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Diritto internazionale - Conforti, Dispense di Diritto Internazionale

Dispensa del Conforti con appunti del professore, c'è tutto il necessario per prendere il massimo dei voti!

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 01/04/2023

Marzia.Pugliese
Marzia.Pugliese 🇮🇹

4.2

(19)

12 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Diritto internazionale - Conforti e più Dispense in PDF di Diritto Internazionale solo su Docsity! Diritto Internazionale Marzia Pugliese Diritto Internazionale Conforti Come nasce? La sua origine viene storicamente fatta risalire alla nascita degli Stati sovrani e, in particolare, si prende come data di riferimento il 1648, anno in cui venne stipulata la Pace di Westfalia, che ha posto le basi per la nascita di un nuovo ordine mondiale portando alla creazione della comunità internazionale odierna. Introduzione 1.Definizione del diritto internazionale. Precisazioni terminologiche - Individuazione dei soggetti dell'ordinamento come sono divisi i poteri quali sono i soggetti dotati di personalità giuridica di diritto internazionale. - Quali sono le fonti - La presenza negli ordinamenti statali di atti esterni, presenza di fonti esterne, atti giuridici come avviene l’adattamento. Il diritto internazionale può essere definito come il diritto della comunità degli Stati. Si tratta di un complesso di norme che nascono al di sopra dello Stato, scaturendo dalla cooperazione tra gli Stati e si collocano al di sopra di ogni stato. Inoltre, ogni Stato si impegna a rispettarlo con proprie norme. Si dice anche che il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati, ma questa definizione è un po' equivoca perché oggi si assiste alla tendenza al c.d. "internazionalismo", perché il diritto internazionale disciplina anche molti aspetti commerciali, sociali ed economici e non è più un semplice "diritto per diplomatici” (materie esterne: immunità diplomatiche, alleanze, condotta della guerra), ma viene continuamente applicato direttamente dai giudici interni, nazionali. Si è affermata la tendenza a trasferire dal piano nazionale a quello internazionale la disciplina dei rapporti economici, commerciali e sociali. E' pertanto opportuno distinguere la definizione: a) Formale (nel senso che crea obblighi e diritti per gli Stati) b) Da quella materiale (nel senso che regola i rapporti interindividuali, cioè interni alle singole comunità di stati Oggi si tende anche a distinguere il diritto internazionale pubblico dal diritto internazionale privato. In realtà bisogna precisare che non si tratta di due branche dello stesso ordinamento, ma di due ordinamenti diversi: a) Il diritto internazionale privato è formato da quelle norme statali che delimitano il diritto privato di uno Stato, stabilendo quando esso va 1 Diritto Internazionale Marzia Pugliese applicato e quando invece il giudice nazionale deve applicare le norme del diritto privato straniere. In Italia la materia è regolata dalla legge di riforma del diritto internazionale privato, l. 218/95 (già contenute nelle disposizioni preliminari al Codice civile) e molte norme sono state sostituite con norme prodotte dal diritto dell’UE. In presenza di conflitto tra le norme sussistono criteri di collegamento individuati da tale legge es. cittadinanza, pertanto, se c’è un elemento di estraneità il giudice deve capire quale norma applicare ed attraverso i criteri esplicati nel 218 di diritto internazionale che il giudice deve rinviare la norma che può essere anche tedesca. b) Contrapporre il diritto internazionale pubblico al diritto internazionale privato ha scarso senso: non si tratta di due rami del medesimo ordinamento ma di norme che appartengono ad ordinamenti diversi (il diritto internazionale pubblico all'ordinamento della comunità degli Stati ed il diritto internazionale privato all'ordinamento statale). È vero che il diritto internazionale pubblico (in esso compreso il diritto dell'unione europea) tende a regolare anche i rapporti interni allo stato ed anche i rapporti oggetti del diritto privato ma ciò significa soltanto che lo stato ha obbligo di tradurre le norme internazionali che di simile rapporti si occupano in norme interne. Non essendovi omogeneità, la qualifica di pubblico data al diritto internazionale è superflua, perché esso non è né pubblico né privato. Questa è una distinzione che ha senso solo con riguardo all'ordinamento statale. 2. Quadro sintetico delle funzioni di produzione, accertamento ed attuazione coattiva del diritto internazionale Diritto pubblico: Le perplessità (riguardo approccio di tale ordinamento con lacune, politicizzato), circa lo studio del diritto internazionale nascono dalla percezione delle profonde differenze esistenti tra la struttura dell’ordinamento internazionale e quella degli ordinamenti statali (anche nell’ordinamento internazionale possiamo distinguere tra funzione normativa; giurisdizionale e funzione di accertamento) 1. Prima grande differenza : non esiste un giudice precostituito per legge, la funzione giurisdizionale è di tipo arbitrale. L'arbitrio poggia sull'accordo tra le parti, accordo diretto a sottoporre la controversia ad un determinato giudice (anche la Corte internazionale di giustizia (CIG), il massimo organo giudiziario della nazione unite, ha funzione essenzialmente arbitrale). Non mancano istanze giurisdizionali e istituzionalizzate, ossia tribunali permanenti istituiti dai singoli trattati, ed innanzi ai quali gli Stati contraenti possono essere citati da altri Stati contraenti o anche da singoli individui, anche in questi casi il fondamento della competenza del giudice resta pattizio nel senso che solo gli Stati che hanno accettato in un modo o nell'altro detta composizione possono essere convenuti in giudizio: la differenza col diritto statale dove la sottoposizione alla funzione giurisdizionale imposta dalla legge evidente. 2 Diritto Internazionale Marzia Pugliese ● Consuetudine (diritto internazionale generale) L'art. 10 Cost. fa riferimento alle norme di diritto internazionali generalmente riconosciute (“l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”). Queste norme sono innanzitutto le consuetudini, che si formano nella comunità internazionale attraverso l'uso: di queste norme può affermarsi l'esistenza solo se si dimostra che esse corrispondono ad una prassi conosciuta dagli Stati. La caratteristica della consuetudine, che è la fonte primaria o di primo grado dell'ordinamento internazionale, è che essa ha dato luogo ad uno scarso numero di norme. A parte le norme strumentali, come quelle che regolano i requisiti di validità ed efficacia dei trattati , non sono molte le norme consuetudinarie materiali, cioè quelle che impongono direttamente obblighi e riconoscono diritti. La Commissione di diritto internazionale, all’inizio prendeva le consuetudini (fonte di un diritto spontaneo) e le trascriveva in trattati internazionale (idea originariamente limitata alla trascrizione di consuetudini trovando macroaree tipo convenzione diritto dei mari diritto dei trattati, diritto diplomatico e consolare). La commissione per garantire certezza del diritto si è ricavata uno spazio di competenza e di intervento utilizzando l’art 13 della carta delle nazioni unite, nella quale è presente una postilla che riguarda la crescita e sviluppo progressivo del diritto internazionale, quindi essi poterono intervenire in presenza di lacune, in funzione nomofilattica, quindi vi è una normativa frutto dell’attività della commissione, in cui non è presente la volontà degli Stati. Il vero difetto di tale ordinamento è la funzione esecutiva, che è totalmente assente, la mancanza di questa funzione, è la caratteristica stessa del Diritto internazionale. La funzione legislativa, quindi, esiste ma la funzione esecutiva non esiste, ma esiste il consiglio di sicurezza che piò intervenire quando è minacciata la pace. ●Accordi (diritto internazionale particolare) Le tipiche norme del diritto internazionale particolare sono invece quelle poste dagli accordi (o patti, convenzioni, trattati) che vincolano solo gli Stati contraenti. Nell'ordinamento internazionale l'accordo è una fonte di secondo grado, perché è subordinato alla consuetudine. Diversamente dalle norme consuetudinarie, queste sono più numerose, e ciò dà l'idea di una comunità internazionale abbastanza anarchica, proprio perché il diritto internazionale è povero e quasi tutti i rapporti sono regolati da convenzioni. ●Fonti previste da accordi (diritto internazionale particolare) 5 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Al di sotto dei trattati troviamo un’altra fonte: i procedimenti previsti da accordi, detti anche le fonti di terzo grado. Tali procedimenti sono fonti del diritto internazionale particolare e traggono la loro fonte dei trattati internazionali che li prevedono, vincolando solo gli Stati aderenti ai trattati stessi. In questa categoria rientrano molti atti delle organizzazioni internazionali, ossia delle varie associazioni fra Stati come l'Onu, l'unione europea ecc. In realtà le organizzazioni internazionali non hanno poteri legislativi e lo strumento di cui si servono è la raccomandazione, che non è vincolante, ma ha valore di mera esortazione. Le decisioni vincolanti degli organi internazionali si trovano nella gerarchia delle fonti al di sotto degli accordi, perché proprio dall'accordo (il trattato istitutivo) l'organizzazione prende vita. Ci si chiede Se è possibile considerare come giuridico un ordinamento che presenta tali caratteristiche, mancando un'autorità sovrana che ne garantisca l'attuazione, e fino a che punto le regole che gli Stati osservano nei loro rapporti sono norme giuridiche, e non piuttosto la risultante di equilibri di forze perennemente mutevoli. Infatti, come si distingue una struttura sociale che si regga sul puro esercizio della forza da una struttura che costituisce un autentico ordinamento giuridico? Solo dopo la lacerazione della II Guerra Mondiale, la logica della mediazione politica si è affermata con decisione, sicché la Comunità internazionale odierna appare come una società retta da un autentico ordinamento giuridico. Comunque, data la struttura anorganica della Comunità internazionale la distinzione tra soggetti ed organi non sempre è agevole. Una soluzione proposta per dimostrare l’obbligatorietà del diritto internazionale riposa in tre strumenti: 1. Il diritto internazionale deve passare attraverso i giudici interni che devono applicarlo e quindi farlo rispettare; 2. L'art. 10 Cost. impegna al rispetto delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute; 3. Infine, i trattati stipulati dal nostro Paese generalmente sono oggetto di una legge ordinaria che ne ordina l'applicazione. Stando così le cose, l'osservanza del diritto internazionale riposa sulla volontà degli operatori giuridici interni, diretta ad utilizzare gli strumenti offerti dal diritto statale a garanzia dell'osservanza. Quanto qui esposto è una formulazione in termini moderni della teoria positivistica di Jellinek, che considerava il diritto internazionale come il frutto di un'autolimitazione del singolo Stato, poiché non esistono veri e propri mezzi giuridici per reagire efficacemente ed imparzialmente alle violazioni delle norme internazionali. 6 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Ciò che bisogna superare è però l'idea dell'arbitrio del singolo Stato, altrimenti si legittimerebbe la possibilità dello Stato stesso di sciogliersi liberamente in qualsiasi momento da qualunque impegno internazionale. 3.Lo Stato come soggetto di diritto internazionale. Altri soggetti presunti tali. Vista la struttura anorganica della Comunità internazionale, la distinzione tra soggetti ed organi non sempre è agevole: • È preferibile utilizzare, al posto di «soggetti», il termine di «attori sulla scena internazionale», perché meno legato a categorie concettuali tipiche degli ordinamenti interni. Ma quali sono dunque questi attori? • Non c'è dubbio che tali siano gli Stati: questa è anzi la rappresentazione classica del Diritto Internazionale nonché l'unica concordemente accettata fino agli anni 20-30. Se, quindi, definiamo il diritto internazionale come il diritto della comunità degli Stati, bisogna specificare cosa intendiamo per Stato, poiché, a livello di definizione, possiamo distinguerlo in Stato-comunità o in Stato-organizzazione. ● Stato comunità La prima accezione fa riferimento ad un insieme di individui che si stanzia su una porzione di superficie terrestre ed è sottoposta a delle regole. ● Stato organizzazione La seconda, invece, è costituita dall'insieme di governanti, cioè degli organi che esercitano sui singoli associati il potere di imperio. La qualifica di soggetto del diritto internazionale spetta allo Stato organizzazione, allo Stato- apparato. Sono infatti gli organi statali che partecipano alla formazione delle norme internazionali, sono loro i destinatari delle norme internazionali materiali e sono sempre loro che rispondono per eventuali violazioni delle norme internazionali. Ovviamente, quando parliamo di organi statali facciamo riferimento a tutti gli organi, sia quelli del potere centrale che quelli del potere periferico. Lo Stato-organizzazione deve presentare però dei requisiti per poter essere considerato tale, in quanto a partire dagli anni 20-30, si sono verificati tentativi di ampliamento della sfera degli attori di Diritto Internazionale, sia verso entità più piccole degli Stati (individui, gruppi), sia verso entità più grandi (soprattutto le Organizzazioni Internazionali e entità più piccole degli stati quali organizzazioni governative). Per verificare se anche queste entità siano fornite di soggettività internazionale occorre precisare entro quali limiti un'entità può essere definita Stato ed essere quindi soggetto di Diritto Internazionale (non c'è una norma internazionale che definisca lo Stato. Negli ordinamenti interni, invece gli organi e le persone giuridiche pubbliche sono accuratamente censite per legge e l'acquisto della capacità giuridica dei soggetti privati, siano essi persone fisiche o giuridiche, è regolato da apposite norme.) 7 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Se la Chiesa rilevasse esclusivamente come ente ex-statuale, certamente non riceverebbe un trattamento diverso dal Sovrano Militare Ordine di Malta; viceversa, la Chiesa Cattolica è una realtà sociale attuale molto importante perché in grado di aggregare persone. Essa non esercita più una sovranità paragonabile a quella degli Stati, ma è in grado ugualmente di influire sull'opinione pubblica di vaste masse. La situazione presenta certamente delle peculiarità perché il «popolo» della Chiesa Cattolica non è diverso dai popoli degli Stati; tutti coloro i quali possono essere considerati sotto la «sovranità» della Chiesa, sono al tempo stesso sottoposti alla sovranità di uno Stato. Sta di fatto, comunque, che la Chiesa Cattolica, proprio perché in grado di orientare una parte dell'opinione pubblica, è partecipe della vita di relazione internazionale. Ma riconosciuto che la Chiesa Cattolica ha un suo ruolo, essa comunque non può essere equiparata ad uno Stato. A tale conclusione si giunge nonostante il grande rilievo che la posizione del Papa, o di altri esponenti della Santa Sede, possa avere all'interno di Organizzazioni Internazionali e nonostante la Chiesa Cattolica sia parte di talune convenzioni internazionali. È significativo, infatti, il dato che essa non ha, se non in rari casi, lo status di membro in senso stretto di una Organizzazione Internazionale. In passato spesso una controversia veniva rimessa al pontefice come arbitro delle controversie internazionali. Anche se la si consideri osservatore e si concede con grande facilità ai suoi rappresentanti la possibilità di prendere la parola nell'Assemblea di una Organizzazione Internazionale si è restii a trarre da tali fatti la conseguenza che essa sia membro dell'Organizzazione Internazionale. Quindi la città del Vaticano è ente con rilevanza internazionale munito di una limitata personalità giuridica. - Un altro fenomeno interessante è quello della sorte degli Stati che hanno perduto il territorio (entità ex-Statuali): tra questi il SOVRANO MILITARE ORDINE DI MALTA (SMOM) e la SANTA SEDE o Chiesa Cattolica. Entrambi nel corso della stessa età moderna, avevano un territorio, un popolo, un governo, di cui in seguito sono stati privati. È chiaro che un sovrano privo di territorio e di popolo cessa di essere sovrano; e tuttavia è altrettanto chiaro che i membri della comunità internazionale possono in piena libertà decidere di attribuire ad entità non statali un trattamento, nel loro ordinamento interno, uguale o simile a quello delle entità sovrane. Questo è il caso del Sovrano Militare Ordine di Malta che, per l'esistenza di legazioni (e il corpo diplomatico) e missioni, con il riconoscimento di certe immunità e del diritto di battere moneta e di emettere francobolli, è trattato nel nostro ordinamento quasi come uno Stato estero indipendente. Evidentemente, però, si tratta di un fenomeno che riguarda solo il NOSTRO ordinamento, poiché nell'ordinamento internazionale vale sempre il criterio dell'effettività che porta ad escludere che il Sovrano Militare Ordine di Malta, sia soggetto di Diritto Internazionale. ● I micro-Stati Infine, il caso più comune è quello dei «micro-Stati», con superficie e popolazione minime (Città del Vaticano, Liechtenstein, ecc.). I micro Stati hanno spesso la funzione di «paradisi fiscali» o una ragion d'essere storica o turistica (es. Andorra, S.Marino) e benché si sia tentati di escludere i micro Stati dal novero degli attori 10 Diritto Internazionale Marzia Pugliese dell'ordinamento internazionale in questo caso il dato formale prevale sulla realtà: finché c'è la presenza di una struttura sovrana distinta, verificare se l'apparato è veramente indipendente o no rappresenta un'indagine preclusa al giurista. Tale ragionamento, però, non può essere esteso anche ad altre entità, come gli Stati membri di uno Stato Federale. I rapporti fra questi e lo Stato Federale vengono regolati a livello costituzionale interno, e tuttavia vi sono dei patti la cui natura (pubblica o internazionale) non è facilmente dimostrabile, data l'amplissima autonomia che è concessa a taluni Stati della Federazione, anche nella gestione delle relazioni internazionali. Tradizionalmente, si tende a negare personalità alle parti per attribuirla al tutto, cioè allo Stato Federale nel suo complesso: ma questa regola subisce talune eccezioni. ● Il riconoscimento Quando ricorrono i due requisiti (effettività e indipendenza) l'organizzazione di governo acquista la qualità di soggetto internazionale automaticamente: non è necessario il riconoscimento. Il riconoscimento, come anche il non-riconoscimento, è un atto meramente lecito che attengono alla sfera della politica ma non producono conseguenze giuridiche. Il riconoscimento rivela null'altro che l'intenzione di stringere rapporti amichevoli di scambiare rappresentazione diplomatiche e di avviare forme più o meno intense di collaborazione mediante la conclusione di accordi. Quando si nega al riconoscimento valore giuridico sì viene a respingere soprattutto la tesi che esso sia costitutivo della personalità internazionale . La tesi secondo cui, affermandosi con i caratteri dell'effettività e dell'indipendenza con una nuova organizzazione di governo, gli Stati preesistenti possono esercitare nei suoi confronti mediante il riconoscimento una sorta di potere di ammissione nella comunità internazionale, pur ammettendo che tale tesi coglie una tendenza che è stata sempre presente nella prassi internazionale anche se non è mai riuscita a tradursi in precise norme giuridiche. Quando si richiedono altri requisiti (come quello che il nuovo Stato non debba costituire una minaccia per la pace e la sicurezza; che il suo Governo goda del consenso del popolo e che non violi i diritti umani) questi non sono necessari ai fini dell'acquisto della soggettività internazionale, ma servono soltanto per valutazioni politiche degli altri Stati per valutare se stringere rapporti d'amicizia. Posto che nel diritto internazionale classico il riconoscimento è l’atto unilaterale secondo cui uno Stato attribuisce la condizione di “soggetto di diritto internazionale ” ad un altro organismo (Stato o governo), quindi, l’atto di riconoscimento stabilisce i canoni secondo cui tra due o più parti possano stabilirsi relazioni diplomatiche. Il problema del riconoscimento è “Il fatto che quello Stato sia riconosciuto o meno dagli altri, va ad intaccare la soggettività dello Stato stesso oppure no”? A questo proposito ci sono due teorie: 1) Il riconoscimento costitutivo: ossia, quando non basta essere considerato come soggetto di diritto internazionale solo perché si è Stato o governo o ente, ma bisogna essere riconosciuti da tutti gli altri stati. Doveva ricevere il placet, riconoscimento giuridico era 11 Diritto Internazionale Marzia Pugliese costitutivo in quanto costituiva uno dei requisiti fondamentali tale che nuovo stato potesse qualificarsi soggetto munito della capacità di agire di diritto internazionale, in relazione ad altri stati. 2) Il riconoscimento dichiarativo: la regola consuetudinaria ha ceduto di fronte ad altri requisiti (autonomia e indipendenza) facendo del riconoscimento un ric. dichiarativo perché il significato dello stesso implica il dichiarare di intrattenere relazioni diplomatiche, economiche con un altro stato. Ha quindi valore ad abbundantiam. ●Governo insurrezionale Anche qui è necessario un breve excursus storico, poiché la disciplina internazionale di questo fenomeno si è profondamente evoluta dal 1815 ad oggi, modificando il modo di relazionarsi tra gli Stati. In passato, tutto accadeva sempre sotto il controllo delle Grandi Potenze e di per sé un movimento insurrezionale ancora non aveva titolo per essere considerato Stato, neppure quando di fatto esercitava una potestà di Governo effettiva su un territorio sufficientemente delimitato. Era sempre una entità violenta e solo alla fine di un certo processo, quando il suo ruolo si stabilizzava ed a seguito di un riconoscimento collettivo, esso acquistava soggettività. L’effettività di per sé non valeva per l'ammissione nel novero dei soggetti, ma occorreva un atto di autorizzazione (riconoscimento). In passato operava la tabula rasa poiché si acquistava indipendenza in maniera violenta. Nel diritto internazionale moderno la regola, oggi ripetuta dai manuali, è che un governo insurrezionale diventa soggetto di diritto Internazionale quando ha i caratteri della statualità di fatto (popolo, governo e territorio ben delimitato, anche se in movimento) e l'esercizio in modo autentico di un potere di comando nei confronti di una comunità umana. In particolare, modificandosi le dinamiche di acquisto dell’indipendenza viene meno l’esigenza di delineare una rottura ovvero la regola della tabula rasa non ha ragion d’essere, quindi, la successione degli stati dei trattati riconoscerà principio dimetricamente opposto: principio di continuità dei trattati sulla base di clausole che consentono allo stato subentrante di mantenere i vincoli precedenti. Con la nascita di questa nuova regola basata sulla effettività si apre così una frattura nel vecchio diritto Internazionale. Il riconoscimento diventa qualcosa di profondamente diverso, in quanto non si tratta più di un atto indispensabile per l'ammissione ma l'ammissione si ha su un piano di fatto, mentre il riconoscimento finisce per avere una valenza esclusivamente politica, diventando una sorta di dichiarazione di volere intraprendere con lo Stato cui esso è accordato dei rapporti più o meno intensi. A questo proposito c’è chi ritiene che tale soggettività sia limitata al diritto internazionale di guerra, ossia quelle norme che prescrivono limitazioni della violenza bellica a protezione delle popolazioni civili; altri la condizionano al riconoscimento da parte dei terzi stati. A parte il riconoscimento non sembra che le limitazioni al diritto di guerra si avvallata dalla prassi. Vero è piuttosto che la soggettività è legata alla provvisorietà e quindi le norme che con quest'ultima sono compatibili devono considerarsi come applicabili (ad esempio quelle sulla protezione degli stranieri o sull'unità di organi stranieri eventualmente presenti sul territorio controllato è titolare delle medesime) 12 Diritto Internazionale Marzia Pugliese  Elezioni parlamento europeo a suffragio universale diretto, allora è destinatario diretto degli atti giuridici dell’unione europea. ● Minoranze e popoli Numerose sono le norme internazionali che tutelano le minoranze etniche, ma esse non sono soggetti del diritto internazionale. Sempre più spesso si parla di “diritti dei popoli”: diritto dei popoli all'autodeterminazione, a disporre liberamente delle proprie risorse, ecc. Per la maggior parte di questi diritti il termine popolo è usato in maniera enfatica e può essere sostituito, per indicare l'effettivo titolare del diritto, dal termine Stato. È agli Stati che compete la sovranità sulle risorse del proprio territorio, e così via. Il popolo potrebbe avere importanza dal punto di vista giuridico solo se si partisse dall'idea che lo Stato come soggetto del diritto internazionale non sia lo Stato- apparato ma lo Stato-comunità. - Principio di autodeterminazione Il discorso è diverso quando di diritto dei popoli si parla in relazione a norme che si occupano del popolo come contrapposto allo Stato, per tutelarlo dall'apparato che lo governa. Il principio in cui si esprime questa contrapposizione è il principio di autodeterminazione dei popoli. Esso è contenuto in testi convenzionali (patti delle Nazioni Unite sui diritti umani, ecc) che perciò vincolano solo gli Stati contraenti, ma ha acquisito carattere consuetudinario attraverso una prassi che si è sviluppata ad opera delle Nazioni Unite. Non è facile stabilire qual è l'esatto contenuto di questo principio in quanto principio giuridico , se si guarda alla prassi degli Stati, il principio non ha ancora oggi un ampio campo di applicazione. Esso si applica solo ai popoli sottoposti ad un governo straniero, ai popoli soggetti a dominazione coloniale, alle popolazioni di territori conquistati ed occupati con la forza. L'autodeterminazione comporta il diritto dei popoli sottoposti a dominio straniero di divenire indipendenti, di associarsi o integrarsi con altro Stato indipendente, di scegliere liberamente il proprio regime politico (autodeterminazione esterna). Affinché esso sia applicabile, occorre che la dominazione straniera non risalga oltre l'epoca in cui il principio stesso si è affermato, quindi l'epoca successiva alla fine della Seconda guerra mondiale . (irretroattività del principio di autodeterminazione) Non può, quindi, parlarsi di diritto all'autodeterminazione dei territori che furono oggetto di occupazioni o annessioni in seguito alla Prima guerra mondiale. Neppure poteva parlarsi, in riferimento all'epoca anteriore a quella degli avvenimenti che hanno portato nel 1991 Estonia, Lettonia e Lituania all'indipendenza di un diritto di questi Paesi all'autodeterminazione (i tre Paesi baltici vennero occupati e annessi all'URSS nel 1940). Inoltre, i tre Stati hanno acquistato l'indipendenza con il consenso dell'Unione Sovietica. Non bisogna ritenere che il diritto internazionale richieda che tutti i governi esistenti sulla terra godano del consenso della maggioranza dei sudditi e siano da costoro liberamente scelti (concetto di autodeterminazione interna). Una situazione del genere è impossibile, anche se molti Stati tendono a considerare l'autodeterminazione come sinonimo di democrazia. 15 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Non bisogna poi considerare tale principio come capace di avallare le aspirazioni secessionistiche di regioni o province più o meno autonome. Non ha senso, infatti, la secessione come rimedio, da praticare quando una minoranza è sottoposta a discriminazioni intollerabili. Il diritto internazionale generale impone dunque allo Stato che governa un territorio non suo di consentirne l'autodeterminazione. Lecito è considerato l'appoggio fornito ai movimenti di liberazione nazionale. ● Organizzazioni internazionali L'attuale vita di relazione internazionale è segnata dalla presenza e dalla intensa attività di un considerevole numero di Organizzazioni Internazionali (O.I.). Esse vanno senza dubbio considerate come il tentativo più consapevole e meglio riuscito di coordinamento delle attività statali all’interno di una comunità che, nonostante il rilievo di questo fenomeno, esercita ancora in forma ANORGANICA le funzioni di produzione e di attuazione coercitiva delle norme giuridiche. Naturalmente, anche il fenomeno delle Organizzazioni Internazionali presenta luci ed ombre, aspetti che vanno tenuti entrambi accuratamente presenti per valutarne il significato e la portata. Le prime organizzazioni internazionali nacquero verso la fine dell'800, ed erano uffici, cioè strutture estremamente ridotte dal punto di vista dimensionale ed operativo; il primo momento di reale crescita del fenomeno coincise con gli accordi di pace di Parigi del 1919 che chiusero la 1° guerra mondiale. Fu allora che nacquero le società delle nazioni e numerose altre organizzazioni che agivano in settori specifici e si collegavano in qualche modo alla SDN, condividendo con essa l'aspirazione all’universalità (es.: OIL). Dopo la 2° guerra mondiale, il fenomeno delle Organizzazioni Internazionali si è ulteriormente diffuso, in direzioni molteplici, tanto che oggi esso presenta almeno due livelli geografici di operatività. 1) Anzitutto, c'è un certo numero di Organizzazioni che possono realmente dirsi universali, perché ne sono membri numerosi Stati. Si pensi in primo luogo all'ONU, ma anche alle cosiddette «ISTITUTI SPECIALIZZATI», organizzazioni con competenze prevalentemente ma non esclusivamente tecniche, come l'OIL, l'UNESCO, l'OMS, l'Organizzazione Postale Universale, l'Organizzazione Universale delle Telecomunicazioni, l'Organizzazione di metrologia (pesi e misure) e così via. 2) Accanto a questo, che è il livello più elevato delle Organizzazioni Internazionali, ce ne è anche un altro, rappresentato dalle Organizzazioni Internazionali REGIONALI Per fare qualche esempio, si pensi al cosiddetto «mondo occidentale» il cui principale punto di riferimento è costituito da un'alleanza politico-militare - il Trattato NATO - che opera in una «regione» situata al di qua ed al di là dell'Atlantico. Membri dell'Alleanza sono infatti gli Stati Uniti ed il Canada da una parte e tutti i paesi dell'Europa Occidentale dall'altra, con le eccezioni dell'Irlanda (Repubblica dell'EIRE) e di alcuni Stati tradizionalmente neutralisti come la Svezia, per la quale la neutralità permanente è un dato essenzialmente politico, ma non è imposta da alcuna norma né costituzionale né internazionale, e la Svizzera o l'Austria che al contrario sono obbligate all'osservanza della neutralità permanente da 16 Diritto Internazionale Marzia Pugliese accordi internazionali. Tutto il resto dell'Europa non socialista rientra nella NATO: ma a tali Paesi va aggiunta anche come membro a pieno titolo dell'Alleanza la Turchia, che è Stato europeo solo per una minima parte del suo territorio. - Organizzazioni internazionali universali Nell'ambito delle Organizzazioni Internazionali universali, gli Stati sviluppano prevalentemente un'attività di dialogo. I loro organi sono in linea di massima sforniti di poteri decisionali, cioè non hanno potestà normativa se non in misura minima. L'aspetto che prevale nel loro funzionamento è quindi quello del confronto fra i membri in ordine o alle linee di politica internazionale in senso ampio (es: l'ONU), o ad aspetti settoriali (es: l'OIL, l'UNESCO ecc.). Attraverso le O.I. si viene dunque definendo la "costituzione materiale" dell'ordinamento internazionale che, analogamente a quanto si verifica negli ordinamenti statali, caratterizza la società internazionale contemporanea. A questo difficile compito è chiamata soprattutto l'Organizzazione delle Nazioni Unite che, nata come sistema di sicurezza collettiva contro la guerra, se ha nell'insieme mancato questo obiettivo, se ne è visto assegnare dai fatti, dalla storia, uno probabilmente più gravoso ed importante: quello appunto di elaborare le regole di base di convivenza della comunità internazionale. I risultati già conseguiti non sono trascurabili, anche se l'ONU vi giunge attraverso un processo faticoso e lento di adeguamento progressivo delle mentalità e delle tradizioni di ciascuno Stato, processo che si canalizza attraverso le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza o, più spesso, dell'Assemblea Generale ovvero, nei momenti di più intensa e consapevole attività, attraverso le cosiddette DICHIARAZIONI DI PRINCIPI, che più delle altre risoluzioni mirano direttamente ed espressamente all'elaborazione di valori di base della convivenza internazionale. Naturalmente al processo di cui è parola non partecipano che in misura molto ridotta le organizzazioni regionali, che hanno compiti soprattutto operativi e proprio per questo stabiliscono talvolta legami di cooperazione molto più stretti (si pensi all’ Unione Europea) di quelli riconducibili all'idea di semplice coordinamento costituiti nell'ambito delle organizzazioni politiche universali. 3) Un tipo intermedio fra i due fin qui considerati va individuato nelle Organizzazioni TECNICHE universali, che quasi tutte mirano a favorire il raggiungimento di soluzioni conformi su scala planetaria di taluni importanti problemi originati dallo sviluppo della tecnica. Per taluni problemi, infatti, come l'ALLOCAZIONE delle frequenze-radio (OIRT), o l'elaborazione di regole in materia di sicurezza della navigazione aerea o marittima (ICAO, IMO), il bisogno di STANDARDS Universali è evidente: questi standards vengono elaborati da organizzazioni che sono operative ed al tempo stesse universali. Ad esse potrebbero aggiungersi la già citata Organizzazione di metrologia, l'Unione Postale Universale ecc., che solo a livello planetario riescono ad assicurare l'efficienza del servizio. - Soggettività internazionale delle organizzazioni internazionali 17 Diritto Internazionale Marzia Pugliese La stessa Corte Internazionale di Giustizia ha affermato: "L'organizzazione internazionale è un soggetto di diritto internazionale, vincolato, in quanto tale, da tutti gli obblighi che gli derivano da regole generali del diritto internazionale, dal suo atto costitutivo e dagli accordi di cui è parte". - Chiesa cattolica Altro ente del tutto indipendente dagli Stati, ed attivo nell'ambito della comunità internazionale, è la Chiesa cattolica. Ad essa la personalità internazionale è sempre stata riconosciuta. Tale personalità si concreta non solo nel potere di concludere accordi internazionali (i Concordati) ma, data l'esistenza dello Stato della Città del Vaticano, anche in tutte le situazioni giuridiche che presuppongono il governo di una comunità territoriale. - Ordine di Malta Una parte della dottrina italiana riconosce qualità di soggetto internazionale anche all'Ordine di Malta, ordine religioso dipendente dalla Santa Sede. L'ordine ha come suo unico collegamento con la comunità internazionale il fatto di aver governato un tempo su Rodi e poi su Malta. Esso intrattiene rapporti diplomatici con molti paesi del terzo mondo e con i paesi dell'Europa orientale. Tra i paesi occidentali tali rapporti sono intrattenuti con Austria, Italia, Portogallo e Spagna. Esso ha ottenuto la qualifica di osservatore alle Nazioni Unite. La sua attività principale ha carattere assistenziale (in Italia gestisce ospedali e ambulatori medici), funzione assai nobile ma non tale da giustificare il possesso della personalità internazionale. Parte prima La formazione delle norme internazionali Le fonti che per prime devono essere menzionate sono, senza dubbio, le consuetudini e i trattati, a cui seguono i principi generali e le fonti derivanti da decisioni legali e insegnamenti giuridici. Questo sistema di fonti viene sancito dall’articolo 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia dove si legge: “La Corte, cui è affidata la missione di regolare conformemente al diritto internazionale le divergenze che le sono sottoposte, applica:  le convenzioni internazionali, generali o speciali, che istituiscono delle regole espressamente riconosciute dagli Stati in lite;  la consuetudine internazionale che attesta una pratica generale accettata come diritto;  i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili;  con riserva della disposizione dell’articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più autorevoli delle varie nazioni, come mezzi ausiliari per determinare le norme giuridiche.” L’articolo 38 della carta, prevede, quindi quali sono le fonti del diritto alle quali i giudici possono attingere per svolgere i ruoli di diritto internazionale: 1) Le convenzioni interazionali: sanciscono regole ben precise, di conseguenza possiamo dedurre che sono quelle stipulate dai trattai. Ove vi sia una controversia, si andrà a controllare se era presente un trattato che vincolasse le parti. 2) Consuetudine internazionale: Il diritto internazionale è un diritto flessibile, non è composto da una gerarchia rigida, ma possiamo identificare le consuetudini come le NORME PRIMARIE e le secondarie sono i trattati . Le consuetudini sono norme primarie perché sono valide per ogni stato sempre, se però vengono inserite all’interno di un trattato possiamo dire che sono valide solo per chi lo ha 20 Diritto Internazionale Marzia Pugliese sottoscritto ed inoltre perdono la propria natura in quanto possono essere modificate. ***RICORDA: Alcune consuetudini possono essere COGENTI, possono quindi imporre un obbligo inderogabile in riferimento a principi inderogabili. Prima dell’art. 38 della carta sul come le fonti del diritto internazionale venivano stabilite ognuno aveva una propria visione, ma la dottrina QUADRI riteneva che ci fossero dei principi assoluti (come, ad esempio, le regole di struttura della teoria delle fonti), che sopraintendevano il sistema delle fonti normali. Vediamo quali erano: - Regole di struttura: regole che hanno dato vita al sistema delle fonti del d. internazionale; - Diritto cogente (cogens): le consuetudini, dal quale scaturisce l’obbligo giuridico; - Consuetudine: fonte di carattere generale e valevole per tutti - Trattati - Principi generali del diritto: fonti sussidiarie 4. La consuetudine e i suoi elementi costitutivi La consuetudine è la pratica generale accettata come diritto. Esso è spontaneo (non scritto) ed è formato da comportamenti ripetuti, costanti e conformi per diventare REGOLA. La consuetudine nasce dall’errato pensiero degli Stati che lo considerano obbligatorio. La consuetudine nasce da un lento processo di sedimentazione che si svolge nel tempo, infatti per parlare di consuetudini dobbiamo tenere presente due principi: - Essi possono essere riassunti, nella formula “prassi + opinio iuris ive necessitatis”. Ove per prassi (diurnitas) si intende il comportamento degli Stati che di fronte a determinate situazioni si comportano sempre nello stesso modo Mentre, con la seconda espressione (opinio iuris ive necessitatis) si fa riferimento al convincimento da un punto di vista giuridico del comportamento tenuto. - Opinio iuris sive necessitatis Questa impostazione cosiddetta "dualistica" non ha trovato unanimità di consensi, ma è stata criticata per aver considerato il secondo elemento come necessario. - Molti autori sostengono che la consuetudine sia costituita dalla sola prassi, in quanto, ammettendo la necessità dell'opinio juris, si arriverebbe a considerarla nata da un errore . Se nel momento in cui la norma si forma lo Stato crede che un dato comportamento sia obbligatorio, cioè richiesto dal diritto, quando in effetti il diritto non esiste, ma si va formando, lo Stato è in errore. L'opinio juris non sarebbe dunque uno degli elementi bensì l'effetto psicologico dell'esistenza della norma, presupponendo che questa si sia già formata. - Tuttavia, la prassi dei Tribunali internazionali e la giurisprudenza interna sembrano orientati verso l'impostazione dualistica. 21 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Va anche osservato che se non si facesse leva sull'opinio juris sive necessitatis sarebbe impossibile distinguere una consuetudine produttrice di norme giuridiche da un atto di mera cortesia, di cerimoniale o da un mero "uso". L'opinio iuris inoltre permette di distinguere se un comportamento di uno Stato sia diretto a modificare o abrogare una determinata consuetudine attraverso la formazione di una desuetudine, dal comportamento che costituisce invece un illecito internazionale. - Diurnitas Per quanto riguarda l'elemento della diurnitas va detto che il problema del tempo di formazione della consuetudine non si presta a soluzioni univoche. Se il trascorrere di un certo tempo per la formazione della norma è necessario, è anche vero che certe regole si sono consolidate nel volgere di pochi anni. In realtà il tempo può essere tanto più breve quanto più diffuso è un certo comportamento tra i membri della comunità internazionale. Esso resta un fattore ineliminabile, essendo le “consuetudini istantanee” non solo una contraddizione in termini ma anche un fenomeno che non può generare norme giuridiche per la mancanza di quel carattere di stabilità che è insito nel diritto non scritto. Infine, la sentenza della Corte internazionale di Giustizia nel caso del 1969 , piattaforma continentale del Mare del Nord, viene considerata il leading case in materia di formazione della consuetudine. In essa, infatti, si legge che l’esistenza di una norma consuetudinaria viene affermata quando alla pratica degli Stati, che deve essere frequente e praticamente uniforme, vi sia una manifestazione di riconoscimento generale del fatto che è in gioco una regola di diritto o un obbligo giuridico. La consuetudine è/può essere: - GENERALE: che vale per tutti; - PARTICOLARI: valgono solo in un particolare ambito, come ad esempio le consuetudini regionali. - Possono modificarsi spontaneamente: C’è una “DESUETUDINE” della norma vecchia e se ne forma una nuova. ● Quali organi concorrono alla formazione della norma consuetudinaria? Si riconosce che la partecipazione spetta a tutti gli organi statali e non solo i detentori del potere estero. Possono concorrere pertanto non solo atti "esterni" degli Stati (trattati, note diplomatiche, comportamenti in seno ad organi internazionali), ma anche atti "interni" (leggi, sentenze, atti amministrativi), senza alcun ordine di priorità. Sicuramente un ruolo decisivo è svolto dalla giurisprudenza interna, con particolare riguardo alle corti supreme. 22 Diritto Internazionale Marzia Pugliese L'art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, che è l'organo delle Nazioni Unite che ha la funzione di risolvere in base al diritto internazionale le controversie che gli Stati decidono di sottoporle, annovera tra le fonti del diritto internazionale i principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili (dopo gli accordi e le consuetudini). Secondo la comune interpretazione di quest'articolo, detti principi si collocherebbero al terzo posto dopo le consuetudini e gli accordi e sarebbero applicabili quando manchino norme pattizie o consuetudinarie applicabili al caso concreto. Il ricorso ai principi generali di diritto costituirebbe una sorta di analogia juris destinata a colmare le lacune del diritto pattizio o consuetudinario. In realtà esiste una notevole varietà di opinioni in merito: alcuni dicono che non si trattano affatto di norme giuridiche internazionali, altri affermano la natura integratrice del diritto internazionale, altri ancora li collocano al vertice della gerarchia delle fonti. Non è facile orientarsi in materia. Senza dubbio ogni ordinamento giuridico ammette il ricorso ai principi generali in mancanza di norme specifiche e non si vede perché non debba ammettersi lo stesso nell'ambito dell'ordinamento internazionale. Il problema è complicato dalla circostanza che i principi non sarebbero ricavati per astrazione dalle norme internazionali, ma dagli ordinamenti degli Stati “civili”. Questa stessa terminologia è equivoca, ed è stata ritenuta offensiva e anacronistica nell'ambito dei paesi del terzo mondo. Stati incivili, infatti, esistono anche oggi. Due sono le condizioni che devono sussistere affinché i principi statali possano essere applicati a titolo di principi generali di diritto internazionale: 1) Devono essere uniformemente applicati nella maggior parte degli Stati; 2) Occorre che essi siano sentiti come obbligatori o necessari anche dal punto di vista del diritto internazionale, che essi cioè perseguano dei valori e impongano dei comportamenti che gli Stati considerino come necessari e perseguiti anche sul piano internazionale. Così intesi, i principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili non sono altro che una categoria sui generis (specialità) di norme consuetudinarie internazionali, rispetto alle quali la diurnitas è data dalla loro uniforme previsione e applicazione da parte degli Stati all'interno dei rispettivi ordinamenti. Per quanto riguarda l’opinio iuris sive necessitatis, essa è presente nelle vecchie regole di giustizia e di logica giuridica: trattasi di regole che sono intese da tutti gli organi dello Stato come aventi un valore universale, come necessariamente applicabili in qualsiasi ordinamento giuridico e quindi anche in quello internazionale. Per ogni altra regole uniforme di diritto interno occorrerà volta a volte accertare l’opinio juris dal punto di vista internazionale. Nell’accertamento dell’opinio juris a livello internazionale è necessario molto rigore per non prevenire alle conclusioni che qualsiasi uniformità di norme generali statali crei diritto internazionale generale. Con questa riserva la categoria dei principi generali del diritto comuni agli ordinamenti statali è idonea ad aprire all'interprete prospettive interessanti di ricostruzione di norme internazionali. A parte le vecchie regole di giustizia e di logica giuridica, essa può costituire una delle strade per affermare la natura internazionalistica di quei principi, oggi universalmente propugnati, che mirano a salvaguardare la dignità umana e ad attuare una migliore giustizia sociale. 25 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Questa opinione corrisponde sempre meno alla realtà se riferita alle norme convenzionali, norme che, si occupa normai di tanti aspetti della vita che si svolgono all'interno della comunità sternale ed anche della vita più intima. La stessa opinione invece ancora in parte vero per il diritto consuetudinario, salve talune eccezioni. Il ricorso ai principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili può essere assai utile per spendere la sfera dei rapporti tra stato e sudditi regolati dal diritto consuetudinari. Secondo una simile impostazione allora non sarebbero principi destinati a colmare soltanto le lacune del diritto internazionale; il loro rapporto sarebbe invece il normale rapporto tra norme di pari grado: la norma posteriore abroga quella anteriore e la norma speciale deroga quella generale. Bisogna sottolineare che la contrarietà di una legge ordinaria italiana al diritto internazionale generale comporta l'illegittimità costituzionale della legge stessa, per violazione dell'articolo 10: tale illegittimità potrà dichiararsi anche in caso di contrarietà ad un principio generale di diritto riconosciuto dalle Nazioni civili. ● Principi propri dell’ordinamento internazionale Accanto ai principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili, il diritto internazionale contemporaneo conosce una seconda categoria di principi generali, vale a dire i principi propri dell'ordinamento internazionale. Quest'ultimi sono principi che informano l'ordinamento internazionale nel suo complesso e che vengono quindi ricavati attraverso un processo di introduzione generalizzazione del tessuto normativo vigente, al pari di quanto avviene negli ordinamenti giuridici nazionali. Tali principi vengono poi applicati deducendo da essi una specifica regola giuridica per il caso concreto. I principi generali del diritto internazionale assolvono una triplice funzione: i) Stimolano la produzione di nuove norme; j) Forniscono una nuova interpretazione delle norme presenti; k) Contribuiscono all'integrazione dell'ordinamento giuridico. La mancata menzione nello statuto della Corte internazionale di giustizia (CIG) di principi generali propri dell'ordinamento internazionale si spiega col fatto che all'epoca della sua adozione il diritto internazionale si componeva di un numero limitato di norme rendendo così complesso esplorare nell'ordito normativo esistente dei veri e propri principi generali. di qui riferimento nell'articolo 38 ai soli principi comuni agli ordinamenti interni. Essi, possono essere espressi come fonti sussidiarie, hanno il compito di aiutare la Corte a deliberare, nel momento in cui non esiste una norma da applicare al caso in questione. I principi vengono presi all’interno degli ordinamenti di alcuni Stati in cui c’è una tradizione giuridica radicata nel tempo. Per applicare un principio generale nell’ordinamento internazionale, è necessario che esso sia presente nella maggioranza degli ordinamenti statali e che sia considerato dagli Stati stessi applicabile sul piano internazionale. 6. Altre presunte norme generali non scritte. L’equità RICAPITOLANDO: - Fonti primarie: consuetudine 26 Diritto Internazionale Marzia Pugliese - Fonti secondarie: trattati - Atti previsti da accordi: tutti gli atti previsti da i trattati e norme secondarie, come le raccomandazioni, direttive, risoluzioni, dichiarazioni. - Precedenti giurisprudenziali, dei singoli stati più evoluti. - Dottrina dominante, ciò che pensa la dottrina rispetto ad un determinato istituto. Noi sappiamo che nel momento in cui nasce una controversia tra le parti, bisognerà risolvere tale con l’istituto dell’EQUITA’. Analogamente, questo vale anche nel diritto internazionale, anche se la differenza è che i soggetti non sono gli individui ma Stati. Il primo modo di risoluzione è semplicemente quello gerarchico, andando a valutare le norme dalle prime alle ultime ma se ciò non bastasse i giudici risolverebbero la questione con la lettera d) con riserva della disposizione dell’art.59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più autorevoli delle varie nazioni, sono mezzi ausiliari per determinare le norme giuridiche. Si discute se sia fonte di norme internazionali l'equità, definita come il comune sentimento del giusto e dell'ingiusto, e in particolare si ci chiede se l'equità possa ricorrere il giudice internazionale o interno che sia chiamato a risolvere una questione di diritto internazionale. Il parere di Conforti è che la possibilità di utilizzare l'equità come ausilio meramente interpretativo, ed a parte il caso in cui un tribunale arbitrale internazionale sia espressamente autorizzato a giudicare, la risposta deve essere negativa in quanto la prassi internazionale non avvalla una trasposizione sic et simpliciter dell'esperienze inglese del diritto internazionale ed escludere non soltanto l'equità contraria alle norme consuetudinarie o pattizie ma anche l'equità diretta a colmare le lacune del diritto internazionale. Conforti ritiene che l'equità vada propriamente inquadrata nel procedimento di formazione del diritto consuetudinario. 7. Inesistenza di norme generali scritte. La codificazione del diritto consuetudinario Bisogna esaminare il problema se esistano o meno norme internazionali generali scritte. E' con le Nazioni Unite che l'opera di codificazione ha preso slancio, traducendosi in una serie di trattati multilaterali; infatti, nella comunità internazionale manca un'autorità con poteri legislativi, il Trattato è l'unico strumento per la trasformazione del diritto non scritto in diritto scritto. L'articolo 13 della Carta delle Nazioni Unite prevede che l'Assemblea generale intraprenda degli studi e faccia raccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo del diritto internazionale e la sua codificazione. A tali fini l'Assemblea ha creato un'apposita Commissione incaricata di provvedere alla preparazione di testi di codificazione delle norme consuetudinarie relative a determinate materie, procedendo a studi, raccogliendo dati e predisponendo in tal modo progetti di convenzioni multilaterali internazionali che vengano poi adottati e aperti alla ratifica e all'adesione da parte degli Stati stessi. La Commissione non è l'unico organismo in seno al quale si predispongono progetti di accordi di codificazione. L'assemblea generale dell'ONU ha spesso seguito altre strade. In alcuni casi essa ha convocato conferenze di Stati in seno alle quali anche il progetto è stato redatto. Rispetto alle convenzioni progettate dalla Commissione di diritto internazionale, la loro particolarità sta nel fatto che anche il progetto non è frutto del lavoro di individui che esprimono opinioni personali, ma di individui che rappresentano gli Stati e devono seguirne le istruzioni. 27 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Il trattato è quindi, un contratto è una tipologia di fonte scritta , esso può essere di varie tipologie; abbiamo il trattato bilaterale o multilaterale, possono avere un qualsiasi tipo di argomento, e possono essere aperti o chiusi, se sono multilaterali aperti la modalità attraverso cui nuovo stato non fondatore ė il trattato di adesione (occorre stipulare nuovo trattato tra paesi fondatori e chi vuole aderire). - Procedura di stipulazione per i trattati in forma scritta e in forma solenne. Per la stipulazione di un trattato bilaterale e multilaterale in forma solenne, si prevedono con delle differenze 4 fasi: 1. Fase della negoziazione ha come scopo la redazione del testo del trattato, qui vediamo la prima differenza tra i due. Nel caso di un accordo multilaterali è necessario convocare una conferenza internazionale poiché partecipano più di due stati e uno degli stati partecipanti ospiterà la conferenza. Intervengono i rappresentanti dello stato “plenipotenziali”, essi hanno questo nome perché ricevono materialmente dal proprio governo una lettera di pieni poteri (GOVERNO CHE ATTRIBUISCE I POTERI potere esecutivo, titolare del potere estero attribuisce tale lettera al rappresentante). I plenipotenziali discutono e alla fine della negoziazione viene redatto il testo scritto del trattato e firmato dai plenipotenziali. Per gli accordi bilaterali non è imposto un formalismo, si incontrano i rappresentanti e sottoscrivono trattato. Ospitante sarà in genere uni dei due stati, ma non ha luogo la conferenza potendo avvenire anche attraverso canali diplomatici. 2. Fase firma – firma per esteso del plenipotenziario – o con la parafatura – che consiste nella apposizione delle semplici iniziali – che ha un mero valore notarile , la firma viene apposta all’apice del trattato, ed è una firma per esteso del. Nel caso del procedimento solenne la firma è idonea a vincolare lo stato al rispetto del trattato, ha quindi il fine di autenticazione del testo che è così predisposto in forma definitiva e potrà quindi subire modifiche solo in seguito all’apertura di nuovi negoziati. Vi è una tecnica diplomatica del plenipotenziario che lancia messaggi all’esecutivo del proprio governo qualora non è convinto della bontà di questo trattato, o nella fase della negoziazione non hanno capito alcune questioni, quindi gli organi interni che dovranno ratificare sono dell’avviso di studiare con particolare attenzione +++ firma ad referendum, firma con riserva, nella lettera di pieni poteri sono indicati i limiti dei poteri se ha il dubbio che impegni eccessivamente l'Italia o che si travalichi il mandato temendo che il trattato sia andato oltre la lettera di pieni poteri dovrà confrontarsi con il governo e chiedo parere e consenso, se non sono stati superati i limiti nella lettera di pieni poteri torna in conferenza 30 Diritto Internazionale Marzia Pugliese e scioglie la ratifica. Il trattato in questo momento è solo concluso, ma non entra in vigore in quanto manca la manifestazione di volontà ad obbligarsi ossia: 3. Fase ratifica, due o più parti sottoscrivono il trattato. La competenza a ratificare è disciplinata da ogni singolo stato con proprie norme costituzionali. In Italia il parlamento e il presidente della repubblica ratificano il trattato L’art. 87 cost. dispone che il presidente della repubblica ratifica i tratti previa autorizzazione delle camere; L’art. 80 cost specifica che l’autorizzazione delle camere è necessaria e va fatta con legge quando si tratti di trattati che hanno 1. Natura politica 2. Prevedono arbitri o regolamenti giudiziari 3.Importano variazione del territorio 4. Od oneri finanziari 5.O modificazione di leggi; E l’art. 89 cost secondo cui nessun atto del PdR è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità. 4. Fase scambio o deposito delle ratifiche. Se l’accordo è bilaterale si scambiano le ratifiche tra i due plenipotenziali e il trattato entra in vigore. Nel caso sia multilaterale le ratifiche si depositano nel “deposito degli strumenti di ratifica”, ulteriore momento, si depositano presso lo stato che ha ospitato la conferenza internazionale, che acquista la funzione di depositario degli strumenti di ratifica. Questi accoglie gli strumenti di ratifica e comunicherà quando il trattato entra in vigore, al raggiungimento delle firme necessarie Per es: per rendere effettiva la ratifica bisogna che ci sia la maggioranza più uno o l’unanimità, deve essere stabilito prima all’interno di una clausola, rimesso alla volontà delle parti. Produrrà diritti ed obblighi solo per quelli stati che hanno ratificato. OSS esiste sempre un lasso temporale tra il momento in cui avviene la conclusione del trattato, sottoscritto dagli Stati (conclusione) e momento successivo entrata in vigore con raggiungimento delle ratifiche. 5. Ci sarebbe una 5 fase, registrazione presso il segretariato generale ONU tutti gli stati hanno l’obbligo di registrare i trattati presso il segretario generale dell’ONU, ma la prassi dimostra che l’unica conseguenza che ne deriva dall’omessa registrazione è che se ci fosse una controversia internazionale su trattato non registrato, (effetto deterrente potendo operare solo su trattati registrati) la corte int di giustizia non può essere chiamata come arbitro della controversia. Non incide sulla validità dell’efficacia del trattato. ● Le procedure alternative Accanto al procedimento solenne, gli Stati avvalendosi dell’ampia libertà di cui godono nella materia può accadere che seguano un procedimento diverso. Le procedure alternative possono distinguersi a seconda che: 31 Diritto Internazionale Marzia Pugliese - Sfocino comunque nella ratifica e quindi non si discostino sostanzialmente dal procedimento normale, sono inquadrabili le variazioni nella prassi che subiscono le fasi dei negoziati e della firma. Per fare un esempio riguardante la firma, che essa sempre più spessi, nel caso degli accordi multilaterali viene differita nel tempo: il testo del trattato, una volta redatto dai plenipotenziari è “aperto” alla firma e alla ratifica degli Stati ciascuno nell’epoca che gli fa più comodo. La firma differita non ha soltanto funzione di autenticazione del testo e inoltre costituisce una generica dichiarazione di disponibilità dovendo essere seguita dalla ratifica - Accordi in forma semplificata - Oppure si caratterizzano per un differente modo di manifestazione della volontà da parte degli stati (cd. in forma semplificata) I trattati in forma semplificata si caratterizzano perché la firma del plenipotenziale equivale alla ratifica, non ha valenza meramente notarile ma implica la manifestazione di volontà. Non ci sono delle regole precise da parte del diritto internazionale che vieti la stipula in forma semplificata, in linea teorica tutti i trattati possono essere stipulati in via semplificata, infatti in ordinamenti come quello statunitense, è frequente stipulare trattati in forma semplificata. Art. 12 Conv. Vienna “1. Il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un trattato viene espresso con la firma del rappresentante di tale Stato: a) quando il trattato prevede che la firma abbia tale effetto; b) quando sia stato accertato che gli Stati che hanno partecipato ai negoziati avevano convenuto che la firma avrebbe avuto tale effetto; o c) quando l’intenzione dello Stato di dare tale effetto alla firma risulti dai pieni poteri del suo rappresentante o sia stata espressa nel corso dei negoziati. 2. Ai fini del paragrafo 1: a) la parafatura di un testo equivale alla firma di un trattato quando sia accertato che gli Stati che hanno partecipato al negoziato avevano così convenuto; b) la firma ad referendum di un trattato da parte del rappresentante di uno Stato, qualora venga confermata da quest’ultimo, equivale alla firma definitiva del trattato” - Applicazione in Italia del Trattato semplificato (art. 80 Cost.) Tuttavia, se il diritto internazionale non pone alcun limite spesso questi sono posti dagli ordinamenti nazionali rivelandosi in realtà limitatissima. In Italia, l’art. 80 riconosce la forma solenne, in cui impone che la ratifica del Presidente della Repubblica previa legge di autorizzazione dalle camere. Questo articolo prevede 5 categorie di accordo in cui si impone la forma solenne:  Trattati di natura politica; 32 Diritto Internazionale Marzia Pugliese La commissione dei diritti internazionale è un organo sussidiario dell’assemblea generale, che in forza dell’articolo 13 della carta delle nazioni unite, si occupa della codificazione del diritto internazionale e del suo sviluppo progressivo. Si è avvertita l’esigenza di codificare per dare certezza del diritto, in quanto il diritto internazionale era un diritto di carattere consuetudinario. - In un normale trattato internazionale, nella prima fase c'è la negoziazione che è caratterizzata dalla presenza delle parti, caratteristica dei rapporti internazionali che nella negoziazione compaiono i rappresentanti degli Stati contraenti che viene portata avanti dai rappresentanti degli Stati che si chiamano plenipotenziari; Invece nella codificazione non c'è proprio una negoziazione perché c'è un organismo terzo che si chiama commissione di diritto internazionale, è previsto dall'articolo 13 della carta che non è comporta da plenipotenziali, la commissione composta da giuristi di grande fama e sono indipendenti non rispondono del loro operato agli Stati (non rappresenta gli Stati) Questi giuristi hanno unicamente lo scopo di scrivere un testo questo testo, che non sarà frutto dei negoziati ma sarà tutto un lavoro di studio assolutamente indipendente è assolutamente libero da vincoli e quindi la differenza sta in questo La codificazione, quindi, ha lo scopo è quello di prendere le norme consuetudinarie individuando alcuni macrosettori, delle aree, delle materie; diritto dei trattati; diritto del mare; responsabilità internazionale. A questo punto, la commissione deve raccogliere norme non scritte consuetudinarie e le deve mettere in un testo scritto che un domani diventerà trattato; quindi, lo scopo è di raccogliere le norme; quindi, lo scopo apparentemente sembra poco edificante. Però l'articolo 13 ci dice parla oltre a raccogliere e a codificare le norme consuetudinarie “la commissione deve favorire lo sviluppo progressivo del diritto internazionale” significa colmare le eventuali lacune, ad esempio, se manca una norma sull'estinzione dei trattati la commissione potrebbe trovare un'eventuale soluzione; quindi posto che manca una norma consuetudinaria si potrebbe colmare con una norma nuova l'articolo 13 pertanto dice che deve “promuovere lo sviluppo progressivo” oppure norme innovative e quindi è come fosse un legislatore quella funzione che mancava adesso ce l'ha la commissione del diritto internazionale che ha l'occasione di inserire norme nel diritto internazionale. Prendendo una Convezione, come ad esempio di Vienna, notiamo che quando è una norma effettivamente e semplicemente riproduttiva della consuetudine, siccome è una norma che nasce spontaneamente perché gli Stati sentono la doverosità sociale, questa sarà una norma essenziale molto semplice e facile, elementare. Come, ad esempio, il principio della tabula rasa, significa che se guardiamo la successione dei trattati, quindi l'ipotesi della successione stati dei trattati; nell'ipotesi in cui cambiano gli Stati perché c'è un’incorporazione, uno smembramento; pensiamo alla ex Jugoslavia ex Unione Sovietica cosa succede ai trattati stipulati da questi Stati, dai predecessori? Si annullano tabula rasa (norma consuetudinaria) perché tendenzialmente quello successivo vuole eliminare tutto del predecessore è una regola logica. 35 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Quindi la norma convenzionale è molto semplice la norma che riguarda lo sviluppo progressivo del diritto internazionale è molto complessa. Domanda possibile d’esame: che differenza c’è tra un trattato internazionale in forma solenne E un trattato di codificazione? Conoscendo il procedimento di stipulazione sappiamo che nell’accordo di codificazione rispetto al trattato in forma solenne manca la negoziazione, mancano i plenipotenziari, quindi opera un organo terzo (commissione). Mancando il negoziato e firma la commissione ai sensi dell’art 13 può inserire norme nuove di sviluppo progressivo, cercando di facilitare il processo di cristallizzazione delle norme consuetudinarie. Osserva: le norme riproduttive della consuetudine valgono per tutti, se sono innovative vale la clausola si omnes ossia per gli Stati che hanno sottoscritto e rettificato la convenzione di Vienna. L’operazione complicata riuscire a discernere (decidere) tra le due. Gli accordi di codificazione trovano base giuridica nella carta, che affida il compito all’ assemblea generale che ha costituito organo sussidiario la commissione di diritto internazionale che in virtù dell’art 13 della carta si occupa della codificazione del diritto internazionale e del suo sviluppo del diritto così da assicurare la certezza del diritto, esigenza avvertita dalla comunità internazionale . (Convenzione Vienna, Montego bay ecc..). Dobbiamo ricordare che esiste una differenza tra l’accordo di codificazione (convenzione) e il trattato in forma solenne, ossia la fase di negoziazione nell’accordo di codificazione non esiste in quanto è presente un organo terzo, cioè l’assemblea. 11. Riserva dei trattati Da non confondere con la firma ad referendum che concerne i dubbi del plenipotenziario nella lettera ai pleni-poteri. La riserva è un atto unilaterale di uno Stato che prende parte ad un trattato internazionale in cui dichiara o di non accettare delle clausole del trattato (cd. riserva dichiarativa) oppure dichiara di accettare quella clausola e in calce ad essa viene data questa determinata interpretazione , che lo stato ritiene vincolante (accetto solo se si da questa interpretazione cd interpretativa) La riserva, che va posta in calce al trattato, nei 12 mesi successivi deve essere eventualmente dagli latri Stati contestata, se non viene contestata si ritiene accettata (come il silenzio assenso). Nell’istituto della riserva dobbiamo capire quale è il momento idoneo ad apporre la riserva stessa, e dobbiamo fare una differenza:  Nel diritto internazionale classico , la riserva poteva essere apposta solo nella fase della negoziazione e solo se il testo del trattato prevedeva la facoltà di prevedere riserve questo in ossequio al principio della sacralità del trattato Se la facoltà di apporre riserve fosse libera allora il trattato sarebbe frammentato e si presenterebbero una serie di convenzioni bilaterali, i rapporti reciproci si spezzetterebbero, si voleva salvaguardare il testo ma l’originaria formulazione e non creare fratture.  La storia però cambia perché succede qualcosa di particolare, l’assemblea generale delle nazioni unite aveva dato vita alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (civili e politici), però queste dichiarazioni universali toccavano problematiche importanti per il diritto internazionale, come quella ad esempio del genocidio, tematiche delicatissime 36 Diritto Internazionale Marzia Pugliese praticate in alcuni paesi retrogradi. Purtroppo, però queste dichiarazioni, sono sostanzialmente delle raccomandazioni e di conseguenza non creano obblighi, quindi strumento poco efficace. Sulla falsariga di quanto accade per gli accordi di codificazione, l’assemblea generale delle nazioni unite cerca di trasfondere queste dichiarazioni all’interno di un testo di un trattato facendosi promotrice di una conferenza internazionale (accordo multilaterale), per produrre degli obblighi vincolanti. A questo tavolo, si cerca di invitare soprattutto i paesi che praticavano crimini contro l’umanità, come ad esempio il Sud Africa, l’Equador, criminali iuris gentium perché non coinvolgere quegli stati significava non integrarli e fallire l’obbiettivo. Occorreva la ratifica. Questi paesi che fanno parte della conferenza però, rispetto al testo del trattato, decidono di apporre delle riserve, ma non lo fanno nella negoziazione (poiché quest’ultima non c’è mai stata in quanto il testo già esisteva ed era distanziato dalle dichiarazioni dei diritti dell’uomo), bensì nella fase della ratifica. L’Assemblea Generale che è un organo delle Nazioni Unite, non sapendo come comportarsi chiede un parere alla Corte Internazionale di Giustizia (1940/1950) (gli organi possono chiedere solo un parere e non una sentenza alla corte mentre gli stati possono chiedere sentenze e non sollecitare pareri). Quest’ultima cerca di guardare alla sostanza, e nonostante avrebbe dovuto dire ,stando al diritto internazionale di allora , che queste riserve sono inammissibili, invece dice che per di far entrare questi Stati nel Trattato si può sacrificare il principio di sacralità del trattato, questa riserva apposta inoltre non riguarda il cuore del Trattato ma è una clausola marginale quindi; per ragioni di opportunità politica emette parere dicendo che una riserva apposta in un momento successivo alla negoziazione e durante la fase di ratifica è ammissibile purché non contrasti con l’oggetto e con lo scopo fondamentale del trattato. Questo parere, porterà la nascita del diritto internazionale moderno. A seguito di tale vicenda le riserve possono essere apposte relativamente a clausole marginali, ancillari sebbene possano essere apposte in qualunque momento. Dopo il parere la convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 69’ art 19 istituto della riserva, e stato decodificato il dispositivo del parere della Corte int di giustizia. Creato precedente con il suo parere riprodotto fedelmente nella convenzione di codificazione sul diritto dei trattati di cui l’art 19, riprodotto il dispositivo del parere della Corte. Se uno Stati appone una riserva in fase di ratifica che contrasta con scopo ed oggetto del trattato, trattasi di riserva inammissibile e invece la prassi più recente ha adottato il principio (utile per inutile non vitiatur) secondo cui una riserva inammissibile si considera non apposta. Cosa succede se il Governo non tiene conto di una riserva decisa dal Parlamento o formula una riserva che il Parlamento non ha voluto? Casi del genere si sono anche verificati in Italia e le opinioni dottrinali in merito sono svariate. 37 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Questo percorso di sostituzione di una vecchia norma con una nuova è un processo molto lungo che è stato accelerato è data dalla commissione di diritto internazionale —ha il compito di codificare le norme di diritto internazionale. La commissione in questa situazione si è posta la domanda di trascrizione della norma ma quale delle due prassi bisognava scegliere? E decide di introdurre una serie di clausole che lasciano in vita la tabula rasa, inserendo alcune nozioni. La successione degli Stati nei trattati è regolata dalla Convenzione di Vienna sulla successione tra Stati nei trattati del 1978 conferenza della commissione del diritto internazionale, dal 1978 al 1996 l’Austria, ossia lo stato depositario ha raccolto tutte le ratifiche e sono il numero sufficiente, il trattato entra in vigore (nel 1996 non ancora ratificata dall’Italia, fino alla ratifica vale ancora la tabula rasa). La commissione divide innanzitutto tra i trattati localizzabili e non localizzabili ● Trattati localizzabili Secondo la commissione, viene ripresa la regola della trasmissibilità dei trattati localizzabili cioè che sono intimamente connaturati al territorio, trattati di confine, servitù di passaggio di una tratta di territorio (principio res transit cum suo onere, in base al quale i rapporti giuridici che insistono su un territorio e istituiscono vincoli di natura reale si trasmettono dallo Stato preesistente allo Stato successore.) L’eccezione è il principio dell’intrasmissibilità dei trattati localizzabili di natura politica. Si tratta di accordi che sono strettamente legati alla natura dello Stato e al regime in vigore prima del mutamento di sovranità (ad es. la concessione di parti di territorio per l’installazione di basi militari). Infine, secondo il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite, alla categoria dei trattati localizzabili andrebbero ricondotti anche i trattati in materia di diritti umani, sulla base dell'argomento che i diritti in essi riconosciuti appartengono alle persone che vivono sul territorio degli stati parte. Passiamo ora ai trattati non localizzabili, che sono la maggior parte. Per questo tipo di accordi la prassi risulta assai confusa anche perché sempre più spesso la successione nei trattati del predecessore è regolata mediante accordi tra lo Stato subentrante e le altre parti contraenti dei precedenti trattati. La regola fondamentale da assumere come punto di partenza per i trattati non localizzabili è quella della c.d. tabula rasa: lo Stato che subentra nel governo di un territorio non è, in linea di principio, salve eccezioni, vincolato dagli accordi conclusi dal suo predecessore. La prassi depone in tal senso. La Convenzione distingue la situazione degli Stati sorti dalla decolonizzazione dalla situazione di ogni altro Stato che subentri nel governo di un territorio. Mentre per la prima assume come regola fondamentale quella della tabula rasa, per la seconda sceglie la regola opposta della continuità dei trattati. Un simile trattamento differenziato non trova però corrispondenza nel diritto consuetudinario. A questo punto possiamo esaminare le singole ipotesi di mutamento di sovranità assumendo come punto di partenza la regola della tabula rasa. ● Distacco 40 Diritto Internazionale Marzia Pugliese 1. Il principio della tabula rasa si applica anzitutto nell'ipotesi del distacco di una parte del territorio di uno Stato. Può darsi che la parte di territorio distaccatasi si aggiunga al territorio di un altro Stato preesistente. In tal caso gli accordi vigenti nello Stato che subisce il distacco cessano di avere vigore con riguardo al territorio distaccatosi e si estendono invece automaticamente gli accordi vigenti nello stato che acquista il territorio. ● Secessione 2. Può darsi invece che sulla parte distaccatasi si formino uno o più Stati nuovi (secessione). Anche in questo caso gli accordi vigenti nello Stato che subisce il distacco cessano di avere vigore con riguardo al territorio che acquista l'indipendenza e si estendono i Trattati del nuovo Stato. La prassi relativa agli Stati sorti dalla decolonizzazione ha suggellato tale tendenza. Per risolvere il problema è rimessa alla volontà delle parti la scelta di risoluzione tra: - Accordo di devoluzione lo Stato prima e quello nuovo stipulano un trattato in cui lo stato nuovo dichiara di voler subentrare in tutti i trattati precedenti - Oppure si usa la notificazione di successione c’è un atto unilaterale dello stato subentrante che dichiara a tutti gli altri , dove evince la volontà di subentrare in tutti gli obblighi e diritti allo stato precedente. ● Smembramento 3. Affine all'ipotesi della secessione è il caso dello smembramento. Mentre la secessione non implica l'estinzione dello Stato che la subisce, la caratteristica dello smembramento sta proprio nel fatto che uno Stato si estingue e sul suo territorio si formano due o più Stati nuovi. L'unico criterio idoneo a distinguere le due ipotesi è quello della continuità o meno dell'organizzazione di governo preesistente: l'ipotesi dello smembramento è da ammettere quando nessuno degli Stati residui abbia la stessa organizzazione di governo, lo stesso regime. Ai fini della successione nei trattati, lo smembramento deve essere assimilato al distacco. Si applica il principio della tabula rasa, temperato però dalla regola che per i trattati multilaterali aperti prevede la facoltà di procedere ad una notificazione di successione. Opposte in un certo senso al distacco e allo smembramento sono l'incorporazione e la fusione. L’incorporazione si ha quando uno Stato, estinguendosi, passa a far parte di un altro Stato; La fusione quando due o più Stati si estinguono tutti e danno vita ad uno Stato nuovo. La distinzione è molto sottile e bisogna pertanto riferirsi all'organizzazione di governo che risulta dall'unificazione. 4. All'incorporazione si applica la regola della mobilità delle frontiere dei trattati. I trattati dello Stato che si estingue cessano di avere vigore, mentre al territorio incorporato si estendono i trattati dello Stato incorporante. Per i trattati dello Stato incorporato vale, ancora una volta, il principio della tabula rasa. 41 Diritto Internazionale Marzia Pugliese 5. Lo stesso principio regola i casi di fusione: lo Stato sorto dalla fusione, sempre che sia effettivamente stato nuovo e che non presenti condizioni di continuità per quanto riguarda l'organizzazione di governo, nasce libero da impegni pattizi. Un'eccezione al principio della tabula rasa sia nell'ipotesi di incorporazione che di fusione, deve ammettersi quando le comunità statali incorporate o fuse, pur estinguendosi come soggetti internazionali, conservino un notevole grado di autonomia nell'ambito dello Stato incorporante o nuovo, quando si instauri un vincolo di tipo federale. In tal caso la prassi si è orientata nel senso della continuità degli accordi. 6. Un problema di successione nei trattati si pone anche nel caso si verifichi un mutamento di governo nell'ambito di una comunità statale, senza che il territorio subisca ampliamenti o diminuzioni. Quando il mutamento avviene per vie extralegali e si instaura un regime radicalmente diverso, si deve ritenere che muti la persona di diritto internazionale (proprio perché lo Stato soggetto di diritto internazionale si identifica con l'apparato di governo). Opera anche qui il principio della tabula rasa o si ha una successione del nuovo Governo nei diritti e negli obblighi del predecessore? La prassi sembra orientata per il principio di continuità dei trattati in questo secondo senso, eccezion fatta per i trattati incompatibili con il nuovo regime (purché non di natura politica) Successione nei debiti contratti mediante accordo internazionale. Il principio generale è quello della tabula rasa salvo i debiti localizzabili. Secondo la prassi più recente (smembramento dell'URSS e della Cecoslovacchia) il debito deve essere equamente ripartito tra gli Stati sorti dallo smembramento e tra questi Stati ed i soggetti creditori. 10. Incompatibilità tra i trattati L'ipotesi tra incompatibilità dei trattati, questo problema si scinde se vi sia una totale coincidenza laddove gli Stati contraenti siano gli stessi oppure se vi sia soltanto una parziale coincidenza tra le parti contraenti del trattato antecedente rispetto al trattato successivo. - Nel primo caso, è un'ipotesi facilmente risolvibile laddove gli Stati contraenti del primo trattato ne contraggono un successivo – totalmente coincidenti – che dispone in maniera differente, perché la legge successiva abroga quella precedente se le parti sono le stesse. In questo primo caso quando vi è la totale coincidenza tra gli Stati del primo trattato e del successivo trattato il problema e quello della successione nel tempo delle regole pattizie. - La seconda ipotesi è quella più complessa, in questo caso la regola fondamentale è che il nuovo trattato vale soltanto per le parti contraenti del vecchio trattato che siano anche parti contraenti del nuovo trattato. Laddove non c'è coincidenza di parti, il criterio risolutore ovvio dal punto di vista logico, ma che crea un ginepraio di problemi inestricabile, è quello della scelta per «fatti concludenti». Il diritto consuetudinario ci dice su questo punto che lo stato che ha stipulato due trattati differenti con Stati differenti, mettiamo il caso l’Italia stipula un trattato con Italia Francia Germania e Spagna e successivamente ne stipula una che va in contrato con quello precedente con altri Stati. Succede che ad un certo punto che questa contraddizione viene alla luce e lo Stato che ha compiuto l’errore di stipulare due trattati in contraddizione prima o poi farà una scelta o ottempera l’uno o l’altro. 42 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Interpretazione dei tratti istitutivi di organizzazioni internazionali Tutto ciò vale anche per i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali, nonostante ciò, da più parti si tenta di ricostruire per questi trattati delle regole particolari e ciò riflette la comune concezione di considerare tali accordi, come vere e proprie costituzioni ad es. per la carta delle Nazioni Unite e per i trattati dell'Unione Europea. La Corte Internazionale di Giustizia ha confermato questa tesi, utilizzando la teoria dei poteri impliciti, per la quale ogni organo dispone non solo dei poteri espressamente attribuitigli, ma anche di tutti i poteri necessari per l’esercizio dei poteri espressi. ● Interpretazione unilaterali INTERPRETAZIONI UNILATERALI, DEF: interpretazione che possa assumere significati differenti a seconda dello Stato contraente al quale, o all'interno del quale, debba volta a volta applicarsi. La convenzione di Vienna non avalla interpretazioni unilateralistiche dei trattati. Quest'impostazione la si può desumere da due nome:  Art.33 → secondo cui, se nelle varie lingue di traduzione ci sono difformità, si impone un'interpretazione che concili tutti i testi, rifiutando cosi una vecchia tesi secondo cui per ciascuno stato varrebbe il testo redatto nella sua lingua.  Art.31, par.3 → secondo cui nell'interpretare un trattato occorre anche tener conto di altre norme internazionali in vigore fra le parti. Tra le altre norme utilizzabili il par.3 non include le norme di diritto interno, proprie di ciascuno stato contraente. Tendenza molto significativa se si considera la tendenza unilateralistica tipica di qualche decennio fa. - Contro le tendenze unilateralistiche che non siano autorizzate dall'accordo, secondo la dottrina (iovane/conforti), bisogna in effetti reagire. Esse mal si conciliano con l'idea di trattato in quanto punto di incontro e di fusione delle volontà degli stati contraenti. • Corte di Cassazione: l'interpretazione dei trattati non puo essere condotta in modo conforme unicamente all'ordinamento interno dell'interprete (sent.2014). • Inoltre, il problema dell'interpretazione dei termini tecnico-giuridici interni, suscettibili di avere significati diversi nei vari ordinamenti statali, può porsi per i trattati conclusi nelle più disparate materie, dagli accordi commerciali a quelli che tutelano i diritti umani . Ma il campo in cui si e posto più frequentemente e quello degli accordi di diritto privato uniforme, ossia gli accordi nel quale gli stati si impegnano a regolare allo stesso modo certi settori del diritto privato e del diritto internazionale privato. ● Interpretazione degli accordi di diritto uniforme L'esigenza di evitare interpretazioni unilateralistiche è avvertita anche in sede di redazione di alcune convenzioni di diritto privato e processuale. Un esempio interessante al riguardo e dato dalla Convenzione di Bruxelles del 1968, sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale 45 Diritto Internazionale Marzia Pugliese completata dal Protocollo di Lussemburgo del 1971: il protocollo attribuiva alla CGCE la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle questioni relative all'interpretazione della convenzione sollevate innanzi ai giudici nazionali (e chiaro che affidandosi ad un giudice unico il compito di sciogliere i dubbi interpretativi con l'efficacia vincolante all'interno degli Stati contraenti l'unicita nella interpretazione delle clausole convenzionali e assicurata alla radice). Una soluzione meno radicale ma pur sempre tesa a svincolare l'interpretazione dai singoli ordinamenti interni e fornita dalla Convenzione di Vienna del 1980, relativa ai contratti di vendita internazionale di merci, che ex art 7 stabilisce: le questioni concernenti le materie regolate dalla presente convenzione e che non sono da essa espressamente risolte saranno regolate secondo i principi generali a cui si ispira. A quali principi dovra far riferimento? dovra comunque evitare di rifarsi esclusivamente al proprio diritto, se non vi e autorizzato dallo stesso accordo. Esso dovra sforzarsi di stabilire alla luce di diritto consuetudinario cosi come codificato dalla convenzione di Vienna quale sia il significato unico e obiettivo della disposizione convenzionale. ● Libertà dei giudici interni in materia di interpretazione del diritto internazionale (a parte il caso in cui un giudice internazionale e esclusivamente competente , in via pregiudiziale, a interpretare un trattato e le sue fonti derivate) deve rivendicarsi, in capo ai giudici interni, la massima libertà nell'interpretazione del diritto internazionale, analogamente a quanto avviene per l'interpretazione del diritto interno. La subordinazione dei giudici al potere esecutivo, in questa materia, va scomparendo. ● Accordi conclusi con le regioni Nell’ambito dell’ordinamento italiano si pone la questione se anche le regioni possano concludere accordi internazionali. La questione (analoga a quella dibattuta per gli stati a struttura federalistica o in cui comunque esistono entri territoriali autonomi) ha avuto origine da certe iniziative prese da alcune regioni. La Corte costituzionale prese in primo tempo una posizione in senso drastica affermando che la formulazione di accordi con soggetti propri di altri ordinamenti è compito che spetti nel nostro sistema costituzionale esclusivamente agli organi dello stato sovrano. La materia venne poi regolata (nel 1977) e si riservava allo Stato le funzioni relative ai rapporti internazionali nelle materie trasferite e delegate alle Regioni e nel 2° comma si faceva divieto alle regioni di svolgere attività di promozionali all’estero senza il preventivo assenso governativo. Dopo tale intervento legislativo la Corte Costituzionale tornò più volte sull’argomento e sostenne che le Regioni, procuratesi il previo assenso del Governo centrale, potessero stipulare non solo intese di rilievo internazionale, ma addirittura, accordi in senso proprio tali da impegnare la responsabilità dello Stato e purché si trattasse di accordi riguardanti materie di competenza regionale La materia è ora regolata nell’art. 117 Cost. il quale prevede la competenza delle Regioni, nelle materie di sua competenza, a concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinate da leggi dello stato 46 Diritto Internazionale Marzia Pugliese ● Accordi delle organizzazioni internazionali Nella prassi contemporanea è anche molto diffuso il fenomeno degli accordi stipulati dalle organizzazioni internazionali, sia fra loro, sia con Stati terzi (da non confondere con quello della negoziazione o della conclusione di accordi fra Stati in seno ad organizzazioni internazionali) Probabilmente il potere di concludere trattati è da considerare la manifestazione più saliente della personalità giuridica internazionale delle organizzazioni. Il Trattato istitutivo dell'organizzazione stessa deve disciplinare quali sono gli organi competenti a stipulare e quale sia la competenza per materie. Una violazione grave delle norme statutarie sulla competenza a stipulare può comportare l'invalidità dell'accordo. Poiché, però, le norme contenute nel Trattato istitutivo sono modificabili dalla consuetudine, la competenza a stipulare può anche risultare da regole consolidatesi nella prassi dell'organizzazione, purché si tratti di prassi certa, ossia seguita dagli organi e accettata dagli Stati membri e sempre che non ci sia un organo giudiziario incaricato di vegliare sul rispetto del trattato. 14. Cause di invalidità e estinzione dei trattati ● L’estinzione del trattato L’estinzione dei trattati consiste nella cessazione definitiva di qualunque effetto giuridico prodotto in precedenza da un trattato valido, a partire dal momento in cui si verificano determinate cause: • Termine finale: Trattato CECA, carbone e dell’acciaio (1957), c’era una clausola che prevedeva il termine finale (50 anni dopo 2002). • Condizione risolutiva: Quando si raggiunge l’obbiettivo del trattato. • Denuncia o recesso: Uno Stato manifesta la volontà di non essere più vincolato dall’accordo, esso quindi conclude un nuovo accordo sopra lo stesso oggetto o conclusione di un accordo incompatibile con quello previgente. • Abrogazione implicita: di un trattato a cui le parti, di fatto , non si sentono più vincolate. • Violazione sostanziale del trattato: Inadempimento della controparte, principio inadimplenti non est adimplendum • Conflitto armato: prassi pro-sospensione e non estinzione dei trattati incompatibili con lo stato di guerra. Quando c’è una guerra il trattato è sospeso non esisto, al termine della guerra c’è una decisione. • La sopravvenienza di una nuova norma di diritto cogente internazionale • Impossibilità di dare esecuzione al trattato: per scomparsa definitiva (incolpevole) di un oggetto indispensabile all’esecuzione del trattato. Pensiamo ad un trattato che stabilisce la mobilità su un fiume, ma se il fiume scompare il trattato si estingue autonomamente. 47 Diritto Internazionale Marzia Pugliese  Notifica scritta della pretesa dello Stato agli altri paesi contraenti  Se, trascorso un periodo non inferiore a 3 mesi salvi i casi di urgenza , non vengono presentate obiezioni, lo Stato può definitivamente dichiarare che il Trattato è invalido o estinto, con atto comunicato alle altre parti, sottoscritto dal Capo dello Stato o dal Capo del Governo o dal Ministro degli Esteri, o comunque da una persona munita di pieni poteri in tal senso  Se invece vengono presentate obiezioni, si cerca una soluzione della controversia con mezzi pacifici. La soluzione deve pervenire entro 12 mesi.  Se passano i 12 mesi inutilmente, si mette in moto una procedura conciliativa che fa capo ad una commissione formata nell'ambito delle Nazioni Unite che sfocia in una decisione non obbligatoria, ma esortativa. La pretesa all'invalidità o estinzione resta paralizzata in perpetuo. I giudici interni non sono mai vincolati e costretti alla paralisi 15. Le fonti previste da accordi. Il fenomeno delle organizzazioni internazionali. Le Nazioni Unite. I Trattati non contengono solo regole materiali, ma anche regole strumentali o formali, che istituiscono cioè ulteriori procedimenti o fonti di produzione di norme. Generalmente il compito delle organizzazioni internazionali non è quello di emanare norme, ma di facilitare la collaborazione tra Stati membri, mediante raccomandazioni, cioè atti che hanno scarso valore giuridico perché non sono vincolanti, ma hanno solo valore di esortazione. Le risoluzioni delle organizzazioni internazionali possono essere, a seconda dei loro Statuti, prese a maggioranza o maggioranza qualificata, ma spesso è richiesta l'unanimità. Recentemente si è affermata la pratica del consensus, che consente nell'approvare una risoluzione senza una votazione formale, ma con una dichiarazione (non contestata, ma concertata) dal Presidente dell'organo che attesta l'accordo tra i membri. ● Il sistema di sicurezza collettivo Onu (organizzazione nazioni unite): L’ONU NASCE con la Conferenza di San Francisco (aprile 1945) Gli Stati Uniti sono lo stato ospitante e stato depositante di ratifica, il testo fu adottato il 26 giugno 1945; le 30 ratifiche richieste furono subito ottenute e la Carta entrò in vigore il 24 ottobre 1945 (È uno dei rari casi di ratifica in tempi brevi). Il trattato istitutivo riconosce: • Personalità di diritto internazionale dell'organizzazione, distinta da quella degli Stati membri (confermata più volte dalla Corte Internazionale di Giustizia); Si è voluto aggiungere anche questa personalità di diritto, che di fatto già esiste, in quanto l’ONU può 50 Diritto Internazionale Marzia Pugliese stipulare i trattati. L’esempio più importante è l’Accordo di sede, che dice che la personalità è una norma consuetudinaria che stabilisce i requisiti della soggettività. • Personalità di diritto interno dell'organizzazione, ovvero la capa cità di stipulare contratti di diritto privato, di vendere, di acquistare beni, riconosciuta esplicitamente dall' art. 104 della Carta; • Valore giuridico particolare agli obblighi statutari. Secondo l'art. 103 (clausola di subordinazione) infatti, in caso di contrasto fra gli obblighi contratti dai membri delle Nazioni Unite con la Carta e obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno quelli derivanti dallo Statuto. ● Ammissione, requisiti e obblighi dello stato membro dell’Onu L'ammissione La procedura di ammissione disciplinata dall'art. 4 par. 2 della Carta e dagli art. 134 e 58 dei regolamenti dell'Assemblea Generale e del Consi glio di Sicurezza , prevede che le domande degli Stati: • Siano presentate al Segretario Generale ; • Siano trasmesse al Consiglio di Sicurezza che si pronuncia sulle stesse e al quale spetta il vero potere di decidere sull'ammissione; • Siano approvate dall'Assemblea con una maggioranza di 2/3 . -L’Art 11 della costituzione italiana, abolisce la guerra ma entra a far parte sottoscrive la carta delle nazioni unite con un trattato multilaterale. I requisiti I requisiti richiesti dall'art. 4 per l'ammissione sono: • La qualifica di Stato , ovvero ad un apparato effettivo ed indipendente di governo di una comunità territoriale (da notare il caso di Ucraina e Bielorussia che furono considerati soggetti internazionali pur non godendo di alcuna autonomia reale nei rapporti internazionali - i c.d. governi fantoccio) • L'essere amante della pace; • L’adesione agli obblighi derivanti dallo Statuto , che evidentemente è implicita nella stessa domanda di ammissione; • L'essere ritenuto capace di adempiere tali obblighi . Gli obblighi derivanti dallo status di membro • L'obbligo di astenersi dall'uso della forza nelle relazioni internazionali e quello parallelo di regolare con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale; • L'obbligo di assistenza all'ONU nelle azioni che essa intraprende in conformità dello Statuto; 51 Diritto Internazionale Marzia Pugliese • L'obbligo di rispettare i diritti fondamentali dell'individuo; • L'obbligo di eseguire in buona fede; le obbligazioni derivanti dalla Car ta ; le decisioni del Consiglio di Sicurezza, e di adempiere le obbligazio ni finanziarie nei confronti dell'organizzazione. Le conseguenze dell’inosservanza degli obblighi derivanti dallo status di membro La mancata osservanza di alcuni di questi obblighi può comportare: • L'espulsione, contemplata dall'art. 6 della Carta. Essa viene pronuncia ta dall'Assemblea , su proposta del Consiglio di Sicurezza , nei confronti di quegli Stati che abbiano violato persistentemente la Carta. L' art. 6 non è mai stato applicato ed è sempre stata considerata come extrema ratio; • La sospensione totale dei diritti e dei privilegi derivanti dallo status di membro, che a norma dell'art. 5, può colpire quegli Stati contro cui il Consiglio di Sicurezza ha intrapreso azioni preventive e coercitive. • La sospensione parziale, quella più frequente, prevista dall'art. 19, che comporta la perdita del diritto di voto ed è conseguenza del mancato pagamento, per due anni consecutivi, dei contributi finanziari così come ripartiti dall'As semblea . (ciascuno stato ha 5 rappresentanti – 1 voto). Le competenze dell’Onu Le competenze dell'ONU sono definite in termini molto generali dalla Carta, tanto che è difficile enunciarle in maniera rigorosa. In linea di massima esse hanno ad oggetto: • Il mantenimento della pace tra le nazioni. È senza alcun dubbio il fine principale della Carta nel cui preambolo si ricorda che l’azione dei popoli delle Nazioni Unite è volta in primo luogo «a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità». A questo fine viene vietato l'uso della forza nelle relazioni internazionali, viene stabilito l’ob bligo di risolvere con mezzi pacifici le controversie internazionali e viene costituito un sistema di sicurezza collettivo concentrato nelle mani del Consiglio di Sicurezza per mantenere l'ordine internazionale; • Lo sviluppo delle relazioni amichevoli tra gli Stati, con il fine principale di affrontare i problemi dello sviluppo economico dei Paesi arre trati , di incoraggiare il rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo e di promuovere «il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà» (Preambolo). Il dominio riservato (domestic jurisdiction) L’unico limite alla competenza delle Nazioni Unite è costituito dal rispetto del dominio riservato di ciascuno Stato. 52 Diritto Internazionale Marzia Pugliese - Le questioni finanziarie e di bilancio dell’organizzazione; quanti contributi uno stato deve versare (è l’unico momento in cui esegue un atto vincolante, è l’unico momento in cui ha potere decisionale) - Il settore dello sviluppo progressivo del diritto internazionale e della sua codificazione. Potere conferitogli dall’art 13 della carta che ha delegato alla commissione dei diritti internazionale - Lo sviluppo della cooperazione internazionale nel campo economico, sociale, culturale, educativo e della sanità pubblica e della protezione dei diritti fondamentali dell'uomo; Ha competenza congiunta con quella del Consiglio di Sicurezza - In materia di revisione generale della Carta; - Ammissione, espulsione e so spensione di un membro dell'organizzazione ; - L’elezione del Segretario Generale e dei giudici della Corte Internazionale di Giustizia. Competenza parallela con quella del Consiglio di Sicurezza; - Nel campo del mantenimento della pace e dell'ordine internazionale. Tuttavia, questa competenza viene meno qualora una controversia sia già oggetto di discussione in seno al Consiglio di Sicurezza; inoltre sussiste l'obbligo dell'Assemblea di deferire al Consiglio di Sicurezza qualsiasi questione che è oggetto di discussione, qualora si renda necessario adottare eventuali azioni. I poteri dell’assemblea I poteri riconosciuti all'Assemblea Generale comprendono anche una vera e propria funzione conciliativa dell'Assemblea, analoga a quella prevista dal Cap. VI della Carta per il Consiglio di Sicurezza (soluzione pacifica delle controversie). L’uso dei poteri inerenti alla funzione conciliativa consiste in raccomandazioni che l’Assemblea adotta e che hanno la stessa portata non vincolante di quelle che il Consiglio di Sicurezza può adottare in base al Cap. VI della Carta. A fronte di una competenza tanto vasta quanto indefinita, la Carta attribuisce limitati poteri vincolanti all’Assemblea. Essa, infatti, esercita poteri vincolanti in relazione esclusivamente a questioni di ordine interno, tra cui ricordiamo: • L’ammissione di nuovi membri, la sospensione e l’espulsione di un membro dell’organizzazione; • L'approvazione del bilancio e la ripartizione dei contributi obbligatori tra i membri dell'ONU; • La creazione di organi sussidiari (art. 22); 55 Diritto Internazionale Marzia Pugliese • L’elezione del Segretario Generale (art. 97), dei giudici della Corte Internazionale di Giustizia e dei membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza. SOLO IN QUESTI CASI HA POTERE DECISIONALE. In tutti gli altri settori che rientrano nella sua competenza l'Assemblea Generale può adottare esclusivamente atti non vincolanti ovvero raccomandazioni e dichiarazioni di principi. ● Il consiglio di sicurezza Il Consiglio di Sicurezza è un organo permanente a composizione ristretta. Esso è infatti formato da 15 membri, i quali sono divisi in: • Membri permanenti: sono membri inamovibili le 5 potenze vincitrici della 2° guerra mondiale: Cina, Francia, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Dispongono del diritto di veto (non può essere adottata nessuna risoluzione senza il voto di questi) • Membri non permanenti: sono quei membri eletti per un periodo di due anni dall’Assemblea, la cui elezione avviene tenendo conto; - Del contributo di ciascuno Stato al mantenimento della pace; - Di un criterio geografico per il quale 5 Stati appartengono all’Africa o all’Asia, 2 all’America latina, 1 all’Europa dell'Est e 2 all’Europa occidentale o ad altre zone. Il Consiglio si riunisce due volte all'anno a New York o in qualsiasi altro luogo che, a suo giudizio, possa meglio facilitare i suoi lavori. Il Consiglio può essere convocato, inoltre, in tutti i casi di urgenza. La convocazione spetta al Presidente su richiesta: • Dell’Assemblea Generale; • Del Segretario Generale; • Di uno Stato membro o non membro dell'organizzazione. La procedura di voto (il diritto di veto e il c.d. doppio veto) Il principio fondamentale in materia è quello per cui l'adozione di una decisione da parte del Consiglio esige una maggioranza qualificata. L’art. 27 però suddivide le decisioni del Consiglio in due categorie, ovvero; • Decisioni procedurali, come l'iscrizione all'ordine del giorno, la creazione di organi sussidiari, il rinvio di una questione all'Assemblea Generale, per le quali è sufficiente il voto di nove membri del Consiglio siano essi membri permanenti o non permanenti; • decisioni non procedurali, sono le decisioni «su ogni altra questione» per le quali è necessario il voto di nove membri del Consiglio , compresi quelli dei membri permanenti: è 56 Diritto Internazionale Marzia Pugliese sufficiente quindi che anche uno solo di questi ultimi si esprima in senso contrario per impedire all'organo di decidere e bloccarne in tal modo l'operato (cd. diritto di veto). Nonostante il tenore dell'art. 27, secondo il quale la decisione deve comprendere il voto dei membri permanenti, la prassi dell'organo si è orientata nel considerare valide le decisioni assunte senza il voto di uno dei membri permanenti (vale a dire senza un esplicito voto contrario), sia nel caso in cui si astenesse che in quello in cui si fosse volutamente assentato al momento della votazione. L’astensione del voto Per quanto riguarda l'astensione del membro permanente, possiamo configurare due ipotesi: l’astensione obbligatoria e quella volontaria - È obbligatoria l'astensione stabilita dall’art. 27, par. 3, della Carta, secondo cui nelle decisioni previste dal Cap. VI e dal par. 3 dell'art. 52, un membro che sia parte di una controversia deve astenersi dal voto, in conformità al principio generale nemo iudex in re sua. - Per quanto riguarda l'astensione volontaria, solo un’obiezione esplicita si qualifica come veto. L’astensione volontaria del membro permanente non impedisce invece l'adozione della delibera consiliare. La Corte Internazionale di Giustizia, nel parere del 1971 sulle Conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza del Sud Africa in Namibia, ha affermato che l'astensione di un membro non significa che esso si oppone all'approvazione della proposta; per impedire l'adozione di una risoluzione che richiede l'unanimità dei membri permanenti, un membro permanente deve esprimere un voto negativo. Quindi, nel caso di astensione non c’è voto. Funzioni e poteri Il Consiglio di Sicurezza ha delle competenze meno estese di quelle dell’Assemblea Generale. Il compito principale è riassunto nell' art. 24 della Carta secondo il quale «... i membri conferiscono al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale...». Nell’assolvimento di questo compito, la Carta riconosce al Consiglio dei poteri effettivi nei confronti degli Stati membri. Esso infatti può adottare: • Raccomandazioni, ovvero atti non vincolanti, prevalentemente (ma non solo) nel quadro del cap. VI della Carta; • Decisioni, ovvero atti che sono obbligatori per gli Stati membri, nel quadro esclusivamente del cap. VII della Carta ● Il segretariato Il Segretariato è il braccio operativo. Comprende il Segretario Generale, posto al vertice dell'organo stesso, ed il personale che l’organizzazione possa richiedere. 57 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Tale peculiare funzionamento della Corte, di cui si avverte il carattere eccezionale e derogatorio a norme dello stesso Statuto, ha posto interrogativi delicati sulla necessità di contemperare le opposte, ma altrettanto meritevoli di tutela, esigenze di celerità del procedimento da un lato e di rappresentatività del collegio giudicante dall'altro. Competenze della corte La Corte ha una duplice competenza: • Consultiva: essa è chiamata ad emettere un parere su qualsiasi questione giuridica che le venga sottoposta dal Consiglio di Sicurezza o dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ovvero su questioni giuridiche relative all’attività degli organi e degli istituti specializzati autorizzati dall’Assemblea Generale ad adire la Corte. Tra gli organi delle Nazioni Unite, solo il Segretario Generale non è stato autorizzato a richiedere pareri alla Corte. I pareri consultivi adottati dalla Corte non hanno di norma efficacia vincolante (ma in realtà, noi sappiano che sono molto importanti.) Tuttavia, l’impossibilità per le organizzazioni internazionali di ricorrere alla giurisdizione contenziosa della Corte, impone loro di richiedere alla stessa un parere consultivo. In questo caso le parti si accordano preventivamente al fine di considerare come vincolante il parere così emesso. Questo è un modo per aggirare l’ impossibilità per le organizzazioni internazionali di divenire parti in processi davanti alla Corte: l'art. 66, par. 2, lettera e) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati fra Stati e organizzazioni internazionali e tra organizzazioni internazionali dispo ne infatti che in caso di controversie concernenti l’applicazione o l’interpretazione di norme relative allo jus cogens, di cui sia parte un’organizzazione internazionale, se viene richiesto in parere della Corte, que sto sarà accettato come vincolante da tutte le parti della controversia. • Contenziosa: la Corte è chiamata in questo caso a dirimere le controversie tra Stati mediante decisioni vincolanti. I soli soggetti ammessi a ricorre alla funzione contenziosa della Corte sono gli Stati. Due sono i presupposti per l’esercizio di questa competenza: 1. L'esistenza di una controversia , ovvero di un «disaccordo su un punto di diritto o di fatto, una contraddizione, un'opposizione di tesi giuridiche»; 2. L’esistenza di un titolo di giurisdizione costituisce un valido titolo di giurisdizione la manifestazione della volontà delle parti in lite di investire la Corte della controversia. A norma dello Statuto della stessa Corte tre sono i titoli validi:  Un accordo speciale o compromesso, col quale le parti si impegnano a sottoporre la controversia alla Corte. L'accordo può sia essere concluso con specifico riguardo ad una controversia insorta tra Stati ( giurisdizione speciale), sia risultare da una disposizione espressa aggiunta ad un trattato o convenzione che devolva alla cognizione della Corte ogni controversia relativa all’interpretazione ed applicazione del trattato stesso (giurisdizione obbligatoria); 60 Diritto Internazionale Marzia Pugliese  La sottoscrizione da parte degli Stati in lite della clausola facoltativa di giurisdizione obbligatoria. È prevista infatti la facoltà per gli Stati firmatari dello Statuto della Corte «di dichiarare che essi riconoscono come obbligatoria ipso facto e senza accordo spe- ciale, rispetto ad ogni Stato che accetti lo stesso obbligo, la giurisdizione della Corte».  L’accettazione, in modo espresso o tacito, che una parte fa della competenza della Corte investita unilateralmente della controversia dalla controparte senza altro titolo di giurisdizione. Si tratta del cd.forum prorogatum ovvero di una giurisdizione speciale della Corte, giustificata dalla constatazione dell’esistenza di una reale volontà coincidente delle parti. Il procedimento Il procedimento è avviato o mediante notifica del compromesso alla Corte stessa o mediante istanza scritta. In entrambi i casi vanno indicati l’ogget to della controversia e le parti. Esso si articola in due fasi: • Una fase scritta, con presentazione di memoria e contro-memoria nonché repliche di entrambe le parti; • Una fase orale in cui le parti, affiancate da testimoni ed esperti, espon gono la propria difesa. Il processo, come dimostrato dalla pratica più recente, può altresì svolgersi in contumacia di una delle parti (vedi la mancata comparizione dell’Iran nel caso del personale diplomatico e consolare degli Stati Uniti a Teheran), nel qual caso la Corte esaminerà nel modo più completo possibile i fatti oggetto del litigio, anche tenendo conto della posizione giuridica pubblicamente esposta dalla parte contumace al di fuori del processo. Accanto al procedimento principale è possibile l'instaurazione di procedimenti incidentali. Ciò avviene nel caso di: • Intervento di uno Stato terzo, che vanti un interesse di natura giuridica suscettibile di essere pregiudicato dalla decisione; • Invocazione di eccezioni preliminari, relativamente alla competenza della Corte e/o alla ricevibilità del ricorso che, secondo il giudizio dell’invocante, impediscano il passaggio del processo alla fase di merito; • Adozione di misure cautelari o conservative, giustificate dall'esistenza del pericolo di un pregiudizio irreparabile suscettibile di danneggiare, nelle more del processo, il diritto oggetto della controversia. La Corte giudica la controversia alla luce del diritto internazionale (art. 38 dello Statuto) quale risulta da: • Convenzioni internazionali; • Diritto consuetudinario; • Principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili; • Sentenze giudiziarie e dottrina in via sussidiaria. Le parti possono - mediante accordo - chiedere alla Corte di dirimere la lite secondo equità. 61 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Effetti della sentenza La sentenza deve essere motivata ed indicare i giudici che hanno formato la maggioranza e quelli dissenzienti. Può contenere le opinioni in dividuali (che pur condividendo la soluzione finale non ne condividono totalmente la motivazione) e quelle dissenzienti. La sentenza è definitiva ed inappellabile ed è vincolante per le parti della controversia. Essa ha pertanto efficacia di giudicato in senso sostanziale e formale. Gli Stati parti della controversia si impegnano a adempierla. Qualora una delle parti non le dia esecuzione, è riconosciuto alla controparte il potere «di ricorrere al Consiglio di Sicurezza che può, se lo ritiene necessario, fare raccomandazioni o decidere misure da prendere per dare effetto al giudizio». In linea generale gli Stati giustificano la non esecuzione della sentenza per la presunta invalidi tà della stessa. È evidente che il non adempimento della sentenza darà vita ad una nuova e distinta controversia. ● Gli istituti specializzanti Tra i più importanti: BIRS, FMI, FAO, OIL, UNESCO, UPU, ICAO, OMS, UNIDO. Si definiscono istituti specializzati quegli organismi internazionali intergovernativi che alcuni Stati, indipendentemente dall'ONU, hanno creato al fine di realizzare obiettivi comuni. Pur non facendo parte delle Nazioni Unite (alcune, anzi, come l'UPU, sono preesistenti), tali organismi intrattengono con queste ultime stretti rapporti. Pur trattandosi di organizzazioni autonome, nate da accordi fra Stati stipulati al di fuori della Carta, essi fungono quasi da organi decentrati delle Nazioni Unite, e ciò in virtù di uno specifico accordo stipulato con l'ONU noto come accordo di collegamento. L'accordo di collegamento è una convenzione stipulata tra una organizza zione internazionale «avente vasti compiti internazionali nei campi econo mico, sociale, culturale, educativo, sanitario e simili» e l'ONU, con la quale da un lato l’organizzazione assume lo status di istituto specia lizzato e dall’altro accetta un potere di indirizzo e coordinamento da parte delle Nazioni Unite. Il contenuto si ricollega ad uno schema tipico che prevede: - scambio di rappresentanti - osservatori - documenti - consultazioni in caso di necessità coordinamento dei rispettivi servizi tecnici - impegno dell'istituto specializzato a prendere almeno in esame le raccomandazioni dell'ONU. Anche gli Istituti specializzati emanano di solito raccomandazioni, oppure predispongono Progetti di Convenzione. In alcuni casi emanano, a maggioranza, decisioni vincolanti per gli Stati membri o decisioni che diventano vincolanti se entro un certo periodo gli Stati non provvedono a ripudiarle. Queste decisioni sono inquadrate tra le fonti previste da accordo, cioè dall'accordo istitutivo della relativa organizzazione. Alcuni esempi: - FAO (Food and Agricultural Organization) Creata nel 1945, tra i suoi organi: Conferenza (composta da un delegato di ogni Stato membro) che si riunisce ogni due anni in sessione ordinaria, il Consiglio (composto da 18 membri scelti dalla Conferenza) e il Direttore generale. L'istituzione ha il compito di ricerca e informazione alla promozione ed esecuzione di programmi di assistenza tecnica e aiuti nel campo agricolo e alimentare. - ILO (International Labor Organization) 62 Diritto Internazionale Marzia Pugliese - Il consolidamento nel settore della PESC con la possibilità per l'unione di contribuire commissioni sia civili che militari al mantenimento della pace; - Il completo passaggio della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale nella fase intergovernativa a quella dell'integrazione giuridica; - Un'ampia e articolata disciplina della cooperazione rafforzata; - L'introduzione di nuovi organi; - Ed altre innovazioni la cui efficacia dipende peraltro dalla volontà politica degli organi , in particolare dell'organo, il Consiglio, in cui sono rappresentati gli Stati membri. Tue A sua volta il TUE: - Attribuisce forza vincolante alla carta di Nizza, contenente una serie di diritti umani sia pure limitatamente nell'ambito dell'applicazione del diritto dell’UE; - Dichiara di voler offrire ai cittadini dell'unione uno spazio di libertà sicurezza e giustizia ed altre dichiarazioni ricche di promesse di azioni però sforzare l'unione tra gli Stati membri. Natura giuridica dell’Ue C'è da chiedersi se l'Ue sia effettivamente un'organizzazione internazionale, cioè un'organizzazione fra Stati sovrani che traggono dal diritto internazionale i loro poteri. Senza dubbio l'Ue presenta elementi che non si riscontrano in nessun'altra organizzazione internazionale, come gli ampi poteri decisionali attribuiti ai suoi organi, la sua sostituzione agli Stati membri nella disciplina di molti rapporti interni a questi ultimi. Ciò nonostante, l'Unione nel suo complesso resta un'organizzazione internazionale sia pure altamente sofisticata, la sovranità degli Stati membri non potendo considerarsi degradata, neppure nelle materie di competenza dell'unione, ad autonomia. Struttura dell’Ue: organi. Per quanto riguarda la struttura dell'Ue, va anzitutto menzionato il Consiglio europeo che si compone dei Capi di Stato e di Governo dei paesi membri oltre che del Presidente della Commissione. Il Consiglio europeo, senza avere funzioni legislative, dà all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche. Gli altri organi principali dell'Ue sono: - La Commissione, composta da individui non dà Stati. Essi non ricevono istruzioni da alcun Governo e hanno anzi l'obbligo di non ricevere istruzioni. Uno dei suoi vicepresidenti è l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, introdotto con il Trattato di Lisbona. 65 Diritto Internazionale Marzia Pugliese La presenza di tale organo è un altro elemento che differenzia l'Ue dalle altre organizzazioni internazionali, nelle quali gli organi detentori dei poteri principali sono di solito organi composti da Stati, e ciò significa che gli individui che compongono l'organo sono delegati dagli Stati e ne seguono le istruzioni. Per sottolineare detta differenza si dice che l'Ue è un ente sopranazionale oltre che internazionale. La Commissione ha poteri esecutivi e di iniziativa legislativa nei confronti del Consiglio e del Parlamento. Essa è nominata dal Consiglio (composto dagli Stati membri), il quale delibera a maggioranza. - Il Consiglio è l'organo nel quale sono rappresentati i 27 Stati membri ed è presieduto a turno da ciascun membro per la durata di 6 mesi. Esso adotta, congiuntamente al Parlamento, gli atti più importanti della legislazione comunitaria. Esso delibera a maggioranza qualificata o semplice, altre all'unanimità. - Il Parlamento europeo, sorto nel 1979, è formato da rappresentanti dei popoli dei Paesi membri, eletti a suffragio universale e diretto; esso non esercita da solo la funzione legislativa, dovendo fare i conti con il Consiglio e quindi con i rappresentanti dei Governi degli Stati membri. Esso svolge una funzione di controllo politico sulle altre istituzioni comunitarie attraverso l'esame dei rapporti che gli altri organi sono tenuti a sottoporgli (tranne la CIG – corte internazionale di giustizia). Per quanto riguarda la funzione legislativa, esso la esercita congiuntamente al Consiglio, secondo una procedura ordinaria e per molte ed importanti materie come l'agricoltura e la pesca, la politica monetaria, commerciale. Si tratta di una procedura complessa che, se non c'è accordo tra Parlamento e Consiglio su di un testo, comporta una navetta tra i due organi, che può protrarsi per vari mesi ed alla fine della quale l'atto legislativo deve essere approvato dal Parlamento a maggioranza semplice dei voti espressi e dal Consiglio a maggioranza qualificata, altrimenti decade. Alla procedura ordinaria si contrappongono le procedure speciali che vedono come legislatore principale il Parlamento e nei restanti il Consiglio. Il Parlamento, inoltre, ha un potere vincolante (diritto di veto) su alcuni atti del Consiglio. - La Corte dei conti esercita una funzione di controllo su tutte le entrate e le spese dell'Unione ed è composta da 27 persone che vi siedono a titolo individuale e sono nominate dal consiglio. - La Corte di Giustizia che veglia sul rispetto del diritto dell'Unione e può essere adita anche dagli individui. - La Banca centrale europea che, insieme alle banche centrali nazionali, costituisce il sistema europeo di banche centrali. Il Sistema, che è diretto dagli organi decisionali della BCE, persegue l'obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi e sostiene le politiche economiche generali dell'Unione. 66 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Legislazione dell’Ue Gli atti vincolanti dell'UE, che sono classificabili tra le fonti di norme internazionali, sono i regolamenti, le direttive e le decisioni. Possono anche essere emanati pareri e raccomandazioni che però non hanno carattere vincolante. Gli atti legislativi entrano in vigore dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione, trascorsa una vacatio legis di 20 giorni. i. Il regolamento è l'atto legislativo più importante e completo; è l'atto attraverso il quale la legislazione dell'Unione si sostituisce alla legislazione interna dei singoli Stati membri, ed ha portata generale. Esso contiene norme generali e astratte, le quali vanno osservate dagli Stati e da chiunque, individui o imprese, operi all'interno degli Stati membri, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. ii. La decisione è diversa dal regolamento perché non ha portata generale ed astratta ma concreta. Essa può indirizzarsi sia ad uno Stato membro che ad un individuo o un'impresa che opera nel territorio dell'Unione. Si tratta di un atto vincolante e quindi il soggetto a cui la decisione è indirizzata è tenuto ad osservarla. Può essere difficile distinguere un regolamento da una decisione, ma come ha fatto notare la Corte di Giustizia, occorre guardare non al nomen (cioè al fatto che gli organi comunitari diano ad un loro atto il nome di regolamento o di decisione) ma alla sostanza, quindi alla natura astratta e generale o concreta delle norme contenute nell'atto. iii. La direttiva è quell'atto dell'Unione più problematico. Mentre i regolamenti e le decisioni sono obbligatori in tutti i loro elementi, la direttiva vincola lo Stato membri cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, spetta agli organi nazionali la competenza a decidere quali mezzi e forme usare per raggiungere il risultato. La direttiva dovrebbe quindi limitarsi all'enunciazione dei principi e dei criteri generali destinate ad essere tradotte dal singolo Stato in norme. Ma la prassi degli organi comunitari si è orientata in senso contrario. La direttiva è molto spesso dettagliata. Infatti, gli organi comunitari hanno manifestato la tendenza ad indicare con precisione le norme interne che gli Stati sono tenuti ad adottare. Spesso la discrezionalità dello Stato si riduce solo alla scelta della forma giuridica interna da dare alla norma già fissata sul piano europeo. Atti atipici Vanno aggiunti tutta una serie di atti come, per citarne i più importanti, i regolamenti interni degli organi, le comunicazioni delle Commissione, i programmi generali del consiglio. Spesso hanno rilevanza solo all’interno delle istituzioni Accordi internazionali dell’Unione 67 Diritto Internazionale Marzia Pugliese 20. La gerarchia delle fonti internazionali. Il diritto internazionale cogente. L'unitarietà dell'ordinamento internazionale Al vertice della gerarchia delle fonti internazionali si situano le norme consuetudinarie, tra esse compresa anche quella categoria di norme consuetudinarie costituita dai principi generali di diritto comuni agli ordinamenti interni. La consuetudine è perciò una fonte di primo grado, ed è l'unica fonte di norme generali che vincolano tutti gli Stati. Il secondo posto nella gerarchia spetta al trattato, che trova in una norma consuetudinaria, la norma pacta sunt servanda, il fondamento della sua obbligatorietà. Il terzo posto è occupato dalle fonti previste da accordi, in particolare gli atti delle organizzazioni internazionali. Per quanto riguarda i rapporti tra consuetudine e accordo bisogna notare che il fatto che le norme pattizie è subordinate alle norme consuetudinarie non significa inderogabilità di queste ultime da parte delle prime. Una norma di grado inferiore può derogare alla norma di grado superiore se quest'ultima lo consente. Norme consuetudinarie e trattati Il problema da porsi è se le norme consuetudinarie siano così fortemente vincolanti da non poter essere derogate mediante trattati. Secondo l'opinione comune le norme consuetudinarie sono caratterizzate dalla loro flessibilità, e quindi dalla loro derogabilità mediante accordo. Data la flessibilità della consuetudine, e dato che le norme pattizie hanno carattere particolare mentre le norme consuetudinarie hanno a carattere generale, il diritto pattizio finisce con l'avere la prevalenza sul diritto consuetudinario. Le cose stanno in modo diverso nel caso delle consuetudini che si formano proprio in deroga alle norme di un determinato trattato. Anche per la categoria di norme consuetudinarie costituita dai principi generali di diritto comuni agli ordinamenti interni, vale la regola della derogabilità mediante accordo. Jus cogens Se tutti concordano sul carattere generalmente flessibile delle norme consuetudinarie, è però opinione comune che esiste un gruppo di norme di diritto internazionale generale le quali sarebbero cogenti (jus cogens). Anche la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati si pronuncia in tal senso. L'art. 53 della Convenzione stabilisce infatti che è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è in contrasto con una norma imperativa del diritto internazionale generale , intendendo per quest'ultima una norma accettate e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati come norma alla quale non può essere apportata nessuna deroga e che può essere modificata solo da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. 70 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Del diritto cogente si occupa anche l'art. 64 della Convenzione, a proposito delle cause di estinzione dei trattati; l'articolo afferma che se una nuova norma imperativa di diritto internazionale generale si forma, qualsiasi trattato esistente che sia in contrasto con questa norma diviene nullo e si estingue. La Convenzione di Vienna non indica quali norme internazionali siano imperative. La norma cogente è quella che non può essere derogata; quindi, la ricostruzione dello jus cogens è lasciata all'interprete . L'interprete dovrà anzitutto stabilire se una norma trova riscontro negli elementi della diurnitas e dell'opinio juri sive necessitatis; e sempre in base a questi elementi, dovrà stabilire se la maggior parte degli Stati considera questa norma come superiore alle comuni fonti internazionali in quanto ispirata a valori fondamentali e universali. La nozione di diritto cogente ha un carattere storico perché può mutare da un'epoca all'altra. Ad esso appartiene il nucleo fondamentale dei diritti umani, il principio di autodeterminazione dei popoli, il divieto dell'uso della forza fuori del caso di legittima difesa. Alla lista va aggiunta la norma dell'art. 103 della Carta delle Nazioni Unite che stabilisce l'inderogabilità degli obblighi scaturenti dalla Carta e dalle decisioni vincolanti degli organi dell'ONU. Questi obblighi sono considerati inderogabili da tutta la comunità internazionale. Nessuno sostiene che due o più Stati possano stabilire che nei loro rapporti l'art. 103 non si applichi, ecco perché sembra trattarsi di jus cogens. Un'applicazione meno radicale della nullità è quella che può esprimersi in termini di mera superiorità della norma di jus cogens rispetto alle norme consuetudinarie, ai trattati e alle fonti derivanti dai trattati. Da questo punto di vista la norma internazionale contraria ad una norma imperativa resta valida ma è inapplicabile; quindi, il rapporto tra le due categorie di norme è da esprimere in termini di inderogabilità non di nullità. È stato sostenuto che lo jus cogens avrebbe un effetto di deterrenza. Le norme imperative, come quelle sulla tortura, indicherebbero agli Stati e agli individui che la proibizione che esse prevedono si ispira a valori assoluti dai quali nessuno può deviare. Le norme jus cogens non hanno soltanto funzione di prevalere sui trattati ma hanno rilievo di norme delle quali derivano obblighi erga omnes Derogabilità delle norme sulle cause di invalidità e estinzione dei trattati Sempre sul tema dei rapporti tra consuetudini e accordi, c'è un'altra osservazione da fare. Ci si chiede se le norme che regolano le cause di invalidità e di estinzione dei trattati sono o non sono derogabili. Esse sono norme inderogabili. Il fatto che queste norme generali regolano la struttura dell'accordo, non il contenuto, le pone su di un piano superiore al trattato. 71 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Qualsiasi clausola contrattuale che stabilisca una deroga a queste norme resterebbe a sua volta ad esse soggetta. Rapporti tra atti delle organizzazioni internazionali e Statuti delle medesime Per quanto riguarda gli atti delle organizzazioni internazionali, il problema dei limiti entro i quali essi possono derogare alle norme dei trattati che ne prevedono l'emanazione va risolto caso per caso. In ogni trattato istitutivo di un'organizzazione internazionale possono trovarsi norme sia derogabili che cogenti; tra queste ultime vanno classificate le norme, le quali prescrivono le maggioranze necessarie per l'adozione degli atti. Anche il diritto internazionale generale si impone alle organizzazioni internazionali, sempre che l'accordo istitutivo non vi deroghi. Adattamento delle fonti internazionali nel nostro ordinamento (Appunti) Una volta che queste norme sono state definite, come si adattano e vengono recepite dal nostro ordinamento, come fa il nostro ordinamento a recepire le fonti esterne? E che posizione gerarchica saranno “nazionalizzate”? Un po’ tutti gli ordinamenti individuano due meccanismi di adattamento: Adattamento della consuetudine: - Meccanismo speciale: il meccanismo speciale delle norme consuetudinarie avviene attraverso l’articolo 10 della costituzione (l’Italia si conforma alle norme internazionali generalmente riconosciute), rinvio all’ordinamento internazionale, l’art 10 è un trasformatore permanente, esso recepisce automaticamente tutte le norme consuetudinarie. Il rango della norma consuetudinaria, farà parte del rango costituzionale, perché sarà lo stesso rango della norma che ha provveduto al trasferimento. Nella grande maggioranza delle ipotesi, provvedere l’art 10, perché la trasformazione garantisce, fedeltà, rapidità e specialità. Ma non sempre è utilizzabile questo articolo in quanto alcune volte la norma da adattare, da recepire, non è direttamente applicabile e il legislatore deve apportare delle modifiche (mec. Ordinario) - Meccanismo ordinario: non prevede un rinvio, ma una riformulazione delle norme, ossia il legislatore prende la norma esterna e la immette nell’ordinamento italiano. Vediamo quindi che questo meccanismo non è preferibile, perché è più lento, non è fedelissimo, e perde la natura internazionalistica. Questo processo viene usato solo nei casi limiti. Adattamento del trattato - Meccanismo speciale: anche qui noi abbiamo due meccanismi solo che la scelta non è ricaduta su una norma costituzionale, i trattati in Italia, vengono immessi tramite un meccanismo speciale dell’ordine di esecuzione che è dato da una legge ordinaria, che è però una legge speciale, in quanto la troviamo solo per l’esecuzione dei trattati, perché questa legge ordinaria riprende una formula che non si trova in altre norme esecutive : “piena ed intera esecuzione è data ai trattati X,Y,Z”. 72 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Questo stato di cose, però, non va ancora bene all’UE, perché è tutto troppo lento e rallentato dal fatto che la prevalenza del diritto dell’unione è rimessa alla Corte costituzionale, tempi si dilatano e viene meno il principio dell’effetto utile (le norme dell’UE devono entrare a gamba tesa nel diritto degli stati). La risposta si ebbe con la Sentenza 1978 SIMMENTHAL, la corte di giustizia indica la strada, dice non ha senso che ogni qual volta si presenti un conflitto tra norma italiana e norma europea si debba andare dinanzi alla Corte costituzionale, ormai questo principio è radicato nel nostro ordinamento ed è più che sufficiente di una disapplicazione da parte di un giudice ordinario. La Corte costituzionale italiana ringrazia e il cerchio si chiude nel 1984 con la SENTENZA GRAVIDAL, dopo 20 anni, la prevalenza del diritto dell’unione sul diritto interno è un grandissimo punto, in quanto anche il giudice ordinario può disapplicare una norma italiana (disapplicata non abrogata, nel momento in cui il diritto europeo dovesse venir meno, la norma viene ripresa) e favorire l’applicazione delle norme dell’UE. Parte seconda Il contenuto delle norme internazionali Il contenuto del diritto internazionale attuale è talmente vasto da non poter essere descritto nei dettagli in un'opera di carattere istituzionale. Vi sono convinzioni che si occupano di tutto ed anche dei rapporti che una volta erano generosamente riservati dagli Stati al proprio diritto nazionale. Se ciò è vero, è anche vero però che il diritto internazionale materiale , sia consuetudinario che pattizio, si snoda tutto intorno ad un filo conduttore ed è tutto informato ad un'idea direttrice e sulla base di quest'idea può essere sinteticamente descritto: l'idea è che il contenuto del diritto internazionale è costituito da un insieme di limiti all'uso della forza da parte degli Stati. Si tratta di limiti che riguardano l'uso della forza verso l'esterno, sotto forma di violenza di tipo bellico, nei confronti degli altri Stati, e di limiti che riguardano l'uso della forza verso l'interno, nei confronti degli individui e dei loro beni. Per forza esterna o internazionale si intende, quindi, la violenza di tipo bellico, o comunque qualsiasi atto che implichi operazioni militari, come l'attraversamento della frontiera da parte di truppe regolari dello Stato, il bombardamento di parti del territorio, l'attacco contro navi o aerei militari. La forza interna, invece, è intesa come potere di governo (o potere d'imperio o sovranità) esercitato dallo Stato sugli individui e suoi loro beni. Si sbaglia se si identifica questo potere con l'esercizio della coercizione in quanto forza materiale e si sostiene che rilevanti per il diritto internazionale siano solo le azioni di polizia, l'esecuzione di condanne penali, ecc. Non si può, infatti, sostenere che una violazione del diritto internazionale derivi sempre e solo dall'esercizio della coercizione, perché anche una legge o una sentenza di un giudice possono costituire un comportamento illecito. 75 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Allo stesso modo è sbagliato dire che il potere di governo che interessa il diritto internazionale sia quello che si identifica con la mera attività normativa astratta dello Stato. Se ad un comando astratto non fa seguito una sua applicazione al caso concreto, non si può parlare di violazione del diritto internazionale. Si può allora concludere che il potere di governo che interessa il diritto internazionale si colloca a metà strada tra l'astratta attività normativa e l'esercizio della coercizione materiale. 22. La sovranità territoriale La prima norma consuetudinaria che limita il potere di governo dello Stato è quella sulla sovranità territoriale. Essa si affermò a seguito della disgregazione del Sacro Romano Impero, epoca in cui cessò ogni forma di dipendenza delle singole entità statali dall'Imperatore e dal Papa. Nella nuova epoca, quella della monarchia assoluta, la sovranità territoriale venne concepita come una sorta di diritto di proprietà dello Stato, o meglio del sovrano, avente per oggetto il territorio; anche il potere esercitato sugli individui veniva ricollegato alla disponibilità del territorio. Il potere dello stato sulle persone e sulle cose era quindi una derivazione del potere sul territorio. Quello che interessa capire è quale sia il contenuto della norma internazionale sulla sovranità territoriale, quindi cosa gli Stati possono fare nel proprio territorio e non possono fare nel territorio altrui. Tale norma attribuisce ad ogni Stato il diritto di esercitare in modo esclusivo il potere di governo sulla sua comunità territoriale, cioè sugli individui e sui loro beni che si trovano nell'ambito del territorio. Inoltre, ogni Stato ha l'obbligo di non esercitare in territorio altrui il proprio potere di governo. In ogni caso la violazione della sovranità territoriale si ha solo se vi è presenza fisica e non autorizzata dell'organo straniero nel territorio. Il potere di governo dello Stato non solo è esclusivo rispetto a quello degli altri Stati ma è anche libero nelle forme e nei modi del suo esercizio e nei suoi contenuti. In effetti la libertà dello stato si è ristretta via via che il diritto internazionale si è evoluto. Quasi tutte le norme internazionali che si sono formate fino ad oggi pongono una serie di limiti al potere di governo esercitato nell'ambito del territorio. Tali limiti sono comunque l'effetto di norme convenzionali, quindi norme che gli Stati hanno liberamente accettato. I limiti che per primi si sono affermati sono costituiti da quelle norme che impongono un certo trattamento degli stranieri, degli agenti diplomatici, ecc.; più importanti sono quei limiti prodotti da norme che perseguono valori di giustizia, cooperazione e solidarietà tra i popoli. La libertà Dello Stato nell'ambito del suo territorio il ribadita da alcuni principi del “nuovo ordine economico internazionale” molto cari ai paesi di sviluppo. Ci si riferisce in particolare al principio della sovranità permanente dello Stato sulle risorse naturali enunciato a più a riprese dall'assemblea generale dell’ONU e altresì al principio per cui ogni Stato ha il diritto “di scegliere il proprio sistema economico, oltre che ai suoi sistemi politici, sociali e culturali conformemente alla volontà del popolo, nonché di scegliere i suoi obiettivi e i suoi mezzi di sviluppo, di mobilitare e di utilizzare integralmente le sue risorse, di operare delle riforme economiche e sociali progressive di assicurare la piena partecipazione del suo popolo al processo ai vantaggi dello sviluppo.” 76 Diritto Internazionale Marzia Pugliese La sovranità territoriale e oggi indirettamente tutelata anche da un altro principio fondamentale del diritto internazionale vale a dire il principio che vieta la minaccia o l'uso della forza rapporti internazionali. Per quanto riguarda l'acquisto della sovranità territoriale, vale il criterio dell'effettività: l'esercizio effettivo del potere di governo fa sorgere il diritto agli esercizi esclusivo del potere di governo medesimo. Attuale è il problema degli acquisti di territori effettuati in violazione di norme internazionali di fondamentale importanza: si pensi ai territori acquistati in violazione del principio di autodeterminazione dei popoli; o in violazione della carta ONU che vieta la minaccia e l'uso della forza. Nonostante i tentativi fatti sin dall'epoca tra le due guerre mondiali per limitare la portata del principio di effettività e disconoscere l'espansione territoriale che sia frutto di violenza o di gravi violazioni di norme internazionali, la prassi sembra ancora oggi sostanzialmente orientata nel senso che l'effettivo e consolidato esercizio del potere del governo su un territorio comunque conquistato comporti l'acquisto della sovranità territoriale. Posso sostenerti, argomentando che dalla prassi delle Nazioni unite, che oltre all'obbligo di restituzione gravante sullo stato che abbia commesso l'aggressione o detenga il territorio in violazione del principio di autodeterminazione dei popoli su tutti gli altri Stati grava l'obbligo di non negare effetti extraterritoriali agli atti di governo emanati in quel territorio è sempre che l'acquisto sia contestato dalla maggior parte dei membri della comunità internazionale: gli Stati sono tenuti, ad esempio, a negare il riconoscimento alle sentenze pronunciate in quel territorio quindi insomma di isolare giuridicamente quest'ultimo Le sanzioni internazionali durante il conflitto russo-ucraino furono intraprese da numerosi Stati contro la Russia a seguito dell'intervento militare russo in Ucraina cominciato alla fine di febbraio 2014. Le sanzioni furono imposte da Stati Uniti, Unione europea e altri Stati e organizzazioni internazionali contro singoli individui, tra cui imprenditori e funzionari russi e ucraini. La Russia ha risposto con sanzioni contro alcuni paesi, bandendo l'importazione di cibo da Unione europea, Stati Uniti, Norvegia, Canada e Australia. Le sanzioni hanno contribuito al crollo del rublo e alla crisi finanziaria russa del 2014. Questa ha causato un danno economico a un certo numero di Stati europei con un totale di perdite stimato a 100 miliardi di euro nel 2015. Secondo alcuni funzionari ucraini (Ljubov Nepop, capo della Missione ucraina in UE, e Petro Porošenko, presidente dell'Ucraina) le sanzioni hanno costretto la Russia a cambiare atteggiamento nei confronti dell'Ucraina, oltre ad aver minato i progressi militari russi nella regione. I rappresentanti di questi paesi hanno dichiarato di voler revocare le sanzioni contro la Russia solamente in seguito all'adempimento di Mosca agli accordi di Minsk. Sanzioni in seguito all'invasione dell'Ucraina del 2022 Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, il 24 febbraio 2022 è stato impedito alla Banca centrale russa di accedere a oltre 400 miliardi di dollari di riserve valutarie detenute all'estero. Sergei Aleksashenko, l'ex viceministro delle finanze russo, ha dichiarato: "Questa è una specie di bomba nucleare finanziaria che sta cadendo sulla Russia ".Il 1º marzo 2022 il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire ha affermato che l'importo totale dei beni russi congelati dalle sanzioni ammontava a 1 trilione di dollari. Serbia e Messico hanno annunciato che non avrebbero partecipato ad alcuna sanzione economica contro la Russia. Sanzioni dei paesi occidentali I paesi occidentali hanno iniziato a imporre sanzioni limitate alla Russia, dopo che quest'ultima ha riconosciuto l'indipendenza delle due repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Dopo l'inizio dell'attacco, sono state introdotte sanzioni ad ampio spettro, che hanno riguardato oligarchi, banche, affari, scambi monetari, trasferimenti bancari, importazioni ed esportazioni. 77 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Le norme sui diritti umani vengono in rilievo anche collegandole alla protezione delle minoranze. Le minoranze sono definibili come un gruppo numericamente più esiguo del resto della popolazione dello stato al quale esso appartiene ed avente caratteristiche culturali, fisiche o storiche, una religione o una lingua diversi da quelli del resto del paese. La necessità della loro protezione è emersa alla fine della I guerra mondiale, quindi dopo la frantumazione dell'Impero austro-ungarico e di quello ottomano, e poi dopo la caduta del muro di Berlino con la dissoluzione dell'Unione sovietica e della Jugoslavia. La protezione delle minoranze è affidata esclusivamente al diritto convenzionale, però spesso le norme su una determinata minoranza si trovano in accordi bilaterali tra lo Stato al quale la minoranza etnicamente appartiene e lo Stato al quale essa è sottoposta. Alla materia dei diritti umani si applica la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni. Si tratta di una regola derivante dalle norme internazionali in tema di trattamento degli stranieri. Tale regola afferma che la violazione delle norme consuetudinarie sui diritti umani non può dirsi consumata finché esistono nell'ordinamento dello Stato offensore rimedi adeguati ed effettivi per eliminare l'azione illecita o per fornire all'individuo una congrua riparazione. 05/06/2021 L’escalation di violenza che ha avuto luogo a Gerusalemme e nei territori palestinesi nelle ultime settimane ha innescato una reazione a catena che ha coinvolto anche i cittadini palestinesi residenti in Israele. Negli ultimi giorni centinaia di persone, soprattutto di origine palestinese, sono state arrestate per sedare le tensioni tra la componente ebraica e quella araba. Le cronache, dunque, hanno acceso i riflettori sui palestinesi d’Israele, una minoranza che, pur costituendo una percentuale consistente della popolazione totale (circa il 20 percento) è spesso considerata di “seconda classe”. 24. segue: La punizione dei crimini internazionali Si intreccia con il tema dei diritti umani quello della punizione dei crimini internazionali. Caratteristica delle norme convenzionali che disciplinano questi crimini è che esse danno luogo ad una responsabilità propria delle persone fisiche che li commettono. Sono quindi norme che si indirizzano direttamente agli individui, concorrendo alla formazione della soggettività internazionale di questi ultimi. Oggi la comunità internazionale sta tentando di attuare la punizione di questi crimini con l'istituzione di tribunali internazionali; infatti, la punizione è in larga parte affidata ai tribunali interni. I crimini internazionali individuali possono essere distinti, secondo una ripartizione che risale all'Accordo di Londra del 1945, il quale istituì il Tribunale di Norimberga per la punizione dei criminali nazisti, in crimini contro la pace, contro l'umanità e crimini di guerra. Un elenco dettagliato è oggi contenuto negli artt. 5-8 dello Statuto della Corte penale internazionale. Lo Statuto prevede 4 tipi di crimini: 80 Diritto Internazionale Marzia Pugliese - Il genocidio, che è considerato a parte, ma può essere ricondotto ai crimini contro l'umanità; - I crimini contro l'umanità; - I crimini di guerra; - Il crimine di aggressione, che è considerato il principale crimine contro la pace. Il genocidio viene definito come la distruzione totale o parziale di un gruppo nazionale, etnico o religioso. Ai crimini contro l'umanità vengono riportati tutti gli atti perpetrati come parte di un esteso attacco diretto contro una popolazione civile e sono : l'omicidio, riduzione in schiavitù, deportazione, privazioni di libertà in violazione di norme fondamentali del diritto internazionale, tortura, violenza carnale, prostituzione forzata, persecuzione per motivi politici, religiosi, di sesso, ecc., apartheid e altri atti disumani che possono causare sofferenze gravi a livello fisico o psichico. Tra i crimini di guerra lo Statuto prende in considerazione tutti quegli atti specifici del tempo di guerra, come l'arruolamento forzato dei prigionieri di guerra, la presa di ostaggi, gli attacchi diretti contro popolazioni ed obiettivi civili. Anche questi atti, per poter essere considerati come crimini internazionali, devono far parte di un programma politico o aver luogo su larga scala. Normalmente l'individuo che commette un crimine internazionale è un organo del proprio Stato o di un'entità statale, come il governo insurrezionale a base territoriale. Solo gli Stati infatti sono in grado di produrre attacchi estesi contro una popolazione civile. Ciò significa che, quando è commesso un genocidio o un altro crimine internazionale, ne consegue una duplice responsabilità internazionale, dello Stato e dell'individuo organo. Si tratta di due forme di responsabilità diverse tra loro, perché quella individuale comporta la punizione del colpevole, mentre quella dello stato è più labile. Atti che provocano sofferenze gravi e che fanno parte di un attacco esteso contro una popolazione civile, possono essere commessi anche da gruppi privati non agenti come organi di un determinato stato. Questo è il caso degli atti di terrorismo commessi negli ultimi anni. Per quanto riguarda la punizione dei crimini internazionali, il principio che si va affermando a riguardo è quello dell'universalità della giurisdizione statale; si ritiene, cioè, che ogni Stato possa procedere alla punizione ovunque il crimine sia stato commesso. Per il diritto internazionale generale, mentre lo Stato è sempre libero di esercitare la giurisdizione sui suoi cittadini, lo straniero può essere sottoposto a giudizio penale solo se sussiste un collegamento con lo Stato del giudice. Tale collegamento è dato dal principio di territorialità, cioè commissione del reato nel territorio dello Stato. Nel caso della giurisdizione universale ci si chiede s e la necessità del collegamento venga meno anche nei confronti dello straniero. La ratio è che lo Stato che punisce il crimine persegue un interesse che è proprio della comunità internazionale nel suo complesso. 81 Diritto Internazionale Marzia Pugliese In base alla prassi che è venuta formatasi nella materia, si può ritenere che la giurisdizione universale sia da ammettere, per il diritto internazionale consuetudinario, ma a condizione che il presunto criminale straniero si trovi nel territorio dello Stato al momento in cui deve essere sottoposto a giudizio e sempre che esso non sia richiesto dallo stato nazionale oppure da uno stato che abbia con il criminale in più stretto collegamento che sia seriamente intenzionato a punirlo. la norma sulla giurisdizione universale va peraltro coordinata con le norme dei quali prevedono l'immunità dei capi di Stato e di governo e di vari altri organi stranieri finché sono nell'esercizio delle funzioni. La punizione dei crimini internazionali può inoltre avere luogo anche quando il colpevole è stato catturato all'estero illegittimamente, quindi violando la sovranità territoriale dello stato in cui si trovava. Così come lo Stato può punire, così pure esso può limitarsi a concedere l'estradizione ad uno Stato che intende farlo. Questo vale per il diritto consuetudinario. La situazione è diversa per il diritto pattizio, essendo numerose le convenzioni che contengono la regola “o estradare o giudicare”. Si è detto che il principio dell'universalità della giurisdizione consente di punire il crimine ovunque esso sia stato commesso e quindi in mancanza di qualsiasi collegamento tra il crimine medesimo e lo stato del giudice. Ciò non significa che il criminale internazionale possa essere giudicato anche se non è fisicamente presente nel territorio dello Stato. Terrorismo Si discute se sia crimine internazionali il terrorismo che, secondo norma consuetudinaria ormai consolidata, consiste essenzialmente nella commissione di un atto criminale con l'intento di spargere il terrore nella popolazione di uno stato o in una parte di esso, è sempre che l'atto trascenda i confini di un singolo stato. Non rientrano quindi nella previsione della norma gli atti terroristici commessi da cittadini nel territorio del loro stato. Sono esclusi altresì gli atti terroristici commessi da movimenti di liberazione di territori sottoposti a dominazione straniera come tali inquadrabili nel principio di autodeterminazione dei popoli Il terrorismo non rientrando in una delle categorie dei crimini contro l'umanità sfugge al principio di giurisdizione universale. Dalla norma consuetudinaria che lo prevede discende soltanto l'obbligo per gli Stati di introdurli nella loro legislazione come figura autonoma di reato (per quanto riguarda l'Italia questo è stato introdotto nel 2001 l'articolo 270 bis nonché il 270 sexies nel 2005.) Un caso di terrorismo che ci sembra possa riportarsi eccezionalmente alla categoria dei crimini contro l'umanità e quella degli atti commessi negli ultimi anni, prima e dopo il disumano e feroce attacco alle torri del World Trade Center di New York nel 2001 dal gruppo di Al Qaeda. Anche se normalmente i crimini contro l'umanità così come i crimi di guerra ed il genocidio sono preparati da organi dello Stato, non escluso che atti che provochino sofferenze gravi e facciano parte di un attacco esteso o sistemato ecco contro la popolazione civile, come per l'appunto il caso Al Qaeda, siano commessi da gruppi privati. Principio: aut decedere aut judicare Nelle convenzioni che si occupano di crimini internazionali, o anche soltanto di gross violations dei diritti umani, di solito è contenuto il principio out decidere out judicare; lo Stato che non vuole o 82 Diritto Internazionale Marzia Pugliese In particolare, tale tema mette in rilievo i limiti alla libertà di sfruttamento delle risorse naturali del territorio, per ridurre i danni causati dalle attività inquinanti o capaci di produrre irrimediabili distruzioni di risorse Si sostiene che lo Stato abbia l'obbligo di evitare che il suo territorio venga utilizzato in modo tale da recare danno al territorio di altri Stati. Bisogna quindi indagare se il diritto internazionale consuetudinario imponga l'obbligo di non compiere atti nocivi e nel caso la risposta sia negativa resterà da stabilire se si possa configurare una responsabilità da atti leciti. Il problema che si considera è stato posto dapprima nel quadro dei rapporti di vicinato, soprattutto con riguardo alle utilizzazioni dei fiumi internazionali modificanti l'afflusso delle acque al territorio di uno Stato contiguo, e alle immissioni di fumi e sostanze tossiche dovute ad attività industriali poste in prossimità dei confini. Esso si pone oggi in relazione all'inquinamento atmosferico derivante da attività ultra-pericolose e capaci di produrre danni anche a notevole distanza, come l'attività delle centrali atomiche, gli esperimenti nucleari, le industrie chimiche, ecc. A simili attività si rifà il principio della Dichiarazione adottata a Stoccolma nel 1972 e poi ripreso dalla Conferenza di stati sull'ambiente umano e della Dichiarazione della Conferenza di Rio sull'ambiente e lo sviluppo del 1992, secondo il quale gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse naturali conformemente alla loro politica sull'ambiente e hanno l'obbligo di assicurarsi che le attività esercitate entro i limiti della loro sovranità o sotto il loro controllo non causino danni all'ambiente in altri Stati. Le Dichiarazioni di Stoccolma e di Rio non hanno però forza vincolante. Ci si chiede se questo obbligo da esse sancito corrisponda al diritto internazionale consuetudinario, e nonostante la dottrina si pronunci quasi unanimemente in senso positivo e sia avallata, sia pure con cautela, dalla giurisprudenza vi è da dire che non corrisponde alla prassi degli Stati ma rappresenta l'ideale collettivo della comunità internazionale. C'è poi da tener conto dell'atteggiamento dei paesi in via di sviluppo, i quali sono attaccati al principio della sovranità permanente sulle risorse naturali (si pensi alla recente questione di Bolsanaro* e la foresta amazzonica) principio che non tollera intralci al pieno sfruttamento delle risorse. **Su Bolsanaro________________________________________________________________ Un gruppo di giuristi legati all’Ong austriaca AllRise ha depositato il 10 maggio presso la Corte penale internazionale dell’Aia (Cpi) nuove prove contro Jair Bolsonaro, presidente del Brasile, accusato di crimini contro l’umanità legati alla distruzione dell’Amazzonia. Le nuove prove mettono in luce come da ottobre 2021 -data a cui risale la prima denuncia, cui questo nuovo dossier va ad aggiungersi- siano aumentate la deforestazione illegale e le attività minerarie nella foresta. Oltre a integrare le evidenze della prima denuncia, il nuovo documento serve anche come richiamo alla Corte per agire in fretta e avviare un’indagine preliminare sulla base delle diverse denunce mosse contro Bolsonaro e la sua amministrazione, che già si trovano negli uffici del procuratore capo. La Corte penale internazionale ha giurisdizione in 120 Paesi e processa le persone accusate di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità oltre a coloro che si sono resi responsabili di crimini di aggressione, una fattispecie penale entrata in vigore nel 2017. Istituita 85 Diritto Internazionale Marzia Pugliese dallo Statuto di Roma nel luglio 1998 ed è entrata in funzione nel luglio 2002. Il Brasile è uno dei Paesi che hanno ratificato la carta istitutiva della Cpi e qualora quest’ultima portasse avanti le accuse Bolsonaro potrebbe diventare il primo presidente brasiliano a essere imputato all’Aia. Si può quindi affermare che nella comunità internazionale c'è una spinta verso la formazione di una norma consuetudinari , ma tale norma richiede di essere sostenuta dalla prassi degli Stati per consolidarsi. Diversa è la situazione delle acque (fiumi, laghi) comuni, di cui si considera vietato un qualsiasi utilizzo capace di nuocere agli altri utilizzatori. Si può inoltre dire che obblighi di cooperazione sono previsti per gli usi nocivi del territorio, come l'obbligo dello Stato, sul cui territorio si verificano gravi fenomeni di inquinamento, di informare gli altri Stati dell'imminente pericolo di incidenti e l'obbligo per tutti gli Stati interessati di prendere di comune accordo misure preventive o successive al verificarsi del danno all'ambiente. Bisogna poi sottolineare anche la responsabilità delle persone fisiche o giuridiche: se un'industria, pubblica o privata, provoca danni nel territorio di un altro stato, può essere chiamata a rispondere innanzi ai giudici di questo Stato, oppure essa può essere chiamata a rispondere innanzi ai giudici dello stesso stato dal cui territorio proviene l'inquinamento. Precisamente, alla responsabilità di diritto interno si ha riguardo quando si parla del principio “chi inquina paga” come di un principio di diritto internazionale; esso si limiterebbe ad imporre allo Stato di apprestare gli strumenti affinché la responsabilità dell'inquinatore possa esser fatta valere al suo interno. Ci si chiede poi se lo Stato non sia addirittura obbligato dal diritto internazionale generale a gestire razionalmente le risorse del proprio territorio secondo i principi dello sviluppo sostenibile, cioè facendo combaciare le esigenze del proprio sviluppo economico con quelle della tutela ambientale, della responsabilità intergenerazionale, cioè salvaguardare le esigenze delle generazioni non solo presenti ma anche future, e dell'approccio precauzionale, cioè evitare di invocare la mancanza di piene certezze scientifiche per rinviare l'adozione di misure dirette a prevenire gravi danni all'ambiente. Questa è una tendenza che va affermandosi nella comunità internazionale. Passando dal diritto consuetudinario a quello pattizio, sono numerose le convenzioni internazionali che si occupano della lotta all'inquinamento in tutte le sue manifestazioni . È raro che questi accordi prevedano dei divieti precisi; essi si limitano a ribadire quanto già si può ricavare dal diritto internazionale generale, e cioè che gli Stati devono cooperare, scambiarsi informazioni e consultarsi sia preventivamente che per fronteggiare incidenti. Interamente di carattere pattizio è poi la disciplina diretta a proteggere la diversità biologica, cioè la variabilità degli organismi viventi di qualsiasi origine, comprendente la diversità all'interno della specie, tra le specie e degli ecosistemi. Il testo base della materia è costituito dalla Convenzione di Nairobi del 1992, che ha per oggetto la conservazione della diversità biologica, l'utilizzazione durevoli dei suoi elementi e la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche. Essa obbliga 86 Diritto Internazionale Marzia Pugliese inoltre gli Stati contraenti a prendere le misure dirette a favorire la partecipazione di tutti i paesi ai vantaggi derivanti dalle biotecnologie, cioè dalle applicazioni tecnologiche utilizzanti sistemi biologici e organismi viventi per realizzare e modificare prodotti o procedure ad uso specifico. Il problema che tutte queste Convenzioni sollevano è quello della loro osservanza. Infatti, il quadro che la prassi fornisce è molto deludente. Nell'ambito delle stesse convenzioni sono stati formati organi composti da esperti per individuare i casi di inosservanza, ma il loro compito è quello di assistere gli stati in difficoltà più che quello di adottare sanzioni. Tutto ciò dà ragione a chi sostiene che le norme in materia di inquinamento hanno per ora carattere promozionale, stabilendo premi agli Stati che adottano misure atte a preservare l'ambiente. 26. Segue. Il trattamento degli stranieri Nel diritto internazionale, ci sono due tipi di forza: a) La forza internazionale è la violenza di tipo bellico, aggressione, come uno dei seguenti atti: 1. Invasione del territorio con forze militari 2. Bombardamento del territorio 3. blocco dei porti 4. attacco delle forze armate nei confronti delle forze armate di un altro stato 6. Messa a disposizione di uno stato le forze per un altro stato che usa per attaccare un altro 7 invio di bande gruppi armati o bande ecc (che è data dall’assemblea generale 3314/29 del 1974). b) La forza interna, sui propri consociati e sui propri beni. Lo Straniero Uno dei limiti all’esercizio della sovranità statale è la questione dello straniero , viene attribuito al termine stesso un’accezione negativa, si vuole intendere la non appartenenza ad un contesto, chi non possiede la nazionalità dello stato ma anche chi non possiede alcuna cittadinanza (apolide convenzione delle nazioni unite del 61 regola gli apolidi). Norme di natura consuetudinaria:  Due principi di carattere consuetudinario , allo straniero non possono essere richiesti trattamenti e non possono essere richieste da parte dello stato ma soltanto se ci sarà un collegamento tra lo stato e i beni del soggetto. Quindi se questa promessa è vera, allo straniero non gli possono essere imposte le tasse a meno che non vi siano beni sul territorio, inoltre non potranno essere imposti vincoli ad attività commerciali che non si trovano nel territorio, non si può imporre la legislazione penale, se non per casi internazionali, su questo limite c’è da dire che il soggetto se ad esempio commette un crimine come un omicidio nel territorio italiano.  Il secondo principio di norma consuetudinaria sancisce: L’obbligo di protezione da parte dello stato territoriale nei confronti dello straniero, lo Stato deve predisporre delle misure idonee, per prevenire e reprimere nei confronti del cittadino: la misura di prevenzione è un buon apparto di polizia, mentre l’obbligo di repressione si esplica nel funzionamento dell’apparato giurisdizionale. Per quanto riguarda le misure repressive, occorre che lo Stato disponga di un normale apparato giurisdizionale innanzi al quale lo straniero possa far valere le proprie pretese ed ottenere giustizia. Si chiama diniego di giustizia l'eventuale illecito dello Stati in questa materia, e si verifica quando la giustizia è negata per difetto di organizzazione giudiziaria. 87 Diritto Internazionale Marzia Pugliese E l'Olanda? In questi giorni, Salvini e Giorgia Meloni, tra gli altri, hanno chiesto più volte perché la Sea Watch non facesse rotta in Olanda, lo stato di bandiera della nave della ong. A questo proposito, Salvini ha anche scritto una lettera al suo omologo dei Paesi Bassi Kajsa Ollongren e addossato responsabilità al governo di Amsterdam. Ma ci sono vari motivi per cui l'Olanda non è intervenuta: il primo, più immediato, è che gli stati che concedono bandiera non hanno obblighi particolari nei confronti delle imbarcazioni; il secondo è che l'Olanda non è responsabile per quei migranti – almeno non per le norme europee: le navi ong vengono considerate un'estensione del territorio del paese di cui battono bandiera e l'articolo 13 del trattato di Dublino stabilisce che, se “ il richiedente asilo ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno stato membro”, quel paese è “competente per l'esame della domanda di protezione internazionale”. E, come ha spiegato il controammiraglio Nicola Carlone della Guardia costiera italiana in un'audizione parlamentare alla Camera il 3 maggio del 2017, “Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi. Il caso Hirsi lo dimostra” Il terzo motivo è che l'Olanda non è il porto sicuro più vicino. L'unico modo che la Sea Watch avrebbe avuto per arrivare ad Amsterdam sarebbe stato quello di attraversare tutto il Mediterraneo, oltrepassare lo stretto di Gibilterra e circumnavigare l'Europa dell'ovest. Il viaggio sarebbe stato molto lungo e l'imbarcazione avrebbe dovuto solcare l'Oceano Atlantico, che è molto più pericolo rispetto al Mediterraneo (che, per quanto esteso, è comunque un mare chiuso). Come ci ha fatto notare Francesco Floris, giornalista esperto di immigrazione, la Sea Watch non avrebbe potuto affrontarlo da sola e sarebbe dovuta essere scortata da alcune motovedette, come è successo nel caso dell'Aquarius . Il tutto, a un prezzo umano ed economico molto alto. “Ricordo quando sono andato a bordo anche io. Non c'era nemmeno lo spazio per muoversi”, ha detto a Wired. “Bisogna assolutamente riformare il trattato di Dublino e trovare una soluzione europea comune”. I migranti arrivano tutti in Italia? No. È vero che, per i motivi citati sopra, le Ong fanno spesso rotta verso il nostro paese, ma la rotta mediterranea non è che uno dei modi attraverso i quali i migranti provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente raggiungono l’Europa. Come mostra il sito dell'Alto commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati, nel 2019 sono arrivate in Europa 34376 persone (il dato è aggiornato al 24 giugno). Di queste, solo 2447 sono approdate in Italia, per mare o via terra. In Grecia, invece, ne sono arrivate 17565, in Spagna 12522 e a Malta 1048 Per il diritto consuetudinario lo Stato è anche libero di espellere gli stranieri ma non può avvenire in maniera brutale, ma lo Stato dovrà dare al soggetto il tempo di “sistemare le sue cose”. Tutto ciò non è altro che un'applicazione del dovere di protezione, e dell'obbligo di predisporre misure preventive delle offese allo straniero e ai suoi beni. Limiti particolari in tema di espulsione degli stranieri derivano da varie convenzioni internazionali, prime fra tutte le convenzioni sui diritti umani (norme di natura pattizia)  All’art 3 convenzione degli Stati Uniti del 1984, contro la tortura, gli stati non possono estradare o espellere, in paesi in cui questa persona rischia di essere sottoposta a tortura Corte europea dei diritti dell’uomo, corte del consiglio d’Europa 47 stati (NON CONFONDERE CON LA CORTE DELL’UNIONE EUROPEA). Precedenti: Caso Soering, la corte ha vietato al regno unito l’estradizione del cittadino, perché il paese d’origine lo avrebbe sottoposto alla pena di morte.  Ex art 8 della convenzione, Precedente: il Belgio voleva espellere un marocchino per condanna per furto, ma la corte europea ha detto che un comportamento del genere era esagerato espellerlo per un furto perché in quel caso era più importante l’unità familiare del soggetto stesso. La corte edu, che si rifà alla cedu (convenzione europea dei diritti dell’uomo), crea un bilanciamento tra diritti dell’uomo e il diritto internazionale. 90 Diritto Internazionale Marzia Pugliese  Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e dal protocollo del 1967, art 1, è rifugiato colui che teme che nel proprio paese possa essere perseguitato per: idee politiche, razza, nazionalità, gruppo sociale e religione. Questo rischio deve essere provato e se si riconosce questo status, gli si. Riconoscono delle tutele: libertà di praticare la religione, ha diritto ad ottenere un documento di viaggio per circolare negli stati dell’accordo Non bisogna confondere il diritto ad essere considerato rifugiato con il diritto d'asilo, cioè al diritto di risiedere in modo permanente nello Stato di rifugio. Il diritto di asilo territoriale, a differenza del diritto di asilo in sede diplomatica, non è previsto dal diritto consuetudinario generale, ma da atti internazionali privi di forza vincolante in ogni caso varie Costituzioni lo sanciscono. Che si tratti di rifugiati o di coloro che hanno diritto d'asilo, al richiedente di uno dei due status va accordato un lasso di tempo per dimostrare i motivi della richiesta.  Art 33. principio di non respingimento, il rifugiato non può essere espulso o rinviato al confine verso territori dove la sua vita o libertà sarebbe minacciata (principio del non- refoulement) Convenzioni di stabilimento Le Convenzioni di stabilimento sono accordi internazionali che prevedono l'obbligo di ciascuna parte contraente di riservare alle persone fisiche o giuridiche, appartenenti alle altre parti contraenti, condizioni di particolare favore, sia in tema di ammissione sia per quanto riguarda l'esercizio di attività imprenditoriali, professionali, ecc. Importanti sono le norme sul diritto di stabilimento contenute nel TFUE, che mirano ad una quasi totale parificazione tra cittadini e stranieri nel territorio dell'UE. Stessi fini di parificazione sono perseguiti dalla cittadinanza europea, che comporta anche il diritto a circolare liberamente nell'ambito dell'UE, di partecipare alle elezioni locali nello Stato membro in cui si risiede e di votare nello stesso Stato per i rappresentanti al Parlamento europeo. Se uno stato non rispetta le norme sul trattamento degli stranieri compie un illecito internazionale nei confronti dello stato al quale lo straniero appartiene. Con riguardo la responsabilità del fatto illecito è bene parlare della protezione diplomatica. Istituto della protezione diplomatica Se lo stato ospitante viola una norma della tutela dello straniero commette un illecito internazionale, quindi lo stato di origine potrà agire con la PROTEZIONE diplomatica La protezione significa, assumere la difesa del soggetto leso, tramite solleciti e richiesta di rimborso. L’unico limite della protezione è che lo Stato può intervenire solo quando non ci sono nemmeno le minime tutele per l’individuo o meglio che lo straniero abbia esaurito tutti i rimedi previsti dall’ordinamento dello stato territoriale, purché adeguati ed effettività, secondo la regola del previo esperimento dei ricorsi interni. 91 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Sarà lo Stato stesso che richiederà il risarcimento, quindi è esso titolare e non agisce come rappresentante dell’individuo. Es: Il soggetto non viene rispettata, dallo Stato ospitante ora se riesce ad andare in tribunale ed ottiene un risarcimento o qualsiasi cosa bene è finita la storia, se invece si ritiene che non ci siano state le tutele dell’individuo, lo stato ha la facoltà di intervenire (NON l’OBBLIGO). Lo Stato può in ogni momento rinunciare ad agire, sacrificare l’interesse del suddito leso ad altri intessi. I paesi in via di sviluppo cercano di attrarre investimenti offrono tutte le garanzie, ad esempio aboliscono la nazionalizzazione o l’espropriazione. Nel 1800, proprio per l’esigenza di tutelare le potenze e per far fronte alle esigenze di certezza nella regolamentazione dei rapporti economici, si sviluppa da parte di uno studioso/avvocato brasiliano Carlos Calvo, una dottrina dal quale poi scaturirà una clausola. La clausola Calvo, recepita in alcune convenzioni latinoamericane, dice che gli investitori stranieri rinunciano alla protezione diplomatica degli Stati di appartenenza, accettando le leggi e la giurisdizione degli Stati in cui effettuano le loro operazioni commerciali. La clausola, NON PRECLUDE L’ESERCIZIO DELLA PROTEZIONE DIPLOMATICA, perché il diritto si modifica. Nessuno, comunque, può costringere uno Stato, che sia accusato di aver violato le norme sugli stranieri, a trattare la questione sul piano internazionale, se esso non abbia preventivamente assunto obblighi convenzionali al riguardo. Allo stesso tempo nessuno può vietare allo Stato dello straniero di protestare o di proporre arbitrati. I giudici dello stato territoriale possono evitare che lo straniero ricorra alla protezione del proprio Stato ed essere in grado di tutelare lo straniero più del suo Stato nazionale. La protezione diplomatica spetta infatti agli organi del potere estero, di solito organi del potere esecutivo, e può essere fortemente condizionata da motivi politici attinenti alle relazioni internazionali. Protezione diplomatica delle società commerciali La protezione diplomatica può essere esercitata dallo Stato nazionale sia a difesa di una persona fisica che di una persona giuridica, come una società commerciale. Per quanto riguarda queste ultime, ci si chiede se ai fini della protezione diplomatica si debba aver riguardo a criteri formali, come il luogo di costituzione e quello della sede principale, ai quali è legato il concetto di nazionalità delle persone giuridiche, oppure a criteri sostanziali, e quindi ritenere che la protezione sia esercitabile dallo Stato a cui appartengono la maggioranza dei soci. A favore della prima tesi si è pronunciata la CIG in due sentenze. Tale tesi consiste nell'ancorare l'esistenza legale di una società a Stati particolarmente compiacenti da punto di vista fiscale, da quello dei controlli sulla gestione sociale , ecc., quindi il rischio di 92 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Sono considerate lecite le manifestazioni di condanna o di critica del sistema politico, economico o sociale di uno Stato straniero, ma i pareri sono discordi. È difficile separare gli aspetti giuridici da quelli politici, quando si tratta di comportamenti più incisivi, come la propaganda sovversiva, l'invio di messaggi radio-televisivi, la preparazione di atti di terrorismo, ecc. Una regola generale che copra tutte queste attività non esiste; forse l'unica regola consuetudinaria di cui possa affermarsi l'esistenza è quella che impone di vietare la preparazione di atti di terrorismo diretti contro altri Stati. Tutto il resto appartiene alla sfera del diritto convenzionale. Ci si chiede se gli Stati stranieri siano assoggettabili alla giurisdizione civile dello Stato territoriale. Uno stato straniero può essere assoggettato alla giurisdizione di un altro stato? Alla fine, dell'800 e agli inizi del secolo scorso, la teoria universalmente accolta era quella favorevole all'immunità assoluta degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile (la teoria “pare imparem non abet iudicium” ossia tra pari non si fa giudizio), a meno che lo stato estero non decida di porsi autonomamente dinanzi lo stato straniero (rinuncia all’immunità). Dopo la seconda guerra mondiale, c’è stato uno sviluppo del diritto internazionale ed infatti si parla di “teoria dell’immunità ristretta o relativa”, ad oggi è stata ripresa nella convenzione del 2004 – Convenzione della Nazioni Unite – ed è una norma di carattere consuetudinario . Secondo la teoria dell'immunità ristretta, l'esenzione degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile è limitata agli atti jure imperii, cioè gli atti attraverso i quali si esplica l'esercizio delle funzioni pubbliche, e non si estende invece agli atti jure gestionis, cioè quegli atti aventi carattere privatistico, come l'acquisto di un immobile, l'emissione di prestiti obbligazionari. Non è sempre semplice fare distinzioni degli atti che siano imperi e privatorum e gestiorum, in caso di dubbio il diritto internazionale odierno propende per l’immunità . Anche qui il diritto consuetudinario lascia ampio spazio all'interprete, e può forse sostenersi che, nel dubbio, si debba essere più favorevoli all'immunità che alla sottoposizione dello Stato straniero alla giurisdizione. Sviluppo nella materia di diritto del lavoro Uno dei campi in cui oggi emerge il problema dell'immunità è quello relativo alle controversie di lavoro. Si tratta di solito di giudizi instaurati da lavoratori aventi la nazionalità dello Stato territoriale, per lavoro prestato presso le ambasciate, istituti di cultura e altri uffici istituiti da stati stranieri. In questi casi è difficile stabilire quali aspetti del rapporto di lavoro debbano essere presi in considerazione per essere qualificati come pubblicistici o privatistici ai fini dell'immunità. In realtà la distinzione tra atti jure imperii e atti jure gestionis non è stata pensata in relazione a detti rapporti. Di recente è stata trovata una soluzione più appropriata a questo tipo di materia. 95 Diritto Internazionale Marzia Pugliese Infatti, nel 1972 il Consiglio d'Europa ha promosso la Convenzione europea sull'immunità degli stati, che adotta, all'art. 5, per i rapporti di lavoro il criterio della nazionalità del lavoratore cumulato con quello del luogo delle prestazioni: - Se il lavoratore ha la nazionalità dello Stato straniero che lo recluta, l'immunità sussiste in ogni caso; - Se il lavoratore ha la nazionalità dello Stato territoriale, o quivi risieda abitualmente essendo cittadino di un terzo Stato, e il lavoro deve essere prestato nel territorio, l'immunità è esclusa. Tale articolo è stato ripreso dal legislatore inglese con lo State Immunity Act del 1978, atto che intende avere vigore nei confronti di tutti gli Stati stranieri, non solo di quelli contraenti la Convenzione. In alcuni paesi non obbligati convenzionalmente, la giurisprudenza si va orientando in tal senso, appellandosi al diritto consuetudinario o ad una consuetudine in formazione. L'immunità della giurisdizione civile viene anche riconosciuta agli enti territoriali e alle altre persone giuridiche pubbliche diverse dallo Stato. Questa è una prova del fatto che a formare la persona dello stato dal punto di vista del diritto internazionale, concorrono tutti coloro che esercitano il potere di governo nell'ambito della comunità statale e non solo gli organi del potere centrale. A parte i limiti alla giurisdizione civile, lo Stato territoriale, per quanto riguarda la giurisdizione, non incontra altri limiti in tema di trattamento degli Stati stranieri. Senza fondamento nel diritto internazionale è la dottrina dell'Act of State, dottrina secondo cui una Corte interna non potrebbe rifiutarsi di applicare una legge o un altro atto di sovranità straniero, ad esempio le norme richiamate dal diritto internazionale privato, perché contraria al diritto internazionale. Questa dottrina è sorta ed è seguita nei paesi di common law. In realtà più che una dottrina imposta dal diritto internazionale, essa è considerata una sorta di principio di autolimitazione da parte delle corti, autolimitazione giustificata dalla necessità di non creare imbarazzo al proprio Governo nei rapporti con i Governi stranieri.: Caso 1: Un cittadino francese che lavora nell’ambasciata francese in Italia, nel caso in cui si rivolga alla giurisdizione francese la risoluzione viene affidata al giudice francese, ma nel caso in cui il cittadino francese si rivolgesse alla giurisdizione italiana verrà garantita l’immunità relativa o ristretta. Caso 2: Immaginiamo che un lavoratore che ha nazionalità dello stato territoriale che presta la propria attività lavorativa all’ambasciata di un altro stato. Caso 3: I cittadini che hanno nazionalità di uno stato terzo, cittadino francese che lavora preso l’ambasciata italiana ma in Spagna. In questi due casi la tendenza progressista che fa valere la tutela del lavoratore e di conseguenza ricollegandoci alla convenzione di Basilea del 1972, vediamo che il diritto internazionale pur riconoscendo la teoria dell’immunità ristretta la escluderà, i lavoratori potranno agire dinanzi la corte territoriale. Relativamente a questa teoria, come accennavo è stata sancita una convenzione nel 1972 che si basa su un duplice criterio: la nazionalità o la residenza del lavoratore si deve cumulare con il luogo di svolgimento delle prestazion lavorative. Sebbene vi sia questa sentenza progressista, vi sono casi dove in realtà si mette in atto la distinzione del caso iure imperium e iure privatorum andando a riprende la teoria dell’immunità relativa o ristretta ES: Caso Kudac- lituania 2010, sebbene sia recente come sentenza segue ancora la teoria dell’immunità relativa. Sviluppo nella materia dei diritti umani Nel caso di violazioni di diritti umani, il principio generale è a favore dell’immunità ma ci sono dei casi particolari, ci sono degli sviluppi, vediamo infatti il Caso Ferrini e la pronuncia della corte 96 Diritto Internazionale Marzia Pugliese costituzionale 238/2014 sentenza Tesauro, queste sentenze, si rifanno ai crimini di guerra commesse dalle truppe naziste durante la seconda guerra mondiale. Ferrini fu deportato e fu obbligato a fare dei lavori forzati in Germania, al fine della guerra egli si rivolge al tribunale di Arezzo in Italia, che si appella all’immunità, egli però non contento si rivolse alla Corte costituzionale che condanna la Germania al pagamento dei danni, al risarcimento . A questo punto la Germania non ci sta e si appella alla Corte internazionale di giustizia che si pronuncia nel 2012 riconoscendo l’immunità. La cosa non finisce qui, nella sentenza del 2014 di Tesauro che si è dichiarata contraria all’immunità, che ha aperto un dibattito in dottrina, perché ad oggi non rileva (ma è importante lo stesso perché quello che rileva è capire se effettivamente, ci saranno più pronunce nella stessa direzione). 29. Segue. Il trattamento delle organizzazioni internazionali Un altro limite alla sovranità territoriale deriva dalle norme sul trattamento delle organizzazioni internazionali, trattamento che riguarda soprattutto lo Stato in cui l'organizzazione ha sede. - Per quanto riguarda il trattamento dei funzionari delle organizzazioni internazionali non esistono norme consuetudinarie che impongano agli Stati di concedere loro particolari immunità, e tanto meno immunità diplomatiche, solo mediante convenzione lo Stato può essere obbligato in tal senso. Per tutte le organizzazioni esistono disposizioni convenzionali per l'immunità dei funzionari, e possono essere contenute o nella stessa convenzione che istituisce l'organizzazione, o in accordi conclusi dall'organizzazione con lo Stato della sede, oppure in accordi conclusi dagli Stati membri tra loro. - È sempre il diritto convenzionale che regola le immunità dei rappresentanti degli Stati all'interno degli organi delle organizzazioni internazionali. - Per i funzionari delle Nazioni Unite la Carta sancisce un principio generale in tema di immunità, e cioè che i funzionari dell'organizzazione godono dei privilegi e delle immunità necessari per l'esercizio indipendente delle loro funzioni. La Carta demanda all'Assemblea generale il compito di proporre agli Stati membri la conclusione di accordi per la disciplina dettagliata della materia. (Art. 105, par. 2) Nel dettaglio parliamo del trattamento dei funzionari dell’ONU--- in primo luogo c’è da dire che, per il diritto internazionale, non esistono immunità diplomatiche per i soggetti. Non esiste una vera e propria consuetudinaria che riconosce o meno l’immunità. Infatti, dobbiamo dire che in generale i funzionari godono delle immunità solo nel caso in cui sono previste dalle carte o per accordi di sede. Nel caso dei funzionari, la forma di immunità è di natura pattizia e le immunità sono previste nell’interesse dell’ONU e di fatto essi possono rinunciarci (all’immunità). 97
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