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Concetti Fondamentali del Diritto Penale: Reati Associativi, Consenso e Aborto - Prof. Eus, Sbobinature di Diritto Penale Avanzato

Concetti chiave del diritto penale, tra cui reati associativi, consenso e aborto. Esplora la differenza tra accordo verbale e organizzazione stabile, il problema del nesso causale e il reato associativo di tipo mafioso. Inoltre, analizza il ruolo del privato come autore del reato e la differenza tra reati di danno/pericolo e reati di condotta/evento. Infine, discute la legge italiana sull'aborto.

Tipologia: Sbobinature

2018/2019

Caricato il 18/05/2019

carlaspinelli
carlaspinelli 🇮🇹

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Scarica Concetti Fondamentali del Diritto Penale: Reati Associativi, Consenso e Aborto - Prof. Eus e più Sbobinature in PDF di Diritto Penale Avanzato solo su Docsity! …continuazione Lezione 14/12. I reati associativi. [Problemi, finalità e inquadramento politico-criminale (pur essendo configurati come forme di tutela anticipata rispetto alla commissione dei delitti-scopo, essi di fatto consentono di perseguire, come membri di una associazione, anche soggetti dei quali non si riesce a dimostrare la compartecipazione nei delitti-scopo (peraltro con una duplice penalizzazione degli associati che risultino in essi coinvolti)]. Una materia particolarmente delicata e` data dai reati associativi. Parliamo dei reati associativi, perché anche in questo ambito vengono in gioco problemi di politica criminale, problemi di strategia sanzionatoria. L’Art. 416 c.p.: l’associazione per delinquere. [I problemi di determinatezza della fattispecie e i criteri giurisprudenziali di definizione del rapporto associativo (imperniati sul concetto di organizzazione stabile)]. I reati associativi hanno la loro norma madre nll’Art 416 c.p. che disciplina il delitto di associazione per delinquere. Vediamo che cosa punisce un reato associativo e che senso ha, soprattutto perché il reato associativo non fa parte di quel nucleo/mucchio ottocentesco classico-liberale dei delitti. Art 416 (“Associazione per delinquere”) c.p.:“Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per il solo fatto di partecipare all’associazione, con la reclusione da tre a sette anni”. L’associazione per delinquere punisce a livello diverso chi, come membro, organizzatore o promotore, faccia parte di un associazione allo scopo di commettere più delitti. Il reato associativo si punisce quando, leggendo la norma, l’associazione ha lo scopo di commettere delitti. Quindi: si punisce l’associazione quando ha lo scopo  e cioè in presenza dolo specifico  infatti l’associarsi, alla luce della Costituzione, e` del tutto legittimo, ma diventa reato se il fine per cui l’associazione viene costituita o il fine per il quale si partecipa all’associazione e` quello di commettere delitti. Innanzitutto facciamo un osservazione di partenza: senza guardare le aggravanti, abbiamo gia’ una fattispecie base (reato base) punita in maniera sensibile/severa. Art. 416, c.1 e 3 cp: la pena è alla reclusione da tre a sette anni per i promotori e i capi. Art. 416, c.2 cp: la pena è alla reclusione da uno a cinque anni per coloro che partecipano solo all’associazione/menbri. Art. 416, c.4 cp: la pena è alla reclusione da cinque a quindici anni se gli associati soccorrono con armi le campagne o le pubbliche vie. Art. 416, c.5 cp: la pena è aumentata se gli associati sono dieci o piu’. Art. 416, c.6 cp: … Leggiamo la norma, ma dobbiamo anche tener conto che questa e` la norma base e poi ci sarà l’associazione per delinquere allo scopo di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, ecc. Quindi: vediamo che gia` nella norma base ci sono una serie di commi che prevedono che il reato venga punito in maniera significativa. Ora, c’e` una prima carenza che balza subito agli occhi: questo reato e` molto importante e ha anni di reclusione significativi, ma viene definito cosi: “Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti …”. Dal punto di vista dei principi fondamentali si rileva una carenza enorme di determinatezza, perché che cosa vuol dire associarsi? Quando c’e` una associazione? Che cosa e` un associazione e quali sono i suoi requisiti? In particolare noi abbiamo imparato in parte generale, ex Art 155 c.p., che il nostro codice, salvo eccezioni, non punisce il mero accordo. Che differenza abbiamo, allora, tra un mero accordo e un associazione? L’accordo non e` punito mentre l’associazione si. Lasciamo per un momento inevasa questa domanda. Dobbiamo tenere presente che, tutte le volte in cui il legislatore si dimostra carente di determinatezza, e` ovvio che si lascia una protestà definitoria dei confini e dell’applicazione del reato al giudice, con tutti problemi che questo pone dal punto di vista della legalità  e infatti, lo possiamo gia` dire rapidamente, se noi vogliamo vedere che cosa e` un associazione, non andiamo a vedere la legge e quindi non andiamo a vedere come sarebbe secondo i principi, ma dobbiamo vedere le sentenze e cioè dobbiamo comprendere il diritto vivente. La giurisprudenza tende a incentrare il concetto di associazione sul fatto che sussista un organizzazione stabile, che abbia appunto la idoneità a realizzare quei reati e quindi dal punto di vista dei mezzi e delle risorse, un organizzazione stabile nel tempo che abbia idoneità a conseguire quei determinati delitti. L’organizzazione stabile richiede una trama di rapporti, dei progetti, dei mezzi che non possono essere identificati con il mero accordo e cioè con la semplice manifestazione di propositi, con il parlare della possibilità di commettere reati, occorre passare da un momento di ipotizzazione verbale della possibilità di commettere reati (il mero accordo), a una dimensione di organizzazione stabile che si avvale di progettazioni, di mezzi, di risorse idonee alla commissione del reato. Questi che abbiamo illustrato sono concetti ancora molto generali, ma spianano un po` la strada che viene percorsa nelle sentenza per definire il vincolo associativo. Perché si punisce l’associazione per delinquere, oltre a punire i delitti che eventualmente vengano commessi? Perché oltre a punire i delitti, l’ordinamento giuridico prevede anche la punizione di un associazione finalizzata a commettere quei delitti? Che tipo di tutela e` quella che aggiunge alla punizione del delitto, anche la punizione della organizzazione finalizzata a commettere delitti (tutela la quale, come accade per tutti i reati a dolo specifico, non richiede che i delitti vengano effettivamente commessi)? Perché è punito l’essere parte o l’organizzare o il dirigere o il costituire un associazione finalizzata a compiere delitti, non bastava punire i delitti-scopo? Ci si chiede che tipo di tutela realizza l’associazione a delinquere? Qualcuno potrebbe dire che il reato di associazione a delinquere offre una tutela preventiva, anticipata, dal momento che si tratta di un reato di pericolo  quindi una tutela avente, quale fine, quello di evitare le Quindi, gia` rispetto al delitto abbiamo una prima estensione in forza dell’Art 110 c.p. che fa rispondere di quel delitto non soltanto chi materialmente lo ha realizzato, ma anche chi ha dato un contributo atipico (cioè chi ha tenuto un comportamento che di per se solo, se non si correlasse alla commissione di quel delitto, sarebbe del tutto lecito). Oltre cio’ dobbiamo rilevare come vi sia un’ulteriore estensione con il reato di associazione per delinquere: viene punito chi materialmente ha causato il delitto + ai sensi dell’Art. 110 cp, viene punito anche chi ha dato un contributo atipico + viene punito, non per il delitto, ma con una pena autonoma, chi ha costituito o e` membro di una associazione al fine di commettere quel tipo di delitto. Quindi: non si punisce soltanto l’autore materiale del delitto, ma sulla base dell’Art 110 c.p. si punisce con la stessa pena (vuol dire che il giudice applicherà sempre l’Art 133 c.p., ma lo spazio edittale e` identico per entrambi i soggetti), anche chi ha dato un contributo atipico, tuttavia mediante il reato di associazione per delinquere si ha un’ulteriore estensione, permettendosi la punibilita’, questa volta con pena autonoma, anche del soggetto che e` membro o ha costituito un associazione finalizzata alla commissione di quel tipo di delitti. Gia` questo schema ci consente di capire uno dei problemi più delicati nella discussione, anche penalistica, degli ultimi anni. Art. 416-bis cp: associazione di tipo mafioso. [Requisiti e finalità (queste ultime possono essere anche finalità in sé lecite, che sono rese antigiuridiche dall’essere perseguite attraverso il metodo mafioso)]. Abbiamo parlato dell’associazione di tipo mafioso disciplinata, prevista dall’ Art. 416-bis (“Associazioni di tipo mafioso”) cp. Che cosa caratterizza l’associazione di tipo mafioso rispetto all’associazione per delinquere ordinaria? Mentre l’associazione per delinquere ordinaria si avvale di una organizzazione stabile per commettere delitti; nell’associazione di tipo mafioso cambia il fatto che le persone di quella associazione si avvalgono di un elemento particolare, di un qualcosa in piu’ rispetto al presupposto base, e cioè un organizzazione stabile  questo elemento in piu’, lo troviamo all’Art. 416-bis, c.3 cp: “Si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”. L’organizzazione di tipo mafioso e` quella che non solo usufruisce per commettere delitti di una organizzazione stabile, ma che sfrutta la sua (dell’organizzazione) capacita` di intimidire  quindi, non solo il fatto di compiere in maniera efficiente delle rapine in banca per esempio, ma la capacita` di intimidire e di sfruttare l’assoggettamento e l’omertà che deriva da questa capacita` di intimidazione  questo e` ciò che contraddistingue l’associazione di tipo mafioso. Il problema dell’applicabilita’ dell’Art. 110 cp (concorso di persone) ai reati associativi e, in particolare, all’Art. 416-bis cp (associazione di tipo mafioso): il concorso esterno. [Simile applicabilità – fermo il sussistere del nesso causale – rimane problematica perché rappresenta una estensione alquanto indeterminata rispetto all’ambito di operatività del reato associativo, che già rappresenta una estensione particolare, in senso anticipato rispetto alla commissione dei reati-scopo, dell’ambito del punibile]. Il problema di cui il Prof. ci parla adesso e` uno dei problemi più delicati: il reato più grave è rappresentato dal reato associativo; fin ora l’abbiamo pensato come reato associativo base e cioè come reato di associazione per delinquere, adesso dobbiamo pensarlo con riguardo al reato di associazione di tipo mafioso. Il problema che adesso ci pone il Prof. potrebbe essere posto per tutti i reati associativi, ma di fatto e` stato posto solo per il reato di associazione mafiosa. L’associazione per delinquere e` certamente un reato di per se particolare, ma è formalmente come tutti gli altri previsti dal codice penale  ed e` un reato particolare, perché ha gia` in se un elemento di specialita’ in quanto estende l’ambito dell’intervento preventivo: non solo si punisce l’autore materiale, non solo si punisce il soggetto che ha dato un contributo atipico, ex Art 110 c.p., ma si punisce anche chi fa parte di un associazione. Ci può essere una condanna, applicando l’Art 110 c.p. (e cioè la norma sul concorso di persone) a quel particolare reato che e` l’associazione per delinquere/di tipo mafioso? Ci può essere un concorso di persone in un reato associativo? Uniamo non solo coloro che fanno parte di un associazione, ma anche coloro i quali, in forza dell’Art 110 c.p. hanno dato, senza far parte di un associazione, un contributo atipico al realizzarsi di una associazione di tipo mafioso. Abbiamo gia` capito che il Prof. sta parlando del c.d. concorso esterno, sul quale si sono sviluppati tanti e importanti processi negli ultimi decenni. Si deve notare che l’Art 110 c.p. porta a essere puniti per la stessa pena del reato a cui si concorre  quindi il concorrente esterno dovra’ rispondere pur sempre di associazione di tipo mafioso, ex Art. 416-bis c.p. e quindi essere punito con le pene previste per quel reato. E qui la domanda è: e` fuori di dubbio che su fenomeni di questo tipo si debba assolutamente intervenire (non e` che chi da un contributo di tipo tecnico, come un ragioniere, un pubblico amministratore ecc, all’organizzazione criminale, pur non essendo interno all’organizzazione, non faccia cosa di cui l’ordinamento penale non si deve preoccupare), ma si deve intervenire con una norma ad hoc o, visto che questa manca, va bene applicare l’Art 110 c.p. a un reato associativo? Qui la cosa e` molto discutibile, e non perché non ci si debba occupare di queste situazioni, ma perché si finisce per applicare un’ ulteriore dilatazione, ex Art 110 cp., a una fattispecie (l’associazione per delinquere di tipo mafioso) che gia` di per se e` eccezionale. L’Art 110 c.p. contiene termini molto incerti (as ed. “contributo”, “contributo atipico” ecc…), sicché formalmente puo’ dirsi applicabile a chiunque partecipi a qualunque reato, infatti non si fa’ distinzione tra reati  in assenza di distinzione tra reati, al reato associativo, che è anch’esso un reato, si applicherà l’Art 110 c.p.: quindi si punira’ anche a chi partecipa ad un reato associativo, pur non facendo parte dell’organizzazione e cio’ nonostante questo tipo di reato sia gia’ di per se’ particolare, perché rappresenta una dilatazione ulteriore dell’ambito applicativo dell’Art 110 c.p. L’Art. 110 cp, detto in altre parole, verra ulteriormente dilatato mediante un’ulteriore applicazione dell’articolo stesso: non solo punisco l’autore materiale del reato, non solo punisco chi da un contributo atipico alla commissione del reato, ex Art 110 c.p. (il soggetto che tiene la scala al ladro), non solo punisco anche chi costituisce o partecipa ad una associazione (ex Artt. 416; 416-bis c.p.), ma punisco anche, con l’ulteriore applicazione dell’Art 110 c.p., chi da un contributo esterno all’associazione, quindi colui che pur non facendo parte dell’associazione partecipa alla commissione del delitto. Il Prof. ribadisce di non aver detto che questi comportamenti devono essere trascurati dall’ordinamento penale, il problema consiste, pero’, nel fatto che, il gestirli con una base di questo genere e con una totale genericità nella determinazione legislativa di quelli che sono i comportamenti rilevanti di collaborazione con l’associazione mafiosa, lascia molte perplessità. Cio’ anche perché si applica l’Art 110 c.p. ad una norma che e` gia` in se speciale e una norma di questo genere dovrebbe non essere suscettibile di ulteriore dilatazione. Sebbene la cosa possa sembrare quasi un gioco, dal punto di vista teorico, chi vieta di punire anche un’associazione tra, poniamo, i commercialisti che danno un contributo esterno alla mafia? Potrebbe esserci un’ associazione tra coloro che danno un contributo esterno all’associazione. Dal pdv del concorrente esterno: ci potrebbe essere, sul piano teorico, un associazione tra i concorrenti esterni, ma chi vieta, allora, al giudice, anche con riferimento all’associazione dei concorrenti esterni, di punire colui che ex Art 110 c.p. da un contributo esterno a quell’associazione di concorrenti esterni nel reato associativo? Si finisce quindi per creare, dal punto di vista teorico, una sorta di reciproca dilatabilità dell’ambito dell’Art 110 c.p. e del reato associativo. Ecco che noi dobbiamo anche tutelare la credibilità dell’ordinamento giuridico: e` chiaro che quando l’ordinamento giuridico si esprime con giudizi cosi generici ed equivoci su cose cosi gravi, Conclusione: il Prof. voleva solo farci capire, dal punto di vista tecnico, qual e` il problema del concorso esterno  si può applicare l’Art 110 c.p. a un reato associativo? Dal punto di vista formale si (l’Art 110 c.p. non pone limitazioni), ma dal punto di vista sostanziale, sarebbe auspicabile di no, perché dobbiamo partire dal presupposto che gia` il reato associativo e` una costruzione speciale, in quanto rappresenta una dilatazione rispetto all’ambito originario di tutela dei beni giuridici. Ci sarebbe la necessita di un preciso intervento del legislatore che indichi quali sono, con una certa tassaivita` e senza fare riferimento a norme generali, quali sono i comportamenti, che possono dar luogo ad una specifica conseguenza penale, di cooperazione da parte di esterni ad associazioni per delinquere. Lezione del 15/12/2015 Continuazione dell’Art. 416-bis cp: associazione di tipo mafioso. L’Art 416-bis c.p.: associazione di tipo mafioso. Si tratta di una norma speciale rispetto all’associazione per delinquere e prevede delle pene molto consistenti. Art. 416-bis (“Associazione di tipo mafioso”) cp: “1. Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni. 2. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni. La confisca obbligatoria (art. 416-bis, co. 7, c.p.), in rapporto all’art. 240 c.p.. Il c.7, dispone che: “Nei confronti del condannato e` sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e (soprattutto) delle cose che ne sono il prezzo, prodotto o profitto o che ne costituiscono l’impiego”. Qui i codici fanno la solita parentesi quadra, rimandando al confronto con l’Art 240 c.p. che e` la norma generale sulla confisca, questa: - limita la confisca obbligatoria alle cose che costituiscono i prezzo del reato (casi abbastanza rari); - prevede confisca facoltativa rispetto alle cose che costituiscono il prodotto o il prezzo del reato; - prevede confisca obbligatoria rispetto alle cose che costituiscono il prodotto o il prezzo del reato, se si tratta di beni legati all’associazione di tipo mafioso. La norma base stabilisce che rispetto alle cose che costituiscono il prodotto o il profitto, il giudice può ordinare la confisca, quindi la configurazione tradizionale della confisca vede la confisca come facoltativa (lasciata, senza ulteriore specificazione di criteri, alla discrezionalità del giudice); tuttavia la confisca diventa obbligatoria per quanto riguarda i beni legati all’associazione di tipo mafioso, quindi in relazione ai profitti e al prodotto, legati all’associazione di tipo mafioso. Gli effetti particolarmente onerosi (specie per i piccoli spacciatori essi stessi tossicodipendenti) del delitto di associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, di cui all’art. 74 t.u. n. 309/1990: rinvio. Visto che abbiamo parlato dell’associazione di tipo mafioso, forse e` il caso di andare a leggere anche un altro reato associativo che deve ritenersi con tutta probabilità la norma più produttiva di detenzione nel nostro paese. Questa norma la si trova nel Testo Unico sugli Stupefacenti (DPR 309/1990), ovviamente più volte modificato: Art. 74. L’Art 74 ci fa capire bene qualcosa che gia` accennavamo ieri. Abbiamo conosciuto tre reati associativi: quello base, ex Art 416 c.p., l’associazione di tipo mafioso, ex Art 416-bis c.p., e adesso l’Art 74 del Testo Unico sugli stupefacenti DPR 309/1990. In quest’ultimo articolo si fa riferimento all’Art. 70, che riguarda i precursori di droghe e all’Art. 73 che comprende una serie di condotte che vanno dalla produzione, alla detenzione, al commercio di sostanze stupefacenti. Che cosa accade? Perché il Prof. ha detto che questa norma finisce per essere grande produttrice di detenzione in concreto? Perché l’Art 73, DPR 309/1990 seppur come vedremo, a seguito di una famosa sentenza costituzionale ancora recente e` tornato ad essere diviso in due fattispecie con sanzioni diverse relative alle c.d. droghe pesanti e droghe leggere, riguarda condotte di spaccio, ma nello spaccio si include dalla coltivazione, al commerci, alla raffinazione alla vendita, che possono riguardare sia grandi traffici internazionali, sia spaccio al minuto. Il reato associativo riguarda una organizzazione che può essere finalizzata al grande spaccio internazionale o anche a un limitato spaccio al minuto. Questo vuol dire che diventa abbastanza facile che uno spacciatore, che non fa certamente del bene, ma che e` a sua volta in qualche modo un emarginato sociale (magari addirittura tossico dipendente) finisca, se riconosciuto come membro di una associazione, per rispondere del reato associativo con un minimo di pena di dieci anni e con l’aggravante obbligatoria (se solo c’e`, nell’ambito dell’organizzazione, qualcosa che sia definibile come arma o se ci sono delle altre condizioni aggravanti, come ad esempio il numero superiore a dieci delle persone facenti parte dell’organizzazione). Questo fa si che si realizzi ciò che il Prof. cercava di spiegarci ieri e cioè che il reato associativo probabilmente, anche se non viene sovente esplicitato, nasce non tanto in un ottica di tutela anticipata (si interviene prima, in modo tale che successivamente non vengano commessi reati), ma – poiché di solito il reato associativo si applica rispetto ad un associazione che di reati ne ha commessi e che andrà avanti a commetterne – con lo scopo reale di riuscire a colpire anche persone delle quali non si riesce a provare il coinvolgimento diretto in un reato finale. È più facile individuare, ad es. il killer crudele, ma esecutore di un ordine, che riuscire a dimostrare che quell’omicidio avesse dietro un ordine del boss/vertice dell’organizzazione. L’associazione di tipo mafioso come reato associativo riesce a colpire, appunto, anche quando non c’e` la prova provata del concorso materiale, ma soprattutto morale (in termini di incarico e istigazione). Il fatto e` pero` che poi, in concreto, l’esecutore, che nel nostro caso può essere anche uno spacciatore al minuto esso stesso tossicodipendente e quindi persona in difficolta dal punto di vista sociale, venga a rispondere non soltanto del reato di spaccio che commette, ma anche molto più gravemente per concorso nel reato associativo. Il reato associativo finisce per fungere da forte moltiplicatore della pena, secondo le regole del concorso di persone, ma anche, se viene riconosciuto un reato continuato, anche per soggetti esecutori nell’ambito della diffusione di stupefacenti che sono essi stessi, non certo benefattori della società, ma soggetti deboli a loro volta che avrebbero bisogno di un percorso di recupero e quant’altro. In questo senso si capisce, allora, come il reato associativo, che sotto sotto probabilmente e` pensato/soprattutto per colpire quei soggetti di cui non si riesce a provare il concorso nel reato finale, finisce pero` per colpire due volte chi ha commesso il reato finale che verra` anche riconosciuto e punito come membro dell’associazione. Limitiamoci per ora a questo sguardo superficiale dell’Art 74, perché faremo poi una giornata di lezione interamente dedicata alle norme penali e amministrative (quelle che riguardano l’uso personale) del Testo Unico sugli Stupefacenti DPR 309/1990. I reati associavi ricompresi nel titolo I del libro II c.p. (delitti contro la personalità dello Stato): in particolare l’art. 304 c.p. (cospirazione mediante accordo), in rapporto all’art. 115 c.p. (richiamo delle ipotesi di «quasi-reato» di cui agli artt. 49 e 115 c.p.) + gli artt. 305 (cospirazione mediante associazione), 306 (banda armata), 270 (associazioni sovversive) e 270-bis c.p. (associazioni con finalità di terrorismo) Torniamo al codice penale e ci accorgiamo di altri reati associativi che sono previsti al suo interno e, come abbiamo gia` fatto una volta con l’Art 280 c.p., andiamo al Titolo I del Libro II del cp, rubricato “Delitti contro la personalità dello Stato”. Leggiamo gli Artt. 304 (“Cospirazione politica mediante accordo”) e 305 (“Cospirazione politica mediante associazione”) c.p.  queste due norme hanno un nome altisonante e che riecheggia terminologie degli anni ’30, se vogliamo dello stato totalitario. Il termine “cospirazione”, in realtà, identifica semplicemente un associazione a delinquere che pero` ha la finalità di commettere dei delitti in particolare, cioè delitti contro la personalità dello Stato. L’Art 305 c.p. stabilisce che: “Quando tre o piu’ persone si associano al fine di commettere uno degli delitti (contro la personalità dello Stato) previsti nell’art 302 c.p. (che a sua volta fa riferimento ai delitti preveduti ai Capi I e II del Titolo - Capo I “Dei delitti commessi contro la personalità internazionale dello Stato”; Capo II “Dei delitti contro la personalità interna dello Stato”), coloro che promuovono, costituiscono o organizzano la associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da cinque a dodici anni. Per il solo fatto di partecipare all’associazione la pena e` della reclusione da due a otto anni”. Si vede che si tratta di entità sanzionatorie, per questi delitti che il codice Rocco vedeva come sommamente offensivi, inferiori alle entità sanzionatorie che abbiamo visto. Il codice Rocco avvertiva, essendo emersa in tutta la sua delicatezza il fenomeno mafioso, come l’ambito dei reati associativi è sempre un ambito molto delicato dal punto di vista dei principi liberali, perché interviene quando un delitto, cioè un offesa finale a un bene giuridico non e` stata arrecata. Questo diventa discutibile per l’associazione di tipo mafioso, perché questo tipo di associazione, diversamente da quella ordinaria, gia` costituisce di per se stesso uno strumento di pressione sul territorio e quindi diventa discutibile se davvero non c’e` una lesione dei beni tutelati finche non venga commesso un reato scopo. Fin qui va bene, abbiamo imparato che c’e` un particolare reato associativo con pene sue proprie quando il fine e` di commettere delitti contro la personalità dello Stato. E` importante il parallelo dell’Art. 305 cp con l’Art 304 (“Cospirazione politica mediante accordo”) c.p., si ha cospirazione politica mediante accordo:“Quando più persone si accordano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, coloro che partecipano all’accordo sono puniti, se il delitto non e` commesso, con la reclusione da uno a sei anni. Per i promotori la pena e` aumentata. Tuttavia, la pena da applicare e` sempre inferiore alla meta` della pena stabilita per il delitto al quale si riferisce l’accordo ” . L’associazione e` qualcosa più di un accordo, perché prevede l’organizzazione e non il semplice accordo. mediante associazione)  quindi è prevista una pena più grave, tenendo bene a mente che il fatto di possedere delle armi non e` configurato come aggravante, ma come reato autonomo. L’associazione con armi viene a dar luogo alla banda armata come reato autonomo + la banda armata è un legame associativo punito piu’ gravemente rispetto agli Artt. 304-305 cp. In un primo momento avevamo detto che il concetto di associazione sussisteva all’Art 305 c.p., mentre nell’Art 306 c.p. si parla di banda armata, ma in realta’ la banda non può che essere un legame associativo, altrimenti non sapremmo più come definire i confini della banda che viene punita più gravemente. Constatiamo che nell’ambito degli Artt 304 e 305 c.p. non c’e` la tradizionale circostanza aggravante relativa alle armi, come l’abbiamo vista nelle altre norme precedentemente intese, ma abbiamo la configurazione di un reato autonomo, ex Art. 306 cp. Il configurare la presenza di armi non come una circostanza aggravante, ma come elemento costitutivo di un reato autonomo che cosa cambia? Come abbiamo visto nell’Art 624-bis c.p., il problema riguarda il bilanciamento, perché se si tratta di una circostanza aggravante, a meno che non sia espressamente escluso dalla legge il giudizio di prevalenza ed equivalenza tra circostanze, la circostanza aggravante può essere compensata dalle attenuanti e si può tornare ad applicare il reato base (addirittura attenuato se le attenuanti vengono ritenute prevalenti); invece, configurando la banda armata come un reato autonomo no. Semmai qui c’e` un profilo tutto sommato abbastanza curioso, perché comunque abbiamo entità di pena differenti: abbiamo una pena autonoma sia per la cospirazione mediante associazione, che per la banda armata, ma l’entità della differenza per la partecipazione non e` particolarmente elevata (e quindi e` inferiore a un terzo sia per il minimo che per il massimo, cosa un po` diversa da quanto accade in altri casi). Le fattispecie di assistenza agli associati (artt. 418, 307 e 270-ter c.p.), anche in rapporto al tema del concorso esterno. C’e` un altro aspetto interessante per cui abbiamo guardato queste norme in tre settori differenti: - norma base, ex Art 416 c.p. e associazione di tipo mafioso, ex Art 416-bis c.p.; - associazione finalizzata al compimento dei reati relativi agli stupefacenti, DPR 309/1990; - reati associativi nell’ambito dei delitti contro la personalità dello Stato, ex Artt. 302, 304, 305, 306 c.p. Torniamo all’associazione per delinquere, ex Art 416 c.p., dopo questo articolo e dopo l’Art 416-bis c.p. (che e` stato introdotto successivamente), noi abbiamo l’Art 418 (“Assistenza agli associati”) c.p. : “Chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato (Art 110 c.p.) o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano all’associazione (Artt 416 e 416-bis c.p.) e` punito con la reclusione da due a quattro anni. La pena e` aumentata se l’assistenza e` prestata continuamente. Non e` punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto”. Una norma simile all’assistenza agli associati c’e`, anche dopo i reati di cospirazione e di banda armata: all’Art 307 (“Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata”) c.p., viene disciplinata l’assistenza ai partecipi di cospirazione e di banda armata Una norma ancora simile la troviamo anche con riguardo agli Artt relativi alla associazione sovversiva (Art 270 c.p.) e all’associazione per finalità di terrorismo (Art. 270-bis c.p.): l’Art 270-ter (“Assistenza agli associati”) c.p., che quindi va in parallelo con l’Art. 307 c.p. e con l’Art. 418 c.p. Concorso esterno: la preferibilità della configurazione di fattispecie ad hoc da parte del legislatore. Qui di che cosa si parla? Si tratta della stessa situazione del concorso esterno? No! Nei casi di assistenza agli associati, infatti, viene detto “fuori dai casi di concorso nel reato”: se chi assiste, aiutasse queste persone a commettere i reati per cui l’associazione e` costituita, risponderebbe del reato. Se un associazione e` costituita per finalità di terrorismo e taluno aiuta a compiere il reato di terrorismo risponde anche lui per questo reato. Ma la domanda resta: e` la stessa situazione del concorso esterno? La differenza che non si deve assolutamente trascurare e` che nelle ipotesi di assistenza agli associati non si sta parlando di un aiuto all’associazione in quanto tale, ma di un assistenza/aiuto ai singoli associati e quindi di un aiuto per il mantenimento della loro condizione (da rifugio, fornisce vitto)  cio’, ovviamente, avviene fuori dai casi di concorso nel reato, fuori dal caso in cui ci sia una partecipazione a reati scopo che vengano commessi e anche fuori dai casi di favoreggiamento. Nel favoreggiamento, ex Art. 378 (“Favoreggiamento personale”) c.p., c’e` si’ un aiuto, ma deve anche esserci un procedimento penale in corso (“Chiunque aiuta taluno a eludere le investigazioni o a sottrarsi alla cattura”)  il favoreggiamento e` un delitto contro l’amministrazione della giustizia; nei nostri casi, invece, questo non e` richiesto, non e` richiesto che ci sia un procedimento in corso e se l’aiuto andasse a coincidere con quello del favoreggiamento si risponderebbe soltanto per favoreggiamento. Nelle ipotesi di assistenza agli associati, abbiamo una situazione diversa da quella dell’aiuto all’organizzazione in quanto tale, perché si tratta di un aiuto alla persona dell’associato (ed e` certo che i linguaggio del codice Rocco aveva in mente soprattutto i banditi, quelli che si nascondevano, che vivano alla macchia e che quindi potevano aver bisogno di vitto e alloggio e quant’altro). Questo ci fa anche capire una cosa: il codice Rocco probabilmente, pur prevedendo un reato che non consiste nell’ausilio all’associazione in quanto tale, si rende conto che nel momento in cui si vuole punire chi dà un aiuto che comunque riguarda l’ambito dell’associazione, necessita di una norma specifica  quindi possiamo vedere che il codice Rocco attraverso questi Artt. 418, 270-ter e 307 c.p. lascia indirettamente intendere che, se si vuole prendere in considerazione le forme di aiuto che possono riguardare direttamente o indirettamente un associazione, ci vuole una norma ad hoc. Naturalmente queste norme difficilmente sarebbero state utilizzabili per colpire i comportamenti che si volevano colpire con il concorso esterno, cioè aiuti che non riguardano tanto il singolo membro dell’associazione mafiosa o comunque denominata, ma che riguardano un beneficio per la realtà associativa  non si sarebbe potuto applicare l’Art 418 c.p., perché questo articolo richiede un aiuto in termini molto circoscritti, infatti, si limita a dare rilievo al vitto, all’ospitalità, al trasporto, strumenti di comunicazione, alle singole persone. L’ambito applicativo di queste norme e` molto circoscritto, riguarda soltanto gli associati e particolare tipi, forse inattuali, di aiuto (vitto, alloggio, trasporto), ma attraverso queste norme il codice Rocco lascia intendere di aver compreso che le realtà di aiuto diretto o indiretto, riguardanti un associazione dovrebbero essere gestite attraverso una norma ad hoc. Queste tre norme ad hoc, non riguardano l’ambito applicativo del concorso esterno, ma comportamenti molto più circoscritti (ormai datati e oggi non più cosi significativi, riferiti soprattutto alle bande di un tempo)  cosi’ il codice Rocco lascia intendere che anche per il concorso esterno sarebbe necessaria una normativa ad hoc, perché una normativa generale costruita sull’Art 110 c.p., senza alcun ulteriore elemento di determinatezza lascia aperti tutti i problemi di cui dicevamo ieri. Altra differenza è che le entità sanzionatorie, per queste forme di aiuto, sono fortemente inferiori per quelle previste per il reato associativo: mentre il reato di concorso esterno implica l’ applicabilità della stessa pena prevista per il reato associativo; la pena prevista per l’Art 418 c.p. e` senz’altro notevolmente inferiore a quella prevista per l’associazione per delinquere, anche questo, dunque, e` un dato significativo che va tenuto presente. Richiami al ruolo delle condotte atipiche nel concorso di persone e alla rilevanza causale della partecipazione. Visto che, avendo fatto la differenza con queste modalità delittuose di aiuto agli associati, abbiamo richiamato il concorso esterno, torniamo su questo tema e nello specifico sul tema della causalità. Molte delle sentenze sul concorso esterno si sono giocate proprio in tema di causalità, perché si capisce che una volta che la norma non dice nulla sulla tipologia di condotta che può dar luogo a un concorso esterno (l’Art 110 c.p. fa riferimento a qualsiasi partecipazione, condotta totalmente libera), la delimitazione resta affidata essenzialmente alla causalità. Quando si può dire che una certa condotta, se si ammette il concorso esterno in associazione, e` causale/costituisce un concorso? Ancora una volta dobbiamo richiamare, quanto gia` detto quando abbiamo fatto il parallelismo tra l’Art 609- octies c.p. (violenza sessuale di gruppo) e il concorso di persone: in quest’ultimo e` molto importante tenere ben ferma la necessita del nesso causale, cioè la necessita’ che la condotta che si assume dar luogo ad un concorso esterno deve almeno risultare causale. Ma che cosa vuol dire causale rispetto all’associazione stessa? Nel concorso di persone la condotta tipica deve risultare causale, anzi, se noi ricordiamo quando abbiamo imparato riprendendo i temi base della teoria del reato, la condotta rilevante deve pur sempre essere una condotta che viola una regola finalizzata ad evitarla  anche qui questo dovrebbe valere, cioè si deve cercare di dare qualche forma di individuazione a quelle che sono le condotte, anche se nulla si dice in maniera esplicita, suscettibili di dare un aiuto in quanto violano delle regole che non devono essere violate, onde evitare di offrire supporto ad un organizzazione. Detto in altri termini: quali sono le condotte suscettibili di dare un aiuto in quanto violano regole che non si devono violare (condotte tipiche), onde evitare di offrire supporto alla organizzazione? Diverse sentenze hanno discusso sul cosa vuol dire che una condotta e` causale rispetto ad un reato associativo. In Italia l’ordinamento penitenziario rappresenta la punta più alta di questo orientamento che pero’ presenta molteplici limiti, in quanto resta incentrato sulla pena detentiva. Bisogna, pero’, fare attenzione perché, posto che non sia immaginabile la fine della pena detentiva, comunque l’ordinamento penitenziario italiano potrebbe rappresentare uno strumento molto importante per cercare di gestire la pena detentiva seguendo un’ottica di reinserimento sociale. I cinque elementi di novità dell’ordinamento penitenziario: 1. Centralità del trattamento rieducativo individualizzato: la prima idea e` che in carcere non si sconta semplicemente una sofferenza, ma si dovrebbe compiere un percorso e quindi, quell’idea che non e` ancora entrata a far parte del momento di inflizione della pena, in qualche modo l’ordinamento penitenziario del ’75 la voleva far valere nel momento esecutivo. La pena non e` un progetto quando viene inflitta, ma l’ordinamento penitenziario vorrebbe che diventasse un percorso in sede di esecuzione (prima do la pena e poi voglio piegarla a trattamento rieducativo individualizzato). 2. Parallelamente al trattamento rieducativo individualizzato, abbiamo l’istituzione di un servizio sociale relativo all’amministrazione della giustizia: per la prima volta compaiono servizi sociali che diversi da quelli dei comuni o delle azione sanitarie locali, e che sono servizi sociali dell’amministrazione della giustizia. Quindi c’e` un servizio sociale che si occupa della fase di esecuzione della pena ed in particolare sia del trattamento penitenziario (ufficio degli educatori), sia delle misure alternative (quando un condannato non e` o non e` più in carcere perché si e` concesso l’affidamento in prova piuttosto che la semilibertà) 3. La possibile flessibilizzazione della pena detentiva in rapporto all’evolversi del trattamento: l’elemento di novità consiste nella circostanza che il trattamento penitenziario non e` pensato solo in vista del fine pena, ma diventa rilevante gia` durante l’esecuzione della pena stessa  per cui la vita del condannato non e` completamente determinata dal reato compiuto un tempo, ma può essere, almeno in parte, condeterminata da come vive l’esecuzione della pena. La flessibilizzazione puo’ riguardare/incidere: sia sulla durata della pena, sull quantum di pena, a livello temporale, attraverso i benefici concessi dall’istituto della liberazione anticipata (45 giorni di beneficio ogni semestre), sia sul genus di pena, attraverso le misure alternative che possono trasformare la pena detentiva in pena parzialmente non detentiva o del tutto non detentiva. Questa flessibilizzazione ha finito per prevedere anche due strumenti dove, più che di flessibilizzazione, possiamo parlare di una esecuzione della pena detentiva in forma diversa da quella detentiva fin dall’inizio della reclusione stessa, e cio’ attraverso lo strumento dell’affidamento in prova ai servizi sociali e la detenzione domiciliare. 4. La giurisdizionalizzazione della fase esecutiva: mentre tradizionalmente il compito del giudice più o meno finiva con la condanna, salvo rari interventi relativi all’esecuzione (come potevano essere quelli concernenti la liberazione condizionale - che gia` esisteva prima dell’ordinamento penitenziario), oggi abbiamo una parte dell’esecuzione che ha il suo giudice, anzi ha un doppio giudice  il magistrato di sorveglianza e il Tribunale di sorveglianza (di cui abbiamo accuratamente considerato le competenze). Anche questo e` un elemento di fortissima novità e proprio l’anno scorso abbiamo avuto la ulteriore enfatizzazione di questa giurisdizionalizzazione, perché è stata introdotta una procedura di reclamo giurisdizionale al giudice di sorveglianza: il reclamo in sede giurisdizionale. Gia` precedentemente il detenuto poteva presentare dei reclami, ma non era previsto un percorso giudiziario per la risposta ai reclami; invece oggi, attraverso l’Art 35-bis dell’ordinamento penitenziario, questa giurisdizionalizzazione e` ancora più accentuata, perché: non solo il magistrato di sorveglianza valuta i 45 giorni ogni semestre, ma se si tratta di misura di sicurezza verifica la pericolosità, approva il programma di trattamento in carcere, modifica l’eventuale programma di affidamento in prova + il Tribunale di sorveglianza dispone le misure alternative, ma abbiamo anche un detenuto che può fare un reclamo ai sensi dell’Art 35-bis e su questo reclamo si instaura una vera e propria procedura/processo che deve arrivare a una pronuncia. 5. La previsione di forme di interazione tra carcere e società: vi è l’idea, non solo di una società che entra in carcere (Art 17 ord. penitenz.), ma anche di un detenuto che possa avere esperienze extra detentive (per esempio il lavoro all’esterno). Si ha cosi’ il superamento della concezione che il carcere rappresenti un luogo di separazione tra la società e il detenuto. [Diamo un occhiata generale agli argomenti delle lezioni: su alcuni temi, soprattutto sui richiami di teoria del reato vediamo che la traccia che si trova sulla pagina del Prof. e` diventata molto densa. Le prime lezioni che abbiamo fatto le abbiamo usate per richiamare tutta una serie di elementi di teoria del reato, dopo l’introduzione sul rapporto tra criminologia e politica criminale del diritto penale, abbiamo visto la problematica dell’evento non voluto e, attraverso questa, il tema molto importante che riguarda l’iter motivazionale del comportamento umano con lo schema: prospettiva, condotta, risultato della prospettiva. Le aporie del reato colposo, le aggravanti dell’omicidio colposo e doloso con la responsabilità medica. Non bisogna sovrapporre l’eventuale ipotesi di violazione del consenso del paziente e i casi di mal practice del medico, perché il medico teme incriminazioni per mal practice? Da un lato perché il medico e` più soggetto a commettere errori, in quanto deve prendere in continuazione decisioni di una certa rilevanza (avevamo accennato al difetto di organizzazione), dall’altro perché, anche quando il medico fa tutto giusto, ci può essere l’indolenza di un evento avverso, cioè per il medico e` andato tutto bene, ma il soggetto ha subito un danno. La sentenza Giulini. Da qui avevamo preso lo spunto per riprendere un poco l’iter fondamentale di teoria del reato partendo dalla causalità. Una particolare attenzione va posta all’accertamento della colpa, perché ciò che caratterizza il rimprovero per colpa e` di avere agito nonostante la prevedibilità dell’evento e l’evitabilità della condotta, cioè di aver agito anche se l’evento era prevedibile e la condotta doveva/poteva essere evitata: prevedibilità ed evitabilita`. La differenza che sussiste tra previsione e prevedibilità: previsione e` il fatto che ci si rappresenti la possibilità che si verifichi l’evento (colpa cosciente), prevedibilità e` la possibilità di prevedere, cioè non e` detto che ci si sia rappresentato l’evento, basta la prevedibilità (e quindi basta la colpa incosciente). Per quale motivo non basta la prevedibilità per il rimprovero per colpa, ma serve anche l’evitabilita’? Perché si deve andare a vedere se la condotta era evitabile, cioè se l’evento doveva essere evitato (evitabile non nel senso fisico naturalistico, ma se doveva essere evitata)? Perché non basta la prevedibilità? Perché, per dire che una persona e` in colpa, non basta dire “ha agito anche se poteva prendere l’evento”? Perché l’aver agito potendo prevedere il realizzarsi dell’evento non voluto non e` ancora colpa? Perché prevedibilità vuol dire che c’e` un rischio (l’evento e` prevedibile e vuol dire che la condotta e` pericolosa), ma tante volte il rischio e` un rischio consentito e quindi ci si deve domandare se la condotta potesse/dovesse o meno essere evitata (evitabilita` non vuol dire evitabilita` in senso fisico naturalistico)  la condotta del medico, per esempio: per il medico e` quasi sempre prevedibile che la sua operazione per un caso, più o meno raro, possa avere un evento avverso. Pero` dobbiamo anche chiederci se quell’operazione doveva essere evitata e in molti casi il medico quell’operazione doveva farla, perché se non avesse fatto correre al malato il rischio operatorio, magari il malato sarebbe morto di sicuro. Evitabilita` vuol dire se il medico doveva evitare di tenere quella condotta. Perché non e` vero che chi agisce, potendosi prevedere il realizzare dell’evento, e` gia` in colpa? Perché in molti casi, anche se l’evento e` prevedibile, la condotta può essere tenuta o addirittura deve essere tenuta. E` prevedibile che facendo andare i treni qualcuno finisca o si butti sotto un treno? Purtroppo e` prevedibile, ma e` un attivita’ consentita. È prevedibile che l’operazione possa andare male in una certa percentuale di casi? Purtroppo e` prevedibile, pero`, addirittura per Consolo, e` un attività consentita e, a certe condizioni, e` anche un’ attività dovuta (tanto che il medico che facesse medicina difensiva - che dicesse “siccome temo l’evento avverso non propongo al paziente nemmeno l’operazione”- si espone a responsabilità penale). Il Prof. ha richiamato i concetti d prevedibilità ed evitabilita` anche per un altra ragione. Qualche volta all’esame capita che si chieda: ma l’evento deve essere prevedibile ed evitabile da parte di chi? Sovente la persona interrogata dice da parte del soggetto agente, ma in realtà non e` cosi, perché la colpa consiste nel rimprovero di non aver ottemperato ad uno standard, quindi il parametro di giudizio non può essere lo stesso soggetto agente  bisogna ricordare un esempio: un giudice sta valutando il comportamento di un medico e gli rimprovera che, facendo quella manovra chirurgica, era prevedibile procurare un danno. Il medico, allora, risponde al giudice che siccome lui lavora molto e non ha tempo per fare corsi di aggiornamento, non poteva prevedere. È chiaro che non può essere questo il metro. Il metro del giudizio di prevedibilità ed evitabilita` e` sempre un metro che tradizionalmente si e` riferito al c.d. agente modello. Agente modello che va inteso come un soggetto che si trovi nelle medesime condizioni del soggetto agente, all’epoca in cui la condotta e` stata compiuta. Delitti contro l’onore: artt. 594, 595 e 596 c.p. Ingiuria (delitto tuttavia abrogato con d.lgs. n. 7/2016) e diffamazione: differenze. Analizziamo adesso due reati significativi e anche molto discussi dalla stampa, perché rientrano nel genus dei c.d. reati di opinione. Se si parla di reati di opinione, si fa riferimento ai due reati classici: Art. 594 (“Ingiuria”) cp e Art. 595 (“Diffamazione”) cp. Innanzitutto la differenza tra questi due reati e` molto semplice e si desume dal testo. Art. 594 (“Ingiuria”) cp: “Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.” Ciò che caratterizza l’ingiuria e` la presenza dell’offeso, salvo l’estensione del c.2 alle “comunicazioni telegrafiche o telefoniche o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa”. Art. 595 (“Diffamazione”) cp: “Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo prevedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032 ”. La diffamazione non esige la presenza della persona offesa, ma esige che di quella persona si parli con altri. Naturalmente al c.3 si specifica l’ aggravante e si dice che: “Se l’offesa è arrecato col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 ”. Poi abbiamo un c.4 che stabilisce che: “Se l’offesa è arrecata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o a una sua rappresentanza, o a un Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate “ . Ma al di la delle distinzione, del confine tra le due norme, ci si deve soffermare su un altro aspetto. Nell’ingiuria si afferma “chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente”; nella diffamazione si dice “chiunque … offende l’altrui reputazione”. Possiamo ben notare come non si faccia riferimento ad un elemento altro ed ulteriore che potrebbe far operare ulteriori distinzioni: la veridicita’ dell’offesa. È vero si’, nell’un caso si offende l’onore, nell’altro si offende la reputazione, ma cio’ che si omette è il riferimento all’ulteriore elemento consistente nella veridicita’ dell’offesa. Il codice, nella definizione delle due norme, non da nessun rilievo alla veridicità o meno dell’offesa e questo ci fa capire che il sussistere di questi due reati non dipende dalla verità o meno di quello che si dice. Quindi la verità non e` un limite alla configurabilità dell’ingiuria e della diffamazione. Il problema però e` che ci dovranno pur essere dei distinguo: se fosse vero in assoluto che la verità di quanto si dice non ha nessun rilievo rispetto alla punibilità dell’ingiuria e della diffamazione, quali sarebbero le conseguenze? Quale sarebbe la conseguenza se dire, scrivere una notizia vera che però non fa onore a colui cui è riferita forse è sempre e automaticamente punibile? Verrebbe meno ciò di cui noi usufruiamo ogni giorno quando guardiamo la televisione o leggiamo un giornale: verrebbe meno la libertà di stampa, la libertà di comunicazione. [La generale irrilevanza della verità del fatto addebitato nel codice del 1930 (art. 596, co. 1, c.p.) quale modalità di negazione da parte del regime totalitario di allora della libertà di stampa]. E` tipico di quali regimi il non ammettere mai la pubblicazione e la diffusione di notizie disonorevoli, sebbene siano vere? I regimi che avranno interesse a soffocare la libertà di stampa sono i regimi totalitari e in effetti, in maniera implicita, questa era proprio la scelta del codice Rocco del 1930. Il codice Rocco sostanzialmente inibiva la libertà di stampa, perché qualsiasi persona, e quindi soprattutto il giornalista, attraverso la stampa poteva essere accusato di ingiuria o diffamazione: si capisce che se un giornalista avesse scritto qualcosa di vero su un funzionario del regime sarebbe stato comunque punito  il codice Rocco, non dando mai rilievo alla verita’ d’addebito, sostanzialmente inibiva la liberta’ di stampa. In questo modo il regime garantiva che qualsiasi notizia sgradita potesse essere foriera di un’incriminazione per ingiuria o diffamazione. Tuttavia, siccome il codice Rocco non voleva fare brutta figura e voleva mantenere l’amplombe di un codice liberale all’Art 596, c.1 cp, stabilisce che:“Il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti non e` ammesso a provare a sua discolpa la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa”. Poi, pero’, al c.2 afferma: “Tuttavia, quando l’offesa consiste nel’’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo.” Se la verità e` provata, la persona che ha agito non e` punibile, salvo che i modi di attribuzione siano di per se soli ingiuriosi. In sostanza il codice Rocco vuole fare bella figura, perché dice: non si da rilievo alla prova liberatoria, ma si ammette che l’offeso e l’offensore si possano mettere d’accordo per deferire la questione ad un giurì d’onore  MA non esiste una sola notizia di convocazione del giurì d’onore. È ovvio, infatti, che il funzionario pubblico, durante il regime totalitario, non sia stato propenso a deferire la questione ad un altro giudice. Questa era una norma un po` volta a salvare le apparenze, il codice Rocco non ammetteva mai la prova liberatoria, cioè la prova della veridicità del fatto, non escludeva dalla punibilità. [La significativa introduzione di tre ipotesi di c.d. prova liberatoria (art. 596, co. 3, c.p.) – cioè di non punibilità, ove venga provata la verità dell’addebito – con un decreto legislativo luogotenenziale, nel settembre del 1944, dopo la caduta del regime fascista]. Che cosa accade? La cosa e` talmente significativa che, con il d.lgs.lgt. n.228/1944, viene aggiunto all’Art 596 c.p. il c.3 che ammette casi di prova liberatoria e cioè: ammette casi in cui, se il fatto viene provato come vero, allora non si viene puniti. Perché cio’ accade nel 1944? Che cosa c’era in Italia nel ’44? In Italia, nel ‘44, c’era ancora la II GM: si tratta dell’anno piu’ brutto per l’Italia, perché il 25 luglio ’43 cade il fascismo, l’8 settembre del ’43 si arriva all’armistizio e in quel clima di caos i tedeschi, che erano già presenti sul territorio nazionale in quanto alleati di Mussolini, invadono l’Italia, gli americani erano già in Sicilia e inizia la guerra che finirà durante la prima decade del ’45. Cio’ posto, nel ’44, allora, queste ipotesi di prova liberatoria chi le avrà introdotte? L’Italia era divisa: al nord c’era una parvenza di governo totalmente sottomesso ai tedeschi, la c.d. Repubblica di Salò e al sud c’era il governo Badoglio (governo sotto tutela degli alleati), il Re era andato in esilio, ma non aveva abdicato, quindi Umberto II quel’anno era luogotenente  ed proprio il Decreto Luogo Tendenziale in questione che introduce le ipotesi liberatorie di prova. L’Italia era sotto le bombe, ma questo decreto luogotenenziale del ’44, con il quale si introducono le ipotesi di prova liberatoria, intende segnalare il cambio di registro, il fatto che non si tratti più di un Paese totalitario. È proprio l’introduzione di alcuni casi di prova liberatoria che ridanno un minimo nucleo di libertà di stampa. L’altro provvedimento che si ricorda sempre del ’44 e` l’abolizione della pena di morte relativa ai reati previsti nel codice penale, perché purtroppo, per quanto riguardava le leggi diverse da quella penale, la pena di morte continuava ad essere applicata anche nell’Italia post-fascista (le ultime condanne a morte eseguite in Italia risalgono all’Italia già democratica, cioè nel 1947, e furono eseguite per fucilazione). I casi/ipotesi di prova liberatoria, introdotti nel ’44 e tutt’ora vigenti, sono essenzialmente due più una terza: Art 596, c.3 “Quando l’offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale: 1) se la persona offesa e` un pubblico ufficiale e il fatto ad esso attribuito si riferisce al’esercizio delle sue funzioni”. Quindi: se qualcuno, in particolare un giornalista, dice o scrive cose vere che riguardano l’attività di un pubblico ufficiale e, in particolare, non attinente alla sua vita privata, ma allo svolgimento delle sue funzioni, se ha detto il vero non e` punibile. La prova del fatto medesimo e` sempre ammessa se la persona e` un pubblico ufficiale e il fatto si riferisce allo svolgimento delle sue funzioni. Qual e` qui il ragionamento che si fa? Tra l’interesse privato (l’onorabilità) e l’interesse pubblico alla trasparenza dell’attività dei pubblici ufficiali prevale la seconda. “2) Se per il fatto attribuito alla persona offesa e` tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale”. Quindi: se il fatto attribuito non e` considerato palesemente infondato dal pubblico ministero e su quel fatto si inizia un procedimento penale, anche in questo caso la prova della veridicità e` sempre ammessa. Anche qui il ragionamento e` questo: sull’interesse privato a tutela dell’onorabilità prevale l’interesse pubblico a che i reati vengano alla luce del sole e siano perseguiti/perseguibili. “3) Se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito”. Il terzo caso lo si sente molte volte nella cronaca ed e` un’ipotesi di carattere negoziale, perché si prevede, non più l’accordo tra offeso e offensore, ma la c.d. querela con ampia facoltà di prova, e cioè: si querela per diffamazione, ma viene concesso di poter provare la verità del fatto. A massima tutela della onorabilità si procede tramite querela, ma se si dimostrerà che il fatto e` vero non si potrà essere puniti. Quindi, la prima situazione di non punibilita’ presente nel nostro ordinamento è data dalle: a) cause di giustificazione [le quali rendono il fatto lecito (non antigiuridico), presupponendo una scelta operata dall’ordinamento giuridico tra beni in conflitto (nel nostro caso, da un lato, l’onore/reputazione e, dall’altro, l’interesse sociale alla trasparenza della pubblica amministrazione, all’emergere dei fatti costituenti reato e, in genere, alla libera manifestazione del pensiero)]. Solo che le scriminanti/cause di giustificazione non solo soltanto quelle definite come tali dal codice penale (ex Artt 50 ss. c.p.), ma abbiamo cause di giustificazione, relative anche a singole situazioni, previste qui e la nel codice penale e nelle varie leggi in generale  solo che il codice penale e le leggi non danno mai una denominazione ad una situazione/causa di non punibilità (non ci dicono mai se si tratta di una causa di giustificazione o qualcos’altro). Qual e` la logica che sta dietro la causa di giustificazione? Qual e` l’effetto del sussistere di una causa di giustificazione? La logica e` quella di un conflitto non risolvibile tra beni (da tutelare entrambi), conflitto rispetto al quale l’ordinamento fa una scelta ponendo una causa di giustificazione per un certo comportamento. Es: nel conflitto tra l’interesse dell’aggredito e l’interesse dell’aggressore - legittima difesa - l’ordinamento privilegia l’interesse dell’aggredito e quindi non punisce la reazione, purché sia proporzionata e siano presenti anche gli altri requisiti della legittima difesa  il codice privilegia la posizione dell’aggredito e lo giustifica nel momento in cui reagisce in maniera proporzionata nei confronti dell’aggressore). In tutte le situazioni in cui si è in presenza di una causa di giustificazione, il comportamento diventa lecito, per l’intero ordinamento giuridico, quindi cio’ che viene meno è la sola antigiuridicita’/illiceita’ del comportamento/fatto (la colpevolezza rimane). Es: la reazione proporzionata dell’aggredito nei confronti dell’aggressore e` lecita (tuttavia, come sappiamo, non basta soltanto il requisito della proporzione, ma e` necessario anche il requisito della necessità di difesa + contro un offesa ingiusta + il pericolo attuale). Fatto colpevole: inteso come fatto umano riconducibile alla responsabilita’ di un soggetto che ne risulta l’autore. Ora, la colpevolezza (in senso normativo) è un concetto complesso e tra i suoi presupposti di esistenza, vi è anche l’assenza di cause di esclusione della colpevolezza stessa/scusanti. Quindi, la seconda situazione di non punibilita’ presente nel nostro ordinamento è data dalle: b) cause di esclusione della colpevolezza [in presenza delle quali il fatto resta illecito, ma si configura non colpevole, per mancanza di imputabilità del soggetto agente oppure per inesigibilità, in situazioni particolari, del comportamento ordinariamente richiesto (cfr. l’art. 384 c.p.)]. Queste situazioni/ cause di non punibilità hanno una ratio diversa rispetto a quella sottesa alle cause di giustificazione. Es: l’Art 384 c.p., prevede le cause di non punibilita’ nell’ambito dei delitti contro l’amministrazione della giustizia  il prototipi dei delitti contro l’amministrazione della giustizia, sono: il favoreggiamento personale, ex Art 378 c.p., che si ha quando taluno aiuta una persona nei cui confronti e` in atto un procedimento penale a eludere le investigazioni (fa sparire le prove o aiuta l’imputato a sottrarsi alla misura limitativa della libertà personale); la falsa testimonianza, ex Art. 372 cp. Cosa dice l’art 384 c.p.? Dice che: “Nei casi previsti dgli Artt… (si tratta degli articoli che disciplinano tutta la serie di delitti contro l’amministrazione della giustizia, tra cui ci sono anche gli Artt. 378 e 372 cp) non e` punibile chi ha commesso il fatto essendo stato costretto dalla necessita di salvare se medesimo o un prossimo congiunto da un danno inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore”. Es: la moglie che favorisce il marito latitante non e` punibile; se taluno qualsiasi ospitasse un latitante sarebbe perseguibile, ma se questo comportamento lo tiene un prossimo congiunto, come per esempio la moglie del latitante, non e` perseguibile/punibile. Questa disposizione prevede una causa di non punibilita’, configurabile, pero’, non come causa di giustificazione – perché la ratio sottesa alla non punibilita’, in questo caso, non è la stessa sottesa alle varie cause di giustificazione – ma come una scusante/esimente, come una causa di esclusione della colpevolezza  per cui, cio’ che qui viene meno è la punibilita’, certo, ma perché a venir meno è la colpevolezza nella forma della esigibilita’, la rimproverabilita’ e non l’antigiuridicita’ del fatto (che rimane illecito/antigiuridico). Abbiamo detto che la ratio sottesa a una scusante/esimente non è la stessa di quella sottesa alle cause di giustificazione. Qual e` allora la ratio? Perché il codice non se la sente di punire il prossimo congiunto (la moglie che cucina e ospita il marito latitante o la moglie che, essendo pubblico ufficiale, non denuncia il marito per un reato che questo abbia commesso)? Possiamo dire che in questo caso la moglie stia compiendo un atto lecito? No, non e` come nella legittima difesa e qual e` il motivo per cui il prossimo congiunto non può essere perseguito? Qui il fatto resta illecito, ma che cosa manca? Quale elemento manca in questo caso? Manca la colpevolezza, nel senso che la moglie non può essere rimproverata al pari di qualsiasi altro cittadino, perché chiedere al prossimo congiunto di privilegiare un interesse della giustizia al legame affettivo, vorrebbe dire chiedergli molto di più rispetto a quanto si chiede a una persona qualunque, significherebbe chiedere alla moglie di sacrificare il legame familiare  quindi l’ordinamento ritiene di poter escludere la rimproverabilita’ la colpevolezza, ritiene che la colpevolezza ci sia sempre, ma che sia cosi diminuita o particolare tanto da non poter muovere un rimprovero, il fatto resta illecito, ma non si può muovere un rimprovero. Questa e` una seconda situazione di non punibilità che esclude, non dal pregiudizio di antigiuridicità, ma esclude la colpevolezza nella forma della esigibilità. Questa categoria della non esigibilità/non rimproverabilita’, nel nostro ordinamento, e` abbastanza discussa e non tutti la ammettono, qualcuno, infatti, invece di parlare di tre situazioni/cause di non punibilita’, parla di due, facendo rientrare anche la seconda situazione tra le cause di non punibilita’ in senso stretto  secondo il Prof. questa tripartizione resta significativa. Un altra scusante/causa di non punibilità per escludere la colpevolezza e` certamente l’inimputabilità: c’e` un fatto tipico antigiuridico, ma non e` rimproverabile, perché il soggetto non e` in grado di intendere e di volere. Qui non e` in gioco un bilanciamento di beni in conflitto, come avveniva nelle cause di giustificazione, ma e` in gioco la non rimproverabilita` soggettiva in una situazione particolare. La terza situazione di non punibilita’ presente nel nostro ordinamento è data dalle: c) cause di non punibilità in senso stretto [in presenza delle quali il fatto resta illecito e colpevole, ma non è punibile in forza di una valutazione di non opportunità dell’intervento penale in un dato contesto (cfr. l’art. 649 c.p.)]. Es.: l’ ultima norma del libero secondo (che riguarda i delitti contro il patrimonio), Art 649 c.p.: “Non e` punibile chi ha commesso uno dei fatti preveduti da questo titolo (delitti contro il patrimonio) in danno del coniuge non legalmente separato, dell’ascendete o discendente, di un fratello e di una sorella ecc …” . Quindi: delitti contro il patrimonio commessi all’interno della famiglia non sono puniti. Qual e` la ratio in questi casi? Forse che il padre che ruba al figlio, o il fratello che ruba alla sorella commette un fatto lecito? Assolutamente no. Forse che il fratello che ruba alla sorella non e` rimproveratile? E` certamente rimproverabile. Sicuramente non si tratta né di un fatto lecito (è sempre un fatto illecito/antigiuridico), né di un fatto non rimproverabile (è rimproverabile/colpevole). Ma allora perché l’Art 649 c.p. prevede una non punibilità? Qual e` la ragione? Che tipo di considerazione e` stata fatta? L’ordinamento giuridico in sostanza ragiona cosi: l’intervento penale e` cosi delicato che l’ordinamento non ritiene di doverlo spendere all’interno di una famiglia per mere ragioni patrimoniali; l’ordinamento interviene all’interno di una famiglia se c’e` un maltrattamento o una violenza sessuale, ma non ritiene di intervenire, con gli effetti devastanti di un procedimento penale, per ragioni puramente patrimoniali. Ovviamente chi nella famiglia ha subito un furto o altro, visto che non e` un fatto lecito, potrà rivolgersi al giudice civile. Perché l’ordinamento non vuole punire i furti in famiglia? Proprio perché l’intervento dell’ordinamento sarebbe inopportuno, perché gli effetti deleteri, secondo il legislatore, sarebbero maggiori degli effetti positivi. Quindi: in presenza di una causa di non punibilita’ in senso stretto, il fatto rimane illecito/antigiuridico, il fatto rimane colpevole/rimproverabile, cio’ che viene meno è solo la punibilita’ del fatto in forza di una valutazione di non opportunita’ dell’intervento penale in un dato contesto. Riepilogo. Facendo un riepilogo di quanto abbiamo detto riguardo alle tre categorie della non punibilità: la prima categoria è costituita dalle cause di giustificazione o scriminanti; la seconda categoria è data dalle cause di esclusione della colpevolezza o scusanti; la terza categoria è data dalle cause di non punibilità in senso stretto. La ratio di questa terza categoria non e` il bilanciamento tra beni (perché non si preferisce il diritto del padre a quello del figlio e viceversa), non è l’assenza della possibilita’ di muovere un rimprovero, ma è una mera valutazione di opportunità politico criminale. Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato”. Quindi: la distinzione operata non è tripartita, ma bipartita e cioè è tra circostanze/cause soggettive e oggettive. Le circostanze soggettive hanno rilevanza, appunto, soggettiva, quindi si applicano solo al concorrente cui si riferiscono. Es: se tre persone vanno a commettere un furto e una delle tre e` non imputabile per vizio del consenso oppure perché e` inferiore di anni quattordici, quest’ultimo non e` punibile, ma gli altri restano punibili. Tra le circostanze soggettive rientrano sicuramente le scusanti/cause di esclusione della colpevolezza, perché cio’ che viene meno è la colpevolezza del singolo soggetto cui si riferiscono (e` chiaro che se la moglie fa da mangiare per il marito latitante lei non e` punita, ma l’eventuale altro soggetto della banda che porta al marito latitante ciò che ha preparato la moglie resta punibile). Le circostanze oggettive hanno rilevanza, appunto, oggettiva, quindi si estendono a tutti i compartecipi. Tra le circostanze oggettive rientrano sicuramente le cause di giustificazione/scriminanti, perché cio’ che viene meno è l’illiceita’ del fatto e se il fatto diviene lecito, diviene lecito nei confronti di tutti i compartecipi. Si lasciano fuori da generalizzazioni le cause di non punibilità in senso stretto, perché si e` sempre detto che, per questo tipo di circostanze di esclusione della punibilita’, si deve analizzare volta per volta la dimensione soggettiva ed oggettiva. N.B.  la legittima difesa è una causa di giustificazione/circostanza oggettiva di non punibilita’. Il problematico inquadramento giuridico dello stato di necessità (art. 54 c.p.), quale norma che lascia impunita una condotta offensiva posta in essere nei confronti di un soggetto non aggressore, vale a dire innocente (per cui ha un ambito applicativo più ristretto rispetto alla legittima difesa, in quanto riferito, salva sempre la proporzionalità, al solo «pericolo attuale di un danno grave alla persona»). Tra le tradizionali cause di giustificazione si annovera anche lo stato di necessità: Art. 54 (“Stato di necessita’”) cp  una delle norme più particolari e complesse del nostro ordinamento giuridico. Art. 54 (“Stato di necessita’”) cp: “Non e` punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se` od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, ne` altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo (e sempre che la persona non abbia un dovere giuridico di esporsi al pericolo)”. L’ambito applicativo dello stato di necessita’ è piu’ ristretto rispetto alla legittima difesa: mentre nella legittima difesa si può agire per la tutela di qualsiasi diritto aggredito, purché ci sia proporzione, nello stato di necessità si può agire al solo pericolo attuale di danno grave alla persona, salva sempre la proporzionalita’ (quindi: a tutela della persona e solo quando e` in gioco l’incolumità della stessa). Perché? Che cosa caratterizza lo stato di necessità rispetto alla legittima difesa e che lo rende più delicato? Lo stato di necessità e` una norma molto delicata, perché lascia impunita la condotta offensiva posta in essere nei confronti del soggetto non aggressore, dell’innocente  consente di agire a danno dell’innocente, di chi non ha fatto nulla. L’ipotesi nella quale il soggetto attivo agisce per salvare se stesso appare inquadrabile più come causa di esclusione della colpevolezza che come causa di giustificazione. Rimaniamo al caso base: una persona agisce contro un altro innocente in modo proporzionato per salvare se stesso (es.: naufrago che per salvare se stesso fa annegare l’altro naufrago onde appropriarsi dell’unico pezzo di legno che può metterlo in salvo), e` una causa di giustificazione? Oggi, seguendo anche il codice tedesco che distingue due figure di stato di necessità (lo stato di necessità scusante e lo stato di necessità giustificante), anche gran parte della dottrina italiana dice che l’ipotesi appena menzionata sarebbe una causa di esclusione della colpevolezza: non e` che l’ordinamento giuridico qui fa un bilanciamento, anzi deve rimanere in equilibrio e non e` che colui che fa annegare il prossimo per salvare se stesso fa una cosa lecita, semmai l’ordinamento comprende la sua situazione, comprende l’istinto di sopravvivenza o che il soggetto si e` trovato in una situazione molto diversa dagli altri. In una società di altissima tensione morale si potrebbe anche dire che non si dovrebbe mai compromettere l’altro per salvare se stessi, ma se si e` arrivati ad uccidere l’altro per salvare se stessi, e` sicuramente ovvio che doveva sussistere l’ipotesi della morte del soggetto che ha deciso di salvarsi uccidendo l’altro, pericolo attuale. Diversamente il c.d. soccorso di necessità (che sia realizza in favore di un terzo), specie con riguardo all’ipotesi della condotta posta in essere privilegiando la tutela di un bene preminente rispetto a un altro bene entrambi riferibili a una medesima persona (è il caso del medico che agisce per la salvaguardia della vita o della salute in situazioni nelle quali il paziente non è in grado di prestare il proprio consenso). Ma le situazioni di stato di necessità non sono solo queste, nell’esempio appena fatto abbiamo che la persona salva se stessa dal pericolo dal pericolo attuale di danno grave alla persona perpetrando una condotta offensiva nei confronti dell’innocente, ma l’aspetto delicatissimo dello stato di necessità sta nel un piccolo inciso “salvare altri”. La norma dello stato di necessità consente di non punire non solo chi ha compromesso un innocente per salvare se stesso, ma consente anche di non punire colui che non pativa alcun pericolo, ma che ha agito/ è intervenuto per salvare/evitare ad altri un pericolo attuale di danno grave alla persona. Questa cosa non desta particolari problemi, perché tutto sommato forse era questo che pensava il codice del 1930 quando un terzo agisce offendendo il bene di un altro, ma per privilegiare un altro bene di quella stessa persona: e` il caso del medico che agisce in stato di necessità in pronto soccorso quando la persona non e` in grado di esprimersi  arriva l’ambulanza dopo l’incidente stradale, il medico fa una valutazione e poniamo che ci siano essere diverse strade terapeutiche, ma tutte con alcuni rischi e con certi benefici, è il medico a scegliere. Ordinariamente la decisione ultima spetta al paziente, ma qui il medico non ha il tempo di agire anche sulla base della lettura, spiegazione e comprensione (da parte del paziente) del modulo informativo del consenso e quindi il medico agisce in stato di necessità, quindi agisce sulla base di una ponderazione oggettiva tra beni: tra il bene rappresentato dal recupero dell’autonomia del paziente e il bene vita del paziente, il medico ovviamente salva la vita del paziente, perché il medico, non potendo interagire con il paziente, sceglie l’intervento che sembra tutto sommato più appropriato. In questo caso sicuramente non si tratta di una scusante, ma di una causa di giustificazione, perché il medico ha il dovere di agire e lo fa facendo soccombere un diritto del paziente per privilegiare un maggiore diritto del paziente stesso. Risulta invece delicatissima, e dai confini molto problematici, l’intervento in favore di un terzo, ma a danno di un altro soggetto: in tal caso colui che agisce, non essendo egli stesso in pericolo, opera una scelta, quanto alla tutela, fra altri soggetti (di certo l’art. 54 c.p., in simili casi, non potrebbe applicato senza delimitazioni implicite). Il problema diventa delicatissimo quando una persona, un terzo che non e` in pericolo, dovesse decidere di modificare il corso degli eventi: c’e` A che non e` in pericolo, A vede B in pericolo e lo salva compromettendo C. Questa e` una delle problematiche più delicate, perché, prendendo alla lettera dell’Art. 54 cp, si potrebbe arrivare a dire questo: c’e` Tizio che ha bisogno urgentissimo di un trapianto di rene altrimenti muore, il medico sa che Caio ha un rene compatibile e prende il rene di Caio per salvare Tizio  pericolo attuale di un danno grave alla persona, proporzione, salvataggio dell’altro. La formula di per se consentirebbe di operare cosi, ma cosi’ non si puo’ operare, allora questa formula va interpretata e questo e` uno dei problemi piu’ delicati del c.d. soccorso di necessità: cioè quando un terzo non in pericolo interviene sulla situazione di pericolo di taluno compromettendo altri. In che misura lo può fare? Il caso che si riporta e` delicatissimo, perché nessuno può intervenire sul corpo di un altra persona, salvo per disposizione di legge, senza che questi lo consenta. La legge consente, a certe condizioni, la donazione di un rene da un vivente, ma sicuramente non si può essere costretti a donare un rene per salvare un altra persona. Es: un aereo sta andando a schiantarsi sulle Torri Gemelle, si può dare l’ordine di fare alzare in volo un caccia per abbattere l’aereo prima che questo si schianti sulle Torri Gemelle? Si deve notare che su questo specifico esempio c’e` stato addirittura un intervento della Corte Costituzionale, perché la Germania aveva fatto una legge, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, per cui a certe condizioni poteva verificarsi cio. La Corte Costituzionale sostiene che non ci si può ergere ex ante a decidere chi si salva e che perisce, non si può ragionare in base ad un criterio meramente quantitativo. Queste sono questioni delicatissime che probabilmente la norma sullo stato di necessità non si era nemmeno posta. Qui si tratta, quindi, di decidere come operare in certi frangenti e allora, un conto e` giocare con gli esempi irrealistici degli scambi dei treni che diventava soltanto una questione teoria, ma poi si vede che la realtà finisce per essere molto più ampia e con situazioni ben più drammatiche. ... e all’art. 59, commi 1 e 4, c.p.: critica – onde evitare che si violi in malam partem il principio di legalità – dell’opinione (fondata sull’asserito venir meno, in tali casi, della ratio della non punibilità) Qualcuno dice: perché se quel figlio ha rubato l’orologio a una persona esterna alla famiglia, anche se credeva che fosse di suo padre, lo si deve mandare esente da pena? Non c’e` più l’esigenza di tutela della famiglia visto che di fatto Tizio ha rubato l’orologio di una terza persona e questo comportamento e` sia antigiuridico che colpevole. Anche qui il ragionamento ha una sua qualche logica, ma ancora una volta si tratterebbe di un limite all’applicabilità del c.4 in malam partem e quindi un estensione dell’ambito del punibile: non si possono, seppure esistente una plausibilità logica, introdurre distinzioni che sono in malam partem rispetto al testo normativo. Lezione 07/03/2016 Omicidio stradale e lesioni stradali: i nuovi delitti di cui agli artt. 589-bis ss. e 590-bis ss.. Le abrogazioni parziali intervenute negli artt. 589 e 590 c.p. (vedi testi in “materiali didattici”). L’apoteosi di una visione preventiva fondata sulla intimidazione, che utilizza pene esemplari immemori delle aporie del reato colposo e tralascia il ruolo della prevenzione primaria. Riprendiamo constatando che il nostro legislatore ci obbliga a correggere qualcosa di quanto abbiamo gia` imparato. Diamo uno sguardo per primo all’omicidio stradale, la normativa non e` ancora sulla G.U. (lo sarà tra qualche giorno) e quindi diamo una lettura agli aspetti che ci interessano maggiormente (poi la normativa e` complessa anche per una moltitudine di norme che incidono sulla procedura e quant’altro, ma noi rimaniamo sugli aspetti più generali). Dopo l’omicidio colposo (Art 589 c.p.), si profila un nuovo reato che pero’ sostituisce per alcuni profili quanto disposto dall’Art 589 c.p. stesso. Vediamo di cosa si tratta  abbiamo l’aggiunta di norme bis all’Art. 589 c.p., Art. 589-bis (“Omicidio stradale”) e Art. 589-ter; e di altre norme bis all’Art 590 c.p., l’Art. 590-bis c.p viene assorbito e sostituito da un altra norma (Art. 590-quater) + il nuovo Art 590-bis (“Lesioni personali gravi o gravissime”) potremmo dire costituisca il parallelo dell’omicidio stradale, poi abbiamo l’Art. 590-ter, quater e ss. Che cosa dire come presentazione complessiva? Il legislatore continua ad enfatizzare la scelta del fare prevenzione attraverso l’intimidazione, attraverso la modalità più semplice: si elevano ulteriormente le pene, sperando/immaginando che ne sortisca un effetto intimidatorio, di prevenzione. Tutto si continua a giocare sulla minaccia a posteriori e sull’idea che, tutto sommato, forse la risposta sanzionatoria rispetto a quella singola persona potra’ anche diventare ingiusta, ma quella persona serve per intimidazione. Ad avviso del Prof. forse si dovrebbe introdurre il principio secondo cui, nella norma penale, l’aumento dell’entità delle sanzioni viene consentito solo ove siano fatti gli interventi di prevenzione primaria necessari, perché noi abbiamo una strategia sull’omicidio stradale che nulla dice su tutta una serie di interventi che potrebbero avere un grosso significato sia dal punto di vista della prevenzione primaria (pensiamo solo a qualche investimento sulla manutenzione delle strade, in alcuni punti pericolosi  il Prof. cita un punto di una galleria che si trova sulla strada da Brescia che ha prodotto per vent’anni decine di morti), sia dal punto di vista della prevenzione anticipata. Il Prof. critica la logica suddetta, soprattutto pensando ai possibili rimedi esperibili che non comporterebbero il carcere raddoppiato per l’imputato come, per esempio, l’introduzione di autovelox non preannunciati. Ad oggi, tutto si gioca sul fatto che se malauguratamente la ruota va oltre la linea continua e succede qualcosa, la vita del guidatore che erra e` distrutta. Adesso pero analizziamo le norme. Art. 589-bis (“Omicidio stradale”): “Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla circolazione stradale e` punito con la reclusione da due a sette anni”. Qui non cambia niente, perché l’Art 589 c.p. prevedeva, al c.2, l’ipotesi di un omicidio realizzato per violazione delle norme sulla circolazione stradale o degli infortuni sul lavoro con questo stesso livello sanzionatorio generale. Le cose cambiano, invece, molto con l’ Art. 589-bis, c.2, perché stabilisce che: “Chiunque ponendosi alla giuda di un veicolo a motore in stato di ebrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti ai sensi rispettivamente dell’art 186, c.2 lett. c (in questo caso l’ipotesi sarebbe di un tasso alcolemico/concentrazione alcolica superiore a 1,5 mg per litro) e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 2851,cagioni per colpa la morte di una persona e` punto con la pena della reclusione da otto a dodici anni” . Qui le cose cambiano molto: la differenza e` enorme soprattutto rispetto al minimo, perché mentre prima avevamo una pena da tre a dieci anni (minimo è dato da tre anni), oggi è da otto a dodici (il minimo è dato da otto)  e sappiamo bene che mentre i massimi edittali sono sempre gestibili dal giudice, i minimi edittali sono, invece, vincolanti per il giudice). Proseguendo, al c.3, viene stabilito che: “La stessa pena si applica al conducente di veicolo a motore di cui all’articolo 186-bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (di un autobus o di un camion), il quale, in stato di ebrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, c.2 lett. b) del codice della strada (lett. b): tasso alcolimetro compreso tra 0,8 e 1,5 mg per litro) cagioni per colpa la morte di una persona”. Quindi, se l’autore del reato e` l’autista di un autobus, di un camion o di analoghi, abbiamo una estensione dell’ambito del punibile, perché rileva gia` il tasso alcolimetro oltre lo 0,8. Al c.4, poi, si prevede che: “Salvo quanto viene previsto dal terzo comma, chiunque (il comune cittadino), ponendosi alla giuda di un veicolo a motore in stato di ebrezza alcolica ai sensi dell’Art. 186, c.2, lettera b) del decreto legislativo del 1992 (con il tasso alcolimetro di cui alla lett. b), quindi compreso tra 0,8 e 1,5), cagioni per colpa la morte di una persona e` punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. Quindi, mentre l’autista del camion o del autobus, anche se si trova alla soglia intermedia di tasso alcolemico (lett. b) viene punito con reclusione da otto a dodici anni, gli altri/chiunque (i comuni cittadini) sono puniti con la reclusione da cinque a dieci anni. 1 Il d.lgs. n.285/1992 è il codice della strada. Bisogna fare attenzione a quello che viene dopo, perché quanto abbiamo sino a qui detto riguarda soltanto il tasso alcol emico, al c.5, si dice: “La pena di cui al comma precedente (quindi dai cinque ai dieci anni di reclusione) si applica altresì: 1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 Km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona”. Il livello intermedio di pena da cinque a dieci anni è quindi previsto per chi, nel centro urbano, procedendo, per es., a 100 km/h cagiona per colpa la morte di una persona  se il limite fosse di 30 Km/h, il doppio sarebbe 60 Km/h, quindi comunque non si verrebbe puniti, perché la velocita’ non puo’ comunque essere inferiore a 70 Km/h “2) Al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un intersezione con il semaforo disposto al rosso (passando ad un incrocio quando c’e` il rosso) ovvero circolando contromano cagioni per colpa la morte di una persona viene punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. La punizione va da cinque a dieci anni di reclusione anche per chi passa ad un incrocio con il semaforo rosso e si realizza, come sciagurata conseguenza, la morte di una persona. “3) Al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona, e` punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. Qui sussiste anche un problema di riconoscibilità, perché a volte gli attraversamenti pedonali non sono efficientemente indicati. Dunque, queste sono le nuove ipotesi introdotte: il livello di punibilità da cinque a dieci anni - che e` un livello intermedio – e, aldilà di tutte le ipotesi riguardanti il tasso alcolemico, questi tre contesti che abbiamo appena analizzato (contesti che non c’entrano nulla con il tasso alcolemico, ma che vengono paragonati alla pena prevista per chi guida in stato di ebrezza). Il c.6, dice:“Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena e` aumentata se il fatto e` commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui un veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria”. In questo caso bisogna fare attenzione, perché e` chiaro che il viaggiare senza la copertura assicurativa e` cosa oltremodo disdicevole – in quanto mostra una radicale insensibilità per il prossimo che resterebbe privo della sicurezza del risarcimento – ma, fermo restando cio`, questo con le condizione di realizzazione di omicidio colposo, davvero non c’entra nulla: cioè si da rilievo come aggravante ad un fattore che implica una mera responsabilità di posizione, perché il fatto di non avere un assicurazione, non c’entra assolutamente nulla con l’omicidio colposo. Tra l'altro, con una disparità palese di trattamento a seconda del fatto che si stia guidando una vettura di (propria) proprietà o che invece si stia guidando una vettura di cui non si è proprietari. Si esclude il giudizio di prevalenza ed equivalenza e quindi non si può, in funzione di eventuali attenuanti, tornarsi ad applicare il reato non aggravato (che per l’omicidio stradale prevede la reclusione da due a sette anni). Sicuramente questa normativa che configura l’omicidio stradale come reato autonomo, non consentendo più di considerare questa ipotesi come un’ipotesi aggravata. Il vecchio Art 589 c.p., invece, diceva: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona e` punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto e` commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale la reclusione e` superiore”. Adesso, invece, abbiamo la configurazione di un reato autonomo e non più di un reato aggravato. Ci sono poi tutta una serie di altre modifiche al codice penale. a) Relativamente ai termini di prescrizione, viene modificato l’Art 157, c.6 c.p.. b) Viene inserita anche una modifica che con la strada non c’entra nulla, perché all’Art 582, c.1 c.p. (che riguarda le lesioni lievi/base), il minimo di pena passa da tre mesi a sei mesi. c) All’Art 589, c.2 c.p. possiamo vedere che le parole “sulla disciplina sulla circolazione stradale” sono soppresse. d) All’Art. 589, il c.3 e` abrogato  il c.3 preveda il caso in cui si fosse cagionata la morte con violazione delle norme stradali e avendo assunto stupefacenti o avendo il tasso alcolimetrico superiore a quello della famosa lett. c). Adesso, quello che era previsto all’Art 589, c.3 c.p. ha il regime che abbiamo illustrato in cui c’e` un nuovo reato base autonomo, che e` l’omicidio stradale, che ha lo stesso livello sanzionatorio del c.2 (abrogato) del vecchio art 589 c.p., ma che prevede poi, nella aggravante successiva, dei livelli sanzionatori molto maggiori in quello spazio edittale compreso tra gli otto e i dodici anni. Questo fa si che l’Art 589, c.2 c.p. preveda soltanto il caso “se il fatto e` commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” e la pena, in questo caso, e` della reclusione da due a sette anni come ipotesi aggravata. e) All’Art. 590, c.3, primo perioso, le parole “sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle” vengono soppresse. f) All’Art. 590, c.3, il secondo periodo è soppresso. Alcuni dei primi commenti pongono un problema (che peraltro già esisteva nell’Art 590 c.p.) rispetto ad altre situazioni: cioè che viene creata una diversità di trattamento nell’ambito di due contesti che invece erano stati equiparati  quello della violazione delle norme sulla circolazione stradale e quello della violazione delle norme sull’infortunistica del lavoro. È chiaro che il problema degli stupefacenti e del tasso alcoli metrico, già prima influiva soltanto sulla violazione delle norme stradali, ma la scelta di prevedere ipotesi aggravanti dell’omicidio colposo, rispetto a due settori particolari, certamente crea una differenziazione rispetto al medesimo omicidio colposo, che venga realizzato attraverso altre tipologie di violazione. Es: poniamo che venga commesso un errore dal controllore di volo che in un aeroporto porta alla collisione di due aerei con morti e allora qui abbiamo una situazione che resta riferita all’omicidio colposo base. Tra le questioni che vale ancora la pena considerare e` quella dell’accertamento. “Qualora il conducente rifiuti di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebrezza alcolica ovvero di alterazione correlata all’assunzione di stupefacenti, se vi e` fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il decreto di cui al comma due (si deve tornare alla norma base) … Gli ufficiali di Polizia Giudiziaria procedono all’accompagnamento dell’interessato presso il più vicino presidio ospedaliero al fine di sottoporlo al necessario prelievo o accertamento”. Si procede, quindi, all’esecuzione coattiva delle operazioni di accertamento. Queste norme/novita’ attengono tutte a modifiche che influiscono sul cpp. Abbiamo quindi dato uno sguardo limitato alle norme di rilievo penale e alle modifiche che refluiscono sull’Art 589 c.p. e all’introduzione di queste ulteriori fattispecie. I d.lgs. nn. 7 e 8/2016 D.Lgs n. 7 e 8 del 2016: sono due decreti legislativi in attuazione della L.delega n. 67 del 2014 (quella famosa legge delega che aveva anche previsto la delega, attuata nella primavera del 2015, sulla particolare tenuità del fatto  quella della prevedeva la particolare tenuità del fatto). Della legge delega si era occupata la Commissione Pisapia e di quella legge delega il Governo non ha attuato quella che forse sarebbe stata la novità più significativa: cioè il fatto che essa prevedeva, per la prima volta dopo 84 anni dalla entrata in vigore del codice Rocco, l’introduzione di una nuova pena principale: la reclusione domiciliare (non la detenzione domiciliare, che e` una misura alternativa che esiste già) come pena principale che sarebbe stata prevista per reati punibili finora nel massimo con pena non superiore a cinque anni. La Commissione Pisapia aveva lavorato molto per rendere quella reclusione domiciliare una sanzione gestibile dal giudice (perché sarebbe difficile chiudere una persona in una/due stanze, se non e` un ricco, e non prevedere nessuna disposizione sul lavoro del condannato o sulle uscite e altro); la Commissione aveva creato una normativa prevedendo anche l’utilizzo del braccialetto elettronico, ma il legislatore non ha esercitato quella delega. Il legislatore ha pero` esercitato, l’anno scorso, la delega sulla non punibilità per tenuita’ del fatto e adesso le altre due deleghe di cui diciamo. Bisogna tenere presente che la legge delega 67/2014 non prevedeva soltanto deleghe, ma e` la stessa legge che ha introdotto la sospensione del processo con messa alla prova, in un ambito pur limitato, per gli adulti. Quindi: questa normativa aveva sia una parte di carattere ordinario/di legge ordinaria, tale da comportare immediatamente delle modifiche al sistema penale, sia una parte attraverso la quale il Parlamento dava legge delega al Governo. Il Decreto Legislativo n.7/2016. Il D.Lgs n.7 non fa solo un operazione tradizionale, ma introduce qualcosa di assolutamente nuovo nel nostro sistema e cio’ lo possiamo notare anche solo dal titolo: “Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n.67”. Abrogazione di reati significa che un reato non esiste piu’: il reato non esiste più come reato e nemmeno come illecito di diritto pubblico  il reato, cioè, non diventa illecito amministrativo (non viene depenalizzato), ma viene proprio abrogato. Questo non vuol dire che il reato diventi tout court lecito, ma che resta illecito solo sul piano civile. La abrogazione di alcuni reati minori – fra gli altri l’ingiuria (art. 594) e la sottrazione di cose comuni (art. 627) – e la sanzionabilità dei medesimi illeciti sul solo piano civile, ma prevedendo, oltre al risarcimento civilistico del danneggiato, una sanzione pecuniaria civile devoluta alla cassa delle ammende (e pertanto in funzione di una ritenuta, persistente rilevanza pubblica di tali illeciti), i cui criteri di commisurazione sono indicati all’art. 5 d.lgs. n. 7/2016. La novità sta nel fatto che viene introdotta, per la prima volta nel nostro sistema italiano, una possibilità che non e` infrequente nel sistema anglosassone, e cioè che: il giudice civile dinnanzi a certi reati possa applicare, non solo una sanzione civile che vada a favore della persona offesa (il giudice civile può applicare talora un risarcimento del danno, talaltra delle vere e proprie sanzioni civili che vanno a favore della persona che ha patito il danno) ma anche, per la commissione di certi illeciti, una componente sanzionatoria in funzione di un interesse pubblico  il fatto cioè non e` più reato, non e` più illecito amministrativo, ma si riconosce che quell’illecito pur essendo soltanto un illecito civile abbia anche una dimensione di offesa di beni pubblici, per cui si prevede una sanzione amministrativa che non va a beneficio della controparte civile (della persona che ha subito il danno), ma va a beneficio dello Stato  v. Art. 3 del decreto in questione. I reati abrogati sono queli contenuti nei seguenti articoli del codice penale: - Artt 485 e 486 c.p.  riguarda la falsità della scrittura privata e la falsità del foglio firmato in bianco; - Art 594 c.p.  riguarda l’ingiuria (cio’ che si è abrogato è stato il reato di ingiuria, ma non la diffamazione: quello che avevamo detto riguardo alla prova liberatoria certamente rimane penalmente rilevante rispetto alla diffamazione. Si deve ritenere che anche l’ingiuria resta comunque scriminata nei casi in cui si deve riconoscere la sussistenza di quella che avevamo considerato come una causa di giustificazione. - Art. 627  sottrazione di cose comuni; - Art. 647 appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito. Oltre queste abrogazioni sono previste una serie di modifiche al codice penale e, in particolare, le modifiche all’Art 596 c.p. riguardante la prova liberatoria: ossia, ai casi in cui, in presenza di ingiuria e di diffamazione, la dimostrazione della veridicità dell’addebito renda il fatto lecito. Tra queste ipotesi abbiamo, sicuramente quelle introdotte nel 1944, quando si volle segnalare il passaggio da un regime totalitario ad un altro che non lo era (perché la esclusione radicale della prova liberatoria in presenza di ingiuria o diffamazione voleva dire negare la libertà di stampa e voleva dire che se un giornalista avesse scritto qualche cosa, di pur vero, rispetto al comportamento ad es. di un pubblico ufficiale, sarebbe stato soggetto al delitto di diffamazione a mezzo stampa e quindi in questo modo si toglieva del tutto la libertà di stampa ). Rientrano tra gli illeciti civili anche: la fattispecie del comproprietario che si impossessa della cosa comune, ovvero il caso del reato di sottrazione di cosa comune (ora abrogato); il reato di danneggiamento semplice (non e` più reato); la fattispecie di chi trova danaro o altre cose smarrite e se ne appropria senza seguire le procedure di legge (ora abrogato); la fattispecie di chi si appropria di cose di cui e` venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito. Si deve notare che per l’ingiuria, con i c.2-3 dello stesso Art. 4 del d.lgs., viene recuperato quello che era il contenuto della ritorsione e che e` stato abrogato, si stabilisce infatti che: “Nel caso di cui alla lett. a) del primo comma – ingiuria – se le offese sono reciproche, il giudice può non applicare la sanzione pecuniaria civile a taluno o a entrambi gli offensori. Non e` sanzionatile chi ha commesso il fatto previsto dal comma primo alla lett. a (sempre ingiuria) del presente articolo, nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso”. Quindi si vede bene come la ritorsione e la provocazione, che non rilevano più sul piano penale, sono pero’ recuperate rispetto all’ingiuria e rispetto a questa nuova modalità della sanzione civile. Art. 4, c.4: “Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro 200 a euro 1200: a) chi facendo uso o lasciando che altri facciano uso di una scrittura privata da lui falsamente firmata … ”. Abbiamo, qui, altre ipotesi di illeciti civili sottoposti a sanzione pecuniaria, ma rispetto a cui si eleva la sanzione comminabile stessa, cio’ in realzione al livello, ritenuto di maggiore gravita, dei rispettivi illeciti penali abrogati: siamo nell’ambito dei falsi. Criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria: Art. 5 (“Criteri di commisurazione delle sanzioni pecuniarie”) d.lgs. 7/2016. La sanzione pecuniaria e’ completamente nuova, perché pur essendo applicata da parte di un giudice civile in un procedimento civile (Art. 8), non va a beneficio della controparte civile/persona danneggiata. Art. 5 (“Criteri di commisurazione delle sanzioni pecuniarie”): “L’importo della sanzione pecuniaria civile e` determinata dal giudice tenuto conto dei seguenti criteri (abbiamo una sorta di Art 133 c.p. che riguarda questa sanzione pecuniaria civile): a) gravità della violazione; b) reiterazione dell’illecito; c) arricchimento del soggetto responsabile; d) opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito; e) personalita’ dell’agente; f) condizioni economiche dell’agente”. Come si vede, alla lett. e) si fa riferimento alla personalità dell’agente e quindi, e` vero che non siamo nell’ambito del penale, ma un criterio di determinazione imperniato sulla personalità dell’agente lascia davvero interdetti. Si da, inoltre, una definizione del termine reiterazione (Art. 6). L’Art. 8 (“Procedimento”), sancisce che: “Le sanzioni pecuniarie civili sono applicate dal giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento del danno. Il giudice decide sull’applicazione della sanzione civile pecuniaria al termine del giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa. La sanzione pecuniaria civile non può essere applicata quando l’atto introduttivo del giudizio è stato notificato nelle forme di cui all’articolo 143 del codice di procedura civile, salvo che la controparte si sia costituita in giudizio o risulti con certezza che abbia avuto comunque conoscenza del processo. Al procedimento, anche ai fini dell’irrogazione della sanzione pecuniaria civile, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili con le norme del presente capo”. Rispetto al c.2: solo se c’e` una proposta/domanda di risarcimento per la persona offesa ci puo’ essere anche la sanzione civile. Rispetto al c. 4: al procedimento si applicano le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili con le norme del presente capo, quindi, comunque, questa sanzione dipende pur sempre dall’accoglimento della domanda di risarcimento. Questa e` una norma ancora da attuare con Decreto del Ministro della Giustizia (Orlando) entro sei mesi. Sono stabiliti anche termini e modalità per il pagamento della sanzione civile + sono previste delle rate. Cio’ che ancora di interessante c’è è l’Art 10 (“Destinazione del provento della sanzione”): “Il provento della sanzione pecuniaria civile e` devoluto in favore della Cassa delle Ammende”. Quindi: il fatto che il provento della sanzione pecuniaria civile e` devoluto in favore della Cassa delle Ammende ci fa capire come questa sanzione pecuniaria civile non abbia nulla a che fare con il procedimento civile, perché il risarcimento del danno non va alla controparte, ma va allo Stato. Concludendo: abbiamo capito che la nostra riflessione sul sistema sanzionatorio si deve arricchire di un nuovo capitolo, di qualche cosa che non e` una sanzione penale, non e` una sanzione amministrativa di diritto pubblico, ovviamente non e` quella particolare sanzione amministrativa per reato che riguarda le persone giuridiche, ma si tratta di una sanzione civile che però corrisponde ad una riconosciuta rilevanza non solo privatistica, ma anche pubblicistica di illeciti, illeciti che pure, per decisione del legislatore, non sono più illeciti di rilievo pubblico sul piano penale o amministrativo. La dimensione di rilievo, non solo privatistica, ma pure pubblicistica, di questi illeciti che in se non sono più di rilievo pubblico ne` sul piano penale ne` sul piano amministrativo, viene segnalata attraverso la previsione che il giudice civile applichi una particolare aggiuntiva sanzione civile a favore della Cassa delle Ammende (cosa del tutto nuova nel nostro sistema). Il Decreto legislativo n.8/2016. Il D.Lgs n.8 è rubricato: “Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’Art. 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67”. Qui non si parla di abrogazione, ma di depenalizzazione (quando troviamo il termine abrogazione l’illecito non e` più tale sul piano del diritto pubblico): nel caso di depenalizzazione l’illecito rimane tale nel diritto pubblico, solo che non si tratta piu’ di illecito penale, ma di illecito amministrativo. Qual e` la differenza essenziale tra illecito penale e illecito amministrativo? La risposta che ci si può attendere da chi non e` molto preparato e` che la differenza sia da rilevarsi sul piano della sanzione che si commina, ossia come l’illecito amministrativo applica sanzioni pecuniarie, ma non e` del tutto cosi: innanzitutto perché anche l’illecito penale applica sanzioni pecuniarie e poi perché l’illecito amministrativo può prevedere molti altri provvedimenti/sanzioni oltre quella pecuniaria, come per esempio un ordine di demolizione di un edificio che e` stato costruito in violazione delle norme sull’edilizia. La differenza vera ed essenziale tra illecito penale e illecito amministrativo sta in questo: se si tratta di un illecito amministrativo si torna alla regola principale e cioè che il potere coercitivo dello Stato viene esercitato dall’autorità amministrativa + se si ha qualcosa da obiettare si farà ricorso o al superiore gerarchico o in sede giudiziaria (se si ritiene che l’autorità amministrativa abbia esercitato in maniera scorretta i suoi poter o si va al TAR ecc); se la materia e` penale/se si tratta di un illecito penale, eccezionalmente, la potestà coercitiva dello Stato, essendo la massima immaginabile (potendo arrivare a vincolare la libertà personale), non e` esercitata dall’autorità amministrativa, ma direttamente dall’autorità giudiziaria + in questo caso, se si vuole obiettare al giudice penale si propone appello prima alla Corte d’Appello poi alla Corte di Cassazione. È importante il doppio grado di giudizio, in quanto di fronte ad un atto della potestà statale si deve poter proporre una verifica: nell’illecito penale c’è un eccezione, consistente in cio’ per cui questa particolarissima espressione della potestà coercitiva statale viene esercitata direttamente dal giudice, proprio per un esigenza di maggiore garanzia, ma questo non deve togliere la possibilità di avere una valutazione in secondo grado. Ulteriore differenza tra illecito penale e amministrativo, sta nel fatto che l’autorità amministrativa non ha i poteri di indagini che ha l’autorità giudiziaria, non sono previste, per esempio, misure cautelari personali nell’ambito amministrativo. Noi abbiamo, con questo decreto, la trasformazione di illeciti penali in illeciti amministrativi. La legge delega ha operato i c.d. tagli lineari (a cui la Commissione Pisapia si e` dovuta adeguare, perché la Commissione che attua una legge delega non ha molti spazi di manovra e deve obbedire alla legge delegata stessa) e cioè, all’Art. 1 (“Depenalizzazione di reati puniti con la sola pena pecuniaria ed esclusioni”) d.lgs n.8/2016 si e` detto:“Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, tutte le violazioni per le quali e` prevista la sola pena della multa o dell’ammenda”. Quindi la norma base, con delle eccezioni, e` quella per cui, nel nostro ordinamento penale, non dovrebbero più sussistere reati puniti con la sola pena pecuniaria e quelli che ci sono dovrebbero diventare illeciti amministrativi. Al c.2, si afferma che: “La disposizione del comma 1 si applica anche ai reati in esso previsti che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria. In tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato”. Su questo punto in Commissione Pisapia si e` sviluppata una notevole discussione. La Commissione stessa ha poi dato una bozza in mano al Governo, Governo il quale l’ha sostanzialmente recepita  perché il Governo, per attuare la delega, di solito chiama/nomina una Commissione di esperti che prepara il testo che poi il Governo stesso deve recepire totalmente o con eventuali modifiche. Dobbiamo fare due osservazioni finali molto importanti: 1. Sebbene con eccezioni (reati previsti nel codice penale e una serie di altre materie), che la legge delega non faceva, il messaggio che si da e` che nell’ordinamento italiano, in linea di massima, cio` che finora e` stato punito con sola ammenda o multa non deve essere più considerato reato: questo e` un messaggio assolutamente eccentrico rispetto agli ordinamenti di altri Paesi! In Germania i 3/4 dei reati sono gestiti con la pena pecuniaria per tassi e invece in Italia introduciamo un principio, seppure con una serie di deroghe (che l’ordinamento non si sente di tirar fuori dal codice penale), secondo cui la pena pecuniaria da sola non deve essere considerata una sanzione penale. Cioè, quella pena che nella maggior parte dei paesi, attraverso la dinamica per tassi, consente di gestire la gran parte dei reati, nel nostro ordinamento viene considerata come una sorta di realtà residuale, quasi che la pena pecuniaria da sola non possa essere uno strumento tipico del sistema penale. 2. Quando si fanno i tagli lineari (come quelli fatti nel nostro ordinamento) non ci si rende conto di lasciar fuori cose strane: ora, attraverso i Titoli possiamo vedere l’indicazione di quelle materie che sono escluse dalla depenalizzazione anche se hanno una pena di carattere pecuniario (sicurezza, lavoro, ambiente, territorio, paesaggio ed edilizia urbanistica). Tuttavia, quando si sono operati i tagli lineari, a nessuno e` saltato in mente di dire che non sono depenalizzati delitti contro la vita che vengono puniti con la sola pena pecuniaria, perché si è detto che i delitti contro la vita non sono sanzionati con sola pena pecuniaria  e invece non è cosi’: ne abbiamo uno nel nostro sistema  l’aborto da parte di donna consenziente. Quindi, nessuno si è accorto che l’aborto da parte di donna consenziente allo stesso, fuori dai casi della L. 194, era punito sia rispetto a chi pratica l’aborto sia rispetto alla donna. E, seppur con la pena piu’ assurda che si potesse immaginare, il reato di aborto rimaneva anche per la donna e fuori dai casi previsti dalla L. 194, punito con una sanzione pecuniaria, con una multa fino a 51 euro  e` la più assurda delle sanzioni che si potevano avere, sarebbe andata bene una sanzione di qualsiasi tipo, ma non una monetizzazione sul problema della vita umana (offensivo da Questa norma è stata depenalizzata, non rispetto a chi pratica aborto sulla donna, ma rispetto alla donna  rispetto alla donna consenziente, l’aborto viene depenalizzato + diventa un illecito amministrativo. Con la depenalizzazione a tagli lineari succede una cosa a cui nessuno sembra aver pensato e cioè: rispetto alla donna consenziente l’aborto viene depenalizzato e diventa illecito amministrativo e la sanzione, che prima era la multa fino ad euro 51, adesso è la sanzione amministrativa da cinquemila a diecimila euro  ed in piu’, dal punto di vista tecnico e` certamente delicato che una materia che attiene direttamente alla vita umana, finisca per non essere coperta dall’ambito penale N.B  la Commissione aveva segnalato la cosa anche al Governo ma si e` comunque proceduto. Lezione 08/03/2016 Ricettazione e riciclaggio (artt. 648 e 648-bis ss. c.p.): differenze nella struttura dei due reati e beni tutelati; in particolare, il riciclaggio come delitto finalizzato a impedire che venga ostacolato il riconoscimento della provenienza delittuosa di danaro o altri beni e, pertanto, al contrasto del riutilizzo nel mercato economico dei proventi da reato. Oggi affrontiamo un tema molto importante nella prevenzione della criminalità organizzata che si incentra sulla disciplina del riciclaggio, ma che ci impegna anche a conoscere la disciplina della ricettazione e dell’auto riciclaggio. Siamo nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, anche se la collocazione della norma relativa all’Art. 648.bis c.p. in materia di riciclaggio nei delitti contro il patrimonio e`, tutto sommato, legata alla sua affiliazione storica alla ricettazione. Il riciclaggio che cosa vuole in realtà evitare? Il riciclaggio, in realta’, non vuole evitare semplicemente un danno nei confronti del patrimonio; la ratio della norma che punisce il riciclaggio e` legata essenzialmente ad una esigenza di prevenzione della criminalita’ organizzata. Il riciclaggio consiste in operazioni che sono poste in essere in quanto rendono più difficoltosa l’identificazione della provenienza illecita di danaro. Noi abbiamo detto molte volte che, tranne in alcuni settori particolari, l’agire criminoso si fa per ragioni di lucro e il poter effettivamente usufruire del lucro illecitamente costituito richiede di poter riutilizzare quel danaro senza che si riconosca che sia di provenienza illecita - perché, altrimenti la sua utilizzazione si trasformerebbe/porterebbe immediatamente all’identificazione di un reato, e quindi si andrebbe a colpire il soggetto che ha commesso il reato (l’utilizzatore). Le operazioni di riciclaggio sono poste in essere da un soggetto non coinvolto nel reato (per ora diciamo questo poi ci occuperemo della fattispecie più specifica dell’auto-riciclaggio), che compie delle operazioni che rendono più difficoltosa l’identificazione della provenienza illecita. Il contrasto del riciclaggio e` importante, perché se davvero si rendesse impossibile l’utilizzazione del danaro di provenienza illecita e` chiaro che si porrebbe un ostacolo fondamentale all’interesse a commettere reati. Allora si può comprendere facilmente che l’esistenza di paradisi bancari sicuramente non svolge un ruolo di prevenzione del riciclaggio (lo avevamo detto quando parlavamo di strumenti di prevenzione primaria, perché se non ci fossero paradisi fiscali il riciclaggio o comunque i reati di danno al patrimonio non sussisterebbero in tal guisa). In Italia abbiamo le legislazioni anti-riciclaggio più convincenti e complete; altri Paesi, anche più grandi, non hanno gli stessi livelli di prevenzione del riciclaggio. La prevenzione del riciclaggio di danaro sporco non si attua essenzialmente attraverso il delitto di riciclaggio (tra poco leggeremo che e` previsto all’Art 648-bis c.p.), perché ricostruire a posteriori un riciclaggio che e` gia avvenuto e` molto difficoltoso  la prevenzione si attua soprattutto attraverso il Decreto Legislativo n. 231/2007 (non confondere con l’altro 231, che e` relativo alla responsabilità per reato degli enti, ma che e` del 2001) che prevede la normativa anti-riciclaggio e che e` una normativa di tutela anticipata. La ricettazione (art. 648 c.p.). [Elementi del reato (richiede che si acquisti, riceva od occulti danaro o cose provenienti da delitto), dolo specifico, sanzioni; le aggravanti e l’ipotesi di particolare tenuità; l’inadeguatezza del delitto di ricettazione a gestire il problema nuovo del riciclaggio]. Dopo queste premesse andiamo con ordine e iniziamo a studiare visivamente le nome. Tradizionalmente nel codice era presente la normativa sulla ricettazione/delitto di ricettazione all’Art 648 c.p., finalizzato alla tutela del patrimonio. Art. 648 (“Ricettazione”) cp, stabilisce che:“Fuori dai casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a se o ad altri un profitto (delitto a dolo specifico) acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque s’ intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, e` punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329. La pena e` aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’art 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’art 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’art 625, primo comma, n.7bis”. C’e` poi il caso di particolare tenuità per cui: “La pena e` della reclusione sino a sei anni e della multa sino a 516 euro, se il fatto e` di particolare tenuità”. Nella ricettazione la tutela, seppure indiretta, e` ancora prettamente una tutela del patrimonio, perché e` chiaro che, se si tratta di un bene di provenienza delittuosa che viene ricevuto, occultato o acquistato da altri, la probabilità di poter ricostruire la provenienza illecita del bene diventa sempre più difficile (via via che i passaggi si moltiplicano) e, di conseguenza, la probabilità - di chi ha subito il delitto - di vedere recuperato ciò che gli e` stato tolto e` sempre più complessa. Oltretutto, come si vede dalle aggravanti, i delitti a cui si pensa – quando si parla di ricettazione – sono sempre, a loro volta, delitti contro il patrimonio (si parla comunque di furto, rapina, estorsione), però bisogna comunque tenere presente che la ricettazione non ha bisogno sempre di essere riferita a un delitto contro il patrimonio: si puo’ leggere, infatti, che si dice “cose provenienti da un qualsiasi delitto”  viene fatto, quindi, anche un riferimento a cose provenienti da un qualsiasi delitto, ma si deve comunque trattare di cose (intese come beni materiali) provenienti da un delitto. Queste cose se vengono da qualcuno ricettate, acquistate, ricevute o si detengono in maniera occultata, ciò finisce per rendere ancora più irreversibile l’offesa che e` stata patita da qualcuno (il proprietario della cosa/bene materiale). Peraltro questa norma sulla ricettazione non era in grado di colpire il fenomeno nuovo/moderno che e` dato dal riciclaggio: il riciclaggio comporta che qualcuno compia un operazione tale per cui il soggetto agente non riceve, acquista, occulta alcunché. N.B.  il termine “occulta”, utilizzato dalla norma sulla ricettazione, avrebbe permesso un lavoro interpretativo cosi da immaginare, come illecite e idonee di essere etichettate come occultamento/ricettazione, una serie di operazioni (operazioni finanziarie, trasferimenti di denaro, passaggi da un paese ad un altro o da una banca ad un altra) che avrebbero permesso di dilatare il concetto, oltre i limiti del principio di determinatezza, di quel termine “occulta” ( attraverso il termine in questione si Si è ripetuta un po` la situazione che abbiamo gia’ visto quando abbiamo parlato delle misure alternative e in particolare della detenzione domiciliare: infatti qui, essendoci una numerazione già esistente, essendoci gia’ un comma 1, e` stato inserito il comma 01. Al momento dell’introduzione nel nostro ordinamento dell’autoriciclaggio, l’intenzione era quella di collocare siffatta tipologia/fattispecie delittuosa subito dopo il riciclaggio, ex Art. 648-ter, ma essendo gia’ esistente un Art.. 648-quater, si è ricorsi all’utilizzo della denominazione Art. 648-ter1. Questa novita’, come accennato, si è avuta/risale all’anno scorso. Si tratta di una novita’ molto problematica dal punto di vista di tenuta dei principi fondamentali, perché l’autoriciclaggio (di cui la disposizione in questione detta la disciplina), come emerge dalla stessa parola, consiste in una condotta di riciclaggio realizzata/attuata dallo stesso soggetto, autore o coautore del delitto da cui proviene il danaro, i beni o le altre utilità. Quindi, senza ancora leggere il testo della norma, capiamo che: è lo stesso soggetto autore del reato o concorrente in un delitto, delitto che ha avuto dei profitti, che ha fruttato denaro, beni o altre utilita’, a compiere delle operazioni tali da rendere più difficile la individuazione della provenienza illecita di quel denaro, beni o altre utilita’, che quindi vengono “punite”. La forte problematicità della norma quanto al rispetto del principio del c.d. ne bis in idem sostanziale (v. concorso di reati, concorso apparente) Vi è un problema che per lunghi anni ha portato a ritenere l’autoriciclaggio non punibile. Che cosa balza subito all’occhio e che rende problematico il prevedere come reato l’autoriciclaggio, cioè il comportamento di chi, avendo avuto profitti dalla commissione di un delitto, compie degli atti/operazioni tali da rendere meno individuabile la provenienza illecita di quei profitti? Il Prof. chiede a noi (se ricordiamo un po` la parte generale) qual e` il problema che sorge, che ha fatto si che per lunghi anni il legislatore non abbia disciplinato l’autoriciclaggio e che la dottrina vedesse come una forzatura punire l’autoriciclaggio? Colui che commette un delitto, e abbiamo detto che la maggior parte dei delitti (lasciando perdere i soliti delitti commessi per rabbia, di carattere politico o sessuali) riguarda questioni denaro, che cosa ne fa di quello che ha guadagnato? Superata la fase ottocentesca classica del ladro che utilizzava i beni rubati per mangiare, ovviamente quei beni (sottratti o comunque ottenuti illecitamente) si vuole riutilizzarli e quindi su quei profitti/beni verranno compiute delle operazioni al fine di consentirne l’utilizzo. Questo vuol dire che, in sostanza, un certo comportamento successivo al reato e` un comportamento scontato, implicato dal reato stesso: e` chiaro che chi fa un furto, per es., vuole utilizzare il profitto della cosa rubata. È chiaro che chi ha commesso un reato mirando a trarne un lucro, quel lucro cercherà di utilizzarlo. Questo vuol dire che sostanzialmente si crea una doppia penalizzazione della stessa parte per uno stesso fatto. Si ricordi il concorso di reati e il post fatto non punibile, perché e` ovvio che se Tizio fa un delitto che lucra per lui un certo guadagno, Tizio avra’ anche interesse ad utilizzare il guadagno che ha fatto. Quindi l’autoriciclaggio viene a configurare una doppia penalizzazione per il medesimo fatto: l’autoriciclaggio puo’ voler dire punire due volte il soggetto per uno stesso fatto. Già si punisce il comportamento di un terzo che in se e` un comportamento strumentale, perché il comportamento di chi compie il riciclaggio non e` un comportamento che implica di per se` un danno, ma e` un comportamento strumentale al contrasto dell’attività criminosa. Ora, se e` difficile riutilizzare i beni provenienti da delitto si faranno meno attività criminose, e questo è molto importante, ma gia` si colpisce l’attività strumentale del terzo (da quattro a dodici anno). Con l’autoriciclaggio si dice attenzione, perché non si colpisce/punisce soltanto il soggetto terzo che con dolo si presta a riciclare il denaro illecito di un altro e che, sotto sotto, se si presta con dolo a riciclare, cio’ vorrà dire che anche lui ne avrà un vantaggio (questi non porra’ mai in essere un riciclaggio, cosciente di andare incontro ad una pena, senza avere il suo guadagno). Nell’autoriciclaggio si fa un passo oltre, perché non si punisce soltanto il terzo che non aveva nulla a che fare con quel reato e che dolosamente si presta a riciclare il denaro (attraverso trasferimenti bancari, o operazioni finanziarie), ma si colpisce anche l’autore del reato che ha comportato l’acquisizione allo stesso dei proventi/del denaro. Riflessione sulla non accettabilità di un utilizzo del diritto penale sostanziale – sia con riguardo alle incriminazioni che alle entità delle pene previste – in funzione di esigenze processuali (prescrizione, misure cautelari, poteri d’indagine, ecc.), cui si dovrebbe provvedere con norme procedurali specifiche). Il problema e` ancora una volta un problema che gia` conosciamo, perché ha a che fare soprattutto con intenti di carattere processuale: e` chiaro che la previsione, anche, di un reato di auto riciclaggio - che prevede una pena alla reclusione da due a otto anni - finisce per incidere su molti istituti processuali o sostanziai- processuali (dalla prescrizione, alla custodia cautelare, alla possibilità di svolgere indagini nei confronti di quella persona e sul suo operato). Ancora una volta, cioè, il motivo per cui si agisce sul diritto penale sostanziale finisce per essere essenzialmente un motivo di ordine processuale, cioè attinente alle possibilità di indagine. E noi, gia` avevamo detto che queste comprensibili esigenze di indagini, in un diritto penale moderno, dovrebbero essere gestite autonomamente rispetto alle entità di pena; la realta’ è che pero’ noi viviamo in un sistema dove certe esigenze processuali sono correlate all’entità della pena complessiva prevista per il reato che viene ascritto in sede di imputazione o in sede di indagine. Quindi, non possiamo far altro che rimarcare ancora una volta un problema  si agisce sul diritto penale sostanziale forzando in maniera palese il problema del ne bis in idem sostanziale, perché si prevede una stessa aggressione sostanziale dell’ordinamento giuridico in funzione di esigenze assolutamente comprensibili, ma di carattere processuale. E allora il legislatore deve dire/affermare in quali condizioni/situazioni, al di la dell'entità della pena che e` in gioco, quelle esigenze processuali debbano poter essere soddisfatte. Naturalmente il problema di fondo, pero`, rimaneva e il legislatore si sentiva in difficoltà a dire che tout court e` punito anche il riciclatore che e` (anche) autore o coautore del reato da cui provengono i denari, i beni e le altre utilità  se la volontà fosse stata questa non sarebbe stato necessario introdurre un Art 648- ter1, e sarebbe bastato, semplicemente, togliere dall’Art. 648-bis c.p. le prime sette parole “fuori dai casi di concorso nel reato”  e cioè, fuori dai casi in cui il soggetto riciclatore e` partecipe del reato da cui provengono i denari, i beni o le altre utilità  in questo modo avremmo avuto un riciclaggio che sarebbe risultato applicabile sia al soggetto terzo che al soggetto autore/coautore del reato. Le motivazioni, di carattere soprattutto processuale, dell’innovazione. Perché allora viene introdotto un reato autonomo? Perché, appunto, si vuole tentare di evitare un puro e semplice bis in idem. Se si fosse detto nell’Art. 648-bis c.p. che l’autore del riciclaggio poteva essere sia l’autore/coautore del reato (da cui si ricava il denaro, i beni o le altre utilità) che il terzo, allora si sarebbe realizzato un bis in idem palese rispetto all’autore del reato principale che sarebbe stato punito due volte: in primis, per il reato da cui aveva ottenuto il denaro, i beni e le altre utilità; in secundis per il reato ovvio e scontato che permette all’autore del reato principale di riutilizzare i proventi ottenuti dal reato stesso (conseguenza ovvia, perché l’autore del reato principale pone in essere quel reato per poterne utilizzare i proventi). Allora l’intento del legislatore era quello di punire l’autoriciclaggio non sempre, ma solo quando le condotte di riciclaggio, poste in essere dallo stesso autore o coautore del reato di provenienza delle cose, assumono determinate caratteristiche. L’idea era quella per cui: se il legislatore avesse detto che automaticamente ogni operazione, ogni uso fatto del denaro o dei beni di provenienza illecita, di provenienza del delitto e` riciclaggio, allora chiunque avesse commesso un delitto che dà luogo a denaro, beni o altre utilità, porrà sempre in essere anche un reato di autoriciclaggio; onde evitare cio’, allora, si dice che si ha/compie reato di auto riciclaggio solo quando le condotte di riciclaggio poste in essere dallo stesso autore/coautore del delitto, assumono certe caratteristiche  si compie auto riciclaggio solo quando il riciclaggio/auto riciclaggio ha determinate modalità  vengono posti dal legislatore dei limiti. Gli elementi di (incerta) delimitazione dell’autoriciclaggio (art. 648-ter1 c.p. rispetto al riciclaggio (art. 648-bis c.p.): il co. 1 (condotte rilevanti) e il co. 4 (non punibilità nel caso di mera utilizzazione o godimento personale) dell’art. 648-ter1 c.p. Vediamo se questo proposito (di non arrivare a punire tout court una qualsiasi utilizzazione) viene rispettato. Leggiamo la norma. Art 468-ter1 (“Autoriciclaggio”) c.p.: “Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Che cosa cambia allora rispetto all’art 648-bis c.p.? Sostanzialmente, mentre l’Art 648-bis, oltre al termine “sostituisce, trasferisce”, incentrava la sua fattispecie sul “compie altre operazioni in modo da ostacolare”, nella disposizione in analisi si vuole specificare: non ci si riferisce genericamente al compimento di qualsiasi altra operazione (altrimenti si porrebbe in essere un Quindi, chi ha compiuto il reato di provenienza avrà corrotto mentalmente questo terzo al fine di fargli fare il riciclaggio. Ma se colui che ha compiuto il reato di provenienza si da da fare per realizzare un riciclaggio, andando a cercare il funzionario di banca disposto a compiere le suddette operazioni, l’autore del reato di provenienza, oltre al reato di provenienza, pone in essere anche il reato di auto riciclaggio, ex Art 648-ter1 c.p. Ma allora, a questo punto, visto che l’organizzazione/autore del reato di provenienza e` anche autore del delitto di auto riciclaggio dei proventi che derivano dal reato di provenienza e se per realizzare questo auto riciclaggio, l'autore del reato di provenienza, ha cercato ed ingaggiato un funzionario di banca disposto a compiere il riciclaggio: il funzionario di banca, a questo punto, deve rispondere di riciclaggio (quindi con pena da quattro a dodici anni) o, in funzione della nuova norma (visto che l’altro soggetto con cui si e` messo d’accordo fa un auto riciclaggio), deve rispondere di concorso in auto riciclaggio? Forse il legislatore non si era nemmeno posto questo problema, ma la norma lo pone eccome. Se come previsto dalla nuova normativa, l’autore del reato di provenienza che ricerca un terzo per portare a termine il riciclaggio, fa un auto riciclaggio, si pone certamente il problema del se il terzo ponga in essere il reato di riciclaggio (punito con la reclusione da quattro a dodici anni) o se si configuri il concorso in un reato di auto riciclaggio (con pena della reclusione da due a otto anni). Se la lettura corretta fosse quest’ultima, da ciò, oltre tutto, deriva una conseguenza assurda, e cioè che: il terzo farebbe riciclaggio soltanto quando il riciclaggio e` stato posto in essere senza il suo consenso/accordo, solo quando il terzo abbia fatto riciclaggio pur non essendo d’accordo con il soggetto/autore del reato d’origine  questa fattispecie è quanto mai inverosimile. Qualche volta nel fare le norme non ci si prospettano nemmeno questi problemi tecnici. [Per l’autoriciclaggio si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000. La reclusione di due anni è ancora compatibile con la sospensione condizionale. Questo è un discorso puramente teorico, perché un autoriciclaggio da solo è impossibile da realizzare, perché il reato sarà sempre in concorso con il delitto di provenienza. Poniamo che effettivamente si dia il minimo di pena, due anni, che magari con una circostanza attenuante siano ancora meno. Questi sono reati per i quali vengono previsti, diversamente dalla tradizione italiana, pene pecuniarie elevate. Il problema delle pene pecuniarie italiane, che non seguono il criterio dei tassi, è che la pena è ingiusta, perché colpisce il ricco e il povero allo stesso modo. Per i reati economici, che non riguardano l’emarginazione sociale, oggi ci sono pene pecuniarie molto elevate. Vi era il problema della sospensione condizionale: se uno è stato condannato a 22 mesi di reclusione con l’aggiunta della pena pecuniaria, si deve fare il ragguaglio: 250€ valgono un giorno di pena detentiva e 25.000 € sono 100 giorni di pena detentiva, che sarebbero più di tre mesi, quindi in questo caso la pena pecuniaria farebbe venir meno la sospensione condizionale, ed è per questo che pochi anni fa si è stabilito che quando si supera il limite della sospensione condizionale, solo in rapporto alla pena pecuniaria ragguagliata può essere sospesa solo la pena detentiva, mentre non rimane sospesa la pena pecuniaria]. La tutela anticipata di cui al d.lgs. 231/2007: principi. A questo punto e` gioco forza passare allo studio del Decreto Legislativo 231/2007 sul quale si impernia la prevenzione del riciclaggio. Questo D.Lgs 231/2007 rappresenta una riorganizzazione di molte norme sparse, gia presenti nell’ordinamento giuridico, che vengono completate in un sistema molto complesso (che noi possiamo solo riassumere velocemente). Questo sistema mira a rende più difficile e quindi ad ostacolare la realizzazione del riciclaggio in un modo oggi sempre più seguito e consistente nell’individuare soggetti, nell’ambito di certe attività economiche o giuridiche, cui si attribuiscono degli obblighi significativi ai fini di prevenzione di un comportamento, come il riciclaggio, gravemente anti sociale e costituente reato. Quindi, con il decreto in esame, si ha un notevole salto di qualità/di livello rispetto ad una prima impostazione dell’azione preventiva anticipata nell’ambito economico. Quest’ultima si è realizzata soprattutto attraverso cosa? Quali istituzioni, che si sono studiate in diritto privato e diritto commerciale, giocano un ruolo di sorveglianza e prevenzione rispetto allo svolgimento di certe attività economiche? La Consob, l’antitrust, la Banca d’Italia e tutte le autorità di controllo che sono, prima di tutto, istituzioni pubbliche. In Italia hanno carattere amministrativo, mentre in alcuni paesi hanno addirittura carattere para giurisdizionale, perché queste autorità di controllo - in alcuni paesi - hanno anche potere di indagine e di sanzione che sono vicini all’attività giurisdizionale. I soggetti obbligati: l’estensione degli obblighi per finalità preventive di rilievo pubblico agli esercenti attività di natura privata, fra i quali, per attività diverse da quelle del patrocinio legale, anche l’avvocato, il notaio e altri professionisti (artt. 10 ss.). In Italia, come abbiamo detto, il ruolo e l’attività di controllo resta di carattere amministrativo. Rispetto ad una autorita’ di sorveglianza e di controllo (quale istituzione pubblica) che problema si pone? A queste autorità devono giungere obbligatoriamente delle informazioni e queste informazioni dovrebbero mettere le autorità stesse nelle condizioni di poter svolgere delle verifiche ecc ecc. Ma forse, il problema che oggi si pone non e` tanto quello di ottenere/ricevere le informazioni, quanto quello di saper selezionare tra queste informazioni quelle valide e corrette. Ad un certo punto, però, succede che gli obblighi che hanno una funzione preventiva, non vengono più attribuiti soltanto all’autorità di controllo, ma vengono attribuiti anche ad altri soggetti e, in particolare, a soggetti di diritto privato (non più a soggetti di diritto pubblico): in primis alle banche. Si deve notare che questa attribuzione di compiti/obblighi per finalità pubbliche, viene a essere strutturata nella medesima epoca, metà degli anni ’90, in cui alcune sentenze definiscono, in via definitiva, l’attività bancaria come attività di diritto privato (  infatti per tutta una certa tradizione del nostro sistema giuridico, l’attività bancaria era stata considerata un pubblico servizio, anche in forza del fatto che fino a qualche decennio fa le banche erano pubbliche). Ad un certo punto si stabilisce in maniera definitiva che l’attività bancaria, sia ove esercitata da istituti pubblici, sia ove esercitata (come oggi accade nella maggior parte delle ipotesi) da soggetti privati, e` un attività di diritto privato  ma proprio nel momento in cui si qualifica l’attività bancaria come attività di diritto provato, iniziano ad attribuirsi alle banche una serie di obblighi di controllo, di segnalazione che vigono in funzione di interessi pubblici. E sono in funzione di interessi pubblici, perché si tratta di obblighi che di per se, almeno secondo un interesse immediato, la banca non avrebbe interesse ad avere (obblighi che la banca non ha interesse ad avere per la sua stessa tutela). Con alcune leggi successive e poi, definitivamente, con D.Lgs 231/2007, questi obblighi, oltre alle banche, vengono attribuiti anche ad altri soggetti privati (operatori di borsa, ecc) e in particolare ai c.d. professionisti in particolare: il notaio, il dottore commercialista e l’avvocato d’affari  questi soggetti diventano destinatari di obblighi anti riciclaggio. N.B.  ci si riferisce all’attività del solo avvocato d’affari: cioè quando l’avvocato non compie attività di patrocinio in Tribunale, ma quando funge in sostanza da delegato per compiere al posto di/per conto di una determinata persona (che e` quella che gli attribuisce l’incarico), determinate operazioni come stringere certi accordi, ecc… Quindi assistiamo ad un ampliamento/estensione nell’attribuzione di obblighi anti riciclaggio da soggetti pubblici – come l’autorità di controllo – a soggetti privati (soggetti che compiono attività di diritto privato) – come le banche – fino anche ai professionisti. Le norme principali: il ruolo dell’UIF (art. 6). Adesso diamo uno sguardo a quali sono i soggetti a cui sono attribuiti questi obblighi e poi vedremo nello specifico il contenuto di questi obblighi. Art 2 (“Definizioni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e finalità del decreto”) D.Lgs 231/2007:“Ai soli fini del presente decreto le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio: a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; c) l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; La Banca d’Italia disciplina, attraverso un regolamento, l’organizzazione e il funzionamento dell’ente (compresa la questione circa la riservatezza delle informazioni acquisite). Una volta istituita l’unita di informazione finanziaria, l’UIF (presso la Banca di Italia), questa esercita le proprie funzioni in piena autonomia e indipendenza. Art. 6 (“Unita’ di informazione finanziaria”) D.Lgs 231/2007: “1. Presso la Banca d'Italia è istituita l'Unità di informazione finanziaria per l'Italia (UIF). 2. La UIF esercita le proprie funzioni in piena autonomia e indipendenza. In attuazione di tali principi la Banca d'Italia disciplina con regolamento l'organizzazione e il funzionamento della UIF, ivi compresa la riservatezza delle informazioni acquisite. La Banca d'Italia attribuisce alla UIF mezzi finanziari e risorse idonei ad assicurare l'efficace perseguimento dei suoi fini istituzionali. … 6. La UIF svolge le seguenti attività: a) analizza i flussi finanziari al fine di individuare e prevenire fenomeni di riciclaggio di denaro o di finanziamento del terrorismo; b) riceve le segnalazioni di operazioni sospette di cui all' articolo 41 e ne effettua l’analisi finanziaria; c) acquisisce ulteriori dati e informazioni, finalizzati allo svolgimento delle proprie funzioni istituzionali, presso i soggetti tenuti alle segnalazioni di operazioni sospette di cui all' articolo 41; d) riceve le comunicazioni dei dati aggregati di cui all' articolo 40; e) si avvale dei dati contenuti nell'anagrafe dei conti e dei depositi di cui all' articolo 20, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e nell'anagrafe tributaria di cui all' articolo 37 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248; risulta essere molto importante il c.6 della disposizione in questione, poiché vengono descritte le attività svolte dall’UIF. Alla luce di quanto abbiamo già detto e letto, possiamo accorgerci del fatto che vigano tre nuclei di obblighi fondamentali. a) Obbligo di identificazione/adeguata verifica della clientela, ma anche del significato economico dell’operazione richiesta (Artt. 15 e ss): diversamente dai paradisi bancari, la legge italiana vuole che si sappia sempre chi e` il titolare vero e reale dell’operazione e non soloil prestanome, ma oltre cio’ (cioè oltre l’identificazione della persona che fa un determinata operazione), vuole anche identificazione/ adeguata verifica della operazione che si fa, del significato economico dell’operazione richiesta. Quindi: identificazione/adeguata verifica della persona che fa l’operazione/della clientela/del titolare dell’operazione + l’identificazione del tipo di operazione che si sta svolgendo, e cioè identificazione del significato economico dell’operazione che si sta facendo/richiesta. Es.: “Mi sposti venti milioni di euro da Milano a Lussemburgo” e allora la banca deve capire, non solo chi richiede l’operazione, ma deve anche capire qual e` la ragione che giustifica lo spostamento di denaro. b) Obbligo di registrazione (Artt. 36 e ss): le operazioni devono sempre essere registrate e questo è importantissimo al fine di rendere le operazioni tacciabili, perché se sono registrate, e quindi tracciabili, un domani, se si dovrà capire il motivo vero e proprio di quell’operazione (che magari non era stato ben compreso al momento dell’identificazione), si potrà ricostruire il movimento/la tratta di quell’operazione stessa. Es: se i venti milioni di euro sono andati dalla banca di Milano a una di Lussemburgo, l’operazione è stata registrata e quindi la banca ne ha traccia, un domani si potrà vedere che giro hanno fatto questi soldi. Al contrario se le operazioni non fossero tracciate, non si potrebbero ricostruire più i movimenti di denaro che si realizzano tra diversi istituti bancari. c) Obbligo di segnalazione delle operazioni suddette (Artt. 41 e ss): il terzo obbligo e` quello più delicato soprattutto dal punto di vista della responsabilità penale ed e` l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, quindi non solo identificazione e registrazione, ma anche segnalazione vera e propria di tutte quelle operazioni che “non tornano” e che perciò sono sospette. Questi sono i tre nuclei di obblighi fondamentali. Stavamo guardando il c.6 che ci parla delle attività svolte dall’UIF. Il c. 7 ci dice come l’UIF utilizza le informazioni raccolte. Poi andiamo agli Artt. 10 ss. che identificano i destinatari di questi obblighi/soggetti obbligati (che non sono stati esplicitati, ma che abbiamo soltanto citato). Quella sui destinatari e` una norma generale. Molto interessante è l’Art 11 (“Intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attivita’ finanziaria), D.L.gs 231/2007: tra questi soggetti obbligati abbiamo le banche, le Poste Italiane s.p.a., gli istituti di moneta elettronica, le SIM (società di intermediazione mobiliare), ecc. Arriviamo a quello che ci interessa di più, e cioè l’Art 12 (“Professionisti”), il quale dispone come, tra i destinatari degli obblighi, soggetti obbligati, vi siano anche i professionisti. Art 12 (“Professionisti”): “1. Ai fini del presente decreto per professionisti si intendono: a) i soggetti iscritti nell'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e nell'albo dei consulenti del lavoro; b) ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da periti, consulenti e altri soggetti che svolgono in maniera professionale anche nei confronti dei propri associati o iscritti, attività in materia di contabilità e tributi, ivi compresi associazioni di categoria di imprenditori o commercianti, CAF e patronati; c) i notai e gli avvocati quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti: 1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche; 2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni; … 2. L'obbligo di segnalazione di operazioni sospette di cui all' articolo 41 non si applica ai soggetti indicati nelle lettere a), b) e c) del comma 1 (avvocati e notai) per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso….” Rilevante risulta essere il c. 2 a proposito del quale possiamo dire che: gli obblighi riguardano le attività di affari e di gestione di strumenti finanziari per conto del cliente, mentre non riguardano l’attività di patrocinio del professionista, perché, per esempio, se l’avvocato fosse obbligato a segnalare le operazioni sospette in quanto riceve un cliente al fine della difesa in un processo o al fine di valutare con il cliente se e` bene o non e` bene attivare un procedimento civile o quant’altro e allora in questa attività ovviamente l’avvocato non e` destinatario di obblighi, perché altrimenti verrebbe compromesso il diritto costituzionale di difesa o comunque, più in generale, il patrocinio legale. Queste sono le norme piu’ importanti sui soggetti. a) Obblighi di adeguata verifica della clientela, ma anche del significato economico dell’operazione richiesta (art. 15 ss.). Il primo nucleo di obblighi lo si trova agli Artt. 15 ss. La norma base e` l’Art 15 (“Obblighi di adeguata verifica della clientela da parte degli intermediari finanziari e degli altri soggetti esercenti attivita’ finanziaria”): come gia’ accennato, questa norma prevede/disciplina l’obbligo di attivare un’adeguata verifica della clientela/del titolare dell’operazione. Anche, gli Artt. 16 e 17 disciplinano il medesimo obbligo di attivare un’adeguata verifica, pero’ come obbligo gravante sui professionisti, revisori contabili e altri soggetti. Ma quest’obbligo di adeguata verifica, anche questo lo abbiamo gia’ detto, non ha quale contenuto il solo obbligo di identificazione del cliente e di verificazione dell’identita’ dello stesso  sussiste, infatti, anche l’ obbligo di identificazione dell’operazione, l’obbligo di identificazione del significato economico dell’operazione richiesta. L’ Art. 18, disciplina lo specifico contenuto dell’obbligo dell’obbligo di adeguata verifica della clientela  quest’obbligo comporta: a) la verifica della persona/cliente diretto, e cioè l’identificazione del cliente diretto (colui che, per es. richiede l’operazione) e la verifica dell’identita’ dello stesso; b) la verifica della persona che sta dietro quell’operazione richiesta, e cioè l’identificazione dell’eventuale titolare effettivo e la verifica dell’identita’ dello stesso bisogna verificare a favore di chi l’operazione viene eseguita; c) l’obbligo di ottenere informazioni “scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo e sulla prestazione professionale”, e cioè si tratta di identificare la finalita’/scopo e la natura della prestazione professionale che viene richiesta o comunque del rapporto professionale continuativo che si sia instaurato. Detto in altre parole, di vuole che il destinatario dell’obbligo riesca a comprendere qual è il significato economico dell’operazione che si sta svolgendo e cio’ non soltanto nel minimo passaggio tecnico, ma proprio rispetto al significato dell’operazione generale nell’ambito della quale quel passaggio avviene (+ identificazione di chi è il dominus dell’operazione medesima). ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell'ambito dell'attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico. È un elemento di sospetto il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione dei limiti di cui all'articolo 49, e, in particolare, il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro 89”. Molta dell’attività di prevenzione si fonda sull’attività di raccolta delle informazioni, in particolare quando un operazione e` sospetta va segnalata. Qui nasce un problema molto grande: oggi le autorità centrali, anche l’UIF, raccolgono moltissime informazioni, ma il problema e` costituito dalla leggibilità delle stesse, perché non basta raccogliere le informazioni, ma e` anche necessario che, una volta che queste siano state raccolte, si riesca ad individuare all’interno di tutte queste, quelle che possono essere rilevanti per un intervento. Se le informazioni vengono raccolte senza che passino per determinati filtri o modalità per riscontrare in esse gli elementi che poi possono dar luogo ad un intervento, la mera raccolta di informazioni si rivelerà inutile/vana. Si dice: “quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni…” Il “quando sanno”, si riferisce al quando hanno la consapevolezza oggettiva che l’operazione che e` richiesta rappresenta un riciclaggio; il quando soggettivamente “sospettano” si riferisce al quando non sono sicuri al 100%; poi la norma diventa molto esigente perchè dice “quando hanno motivi ragionevoli per sospettare” , come a voler dire che non interessa, non è rilevante un qualsiasi sospetto, la valutazione soggettiva (del soggetto che deve osservare l’obbligo), ma deve trattarsi di un sospetto oggettivo, e cioè devono esserci oggettivamente dei motivi per sospettare  in questo caso il soggetto tenuto all’osservanza dell’obbligo deve segnalare, purché questo appaia ragionevole. Questa formula sembra voler disancorare l’obbligo di segnalazione da un puro apprezzamento soggettivo, ma la cosa non risulta molto chiara, anche perché resta il limite della ragionevolezza. La segnalazione va fatta quando il motivo per sospettare, anche se poniamo che il soggetto tenda ad escludere che poi in realtà ci sia un riciclaggio in corso, sia un motivo ragionevole. “… Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell'operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate …“ Qui noi abbiamo norme riassuntive, dietro le quali – bisogna tener conto – ci sono circolari molto complessi dell’UIF per quanto riguarda i criteri di selezione, o meglio, i famosi elementi sintomatici per cui un operazione possa essere considerata sospetta. In questa norma ci sono le modalità di attuazione dell’obbligo di segnalazione: per esempio, il professionista può optare se segnalare all’ordine professionale che poi segnalerà all’UIF oppure potrà decidere di segnalare direttamente all’UIF (di solito il professionista non passa per l’ordine professionale anche per una tendenza alla riservatezza sui propri rapporti e quindi di solito segnala direttamente all’UIF). E` interessante poi dare un occhiata all’Art 45 del D.Lgs 231/2007 che riguarda la salvaguardia della riservatezza del soggetto segnalante (anche per proteggerlo da qualsiasi possibile disagio se non vera e propria ritorsione). Detto questo, molto genericamente, sugli obblighi di segnalazione, abbiamo esaurito la cognizione delle tre strategie di fondo che adotta il D.Lgs 231/2007 rispetto alla finalità di prevenire il riciclaggio. Norme concernenti le limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore (artt. 49 ss. d.lgs. n. 231/2007). Bisogna tenere presente che, in realtà, oltre a questi tre obblighi, il D.Lgs 231/2007 contempla un ulteriore Titolo, che chiama “Misure Ulteriori”, contenete norme a se stanti, perché non danno obblighi immediati al soggetto (che deve riconoscere la clientela, l’operazione e il soggetto nei confronti del quale si andranno a dispiegare gli effetti dell’operazione o che deve procedere alla registrazione e, nei casi sospetti, alla segnalazione), ma riguardano le limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore. Se le operazioni possono essere fatte indiscriminatamente con denaro contante, allora la possibilità di ricostruire il filo rosso che lega le operazioni e di ricostruire eventualmente la provenienza di quei beni, viene frustrata e messa in pericolo  e` per questo che la nostra legislazione prevede che, oltre un certa entità, le operazioni debbano essere fatte in modo tacciabile. Con l’ultima legge di stabilita il limite delle operazioni e dei pagamenti che possono essere effettuati in contante si e` nuovamente innalzato a 3000 euro (era stata abbassata dal governo Monti). Il problema a cui si va incontro non e` tanto quello fiscale, quanto quello del riciclaggio: probabilmente – con questo nuovo innalzamento – si sono voluti facilitare gli acquisti in denaro contante, soprattutto di beni di lusso, da parte di persone che vengono in Italia da paesi esteri (dove la disponibilità di denaro contante può non essere limpidissima). Il Prof. espresso la sua preoccupazione sull’effetto negativo, sul messaggio sociale negativo che dipende da questo rialzo di livello di possibile uso di denaro contante per operazioni, e` chiaro, infatti, che se il Prof. prende una banconota e prende una carta di credito, tutto ciò che viene fatto con un bancomat o con una carta di credito e` tracciato, mentre tutto cioè che viene fatto con il denaro contante non lo e`. Alcune analisi di diversi anni fa segnalavano negli Stati Uniti che quasi tutte le banconote, se analizzate al microscopio, riportavano delle particelle di stupefacenti: cio’ vuol dire che quasi tutte le banconote sono passate per le mani di spacciatori, perché e` chiaro che gli stupefacenti si acquistano con denaro contante e non con carta di credito. E` chiaro che più i elimina il denaro contante, più si ostacola la criminalità organizzata, ma è anche` ovvio che ci siano tutta una serie di interessi immediati e venali a non rendere tutto tacciabile. Dobbiamo pur sempre tenere presente le riflessioni che abbiamo fatto sulla prevenzione primaria: o si accetta qualche onere o il controllo della criminalità cosi non funziona. Sanzioni penali e amministrative (artt. 55 ss.; in part., art. 57, co. 4) in merito alla mancata segnalazione. Vediamo adesso le sanzioni, perché e` chiaro che se vengono previsti degli obblighi di identificazione, registrazione e denuncia delle operazioni, questi obblighi devono anche essere motivo di sanzioni, allorquando violati  previsti obblighi + disposte sanzioni. Le sanzioni sono previste agli Artt. 55 ss. del D.Lgs 231/2007: si tratta di sanzioni penali (Art 55) e sanzioni amministrative (Artt. 56 e 57). Al Prof. non interessa individuare tutte le violazioni che sono colpite con sanzione penale e tutte quelle che sono colpite con sanzione amministrativa, è sufficiente rilevare che si tratta di norme per lo più di carattere sanzionatorio, in cui si prevede la sanzione in relazione alla violazione di una delle norme precedenti. Per esempio se analizziamo il c.2 dell’Art 55 possiamo vedere che “2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, l'esecutore dell'operazione che omette di indicare le generalità del soggetto per conto del quale eventualmente esegue l'operazione o le indica false è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa da 500 a 5.000 euro”. Cio’ che si puo’ ancora dire, per quanto riguarda le sanzioni penali, è che si tratta di sanzioni penali aventi un ambito detentivo limitato, tuttavia alcune violazioni restano penalmente rilevanti con tutte le conseguenze, anche in termini di certificato penale ecc… Le altre violazioni sono di natura prettamente amministrativa. Il secondo degli Artt che sono dedicati alle sanzioni amministrative è l’Art 57. Vediamo il c.4 (lo usiamo come caso su cui soffermiamo la nostra attenzione) che dice: “4. Salvo che il fatto costituisca reato, l'omessa segnalazione di operazioni sospette è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dall'1 per cento al 40 per cento dell'importo dell'operazione non segnalata. Nei casi più gravi, tenuto conto della gravità della violazione desunta dalle circostanze della stessa e dall'importo dell'operazione sospetta non segnalata, con il provvedimento di irrogazione della sanzione è ordinata la pubblicazione per estratto del decreto sanzionatorio su almeno due quotidiani a diffusione nazionale di cui uno economico, a cura e spese del sanzionato”. Questo c.4 punisce la violazione dell’obbligo di segnalazione dell’operazione sospetta. La violazione e` punita con una sanzione amministrativa proporzionale pecuniaria che va dall’1% al 40% dell’importo dell’operazione non segnalata. Qualche tempo fa un conoscente del Prof. che era responsabile di un agenzia bancaria segnalava al Prof. il suo timore, perché quella che lui aveva ritenuto un operazione normale, poi, alla luce delle indagini si era rivelata un operazione che si inseriva in un certo giro, solo che era un operazione di 1 milione di euro e quindi possiamo capire che, per il direttore di un agenzia, questo 1% sul milione di euro si rivela essere comunque 10.000 euro  anche se la sanzione amministrativa prevista sia dell’ 1%, laddove l’operazione abbia un ammontare elevato, la prima avra’ un grosso peso  quindi l’incidenza che può avere una sanzione amministrativa è rilevantissima. Nel recente passato la dottrina (cioè vari colleghi che hanno scritto in materia di ricettazione e riciclaggio), rendendosi conto che sarebbe stato troppo esporre ogni funzionario al rischio di una incriminazione per ricettazione o per riciclaggio, anche senza la sicurezza di un dolo intenzionale, avevano cercato di escludere a priori la compatibilità di ricettazione e riciclaggio con dolo eventuale: cioè alcuni autori avevano sostenuto che, strutturalmente, sia la ricettazione che il riciclaggio non sono compatibili con il dolo eventuale. Sulla base di che cosa era stato fatto questo ragionamento? Andiamo alla norma sulla ricettazione (Art. 648 cp) che e` la norma madre, quella sulla quale si modella il riciclaggio. La norma sulla ricettazione stabilisce che: “Chiunque, al fine di trarne profitto, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, acquista, ricicla od occulta …”. Gli autori in questione hanno detto che: se si va più avanti nel codice, per essere precisi al Libro Terzo, dove stanno scritte le norme sulle contravvenzioni, noi vediamo che c’e` un articolo, l’Art 712 c.p., che comunemente viene indicato come incauto acquisto, e che, invece, come denominazione ufficiale riporta la dicitura di “Acquisto di cose di sospetta provenienza”. La norma stabilisce che: “Chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi li offre o per la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, e` punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda non inferiore a euro 10”. Un certo filone dottrinale maggioritario riteneva che la formula, ex Art 712 c.p., “senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose…” comprendesse sia la colpa che il dolo eventuale: cioè, secondo questa dottrina, esiste una norma che espressamente dice che se e` stato tenuto quel comportamento e si aveva motivo di sospettare, allora questa norma ricomprende anche il dolo eventuale. Quindi, la conclusione di questi autori dottrinali e` che: si risponde di ricettazione solo per dolo intenzionale, cioè quando il soggetto ha la volontà di realizzare la ricettazione, essendo certo della provenienza illecita del bene  se questa certezza non c’e`, si risponde di incauto acquisto. Chi scrisse questo, con riguardo alla ricettazione, a fortiori disse che: se questo e` valido per la norma più generale, tutto sommato (anche se si sta parlando in termine tecnico, perché non sussiste una specialità, ai sensi dell’Art 15, tra ricettazione e riciclaggio), vale anche per la norma più specifica, e cioè per il delitto di riciclaggio. Buona parte della dottrina riteneva che si rispondesse di riciclaggio solo ove sussistesse un dolo intenzionale. D’altra parte pero’, se rispetto alla ricettazione c’era l’Art 712 c.p. (per cui si risponde di incauto acquisto se si ha agito pur in presenza di un motivo valido per sospettare circa la provenienza illecita del bene), per il riciclaggio, il famoso c.4 dell’ Art. 57, d.lgs. 231, dice ancora di più, perché stabilisce che: è punito con sanzione amministrativa chi ha omesso di segnalare operazioni sospette, che vengono percepite come sospette. Questo c.4 sembrerebbe essere ancor più forte, in quanto sembra dire che: ogni qualvolta si abbia un sospetto e` sanzione amministrativa e non sanzione penale (si tratta di illecito amministrativo e non di illecito penale)  sembrerebbe, quindi, potersi dire che questa formulazione, come del resto le altre formulazione degli articoli precedenti, preveda illeciti amministrativi o illeciti penali piccoli che assorbono anche il comportamento di chi sospetta, e quindi anche l’ambito del dolo eventuale. Il fatto e` che in materia di ricettazione e in materia di rapporto tra ricettazione e incauto acquisto (che in vero ha questa formulazione un po` più riferita effettivamente alla colpa, perché dice “abbia motivo di sospettare”, mentre nella ricettazione si parla di “operazioni sospette”), una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2009 - sentenza Nocera – quale sentenza molto severa, afferma che la ricettazione si realizza anche per dolo eventuale. Quindi: avendo una sentenza a Sezioni Unite che stabilisce quanto appena detto, allora e` probabile che si dica che se questo vale per la ricettazione, debba valere anche per il riciclaggio; anche se, a dire il vero, per quanto riguarda il riciclaggio, ci sarebbe un motivo in più per sostenere l’incompatibilità con il dolo eventuale, perché non si parla del caso per cui esisteva motivo di sospettare, ma si parla del caso (di cui al c.4), ossia del caso in cui l’operazione fosse proprio sospetta (quindi se il soggetto ha sospettato, la norma sembra stabilire/prevede che si tratti di sanzione/illecito amministrativa/o), tuttavia è anche vero che rimane sempre l’inciso iniziare che recita “ salvo che il fatto costituisca reato”. La sentenza Nocera (che riguarda la ricettazione) dice che: risponde di ricettazione, e quindi a titolo di dolo, anche il soggetto che non era certo della provenienza illecita della cosa, ma facendo questa affermazione severa, oddia dichiarando la compatibilità tra ricettazione e dolo eventuale (che invece buona parte della dottrina escludeva), per la prima volta la Cassazione a sezioni unite usa la formula di Franck per delineare l’esistenza del dolo eventuale (perché dice: e allora quando c’e` il dolo eventuale di ricettazione? Quando vi sono ragioni per poter affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che il soggetto avrebbe acquistato anche nella certezza di trovarsi in presenza del sospette). Allora: da un lato, la sentenza Nocera e` una sentenza severa, perché afferma la compatibilità tra ricettazione e dolo eventuale (che gran parte della dottrina avrebbe escluso), ma dall’altra parte, per la prima volta, usa una definizione restrittiva del dolo eventuale (affermando che il dolo eventuale sussiste, quando si può affermare che il soggetto avrebbe tenuto la condotta anche nella certezza di realizzare il reato, e quindi anche quando il soggetto avesse la certezza di acquistare una cosa di provenienza illecita; in particolare, secondo la formula dell’Art 648 c.p. una cosa proveniente da delitto, perché dobbiamo sempre ricordare che, sia nella ricettazione che nel riciclaggio, non basta la provenienza illecita, non basta la provenienza da reato, ma occorre la provenienza da delitto). Abbiamo potuto fare un ripasso della problematica del dolo eventuale; abbiamo visto come il tema del dolo eventuale si renda delicato nel caso concreto e rispetto a un’eventuale chiamata di responsabilità del funzionario che non abbia segnalato l’operazione sospetta; abbiamo visto anche come diventa rilevante la sentenza della Cassazione a sezioni unite del 2009 (caso Nocera). La non identificabilità automatica degli obblighi di agire aventi significato preventivo come posizioni di garanzia rilevanti ai fini dell’art. 40, co. 2, c.p.  dunque, la non configurabilità del riciclaggio, a parte ogni altra considerazione circa l’elemento soggettivo, in rapporto a una condotta meramente omissiva (ipotesi della mancata segnalazione di un’operazione da parte dell’operatore bancario, ove l’operazione costituente riciclaggio sia poi eseguita da altri). Adesso riprendiamo un caso del tutto minoritario: il caso della possibile responsabilita’ per omissione. Es: poniamo che il funzionario di banca che non ha segnalato l’operazione sospetta, non sia poi lui a compiere l’operazione; poniamo che il funzionario abbia fatto soltanto l’istruttoria dell’operazione e, avendo ritenuto di non aver trovato nulla di sospetto circa l’operazione, passa la pratica ad un altro funzionario che sulla base della sua (del precedente funzionario che aveva fatto l’istruttoria dell’operazione) verifica/istruttoria, compie l’operazione  caso in cui il funzionario che ha omesso di fare la segnalazione è diverso dal funzionario che compie l’operazione. A questo punto si pone la domanda: potrebbe, il primo funzionario, rispondere di riciclaggio perché, non avendo fatto la segnalazione, ha reso possibile/non ha impedito il realizzarsi del riciclaggio? Nel caso in esame si può parlare soltanto di un eventuale responsabilità omissiva, perché in questo caso (caso forse improbabile), non e` lui (primo funzionario) che ha fatto l’operazione, quest’ultima, infatti, e` stata posta in essere da un altro funzionario. Una responsabilità per omissione potrebbe esserci nel caso eccezionale in cui l’istruttoria per l’operazione la fa un funzionario, il quale nonostante abbia elementi per fare la segnalazione non la fa, ma poi non è lui che fa l’operazione, ma un altro operatore sulla base del nulla osta rilasciato dal primo funzionario. E` chiaro che anche in questo caso si pone il problema del dolo, ma prima di affrontare il problema dell’elemento soggettivo, è preliminarmente necessario domandarsi se si configuri sul piano oggettivo la possibilità di una responsabilità (solo se si rispondesse in modo affermativo alla presenza dell’elemento oggettivo, potremmo chiederci se sussista o meno l’elemento soggettivo e quindi il dolo, basta il dolo eventuale, come va ricostruito il dolo eventuale?). Potrebbe, in linea teorica, quel funzionario che non ha segnalato l’operazione, essere chiamato per responsabilità omissiva, perché non segnalando non ha impedito il realizzarsi del riciclaggio (che e` pur sempre un reato di evento)? C’è qualche reato previsto dalla legge come omissivo? C’è soltanto l’omessa segnalazione che configura un illecito amministrativo. Potrebbe esserci una responsabilità penale fondata su questa omissione, ancora prima di guardare al dolo? Dobbiamo analizzare quanto disposto dall’Art 40.2 c.p.  che disciplina il reato omissivo improprio, per cui: non impedire l’evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Se alla domanda rispondessimo - affermativamente - sulla base dell’Art 40, c.2 c.p., diremmo che dal punto di vista oggettivo il (primo) funzionario potrebbe essere chiamato a rispondere per il mancato impedimento del riciclaggio e poi tutto si giocherà sulla non sussistenza del dolo (con tutta la problematica che abbiamo visto prima). Usura (art. 644 c.p.): il bene tutelato e il rapporto con la prevenzione della criminalità organizzata; il divieto di usura come limite alla autonomia contrattuale. Il reato di usura è anch’esso un altro reato, ben vicino al reato di riciclaggio, previsto tra i delitti contro il patrimonio e la cui finalizzazione (la tutela del patrimonio) e` certamente più stretta che nel riciclaggio (rispetto a quanto viene previsto dalla disciplina del riciclaggio), perché e` chiaro che un usura può fortemente danneggiare l’usurato. Il reato di usura, tutto sommato, ha visto negli ultimi decenni una enfatizzazione della risposta sanzionatoria, ancora una volta, non tanto in funzione di tutela del patrimonio, ma in funzione di contrasto delle attività illecite. Di solito fa usura chi ha denaro sporco, e l’usura diventa uno strumento di ulteriore moltiplicazione di quel denaro, attraverso gli interessi usurari. L’usura e` un delitto che, non a caso, affrontiamo nel nostro ordinamento ed e` un reato che ci fa pensare, anche alla luce delle cognizioni del nostro diritto civile, perché, nei secoli passati, l’usura non era contemplata nei codici/non era punita in forza dell’osservanza del dogma dell’autonomia contrattuale: se una persona, che non sia incapace di intendere e di volere, conclude un contratto a interessi usurari, sono fatti suoi in forza, appunto, del principio della libertà contrattuale. Ad un certo punto ci si rende conto, però, dell’inaccettabilità dell’usura e non più per le ragioni tradizionali risalenti ai secoli passati, ma perché ci si rende conto della notevole anti socialità dell’usura stessa (sebbene praticata dallo strozzino tradizionale di quartiere e non come oggi accade da organizzazioni che hanno a che fare con la criminalità organizzata). La sanzione/pena prevista per l’usura, proprio perché rappresenta un’eccezione rispetto a ciò che di regola e` assolutamente lecito (e cioè stabilire/fare contratti), in passato, era prevista nel massimo come quella che oggi e` la pena minima, e cioè: il delitto di usura veniva punito nel massimo fino a due anni di reclusione. Quindi si era accettato di stigmatizzare penalmente l’usura, ma con un livello sanzionatorio che, tutto sommato, non implicava, gia allora, se non in caso di reiterazione o di recidiva, l’ingresso in carcere. Oggi le cose sono ben diverse. Guardiamo l’Art. 644 (“Usura”), c.1 c.p.: “Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643 (caso della circonvenzione di persona incapace, perché e` ovvio che se si fa firmare un contratto ad una persona che non e` in grado di intendere e di volere o e` minore di una certa età, si configurera’ un reato autonomo, a se stante) si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario (vi è qui il caso della mediazione usuraria, perché sarebbe facile aggirare il delitto di usura, per es. Tizio fa un mutuo a Caio con un tasso assolutamente lecito di interessi, però Sempronio, che ha messo in contatto T e C e che e` d’accordo con T, chiederà a C una cifra esorbitante per la mediazione  e` chiaro che questo non si può accettare). La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria. Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà: 1) se il colpevole ha agito nell'esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare; 2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari; 3) se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno; 4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale; 5) se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l'esecuzione. Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni e utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni”. Possiamo notare come l’entità sanzionatoria sia notevole. La riforma del reato attuata con legge n. 108/1996: il passaggio dalla precedente costruzione della fattispecie come reato di pericolo concreto alla diversa configurazione attuale, intesa a «compensare» tale evoluzione con il recupero di determinatezza legato alla definizione di una soglia formale identificativa dell’interesse usurario. Ora, pero’, dobbiamo riflettere su come si configura questa norma, affrontandola anche nella sua formulazione originaria (passata). Nel passato, infatti, per punire l’usura si richiedeva al giudice se gli interessi pattuiti rappresentassero lo sfruttamento dello stato di bisogno della persona che aveva accettato di pagare questi interessi  quindi, veniva richiesto al giudice di accertare (lo sfruttamento del)lo stato di bisogno e di conseguenza l’usura presupponeva questo tipo di accertamento (dello stato di bisogno). Come dire: e` assolutamente libera la contrattazione e l’usura scatta quando, in concreto, risulta che la persona e` stata condizionata ad accettare quegli interessi a causa del versare in uno stato di bisogno (che il giudice deve accertare). Oggi, se osserviamo la norma, possiamo vedere come di questo sfruttamento dello stato di bisogno, non si fa più cenno. Il reato consiste nel farsi dare o promettere interessi, o altri vantaggi usurari  ma questo interesse usurario, e cioè il denaro che si paga a titolo di interesse, e` in corrispettivo di una somma di denaro che e` stata data dal soggetto usuraio e quindi ricevuta dal soggetto che poi subisce l’usura (sono gli interessi che si fanno valere sulla somma data/ricevuta). Il reato si ha gia’ nel momento in cui si riceve, o si riceve anche solo la promessa, di interessi o vantaggi usurari in cambio di denaro o di altra utilità (prestazione). Questo e` lo schema del reato che ci deve essere presente bene in mente (la dinamica deve essere ben chiara il Prof. richiede che vengano riportate queste parole). Perché si configuri il reato di usura non e` necessario che gli interessi siano stati dati o pagati, basta che ci sia stata anche solo una promessa. Ora, se la norma avesse scritto soltanto il “si fa dare”, e quindi l’usura potrebbe dirsi realizzata solo nel momento del pagamento, la promessa senza avvenuto pagamento costituirebbe un tentativo. Si può vedere, quindi, che la norma presta una tutela anticipata, perché gia’ anche il tentativo (quello che sarebbe tentativo se la norma avesse previsto il realizzarsi del reato di usura soltanto in funzione della dazione di denaro) e` configurato dalla norma come un reato consumato. Quindi la consumazione viene anticipata al momento della promessa, del patto, della costruzione del contratto. Vedremo che una dinamica di questo genere la si ritrova anche in materia di corruzione e concussione (vi è l’equiparazione tra il ricevere e il solo accettare la promessa, tra il “si fa dare” e il “si fa promettere”). “… si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari…”  non e` necessario che si tratti di una somma di denaro, puo’ trattarsi anche di un’altra utilità, utilita’ che però deve essere un’utilità di natura economicamente significativa. Poi, in cambio di questa prestazione di denaro/altra utilita’, il soggetto vittima da o promette interessi o altri vantaggi usurari  il riferimento a “altri vantaggi usurari” suona un po` strano, soprattutto rispetto alla configurazione successiva della norma, perché con il c.3 e` la legge stessa che individua un criterio aritmetico per la definizione di questi interessi, quindi e` chiaro che i vantaggi non potranno che essere comunque vantaggi economicamente stimabili, cioè traducibili in un valore in denaro (altrimenti alla norma non funziona più). Luciano Violante, prof. di diritto penale, collega del Prof. e personaggio molto noto anche in politica, ha scritto sul retro di usura e diceva che questi vantaggi potrebbero consistere, per esempio, in una prestazione sessuale  forse questo poteva essere sostenuto con la vecchia formulazione dell’usura (ante ’96), perchè di fronte alla nuova formulazione dell’ usura che quantifica in termini aritmetici l’entità degli interessi, questi vantaggi usurai non possono che consistere in una prestazione economicamente significativa traducibile in valore economico (una prestazione potrebbe anche essere altro, come, per es un estorsione o una violenza, ma con l’usura, il Prof., non ritiene che abbia un granché a che fare). Bisogna notare ancora che questa norma configura un reato a concorso necessario, perché occorre la prestazione attiva di due soggetti (non si può fare usura da soli). ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”. Si ricrea, cioè, un elemento di incertezza, perché: si dice che il livello usurario e` quello stabilito dalla legge (vedremo domani qual e`), ma si dice anche che, al di sotto del livello usurario stabilito dalla legge, il giudice possa condannare per usura, se gli interessi sono sproporzionati rispetto alla media e ove obiettivamente chi ha dato o promesso quegli interessi fosse in difficolta economica e finanziaria  concetto estremamente indeterminato nei suoi contenuti. Si vede, allora, come nel dibattito parlamentare si sia introdotto questo completamento che ha finito per non rendere più sicuro il fatto che, se si rimane sotto il livello di interesse stabilito dalla legge, sicuramente non si sta commettendo usura. È vero che di questa seconda parte del c.3 si e` fatto uno scarsissimo uso, ma questo ha un po` minato quella specie di bilancia, per cui: da una parte si toglie il pericolo concreto, dall’altro lato si da l’assoluta certezza per la quale non si verrà mai condannati per usura al di sotto del livello di interesse previsto dalla legge. Lezione 15/03/2016 La determinazione degli interessi usurari (artt. 644, co. 3 e 4, c.p., e 2, co. 1 e 4, l. n. 108/1996): considerazioni in rapporto al principio della riserva di legge. Domanda: come definisce la legge questi interessi usurari? La legge, all'Art 644, c.3 c.p. sostanzialmente fa un rinvio, perchè troviamo solamente scritto che: “La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”. Tuttavia, proprio il c.3 che risulta essere un po` insidioso e inquinante il progetto di legge, perché, con una modifica introdotta all’ultimo momento nell’aula parlamentare, si e` detto che sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori al limite previsto dalla legge, quando c’e` sproporzione rispetto alla prestazione di danaro (…) e il soggetto passivo si trova in condizione di difficolta economica o finanziaria. Dove la legge individua il livello oltre il quale gli interessi sono sempre usurari? Nella legge specificamente dedicata all’usura (L. 108/1996), all'Art 2, c.1 e 4. Questa norma, in effetti, offre una definizione molto precisa in materia di livello dell’interesse usurario. L’articolo parte da una premessa dicendo che: “Il ministro dell’economia, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti…, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura” (relativamente a una serie di operazioni della medesima natura che si sono compiute nel trimestre precedente). In sostanza la legge fa obbligo al ministero di individuare una serie di relazioni standard (fido, mutuo, ecc ecc) e di rilevare, di trimestre in trimestre, i tassi medi: il ministero compie una rilevazione puramente tecnica attraverso il monitoraggio, che viene fatto attraverso la Banca d’Italia, per operazioni omogenee. Questo livello viene pubblicato ogni trimestre sulla G.U.: in effetti ogni tre mesi noi possiamo trovare sulla G.U. questo livello, e qualche volta i codici grossi, alla voce usura, riportano a titolo esemplificativo il decreto del trimestre appena concluso prima della pubblicazione del codice. L’ Art. 2, c.4, stabilisce che: il limite previsto dall’Art. 644, c.3 c.p., cioè il limite del tasso usurario, oltre al quale i tassi/interessi sono sempre usurari, “è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella G.U ai sensi del comma 1, relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito e` compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali”. Es: poniamo che il tasso medio, per una certa operazione, nel trimestre precedente sia dell'8% (es. il tasso medio dei fidi bancari di quella categoria e` dell’8%), si deve aumentare questo 8% di un quarto, ossia di due punti percentuali, si arriva al 10%, a questo 10% si devono aggiungere altri quattro punti percentuali, e cosi dal 10% si arriva al 14%, purché la differenza tra il limite (stabilito dalla legge che e` il limite oltre al quale l’interesse verrà considerato usuraio) e il tasso medio non sia superiore ad 8 punti percentuali. Avevamo detto che il tasso medio era dell’8%, che aumentato di un quarto è del 10% e che con in più i 4 punti percentuali diventa del 14%, quindi la differenza e` di 6 punti, quindi siamo dentro il limite e il livello usurario e` appunto del 14%. Questo calcolo è stato reso più complesso da una riforma di pochi anni fa: prima era più semplice, perché il calcolo da fare consisteva nel prendere il tasso medio e aumentarlo della metà, mentre adesso e` aumentato di un quarto, più i quattro punti percentuali, purché si resti entro una variazione non superiore a 8 punti percentuali. A noi non interessa il calcolo matematico, bensì ci interessa compiere una considerazione di fondo: di fatto per sapere se un prestito, fatto da una persona privata, da una finanziaria, fatto da una banca, costituisca usura, dobbiamo rifarci al D.M. che di tre mesi in tre mesi fissa i livelli medi, salvo poi applicare a ciascun livello medio il criterio che abbiamo appena letto. Per stabilire se un certo finanziamento è o meno usura bisogna guardare il D.M. che di tre mesi in tre mesi indichera’ il tasso medio, da cui poi poter ricavare quello che è il tasso usuraio. Quale problema di fondo potrebbe sorgere? Che domanda si potrebbe rivolgere allo studente, rispetto a un sistema di questo genere? Forse che questo sistema di fondo coincide con qualcosa che abbiamo già imparato? Non è che per caso un sistema del genere incide sul principio di riserva di legge? POTREBBE ESSERE! Sembra venir leso il principio di legalità nella parte del principio di riserva di legge, perché in questo caso il limite tra lecito e illecito, di tre mesi in tre mesi, dipende da una decreto ministeriale e quindi potrebbe apparire violato proprio il principio di legalita’ nella parte di riserva di legge, la quale vuole che, in quanto arma a doppio taglio (il diritto penale  ed e` arma a doppio taglio, perché il diritto penale per tutelare dei beni, incide a sua volta su beni della persona), le limitazioni del bene fondamentale “libertà dei cittadini” possano essere fissate soltanto dall’organo maggiormente rappresentativo degli interessi dei cittadino, e cioè dal Parlamento. Del resto se il D.M. potesse incidere sul penale, si capisce che sarebbe violato il principio in questione, perché affinché entri in vigore un D.M. basta una firma, mentre comunque una legge, seppure approvata dalla stessa maggioranza che esprime il governo, richiede un iter di discussione parlamentare all’interno delle commissioni molto più complesso  ed ecco, allora, che il principio di riserva di legge vuole che la materia penale resti, per l’appunto, riservata al potere legislativo. (Qui si potrebbe aprire una piccola parentesi: noi impariamo cosi ed e` giusto, ma il parlamento oggi e` all’altezza di questo compito, e cioè di essere accurato garante del cittadino rispetto alla protesta punitiva statale, scegliendo quando ricorre il diritto penale e in che misura? Piuttosto sta capitando, all’opposto rispetto a quanto ritenevano i teorici dell’illuminismo, che il Parlamento diventi la cassa di risonanza del populismo penale, e cioè dell’uso demagogico del diritto penale! Tutto ciò si verifica sempre secondo l’idea inespressa che tanto il diritto penale si applicherà ad una categoria sociale diversa da quella dei parlamentari; dietro c’e` sempre l’idea del diritto penale come strumento di controllo sociale rispetto ad altre categorie sociali, rispetto a quelle in cui più facilmente si identifica il cittadino medio, finche poi non capiterà che qualche padre di famiglia si prenda dodici anni di reclusione per la sciagura di un omicidio stradale e allora forse si ricomincerà a riflettere un poco). Comunque al di la` di queste chiose, a prima vista qui si pone un problema di riserva di legge, ma, come sempre, noi dobbiamo essere dei giuristi che guardano la sostanza e non la forma: questo e` il caso tipico in cui si dice che, in realtà, la riserva di legge non e` violata e questo perché il fine del principio di legalità, e quindi il fine della riserva di legge, e` quello di escludere ogni protesta decisionale in materia penale al potere esecutivo, al governo, alla pubblica amministrazione. Detto in altro modo: si vuole che il confine tra lecito e illecito, la definizione di ciò che e` lecito o illecito, spetti al parlamento  tanto e` vero che il diritto penale in questo si differenzia dal diritto civile o amministrativo  nel diritto civile o amministrativo sussiste una riserva di legge? NO. E` chiaro che anche nel diritto civile e nel diritto amministrativo un decreto ministeriale non possa andare contro la legge (perché vi è la gerarchia delle fonti), ma di certo può integrarla  la legge può definire una materia in termini generali e poi un atto amministrativo la può precisare. Nel diritto penale, invece, questo non può succedere, perché nel penale tutto deve essere determinato dalla legge (almeno sulla carta, perché poi abbiamo le norme penali in bianco, e un mare di clausole indeterminate - atti sessuali: quando tre o più persone si riuniscono, si associano… - tutte contenenti concetti cosi estesi e vaghi che, tutto sommato, violano la riserva di legge, non tanto perché lasciano aperto il potere all’esecutivo, ma perché lasciano aperto il potere al giudiziario  tutte le volte che una norma e` estremamente indeterminata sicuramente viene leso il principio di determinatezza, ma di fatto viene leso anche il principio di riserva di legge, perché a quel punto chi decide il confine tra lecito o illecito non e` più il parlamento ma diventa il giudice). Perché, invece, in questo caso non abbiamo una violazione del principio di riserva di legge? Perché in questo caso il Ministro dell’Economia non ha alcuna discrezionalità, cioè deve fare soltanto una rilevazione tecnica, e` stato già deciso tutto dalla legge: la legge ha deciso che il tasso usurario e` il tasso medio di quell’operazione nel trimestre precedente, aumentato di un quarto e con in più quattro punto Abbiamo dedicato parecchio tempo a questa cosa per capire che: in questo caso non sussiste una violazione della riserva di legge, seppur poi possano nascere dei problemi sulla interpretazione del concetto fissato proprio nel diritto. La diversa natura dei due “fondi” antiusura (artt. 14 e 15 l. n. 108/1996)  in particolare la funzione di prevenzione primaria svolta dal fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura previsto dall’art. 15 e la funzione di aiuto, ma anche promozionale della costituzione da parte della vittima nel processo di usura svolta dal fondo di cui all’art. 14. La Legge 108/1996 (che abbiamo citato per quanto riguarda l’Art 2, c.1 e 4, il quale indica come deve essere stabilito in tasso usurario) la consideriamo ora rispetto ad altre due norme, perché, anche rispetto all’usura, il legislatore si rende conto che il contrasto non può essere fondato solo su un delitto che punisce l’usura. In particolare, in questa legge, troviamo due articoli abbastanza significativi: Artt. 14 e 15, L. 108/1996  si tratta di due articoli che istituiscono dei particolari fondi antiusura. Iniziamo analizzando l’Art 15 della L. 108/1996 che disciplina il fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura. Soffermiamo la nostra attenzione su questa norma, perché la previsione di un fondo per la prevenzione dell’usura, una volta tanto, mostra che il legislatore si rende consapevole dell’importanza della prevenzione primaria. Quindi questo fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura parte dalla domanda: chi e` che accetta di pagare interessi usurari? Perché lo fa? La risposta e` evidentemente che lo fa chi non riesce più ad avere accesso al credito ordinario. Certamente ci può essere la persona che non accede al credito ordinario perché non ne ha le condizioni, ma oggi spesso ci sono situazioni in cui, poniamo, un impresa non e` affatto in condizione disastrose, anzi magari ci sono dei buoni brevetti che potrebbero essere valorizzati, ci sono degli ordinativi, ma c’e` anche la necessità di fare degli investimenti e noi sappiamo quanto le banche oggi siano restie a fare finanziamenti. Troppo spesso, negli ultimi anni, le banche hanno preferito comprare titoli di stato più sicuri, che nel passato erano redditizi, ma che oggi, con le ultime norme elaborate dalla BCE, non lo sono poi più di tanto, perché si cerca di invogliare le banca a tornare ad investire non più soltanto con questi strumenti dei titoli, ma anche attraverso finanziamenti appunto alle imprese cosi da poter finanziare l’economia. Allora quando la banca non da più finanziamento? Quando non si hanno più adeguate garanzie da fornire, garanzie che metterebbero la banca in una situazione di sicurezza, perché se l’imprenditore non dovesse restituire quanto pattuito, la banca si trova l’ipoteca sui terreni dell’imprenditore e quindi non rischierebbe di restare scoperta. Allora, il fondo di prevenzione del fenomeno dell’usura (previsto dall’Art 15 della L. 108/1996), attraverso un minimo prelievo obbligatorio, che poi viene gestito da consorzi che si chiamano Confidi, crea la possibilità, in presenza di certe condizione, che questi consorzi (Confidi) garantiscano per una parte davanti/a favore della/la banca la persona che chiede il credito. In altre parole: la persona che chiede il credito/l’imprenditore/impresa e non ha adeguate garanzie, se però ha dei fondi, potra’ usufruire della garanzia suppletiva del fondo stesso che garantisce per lui e questo a prevenzione del fenomeno dell’usura, cioè affinché l’imprenditore non vada a rivolgersi a chi fa usura  da un lato, favorendo l’illegalità e la criminalità organizzata che sta dietro l’usuraio, e dall’altro mettendo a grave rischio se stesso (l’imprenditore), nel caso in cui quest’ultimo, per cercare di andare avanti nella sua attività, sia costretto a esporsi ad interessi usurari (nell’usura c’e` il problema dell’anatocismo, cioè dell’interesse sull’interesse: non viene previsto soltanto l’interesse annuale, perché se l’imprenditore continua a non pagare, continuano ad essere calcolati degli interessi su quanto non e` stato ancora pagato). Questo fondo e` un tipico fondo di prevenzione primaria, perché non incide su un’attività illecita, ma cerca di evitare la condizione che favorisce il rivolgersi all’usurario. Il secondo fondo che viene previsto all’Art 14 della L. 108/1996, il quale non e` affatto un fondo di prevenzione primaria, ma si tratta di un fondo di aiuto successivo a chi sia stato vittima di usura. Dicevamo ieri che chi e` vittima di usura e`, però, anche un concorrente necessario, che viene considerato vittima  qual e` il senso di questo fondo ex Art 14? Il senso di questo fondo e` che se una persona ha subito usura, ovviamente rischia di trovarsi in guai grossi, rischia di uscire dal mercato se e` un imprenditore, rischia di non poter andare avanti, perché ha perso, per pagare gli interessi, gran parte delle sue risorse. Allora ecco che questo fondo offre a chi e` stato vittima di usura (c’e` un fondo analogo anche per le persone che sono vittime di estorsione, per quelle persone soggette al pagamento del pizzo), la possibilità, sempre a certe condizioni, di avere dei mutui agevolati (in particolare il mutuo a tasso zero)  e quindi offre, sempre e comunque, un agevolazione in quanto il soggetto e` stato vittima di usura e per dare a quest’ultima la possibilità di ripartire o comunque per non uscire dal mercato, ma non solo. Non si tratta, infatti, soltanto di un fondo di aiuto, perché viene richiesta una contropartita importante, e quindi questo fondo finisce per configurarsi come una norma premiale: le norme premiali sono quelle norme che danno un vantaggio se si tiene un comportamento auspicato dall’ordinamento giuridico. Di norme premiali ce ne sono di tante categorie, per esempio una norma premiale e` quella che diminuisce la pena a chi collabora con la giustizia - la norma sui pentiti; e` una norma premiale, di tutt’altra natura, anche quella che prevede che se la persona partecipa positivamente al trattamento rieducativo in carcere potrà beneficiare delle misure alternative; e` una norma premiale, di natura ancora diversa, quella che si studia in procedura penale sui riti speciali, perché se si richiede il rito abbreviato si avrà la riduzione di pena di un terzo. Perché il fondo ex Art 14 non e` solo un fondo di aiuto, ma e` anche una norma premiale? Perché se noi andiamo a leggere la norma, questa richiede, tra le diverse condizioni, che il soggetto che chiede di beneficiare di questo fondo, si costituisca nel processo, e cioè richiede che la stessa denunci l’usura subita o che comunque, anche se l’usura non e` stata denunciata da lui, ma e` venuta fuori per altra indagine, si esponga nel processo come testimone, e quindi costituendosi parte civile nel processo. Si tratta di una norma double faces, perché offre si’ un beneficio (cioè la possibilità che la vittima sia ammessa a godere del fondo di aiuto per chi sia stato vittima di usura), ma richiede anche un grosso sacrificio (cioè quello di esporsi durante il processo costituendosi parte civile, richiesta gravosa, perché potrebbe esserci un certo rischio nell’esporsi come testimone e, in particolare, a costituirsi nel processo come parte civile). Cioè: l’ordinamento per spingere chi ha, tutto sommato, collaborato con chi faceva usura, seppure lo ritenga vittima, chiede alla stessa vittima di esporsi e di denunciare o comunque di costituirsi nel processo (il Prof. ci ha enunciato il contenuto fondamentale degli articoli, ma ci chiede di analizzarli leggendoli in maniera più approfondita). I delitti tradizionali contro il patrimonio. Adesso possiamo procedere a studiare i delitti contro il patrimonio più tradizionali. Siamo partiti, infatti, dai delitti contro il patrimonio che oggi svolgono delle funzioni che vanno al di la` della mera tutela del patrimonio stesso (per esempio, la normativa sul riciclaggio, che tutela ben poco il patrimonio e che costituisce più che altro un reato di contrasto della criminalità organizzata). Il furto (art. 624 c.p.) e la rapina (art. 628 c.p.) come delitti a dolo specifico: richiamo della nozione di dolo specifico. Cominciamo dalla norma relativa al furto, come norma tradizionale base dei delitti contro il patrimonio, ex Art 624 c.p. che configura un reato a dolo specifico. “Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene”. La condotta e` una condotta che attiene esclusivamente alla cosa e non investe in alcun modo la sfera fisica del soggetto derubato. Una cosa viene sottratta alla sfera di controllo della vittima. Vi è un impossessamento della cosa attraverso la sottrazione, che è il mezzo, tramite il quale si mette l’altra persona in una situazione tale da non avere piu’ il controllo della cosa medesima. La sottrazione (del bene) consiste nel mettere l’altra persona (cioè la vittima del furto) in una condizione tale che non può più avere il controllo della cosa che aveva. Il rapporto tra furto e appropriazione indebita (art. 646 c.p.): il concetto di possesso, tale da ricomprendere anche la detenzione autonoma (non coincidenza con il concetto civilistico di detenzione). Chi compie il furto, pero’, non solo si impossessa di una cosa altrui, ma si impossessa mediante sottrazione. Il furto si caratterizza per l’appropriazione, mediante sottrazione, di una cosa che non e` nella disponibilità dell’autore di reato, perché se l’autore del furto solo si impossessasse di una cosa che e` già nella sua disponibilità non si tratterebbe di furto, ma di appropriazione indebita, ex Art 646 c.p.: l’agente di reato si appropria della cosa, ma non c’e` il momento della sottrazione, perché la cosa era già nella sua disponibilità. Furto  impossessamento + sottrazione di cosa altrui non nel suo possesso/disponibilita’. Appropriazione indebita  appropriazione di cosa nella sua disponibilita’ + possesso [Il possesso nel diritto civile e` disciplinato dall’Art 1140 c.c.] Individuata la differenza tra furto (Art 624 c.p.) e appropriazione indebita (Art 646 c.p.) entrambi reati a dolo specifico, possiamo porci una domanda: per possesso dobbiamo intendere cio’ che dice il c.c., ex Art. 1140? Abbiamo capito che nel furto c’e` la sottrazione della cosa, mentre nell’appropriazione indebita no, e infatti nel furto si dice “chiunque si impossessa”, mentre nell’appropriazione indebita si dice “chiunque si
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