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Diritto Penale : I reati associativi, Appunti di Diritto Penale

Disciplina e caratteristiche reati associativi

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 10/10/2017

NarutoAshura26
NarutoAshura26 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Diritto Penale : I reati associativi e più Appunti in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! Reati associativi Alle fattispecie di tipo associativo, presenti da tempo in pressoché in tutti gi ordinamenti giuridici, corrisponde il fenomeno della criminalità organizzata, che secondo la giurisprudenza più autorevole “identifica non solo i reati di criminalità mafiosa e assimilata, oltre i delitti associativi previsti da norme incriminatrici speciali, ma anche qualsiasi tipo di associazione per delinquere, ex articolo 416 del codice di procedura penale, correlata alle attività criminose più diverse, con l’esclusione del mero concorso di persone nel reato, nel quale manca il requisito dell’organizzazione. Nell’ambito della criminalità organizzata, le fattispecie di tipo associativo mirano a colpire le consorterie stabilmente dedite a perseguire un programma criminoso. Hanno per un verso il compito di anticipare la tutela della collettività rispetto al momento della realizzazione di tale illecito programma, punendo chi è associato anche prima che abbia commesso alcun al reato fine; valgono per altro verso ad aggravare le sanzioni per chi ha commesso specifici reati fine dopo essersi associato ad un sodalizio che si proponeva di realizzarli. Sono considerati reati di pericolo presunto, perché il bene giuridico tutelato deve ritenersi minacciato dall’esistenza stessa di un vincolo associativo e della sua permanenza. Tra i reati associativi si distinguono tradizionalmente quelli politici e quelli criminalità comune. Numerose sono le fattispecie di reati associativi politici, avendo il codice Rocco prestato molta attenzione ad essi in linea con lo spirito del tempo: tuttora vigenti sono, oltre al richiamato articolo 305 del c.p. (cospirazione politica mediante associazione), anche l’articolo 270 c.p. (associazioni sovversive), l’articolo 306 c.p. ( banda armata). La natura politica di tali sodalizi crea evidenti tensioni con i principi costituzionali che tutelano la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di associazione; la compatibilità di tali ipotesi di reato con il quadro costituzionale passa dalla verifica di una reale pericolosità delle stesse, riscontrabile o con riferimento alle modalità illecite con le quali intendono perseguire obiettivi politici, ma soprattutto con la verifica di una reale ed efficace struttura organizzativa. Meno numerose sono le fattispecie tipiche di reati associativi non politici, ma la loro importanza deriva dalla maggiore rilevanza pratica e dalla loro frequente applicazione. La dottrina ha sempre sottolineato i punti di convergenza tra l’articolo 18 della costituzione e le disposizioni della legge penale che incriminano i reati associativi. La costituzione riconosce a tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente, e senza autorizzazione, purché non perseguano fini vietati ai singoli dalla legge penale; si tratterebbe di una definizione speculare all’articolo 416 del codice penale, che invece punisce coloro che si associano con il fine di commettere reati, e cioè per compiere azioni già vietate dalla legge penale ai singoli. Il dettato costituzionale finirebbe quindi per legittimare l’anticipazione di tutela dei beni o interessi che potrebbero essere offesi dai delitti scopo, visto che consente di sanzionare un gruppo di soggetti tra loro associati anche solo per il proposito illecito da loro perseguito, mentre in ossequio all’articolo 25, comma 2 della costituzione, un singolo non potrebbe essere punito per un mero proposito ma per un fatto. Per altro verso, si è notato che invece non sarebbe possibili introdurre fattispecie di reati associativi in funzione di tutela di interessi, la cui offesa, se realizzata dal singolo non darebbe luogo a reato. In realtà il richiamo alla legge penale riguarda comunque soltanto i fini dell’associazione e, pertanto, secondo alcuni, non vincolerebbe il legislatore a prevedere del pari sanzioni penali per tutte le manifestazioni del fenomeno associativo illecito, residuando la possibilità di applicare sanzioni amministrativo provvedimenti inderdittivi nei confronti ad esempio dei meri partecipi di organizzazioni diverse da quelle di stampo mafioso. Si deve pertanto tenere conto dell’articolo 25 della costituzione per valutare i margini di legittimità dell’incriminazione dei fatti associativi. Da questo punto di vista va segnalato che, pur nell’ambito delle attività associative, la legge penale sanziona i comportamenti dei singoli individui. L’articolo 18 della costituzione esprime la consapevolezza della pericolosità dei gruppi che hanno il compito di commettere reati e al contempo descrive un fatto pericoloso: l’associarsi in gruppo. Che fonda, promuove, aderisce o contribuisce ad un tale realtà collettiva realizza a sua volta un fatto, come tale suscettibile di essere previsto come reato dalla legge penale in conformità all’articolo 25 della costituzione; e potrà essere punito in virtù della valutazione discrezionale del legislatore circa la validità della condotta. Dopo la convenzione ONU di Palermo sulla criminalità organizzata ed in presenza di analoghe statuizioni contenute nelle fonti del diritto europeo, il riferimento costituzionale diventa l’articolo 10, 1° comma, secondo il quale l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazione generalmente riconosciute. In base a tale norma, la tipizzazione di fattispecie associative può dirsi oggi costituzionalmente vincolata. Il reato di associazione per delinquere e quello di associazione mafiosa possono essere commessi da chiunque e presentano nella loro dimensione individuale molti profili comuni. La fattispecie di cui all’articolo 416 descrive le condotte dei singoli che si associano e ruota attorno al fatto dell’associarsi. L’illecito può riconoscersi nella condotta di chi promuove, costituisce, organizza, dirige o anche solamente partecipa all’organizzazione. Tra le ipotesi di partecipazione qualificata ve ne sono alcune che possono precedere il momento in cui l’associazione si è formata o in cui abbia dimostrato di avere una struttura stabile, cioè una vocazione alla permanenza. Certamente tra queste va annoverata la condotta del costitutore. Il costitutore è un associato fondatore. È colui che concorre a far nascere l’associazione. Può precedere il momento della nascita dell’associazione anche la condotta del promotore. Il programma criminoso. È stata sottolineata la differenza tra il partecipare di cui all’articolo 416 del codice penale e si è evidenziato che, mentre nell’associazione mafiosa è essenziale la verifica riguardo ad un incardinamento interno al sodalizio di per se stesso accertato, perché il singolo deve diventare parte del sodalizio, nell’associazione semplice conta solo il dato del contributo adeguato allo scopo, proiettato ad un efficace perseguimento del programma criminoso. Il contributo del partecipe può anche essere limitato, purché non insignificante. Il vincolo del partecipe può avere durata limitata, purché rimanga connotato da stabilità e non sia preventivata l’occasionalità del vincolo. In sostanza il singolo deve essere stabilmente disponibile nei confronti del gruppo cui aderisce e gli altri componenti del gruppo devono ritenere di potere contare su di lui per il perseguimento delle finalità dell’associazione criminosa. Quanto alle modalità con cui l’impegno deve manifestarsi, si fronteggiano due concezioni di partecipazioni: a) la prima si fonda sul modello casuale e ritiene integrata la partecipazione quando il soggetto abbia offerto all’associazione un qualsiasi voglia contributo concreto che si riveli idoneo a rafforzare il sodalizio; B9 la seconda si fonda sul modello organizzatorio e ritiene sufficiente che sia accertato l’inserimento del soggetto all’interno con uno specifico ruolo. Il modello casuale può essere insensibile al ruolo attribuito al singolo nell’organizzazione, perché fa leva solo sui concreti comportamenti dallo stesso adottati; quindi ritiene irrilevante la mera attribuzione di una funzione ad un sodale in assenza del suo concreto esercizio. Per converso il modello organizzatorio può adagiarsi sulle regole statuarie interne del sodalizio e sulle mere attribuzioni di qualità o sul dichiarato affidamento di compiti; può invece trascurare comportamenti concretamente apprezzabili ma non accompagnati da formale attribuzione di ruolo. Il modello casuale offre teoriche garanzie sul piano dell’offensività della condotta, in quanto promette di valutare la reale pericolosità del comportamento dell’associato rispetto al bene tutelato. Il modello organizzatorio offre teoriche garanzie sul piano della certezza del diritto, in quanto promette di individuare in maniera più puntuale la condotta associativa, facendo rinvio alle regole interne dell’associazione e alla ripartizione dei ruoli prefissati dai componenti del sodalizio. Il partecipe deve agire con dolo; si deve rappresentare la dimensione associativa nella quale si inserisce; deve consapevolmente assumervi un compito o comunque offrire la propria disponibilità, deve conoscere l’avvenuta accettazione del suo ingresso nel sodalizio da parte degli altri associati. Irrilevante è il motivo per cui si aderisce all’organizzazione; basta che ci sia la consapevolezza e la volontà di inserirsi organicamente nella vita del gruppo delinquenziale. Il dolo del partecipe è anche specifico, nel senso che deve essere volto al fine ulteriore di commettere i delitti oggetto del programma associativo. In realtà il dolo specifico del singolo investe lo scopo collettivo e per questo si ritenuto che già nella dimensione associativa ed in particolare nell’indirizzo impresso alla struttura, volto alla realizzazione del programma, dovesse obiettivamente emergere la finalità di tutti partecipi. Per la consumazione del delitto di cui all’articolo 416 del codice penale non si ritiene sufficiente l’accordo tra gli associati, ma la concreta costituzione dell’associazione per delinquere e la conseguente creazione della relativa dimensione collettiva. L’esperienza giudiziaria ha evidenziato fenomenologie diverse di organizzazioni mafiose: talune più rigide, come cosa nostra siciliana, si presentano quali aggregazioni articolate e ramificate in più famiglie, con forme di affiliazione rituale con effetti potenzialmente permanenti, connotate dall’assunzione di un nuovo status di uomo d’onore che si perde solo con la morte; in altre più elastiche, come talune organizzazioni camorristiche, la stabilità della militanza è garantita dalla forza di intimidazione interna ma non da impegni solenni. In relazione alle prime la giurisprudenza ha agevolmente tratto dalla specificità del rituale di ingresso nell’associazione la presunzione di permanenza ad oltranza della condotta partecipativa. La giurisprudenza, anche di legittimità, si è spesso basata su dati di esperienza riguardanti i sodalizi mafiosi per negare a determinate situazioni l’idoneità interruttiva a protrarsi della partecipazione. Nel caso di arresto del partecipe, si è esclusa l’interruzione della permanenza “atteso che in determinati contesti delinquenziali, i periodi di detenzione sono accettati dai sodali come prevedibili eventualità le quali, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo e alla programmazione delle sue attività e, dall’altro, non fanno cessare la disponibilità a riassumere un ruolo attivo non appena venga meno il fenomeno di impedimento”. Che si tratti dio una specifica regola calibrata sulle caratteristiche tipiche del fenomeno mafioso lo dimostra il fatto che al contrario nelle ipotesi di associazione a delinquere semplice l’arresto del sodale è considerato ben più di frequente valido evento interruttivo. Se si accetta quindi l’ipotesi in cui sia accertata la dissociazione volontaria del partecipe, la giurisprudenza postula una permanenza tendenzialmente inestinguibile della condotta dell’associato mafioso. In sostanza la sorte della responsabilità penale del partecipe è parallela alla sorte della sua organizzazione illecita di riferimento; finché essa rimarrà in vita egli potrà essere richiamato ad offrirle il proprio fatto contributivo, anche senza compiere alcuna altra azione concreta, l’associato sarà passibile di pena. Infine, va ricordato che la giurisprudenza si è occupata di casi in cui la partecipazione all’associazione mafiosa è sta desunta anche dall’ospitalità concessa al ricercato mafioso, sebbene tale episodio fosse stato già oggetto di una condanna definitiva per favoreggiamento. È stata esclusa l’operatività del principio ne bis in idem, poiché esso non preclude al giudice di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo liberamente ai fini della prove di un diverso reato. Il nuovo fatto, che costituirà la continuazione della precedente condotta, potrà essere oggetto di altro processo e potrà determinare un nuovo trattamento sanzionatorio. Tuttavia, si pone il problema di recuperare l’unicità del fenomeno criminoso fittiziamente spezzato dalla precedente senza di condanna. Lo strumento più adeguate, al contempo, più insidioso lo offre la disciplina del reato continuato. L’applicabilità dell’articolo 81 cpv, codice penale, nell’ambito dei reati associativi presenta diversi profili problematici. La giurisprudenza di legittimità tende ad escludere la ricorrenza della continuazione tra reato associativo e reato fine, specie per i delitti di stampo mafioso affermando che l’adesione ad un’organizzazione con l’intento di offrire disponibilità ai sodali per la realizzazione di una serie indeterminata di reati può assimilarsi al precipuo disegno criminoso di cui all’articolo 81 che deve legare i singoli e specifici delitti. Pur se in linea di principio non si nega che nel programma criminoso dell’associazione, specie di quella mafiosa, sin dall’inizio possono essere individuati nelle loro linee essenziali uno o più reati fine, che pertanto possono essere coperti insieme al reato associativo da un unico disegno criminoso, nella pratica appare assai difficile dare applicazione alla norma di cui all’articolo 81alle ipotesi di questo genere. I giudici di legittimità hanno ritenuto che potesse essere legittimamente affermata l’appartenenza nel tempo di un soggetto ad associazioni diverse del medesimo stampo mafioso e che al contempo potesse essere negato il vincolo della continuazione tra le successive adesioni. Se si afferma che il consapevole ingresso in un’associazione mafiosa comporta l’assunzione di un impegno che si protrae fino alla morte, è ben difficile escludere che ogni segmento della condotta, delimitato da una o più sentenze di condanna, rientri nell’originario programma criminoso concepito al momento dell’affiliazione. Se si afferma che, al di là del recesso attivo e della sentenza di condanna, non vi sono in concreto altri effetti interruttivi, è ben difficile escludere che l’ulteriore protrazione della condotta non sia ricollegabile alla volontà criminosa estrinsecatesi con l’ingresso nel sodalizio. E visto che in linea generale l’arresto di un soggetto, intervenuto dopo la conclusione del reato, non esclude di per sé la sussistenza del medesimo disegno criminoso rispetto a delitti successivi alla scarcerazione, spettando invece al giudice di merito valutare se lo stato detentivo ha determinato un’efficace frattura sul percorso della sua volontà delinquenziale, si comprende bene come nelle ipotesi di più porzioni della medesima condotta associativa di top mafioso le conclusioni in ordine all’applicabilità dell’articolo 81 diventano quasi obbligate. Di conseguenza, la cassazione ha affermato che il vincolo della continuazione non incompatibile con la commissione di reati permanenti, la cui consumazione sia frammentata da eventi interruttivi costituiti da fasi di detenzione o da condanne. Un ulteriore profilo tenuto presente per distinguere il concorso esterno dalla partecipazione attiene all’elemento psicologico. Si è negato per un verso che per contribuire all’associazione si dovesse agire sorretti dal dolo specifico e dalla condivisione del programma criminoso, al pari di tutti i partecipi, e si è ammesso che potessero convivere il dolo specifico dei partecipi con il dolo generico dei concorrenti esterni. Costoro certamente devono avere consapevolezza dell’esistenza dell’associazione, delle sue finalità, e più in particolare del suo programma criminoso; devono volere l’azione che contribuisce a rafforzare l’associazione, ma non devono tuttavia condividere gli obiettivi degli associati e dei loro programmi delinquenziali. Di contro, possono essere animati da altri intendimenti o scopi, purché perseguiti nella consapevolezza di stare al contempo fornendo un sostegno rilevante ad un sodalizio criminale. La giurisprudenza ha progressivamente superato tutte le possibili obiezioni alla configurabilità del concorso esterno, approfondendo la questione con riguardo all’associazione mafiosa. Ed è significativo ilo fatto che il concorso esterno si è andato sempre più affermando mentre frattanto si affermava anche il modello casuale per la ricostruzione della nozione dio partecipazione dell’intraneo. Una tappa significativa stata la prima sentenza delle sezioni unite in argomento, nota come sentenza Demitry dal nome del concorrente. La vicenda riguardava le attività di intermediazione di un esponente politico che, secondo l’accusa, su richiesta di alcuni esponenti della camorra utilizzava i propri rapporti confidenziali con un magistrato per tentare di aggiustare i processi riguardanti i componenti dell’organizzazione. Per quel caso i giudici di legittimità affermarono anzitutto la compatibilità tra concorso eventuale e reato di associazione mafiosa; ammisero la possibilità di distinguere il dolo specifico del partecipe dal dolo generico di dare un contributo all’organizzazione, proprio del concorrente esterno; ritennero superfluo distinguere concorrente necessario da concorrente eventuale sulla basa dell’investitura formale. In sostanza, nella sentenza in questione il partecipe veniva definito come colui senza il cui apporto quotidiano, o comunque assiduo, l’associazione non raggiunge i suoi scopi o non li raggiunge con la dovuta speditezza. Il concorrente esterno, invece, è per definizione colui che non vuole fare parte dell’associazione e che l’associazione non chiama a farvi parte, ma al quale si rivolge per colmare i vuoti temporanei in un determinato ruolo. Un secondo importante pronunciamento si è avuto con riguardo ad un importante processo a carico del magistrato Corrado Carnevale. Partendo dalle proprie precedenti decisioni, ed in particolare dalla sentenza Demitry, le sezioni unite sancirono autorevolmente che il riferimento alla situazione di fibrillazione sulla quale si dovrebbe innestare il contributo del concorrente esterno era meramente esemplificativo e non esaustivo di tutte le possibili manifestazioni di tale figura criminosa. Venne ribadita l’inaccettabilità della tesi per cui la condotta di partecipazione fosse necessariamente monosoggettiva, evidenziando che il far parte dell’associazione non dipende solo dalla condotta e dalla volontà del singolo, ma anche dall’accettazione degli altri associati. Venne, altresì, ribadita la configurabilità di un contributo dell’estraneo non al singolo partecipe per agevolare la condotta ma all’associazione nel suo complesso. Fu quindi proposta una definizione di concorso esterno, al contempo articolata e meno precisa rispetto a quella precedenti. Due erano considerati i limiti di configurabilità: A) per un verso l’accertamento dell’inesistenza dell’affectio societatis e di uno stabile inserimento nella struttura associativa; B) per altro verso, la significativa rilevanza strumentale dell’apporto reso dal concorrente esterno, che deve essere potere essere apprezzato come idoneo, in termini di concretezza, specificità e rilevanza, a determinare sotto il profilo casuale, la conservazione o il rafforzamento dell’associazione. È stato escluso invece che abbia un ruolo decisivo la circostanza che sia stata posta in essere un’attività continuativa o comunque ripetuta, ovvero un intervento occasionale e non istituzionalizzato. È stato pure escluso che la rilevanza del contributo dipenda dalla sia decisività per la sopravvivenza del sodalizio. Peraltro, nella pronuncia in esame si segnalano due aspetti problematici. Il primo attiene alla concreta misurazione del livello di idoneità che l’apporto del concorrente esterno dovrebbe raggiungere per essere considerato punibile. L’altro aspetto problematico attiene all’elemento psicologico. Le sezioni unite, superando gli argomenti della sentenza Demetry, affermano che il dolo del concorrente esterno deve essere sostanzialmente omogeneo rispetto a quello del partecipe; anche l’extraneus deve voler perseguire con il suo contributo il programma dell’associazione, pur senza volere entrare nel sodalizio. Ciò comporta l’omogeneizzazione dell’elemento psicologico e conferisce coerenza all’istituto, superando le obiezioni già avanzate verso l’impianto motivazionale della sentenza Demetry e allineandosi ai già risalenti e plausibili orientamenti che avevano escluso la rilevanza del dolo eventuale da parte del concorrente esterno. Per quanto attiene ai rapporti tra imprenditori ed esponenti mafiosi, prima della sentenza Carnevale, la cassazione aveva ritenuto che potesse considerarsi concorso esterno il comportamento dell’imprenditore che, in un’occasione, pur essendo consapevole dell’appartenenza di alcuni soggetti ad un’associazione mafiosa, aveva acconsentito a svolgere un’attività economica in società con costoro, accettando il conferimento di denaro proveniente dall’associazione; nella logica di fibrillazione di tale condotta rientrava tra quelle che potevano consentire all’associazione di superare una transitoria difficoltà di carattere economico. Alla luce della sentenza carnevale, invece, il concorso esterno è stato considerato sussistente nell’ipotesi del titolare di una grande impresa, impegnata in varie attività economiche, il quale si era assicurato il monopolio sugli affari di vasti territori con l’aiuto di un’organizzazione mafiosa, ed al contempo aveva assicurato a quest’ultima il puntuale pagamento del pizzo ed una serie di ulteriori servizi via via richiesti dagli associati, sia leciti che illeciti. La pena per chi promuove, costituisce, organizza o promuove un’associazione per delinquere ex articolo 416 del codice penale, è la reclusione da tre a sette anni. La pena per il mero partecipe è la reclusione da uno a cinque anni. La prima circostanza aggravante piazzata dall’articolo 416, 4°comma del codice penale, è quella della scorreria in armi, che richiama la figura tradizionale del brigantaggio ma che, per quanto legata a retaggi storici e talvolta considerata anacronistica, mantiene profili di attualità. Perché essa ricorra è necessario che la condotta si connoti per un aumentato di pericolo per l’ordine pubblico e per un particolare allarme sociale; tali caratteristiche sussistono allorché gli associati scorrono in armi le campagne e le pubbliche vie con il proposito di realizzare le condotte criminose che saranno loro possibili. Tale aggravante ha natura oggettiva e quindi si applica a tutti gli associati che effettuino, dispongono o agevolano gli spostamenti in armi a prescindere dal fatto che materialmente vi partecipano e dal fatto che, partecipandovi, dispongano effettivamente di armi. L'assistenza agli associati è un reato contemplato dall'art. 418 del codice penale, che recita: "Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto a taluna delle persone che partecipano all'associazione, è punito con la reclusione da due a quattro anni". La pena è più 'pesante' se il vitto o il rifugio sono garantiti continuativamente. Non è punibile chi ha agevolato un prossimo congiunto. Ricordiamo che i prossimi congiunti sono i fratelli, le sorelle, gli ascendenti, i discendenti, gli affini nel medesimo grado, i nipoti, gli zii e il coniuge. L'assistenza agli associati, dunque, è una fattispecie delittuosa che si configura quando non siano configurabili il concorso nel reato e il favoreggiamento. Il delitto contemplato dall'art. 418 del codice penale presuppone che il soggetto sia estraneo all'associazione criminale e agisca quando quest'ultima è operativa. Spesso si è portati a confondere la partecipazione a un'associazione mafiosa con l'assistenza agli associati. Il primo reato si configura quando un soggetto si prodiga per assicurare la latitanza del leader dell'associazione criminale, permettendogli di comunicare con gli altri malavitosi e così continuare a coordinare l'organizzazione. In tal caso, infatti, il soggetto non agevola il boss ma tutta l'associazione criminale. Il reato di assistenza agli associati si configura solo quando l'aiuto viene dato ai singoli componenti dell'organizzazione criminosa, senza lo scopo di eludere gli accertamenti delle forze dell'ordine, perché altrimenti scatterebbe il reato di favoreggiamento. Fino al 2001, la fattispecie criminosa dell'assistenza agli associati si configurava solo nel caso in cui soggetto forniva vitto o alloggio a un membro dell'associazione criminosa;
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