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Regolamento interno delle Camere: Giunte e Commissioni, Appunti di Storia Delle Istituzioni Politiche E Parlamentari

Come le giunte e le commissioni funzionano all'interno delle camere italiane. Della differenza tra le due istituzioni, del numero e delle competenze delle commissioni permanenti, della nomina dei loro componenti, del ruolo del presidente della camera e della scomparsa dell'autorizzazione a procedere. Inoltre, il documento tratta dei poteri del governo in parlamento e dell'iniziativa legislativa.

Tipologia: Appunti

2012/2013

Caricato il 15/11/2013

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Scarica Regolamento interno delle Camere: Giunte e Commissioni e più Appunti in PDF di Storia Delle Istituzioni Politiche E Parlamentari solo su Docsity! La politica e i suoi limiti: diritto parlamentare e diritto costituzionale Con il termine ‘diritto parlamentare’ si fa tradizionalmente riferimento al complesso di norme che disciplinano l’organizzazione interna delle camere, l’esercizio delle loro funzioni ed i rapporti con gli altri organi e con i soggetti terzi. La definizione risalente al 1910 di vincenzo miceli può ritenersi tuttora valida, la medesima dizione vale anche ad identificare la disciplina nata con fini pratici ma consolidatasi in italia anche in ambio accademico nel 1990. Procedura parlamentare = procedimenti attraverso i quali le camere esercitano le proprie finzioni le norme procedurali sono le più rilevanti nella nostra disciplina. Nell’ordinamento italiano la nozione di dp può a buon titolo essere usata per riferirsi alle regole che si applicano alle due camere in cui si articola di diritto repubblicano. Il nomen parlamento non ha un valore puramente lessicale ma possiede anche una valenza qualificativa connotando con l’organo la posizione esclusiva che esso occupa nell’organizzazione costituzionale; perché solo il parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale che imprime le sue funzioni una caratterizzazione tipica di infungibile. Cap 2 il diritto parlamentare come avanguardia del diritto costituzionale Il legame tra d parlamentare e d cost ci si pone in chiave storica. In assenza delle assemblee rappresentative le cost ottocentesche sarebbero inidonee a raggiumgere i loro principali oboiettivi. È attraverso tali assemblee che si pongono copncretament in essere quei principi della democrazia rappresentaiva che le dottrine politiche avevano autorizzato come l0unica forma di democrazia compatibile con dimensione dello stato moderno. Questo legame e merge ancor di più se guardiamo i caratteri contenutistici propri del coistituzionalismo e dello stato di diritto. Evidenziamo infatti che per l’esistenza di una costituzione occurrono la garanzia di diritti e la separazione dei poteri (dichiarazione dei diritti dell’uomo), i parlamentari concorrono a entrambe. F O N T I D E L DI R ITT O P A R LA M E N T A R E Il diritto parlamentare incontra come fonte primaria la costituzione, distinta in una parte primaria che riguarda i principi fondamentali e i diritti e i doveri del cittadino ed una parte seconda, relativa all’ordinamento della repubblica. Il titolo primo della parte seconda della Cost. è a sua volta ripartito in due sezioni: una, rubricata ‘Le Camere’ (art.55-69), nella quale è disciplinato l’aspetto strutturale (articolazione bicamerale e status del parlamentare) e l’altra, rubricata ‘La Formazione delle Leggi’, che riguarda il profilo funzionale ed in particolar modo la funzione legislativa. Ma la disciplina costituzionale dedicata al parlamento non si esaurisce nei due titoli appena richiamati, in quanto per le ampie funzioni esercitate dall’organo in esame (nomina del Presidente della Repubblica, definizione con legge dei principi fondamentali entro i quali le regioni esercitano la potestà legislativa in materia di legislazione concorrente, nomina di 1/3 dei componenti della Corte Cost. e del CSM, formazione di commissioni d’inchiesta, ecc), vengono in considerazione anche il titolo ll (relativo al Presidente della Repubblica), il titolo lll (che rigu arda il governo), il titolo V (relativo all’ordinamento regionale) ed il titolo Vl (che attiene alle garanzie costituzionali). Tutto ciò ha portato la dottrina a parlare di centralità del Parlamento, proprio per sottolineare il suo aspetto di organo centrale dell’ordinamento, intorno al quale ruota tutto il sistema. Il ruolo di centralità del Parlamento è stato importante soprattutto nei periodi di ‘democrazia bloccata’, quando cioè il partito comunista, pur godendo di un ampio favore nel paese, non poteva andare al governo per effetto della ‘conventio ad escludendum’, quell’accordo internazionale che impedendo ai partiti di ispirazione comunista di salire al governo del paese, di fatto permetteva la conservazione del potere in mano ai partiti di centro. Questa situazione aveva favorito, da un lato lo sviluppo di un sistema di voto segreto che permetteva alle forze di sinistra di appoggiare, nel segreto dell’urna, le scelte concordate con il governo di centro e dall’altro lato, la vigenza di un sistema elettorale proporzionale puro, che garantiva la rappresentanza di tutte le forze politiche, favoriva la frammentazione politica e comportava una scelta puramente ideologica da parte dei cittadini, nel senso che sia i programmi sia i candidati venivano scelti solo successivamente al voto elettorale. La nascita di governi precari, a cui tale situazione aveva dato luogo, e la conseguente necessità di raforzare la stabilità dei governi, portò ad una stagione di riforme (per es. nell’88 si passa dal sistema del voto segreto a quello del voto palese per le votazioni in parlamento); nel contempo, a partire dagli anni ’90, si riduce il ruolo di centralità del parlamento, si assiste cioè ad un ridimensionamento, un appiattimento del Parlamento (cd. effetto sogliola), an che per la devoluzione di numerose competenze ad organizzazioni internazionali. Ciò nonostante, il ruolo di centralità del Parlamento non è mutato, ed anzi è stato ribadito anche di recente dalla Corte Cost., con la SENTENZA N.106/2002, relativa al ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal governo contro una delibera approvata dal Consiglio regionale della Liguria, la quale prevedeva che in tutti gli atti dell’assemblea regionale, alla dizione costituzionalmente prevista ‘Consiglio regionale della Liguria’, si afiancasse quella di ‘Parlamento della Liguria’ e ciò in ragione della marcata assimilazione funzionale tra assemblea legislativa statale e assemblea legislativa regionale, alla quale hanno condotto anche le più recenti riforme. Al contrario, secondo l’Avvocatura dello Stato, può denominarsi ‘Parlamento’ soltanto un organo partecipe della sovranità, mentre la denominazione ‘Consiglio regionale’ sarebbe quella corretta per organi rappresentativi di soggetti autonomi, ma non sovrani. Dal canto suo, la Corte Cost. ha annullato la delibera della regione agli atti aventi forza di legge ed abilitati dalla Costituzione a sostituirsi, nella disciplina di determinate materie, alla stessa legge formale. In particolare, l’art.72 Cost. rimanda ai regolamenti per la disciplina dell’organizzazione interna e delle articolazioni di ciascuna camera, dei diritti e dei doveri dei parlamentari, delle funzioni delle camere ed ancora della disciplina di alcuni aspetti del procedimento legislativo. Ne consegue che i regolamenti sono fonti primarie a competenza riservata, nel senso che si trovano con le leggi in un rapporto di competenza che non escl ude che la legge possa regolare materie riservate al regolamento, ma che impone però armonia tra le due fonti, in quanto, in caso di conflitto sarà la legge a prevalere sul regolamento. Le diferenze più significative tra leggi e regolamenti riguardano le modalità di approvazione (mentre i regolamenti sono approvati a maggioranza assoluta dei componenti la camera, le leggi richiedono la maggioranza solo relativa), la natura stessa delle due fonti (mentre i regolamenti sono atti monocamerali, le leggi sono atti bicamerali) e soprattutto il sindacato di legittimità costituzionale, al quale sono soggette le leggi, ma non anche i regolamenti parlamentari. Nel silenzio della Costituzione, è stata la Corte Cost. ad intervenire su quest’ultimo profilo: - con la SENTENZA N.9/1959, la Corte Cost. ha escluso che i regolamenti parlamentari possano operare come parametro del giudizio di legittimità costituzionale delle leggi. La Corte in particolare, si è dichiarata competente a sindacare esclusivamente la violazione del le norme costituzionali sul procedimento legislativo, ma non anche il mancato rispetto delle disposizioni contenute nei regolamenti parlamentari. In questo modo la Corte, se da un lato ha superato il dogma ottocentesco dei cd. interna corporis acta (ai sensi del quale le attività ed i procedimenti che si svolgono all’interno delle camere non sono sindacabili da soggetti esterni all’assemblea, dall’altro, ha finito per rimettere a ciascuna camera l’interpretazione e la garanzia dell’osservanza delle previsioni contenute nei regolamenti parlamentari, anche laddove a quest’ultimi il testo costituzionale espressamente rinvii; - la SENTENZA N.154/1985 è stata la sentenza che ha afrontato direttamente e in termini negativi il problema della possibilità di configurare i regolamenti parlamentari come oggetto del giudizio di legittimità costituzionale. Con questa sentenza la Corte Cost. viene chiamata a pronunciarsi sulla legittimità degli art.12, primo comma del regolamento del senato e 12, terzo comma del regolamento della camera nella parte in cui prevedono la cd. giustizia domestica o autodichia per le controversie relative al rapporto di lavoro dei loro dipendenti per contrasto con gli art.24,113,101 e 108 Cost. tutto nasce quando alcuni dipendenti dei due rami del Parlamentano ricorrono dinnanzi a giudici ordinari per la tutela di propri diritti nell’ambito del rapporto di lavoro. Camera e senato eccepiscono però il difetto di giurisdizione dei giudici aditi dai ricorrenti, allegando a loro difesa la normativa attributiva alle camere della autodichia sulle controversie di impiego dei propri dipendenti. Le S.U. della Corte di Cassazione sollevano allora questione di legittimità costituzionale, sostenendo che le norme regolamentari attributive della autodichia finiscono per violare le disposizioni costituzionali che sanciscono i principi di effettività della tutela giurisdizionale, di indipendenza- terzietà-imparzialità del giudice ed il principio del contraddittorio. La Corte però, pur riconoscendo tali principi come indefettibili in qualsiasi controversia, esclude la possibilità di sindacare la legittimità costituzionale dei regolamenti parlamentari, e ciò sia sulla base dell’art.134 Cost., che individua espressamente nelle leggi e negli atti aventi for za di legge, e quindi non anche nei regolamenti parlamentari, l’oggetto del sindacato di legittimità costituzionale, sia sulla base dell’interpretazione dell’intero dettato costituzionale, che colloca il Parlamento al centro del sistema, facendone l’istituto caratterizzante l’ordinamento, e riconoscendogli pertanto una particolare indipendenza nei confronti di qualsiasi altro potere. - Se però, la Corte Cost., con la sentenza dell’85 ha sbarrato la via del giudizio sulle leggi, dall’altro però, ha lasciato aperta quella del conflitto di attribuzioni tra poteri dello stato, attraverso cui è giunta a svolgere forme incisive, sia pur indirette di sindacato sui regolamenti parlamentari. La sentenza capostipite a questo proposito è la SENTENZA N.1150/1988, con la quale la Corte si è riservata un penetrante controllo sul cattivo uso dei poteri parlamentari, afermando per la prima volta la competenza del giudice costituzionale a valutare, attraverso lo strumento del conflitto di attribuzioni, le deliberazioni parlamentari in tema di insindacabilità ed aprendo in questo modo la strada ad una serie di sentenze della Corte, dirette ad annullare quelle deliberazioni camerali che afermavano la sussistenza dei presupposti per afermare l’irresponsabilità giuridica dei pr opri membri in relazione a quanto da essi dichiarato in violazione dei diritti altrui. - ma le sentenze della Corte hanno riguardato anche questioni prettamente di procedura parlamentare, quali le modalità di votazione; emblematica al riguardo è stata la S ENTENZA N.379/1996, relativa al caso dei cd. Pianisti, cioè quei parlamentari che votavano anche in sostituzione dei colleghi assenti. Pur non esistendo alcuna disposizione costituzionale che preveda espressamente la personalità del voto, il riferimento dell’art.64 Cost. ai parlamentari ‘presenti’, esclude la delega del voto. L’accertamento della violazione di questo divieto spetta tuttavia al Presidente e non è censurabile dalla Corte Cost., né tanto meno dall’autorità giudiziaria. Così la Corte ha dunque risolto il conflitto di attribuzioni che si era creato tra la camera dei deputati e la procura di Roma, ammonendo tuttavia il Parlamento circa la necessaria presenza di congrue procedure di controllo e di adeguate sanzioni regolamentari, nonché di una loro pronta applicazione nei casi più gravi di violazione del diritto parlamentare. Al procedimento di formazione dei regolamenti parlamentari, l’art.64 Cost. dedica una specifica attenzione, richiedendo che essi siano approvati da ciascuna camera a maggioranza assoluta dei componenti (la maggioranza assoluta è attualmente richiesta, sia alla camera che al senato, solo per l’approvazione finale di un complesso organico di modifiche al regolamento, e non anche per ciascuna). Se la camera non approva il regolamento, si intende approvato quello già in vigore. A partire dal 1993 (anno di entrata in vigore del sistema elettorale maggioritario, il cd. ‘mattarellum’, che favorisce la nascita del sistema bipolare e che permette ai cittadini di conoscere prima del voto sia il leader che andrà a capo del governo, sia il programma che la coalizione vincente si impegna ad attuare)la previsione costituzionale è stata spesso criticata, in quantum il quorum da essa richiesto non sarebbe suficiente ad assicurare un’efettiva garanzia alle opposizioni, in un Parlamento eletto con meccanismi maggioritari. Nel procedimento di revisione dei regolamenti parlamentari, un ruolo incisivo è svolto dalla giunta per il regolamento. Ciò che distingue la giunta per il regolamento, e più in generale le giunte, dalle commissioni, sta nel fatto che mentre i componenti di quest’ultime sono nominati dagli stessi gruppi parlamentari, in proporzione alla forza di cui ciascuno di essi gode nel Parlamento, , nel caso invece delle giunte, è il presiden te della camera, in quanto organo tecnico-giuridico’, a nominare i componenti, non appena costituiti i gruppi parlamentari, e quindi in modo da rispettare anche i criteri di proporzionalità tra i gruppi. La giunta per il regolamento, in particolare, composta da 10 o, qualora il presidente lo ritenga necessario, più membri, ha il compito di promuovere ed esaminare le proposte di modifica del regolamento e di svolgere anche funzioni consultive, in quanto il presidente può consultare la giunta su ogni questione concernente l’interpretazione del regolamento. Il peso incisivo esercitato dalla giunta per il regolamento è confermato soprattutto dal regolamento della comunista, la cui linea di politica internazionale era ancorata a quella dell’URSS, venivano considerati al di fuori dell’area utilizzabile per il sostegno parlamentare al governo. Si tratta della cd.’conventio ad escludendum’, che caratterizzò il funzionamento della forma di governo e del sistema politico in Italia praticamente fino alla vigilia della caduta del muro di Berlino, assumendo il carattere di una vera e propria regola del gioco vincolante tutti gli operatori costituzionali e rendendo possibili tutt’al più forme di appoggio esterno. Infine, dalle consuetudini costituzionali vanno distinte sia le regole di correttezza costituzionale, sia i cd. precedenti parlamentari. Le prime, prive di vincolatività giuridica, costituiscono un a categoria ampia che comprende sia le regole di cerimoniale e del cd. Galateo parlamentare (basta pensare a quelle che impongono ai parlamentari di vestirsi in un certo modo o di parlare in piedi nei discorsi all’aula) sia alcune regole di notevole rilievo istituzionale, suscettibili talvolta di essere qualificate come convenzioni o addirittura come consuetudini costituzionali ( ne sono un esempio quelle che richiedono l’alternanza delle due camere nella presentazione del programma di governo o nella trasmissione in prima lettura dei disegni di legge finanziaria e di bilancio. Si fa invece riferimento ai precedenti parlamentari quando si richiamano dei comportamenti tenuti in precedenza, senza porsi il problema del loro rapporto con la norma scritta, e cio è quando ci si rifà alla soluzione data in precedenza ad una fattispecie concreta , con l’intento di applicarla anche alla situazione attuale; tra gli esempi più emblematici possiamo ricordare l’uso della questione di fiducia sui maxi- emendamenti o ancora l’approvazione di riforme costituzionali ed elettorali a fine legislatura e con i soli voti della maggioranza. IL S I S T E M A E LE TTOR AL E Da nessuna norma costituzionale si evincono indicazioni specifiche circa la di sciplina dei sistemi elettorali, e ciò costituisce un’anomalia perché la legge elettorale, incidendo sulla forma di governo e sul sistema partitico, ha una valenza politica altissima. La scelta del sistema elettorale è quindi rimessa al legislatore ordinario, con la sola garanzia di escludere questa materia da quelle esaminabili con il procedimento semplificato e meno garantistico delle cd. Commissioni in sede legislativa o deliberante. La materia non è invece ricompresa tra quelle per le quali l’art.75 Cost. esclude il referendum abrogativo; ed infatti, all’inizio degli anni ’90, la legislazione elettorale che adottava per entrambe le camere sistemi proporzionali fu oggetto di due referendum abrogativi, nel 1991 e nel 1993: il primo comportò il passaggio alla camera dalla preferenza multipla alla preferenza unica (con l’indicazione obbligatoria del nome); il secondo invece incise profondamente sul sistema elettorale del senato, trasformandolo in un sistema maggioritario di collegio con un recupero proporzionale. La spinta del referendum portò nello stesso anno ad una revisione delle leggi elettorali di entrambi i rami del Parlamento, con conseguente passaggio da un sistema proporzionale puro ad un sistema maggioritario ed allo scioglimento anticipato delle camere. Più in particolare, il sistema proporzionale, attribuendo a ciascuna formazione politica un numero di seggi in numero direttamente proporzionale alla percentuale di voti ottenuti, favorisce la frammentazione politica, costituisce un incentivo allo sviluppo delle correnti all’interno dei partiti che sono incentivate a presentarsi in via autonoma e di conseguenza riproduce nelle assemblee dell’organo politico tutte le articolazioni politiche. Questo sistema favorisce inoltre una forma di governo ‘mediata’ dai partiti, perché è dopo le elezioni che si formano le coalizioni tra partiti e ciò impedisce ai cittadini di conoscere preventivamente sia la composizione della coalizione di governo, sia il programma: in sostanza i cittadini sono chiamati ad esprimere un a scelta puramente ideologica. Il sistema maggioritario consente invece di assegnare il seggio al candidato più votato. A riguardo, esistono due varianti: - il modello plurality, in virtù del quale il candidato che ottiene più voti, conquista il seggio indipendentemente dal fatto di raggiungere o meno una maggioranza qualificata; - il modello majority, in virtù del quale, se nessuno dei candidati ottiene al primo turno la maggioranza assoluta, si procede al ballottaggio tra i due candidati che al primo turno hanno ottenuto più voti. A diferenza del sistema proporzionale pertanto, il sistema maggioritario tende a favorire le maggioranze, la coesione politica e la semplificazione partitica; attribuisce più potere al corpo elettorale, anziché ai partiti politici, perché i cittadini conoscono prima del voto elettorale sia la coalizione che si candida al governo del paese, sia il leader della stessa, sia il suo programma e ottenuti dal candidato eletto, alla Camera si sottraeva invece dalla cifra elettorale, il numero dei voti ottenuti dal primo dei non eletti, aumentato di uno; - diverso metodo di distribuzione dei seggi col proporzionale: al Senato infatti, tale distribuzione avveniva col metodo D’Hondt (minimo comun divisore), un metodo che perde molta della propria efficacia in caso di consultazioni elettorali con molte forze politiche perchè ne esclude alcune dal calcolo non prevedendo il recupero dei resti e che quindi tende a creare una clausola di sbarramento per i partiti più piccoli; alla Camera invece, la distribuzione proporzionale dei seggi avveniva col metodo del quoziente elettorale, in virtù del quale il totale dei voti validi in ogni circoscrizione viene diviso per il numero dei seggi da assegnare arrotondato all'intero più vicino. Tale numero così ottenuto rappresenta il "quoziente elettorale". I voti ottenuti da ogni lista vengono poi divisi per il quoziente elettorale determinando il numero di seggi spettante a ciascuna formazione mentre il resto della divisione viene ordinato in maniera decrescente per assegnare i resti. A diferenza del Metodo D’Hondt che non crea resti pertanto, il metodo del quoziente elettorale tende a favorire le forze più piccole, perché crea resti che vengono poi recuperati a livello nazionale; - clausola di sbarramento: alla Camera era prevista una clausola di sbarramento del 4%; nessuna clausola di sbarramento era invece prevista al Senato, anche se il metodo D’Hondt applicato su numeri piccoli tende a creare una clausola di sbarramento; Esistono poi altre diferenze tra i sistemi elettorali di Camera e Senato previste direttamente dalla Costituzione. In particolare: - con riguardo ai requisiti anagrafici dei candidati, sono eleggibili alla Camera i cittadini che abbiano compiuto i 25 anni; al Senato quelli che hanno compiuto il quarantesimo anno di età; - con riguardo invece alle modalità di ripartizione dei seggi, questi sono ripartiti proporzionalmente alla popolazione di ogni regione al Senato, che è appunto eletto a base regionale; per la Camera si parla invece di circoscrizione, che possono avere estensione coincidente con quella delle regioni o essere, per le regioni più popolose, di dimensione sub regionale. Quanto agli efetti, la legge del ’93, favorisce la creazione di coalizioni politiche che non riescono a trasformarsi in soggetti politici autonomi e a mantenersi sul piano parlamentare, e ciò anche perché i regolamenti parlamentari non vincolavano né all’appartenenza al partito, né all’appartenenza alla coalizione. D’altra parte però, ciò è giustificato dal fatto che i regolamenti, rimodellati nel ’71 in pieno regime proporzionale, tendevano ad esaltare le diferenze tra i partiti e la frammentazione politica, anziché la coesione tra gli stessi. Il sistema elettorale vigente (Sistema proporzionale con correzione maggioritaria) Dopo tre legislature e 12 anni di vigenza, il sistema elettorale del 1993 (il cd.’mattarellum’)lasciò il posto al nuovo sistema elettorale (il cd.’porcellum’) approvato con la legge n.270/2005 a maggioranza di governo e poco prima della scadenza della legislatura allora in corso. In ciò si può ravvisare una prima anomalia:infatti, nonostante la Costituzione non richieda maggioranze rinforzate, limitandosi a prevedere una riserva di assemblea (art.72), molti ritengono che la legge elettorale, proprio perché incidente sul sistema partitico e sulla forma di governo, sia una legge costituzionale, alla cui approvazione dovrebbe concorrere anche l’opposizione . In ogni caso, da un sistema misto, maggioritario con recupero proporzionale, si passa ad un sistema anch’esso misto, ma diametralmente opposto, ossia ad un sistema proporzionale con premio di maggioranza. Più in particolare, la distribuzione dei seggi della Camera avviene tra liste di candidati concorrenti nelle circoscrizioni elettorali in cui è diviso il territorio nazionale, circoscrizioni che sono ancora oggi le stesse 26 ( più la Valle D’Aosta che costituisce un collegio uninominale chiamato ad eleggere un solo deputato), individuate quando era in vigore il precedente sistema prevalentemente maggioritario. Si tratta di circoscrizioni molto ampie, che coincidono in linea di massima con le regioni (salvo la Lombardia che ha tre circoscrizioni e il Piemonte, la Sicilia, la Campania, il Veneto ed il Lazio che hanno due circoscrizioni, le altre regioni ne hanno una sola) e chiamate ad eleggere un numero consistente di Deputati (il massimo si ha con la Puglia che elegge 45 deputati ed il minimo con la Valle D’Aosta che ne elegge uno sono). La ripartizione dei seggi tra le regioni avviene in base alla popolazione. A ciò si aggiunga che l’elettore è chiamato ad esprimere esclusivamente un voto per scegliere una delle liste il cui contrassegno appare sulla scheda elettorale. In tale scheda infatti, non compaiono i nomi dei candid ati della lista, anche se l’ordine con il quale vengono presentati, in assenza della possibilità per gli elettori di attribuire un voto di preferenza (cd. Liste bloccate), risulta decisivo al momento di procedere all’individuazione dei soggetti cui spettano i seggi assegnati alla lista. Va al riguardo aggiunto anche che, non essendovi limiti alla possibilità di candidarsi nelle varie circoscrizioni, i candidati che risultino eletti in più circoscrizioni dovranno esercitare l’opzione per una circoscrizione entro 8 giorni dalla data dell’ultima proclamazione. La legge del 2005 prevede inoltre che ciascuna forza politica, all’atto di presentare il suo contrassegno, debba depositare un programma elettorale ed indicare formalmente il capo della forza politica, così come si consente alle liste, attraverso reciproche dichiarazioni dei loro responsabili, di collegarsi tra loro in coalizione: in tal caso, la coalizione è tenuta a depositare un solo programma elettorale e ad indicare il capo della coalizione. La ripartizione dei seggi tra le liste che da sole o coalizzate concorrono nelle 26 circoscrizioni è effettuata a livello centralizzato utilizzando il metodo proporzionale del quoziente elettorale e dei più alti resti con eventuale attribuzione di un premio di maggioranza alla lista o alla coalizione di liste più votata, laddove né l’una né l’altra siano riuscite a conseguire almeno 340 seggi e tenendo conto degli sbarramenti previsti dalla legge. Alla ripartizione dei seggi possono concorrere esclusivamente: - le coalizioni che abbiano ottenuto almeno il 10% dei voti validi a livello nazionale e che contengano una lista che abbia raggiunto almeno il 2% dei voti validi a livello nazionale; - le liste singole che abbiano ottenuto almeno il 4% dei voti validi a livello nazionale; - le liste delle minoranze linguistiche riconosciute coalizzate o non che abbiano ottenuto almeno il 20% dei voti validi nella circoscrizione in cui concorrono. Una volta individuate le liste che abbiano superato le descritte soglie di sbarramento, l’uficio centrale elettorale procede a ripartire tra queste i seggi, dopo aver ricavato il quoziente elettorale nazionale (che si ottiene dividendo la cifra elettorale complessiva delle liste ammesse per il numero di seggi da attribuire, che senza i 12 assegnati alla circoscrizione e stero e previsti per i rappresentanti degli italiani residenti all’estero, eletti questi ultimi con metodo proporzionale tra liste concorrenti e con voto di preferenza e quello riservato alla Valle D’Aosta, sono 617) e aver diviso i voti nazionali di ciascuna lista o coalizione per tale quoziente: il risultato di tali divisioni determina il numero dei seggi spettante a ciascuna lista o coalizione; i seggi non assegnati per la presenza di decimali vengono attribuiti sino al loro esaurimento a quelle liste o coalizioni che abbiano riportato i maggiori resti. Dopodiché, se al termine di questa operazione l’uficio centrale verifica che la lista o la coalizione più l’art.48 Cost. (con la l. cost. n.1/2000) è stata istituita la circoscrizione estero per con sentire la rappresentanza parlamentare dei cittadini italiani residenti all’estero, si è conseguentemente previsto (con l. cost. n.1/2001) l’elezione nell’ambito di tale circoscrizione di 12 deputati e 6 senatori. Tale legge in particolare distingue nell’ambito della circoscrizione estero 4 diverse ripartizioni territoriali: - Europa; - America meridionale; - America settentrionale e centrale; - Oceania, Antartide, Africa e Asia. Per ciascuna di queste circoscrizioni si provvede a compilare e aggiornare l’elenco degli italiani ivi residenti, così da consentire loro di votare per corrispondenza (modalità assai criticata soprattutto sotto il profilo della segretezza del voto), e fatta salva la possibilità di esercitare tale diritto in Italia. La legge del 2001 prevede inoltre che in ciascuna delle 4 circoscrizioni debba essere eletto un Deputato e un Senatore, mentre gli altri seggi sono distribuiti tra quegli ambiti territoriali in base al numero di cittadini italiani che risiedono negli stati che ne fanno parte. L’assegnazione dei seggi tra le liste concorrenti avviene con il metodo del quoziente elettorale e dei più alti resti; per la circoscrizione estero è inoltre ammesso il voto di preferenza. Importante: i candidati residenti in Italia non possono candidarsi all’estero (famoso nell’ultima legislatura è stato al riguardo il caso Digirolamo). L’attuale legge elettorale è stata criticata sotto diversi profili: - per quanto concerne il rapporto con l’elettorato, la legge in esame è stata criticata in primo luogo per il sistema delle liste bloccate, che se da un lato tende a raforzare la gestione verticistica dei partiti politici, dall’altro, lascia all’elettore un ruolo secondario, impedendogli di scegliere il candidato attraverso il voto di preferenza. D’altro canto però, la gestione verticistica dei partiti politici ed il ruolo secondario dell’elettorato sono conseguenze favorite anche in primo luogo, dall’ampiezza delle circoscrizioni, elemento questo che contribuisce a minimizzare il legame tra il candidato ed i suoi elettori ed in secondo luogo, dal fenomeno delle candidature plurime (possibilità per uno stesso candidato di presentarsi in più circoscrizioni). Tale meccanismo consente infatti ai partiti politici di mettere ai primi posti delle liste esponenti che godono di una maggiore visibilità, fatta poi salva la possibilità per questi di optare, una volta eletti, per una certa circoscrizione; - per quanto concerne invece il rapporto tra i partiti, la legge del 2005 è stata criticata per la distribuzione del premio di maggioranza regione per regione, meccanismo che rende assai probabile la formazione al Senato di una maggioranza diversa da quella della Camera; per la mancata previsione di una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza (mentre sia la legge Acerbo del 1923, sia la legge Trufa degli anni ’50 prevedevano rispettivamente soglie del 25% e 50%), per le elevate soglie di sbarramento previste per le liste singole e soprattutto per la debolezza del legame interno alle coalizioni. In particolare, la coalizione si può configurare come l’accordo che viene fatto da un gruppo di partiti finalizzato ad ottenere il premio di maggioranza. L’aspetto paradossale del nuovo sistema elettorale sta proprio nel fatto che se da un lato, la previsione del premio di maggioranza e di coalizioni formalizzate ha come obiettivo quello di favorire la governabilità, dall’altro però si assiste sul piano pratico ad una debolezza del legame di coalizione e spesso ad una disgregazione della stessa, con il conseguente problema della sua tenuta sul piano parlamentare. A tutto ciò si riconnette il problema della trasmigrazione dei parlamentari da un gruppo di opposizione ad uno di maggioranza e viceversa, elemento questo che crea incertezza nel governo. I gruppi parlamentari I gruppi parlamentari sono le proiezioni dei partiti politici in Parlamento; sono un’aggregazione di parlamentari sulla base di una comunanza di ideologia. Essi, oltre ad essere richiamati dalla Costituzione, trovano un’espressa disciplina nei regolamenti parlamentari; questa disciplina in particolare, risale al periodo prefascista, quando al criterio del sorteggio per la nomina dei deputati componenti gli ufici, segue, con la crescente importanza dei partiti politici, la nascita dei gruppi parlamentari. Con riguardo alla natura dei gruppi parlamentari, la dottrina oscilla tra due posizioni: quella che ritiene i gruppi organi delle camere e quella che viceversa li considera semplici associazioni. Con un’ordinanza del 2004, le SU della Corte di Cassazione, hanno precisato che, nel definire la natura giuridica dei gruppi parlamentari, bisogna distinguere due aspetti: ossia quello squisitamente parlamentare, in relazione al quale i gruppi costituiscono gli strumenti necessari per lo svolgimento delle funzioni proprie del Parlamento e l’aspetto più strettamente politico, che concerne il rapporto di subordinazione del singolo gruppo con il partito di riferimento. I gruppi parlamentari possono essere costituiti secondo tre criteri: - il criterio prevalente è quello dell’adesione volontaria al gruppo. Al riguardo, i reg. parlamentari prevedono che entro due giorni dalla prima seduta (entro tre i senatori), i deputati devono All’interno dell’ordinamento parlamentare, la suddivisione dei parlamentari in gruppi è funzionale in primo luogo ad esigente organizzative, in quanto consente di disporre di un metro per comporre in modo proporzionalmente rappresentativo gli organi delle camere, primi tra tutti le commissioni. In secondo luogo, i presidenti dei gruppi, riuniti dal Presidente dell’Assemblea, e sotto la presidenza di quest’ultimo, formano la conferenza dei Presidenti dei gruppi, che costituisce l’organo di direzione politica di ciascuna camera, in quanto definisce il programma ed il calendario dei lavori. Infine, al momento delle votazioni, ciascun gruppo provvede a nominare un oratore al suo interno, che ha il compito di esprimere la volontà politica del gruppo nel suo complesso. L ’ O R GA N IZ Z A Z IO N E D E L P A R LA M E N T O Il Parlamento in seduta comune e le commissioni bicamerali Il Parlamento è un organo bicamerale complesso, composto da due camere: la Camera dei deputati ( composta da 630 deputati) ed il Senato Repubblica (composto da 315 senatori). In particolare, si tratta di un bicameralismo paritario (perché le camere hanno gli stessi poteri) e perfetto (perché le camere esprimono le stesse istanze politiche e perché entrambe sono nominate a sufragio universale dall’intero corpo elettorale. Proprio questa caratteristica del Parlamento italiano rappresenta un’anomalia, perché negli dove vi sono autonomie locali, la prima camera rappresenta il popolo, mentre la seconda le istituzioni; nel nostro paese invece, entrambe le camere rappresentano il popolo ed esprimono le stesse istanze politiche: non vi sono cioè diferenze strutturali. La Costituzione afida alle due camere riunite in un unico organo, il Parlamento in seduta comune, una serie di funzioni: l’elezione ed il giuramento del Presidente della Repubblica, presieduto dal Presidente della Camera, la sua messa in stato d’accusa per alto tradimento o attentato alla Costituzione, l’elezione di un terzo dei giudici della Corte Costituzionale e del CSM ed ancora l’elezione della lista dei cittadini da cui sono sorteggiabili i giudici da aggregare a quelli della Corte Costituzionale per i giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica. La Costituzione prevede espressamente una sola commissione bicamerale: la commissione di deputati e senatori per le questioni regionali, cui afida una funzione consultiva nel procedimento di scioglimento dei Consigli regionali. Oltre a questa funzione, la commissione, composta da 20 deputati e 20 senatori, è titolare di altre funzioni consultive: sia nei confronti del governo, nei casi previsti dalla legge, sia nel procedimento legislativo, esprimendo il proprio parere obbligatorio, ma non vincolante, alle commissioni parlamentari permanenti competenti sui disegni di legge che investono le attribuzioni delle regioni. Altro organismo bicamerale introdotto con legge costituzionale del 1989 è il comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa, competente ad istruire la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica. Negli anni poi, il legislatore ha utilizzato lo strumento delle commissioni bicamerali anche in altri campi, attribuendogli per esempio il potere d’inchiesta di cui all’art.82 Cost. (‘Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni della Autorità giudiziaria’) o istituendo vere e proprie commissioni bicamerali di indirizzo, ma dotate anche di importanti poteri idonei ad incidere sull’amministrazione degli enti vigilati (tra quelle più importanti possiamo citare la commissione sui servizi radiotelevisivi ed il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, composto da 5 deputati e 5 senatori, nominati dai due presidenti di assemblea in modo da garantire la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni e presieduto da un presidente eletto tra i parlamentari di opposizione. Le commissioni permanenti L’articolazione in gruppi del Parlamento ha storicamente portato ad un’organizzazione fondata su commissioni specializzate per materia e permanenti, alle quali sono assegnati, secondo l’indicazione dei gruppi e proporzionalmente alla loro consistenza, tutti i parlamentari, con la sola eccezione del Presidente di Assemblea. In ciascuna camera, all'inizio di ogni legislatura, si costituiscono 14 Commissioni permanenti (Afari costituzionali- Giustizia- Afari esteri e comunitari- Difesa – Bilancio, tesoro e programmazione – Finanze – Cultura, scienza e istruzione – Ambiente, territorio e lavori pubblici – Trasporti, poste e telecomunicazioni – Attività produttive, commercio e turismo – Lavoro pubblico e privato – Afari sociali – Agricoltura – Politiche dell’Unione Europea). Il rC (art. 22) fissa il numero delle Commissioni permanenti e ne definisce le materie di competenza più dettagliatamente specificate da una apposita circolare del Presidente della Camera: ognuna delle 14 Commissioni permanenti è dunque c om p e t e n t e su un settore dell'ordinamento, che identifica i confini entro i quali essa esercita i suoi poteri Le Commissioni si costituiscono eleggendo il Presidente e un Ufcio di Presidenza (composto, oltre che dal Presidente, da due Vice Presidenti e da due Segretari) il quale, integrato con i rappresentanti dei Gruppi parlamentari, predispone il programma e il calendario dei lavori della Commissione, in modo da assicurare l'esame in via prioritaria dei progetti di legge compresi nel programma e nel calendario dei lavori dell'Assemblea. Le Commissioni sono formate in modo da rispettare la proporzione fra i gruppi, che distribuiscono a tal fine fra queste i propri componenti (art. 19 reg.). Ogni deputato fa parte di una sola Commissione permanente, salvo il caso in cui sostituisca, per la durata in carica del Governo, un altro deputato nominato ministro o sottosegretario. Inoltre ogni gruppo può, per l'esame di un determinato progetto di legge, sostituire un commissario con altro di diversa Commissione, previa comunicazione al presidente della Commissione. Dalla data della loro costituzione, le Commissioni permanenti sono rinnovate ogni biennio e i loro componenti possono essere riconfermati. Nelle proprie materie di competenza, le Commissioni permanenti svolgono funzioni legislative, conoscitive, di indirizzo e di controllo. Quanto al procedimento legislativo, la Costituzione stabilisce che ogni progetto di legge presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, anzitutto esaminato da una Commissione (art. 72, primo comma). Il regolamento specifica quindi come si svolge questa fase del procedimento, che è funzionale al successivo esame da parte dell'Assemblea. Ogni progetto di legge è assegnato dal Presidente della Camera alla Commissione volta per volta competente sulla materia trattata dal progetto. Quando sono chiamate a riferire all'Assemblea su un progetto di legge, si dice che le Commissioni operano in sede referente. La Commissione svolge in tal caso un'istruttoria sul progetto di legge, nella quale deve valutare la qualità e l'efcacia delle disposizioni contenute nel testo. A tal fine può acquisire dal Governo dati e informazioni e può svolgere attività conoscitive. Quando il progetto di legge contiene disposizioni di interesse anche di altre Commissioni, queste lo esaminano in sede consultiva, cioè per formulare un parere e indirizzarlo alla Commissione competente in sede referente. Particolare importanza rivestono, tra gli altri, alcuni pareri: 1. quelli della Commissione bilancio, incaricata di verificare l'impatto dei progetti di legge sulla finanza pubblica e sul rispetto dell'obbligo costituzionale di prevedere come fare fronte a nuove o maggiori spese; 2. quello della Commissione Affari costituzionali, che verifica l'impatto del progetto di legge sull'ordinamento costituzionale e sul rispetto delle competenze regionali; 3. quello della Commissione Politiche dell'Unione europea per la valutazione dei profili di compatibilità con la normativa comunitaria; 4. quello del Co m it a t o p e r l a le g i s la z i one sulla qualità dei testi legislativi Giunta per il Regolamento: alla Giunta per il Regolamento - presieduta, a differenza delle altre Giunte, dal Presidente della Camera e composta da almeno 10 deputati (art. 16, comma 1, Reg.), nominati secondo criteri di proporzionalità tra i gruppi dal Presidente di Assemblea – spetta promuovere ed esaminare le proposte di modifica del regolamento parlamentare, dare pareri su questioni di interpretazione ed applicazione del regolamento, nonché la soluzione dei conflitti di competenza tra le Commissioni ad essa deferiti dal Presidente. Le proposte di modifica del Regolamento approvate dalla Giunta sono quindi sottoposte all'Assemblea. Quest‟ultima le approva a maggioranza assoluta dei suoi componenti, secondo quanto previsto dall‟art. 64 della Costituzione e dall'art. 16, comma 4, del Regolamento. Giunta delle elezioni: alla Giunta è affidato il controllo sulla regolarità delle operazioni elettorali e sull‟accertamento di eventuali situazioni di ineleggibilità o di incompatibilità, proponendo all'Assemblea la convalida oppure l'annullamento dell'elezione (art. 17 e 17-bis reg.). Questa giunta è costituita da 30 deputati (23 al Senato) nominati dal Presidente della Camera per l‟intera legislatura, i quali pertanto non solo non possono essere sostituiti dai gruppi (ad eccezione dei componenti facenti parte del governo), ma non possono nemmeno presentare le dimissioni o rifiutare l‟incarico. Tutto ciò sottolinea il carattere paragiurisdizionale di quest‟organo, che, se da un lato svolge una vera e propria funzione istruttoria preparatoria di decisioni (quelle di annullamento delle elezioni, di decadenza dalla carica), dall‟altro lato è però composta da politici e quindi non da soggetti terzi e imparziali ed inoltre le sue decisioni possono essere ribaltate dall‟Assemblea. Verifica delle elezioni e cause di ineleggibilità e di incompatibilità Giudice della correttezza del procedimento elettorale è, ai sensi dell‟art.66 Cost., lo stesso Parlamento. Sono cioè le due Camere a giudicare sui titoli di ammissione dei propri componenti e sulle cause di ineleggibilità e incompatibilità previste dalla legge. A proclamare eletti i parlamentari sono gli uffici elettorali. Con la proclamazione, il parlamentare acquista il suo status, anche se si tratta di un acquisto temporaneo, essendo soggetto al giudizio di convalida previsto dall‟art.66 Cost. La procedura che porta a questo giudizio è affidata nelle due camere alla giunta delle elezioni, la quale, raccolto il materiale documentale dagli uffici elettorali e ricevuti gli eventuali ricorsi, può decidere di proporre all‟aula la convalida delle elezioni o aprire un‟istruttoria. In quest‟ultimo caso, procede a verificare le schede e al termine propone la convalida o l‟annullamento dell‟elezione contestata all‟assemblea, la quale dal canto suo, può rovesciare la proposta della giunta, senza che sia possibile alcun rimedio giurisdizionale. La decisione dell‟Assemblea è infatti definitiva. Un procedimento analogo è previsto per l‟accertamento delle cause di ineleggibilità e incompatibilità. In materia, vige il principio della ideale corrispondenza tra elettorato attivo e passivo (in virtù del quale ai cittadini ai quali è riconosciuto il diritto di voto viene contestualmente riconosciuto anche il diritto di essere eletti), anche se negli anni sono state introdotte delle condizioni restrittive all‟eleggibilità per evitare che il voto si svolga senza condizionamenti e nell‟uguaglianza effettiva tra i competitori. Sono così nate le cause di ineleggibilità, che hanno come effetto, se non rimosse in tempo utile, l‟annullamento dell‟elezione. Dopodiché occorre vedere qual è il sistema elettorale, perché in presenza di un sistema elettorale proporzionale a liste concorrenti, si fa salire il primo dei non eletti; in presenza invece di un sistema maggioritario a collegi uninominali, è necessario procedere a nuove elezioni, perché in questo caso il primo dei non eletti è l‟esponente di un partito diverso da quello che ha vinto. Le cause di ineleggibilità sono raccolte nel t.u. n.361/1957 e possono essere ricomprese in cinque gruppi: - titolarità di alcune cariche elettive (presidenti di provincia, sindaci di comuni con più di 20.000 abitanti). Manca invece una norma sull‟ineleggibilità a specchio, ossia una norma che, oltre all‟ineleggibilità alla carica di parlamentare per i presidenti delle giunte provinciali e per i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, preveda anche l‟ineleggibilità dei parlamentari in corso di mandato alle stesse cariche locali; - titolarità di determinati uffici (magistrati, prefetti, diplomatici, capi di gabinetto dei ministeri, direttori generali delle ASL); - titolarità di particolari rapporti economici con lo stato; - titolarità di rapporti di impiego con governi esteri (art.10); - l‟essere giudici costituzionali e componenti di autorità di vigilanza. Per potersi candidare, i titolari di cariche elettive e di uffici pubblici per i quali è prevista l‟ineleggibilità devono abbandonare la carica almeno 180 giorni prima della fine della legislatura oppure, nel caso di scioglimento anticipato, entro i sette giorni successivi alla pubblicazione del relativo decreto. Quest‟ultima possibilità è negata ai magistrati che intendano candidarsi nelle circoscrizioni sottoposte alla giurisdizione degli uffici ai quali sono assegnati. L‟incompatibilità mira invece ad impedire il cumulo del mandato parlamentare con altro incarico, per evitare che questo possa pregiudicare il corretto e libero esercizio della funzione di parlamentare. La Costituzione prevede alcune ipotesi di incompatibilità: - tra deputato e senatore; - tra parlamentare e giudice costituzionale; - tra parlamentare e membro del CSM; - tra parlamentare e consigliere regionale; - tra parlamentare e Presidente della Repubblica. La legge n.60/1953 sulle incompatibilità parlamentari prevede poi altre cause di incompatibilità: cariche di nomina governativa, cariche in enti o associazioni che gestiscono servizi in concessione o ai quali lo stato contribuisce in via ordinaria, cariche direttive negli istituti bancari o in società finanziarie, mandato di parlamentare europeo, di consigliere del CNEL, cariche in autorità di garanzia e molte altre. I parlamentari hanno l‟obbligo di comunicare ai presidenti di assemblea di appartenenza gli incarichi ricoperti; le giunte svolgono quindi un‟istruttoria in contradditorio con l‟interessato e se emerge un‟incompatibilità, il Parlamentare deve optare tra il mandato parlamentare e l‟incarico incompatibile. Qualora non vi sia l‟opzione, la giunta propone all‟Assemblea di dichiarare la decadenza del Parlamentare, al quale subentra il primo dei non eletti. In materia, sono di recente intervenute due importanti sentenze della Corte Costituzionale: - con la SENTENZA N.259/2009, la Corte si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana riguardo agli artt. 23 e 87 del d.p.r. 361/1957 “nella parte in cui non prevedono l‟impugnabilità davanti al giudice amministrativo delle decisioni emesse dall‟Ufficio elettorale centrale nazionale, aventi, per effetto, l‟arresto della procedura, a causa della definitiva esclusione del candidato o della lista dal procedimento elettorale”, per violazione degli artt. 3, 24 c. 1, 51 c. 1, 103 c. 1, 113 e 117. La relativa vicenda concreta inizia quando un soggetto ricorre presso il Tribunale Amministrativo Regionale della propria regione (la Sicilia) a causa della cancellazione della lista in cui era candidato per le elezioni politiche; il TAR dichiara inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, e subentra, in appello, il Consiglio di giustizia amministrativa, che rimette alla Consulta la questione di costituzionalità predetta, lamentando “un vuoto di tutela giurisdizionale”, e sollecitando di conseguenza la Corte ad una sentenza additiva in cui, dichiarando incostituzionali gli articoli 23 e 87 del d.p.r. 361/1957 “nella parte in cui non prevedono l‟impugnabilità davanti al giudice amministrativo” delle decisioni dell‟U.E.C.N., ammetta la cognizione di tal genere di questioni di fronte al giudice amministrativo e colmi così il vuoto di tutela. La Corte Cost. dichiara però inammissibile la questione, affermando che un giudice competente a decidere su contestazioni e reclami c‟è. Non è il giudice ordinario, sebbene l‟Ufficio circoscrizionale e quello centrale siano collocati presso le Corti d‟Appello e la Corte di Cassazione, né tanto meno il giudice amministrativo, benché sia pacifica la natura amministrativa dei controlli effettuati dall‟Ufficio circoscrizionale e da quello centrale. La stessa Corte di Cassazione, “giudice supremo del riparto delle giurisdizioni”, ha ritenuto gli uffici elettorali “organi straordinari, temporanei e decentrati, di quelle stesse Camere legislative alla cui formazione concorrono, svolgendo una funzione contingente e strumentale, destinata ad essere controllata o assorbita da quella delle stesse Camere, una volta queste costituite”. Pertanto, secondo la Corte Costituzionale, la seconda fase del sistema di tutela dei candidati alle elezioni, quella consistente nel “giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all‟Ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente”, spetta alle Camere, ed ha una natura giurisdizionale. – con la SENTENZA N. 277/2011, la Corte Cost. ha dichiarato l‟illegittimità degli art.1,2,3 e 4 della legge n.60/1953 sulle incompatibilità parlamentari nella parte in cui non prevede l‟incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti per contrasto con gli art.3 e 51 Cost. Secondo la Corte, in particolare, la disciplina in esame viola sia il principio di uguaglianza con riferimento al diritto di elettorato attivo e passivo, perché la mancata previsione di un divieto di cumulo comporta una disparità di trattamento tra coloro che sono già parlamentari e che intendono candidarsi alla carica locale e coloro che invece sono titolari di un ufficio pubblico locale e che intendono partecipare alla competizione elettorale per uno dei rami del Parlamento, sui quali grava l‟obbligo di dimettersi preventivamente (stante la previsione di incompatibilità tra la carica di sindaco di comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti e quella di parlamentare, sia il principio di ragionevolezza, in quanto un soggetto non può assumere durante il proprio mandato uffici o cariche che gli avrebbero precluso l‟eleggibilità a quello ricoperto per primo. A sollevare la questione davanti alla consulta è stato il tribunale di Catania, al quale un elettore, Salvatore Battaglia, aveva fatto ricorso, portando all‟attenzione il caso di Raffaele Stanchelli, il quale pur ricoprendo la carica di senatore, si era candidato a sindaco del comune di Catania, aveva vinto e mantenuto il doppio incarico, confermando così quella prassi del doppio incarico che anche la Giunta delle elezioni della Camera non aveva ostacolato. La Conferenza dei Capigruppo La Conferenza dei Presidenti di gruppo è presieduta dal Presidente della Camera e costituita dai presidenti di tutti i gruppi Parlamentari. Il Governo è sempre informato delle riunioni della Conferenza per farvi intervenire un proprio rappresentante (articolo 13, comma 1, del Regolamento), che generalmente è il ministro per i rapporti con il Parlamento o, nei casi più importanti, lo stesso Presidente del Consiglio. Alla Conferenza possono essere, inoltre, invitati i Vicepresidenti di Assemblea, i Presidenti delle Commissioni parlamentari , nonché, ove la straordinaria importanza della questione da esaminare lo richieda, anche i rappresentanti delle componenti politiche del Gruppo misto ed il rappresentante della componente formata dai deputati appartenenti alle minoranze linguistiche (articolo 13, comma 2, del Regolamento). La Conferenza dei Presidenti di gruppo viene convocata dal Presidente della Camera, ogni qualvolta lo ritenga utile, anche su richiesta del Governo o di un presidente di gruppo, per esaminare lo svolgimento dei lavori dell'Assemblea e delle Commissioni (articolo 13, comma 1, del Regolamento). Alla Conferenza spetta definire la programmazione dei lavori della Camera, attraverso la predisposizione del programma e del calendario dei lavori dell'Assemblea (articoli 23 e 24 del Regolamento). La Conferenza delibera, inoltre, sulle richieste di urgenza relative a progetti di legge (articolo 69, del Regolamento), sul termine richiesto dal Governo per la conclusione dell'esame in Assemblea di un disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica (articolo 123 - b i s del Regolamento), nonché sulla fissazione di un nuovo termine per la presentazione delle relazioni delle Commissioni su progetti di legge iscritti nel programma dei lavori dell'Assemblea, qualora il Governo, senza indicarne il motivo, abbia omesso di fornire nei tempi stabiliti i dati e le informazioni richiesti dalla Commissione (articolo 79, comma 7, del Regolamento). Le riunioni della Conferenza dei capigruppo non sono pubbliche: di esse viene soltanto redatto un resoconto che rimane però strettamente riservato. Difficilmente inoltre, in sede di conferenza si procede a vere e proprie votazioni:spesso si decide per consensus, ossia presupponendo l‟unanimità dei presidenti. Nei rari di natura individuale strettamente inerenti alla funzione del parlamentare e poste a garanzia dell‟indipendenza degli organi parlamentari. Lo status di parlamentare si acquista dal momento della proclamazione e si perde per dimissioni o per fine della legislatura, oltre che per mancanza dei requisiti per l‟elezione del Parlamentare. Nel caso di senatori a vita, lo status di parlamentare si acquista automaticamente dal momento della cessazione dalla carica di Capo dello stato, mentre i senatori a vita di nomina presidenziale diventano tali dal momento della comunicazione al Senato della loro nomina. Le immunità parlamentari Tra le prerogative che costituiscono lo status del Parlamentare, vengono in considerazione in primo luogo le cd. Immunità, cioè quell‟insieme di meccanismi di tutela previsti dall‟art.68 Cost. e posti a garanzia dell‟indipendenza e del regolare funzionamento delle camere di fronte agli altri poteri dello Stato. Si tratta inoltre di istituti che nascono per la prima volta in Francia sul finire del „700, che vengono a far parte della legislazione italiana grazie allo Statuto Albertino, ispirato al modello francese e che vengono infine consacrati nella Carta Costituzionale sin dalla sua origine. In particolare, la Costituzione dedica all‟insindacabilità il primo comma dell‟art.68 („I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni‟) e all‟inviolabilità il secondo e terzo comma del medesimo articolo (‘Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.’). Importanti sono le differenze tra i due tipi di immunità: - mentre l‟insindacabilità esplica i suoi effetti su tutti i procedimenti giurisdizionali e non viene meno con la cessazione dello status di parlamentare, l‟inviolabilità si applica solo nei riguardi di misure relative al processo penale ed esclusivamente fin tanto che il Parlamentare è in carica; - inoltre, mentre l‟insindacabilità è tendenzialmente automatica nella sua applicazione, l‟inviolabilità è superabile con un‟autorizzazione della Camera di appartenenza del Parlamentare. L’insindacabilità Se fino agli anni ‟70 non si registrarono tensioni significative tra giudici e Parlamento per quanto concerne l‟insindacabilità, è proprio a partire da quegli anni che, a fronte di iniziative del giudice civile, le Camere reagirono con una serie di pronunce dirette ad estendere la garanzia dell‟insindacabilità di cui al primo comma dell‟art.68 Cost., ogni qual volta si verificasse un semplice collegamento tra le dichiarazioni contestate del Parlamentare e quelle rese nell‟ esercizio della funzione parlamentare. Queste tensioni trovarono una prima importante soluzione con la SENTENZA N.1150/1988. La Corte Costituzionale, in particolare, chiamata a decidere di un conflitto di attribuzioni tra poteri, sollevato da un giudice che riteneva ingiustamente lesa la propria sfera di competenza da un esercizio arbitrario del potere delle Camere di dichiarare l‟insindacabilità del comportamento di un proprio componente, rivendicò a se stessa la possibilità di sottoporre a verifica il corretto uso di tale potere parlamentare. Secondo la Corte, quando il giudice di una causa civile di risarcimento dei danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni diffamatorie fatte da un deputato o da un senatore in sede extraparlamentare, reputi che la delibera della camera di appartenenza, affermante l‟irresponsabilità del proprio membro convenuto in giudizio, sia il risultato di un cattivo uso del potere di valutazione, può provocare il controllo della Corte Cost. sollevando davanti a questa conflitto di attribuzione. La scomparsa dell‟autorizzazione a procedere nel 1993 ha poi indotto le camere a sviluppare un‟interpretazione ulteriormente estensiva dell‟insindacabilità, riferendola ad ogni forma di azione giurisdizionale, grazie alla sostituzione della parola „perseguiti‟ con „chiamati a rispondere‟. La Corte Cost. dal canto suo, se in un primo momento rispetto le indicazioni fornite dalle Camere, si risolse, con la sentenza n.289/1998, ad annullare una delibera parlamentare in tema di insindacabilità, dando avvio ad una giurisprudenza costituzionale che con il tempo è andata precisando come la prerogativa dell‟insindacabilità si estenda solo ai comportamenti strumentali all‟esercizio delle attribuzioni parlamentari: in sostanza secondo la Corte è necessario, ai fini dell‟operatività della garanzia, la sussistenza di un nesso funzionale tra le espressione contestate al deputato o senatore e la sua attività parlamentare (sentenze n.10 e 11 del 2000). Per i comportamenti tenuti fuori dalle aule parlamentari, la connessione va rintracciata non solo con atti tipici della funzione parlamentare, come un‟interrogazione o un‟interpellanza, il cui contenuto venga successivamente divulgato fuori dal Parlamento, per esempio in una conferenza stampa o in un comizio, ma anche con atti atipici (come una lettera tra parlamentari). Non può invece, sempre secondo la Corte, ricadere sotto la garanzia dell‟insindacabilità, tutta l‟attività politica svolta dal Parlamentare, anche se questa diventa oggetto, ma in un momento successivo, di un atto parlamentare (sentenze n.521/2002 e 347/2004). Con la legge n.140/2003, il legislatore è intervenuto per cercare di definire l‟ambito applicativo dell‟insindacabilità, stabilendo, all‟art.3, che ‘l’insindacabilità si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle assemblee e negli altri organi della Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori dal Parlamento.’ Nonostante la formulazione alquanto ampia e generalizzata della norma in esame, la Corte Cost., con la sentenza n.120/2004, ha escluso che la legge del 2003 abbia eliminato la necessità del nesso funzionale tra le opinioni espresse dal parlamentare fuori dal Parlamento e l‟esercizio di funzioni parlamentari., ribadendo nel contempo che queste rientrano nell‟area dell‟insindacabilità solo se costituiscono riproduzione e divulgazione di attività parlamentari. La legge del 2003 ha poi dettato una serie di regole procedimentali dirette a dare attuazione pratica al primo comma dell‟art.68 Cost., la prima delle quali è la cd. pregiudizialità parlamentare, in virtù della quale, il giudice, di fronte all‟invocazione della prerogativa parlamentare, o ritiene il comportamento coperto dall‟insindacabilità e tale lo dichiara, chiudendo il processo con il rigetto della domanda risarcitoria o con l‟assoluzione, oppure sospende il procedimento e attende la delibera della Camera competente, cui deve trasmettere gli atti. La garanzia dell‟insindacabilità, ove non applicata direttamente dal giudice, può essere fatta valere dal parlamentare interessato, il quale attiva così il procedimento parlamentare. In ogni caso, le richieste in tema di insindacabilità, siano esse presentate dal giudice o dal parlamentare stesso sono deferite dal Presidente d‟Assemblea, che le riceve, ad un organo (la giunta per le autorizzazioni alla camera e la giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari al senato) che le istruisce. La giunta, dopo aver sentito il Parlamentare interessato, deve presentare una proposta corredata del proprio parere all‟Assemblea, che può anche rovesciare le indicazioni fornite dalla giunta. Nel frattempo, il procedimento davanti al giudice resta sospeso. La legge del 2003 fissa tuttavia un termine massimo di tale sospensione pari a 90 giorni dalla ricezione degli atti da parte della Camera, prorogabili di atri 30 giorni su richiesta della Camera. Oltre tale termine, il procedimento può riprendere, ma è ancora suscettibile di essere bloccato dall‟intervento tardivo della camera interessata e purchè la sentenza non sia divenuta definitiva. L’inviolabilità Nonostante con la riforma del 1993 , seguita allo scandalo Tangentopoli, sia stata cancellata la necessità dell‟autorizzazione alle indagini e all‟esercizio dell‟azione penale nei confronti dei parlamentari, l‟autorizzazione della camera di appartenenza rimane tuttavia necessaria per arrestare il Parlamentare (salvo che si tratti di eseguire una sentenza irrevocabile di condanna ovvero qualora il Parlamentare sia colto nell‟atto di commettere un delitto per il quale è previsto l‟arresto obbligatorio in flagranza) e per compiere alcuni atti invasi vivi della sfera della libertà p ersonale del Parlamentare, e quindi perquisizioni personali e domiciliari (e, secondo quanto disposto dall‟art.4 della legge n.140/2003, anche ispezioni personali, fermo, misure cautelari personali coercitive o interdittive, accompagnamento coattivo, nonché misure di sicurezza o di prevenzione aventi natura personale) e, a partire dal 1993, anche sequestro di corrispondenza e ogni altra forma di intercettazione di conversazioni o comunicazioni. La regola generale che le camere dovrebbero seguire per evitare che la prerogativa si trasformi in privilegio è quella secondo la quale la concessione dell‟autorizzazione dovrebbe essere negata solo in via eccezionale, sulla base del sospetto di una volontà persecutoria (il cd. fumus persecutionis) negli intenti che muovono l‟azione dell‟autorità giudiziaria. Al criterio del fumus persecutionis si aggiunge peraltro la considerazione dell‟interesse a che non venga alterata l‟integrità della composizione delle camere, così come risultante dal voto dei cittadini. Nella prassi, le Camere hanno fino ad ora autorizzato l‟arresto di parlamentari non condannati in via definitiva solo in quattro casi tra la I e la IX legislatura, per deputati inquisiti per gravi fatti di sangue, istigazione a reati di terrorismo o di detenzione di armi. Solo sotto l‟attuale legislatura, la Camera è tornata, dopo ben 27 anni, a concedere l‟autorizzazione a procedere nei confronti di un suo membro, il deputato Alfonso Papa, inquisito dalla Procura di Napoli e destinatario di un‟ordinanza di custodia cautelare nell‟ambito dell‟indagine sulla cosiddetta P4. Bocciate invece le richieste di autorizzazione a procedere contro il deputato Milanese , braccio destro del Ministro dell‟economia Tremonti, per il quale era stato chiesto l‟arresto per corruzione e favoreggiamento e contro il Ministro all‟agricoltura Saverio Romano, accusato di concorso esterno in associazione Mafiosa. Più complesso è invece il problema delle intercettazioni, per le quali la necessità dell‟autorizzazione a procedere è, come ha precisato dalla Corte Cost. nella SENTENZA N.390/2007, finalizzata ad evitare che l‟ascolto di colloqui riservati da parte dell‟autorità giudiziaria possa divenire fonte di condizionamento sulla libera esplicazione dell‟attività parlamentare. Ciò nonostante, con la sentenza in esame la Corte Costituzionale ha dichiarato l‟illegittimità costituzionale dei commi 2, 5 e 6 dell‟art. 6 della l.n. 140/2003 („Legge Boato‟), accogliendo così la questione di legittimità costituzionale sollevata dal G.I.P. del Tribunale di Torino, il quale aveva manifestato perplessità non già sulla necessità dell‟assenso parlamentare previsto per l‟utilizzo delle intercettazioni „indirette‟, bensì sulla regolamentazione degli effetti di un eventuale diniego della Camera, qualora tali captazioni dovessero essere utilizzate nei confronti dei soli terzi indagati. In particolare, la disciplina in esame dopo aver previsto che l‟obbligo di richiedere l‟autorizzazione sussiste, oltre che per l‟acquisizione di tabulati telefonici di comunicazioni che si riferiscono ad utenze intestate al parlamentare, anche per l‟utilizzo delle cosiddette „intercettazioni indirette‟, riguardanti cioè le comunicazioni del parlamentare, ma effettuate su utenze diverse da quelle a lui intestate, stabilisce che in questo secondo caso spetta al giudice per le indagini preliminari decidere della rilevanza o meno dei verbali e delle registrazioni alle quali hanno preso parte membri del Parlamento, disponendone la distruzione, ove ritenuti irrilevanti o, al contrario, richiedendo, entro i 10 giorni successivi, l‟autorizzazione della camera alla quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento in cui le conversazioni o le comunicazioni sono state intercettate. Se l‟autorizzazione viene negata, l‟art.6 della legge n.140/2003 disponeva che la documentazione delle intercettazioni fosse distrutta immediatamente, e comunque non oltre 10 giorni dalla comunicazione del diniego. La Corte Cost. ha però dichiarato incostituzionali, per violazione dell‟art.3 sotto il profilo del principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione, i commi 2,5 e 6 nella parte in cui prevedevano un generale divieto, salvo autorizzazione camerale, di utilizzazione delle intercettazioni effettuate anche nei confronti dei non parlamentari e imponevano, in caso di diniego di detta autorizzazione, la distruzione immediata di esse. L’indennità parlamentare, la diaria e il dovere di partecipare alle sedute A tutela dell‟indipendenza dei Parlamentari, per consentire a tutti i cittadini l‟accesso al mandato quale, con la SENTENZA N.78/1984, pur non sciogliendo il problema, ha tuttavia stabilito che la diversa interpretazione si giustifica con la posizione di autonomia e indipendenza normativa delle camere, che lascia a ciascuna di esse la possibilità di interpretare diversamente i disposti costituzionali. Anche con riguardo alle modalità di votazione, la Costituzione si presenta scarsa nella sua disciplina, limitandosi a stabilire all’art.94, che ‘Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. L’appello nominale è una forma di voto palese, in quanto permette di stabilire con precisione il numero e i nomi dei parlamentari che hanno votato contro, a favore o che si sono astenuti ed un voto non simultaneo, che non consente quindi sorprese o colpi di mano, perché rispondendo all’appello nominale, ogni parlamentare esprime il proprio voto ad alta voce passando davanti al banco della presidenza. In ogni caso, la di là di questa indicazione, la costituzione lascia ampia libertà ai regolamenti parlamentari per la disciplina delle modalità di votazione. Volendo quindi classificare le forme di votazione, una prima distinzione è quella che intercorre tra votazioni palesi e votazioni segrete, cioè quelle che non permettono di sapere se il parlamentare abbia dato un voto favorevole, contrario o se si sia astenuto (e tali sono lo scrutinio segreto e il voto per schede); si può poi distinguere tra votazioni sommarie, quando per determinare il risultato delle votazioni è suficiente una valutazione ad occhio da parte del presidente, senza bisogno di procedere alla conta dei voti favorevoli e di quelli contrari e qualificate, con le quali viene invece viene analiticamente registrato il risultato delle votazioni con nome e numero dei votanti. Sia alla camera che al senato, il metodo di votazione ordinario è quello per alzata di mano; solo su richiesta di venti deputati o di quindici senatori, si può procedere per votazione nominale che ormai da tempo si effettua con il sistema di voto elettronico. In ogni caso comunque, ed a prescindere dallo specifico sistema di votazione adottato, la regola generale è che le votazioni parlamentari si svolgono a scrutinio palese; solo in relazione a determinate materie, lo scrutinio segreto può essere richiesto da trenta deputati o da venti senatori. Vi sono poi alcune votazioni che devono svolgersi necessariamente a scrutinio segreto e altre da effettuarsi necessariamente a scrutinio palese. Questo è il sistema di votazione ad oggi vigente, ma fino al 1988, per tradizione risalente al periodo statutario, il sistema di votazione utilizzato per l’approvazione delle leggi era quello del voto segreto, un sistema che, se da un lato veniva giustificato con il richiamo al principio dell’imperatività del mandato parlamentare, dall’altro però favoriva il fenomeno dei franchi tiratori, cioè quei parlamentari che nel segreto dell’urna votavano in modo contrario alle proposte della maggioranza di governo, provocando in molti casi vere e proprie crisi di governo. Negli anni ’80 i regolamenti parlamentari adottano quindi come sistema di voto prevalente il voto palese, mentre il voto segreto viene mantenuto solo in alcuni casi limite: - In primo luogo, laddove ne sia fatta richiesta da trenta deputati o da venti senatori , il voto segreto può essere adottato relativamente ad alcune materie specificate dai regolamenti, quali quelle relative ai diritti e alle libertà previsti dalla prima parte della Costituzione e per l’istituzione di organi fondamentali; - In secondo luogo, la votazione deve essere fatta necessariamente a scrutinio segreto quando verte su persone; al riguardo merita aggiungere che a partire dal 1993 sono state escluse dal loro ambito applicativo le deliberazioni sulle proposte della giunta in materia di autorizzazione a procedere, ritenute non tanto voti sulle persone, quanto piuttosto manifestazioni di una prerogativa dell’organo parlamentare rispetto ad altri organi dello stato. Vi sono poi dei casi nei quali il voto deve necessariamente essere a scrutinio palese: ciò avviene nelle votazioni concernenti le leggi finanziaria e di bilancio e più in generale su disposizioni ed emendamenti che comportino aumenti di spese o diminuzioni di entrate. Da un punto di vista storico, sono state proprio queste votazioni che in passato hanno creato maggiori dificoltà sul piano della stabilità dei governi di coalizione, perché il voto segreto permetteva, attraverso il fenomeno dei franchi tiratori, di introdurre emendamenti, che riflettevano interessi particolari, ma che stravolgevano completamente la legge di bilancio proposta dal governo. Si aferma pertanto, a partire dalla fine degli anni ’70, la necessità di scongiurare questo pericolo attraverso un sistema di voto palese, che poi è stato elevato a regola generale. Il cambiamento del sistema di votazione è stato pertanto la prima vera riforma istituzionale del nostro paese, perché il sistema d i voto palese, raforzando il governo e impedendo il fenomeno dei franchi tiratori, influisce sul sistema politico. Infine, nel caso di materie miste, è il Presidente di Assemblea che decide sulla base del criterio della prevalenza e, se necessario, sentita la giunta. giudiziaria. Tra le più importanti commissioni d’inchiesta che sono state istituite negli anni possiamo ricordare la commissione sulla P2 o la commissione antimafia. Alcune di queste si sono addirittura afiancate all’attività dell’autorità giudiziaria, creando non pochi problemi di interferenza e richiedendo l’intervento della Corte Costituzionale, che con la SENTENZA N.231/1975 ha stabilito che l’obbligo della commissione di inchiesta di trasmettere al giudice penale, se vi è una richiesta in tal senso, gli atti e i documenti frutto della propria attività ispettiva, eccezion fatta per quelli che abbia ritenuto di mantenere segreti ai fini dell’adempimento delle proprie funzioni. Nell’ambito degli strumenti ricompresi nel procedimento conoscitivo, vanno annoverati anche: - Le indagini conoscitive e le audizioni, che costituiscono lo strumento più utilizzato dalle commissioni permanenti per condurre accertamenti e di acquisire notizie e informazioni nelle materie di loro competenza attraverso l’audizione di qualsiasi persona che sia in grado di fornire elementi utili all’indagine; - le interrogazioni, cioè quelle domande, che ciascun parlamentare può rivolgere al Governo su un fatto determinato, chiedendo informazioni particolari, documenti, notizie o esprimere la propria posizione e alle quali il Governo, tramite un suo rappresentante è tenuto a rispondere; - le interpellanze, anch’esse consistenti in domande formulate al Governo da uno o più parlamentari, ma, che a diferenza delle interrogazioni, sono volte a conoscere i motivi o gli intendimenti della condotta del governo in questioni che riguardano determinati aspetti della sua politica. I procedimenti di indirizzo Il potere di indirizzo politico consiste nella determinazione dei grandi obiettivi della politica nazionale e nell’approntamento dei mezzi principali per conseguirli. Il potere di indirizzo politico è in gran parte determinato dalla forma di governo: infatti, mentre la forma di governo di tipo assembleare ha come caratteristica il fatto che la funzione di indirizzo politico è prevalentemente esercitata dal Parlamento, mentre il Governo si limita a svolgere una mera funzione di e secutore della volontà parlamentare, nella forma di governo di tipo parlamentare vi è invece una condivisione tra Governo e Parlamento della funzione di indirizzo politico , nel senso che il Governo esercita i suoi poteri per attuare il programma sulla base del quale è stato votato dal corpo elettorale, ma il Parlamento può dal canto suo ricorrere a tutti quegli strumenti che gli permettono di modificare e di specificare l’indirizzo politico. I procedimenti di indirizzo sono quindi quei procedimenti con i quali le camere assumono decisioni volte ad indirizzare l’attività del governo. Tali procedimenti riguardano la presentazione e l’esame di mozioni, risoluzioni e ordini del giorno. La mozione è un atto ad iniziativa non individuale (in quanto deve essere presentata da dieci deputati o da otto senatori o da un presidente di gruppo) diretto a provocare un dibattito e una deliberazione dell’aula. Si tratta di uno strumento polivalente che mette in moto un procedimento autonomo, destinato a concludersi con un voto dell’Assemblea; un voto che solitamente definisce indirizzi, cioè direttive parlamentari al governo, sanziona comportamenti (come nel caso delle mozioni conclusive dell’esame di relazioni di commissioni d’inchiesta) o ancora accorda o revoca la fiducia al governo; ciò è espressamente previsto dall’art.94 Cost. che espressamente stabilisce che ‘Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale’. La risoluzione è invece uno strumento ad iniziativa individuale , che in genere chiude il dibattito, spesso iniziato con altri mezzi: ciò spiega perché si parli di strumento prevalentemente accessorio. Così per esempio, con risoluzioni, il Parlamento ha autorizzato azioni militari all’estero oppure ancora sempre con risoluzioni le Camere sono solite approvare il DPEF sulla base della relazione predisposta dalla commissione bilancio. In sostanza, le risoluzioni permettono al Parlamento di fissare, in momenti cruciali della vita interna e internazionale, l’indirizzo da seguire. Infine, l’ordine del giorno di istruzione al Governo è un atto di indirizzo che può essere presentato anche da un singolo parlamentare e che generalmente è discusso e approvato all’inizio di un procedimento legislativo, per indirizzarne l’iter. Sugli ordini del giorno è chiamato obbligatoriamente ad esprimersi il rappresentante del governo, il quale può o accettare integralmente l’ordine del giorno proposto, che in tal caso non viene messo in votazione, o esprimere parere negativo, e allora l’ordine del giorno viene posto in votazione oppure può accoglierlo come raccomandazione e in questo caso spetta al presentatore decidere se accontentarsi o al contrario richiedere il voto dell’Assemblea. I procedimenti fiduciari PRESENZA DEL GOVERNO IN PARLAMENTO: I poteri che il Governo ha in Parlamento è un problema che si è posto nel nostro ordinamento per effetto della modifica della forma di governo ad opera della legge elettorale. La nostra è una forma di governo di tipo parlamentare, in quanto ruota intorno al rapporto di fiducia che intercorre tra il Governo e il Parlamento, in virtù del quale senza la fiducia di entrambe le camere il Governo non può restare validamente in carica e reciprocamente le camere non possono continuare la loro attività e devono essere sciolte dal Presidente della Repubblica, se non sono in grado di esprimere la fiducia al Governo. Questo rapporto è espressamente disciplinato dall’art.94 Cost., il quale stabilisce che ‘Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.’Con la mozione di fiducia pertanto, le Camere approvano il programma di governo e le persone che ne fanno parte: la fiducia si estende quindi, oltre che al programma, anche alla composizione del Governo. Nella Costituzione non è quindi consacrato un obbligo di tenere in vita a tutti i costi il governo; per la nostra carta fondamentale è suficiente e allo stesso tempo necessario che ci sia una corrispondenza politica tra il governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene. Nel nostro paese, le ultime crisi che si sono avute sono state di tipo extraparlamentare, in quanto sono avvenute fuori dal Parlamento, esplicandosi tra i partiti della coalizione; così per esempio, il primo Governo Berlusconi si è dimesso il giorno prima dell’approvazione di tre mozioni di sfiducia . solo il Governo Prodi ha formalizzato la crisi, ponendo la questione di fiducia sull’approvazione della legge finanziaria. Con riguardo ai poteri che il Governo ha in Parlamento viene in primo luogo in considerazione l’art. 64 Cost., il quale stabilisce che ‘I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono.’ La presenza del governo in parlamento configura quindi una presenza istituzionale che comporta, oltre alla possibilità di assistere ai lavori parlamentari, anche quella di interferire con i lavori delle camere. Ciò è dimostrato dall’ampiezza dei poteri di cui il Governo è titolare nei confronti delle camere, ossia: appello nominale, la priorità della votazione su cui è stata posta la fiducia e l’inemendibilità dell’oggetto di tale votazione. Inoltre, in ossequio a quanto disposto dalla legge n. 400/1988, spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri , direttamente o per mezzo di un ministro delegato, porre la questione di fiducia, mentre il consiglio dei ministri deve esprimere l’assenso all’iniziativa del Presidente del Consiglio. La questione di fiducia, proprio per il fatto di essere disciplinata prevalentemente da fonti non scritte, costituisce uno strumento estremamente duttile, in quanto, oltre che nel procedimento legislativo, può essere posta anche su atti di indirizzo, assumendo in questo caso il carattere di una richiesta da parte del Governo di rinnovo - riconferma del rapporto fiduciario. Sono state questioni di fiducia di questo tipo, ad esempio, quelle che hanno comportato la caduta dei due Governi Prodi, poste dal Governo sull’approvazione di risoluzioni presentate dalla maggioranza a seguito di comunicazioni rese in Assemblea dal Presidente del Consiglio dei Ministri, al fine di verificare la tenuta della propria maggioranza. Dall’altro canto, particolarmente difusa, tanto da trasformarsi in un vero e proprio precedente parlamentare è l’uso della questione di fiducia sui maxiemendamenti , cioè su emendamenti volti a sostituire l’intero progetto di legge o comunque numerosi articoli in essi contenuti. L’uso della questione di fiducia sui maxiemendamenti consente quindi di perseguire una finalità di ricompattamento della maggioranza, perché in questo modo si garantisce , mediante il ricorso ad un’unica votazione fiduciaria relativa ad una molteplicità di oggetti, la tenuta in Parlamento degli accordi conclusi tra le diverse forze che compongono la maggioranza, i quali rischierebbero invece di non reggere ove le disposizioni fossero poste in votazio ne distintamente. MOZIONE DI SFIDUCIA AL GOVERNO E AL SINGOLO MINISTRO L’art.94 Cost., nello stabilire che ‘il voto contrario di una o di entrambe le Camere non importa obbligo di dimissioni’, sancisce il principio secondo cui l’obbligo di dimissioni del Governo non discende da ogni votazione parlamentare nella quale il Governo vada sotto, nella quale cioè venga respinta una proposta del Governo o al contrario venga approvata una proposta su cui il Governo abbia espresso parere contrario. In questa logica si è cioè voluto vincolare le dimissioni del Governo all’approvazione di una mozione di sfiducia, e quindi ad uno strumento tipizzato, che così come richiesto dall’art.94 Cost., deve essere, al pari della mozione di fiducia, motivata e votata per appello nominale, in modo da consentire l’individualizzazione di coloro che si rendono responsabili di aprire una crisi di Governo. La mozione di sfiducia deve inoltre essere sottoscritta da almeno un decimo dei componenti della Camera o del Senato e non può essere discussa prima di tre giorni dalla sua presentazione, requisito che mira ad impedire ‘assalti alla diligenza’, ad evitare cioè colpi di mano a sorpresa da parte dell’opposizione che potrebbe presentare una mozione di sfiducia in un momento in cui la maggioranza non sia a ranghi compatti (basta pensare ad un congresso di partito fuori Roma). Nella storia costituzionale italiana, non sono mai state approvate mozioni di sfiducia; quasi tutte le crisi di Governo che si sono verificate sono state crisi extrapa rlamentari (con due sole eccezioni riconducibili ai due governi Prodi), cioè dimissioni del Governo non giuridicamente determinate da una votazione di carattere fiduciario, ma verificatesi appunto fuori dal Parlamento nei rapporti tra i partiti. Contestualmente però, a partire dal 1993, si è consolidata una tendenza alla parlamentarizzazione delle crisi, nel senso che il Presidente della Repubblica tende comunque a rinviare alle Camere il Presidente del Consiglio dimissionario, in modo da dare rilievo pubblico alle motivazioni della crisi ed eventualmente da verificare, con un voto fiduciario, l’efettiva sussistenza o meno della maggioranza parlamentare. La stessa disciplina prevista per la mozione di sfiducia, si applica alle mozioni con le quali si richiedono le dimissioni di un singolo ministro: è questa la mozione di sfiducia individuale, un istituto che, inizialmente previsto in un parere della giunta per il regolamento del Senato, è stato poi codificato dapprima nel regolamento della Camera e poi in qu ello del Senato. Anche la mozione di sfiducia individuale deve quindi essere motivata, presentata da almeno un decimo dei componenti della Camera o del Senato, non discussa prima di tre giorni dalla sua presentazione e votata per appello nominale. Con riguardo invece all’ammissibilità nel nostro ordinamento della mozione di sfiducia al singolo ministro, parte della dottrina ha rilevato come l’istituto in esame finisca per contrastare sia con il rapporto fiduciario che la Costituzione richiede sussista tra ciascuna camera da un alto e il Governo nel suo complesso nell’altro, sia con il principio della collegialità del governo. Proprio su questi argomenti fece leva l’unico ministro (prima del caso Bondi), che sia mai stato sfiduciato nella storia repubblicana, ossia l’ex Ministro di Grazia e viene svolto un esame preliminare e istruttorio rispetto alla fase deliberativa , che ha luogo invece in Assemblea. L’esame in commissione si apre con un’illustrazione preliminare svolta dal Presidente o da questi afidata ad un relatore da lui nominato; segue quindi la fase dell’istruttoria propriamente detta, che consiste nell’acquisizione di elementi di conoscenza necessari per valutare la qualità e l’eficacia dell’intervento normativo proposto. In particolare, la commissione deve prendere in considerazione quattro parametri, ossia la necessità dell’intervento legislativo, il rispetto degli altri ambiti di competenza, il rapporto costi- benefici (e quindi la congruità degli obiettivi dell’intervento con i mezzi individuati per conseguirli) e la corretta stesura del testo. Al fine di valutare questi elementi, la commissione può acquisire dal Governo dati e informazioni e può svolgere attività conoscitive. Esaurita questa prima fase, la commissione elabora un testo unificato e fissa quindi un termine per la presentazione degli emendamenti, che sono poi oggetto di discussione e votazione in commissione. Sul testo risultante dall’esame degli emendamenti, viene poi acquisito il parere delle altre commissioni parlamentari interessate, tra i quali i più importanti sono quelli delle cd. Commissioni filtro, che hanno cioè una competenza trasversale rispetto ai singoli settori di competenza di ciascuna commissione; a titolo di esempio possiamo citare i pareri della Commissione bilancio, incaricata di verificare l'impatto dei progetti di legge sulla finanza pubblica e sul rispetto dell'obbligo costituzionale di prevedere come fare fronte a nuove o maggiori spese o quelli della Commissione Afari costituzionali, che verifica l'impatto del progetto di legge sull'ordinamento costituzionale e sul rispetto delle competenze regionali. Una volta concluso il procedimento in Commissione in sede referente, con la definizione del testo da sottoporre all'Assemblea, la Commissione nomina un comitato (il comitato dei nove) composto dai relatori e dai rappresentanti dei gruppi nella Commissione e competente ad esporre il testo di legge all’assemblea. Arrivato in Assemblea, sul testo predisposto dalla commissione si apre una discussione generale, seguita dall’esame degli articoli che compongono il testo e dei relativi emendamenti, cioè delle proposte di modifica presentate dai singoli parlamentari o dal Governo. Non tutti gli emendamenti presentati sono però esaminabili; al riguardo infatti, i regolamenti, sia pur con alcune diversità, prevedono alcune ipotesi di inammissibilità degli emendamenti: così per esempio, non son o ammissibili emendamenti relativi ad argomenti estranei all’oggetto del testo in esame, quelli privi di ogni reale portata modificativa e quelli che comportino oneri privi della relazione tecnico- finanziaria. Si procede quindi alla votazione degli emendamenti, degli articoli e quindi al voto finale sull’intero testo di legge, che se approvato, viene trasmesso all’altra camera. In ossequio al principio del bicameralismo perfetto, il testo di legge è destinato a passare da una camera all’altra finchè non vi sia una deliberazione conforme di Camera e Senato sul medesimi testo; 2. Nel caso in cui su un progetto di legge vi sia un consenso molto esteso (il regolamento della Camera precisa che l’assegnazione in sede legislativa può essere proposta dal Presidente quando un progetto di legge riguardi questioni che non hanno speciale rilevanza di ordine generale oppure quando si tratta di progetti, anche di ordine generale, ma che rivestano particolare urgenza), l'esame e l'approvazione definitiva di quel progetto può essere attribuito alle Commissioni. In questo caso si dice che le Commissioni operano in sede legislativa o deliberante. Il progetto è però rimesso all'Assemblea se il Governo o un decimo dei deputati o un quinto della Commissione lo richiedono. La Costituzione impone comunque la procedura normale di esame e di approvazione dei progetti di legge per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale, per quelli che delegano al Governo il potere di adottare decreti legislativi che hanno il valore di leggi, per quelli di autorizzazione a ratificare trattati internazionali e per i bilanci e consuntivi. A quest’elenco, i regolamenti parlamentari hanno aggiunto anche i disegni di legge di conversione dei decreti-legge, i disegni di legge finanziaria e le leggi rinviate dal Presidente della Repubblica; 3. Un'ulteriore procedura si ha nel caso in cui la Commissione, a ciò appositamente incaricata dall'Assemblea, prepari un testo di legge per l'Assemblea stessa, che ne vota gli articoli (e procede al voto finale) senza poterlo modificare. In questo caso la Commissione si riunisce in sede redigente. PROMULGAZIONE E PUBBLICAZIONE: Una volta approvata nel medesimo testo da entrambi i rami del Parlamento, la legge è giuridicamente perfetta; per produrre i suoi effetti deve però essere prima promulgata dal Presidente della Repubblica, il quale, se riscontra vizi di legittimità costituzionale, può rinviare la legge alle Camere, e quindi pubblicata in Gazzetta Uficiale. Alla pubblicazione si lega, successivamente al decorso della cd. Vacatio legis, l’entrata in vigore della legge. Accanto all’ordinario procedimento legislativo, esistono poi altri procedimenti legislativi speciali, che riguardano in particolare: - Le leggi costituzionali, per le quali la Costituzione impone la necessità di due delibere sul medesimo testo da parte di ciascuna Camera, intervallate da almeno tre mesi e la maggioranza, in ciascuna Camera, dei due terzi dei componenti o la maggioranza assoluta, ma con la possibilità, in quest’ultimo caso, di indire un referendum. Per queste leggi inoltre, la Costituzione esclude espressamente il procedimento semplificato delle commissioni in sede legislativa o deliberante, imponendo quindi il ricorso alla normale procedura di esame ed approvazione da parte dell’Assemblea; - Leggi di amnistia e di indulto, per le quali la Costituzione richiede per l’approvazione la maggioranza dei due terzi; - Le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, per le quali la Costituzione esclude sia il procedimento semplificato delle commissioni in sede legislativa o deliberante, sia il referendum abrogativo; - Le leggi di conversione dei decreti-legge, cioè quei decreti che, ai sensi dell’art.77 Cost., il Governo adotta in casi straordinari di necessità e di urgenza, che devono essere presentati il giorno stesso alle camere e convertiti in legge entro 60 giorni, pena la perdita di efficacia ex tunc dei decreti stessi; - Le leggi di delega legislativa, cioè quelle leggi con le quali il Parlamento demanda al Governo l’esercizio della funzione legislativa su un oggetto determinata, per un tempo limitato e nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi indicati dal legislatore delegante; - La legge finanziaria, di bilancio, rendiconto e assestamento. Legge finanziaria di bilancio, rendiconto e assestamento Il primo comma dell’art.81 Cost. stabilisce che ‘Le camere approvano ogni anno i bilanci e il disposizioni legislative che accompagnano la legge finanziaria e che permettono di realizzare una completa manovra finanziaria per il conseguimento degli obiettivi politici del governo; infine viene introdotto un controllo di ammissibilità sui testi normativi dal punto di vista del contenuto e la verifica di quantificazione. Al riguardo è stato in primo luogo configurato un importante potere di stralcio, per effetto del quale il Presidente del ramo del Parlamento cui il disegno di legge finanziaria è presentato per primo, precedentemente all’assegnazione, accerta che il disegno di legge non rechi disposizioni estranee al suo oggetto e in caso afermativo comunica all’Assemblea lo stralcio delle disposizioni estranee, sentito il parere della Commissione di bilancio. È inoltre stato introdotto uno specifico regime di presentazione e di ammissibilità degli emendamenti , i quali devono essere necessariamente presentati in commissione bilancio: l’inammissibilità è decisa in prima battuta da i presidenti di commissione, con la possibilità però di appello al Presidente di Assemblea. Negli anni ’90 si interviene nuovamente sul contenuto della legge finanziaria e sui disegni di legge collegati: in un primo momento si introduce un collegato principale di natura finanziaria, finalizzato al riequilibrio dei conti pubblici, costituente parte integrante del DPEF; a partire dalla fine degli anni ’90, accanto a questo disegno di legge collegato, vengono presentati anche altri disegni di legge definiti co me collegati di sessione e collegati ordina mentali: i primi, per il contenuto strettamente connesso alla manovra finanziaria e con effetti nel breve periodo, devono essere presentati, discussi e approvati nel corso della sessione di bilancio, entrando a far parte a pieno titolo della legge finanziaria; i secondi invece prevedono principalmente riforme organizzative e deleghe legislative, influendo solo nel medio periodo sulle finanze statali. Altra importante riforma si ha con la l.n. 196/2009, la quale ha abrogato la l.n. 468/1978, istitutiva della legge finanziaria e rimodulato il ciclo di bilancio, cioè il susseguirsi degli atti del procedimento che portano alla formazione ed approvazione della manovra di finanza pubblica, favorendo la partecipazione degli enti decentrati: - Al riguardo è stata in primo luogo abolita la fase estiva del procedimento, durante la quale veniva predisposto, entro il 30 giugno, il Documento di programmazione economica e finanziaria. Al suo posto è stata introdotta la Decisione di finanza pubblica, che deve essere predisposta entro il 15 settembre e che, oltre a definire il quadro macroeconomico di medio periodo e la manovra di finanza pubblica necessaria al conseguimento degli obiettivi fissati dal Governo per il periodo compreso nel bilancio pluriennale, contiene anche gli obiettivi programmatici della PA, eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, nonché il contenuto del Patto di stabilità interno e delle sanzioni per gli enti territoriali nel caso di mancato rispetto delle previsioni in esso contenute; - In secondo luogo, è cambiato il termine entro il quale il Governo deve presentare alle Camere la Relazione unificata sull’economia e sulla finanza pubblica: non più il 28 febbraio, ma il 15 aprile di ciascun anno. Essa contiene l’aggiornamento delle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica per l’anno in corso e il biennio successivo, alla luce dei consuntivi e della manovra approvata nell’anno precedente; - In terzo luogo, viene soppressa la legge finanziaria e al suo posto introdotta la legge di stabilità, che insieme alla legge di bilancio costituisce la manovra di finanza pubblica. La legge di stabilità definisce, per il triennio di riferimento, le misure qualitative e quantitative necessarie a realizzare gli obiettivi programmatici di politica economica indicati nella Decisione di finanza pubblica; presenta inoltre una configurazione alquanto snella come dimostra la previsione secondo cui non possono essere inserite disposizioni finalizzate direttamente al sostegno o al rilancio dell’economia, né norme di delega ovvero a carattere ordina mentale e organizzatorio; - Infine, i disegni di legge collegati mantengono la loro configurazione di strumenti idonei ad intervenire nella legislazione vigente operando modifiche settoriali ed ordina mentali; con la legge del 2009 si prevede però che gli stessi debbano essere preventivamente individuati nella Decisione di Finanza pubblica me presentati alle Camere entro il mese di febbraio (e non più entro il 15 novembre), recando disposizioni omogenee sia per materia sia per competenza delle amministrazioni. L’ultima importante riforma si è infine avuta sull’onda della crisi economica e finanziaria che dall’America è giunta a colpire i maggiori paesi industrializzati europei: si tratta della l.n. 39/2011, la quale, anche al fine di adempiere agli impegni assunti in sede comunitaria, ha apportato alcune parte, che il Presidente non può rifiutarsi di porre all’ordine del giorno. Lo stralcio viene inoltre effettuato solo alla prima lettura, per evitare scelte contrastanti tra i Presidenti dei due rami del Parlamento. Dopo lo stralcio segue l’esame in commissione: a tal fine, i disegni di legge collegati vengono prima assegnati alle commissioni permanenti competenti per materia e solo successivamente vagliate dalla commissione bilancio; le altre commissioni permanenti esaminano le parti di competenza del progetto di bilancio e del disegno di legge finanziaria: il loro compito è cioè quello di redigere dei pareri per la commissione bilancio sui profili settoriali della decisione finanziaria. Al riguardo, il r.C parla di ‘sessione parlamentare di bilancio’ , nella quale le commissioni permanenti elaborano una relazione sulle parti di competenza, che deve essere inviata alla commissione bilancio. È poi prevista la partecipazione degli estensori delle relazioni alle sedute della commissione bilancio, senza diritto di voto, per interloquire sulle questioni di loro competenza. Ulteriore potere delle commissioni è poi quello di esaminare ed approvare gli emendamenti relativi alle parti di loro competenza e poi trasmetterli alla commissione bilancio a titolo di proposte, essendo la commissione bilancio l’unico soggetto che può concretamente modificare il testo. Alla commissione bilancio è riconosciuto il potere di rigettare gli emendamenti presentati, ma deve comunque farne menzione nella relazione all’Assemblea. Il rigetto deve inoltre essere motivato. Un’importante limitazione alla possibilità di presentare emendamenti è poi costituita dallo specifico regime di ammissibilità degli stessi. Essi devono infatti essere presentati necessariamente in commissione, ma con una diferenza tra Camera e Senato: alla Camera infatti, gli emendamenti devono essere presentati alle commissioni di merito, ove riguardino le singole parti di competenza della commissione competente, altrimenti alla commissione bilancio; al Senato invece, tutti gli emendamenti devono essere presentati alla commissione bilancio. La declaratoria di inammissibilità è prerogativa del Presidente (d’Assemblea o della commissione): il primo vaglio di inammissibilità si verifica in commissione bilancio, che valuta tutte le proposte presentate sotto un duplice profilo, ossia carenza di copertura finanziaria ed estraneità con l’oggetto della legge di bilancio o finanziaria. Laddove venga assunta la declaratoria di inammissibilità, questa impedisce la discussione e la votazione dell’emendamento e la sua ripresentazione in Assemblea. È tuttavia prevista una sorta di appello, che perme tte di ricorrere al Presidente di Assemblea, che può modificare una decisione assunta in precedenza. L’istruttoria preliminare delle commissioni è seguita dalla discussione generale congiunta in Assemblea. I documenti di bilancio vengono letti per tre volte e modificati in entrambi i rami del Parlamento, secondo il consueto schema di passaggio tra commissione bilancio e Assemblea. Ai sensi della l.n. 362/1999, sia la commissione bilancio che l’Assemblea procedono all’esame degli articoli del disegno di legge di bilancio, iniziando da quello di approvazione dello stato di previsione dell’entrata, degli articoli del disegno di legge finanziaria e alla sua votazione finale. Cap 9 il parlamento italiano e l’unione europea La dimensione europea è passata da semplice appartenenza a l’incorporazione dell’O giuridico italiano più vasto, da cui organi deliberativi possono promanare norme vincolanti. L’ italia è entrata a far parte di un O più ampio. La prevalenza del diritto dell’UE si aferma con la non applicazione delle norme interne confliggenti, afdata al giudice comune garantendosi l’efcacia nell’o nazionale del diritto comunitario. Per atti diversi dai regolamenti è necessario il recepimento in atti normativi interni: fonti che risultino adeguate a garantire efetti della normativa comunitaria. Diritto dell’UE = insieme di fonti frutto di pluralità di procedure in assenza di un disegno organico: trattati instintivi, fonti di diritto derivato, raccomandazioni, pareri. La cosiddetta fase ascendente: la riserva d’esame parlamentare I parlamenti inglese, danese o finlandese si sono riconosciuti strumenti incisivi per controllare l’azione dei rispettivi esecutivi nel momento della definizione degli atti normativi europei. Il parlamento italiano ha invece trascurato la fase ascendente nei primi 20 anni di vita delle comunità. La materia è regolata oggi dalla legge n 11 del 2005 oltre che da una serie di convenzioni e prassi. Importante è il protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali, il quale richiede che i governi portino a conoscenza dei parlamenti le proposte legislative della commissione europea. Gia nel 1987 con la Legge Fabbri n 183 era previsto un obbligo per il governo di trasmettere tutti gli atti preparatori alla normativa europea. Previsione ribadita dalla legge La pergola ( 86/1989). Nonostante ciò il governo solo episodicamente ha trasmesso al P atti prepratori della normativa europea. Con l’entrata in vigore della legge 11/2005 la situazione è cambiata: per agevolare tale trasmissione si sono messi a disposizione strumenti informatici. Gli attori della fase ascendente sono quindi le commissioni permanenti: ciascuna può esprimere il proprio avviso ricorrendo alla camera a un documento finale e al senato ad una risoluzione. In sostanza il governo non può procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti comunitari prima che sia concluso l’esame parlamentare. Decorsi i 20 gg il gobìverno è libero di procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare. Grazie alla riserva di esame parlamentare un procedimento parlamentare può esercitare un incidenza diretta sulle attività del consiglio dei ministri dell’UE. La piena informazione del P nella fase ascendente è condizione essenziale pe una piena consapevolezza della natura degli obblighi che si assumono. La cosiddetta fase discendente la legge comunitaria annuale. La legge comunitaria abroga le norme interne incompatibili con il diritto comunitario, recepisce direttive e altri atti non direttamente applicabili e predispone misure di esecuzione necessarie alla piena applicazione in Italia delle norme europee. Il relativo disegno di legge presentando dal governo alle camere entro la fine di gennaio viene assegnato alla commissione politiche dell’ue e alle commissioni competenti in materia. La commissione per le politiche dell’UE potrà procedere per concludere i suoi lavori entro 30 gg. Anche nei regolamenti parlamentari per la legge comunitaria vi è una rigorosa disciplina per l’ammissibilità degli emendamenti: non basta che la materia dell’emendamento sia oggetto di normativa europea. Insieme alla legge comunitaria le camere esaminano la relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario. Le camere esaminano il programma legislativo annuale della commissione europea. I parlamenti nazionali nel trattato di lisbona IL TRATTATO DI L NEL 2007 INSERISCE nel T.U.E un art dedicato ai parlamenti nazionali: art 12. Art 9 : cittadini sono direttamente rappresentanti a livello dell unione nel parlamento europeo. I parlamenti nazionali, pur non rientrando formalmente nelle istituzioni comunitarie, diventano interlocutori diretti delle istituzioni dell’U. ai parlamenti nazionali saranno trasmessi documenti di consultazione della commissione e progetti di atti legislativi dell’unione. Su questi ultimi ciascuna camera svolgerà la funzione di vigilanza: ogni camera avrà a disposizione 8 settimane per analizzare tali documenti e formulare pareri. Entrato in vigore l’atto normativo i P nazionali potranno chiedere ai loro governi di ricorrere alla corte di giustizia invocando una violazione del principio di sussidiarietà; in tal caso la commissione potrà mantenere la propria proposta di atto legislativo motivandone le ragioni ( nuova previsione del trattato di lisbona). La commissione europea deve essere in grado di usare al meglio il confronto con i parlamenti nazionali. La pubblicità dei lavori parlamentari: principi e strumenti. Il principio di pubblicità dei lavori parlamentari. Si aferma in inghilterra alla fine del 700, in italia tra il 1820/21 dall’art 52 dello statuto albertino, con la possibilità di chiedere che le camere deliberassero in segreto. Il principio dell’art 1 cost esclude che gli organi attraverso il quale il popolo esercita la sovranità possano agire fuori dal regime di pubblicità. Per i parlamenti la pubblicità dei lavori è la regola però esiste ovviamente una parte del processo decisionale (negoziazione e accordi tra diverse forze politiche) che si svolge in forma privata. Le forme di pubblicità dei lavori parlamentari dalle tribune a internet Il procedimento decisionale cambia a seconda che si svolga in sede pubblica o segreta (lunghezza tono e contenuto degli interventi). Le forme di pubb quindi influenzano le modalità di svolgimento dei procedimenti e il contenuto dei dibattiti che in parlamento hanno luogo. I giornalisti in particolare quelli appartenenti alla stampa parlamentare accedono alle tribune cogliendo tutte le sfumature dei dibattiti d’aula. Oggi però lo strumento principe di pubblicità dei lavori delle due assemblee è la ripresa televisiva (regole di regia piuttosto rigide). La difusione dei lavori avviene attraverso i canali satellitari delle due assemblee e i siti internet di camera e senato. La diretta televisiva delle sedute dell’assemblea dedicata alle interrogazione a risposta immediata è invece disposta automaticamente dal presidente. Gli strumenti di pubblicità cartolare sono i resoconti stenografici e sommari danno una rappresentazione in diretta di quanto si è detto in aula. Il resoconto sommario era una fonte fresca utilizzabile tempestivamete.
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