragione di una politica pubblicitaria vera e propria improntata a concetti di integrazione razziale (tra gruppi etnici diversi) e di unione tra i popoli: si tratta di una politica pubblicitaria che vuole veicolare valori positivi (siamo tutti uniti, siamo uguali nelle differenze). Questa politica pubblicitaria quando adotta una raffigurazione evoca una tragedia universale che avrebbe potuto tradursi nello sfruttamento dell’angoscia collettiva per promuovere e rinforzare l’immagine dell’impresa. Per questi motivi il messaggio è in contrasto con gli artt. 1 (pubblicità deve rispettare esigenze di consumatori e imprese) e 10 (pubblicità fatta da soggetti e valori meritevoli di attenzione) Codice di autodisciplina. Un messaggio come questo non rientra nelle espressioni tipiche della libertà di manifestazione del pensiero perché l’espressione della libertà del pensiero è tipica delle persone singole o delle loro associazioni, invece l’opinione d’impresa (si accetta che l’impresa possa avere un’opinione) riflette sempre gli interessi commerciali dell’impresa stessa. La raffigurazione del cimitero di guerra: Giurì, Decisione 5 febbraio 1992, n. 21 La posizione del Giurì di Autodisciplina Il Giurì afferma che il messaggio pubblicitario che raffigura il cimitero di guerra mette in gioco la capacità di un messaggio di non rimanere soltanto nei confini della pubblicità commerciale. La pubblicità commerciale se vuole avere finalità promozionale accoglie stereotipi positivi che danno un’immagine di una vita positiva e priva di eventi drammatici. Un messaggio pubblicitario potrebbe rifiutare uno stereotipo positivo e usare nuove modalità espressive riconducibili alla base giuridica della libertà di espressione. Il Giurì afferma che si tratta di un esperimento: questi messaggi pubblicitari dimostrano che Benetton con Toscani è alla ricerca di nuovi modelli di comunicazione; questa ricerca potrà essere una svolta: di solito la pubblicità commerciale avendo finalità promozionale mette avanti il prodotto accompagnato dal marchio, invece questa svolta mette avanti solo un marchio che non vuole veicolare solo un certo prodotto ma trasmettere determinati valori. IL Giurì sembra accogliere questa svolta, ossia ci troviamo non più di fronte a pubblicità commerciale ma alla comunicazione commerciale. Sta andando in contro ad applicare l’art. 21 o sta dicendo che la comunicazione pubblicitaria è un fenomeno che può cadere sotto l’art. 21 Cost.? Se così dicesse, allora non spetta al Giurì giudicare quel tipo di messaggio in quanto egli si occupa della pubblicità commerciale e ricondurla alle regole del Codice di autodisciplina, se questa fosse una forma comunicazione “pubblicitaria” il compito spetterebbe al magistrato ordinario. Il Giurì dice che il messaggio non rientra nelle espressioni tipiche della libertà di manifestazione del pensiero, ma afferma che si può ammettere che anche la pubblicità è manifestazione del pensiero, al pari di altre manifestazioni, ma ciò non toglie che, come ha rilevato la Corte costituzionale, essa deve essere sottoposta a limiti più severi di altre forme di comunicazione (art. 41, comma 2), perché è strumentale ai fini economici dell’impresa. È pur vero che non si sono norme che vietino che la pubblicità faccia riferimento a valori non collegati con il prodotto (non c’è nessun divieto a veicolare con un messaggio pubblicitario un pensiero/valore disgiunto dal prodotto), ma esistono limiti alla pubblicità suggestiva che s’intrometta nella sfera dei valori più sacri. Toccando valori sacri e vicini alla sfera intima della persona, si ritiene il messaggio pubblicitario in contrasto con l’art. 10 Codice autodisciplina. Rivista Life: le condizioni dei malati di Aids David Kirby era un malato di Aids presso l’ospedale della Ohio State University e ha voluto che si realizzasse questo reportage nella fase finale della sua malattia per farla conoscere al mondo che aveva il pregiudizio che malattia colpisse solo le persone omossessuali. Theresa Frare ha scattato le immagini, Life fa il servizio sui malati di Aids, nell’ambito dell’impresa giornalistica (diritto ad informare/essere informati). Oliviero Toscani riprende la stessa fotografia e invece che mantenerla in bianco e nero la trasforma in una fotografia a colori. Questa fotografia porta il Giurì alla decisione 20 marzo 1992, n. 24. C’è un nesso con la giurisprudenza relativa alla raffigurazione del cimitero di guerra. La raffigurazione del cimitero di guerra: Giurì, Decisione 5 febbraio 1992, n. 21 La posizione del Comitato di controllo Il messaggio pubblicitario costruito riprendendo la foto di Theresa Frare ha esclusivamente «carattere provocatorio», non accettando l’evoluzione da pubblicità commerciale e comunicazione pubblicitaria. Obiettivi e rete di organizzazioni (soggetti responsabili dell’alleanza): promuovere un’ampia alleanza di responsabilità o etica della comunicazione commerciale comporta rintracciare, nei diversi paesi interessati, una rete di soggetti che contribuiscono alla piena realizzazione degli obiettivi dell’EASA. Esistono 40 organizzazioni che rappresentano 27 autodiscipline nazionali europee e 13 organizzazioni che rappresentano a livello internazionale l’ecosistema della pubblicità (pubblicitari, agenzie e media). Tutto ciò fa emergere l’importanza che viene data ad un’etica, ad un senso di responsabilità nell’utilizzo della pubblicità commerciale. Qui troviamo uno dei principi di apertura del Codice di autodisciplina da intendere nel senso in cui si riconosce alla pubblicità commerciale un valore particolare perché interessa sia i consumatori/fruitori sia il mondo imprenditoriale in tanti diversi settori. Questo approccio lo ritroviamo in questa alleanza nell’ampia articolazione di soggetti interessati alla promozione di una pubblicità responsabile. L’alleanza è il punto di raccolta dei sistemi autodisciplinari esistenti a livello europeo o internazionale, il codice che reggerà l’alleanza non potrà essere in contrasto con i codici di autodisciplina delle varie autodiscipline nazionali. Esiste uno strumento chiamato Cross-Border Complaints system (CBC) che coinvolge le diverse autodiscipline in modo che il consumatore/fruitore che vive nell’UE quando osserva una pubblicità che arriva da uno stato europeo o extra-europeo può lamentare la violazione di principi etici di pubblicità rispetto ad un messaggio non nazionale. La rete operativa dell’alleanza si fonda su diversi soggetti come consumatori, industrie specifiche che creano pubblicità commerciale e regolatori (autorità amministrative indipendenti, es. Antitrust). RUOLO DELL’ALLEANZA Riferimento normativo (prassi e principi): consentire all’ecosistema della pubblicità commerciale attraverso le autodiscipline pubblicitarie di introdurre all’interno di ogni paese degli standard etici elevati in tema di pubblicità commerciale. Per dare concretezza a questi standard, l’alleanza ha un ruolo importante, infatti è in seno ad essa che nasce il modello delle migliori prassi ( Best Practice Model) e la carta dell’alleanza (EASA’s Charter) che raccoglie elevati standard di livello operativo che devono essere rispettati da tutti gli operatori del settore (creatori di pubblicità commerciale). È importante un costante confronto tra i soggetti che fanno parte dell’ecosistema della pubblicità all’interno di un foro che li unisce tutti, così facendo l’EASA diventerebbe il luogo in cui discutere questa forma pubblicitaria senza scopo promozionale del prodotto, inserendo all’interno del carta dell’EASA o del Best Practice Model delle nuove prassi o regole vincolanti con lo scopo di far applicare gli standard etici dopo un confronto tra molti soggetti coinvolti e di paesi diversi al fine di migliorare EASA, prassi, carta e di conseguenza anche le autodiscipline. OBIETTIVI DELL’ALLENZA - Gli standard etici affidati alle migliori prassi e alla carta, in tema di pubblicità commerciale, sono attuati grazie alle varie autodiscipline nazionali. Il buon costume è concetto-valvola sia dal punto di vista storico della società che dell’ambito territoriale-culturale, perciò l’EASA con questo obiettivo non obbliga magari le autodiscipline nazionali a fare propri degli standard che sono sentiti come tali nel paese di appartenenza? L’EASA invece persegue obiettivi che troviamo nel Codice del consumo e nel Codice di autodisciplina, quindi avere un livello transnazionale o internazionale che persegue questi livelli di liceità significa che le autodiscipline quando devono confrontarsi con autorità amministrative indipendenti nazionali godono, grazie al fatto che gli standard arrivano dall’EASA, di una maggiore credibilità  La maggiore credibilità assicura che l’autodisciplina diventi la miglior disciplina possibile, cioè l’autodisciplina sia benefica se non addirittura meglio rispetto alla norma statale  EASA aiuta a fare in modo che le pubblicità siano legali, decenti, oneste, veritiere, preparate con un senso di responsabilità sociale e create con il dovuto rispetto di regole e competizione leale L’autoregolazione in materia pubblicitaria viene osservata e sostenuta come la migliore forma di regolazione possibile e che investe una serie di mezzi. L’EASA sottolinea che le regole di autodisciplina, ossia determinati criteri a livello transazionale o internazionale, riguardano tutta la pubblicità commerciale, indipendentemente dal mezzo. Protezione dei consumatori: i consumatori, secondo la normativa dell’UE, sono l’anello debole della catena del mercato e infatti per questo si considera il consumatore medio (capacità non elevata di decodificare il messaggio pubblicitario). L’EASA afferma che la comunicazione commerciale è pilastro del mercato, dell’economia e di un interesse che riguarda il consumatore, il quale va ben informato rispetto ai prodotti/servizi a cui può essere interessato. Da un lato la pubblicità commerciale è risorsa essenziale di coloro che esercitano l’iniziativa economica privata e dall’altro è un elemento vitale in relazione al fatto che quell’economia o esercizio di impresa funzioni in un mercato equilibrato, con buone prassi e standard etici elevati, se il consumatore viene informato correttamente rispetto a prodotti/servizi. La pubblicità commerciale diventa l’elemento che contribuisce ad informare il consumatore ed essere un meccanismo che muove l’economia del mercato di qualunque prodotto. Per raggiungere questo obiettivo all’interno delle comunità dei vari stati nazionali è necessario che le autodiscipline si adoperano in questo senso. L’EASA vuole fare in modo che il consumatore o le associazioni di consumatori possano esprimere la loro opinione contraria a livello non solo nazionale, ma anche transnazionale o internazionale. È come se ci fosse un ulteriore grado nella scala di protezione dei consumatori: il consumatore può rivolgersi alla disciplina nazionale (Comitato di controllo) o all’EASA (riesce a proteggersi da pubblicità che arrivano da pesi diversi dal consumatore e dall’autodisciplina) e può inoltre segnalare, senza costi, la violazione da parte di un operatore pubblicitario della carta o delle prassi dell’EASA. Anche qui troviamo l’ inversione dell’onere della prova (chi fa la pubblicità deve dimostrare di non aver commesso la violazione). Impresa pubblicitaria: il successo dell’impresa dipende anche dalla reputazione del marchio. Se il consumatore pone fiducia in un’impresa, allora questa avrà credibilità sul mercato, pertanto, non si vuole aiutare solo il consumatore ad avere fiducia in quelle pubblicità di cui ne fa uso, ma anche il marchio ad essere credibile portando di conseguenza un aumento nella vendita dei prodotti. Regolatori: soggetti presenti a livello verticale degli stati e che, grazie a questi standard, possono trarre beneficio anche dalla loro regolamentazione: quando fissano regole o prassi che trovano applicazione all’interno delle norme private, possono vedere rafforzati gli strumenti che loro stessi usano per rafforzare il mercato. Non vi è nessun costo (ideazione, lavoro, studio, riunioni) per i regolatori nazionali o europei in quanto tali costi sono sostenuti dalle autodiscipline o dall’EASA. Valori da perseguire: responsabilità, informazione, standard applicati e giuste regole applicate dai regolatori, nuove tecnologie, capacità della pubblicità commerciale di rispondere in modo efficace e veloce agli sviluppi delle società contemporanee. Se la pubblicità deve rispettare i criteri di liceità (legale, decente, onesta, veritiera) allora le pubblicità commerciali devono essere preparate con un approccio di responsabilità sociale (descritto nelle norme preliminari generali del Codice di autodisciplina) ossia l’interesse per la più ampia fascia possibile di pubblico. Le pubblicità devono rispettare i principi della concorrenza leale sul mercato e non devono fare diminuire la credibilità della pubblicità come istituto (rischiare che il consumatore ritenga di non potersi affidare alla pubblicità commerciale). Questi principi accomunano i sistemi di autodisciplina nazionale e l’alleanza. Le discipline nazionali ed europee forniscono la cornice normativa, giuridica, pubblica (cioè dello Stato italiano e dell’UE) dove si deve riportare l’autodisciplina dei membri dell’UE e anche dell’EASA. È un ordinamento giuridico a fini minori la cui esistenza è importante in modo tale che da essere vicina a questioni che riguardano un determinato settore o i suoi operatori, senza contrastare l’ordinamento giuridico statale: autodisciplina nazionale e dell’EASA non possono violare il quadro giuridico generale dell’UE e degli Stati membri. Queste regole hanno un valore giuridico paragonabile alle prassi, usi e consuetudini della Camera Internazionale del Commercio (ICC), dei Codici Consolidati in materia di pubblicità commerciale e comunicazione di marketing. Corpo che scrive il codice: fatto dai rappresentati dei rami più significativi dell’industria della pubblicità commerciale che si sono occupati di scrivere la prima versione di questo codice e poi, dove necessario, l’hanno aggiornato. Applicazione del codice: un segretariato permanente si occupa di monitorare l’applicazione del codice (ricorda il Comitato di controllo), controllare una pubblicità prima della sua pubblicazione (ricorda i pareri preventivi del Comitato di controllo) e vagliare le lamentele dei consumatori in relazione a violazione del codice. Giurì indipendenti e imparziali: scelti tra figure professionali, responsabili di interpretare il codice qualora una lamentela inerente a una pubblicità sia stata archiviata dal pubblico generale o dai concorrenti e di decidere in merito all’applicazione di sanzioni. Qualora venga chiesto di desistere dal proseguire la diffusione del messaggio si impone un costo alto per chi contava su quella pubblicità, perché quella produzione ha avuto un costo e non vi è nemmeno il vantaggio di ritorno in quanto deve essere interrotta. In secondo grado, la decisione di questo Giurì può essere pubblicata, in inglese si dice “name and shame” (nome e vergogna), quindi una grande impresa preferirebbe versare anche grandi quantità di denaro piuttosto che vedere pubblicata una decisione che fa perdere credibilità al marchio. Qualora, in vasi eccezionali, vi siano state più segnalazioni per ripetute violazioni, la sanzione “name and shame” non serve più e l’EASA allora potrebbe mettersi in contatto con i regolatori nazionali o con le autorità nazionali competenti (magistratura nazionale). Conformità: tutta l’industria della pubblicità commerciale ha interesse a fare funzionare questo impianto nel suo complesso perché ritorna a favore della stessa industria. Procedura di appello (secondo grado): se si va di fronte al magistrato competente a livello nazionale ci sarà poi un secondo grado di giudizio impugnando la decisione. L’autodisciplina non fornisce il secondo grado, ossia quando il Giurì ha preso la decisione non può esistere un ulteriore grado di decisione. Qui però esiste la procedura di appello basata sull’idea del giusto processo: le persone che hanno preso una prima decisione in merito ad una pubblicità, qualora serva pronunciare una seconda decisione, non dovrebbero essere le stesse, pertanto non esiste un vero e proprio doppio grado di giudizio all’interno dell’EASA (il Giurì che assume le decisioni è uno solo), ma il Giurì non dovrebbe mai essere costituito dalle stesse persone che hanno preso la decisione precedente. Assemblea generale: si riunisce una volta all’anno nell’incontro annuale generale, è l’organo di vertice dell’EASA che assume le decisioni più significative ed è composta da tutti coloro che sono membri dell’EASA i quali devono rispettare tutte le decisioni dell’EASA. Comitato dei direttori: responsabile per l’amministrazione dell’EASA, viene eletto durante l’Assemblea generale ogni due anni ed elegge il comitato esecutivo dell’EASA. Comitato esecutivo: responsabile di tutte le decisioni che investono non le decisioni fondamentali che caratterizzano il sistema nel suo complesso ma quelle di ordinaria amministrazione. Vi è un presidente e anche un tesoriere. Comitato auto-disciplinare: fornisce un forum per organizzazioni di autoregolazione nazionale per discutere gli aspetti operativi dell’autoregolamentazione pubblicitaria. È il punto di incontro e di scambio di informazioni e delle prassi migliori sugli standard pubblicitari e sul loro rafforzamento. Consiglio centrale dei paesi dell’Europa dell’est (CEE Council): composto da stati dell’Europa centrale o dell’est e accoglie le autodiscipline nazionali in quanto l’UE ha aggiunto gli stati che appartenevano all’unione sovietica. Essi avevano un’economia centralizzata che non consentiva nessun tipo di pubblicità,
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