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La Partecipazione delle Donne nella Chiesa: Storia e Discussioni, Appunti di Diritto Ecclesiastico

La storia dell'attiva partecipazione delle donne nella chiesa, dal primo secolo fino all'epoca moderna. Del ruolo delle donne all'interno della chiesa, dal concilio vaticano ii in poi, e analizza la questione del sacerdozio femminile. Viene anche discusso il ruolo delle donne nella tradizione ecclesiastica bizantina e l'implicazione della tradizione e della pratica nella questione.

Tipologia: Appunti

2010/2011

Caricato il 05/12/2011

blurose
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Scarica La Partecipazione delle Donne nella Chiesa: Storia e Discussioni e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLA DONNA NELLA CHIESA CATTOLICA 1)UGUAGLIANZA E RECIPROCITà TRA UOMO E DONNA Nell’autentico messaggio evangelico,si rinviene un annuncio di liberazione dalla condizione di inferiorità cui è stata relegata la donna dai contesti giuridico sociali delle comunità cristiane,ed in cui è ancora oggi relegata per via di consuetudini diffuse. Negli insegnamenti impartiti da Gesù Cristo e nella tradizione che fa capo agli apostoli,emerge una concezione della dignità della donna,che ne afferma pari uguaglianza con l’uomo ed individua e definisce entrambi come “Figli di Dio”. In verità,anche l’organizzazione dei primi secoli della chiesa ha promosso l’attiva partecipazione delle donne nella famiglia,nella società e nelle istituzioni ecclesiali. Nella successiva evoluzione di mentalità e di costumi repressivi,tali principi vengono offuscati perfino all’interno della chiesa e la donna acquista uno stato di subordinazione anche rispetto all’uomo. A partire dalla metà del secolo scorso,l’emancipazione nel diritto,nella cultura e negli stili di vita raggiunti dalla donna nella società civile,è stata utile alla chiesa per valorizzare la donna,tanto come persona,quanto come fedele;tali principi si evidenziano e si consolidano soprattutto all’interno del concilio Ecumenico vaticano II. Sotto il profilo antropologico,si afferma l’uguaglianza di tutte le persone:alcuni diritti fondamentali non possono essere privati,anche in ragione del sesso,ed anche per quel che riguarda il matrimonio si mette in luce “l’egual dignità personale sia dell’uomo che della donna”. Dal punto di vista ecclesiologico,si sostiene che tutti i fedeli condividano una condizione di uguaglianza,in forza dell’incorporazione a Cristo con il battesimo e son chiamati a partecipare alla missione comune del popolo di Dio. Per quel che riguarda la posizione dei fedeli laici,i documenti Conciliari non prevedono alcun trattamento differenziato per la donna. Il solo riferimento specifico alla donna ,si trova nel decreto sull’apostolato dei laici,ma non è diretto a porre restrizioni al contributo femminile,quanto a riconoscere l’impegno sempre costante delle donne nelle attività ecclesiali. In riferimento alla prospettiva teologica,il Concilio si riferisce a simboli femminili per illustrare il rapporto tra Chiesa/mistero della salvezza divina. Così accade nella metafora nuziale per illustrare l’alleanza d’amore tra Cristo-Sposo e Chiesa-Sposa,e così accade con il richiamo alla figura emblematica di Maria,modello di Fede,Speranza e Carità. La figura femminile,assume così una dimensione essenziale e qualificante dell’esser cristiano,valido sia per le donne che per gli uomini. La dottrina successiva al Concilio Vaticano II,mira ad analizzare i caratteri tipici del femminile e quale sia lo specifico ruolo della donna all’interno dell’ambito ecclesiale. L’antropologia cristiana,afferma innanzitutto la fondamentale uguaglianza tra uomo e donna sotto il profilo dell’identità personale,come soggetti liberi,creati ad immagine somiglianza di Dio . d’altro canto,si sostiene l’importanza dell’esser del carattere sessuato come dimensione costitutiva dell’essere umano,la cui natura è segnata dalla razionalità reciproca tra maschio e femmina. Femminile e maschile sono elementi necessari dell’esistere della persona. Tal concezione personalista che riconosce l’unità dei due(tra uomo e donna) permette di evitare due conclusioni estreme:in primo luogo,l’uguaglianza assoluta tra i due sessi,che cancella ogni differenza ed omologa il femminile al maschile;in secondo luogo,la differenzazione esasperata che porta a subordinare un sesso all’altro e a creare conflitti e antagonismi. Il magistero delinea alcune espressioni tipiche dell’esser donna,tutte riconducibili all’espressione del corpo muliebre che rappresenta la capacità di dare la vita,intesa come potenzialità di poter accogliere il dono di aver figli,riscontrabile anche in quelle donne che si siano consacrate alla verginità. La maternità assume così una valenza personale. La personalità femminile,presenta intelligenze e sensibilità diverse da quelle maschili. Ad onor del La posizione essenziale di christifidelis specificata in diverse condizioni o status di vita che esprimono modalità peculi aridi partecipazione al popolo di Dio. Il principio di varietà tra le diverse forme dell’identità cristiana,opera su due piani differenziati:da un lato,la dimensione spirituale della comunità ecclesiale,che vede l’esistenza di una molteplicità di carismi e vocazioni;dall’altro la dimensione istituzionale e gerarchica che si basa sul diverso modo di prender parte al sacerdozio in cristo. Per quel che riguarda il primo aspetto,non esistono differenze tra uomo e donna,non si riscontrano cioè preclusioni assolute per l’uno piuttosto che per l’altro sesso a seguire alcune vocazioni piuttosto che altre. Negli attuali codici,il principio di equiparazione tra i due sessi,vien applicato con più coerenza rispetto ai codici precedenti,saper quel che riguarda la disciplina giuridica della vita consacrata,sia per la posizione dei loro membri. Proprio nel primo ambito tra l’altro,si trovano norme volte a segnare positivamente una vocazione femminile specifica nella chiesa. Son le disposizioni che riportano all’antico ordo virginum riservato solo alle donne, che prevede un particolare rito di consacrazione(si tratta di una forma di vita consacrata feconda e dinamica,capace di potenziare il ruolo della donna nella comunità ecclesiale.) L’altro piano in cui opera il principio di varietà attiene alla distinzione tra il sacerdozio ministeriale e quello gerarchico,proprio di coloro che hanno ricevuto l’ordine sacro,ossia i chierici,e il sacerdozio comune esteso agli altri fedeli che sono laici. I due sacerdozi,son diversi non solo nel grado,ma anche nell’essenza,in quanto il sacramento dell’ordine attribuisce un partecipazione specifica al sacerdozio di cristo capo della chiesa,che fa acquisire ai ministri il potere di agire in persona Christi.I laici invece, partecipano al sacerdozi odi Cristo nella modalità comune a tutti i fedeli,ma con egual responsabilità per l’interezza della missione della Chiesa,sia sotto il profilo spirituale(annunciare la parola di Dio,e comunicare la sua grazie),sia sotto il profilo temporale(edificare storicamente il Regno di Dio). I laici son dunque titolari di tutte le situazioni giuridiche dei cristo conformati,ma in aggiunta a queste i codici,hanno inteso sottolineare alcune caratteristiche dell’identità del laico che hanno dato origine a diritti e doveri specifici. All’interno dello status laicale,non esistono motivi di differenzazione tra la posizione delle donne e quella degli uomini. I laici son anche chiamati all’interno della chiesa,a partecipare all’apostolato di evangelizzazione,di santificazione e di crescita comunitaria. Vari sono i modi per contribuire ai munera ecclesiale,ma lo stile propriamente laico è quello corrispondente al sacerdozio comune,cui partecipano tutti i fedeli,senza che sia necessaria alcuna altra investitura. Riguardo alle loro attività,non possono esistere differenze tra uomo e donna(in proposito per tutte quelle discipline riguardanti il munus regendi). In ordine al munus docendi,i laici son ugualmente responsabili dell’annuncio evangelico. Riguardo al munus sanctificandi, infine,essi possono assumere responsabilità specifiche come ministri del sacramento del matrimonio o come padrini e madrine nel sacramento del battesimo e della confermazione. 4)LA PARTECIPAZIONE DELLE DONNE ALLE FUNZIONI AUTORITATIVE La rivalutazione della corresponsabilità dei fedeli,ha condotto la legislazione vigente,a riconoscere un ruolo attivo dei laici anche nell’esercizio delle funzioni pubbliche dell’ istituzione salvifica,prevedendo la possibilità di attribuirgli esercizi e funzioni in precedenza attribuiti ai chierici,che non richiedono un atto di deputazione da arte della gerarchia e la partecipazione ad attribuzioni istituzionali dell’organizzazione ecclesiale. Essa viene conferita con un’investitura da parte della autorità competente,a seguito di una valutazione discrezionale della sussistenza di requisiti personali e morali,nonché di preparazione dottrinale,scientifica e professionale,necessari per assumere determinati compiti. Non tutte le funzioni pubbliche possono essere assunte dai laici,restano escluse ad esempio tutte contestazioni,che hanno originato perfino movimenti di opposizione,culminati in cerimonie plateali in cui si è anche preteso di conferire l'ordine sacro ad alcune donne. Tutto ciò ha condotto l'autorità suprema a reagire adottando provvedimenti che precisano da una parte,l'invalidità di tali atti di simulazione di un sacramento prevedendo tra l'altro la configurazione dello specifico delitto di “ATTENTATA ORDINAZIONE SACRA DI UNA DONNA”,punito con una scomunica-latae sententiae- riservata alla Sede apostolica. Il principio che riserva agli uomini la possibilità di ricevere l'ordine sacro rappresenta la base di una diversità di trattamento tra uomo e donna,ma per quel che concerne il profilo giuridico,si potrebbe parlare di DISCRIMINAZIONE per violazione del principio di uguaglianza,soltanto se tal regola non avesse una giustificazione ragionevole in motivazioni oggettive. Non pare che il diniego del sacerdozio costituisca pregiudizio della situazione giuridica soggettiva di cui le donne godono all'interno della chiesa. Posto il fatto che per quel che riguarda la posizione di christifidelis si parla di tendenziale equiparazione tra uomo e donna,per quel che riguarda la capacità dello svolgimento delle funzioni istituzionali della comunità salvifica,entrano in gioco dinamiche differenziate che non dipendono dall'essere dell'individuo,ma dalla imprevedibile e misteriosa chiamata della grazia divina. Nella chiesa esiste una varietà di ministeri e per l'esercizio di ognuno potrebbero esser richieste abilità specifiche. Nessun fedele,nè donna,nè uomo, può vantare nel proprio status giuridico il diritto di avere l'ordine sacro. Colui che ha la vocazione di diventare chierico,ha il diritto di chiedere all'autorità competente di esser investito del sacro ministero,ma non può rivendicare la pretesa di ottenerlo,perchè il conferimento del sacramento dipende dal giudizio della gerarchia con riferimento alla sussistenza nel candidato di determinati requisiti,soprattutto in merito alla vocazione divina. La riserva di alcuni ministeri a determinate persone,non implica una violazione del principio di egual valore fra li esseri umani,nè quello di uguaglianza nella dignità e nell'agire tra figli di Dio. Una questione di ingiusta discriminazione potrebbe rinvenirsi nel caso in cui non si riconoscesse una egual importanza e rispetto per le molteplici vocazioni e pluralità di funzioni esistenti nella comunità ecclesiale. La possibilità di riconoscere alla donna ministeri istituiti diversi dal sacerdozio ordinato è stata sollevata come problema principalmente in relazione al diaconato. I documenti del magistero esprimono un divieto categorico all'ammissione delle donne al presbiterato e all'episcopato,ma non precludono loro il conferimento del diaconato. A partire dagli anni '70 dello scorso secolo,son state effettuate richieste di ripristino del diaconato femminile,puntando da un lato all'esistenza di diaconesse nella tradizione ecclesiale risalente e dall'altro alla restaurazione (avvenuta a seguito del Concilio Vaticano II) del diaconato permanente maschile come ministero stabile,aperto agli uomini sposati. Si fa riferimento inoltre alle esperienze di diaconato femminile diffuse in altre comunità cristiane,non solo nelle chiese riformate,ma anche in quelle ortodosse. A tale ripristino però,si oppongono alcune questioni controverse. In primo luogo persistono ancora incertezze sull'istituto storico delle diaconesse. Le fonti antiche usano un linguaggio talvolta non chiaro. L'orientamento principale ritiene comunque che il ruolo delle diaconesse non fosse omologabile a quello dei diaconi,sia per che quel riguarda la istituzione,sia per quel che riguarda le funzioni esercitate. Un'altra difficoltà sorge dal rapporto complesso tra diaconato e sacerdozio. Sebbene il magistero abbia precisato che il diacono è consacrato “non per il sacerdozio,ma per il servizio”,si mette in luce l'unità del sacramento dell'ordine,di cui son espressione tutti e tre i gradi dell'episcopato,del presbiterato e del diaconato. Anche i diaconi partecipano in modo particolare all'unica ordinazione di istituzione divina. Di conseguenza,in considerazione del rapporto costitutivo tra diaconato e ministero sacerdotale,all'estensione di tal istituto alle donne si possono opporre le medesime motivazioni che precludono a queste l'ammissione all'ordine sacerdotale. Attualmente prevale l'ideologia che riserva tutti i gradi del sacramento ai soli battezzati maschi. Questa posizione sembra determinata anche dal timore che le richieste di ammissione delle donne al diaconato servano per aprire uno spiraglio verso la ricezione del presbiterato e dell'episcopato. Le obiezioni si potranno risolvere soltanto se si concentra l'attenzione sulla necessità di individuare funzioni ed attività specifiche che posson valorizzare il contributo femminile al ministero diaconale del servizio alla missione sacerdotale della chiesa. Nulla impedisce che sia ripristinato un ministero femminile specifico,distinto per investitura e competenze da quello maschile. Non si tratta dunque di estendere alle donne il medesimo ordinamento previsto per gli uomini,ma di istituire un vero e proprio ministero autonomo,eventualmente con nomenclatura diversa,che permetta di dare una giusta realizzazione alle corresponsabilità della donna all'interno dei munera ecclesia. Le uniche resistenze a riconoscere uno specifico ministero femminile son culturali e sociali,ancor più che teologiche. Sebbene siano state avanzate proposte di riforma che evidenziano l'inesistenza di ragioni teologiche al divieto di accesso per la donna,la normativa attuale,riserva ai soli viri laici questa prerogativa.. l'incoerenza della disposizione emerge se si considera che le attribuzioni di questi ministeri consistono in attività e in servizi che tutti i laici son abili a svolgere e le donne le possono esercitare soltanto in via di supplenza,senza aver possibilità di ricevere un'investitura stabile. Nella vita delle comunità locali,peraltro,la restrizione viene frequentemente aggirata e numerose donne svolgono in modo continuativo numerose funzioni nella liturgia e nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali. La norma che attribuisce ai soli uomini i ministeri laicali pare dunque che non abbia ragion mediatore,nonchè grande prete,mentre il sacerdozio sacramentale,ne è solo parziale attuazione tramite il ministero dell'episcopato,trasmesso da Cristo agli apostoli e ai loro successori. In quest'ambito,la donna riveste un ruolo del tutto particolare. Dalla tipologia Adamo-Cristo,Eva- Maria,deriva la funzione specifica di quest'ultima nel processo salvifico:la sua obbedienza riscatta il gesto di Eva e rende possibile l'incarnazione per opera dello Spirito. Dal momento in cui il sacerdozio sacramentale ha carattere cristocentrico,ammetterlo per la donna sovvertirebbe la tipologia sopra evocata,nonchè il conseguente equilibrio cristologico e pneumatologico. Tali considerazioni verrebbero rafforzate dal fatto che cristo non ha scelto alcuna apostola,che Maria non ha esercitato funzioni sacerdotali,che gli apostoli mai hanno ordinato donne al sacerdozio,e che l'insegnamento paolino confermerebbe tutto ciò. Una qual certa apertura,si rinviene invece allorquando la donna possa esercitare un largo ventaglio di altri ministeri,come del resto storicamente è avvenuto anche all'interno delle stesse chiese ortodosse. Nel suddetto documento,al riguardo di ciò,vengono ammesse persistenti situazioni di disuguaglianza. Ne deriva che l'autorità pastorale ha un suo proprio fondamento. Le donne potrebbero impegnarsi,per esempio,nell'educazione cristiana a tutti i livelli,nella catechesi preparatoria ai sacramenti,nella partecipazione ai diversi organismi decisionali,nell'attività di studio teologico,nell'assistenza sociale: si parlerebbe di una diaconia di sostegno,eventualmente da formalizzarsi con appositi atti canonici,complementare tra l'altro al ministero sacerdotale. Il documento si chiude con l'auspicio inaspettato,visto le premesse, che venga ripristinato il diaconato femminile,prassi mai del tutto tramontata in ambito ortodosso. Si ricorda in merito l'antico rito consistente nell'imposizione delle mani all'interno del santuario durante la liturgia,nell'emissione di voti,nell'assunzione del medesimo abito previsto per il diacono. Le valutazioni sull'esito della consultazione di Rodi,furono in sintesi positive,per lo meno se si tiene in considerazione il fatto che questa aveva innescato,una discussione fino a quel momento estranea all'ambito ortodosso. Rodi costituì nel breve periodo successivo stimoli ad ulteriori confronti interortodossi,come quello di Creta (1990),la cui dichiarazione finale,auspicava anch'essa la ripresa del diaconato femminile. Poco dopo,in una conferenza del Levadia (1994) si riscontravano molte voci deluse dal fato che quella urgenza non fosse stata rispettata,ed ancora la stessa situazione era riscontrabile in un incontro ad Addis Abeba(1996),sull'evangelizzazione. Più significative per il numero e la rappresentatività dei partecipanti,furono le ultime due consultazioni ortodosse,quella di Damasco(1996) e quella di Istanbul(1997),animate dalla presenza di delegazioni femminili provenienti,per quel che riguarda la prima consultazione,dall'Asia,dall'Africa e dal Medio Oriente,e per quel che riguarda la seconda,dal Nord e Sud America,e dall'Europa occidentale ed orientale. Sebbene il tema fosse comune,gli esiti furono alquanto diversi. Non deve dunque sorprendere né l'assenza nell'organizzazione ecclesiastica successiva al Congresso di Rodi di applicazioni concrete delle aperture in esso manifestatesi,nè del risvegliarsi di un acceso dibattito su alcuni essenziali punti: dai dati storici sul ruolo della donna nella chiesa bizantina,agli argomenti pro o contro il sacerdozio femminile. 2)IL DATO STORICO A Bisanzio,si afferma con chiarezza l'esclusione della donna dal sacerdozio,quantomeno nel Nomocanone,e nel XII secolo tal norma è consolidata,tanto che si opera un parallelo dell'esclusione delle donne sia dalle cariche civili che da quelle ecclesiastiche. Altrettanto espliciti risultano poi esser i divieti per le donne negli spazi sacri. Le pratiche sociali correnti a Bisanzio,mitigano la rigidità della norma,assegnando alla donna ruoli incisivi. L'esclusione dagli spazi sacri viene compensata da un grande attivismo femminile sia in ordine all'elezione dei vescovi,che all'attività di governo da parte degli stessi. I canonisti bizantini approvano tra l'altro l'aiuto materiale apprestato da gruppi di donne alle varie istituzioni ecclesiastiche. Ciò porrebbe la domanda sul fatto se,attraverso le loro donazioni,tali donne,non abbiano anche influenza nella vita religiosa soprattutto nell'ambito dei monasteri. Non secondario sembrerebbe tra l'altro il ruolo assunto dalle donne,collocate negli ambienti imperiali,nella difesa della fede e dunque nella partecipazione a conflitti religiosi(ad esempio quello in difesa delle icone). Tutto ciò porterebbe a concludere che Bisanzio non può esser posto come esempio di esclusione della donna dai punti essenziali dell'organizzazione ecclesiastica. Se è vero che la sua presenza negli spazi sacri trovava limitazioni,è altrettanto vero che le veniva riconosciuto un ruolo significativo nei numerosi momenti in cui la vita ecclesiastica si apriva agli stimoli della società. Quanto appena evocato,trova conferma nel singolare caso delle diaconesse,ufficio che permane nell'epoca bizantina. Occorre comunque ricordare non solo che la distinzione tecnica tra sacramento e sacramentale si impose in occidente tra i secoli XII-XIII,ma anche che la grande scolastica ritenne come sacramenti gli ordini minori:il diaconato femminile perciò non dovrebbe comprendersi con riguardo allo schema della teologia a noi più vicina. Tra quelle fonti è essenziale nominare anzitutto la “DIDASCALIA DEGLI APOSTOLI”,secondo cui il ministero diaconale della chiesa comprende due rami:uno maschile e uno femminile per il ministero pastorale. Essa nella gerarchia degli ordinati viene dopo il diacono,ma prima del suddiacono e del lettore, e non può rivestire ruoli essenziali in ambito eucaristico,battesimale e magisteriale. Nelle successive COSTITUZIONI APOSTOLICHE,le diaconesse vengono annoverate tra il clero,anche se non è chiarita la consistenza di tal ministero. Per alcuni autori,esso si rapporterebbe alla funzione diaconale. Il ministero delle diaconesse si tramandò fino all'epoca bizantina anche se con graduali riduzioni delle sue funzioni. La sua ordinazione,mediante CHEIROTONIA,durante la liturgia e all'interno del santuario,rivestiva un significato equivalente a quello del diacono. Dal punto di vista dello stato canonico,le diaconesse,che non potevano sposarsi,erano considerate membri del clero sia dalla chiesa bizantina che dalla legislazione imperiale. In ambito liturgico,oltre a portare l'eucarestia ai malati e ad occuparsi del corpo delle defunte,assistevano il ministro del rito battesimale per l'unzione del corpo femminile e della conseguente immersione;quest'ultima funzione pare esser stata in realtà quella più significativa,dal momento che man mano che cesserà il battesimo degli adulti,si esaurirà anche l'ufficio della diaconessa. 3)GLI ARGOMENTI TEOLOGICI duplice motivazione:da una parte era stato dimostrato come la mosoginia ortodossa non trovasse riscontro nelle fonti,e dall'altra si era presa in considerazione una crescente osmosi culturale dovuta sia alla diaspora che all'irruzione della modernità nei paesi di antica tradizione ortodossa. Fu dunque inevitabile avviare un autonomo ripensamento creativo i cui primi passi avrebbero dovuto riguardare sia la rimozione di alcuni tabù sessuali,come quello legato alle impurità fisiche della donna,sia l'approfondimento della nozione di persona,nel suo duplice aspetto di alterità e di identità,nonchè una maggior comprensione del senso del sacerdozio cristiano. Era nuovamente la teologa Sigel a proporre un approccio al tema;l'unico apporto significativo in quel senso era costituito dalle tesi alquanto rigide e conservatrici di Thomas Hopko. La tesi di tal teologo,partiva dalla considerazione di un ordine naturale fondato sulla rivelazione della stessa credenza divina. Ciò conduceva Hopko ad enfatizzare la differenza di genere,dandosi secondo lui per l'uomo e per la donna,ruoli assolutamente differenti,in relazione al primo “per l'economia di cristo” e per la seconda “all'economia dello spirito”. Si realizzerebbe una gerarchia dei ruoli,per la quale la donna aiuterebbe in maniera silenziosa ed invisibile l'uomo cristico a realizzare la propria vocazione. Come lo Spirito non è verbo,la donna è ontologicamente altro rispetto all'uomo e tale alterità si realizzerebbe anche nel sacramento eucaristico di cui la mascolinità costituirebbe un ruolo essenziale. A parere della Sigel,questo tipo di argomentazione che proiettava nella Trinità la differenzazione di genere,avrebbe dovuto suggerire un ulteriore dibattito che si verificherà nellaq questione del sacerdozio femminile. Tal discussione può riassumersi sotto un duplice punto di vista:uno piuttosto polemico,potendosi rilevare un contraddittorio a fronte di argomenti ostativi al ministero della donna solo apparentemente insuperabili,l'altro più positivo nel tentativo di costruire una diversa teologia del sacerdozio,comprensiva di probabili aperture. Era da registrarsi l'obiezione per la quale,se fosse stata avvertita nel passato la necessità di donne sacerdote,da tempo sarebbero state costituite,e dunque l'elemento storico non avrebbe giovato a favore della dottrina. che oltretutto,avrebbe comportato scismi a catena. Proprio quest'ultimo riferimento avrebbe consigliato una preliminare discussione limitata al ruolo femminile in genere,senza affrontare la specifica questione sacerdotale. Occorre riportare anche alcuni argomenti contrari avanzati da Kallistos Ware,assolutamente rilevanti dal momento in cui essi furono per un certo periodo,tra i più condivisi nei circoli illuminati nella diaspora. Le tesi di Ware si basavano sulla tradizione derivabile dalla sacra scrittura e sulla natura iconica del sacerdozio. Data naturale la differenzazione tra tradizione e costumi,Ware indicava un'ulteriore distinzione tra sacerdozio ministeriale e quello regale proprio di ciascun battezzato,entrambi parziale attuazione dell'unico sacerdozio di cristo. La specificità del ministro ordinato risiederebbe nel ruolo liturgico;il suo gesto e la sua parola sarebbero al servizio dell'unico vero sacerdote. Parola e gesto però non potrebbero esser femminili,sia per ragioni di tipo storiche,che naturale,essendo la differenza iscritta nel codice della creazione. Il punto per Ware sarebbe in realtà quello di spostare la discussione alla realtà dell'esercizio nella chiesa,da parte delle donne di specifici carismi,tamite eventualmente anche ad una forma diaconale. Si tratterebbe quindi di non confondere il problema del sacerdozio femminile con una relativa mascolizzazione della chiesa. Le tesi di Ware vennero riprese in vario modo nell'ambito della diaspora ortodossa,anche integrandole e migliorandole. Il contributo più interessante in tal senso è quello di Verna Harrison,che muove innanzitutto dal fatto che la tradizione,non ha mai praticato il sacerdozio femminile. Tal comportamento non dovrebbe però,secondo lei,fondarsi unicamente sull'autorità del fondatore. In realtà la tradizione non sarebbe una questione di autorità, consistendo essa in primo luogo in una comunione di carità e di preghiera. Quanto poi alle considerazioni a carattere anropologico,la Harrson sottolinea come esse siano state aggiornate per quel che riguarda le funzioni,di uomo e di donna,in maniera diversa e complementare non solo nella chiesa,ma anche nella famiglia e nella società. Secondo la studiosa,è da rivedersi anche l'argomento iconico che secondo la formulazione di Ware,potrebbe suggerire una disuguaglianza di genere. Andrebbe corretto poiché uomo e donna partecipano entrambi all'immagine divina tramite la creazione e il battesimo il significato iconico del sacerdozio,dovrebbe individuarsi nel momento più importante della liturgia eucaristica,quello dell'epiclesi,nel quale la chiesa incontra il suo sposo celeste nella persona simbolica del prete,la cui femminilità tradirebbe tal simbolismo. Lo stesso Ware sarebbe intervenuto,qualche anno dopo,a rettificare le proprie posizioni,rendendole più problematiche e meno rigide. In merito all'argomento relativo alla tradizione,lo studioso ammetterà che,da una parte essa sia animata da un principio di crescita e non di conservazione,e che dall'altra non si rileverebbero in essa né spiegazioni sul perchè del sacerdozio esclusivamente maschile,nè esplicite proibizioni per quello femminile. Un tal silenzio,suggerirebbe un'estrema prudenza sul tema e non precluderebbe alcuna ulteriore ricerca. Ritornando sull'argomento antropologico, Ware riconoscerà che le citazioni bibliche relative all'inferiorità femminile,debbano contestualizzarsi all'organizzazione sociale del tempo. Al di la di tali differenzazioni,si potrebbe comunque sostenere una differenza di genere nel senso di una specificità femminile,cui conseguirebbe una forma specifica di ministero. E questo,ribaltando la sua precedente tesi,ammetterà che potrebbe manifestarsi attraverso una differente modalità attuativa del sacerdozio. Riaffrontando la questione iconica,Ware attribuirà un ulteriore senso a quello precedentemente inteso. Il ministro ordinario,non possiede in sé una sua specifica identità dal momento che il suo sacerdozio è funzionale a quello di cristo,unico grande prete,divenendone dunque un'icona il ministro pronuncia la formula della consacrazione eucaristica non come se la pronunciasse cristo,bensì come rappresentante della chiesa,venendo meno il suo carattere iconico. Se il sacerdote non officia in quanto persona di cristo,cadrebbe l'argomento iconico contro l'ordinazione femminile. È da aggiungere un contributo più sistematico,a cura della Sigel,che affronta la questione delle ordinazioni femminili,esaminandole anzitutto alla luce di una dottrina trinitaria. L'immagine di dio padre è dunque presente tanto nella donna che nell'uomo,e il verbo,incarnandosi,ha assunto su di sé l'intera umanità,maschile e femminile;lo Spirito Santo vivifica la comunione di persone presenti nella chiesa al di là dell'appartenenza sociale o di genere. In tal comunità opera una diversità di ministeri,espressione di carismi attribuiti allo spirito in relazione non del sesso,ma della singolarità di ognuno. A supporto di tal ragionamento,la teologa utilizza il lavoro dei padri cappadoci della Harrison,dal quale emergerebbe che nella loro visione antropologica,la differenza di genere sarebbe un dato del tutto secondario,prevalendo l'unicità dell'essere umano. La Sigel aggiunge un'argomentazione delle tesi ultime di Ware,arricchendola nel senso che il sacerdote non solo non opererebbe in persona christi,ma non avrebbe neanche autonomo potere di compiere determinati atti sacramentali,dal momento in cui essi si costituiscono in conseguenza dell'epiclesi. Non par dunque esistere alcun ostacolo al fatto che tal ruolo possa esser ricoperto anche da una cristiana battezzata,cresimata e comunicata,ossia da una christifidelis. L'analisi apportata da una teologa rumena,muovono invece dal presupposto in base al quale le richieste di ordinazioni femminili partirebbe da iniziative e da esigenze personali,e non dalla comunità ecclesiale. Recuperare sul terreno pastorale una significativa attività femminile,non significherebbe ritenere necessario un vero e proprio ministero. Interessante è l'ultimo intervento con il quale si tenterebbe di giustificare,un superamento della differenza di genere,richiamando alcuni dati assunti dalla tradizione. Il primo di essi,riguarderebbe la rivelazione della vita trinitaria su cui si basa l'annuncio della salvezza così come trasmesso nella letteratura patristica. È in tal annuncio che trova spazio la posizione di Maria. Elemento centrale della tradizione ortodossa rimane la pneumatologia. È lo spirito che costituisce la chiesa,e dunque questa è anzitutto comunione e non istituzione. questa realtà verrebbe confermata dal fatto che la chiesa,per la tradizione ortodossa trova il compimento non per quello che è stata,nè per quello che è,ma per ciò che sarà. Il senso degli interventi favorevoli ad una riconsiderazione dei ministeri femminili,non offrono mai,un vero e proprio progetto articolato e compiuto. Il tentativo è quello innanzitutto,di avviare una discussione sul tema e rompendo un silenzio considerato irresponsabile nei confronti della stessa vocazione di fondo cui l'ortodossia è chiamata. In molti dei contributi fin qui richiamati,si fa ricorrente richiamo al significato della tradizione,e nel corso di tal dibattito può anche rilevarsi un'ulteriore indicazione:quella del recupero di una qualche prassi favorevole ai ministeri della donna,con un possibile ripristino del diaconato femminile. 1 I MINISTERI FEMMINILI il problema della restaurazione del diaconato femminile si è posto per la prima volta in età contemporanea,ancor prima che negli ambienti della diaspora,all'interno di alcune chiese patriarcali,come quella russa e greca,sia pur solo come ministero di servizio e non come vero e proprio ordine. Conseguenze più concrete in merito,avrebbero potuto avere le conclusioni del congresso di Rodi già ampiamente illustrate. Forse a Rodi era stato richiamato il diaconato femminile non tanto per una consapevolezza ecclesiologica,quanto affinchè il rifiuto di una qualunque discussione sul sacerdozio femminile non venisse interpretato come pregiudizio misogino. Oggi nulla è cambiato rispetto all'osservazione della studiosa Sigel. Si può segnalare la situazione negli USA dove sempre più spesso le donne rivestono ruoli all'interno di diocesi e parrocchie che un tempo erano riservati ai soli maschi. Certa effervescenza può rilevarsi anche in ambito della chiesa patriarcale di Mosca ove la presenza femminile nei consigli parrocchiali,nei centri educativi ortodossi è ormai acquisita. Le donne operano anche nel settore dell'assistenza religiosa, presso le strutture obbliganti,mentre le ragazze son attive nella pastorale giovanile che spazia dal tempo libero,ai campi estivi e di lavoro. Interessante è il caso della chiesa oortodossa siriaca,presente in india paese in cui,da decenni è cresciuto il ruolo femminile nei vari settori della vita pubblica,sino ai massimi livelli governativi. Passando in Europa,è opportuno far riferimento al caso della Finlandia,ove la chiesa arcivescovile ortodossa è autonoma sotto il patriarcato ecumenico,non che formalmente chiesa di stato mentre tra i luterani finlandesi è ammesso dal 1986 il sacerdozio femminile,nella chiesa ortodossa è da registrarsi un disinteresse anche solo agli aspetti teorici del medesimo. Si può aggiungere anche il caso della chiesa greca,nell'ambito della quale vi fu un momento di particolare attenzione alla questione femminile. 5)IL PUNTO DI VISTA ECUMENICO L'esistenza in terra finlandese di due chiese cristiane,così diverse nel modo di trattare le questioni femminili,può introdurre alcune considerazioni in prospettiva ecumenica. nella direzione della giusizia;il Fiqh include non solo norme giuridiche(Akham) e leggi positive,a anche il vasto corpus di testi dottrinali ed esegetici prodotti dagli studiosi. Il concetto di giustizia è radicato nell'Islamè parte integrante della Shari'a. Esistono due scuole di pensiero teologico:la scuola prevalente è l'ash'arita;sostiene che la nozione di giustizia dipende dai testi rivelati e non è soggetta ad una razionalità extra religiosa. La scuola mu'tzalita,sostiene invece che la nozione di giustizia sia innata ed abbia una base razionale indipendente dai testi sacri. Dal fiqh si può trarre un'ulteriore distinzione ed è quella delle due principali norme giuridiche:”IBADAT”(atti spirituali) da una parte e “MU'AMALAT”(atti contrattuali)dall'altra. Le Ibadat regolano i rapporti tra Dio e il credente. Le mu'amalat regolano invece i rapporti tra gli esseri umani e restano aperte a considerazioni razionali e alle forze sociali(a tal categoria appartengono la maggior parte delle norme riguardanti le donne) 2)LA SANTIFICAZIONE DEL PATRIARCATO NELLA TRADIZIONE GIURIDICA ISLAMICA le varie scuole di Fiqh definiscono il matrimonio come un contratto di scambio,con termini stabiliti ed effetti giuridici uniformi,il cui scopo principale è quello di render leciti i rapporti tra uomo e donna. Il contratto è definito CONTRATTO DI COITO,e consta di tre elementi essenziali:L'offerta (da parte della donna o del suo tutore legale),l'accettazione(da parte dell'uomo) e il pagamento della dote(somma di denaro o di altri beni che il marito si impegna a pagare prima o dopo la consumazione). Con riferimento al matrimonio,i giuristi classici spesso usano come analogia il contratto di vendita,e tracciano non pochi parallelismi tra i due contratti. Tra i diritti che spettano automaticamente al marito,c'è quello di controllare i movimenti e l'eccesso di devozione della moglie;questa ha bisogno del permesso del marito per uscire di casa,per accettare un impiego,dal momento in cui tali atti potrebbero interferire con il “libero accesso sessuale” del marito. Un uomo può esser sposato con quattro donne allo stesso tempo e può sciogliere ciascun contratto quando meglio crede. Il talaq(il ripudio della moglie) dal punto di vista giuridico è un atto unilaterale,efficace per la mera dichiarazione del marito. Una donna può non esser liberata dal vincolo matrimoniale senza il consenso del marito,benchè essa sia in grado di assicurarsi la libertà offrendogli incentivi,per mezzo del KHUL(divorzio per mutuo consenso). Il Khul è il divorzio chiesto dalla moglie come risultato della sua estrema riluttanza verso il marito:il suo elemento essenziale è il pagamento del compenso. Diversamente dal Talaq,il Khul non è un atto unilaterale,dato che non è produttivo di effetti giuridici in caso di assenza del consenso del marito. Se la moglie non è in grado di assicurare il consenso,il suo unico rimedio è l'intervento della corte e il potere del giudice o di obbligare il marito a pronunciare il Talaq o di pronunciarlo al suo posto. 3)DISCUSSIONI SULLE PREMESSE PATRIARCALI
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