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Diritto penale parte generale, Appunti di Diritto Penale

breve sintesi della parte generale di diritto penale

Tipologia: Appunti

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Scarica Diritto penale parte generale e più Appunti in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! Fonti del Diritto Penale Il diritto penale costituisce quel complesso di norme giuridiche cui lo Stato, mediante la minaccia di una sanzione (pena), proibisce determinati comportamenti umani ritenuti contrari ai fini che esso persegue (reati), pertanto può affermarsi che la funzione del diritto penale è la difesa della società dai reati. Riguardo i caratteri, il diritto penale è diritto positivo poiché può risultare solo da norme giuridiche, statuale, in quanto le norme possono essere emanate solo dallo Stato, autonomo, in quanto mutua i propri concetti solo dai propri principi fondamentali e pubblico, perché mira a tutelare l’interesse generale dello Stato alla conservazione e al progresso della società. In diritto penale il numero delle fonti è assai più limitato rispetto ad altri rami del diritto: l’articolo 25 Cost. prevede al riguardo una speciale riserva di legge, affermando che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”; sono quindi fonti del diritto penale i fatti o gli atti che generano le norme del diritto penale. Nell’ordinamento italiano le fonti del diritto penale sono la Costituzione, il Codice Penale e le Leggi speciali. Il diritto penale è dunque fondato su quattro principi fondamentali: Principio di legalità, Principio di materialità, Principio di offensività e Principio di colpevolezza. Principio Di Legalita’ (art. 25 cost.- artt. 1 - 199 c.p.) Punibilità Doppio Binario - Riserva Di Legge – Consuetudine Il principio di legalità rientra tra le fonti principali del diritto penale, esso è sancito dall’art. 25 della Costituzione, commi 2 e 3 e disciplinato dagli artt. 1 e 199 c.p. Per meglio comprendere la funzione di questo principio garantista, dobbiamo rifarci in primis alla Costituzione che per prima recepì l’esigenza di tutelare i consociati all’interno dello Sato, difatti, l’art. 25 della Costituzione recita: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. In aggiunta al sopracitato articolo, con l’entrata in vigore del codice penale (1930 codice Rocco, dal nome del suo guardasigilli), si volle trasportare all’interno anche il principio di legalità, riportandolo all’art. 2 c.p., che recita: “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da esse stabilite”. Un ulteriore articolo di riferimento è l’art. 199 c.p. che sancisce: “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge. Possiamo notare che sia il codice penale che la Costituzione hanno accolto il principio del doppio binario che viene applicato sia alla pena che alle misure di sicurezza. Affinché il principio di legalità sia effettivamente rispettato, la fonte del diritto penale deve essere la legge ordinaria, presupposto, questo, alla base del cosiddetto PRINCIPIO DI RISERVA DI LEGGE, il quale comporta il divieto di punire un determinato fatto in mancanza di una specifica norma di legge che lo configuri come reato, esso, quindi, esclude dalle fonti del diritto penale, sia le fonti non scritte (consuetudine) sia quelle scritte diverse dalla legge (regolamenti, ordinanze). Il principio della riserva di legge risponde ad esigenze di garanzia dei cittadini contro possibili arbitrii del potere giudiziario e del potere esecutivo. Poiché la riserva di legge può avere carattere relativo o assoluto, ci si è chiesti che natura abbia la riserva di legge contenuta nell’art. 25 Cost., se sia riserva di legge assoluta o relativa. La Corte Costituzionale e parte della dottrina affermano che si tratta di riserva di legge relativa, per cui spetterà al legislatore la definizione delle linee fondamentali della fattispecie incriminatrice e alla normativa secondaria l’individuazione delle specifiche tecniche o, con riferimento alle norme penali in bianco (contengono una sanzione ben individuata ed un precetto generico), anche la concreta individuazione della condotta vietata (Es:. art. 650 c.p.). La dottrina prevalente, invece, qualifica la riserva di legge come assoluta ed esclude, quindi, l’intervento delle norme secondarie in materia penale implicando quindi che spetterà al legislatore l’individuazione degli elementi della fattispecie penale. Si è posta in dottrina la questione dei rapporti tra la consuetudine ed il principio della riserva di legge nel diritto penale, in merito va detto che è esclusa la possibile attività della consuetudine incriminatrice ed abrogratice, parte della dottrina ammette la possibilità che la consuetudine crei altre cause di non punibilità (cosiddetta consuetudine integratrice, se opera in senso favorevole all’imputato). Principio Di Legalità Il PRINCIPIO DI LEGALITA’ è uno dei 5 principi del diritto penale unitamente a materialità; offensività; oggettività o colpevolezza; proporzione e di sussidiarietà. La sua genesi si rinviene nella costituzione, nella Carte Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U. - a seguito delle sentenze gemelle della Corte di Cassazione nr. 348/349 del 2007, assume il rango di norma interposta tra la Costituzione e le Leggi Ordinarie) e nella legge ordinaria e precisamente: art. 25, commi 2,3 Cost. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. Art. 7 C.E.D.U., che recita: Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. art. 1 c.p., ai sensi del quale “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”. Art. 199 c.p., ai sensi del quale nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti Si definisce come principio del nullum crimen nulla poena sine lege, La dottrina ritiene che questo principio può essere inteso in 2 accezioni: 1.principio di legalità in senso formale, il quale comporta il divieto di punire qualsiasi fatto che, al momento della sua commissione, non sia espressamente previsto come reato dalla legge e con pene che non siano dalla stessa legge espressamente stabilite; 2.principio di legalità in senso sostanziale, con il quale si intende il diritto penale destinato a limitare e comprimere la libertà individuale attraverso sanzioni afflittive, come una extrema ratio. Il principio di legalità ha quattro corollari che sono:  il principio della riserva di legge comporta il divieto di punire un determinato fatto in mancanza di una specifica norma di legge che lo configuri come reato: esclude dalle fonti del diritto penale sia le fonti non scritte, sia quelle scritte diverse dalla legge (ad esempio, i regolamenti, le ordinanze, ecc). Tale principio risponde all’esigenza di garanzia dei cittadini contro i possibili arbitri del potere giudiziario e del potere esecutivo.  Il principio di irretroattività comporta che le norme penali incriminatrici hanno efficacia soltanto per i fatti commessi dopo la loro entrata in vigore. Ciò significa che la legge penale dispone solo per l’avvenire.  l principio di tassatività indica il dovere del legislatore di determinare, in modo preciso, la fattispecie penale astratta che, in quanto tale, risponde all’esigenza della certezza del diritto. Ciò per evitare l’arbitrio del potere giudiziario, garantendo inoltre all’imputato il diritto di difesa. Il principio consiste, pertanto, nella riconducibilità dei fatti incriminati ai modelli legali contenuti nel codice penale e nelle altre norme penali. Principio Di Colpevolezza L’art. 27 co. 1 della Costituzione recita: la responsabilità penale è personale, al co. 2 prosegue: l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva. Ai fini della sussistenza del reato, non è sufficiente che il soggetto ponga in essere un fato corrispondente ad una fattispecie astratta penalmente sanzionata, occorrendo oltre al nesso di causalità, un legame psichico di attribuibilità del fatto alla volontà dell’agente. Il codice penale italiano non usa il termine colpevolezza, esso è stato coniato dalla dottrina, Com’è noto, l’art. 14 delle preleggi vieta il ricorso al procedimento analogico per le norme penali e per quelle che fanno eccezione ai principi generali. Il divieto di analogia in malam partem ha fondamento costituzionale, nel espresso principio di legalità (art. 25, 2° c., Cost.), in base al quale le norme non si applicano al di fuori dei casi da esse stesse espressamente stabiliti. Limiti imposti dal principio di riserva di legge Il principio di diritto però non specifica quali siano le norme penali a non essere suscettibili di applicazione analogica: se ogni disposizione relativa alla materia penale, ivi comprese le norme che prevedono cause di non punibilità (concezione assoluta), o se si riferisca alle sole norme penali incriminatrici che tipizzano la fattispecie di reato (concezione relativa). La tesi più risalente, aderendo a quest’ultima interpretazione, ammetteva l’applicazione analogica in bonam partem delle norme che, pur disciplinando la materia penale, introducono cause di giustificazione, cause di non punibilità, scusanti o cause di estinzione del reato. Successivamente, si è identificato un orientamento contrastante secondo cui le “norme penali” con l’intera materia del diritto punitivo, intendeva il divieto in senso assoluto, con conseguente preclusione dell’applicazione analogica anche rispetto a tali istituti. Attualmente, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, rivisitando la tesi tradizionale, prediligono una concezione relativa, per cui la ratio del divieto di applicazione analogica (come corollario del principio di legalità del reato e della pena di cui all’art. 25, 2°c., Cost.) risulta quella di assicurare la garanzia della libertà dell’individuo contro possibili arbitrarie limitazioni della libertà personale al di là delle ipotesi espressamente previste dal legislatore, (non la rigida certezza nell’applicazione della legge), pertanto non preclude l’applicazione analogica di norme penali che determinino un trattamento favorevole per il reo (cause di giustificazione, cause di non punibilità, esimenti, cause di estinzione del reato), ma solo di quelle incriminatrici, o che aggravano il trattamento sanzionatorio. Pertanto, stabilito che le norme di favore sono escluse dal divieto di cui all’art. 14 disp. prel., esse possono applicarsi anche in ipotesi da queste non espressamente previste, ma caratterizzate accentuata similitudine, qualora: sussista identità di ratio, la lacuna non sia intenzionale (poiché il legislatore potrebbe infatti aver consapevolmente limitato la disciplina ad un numero chiuso di casi, come ad es. nell’art. 53, 1° c., ultima parte) e se non si tratti di una norma eccezionale, (stante il divieto di applicazione analogica delle norme che fanno eccezione a regole generali). Le scriminanti In conclusione, l’analogia non viene preclusa relativamente alle scriminanti, per le quali non è ravvisabile un rapporto di regola/eccezione, per mancanza di unità di materia, (poiché le norme incriminatrici fanno riferimento a fatti illeciti, mentre le scriminanti a fatti già in origine leciti, permessi o imposti), inoltre, le cause di giustificazione non costituiscono, come pure si è sostenuto, eccezione rispetto a contrari principi generali, bensì, rispondono al principio di non contraddizione dell’ordinamento, in base al quale non è possibile, contestualmente, imporre e punire una condotta. L’analogia è comunque possibile solo relativamente a quelle cause di giustificazione che non escludono in maniera strutturale la possibilità di un’eventuale estensione analogica, in quanto, previste dalla legge nella loro massima portata logica, (ad es. l’esercizio del diritto), o comunque formulate in modo da precludere la riconduzione ad esse di altre ipotesi extralegali, (ad es. il consenso dell’avente diritto). INTERPRETAZIONE ESTENSIVA L’art. 14 delle Disp.Prel. non pone alcuna limitazione all’interpretazione estensiva, che pertanto è ammissibile per tutte le disposizioni, comprese quelle penali ed eccezionali; questo procedimento, infatti, non estende a casi non regolati, ma la rende applicabile a tutti quelli a cui deve riferirsi. Attribuisce, quindi, uno dei significati compatibili al tenore letterale. (Es. art. 660 – Molestie telefoniche – con l’avvento della tecnologia, rientrano nell’ambito di detta fattispecie anche le molestie effettuate tramite mail o altri sistemi di messaggistica) Territorialità La legge penale dello stato opera è si applica a chiunque delinque nel T.N., inteso come la terraferma fino ai confini politici, le acque territoriali e costiere fino ai 12 m.m., lo spazio aereo sovrastante il territorio e le acque nazionali, il sottosuolo fin dove è possibile ricavare utilità, oltre alle navi e aeromobili di bandiera italiana, ovunque si trovino, salvo che per diritto internazionali siano soggetti a leggi straniere. Chiunque è sia il cittadino che lo straniero. In casi particolari si deroga a questo principio, ovvero quando si commettono delitti e gli interessi da tutelare sono elevati, come la personalità dello Stato, contraffazione e uso del sigillo di Stato, falsità dell moneta legale dello stato, ecc. Quando si commette all'estero un delitto politico contro lo Stato italiano. Si prevede la punibilità del Italiano o straniero che ha commesso un delitto comune all'estero a condizione che sia prevista la reclusione e che il soggetto si trovi sul T.N. In merito alla Estradizione, consistente nella consegna che lo Stato fa di un individuo, autore di reato, che si sia rifugiato sul suo territorio, ad un altro Stato, per essere sottoposto a giudizio penale o sanzioni penali. L'estradizione può essere attiva o passiva. Estradizione passiva è condizionata a che il soggetto sia straniero, il fatto incriminato deve corrispondere ad un reato nel nostro ordinamento, il reato non deve far parte dell'elenco per cui se ne vieta l'estradizione dalle convenzioni internazionali. L'estradizione non è concessa quando si tratta di reati politici, escluso il genocidio, per motivi di razza religione o nazionalità, e per reati puniti con la pena di morte. Vige il principio di specialità, ovvero che lo Stato richiedente si obbliga a non processare il soggetto per un altro fatto criminoso e di non assoggettarlo a pena diversa da quella prevista nella richiesta di estradizione. Le Immunità Il principio di Territorialità del Diritto Penale, ossia l’efficacia della Legge penale nello spazio sancito dall’art. 6 del c.p., stabilisce che chiunque delinque nel territorio dello Stato italiano (terraferma, mare, spazio aereo, sottosuolo) ed in ogni altro luogo sottoposto alla sovranità dello Stato questo è soggetto alla Legge salvo che, il diritto internazionale o una legge territoriale straniera disponga diversamente (c.d. principio della bandiera). Tale principio subisce una serie di deroghe giustificate dall’esigenza di contemperare interessi diversi e a volte contrastanti, l’art. 3 c.2 c.p., prevede una deroga a tale principio nei casi indicati dalla legge e dal diritto internazionale ossia le c.d. immunità, riferite a particolari soggetti come. “Il sommo pontefice, rappresentanti delle Nazioni Unite, membri del Parlamento nazionale e Europeo, membri del Consiglio Regionale, istituzioni militari straniere di stanza in Italia appartenenti NATO). Quando si parla di immunità, nel diritto Penale, l’eventuale reato commesso, non è punibile in quanto subentrano le c.d. “cause di esclusione della punibilità” dette anche esimenti. Queste situazioni racchiudono tutti quei casi che escludono la pena del reato in quanto, in base a valutazioni di opportunità politico-criminale sull’esigenza di giustizia, prevalgono superiori interessi di altra natura. In tali circostanze interviene una causa di non punibilità sebbene il fatto sia comunque tipico, colpevole ed antigiuridico. Struttura Del Reato È definito reato, qualsiasi azione, commessa con volontà colpevole, per cui la legge applica una sanzione penale. Il reato, da un punto di vista formale e giuridico, è quel fatto giuridico volontario illecito al quale l'ordinamento ricollega, come conseguenza, una sanzione penale (ergastolo, reclusione, arresto, multa e ammenda) Il sistema penale si basa sul principio di legalità formale (art. 1 c.p.), che trova tre espresse articolazioni. ● Principio di riserva di legge: Qualsiasi comportamento per costituire reato deve essere previsto dalla legge e qualsiasi condotta per costituire reato, deve corrispondere alla descrizione legale, contenuta nella norma incriminatrice. ● Principio di tassatività: Sta ad indicare la necessità di una precisa formulazione della fattispecie tipica, che specifichi ciò che è penalmente lecito o illecito. ● Principio di irretroattività: Nessuno può essere punito per un fatto che non fosse previsto come reato, nel momento in cui fu commesso. I reati si distinguono in delitti (ergastolo, reclusione e multa) e contravvenzioni (arresto e ammenda) secondo la diversa specie delle pene per essi stabiliti dal codice penale. L'analisi della struttura del reato ha condotto alla formazione di due diverse concezioni. Teoria bipartita: secondo questa teoria il reato si compone di: ● elemento oggettivo (tipicità). Sono ricondotti tutti i dati fenomenici con i quali si manifesta il reato e cioè il comportamento umano e le sue conseguenze; quindi rappresenta il fatto materiale in tutti i suoi elementi costitutivi, quali la condotta, l'evento e il rapporto di causalità tra condotta ed evento; ● elemento soggettivo (colpevolezza). Si ricollegano gli aspetti attinenti alla sfera morale dell'agente, alla sua adesione psicologica e volontaria rispetto al fatto oggettivamente mostratosi come illecito; esprime il diverso atteggiarsi della volontà del soggetto nelle forme del dolo, della colpa o della preterintenzione. Teoria tripartita: secondo questa teoria il reato si compone di: ● fatto tipico (tipicità). È da intendersi restrittivamente, cioè come fatto materiale comprensivo dei soli requisiti oggettivi, quali la condotta, l'evento e il nesso causale; il fatto costituente reato è cristallizzato in una norma che ne descrive in maniera precisa i contorni e l'ambito applicativo; ● antigiuridicità. Costituita dalla contrarietà del comportamento non solo alla norma penale incriminatrice (c.d. norma di divieto), ma a tutto l'ordinamento non essendovi altre norme che giustificano detta condotta (c.d. norma permissiva); ● colpevolezza. Rappresenta la volontà riprovevole del soggetto agente nelle sue due forme del dolo e della colpa Il reato (caratteristiche, elementi, azione e nesso causale) reati propri e i reati comuni. Si definisce reato quel comportamento umano volontario, che si concretizza in un’azione o omissione tesa a ledere un bene tutelato giuridicamente e a cui l’ordinamento giuridico fa discendere l’irrogazione di una pena (sanzione penale). Nozione formale: è reato ogni fatto umano al quale l’ordinamento giuridico ricollega una sanzione penale; Nozione sostanziale: è reato ogni fatto socialmente pericoloso. Un comportamento umano contrario alle norme non è detto che costituisca reato, pertanto sono reati solo quei comportamenti ai quali l’ordinamento giuridico ricollega una sanzione penale. I reati si distinguono tra loro in due grandi categorie: delitti e contravvenzioni. La distinzione opera sulla base delle diverse sanzioni penali loro attribuite. Per i delitti (che vanno dall’art. 241 al 649 cp) le sanzioni possono essere: ergastolo, reclusione e multa. Per le contravvenzioni (che vanno dall’art. 650 al 749 cp) le sanzioni possono essere: arresto ed ammenda. Nel reato si distingue il soggetto attivo ed il soggetto passivo. anche se non esiste una norma specifica che imponga al guidatore di assicurarsi che tutti abbiano allacciato le cinture di sicurezza, egli debba esigere che i passeggeri indossino le cinture stesse, anche a costo di rifiutare la marcia. Se l’automobilista omette tutto ciò, sarà responsabile delle lesioni subite dai passeggeri (o della morte degli stessi) in caso di incidente. Si noti che l’automobilista si trova in una posizione del tutto particolare, tale per cui egli è garante della sicurezza dei passeggeri. Il guidatore ha infatti il potere di impedire il verificarsi di un evento dannoso. Proprio la sussistenza di questi poteri giustifica il fatto che chi non li esercita risponda penalmente della propria omissione. Lo schema tipico del reato omissivo improprio, quindi, è il seguente: - esistenza di una posizione di garanzia, tale per cui un soggetto ha il potere di impedire un evento dannoso; - omissione dell’agente, che non pone in essere la condotta che era obbligato a tenere; - nesso causale tra omissione ed evento: in poche parole, l’evento (ad esempio la morte) deriva proprio dall’omissione dell’agente. I reati di danno e di pericolo A seconda che il bene tutelato giuridicamente sia leso o semplicemente offeso, l’offesa del soggetto attivo può assumere due forme: lesione o messa in pericolo. Sulla base di tale distinzione è poi possibile distingue ulteriormente due tipi di reati: di danno (è necessario che il bene sia stato distrutto e/o danneggiato) e di pericolo (per la sussistenza del reato basta solo che il bene sia stato solo minacciato). Soggetto attivo o passivo del reato Il soggetto attivo o autore è colui che pone in essere il comportamento penalmente illecito, fatto tipico. La capacità penale è una prerogativa di ogni persona umana, consistente nell’abilità di realizzare un fatto costituente reato, prescindendo dall’età, condizioni fisiche o di altre condizioni soggettive. Ne consegue che tutte quelle condizioni, come la minore età, le capacità fisico - psichiche e le immunità, non fanno venire meno la capacità penale di un soggetto, ma sono rilevanti solo ai fini della capacità sulla pena, quindi sulla imputabilità, o ai fini della capacità alle misure di sicurezza, stante la pericolosità del soggetto. Riferendosi al soggetto attivo del reato possiamo distinguere tra i reati comuni, che possono essere commessi da chiunque, ed i reati propri, che possono essere commessi solo da soggetti che rivestono una particolare qualifica. I reati propri si dividono in propri esclusivi e propri non esclusivi. I reati propri esclusivi sono tutti quei reati che possono essere commessi solo da soggetti che rivestono una determinata qualifica, nel caso lo stesso fatto sia commesso da persona non qualificata, la condotta non costituisce reato (es. evasione). I reati propri non esclusivi sono tutti quei reati che mutano l’imputazione del reato a seconda se il soggetto riveste o no una particolare qualifica. Chi si appropria di un bene della P.A. non essendo qualificato, commette il reato di appropriazione indebita, art. 646 c.p.; se al contrario identica appropriazione avviene da parte di un pubblico ufficiale, la qualificazione soggettiva farebbe modificare il titolo del reato in peculato, art. 314 c.p.. A seconda del numero dei partecipanti attivi al reato si possono avere reati monosoggettivi e plurisoggettivi. I reati monosoggettivi sono tutti quei reati che possono essere compiuti anche solo da un soggetto, come ad esempio la rapina, art. 628 c.p.. I reati plurisoggettivi sono quei reati che si possono realizzare solo da più di una persona, come nel caso dell’associazione a delinquere, art. 416 c.p.. I reati plurisoggettivi si suddividono in due ulteriori sottocategorie, reati plurisoggettivi propri e reati plurisoggettivi impropri. I primi si hanno quando il precetto della norma investe tutti i partecipanti, come nel caso della rissa, art. 588 c.p.. Tutti i soggetti attivi rispondono della stessa norma. I secondi invece, detti impropri, sono quei reati nei quali solo alcuni dei soggetti partecipanti sono punibili, come nel caso della concussione che punisce solo il pubblico ufficiale e non anche il concusso, art. 317 c.p.. Il soggetto passivo del reato è il titolare del bene giuridico o interesse protetto leso dalla norma incriminatrice, potendosi riferire ad una persona fisica od allo Stato. Il reato in alcuni casi può ledere l’interesse di più soggetti passivi. Il soggetto passivo può coincidere o no con il danneggiato dal reato che coincide con colui che subisce dal reato un danno civilmente risarcibile, anche non essendo il titolare del bene giuridico protetto, come nel caso dell’omicidio in cui il soggetto passivo è colui che soccombe, mentre i danneggiati sono i famigliari. La qualità del soggetto passivo è rilevante sotto molteplici aspetti. Nella sottrazione di minore [573] la qualità del soggetto è fondamentale perché il reato si configuri. A seguito della relazione che legano soggetto attivo e passivo si possono configurare varie ipotesi, tra cui quella di dare rilevanza al fatto, quando ad esempio la qualità di figlio del soggetto passivo è un elemento costitutivo del reato di violazione di assistenza famigliare [570]. Viceversa può determinare la non punibilità, quando la qualifica di figlio del soggetto passivo escluda la punibilità del reato di furto commesso da parte del genitore [649]. La relazione può incidere anche sulle circostanze del reato, come nel caso di omicidio del figlio che determina un aumento di pena [576c2]. Il soggetto passivo può assumere rilevanza anche per la condotta da questi tenuta precedentemente, contestualmente e successivamente al reato, come nel caso dell’attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 del c.p.. In riferimento al diritto di querela o nel consenso scriminante è fondamentale individuare il soggetto passivo, essendo l’unico a poter presentare la querela o prestare il consenso scriminante. In caso di più soggetti passivi, la presentazione di querela da parte di uno solo dei soggetti ha valenza anche per gli altri secondo un principio di indivisibilità, al contrario, la presentazione di un solo consenso scriminante per attuarsi deve essere presentata da tutti i soggetti passivi. Nel reato il soggetto passivo può essere determinato, indeterminato o senza vittime cd reati ostativi. Reati Plurisoggettivi Quando il reato è commesso da una pluralità di soggetti vi è il concorso di persone nel reato, può distinguersi in: • Concorso Necessario, nei cosi in cui del reato plurisoggetivo, che per sua natura, deve essere commesso da due o più persone (es rissa) • Concorso Eventuale ricorre per i reati che possono essere commessi indifferentemente da uno o più persone Il concorso è disciplinato all’art 110 del cp, ovvero quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita. Quest’articolo consente di punire, oltre ai concorrenti che pongono in essere una condotta tipica anche quei concorrenti con condotte atipiche con la medesima pena. Il codice ammette anche la possibilità della graduazione della pena attraverso le circostanze attenuanti e aggravanti in considerazione al reale contributo apportato da ciascuno di concorrenti. Il concorso nel reato proprio, previsto dall’art 117 cp, ricorre quando il soggetto privo della qualifica personale è a conoscenza ed ha la consapevolezza della qualifica dell’altro concorrente. Il codice, ammette anche il concorso nel reato omissivo, con due istituti: • Concorso Attivo nel Reato Omissivo, il cd “concorso morale”, in tal caso l’art 110 cp assolve la funzione di incriminazione perché garantisce la punibilità di soggetti altrimenti non perseguibili sulla base della sola fattispecie; Concorso Omissivo nel Reto Omissivo, si realizza quando più soggetti si accordano per non adempiere un proprio obbligo di condotta Reati necessariamente plurisoggettivi (Rissa) I reati plurisoggettivi, o a concorso necessario, sono quelli che necessitano, per la realizzazione del fatto tipico, il concorso di più persone. Nel caso specifico della rissa, articolo 588 c.p., la giurisprudenza prevalente è orientata nell’individuare in almeno tre persone il numero minimo di partecipanti alla rissa perché questa si verifichi. Il codice infatti non riporta nessun numero di partecipanti richiesto perché si verifichi il reato. La rissa è una violenta mischia tra persone, suddivise in gruppi o no, che compiono atti di violenza con l’intento di arrecare offesa agli avversari e difendersi dalle offese di questi. Non ha importanza il luogo dove la rissa si tenga se in luogo pubblico, privato, aperto al pubblico essendo sufficiente che essa si verifichi per l’esistenza del reato. Lo scopo della norma è quello di tutelare l’incolumità individuale, che però va vista in un’ottica generale, essendo la tutela rivolta ad una pluralità indeterminata di persone. Pur essendo i corrissanti in posizione di reciproca offesa e pur essendo la situazione di pericolo volontariamente provocata dai partecipanti della rissa, infatti basterebbe allontanarsi e non partecipare per non essere in pericolo, non è esclusa la legittima difesa quando, durante la mischia, venga minacciata un offeso più grave e più pericolosa di quella inizialmente prevedibile. La legittima difesa potrà scriminare solo la reazione del soggetto verso il quale si sia minacciato il male maggiore senza che ciò escluda la sua punibilità per aver partecipato alla rissa. Il reato prevede come circostanze aggravanti speciali la morte o la lesione personale. Queste circostanze sono poste a carico di tutti i partecipanti anche delle persone ferite. L’aggravante sussiste anche se la lesione è perseguibili a querela. Reati A Forma Libera Ed A Forma Vincolata Il reato è un fatto giuridico, commissivo o omissivo, vietato dall’ordinamento giuridico, cui si ricollega una sanzione penale. Il reato viene solitamente classificato in relazione al soggetto attivo, all’evento ed alla condotta. In relazione al soggetto attivo del reato si distinguono: - Reati comuni: possono essere commessi da chiunque (FURTO); - Reati propri: possono essere commessi solo da chi riveste una determinata qualifica o abbia un particolare status precisato dalla norma (CONCUSSIONE). In relazione all’evento si distinguono: - Reati di mera condotta: si realizzano con il solo compimento di una determinata condotta (EVASIONE); - Reati di evento: si realizzano quando, oltre all’azione od omissione, è richiesto anche il prodursi di un evento (OMICIDIO). In relazione alla descrizione della condotta si distinguono: - Reati a forma vincolata: si realizzano quando la legge richiede che la condotta sia posta in essere secondo determinate modalità o attraverso determinati mezzi (TRUFFA); - Reati a forma libera: la legge non impone alcuna rilevanza della condotta, in quanto reputa idonea la sola offesa al bene giuridico protetto dalla norma (OMICIDIO). Reati Di Pericolo Concreto E Presunto L’ultima categoria è quella di taglio molto generale che distingue:  REATI DI DANNO: puniscono per un evento dannoso, lesivo.  REATI DI PERICOLO: intervengono prima, segnano un’anticipazione della tutela penale, si punisce prima che si sia verificato un danno, si punisce solo per la semplice messa in pericolo di un certo bene giuridico. Esempio: chiunque avvelena acque o sostanza destinate all’alimentazione prima che siano attinte o distribuite per il consumo è punito con la reclusione non inferiore a 15 anni. Il legislatore sanziona la creazione di un pericolo che dei danni possano verificarsi, sanziona il soggetto anche se poi quelle acque non le ha bevute nessuno. La norma prosegue dicendo che se dal fatto deriva la morte di qualcuno si applica la pena dell’ergastolo. I reati di pericolo segano Reati contravvenzionali (tentativo) Il Codice Penale distingue i Reati in Delitti e Contravvenzioni, in base alle pene previste per ogni singolo reato. I Delitti prevedono le pene dell’ERGASTOLO, RECLUSIONE e della MULTA Ie Contravvenzioni le pene dell’ARRESTO e dell’AMMENDA. La distinzione tra Delitti e Contravvenzioni rileva inoltre nell’ELEMENTO SOGGETTIVO del reato: a differenza dei delitti che, di norma, sono punibili a titolo doloso e, solo eccezionalmente, a titolo colposo, le contravvenzioni sono punibili indifferentemente a titolo di dolo o di colpa. •Nelle contravvenzioni la pena dell’arresto consiste nella privazione della libertà personale da 5 giorni a 3 anni (nei delitti da 15 gg a 24 anni). •Nelle contravvenzioni la prescrizione interviene dopo un tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla Legge (come per i delitti) ma il minimo è individuato in 4 anni (al contrario dei delitti che è di 6 anni). •Solo nelle Contravvenzioni è prevista l’OBLAZIONE come causa di estinzione della punibilità (per le pene che prevedono l’AMMENDA e o alternativa ARRESTO/AMMENDA. Nelle Contravvenzioni la Sospensione Condizionale della Pena è di 2 anni (contro i 5 dei delitti) Per quanto concerne l’applicazione dell’istituto del tentativo, per le contravvenzioni è inammissibile per i seguenti motivi:  la modesta rilevanza penale delle pene applicabili;  prevedono la punibilità a prescindere dalla sussistenza di dolo e colpa;  molte di costituiscono già reati di pericolo;  l’art. 56 parla espressamente di delitti La condotta Per parlare degli elementi del reato è opportuno darne una definizione. Il reato viene definito come ogni fatto al quale l’ordinamento giuridico ricongiunge come conseguenza una pena criminale. Tutti i reati sono costituiti da un elemento oggettivo ed un elemento soggettivo. L’elemento oggettivo è costituito da tre componenti: la condotta, l’evento, il rapporto di causalità. La condotta si sostanzia in un’azione o in un’omissione tipizzati dalla norma che disciplina il reato. L’evento è, dunque, l’effetto naturale della condotta umana rilevante per il diritto. Esso, inoltre, non sempre è necessario, poiché la legge prevede anche reati privi di evento (detti di pura condotta). Per azione si intende il movimento del corpo idoneo ad offendere l'interesse protetto dalla normao l'interesse statuale perseguito dal legislatore attraverso l'incriminazione. Per movimento deve intendersi, oltre al movimento degli arti, anche la parola (si pensi all'ingiuria verbale), gli spostamenti del corpo e la mimica facciale. Per essere punibile è necessario che l'azione sia idonea ad offendere l'interesse protetto dalla norma (reati di offesa) o quello perseguito dal legislatore (reati di scopo). Per omissione si intende un non facere. Ciò ha comportato problemi di conciliabilità con il principio di causalità materiale. Alcuni hanno ipotizzato una fisicità dell'omissione (omissione= azione omissiva di un comportamento dovuto). Tale impostazione si presta a facili obiezioni: non sempre chi omette di agire compie un'altra azione. La dottrina ha elaborato vari orientamenti riguardo alle fonti dell'obbligo d'impedimento dell'evento lesivo: - orientamento funzionale-sostanziale: la fonte degli obblighi deriva dalla situazione di fatto in cui si trovi il soggetto obbligato; - orientamento formale: l'obbligo di impedire l'evento è stabilito da una norma; - orientamento misto (attualmente dominante in Italia): dalla tesi funzionale mutua il fatto che l'obbligo sia finalizzato all'impedimento dell'evento lesivo (reato), mentre della tesi formale assume la necessità di una base legale e della sufficiente determinatezza dell'obbligo. Vi sono diverse concezioni della condotta:  concezione naturalistica (o causale); secondo la prima, la condotta è un movimento corporeo cagionato dalla volontà; tale teoria pur riuscendo ad abbracciare i tipi di reato perfetto e tentato (ed in un certo qual modo quelle colpose – il momento soggettivo rileva in sede di colpevolezza e non di condotta), non riesce però a comprendere le condotte omissive poiché sotto il profilo naturalistico esse non esistono.  concezione finalistica dell’azione; secondo la concezione finalistica la condotta è considerata un'attività funzionale al perseguimento di un dato obiettivo (o, in altre parole, quell'attività rivolta finalisticamente alla realizzazione dell'evento tipico). Tale teoria non riesce però a comprendere le condotte colpose ed omissive: per i reati colposi si parla di attività potenzialmente finalistica, mentre per i reati omissivi si parla di finalità potenziale.  concezione sociale; La concezione sociale individua la condotta in qualsiasi comportamento socialmente rilevante, comprendendo tutti i tipi di comportamento (reati attivi, omissivi, colposi e dolosi). Rimangono escluse le reazioni inconsapevoli dell’uomo. Evento (Reati Di Mera Condotta E Reati Evento) Per l’art. 40 c.p. “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. La dottrina maggioritaria ritiene che nel contesto di tale norma, l’evento debba essere inteso, in senso naturalistico, come modificazione della realtà esterna, suscettibile di percezione sensoria e materialmente causata da una condotta umana. Così inteso, l’evento va tenuto distinto dall’offesa all’interesse protetto dalla norma incriminatrice: ad esempio, nell’omicidio [v. 575], l’evento naturalistico è la morte, ossia la cessazione delle funzioni biologiche dell’individuo, mentre l’interesse tutelato dalla norma è la vita. Altra opinione, invece, muovendo dal rilievo che la concezione materialistica dell’evento sarebbe, se accolta, inconciliabile con i reati di mera condotta (nei quali non è strutturalmente concepibile un evento come effetto naturale distinto dalla condotta, esaurendosi l’illecito nella realizzazione di quest’ultima) identifica l’evento con la stessa offesa all’interesse tutelato dalla fattispecie incriminatrice. Per i sostenitori della concezione naturalistica non tutti i reati per il loro perfezionamento prevedono l’esistenza dell’evento (naturale) come conseguenza della condotta: ad esempio, nell’omicidio [v. 575] esso è previsto (la morte), mentre nell’omissione di referto [v. 365] nessun evento naturalistico deve sopravvenire per la consumazione del reato. I primi sono detti reati di evento, i secondi reati di pura condotta. Al contrario, per i sostenitori della concezione giuridica, costituendo l’evento l’offesa al bene protetto dalla norma, esso è elemento indefettibile in tutti i reati. Nei reati di mera condotta la fattispecie punisce il fatto di aver tenuto una determinata condotta. L'evento in questa tipologia di reato è conseguenza possibile, ma non necessaria per la configurazione del reato (non è dunque necessaria l'analisi del nesso di causalità da parte del giudice). Ne sono un esempio l’evasione e l'omissione di soccorso: viene punita la condotta, al di là delle conseguenze della stessa. Anche la maggior parte delle contravvenzioni appartengono a questa categoria. Diversamente, nei reati di evento, è necessario il verificarsi di un determinato effetto estrinsecato esteriormente a seguito di una azione o di un'omissione. Sono reati di evento, ad esempio, l'omicidio, le lesioni, il sequestro di persona, la truffa, ... Il nesso causale Il nesso di causalità è quel rapporto tra l'evento dannoso e il comportamento del soggetto (autore del fatto), astrattamente considerato. Il legame eziologico tra la condotta (commissiva o omissiva) e l'evento rappresenta la condizione imprescindibile per l'attribuibilità del fatto illecito (e, conseguentemente, del danno) al soggetto: in altre parole, la modificazione del mondo esterno (l'evento) può essere imputata ad una persona solo se la stessa sia conseguenza della sua condotta. Tale esigenza è statuita, con valenza generale, dal primo comma dell'art. 40 c.p. secondo il quale "nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione". La stessa esigenza si può desumere, inoltre, dal tenore letterale di altre norme disciplinati l'illecito, sia in campo civile che penale: termini come "cagionare" (artt. 2043 e 575 c.p.), "produrre" (art. 583 c.p.) o "determinare" (artt. 1218 e 330 c.p.) indicano chiaramente la necessaria sussistenza del nesso di causalità. La causalità nell'ambito penale: In ambito penale, è pacifico che il nesso di causalità rappresenti l'elemento che "lega" l'evento (dannoso o pericoloso) alla condotta, essendo il primo conseguenza della seconda (azione o omissione) (art. 40 c.p.). Partendo dai principi generali espressi dagli artt. 40 e 41 c.p., dottrina e giurisprudenza si sono interrogate a lungo sull'individuazione dei criteri di causalità tra l'evento e la condotta, determinanti la responsabilità dell'illecito, elaborando una serie di teorie. La prima, largamente seguita, è quella della "conditio sine qua non" (o "dell'equivalenza delle cause"), in base alla quale le cause concorrenti, sufficienti, da sole, a determinare l'evento, costituiscono tutte causa dello stesso, per cui, al fine di ritenere sussistente il nesso di causalità, è sufficiente che l'agente abbia realizzato una condizione qualsiasi dell'evento. Tale teoria, prevalente in giurisprudenza, è andata incontro a numerose critiche per via dell'eccessiva estensione del concetto di causa e delle relative conseguenze (un'applicazione "pura" della teoria potrebbe comportare, ad esempio, che colui che ferisce una persona, la quale decede successivamente in seguito ad un incidente fortuito avvenuto durante il trasporto in ospedale, debba rispondere di omicidio e non di lesioni, perché senza il ferimento la vittima non sarebbe stata trasportata dall'ambulanza e quindi non sarebbe stata coinvolta nel sinistro). Una seconda teoria (c.d. della "causalità adeguata"), più moderata, sostiene, invece, che, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, è necessario che il soggetto agente abbia causato l'evento con un'azione proporzionata (adeguata), idonea a determinare l'effetto sulla base dei criteri di normalità valutati alla stregua della comune esperienza, ritenendo come non causati dalla condotta (ed escludendo, dunque, il rapporto di causalità) gli effetti straordinari o atipici. Anche questa teoria non è andata esente da critiche per via degli eccessivi limiti posti alla responsabilità penale, in ragione dell'esclusione della riconducibilità alla condotta dell'agente degli eventi qualificati come improbabili, anche se non eccezionali. Per la terza teoria, c.d. "della causalità umana", invece, possono ricondursi alla condotta del soggetto solamente gli eventi che lo stesso può controllare grazie ai suoi poteri conoscitivi e volitivi, escludendo, pertanto, da tale ambito solo gli eventi eccezionali, ossia quelli che hanno minori probabilità di verificarsi. Sul piano teorico rileva, infine, il criterio della "sussunzione sotto leggi scientifiche" secondo il quale è causa di un evento penalmente rilevante la condotta che, valutata alla stregua di leggi universali e statistiche (c.d. "leggi di copertura"), risulti in grado di produrre l'evento stesso, il quale senza il fatto dell'uomo non si sarebbe verificato. Indissolubilmente legate al nesso eziologico sono le cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, le c.d. "concause", previste dall'art. 41 c.p. che "escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento". Essendo, infatti, la produzione dell'evento non sempre connessa in modo lineare alla condotta del soggetto ma frutto di una pluralità di fattori, antecedenti, concomitanti o successivi, che possono incidere nel meccanismo causa-effetto, il legislatore ha temperato l'eccessivo rigore previsto al primo comma dell'art. 41 c.p. (che esprime il principio dell'equivalenza delle cause, secondo il quale in presenza di una pluralità di fattori idonei a produrre l'evento, questi hanno pari valenza, per cui basta l'operatività di uno soltanto affinché si abbia imputazione), attraverso l'esclusione sancita dal secondo comma per le cause connotate da autonoma sufficienza. Analogamente, in tema di responsabilità civile, qualora l'evento dannoso si • DOLO DIRETTO O INTENZIONALE con prevalenza della fase esecutiva, ove l'agente si concentra sull'evento criminoso, nella categoria può inserirsi il DOLO D'IMPETO ove l'agente agisce come reazione ad uno stato emotivo/passionale; • DOLO INDIRETTO con prevalenza della fase rappresentativa/ideativa, in questa categoria raggruppiamo: 1. il DOLO PREMEDITATO, caratteristico per la rappresentazione in tempi antecedenti e distanti dall'esecuzione (che è anche un aggravante); 2. il DOLO ALTERNATIVO ove l'agente si rappresenta senza certezza, indifferentemente e alternativamente il verificarsi di due fatti criminosi; 3. il DOLO EVENTUALE ove l'agente si rappresenta la probabilità che si verifichi un fatto criminoso, non ha la certezza del suo verificarsi, ma ne accetta il rischio. Si differenzia dalla COLPA COSCIENTE ove l'agente anche se si rappresenta il fatto criminoso, è convinto per appunto colpa (imprudenza, imperizia, negligenza o violazione di norme) che non si verifichi. In altre parole sono entrambi comportamenti azzardati ma nel dolo eventuale accetta anche le conseguenze penali, mentre nella colpa cosciente si fida maggiormente delle proprie abilità di evitare la condotta illegittima. Dolo Eventuale E Colpa Cosciente Il dolo viene richiamato all’art. 42 co.2 del codice penale che recita:” nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. Il dolo ha dunque due importanti funzioni, poiché è la forma tipica e più grave della colpevolezza e proprio in quanto forma della colpevolezza, è elemento costitutivo del reato. La definizione di dolo scaturisce dall’articolo 43 del codice laddove si indica che l’evento dannoso o pericoloso che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del reato, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della condotta. Dunque la norma indica i due criteri del dolo: la precisione e la volontà. La condotta dolosa assume diverse forme: intenzionale, diretto, eventuale, alternativo, generico, specifico. In particolare il dolo eventuale, o indiretto, indica la situazione in cui l’agente non agisce allo scopo di realizzare l’evento offensivo, né si rappresenta tale evento in termini di certezza, ma tuttavia accetta il rischio del suo verificarsi. Nella rappresentazione dell’agente, il rischio del verificarsi dell’evento, appare come una delle conseguenze possibili della sua condotta, e viene da lui accettata. La colpa cosciente, con il quale il dolo eventuale viene spesso rapportato, è anche detta colpa con previsione, poiché in questo caso l’agente non vuole commettere il reato, ma prevede in astratto che la sua condotta possa portare alla verificazione dell’evento lesivo. Questo tipo di colpa si differenzia dl dolo eventuale perché il soggetto agisce con la convinzione che l’evento lesivo non si verificherà, come nel caso di chi guida a forte velocità in un luogo trafficato, confidando nella sua capacità di pilota. Rappresenta una circostanza aggravante del delitto colposo. Premeditazione ricorre tra le aggravanti quando ricorre il movente? Rientra tra le aggravanti dell’omicidio Forma di c.d. dolo di proposito (da tenere conto della differenza col dolo d'impeto) che richiede da un lato un notevole lasso di tempo tra l'ideazione del reato e la sua concreta attuazione (elemento cronologico) e dall'altro una preordinazione di modalità e mezzi per assicurare al piano criminoso una possibilità di riuscita (elemento ideologico). Ha una sua rilevanza quale circostanza aggravante nei delitti di omicidio e di lesione personale. Assumono così rilievo preminente le circostanze dell’azione, nonché la sussistenza di un lasso di tempo tra ideazione ed esecuzione dell’atto. Assumono inoltre rilevanza le modalità del fatto, i suoi precedenti, il comportamento successivo, la causale, che possono utilmente essere presi in considerazione, purché si tratti di elementi concordanti e di significato univoco, cioè, che ammettano od escludano la sussistenza della premeditazione. A proposito della premeditazione, non vi è un punto sul quale si possa registrare, sia in dottrina che in giurisprudenza, concordia di opinioni sul contenuto, sul fondamento, sui suoi elementi costitutivi, sui suoi rapporti con altre circostanze del reato. Dal dolo deve essere distinto il movente, vale a dire la causa psichica che spinge il soggetto a compiere l’azione criminosa. Infatti, il movente, pur rivestendo una rilevanza decisiva ai fini dell’individuazione dell’autore del reato (in quanto funge da elemento di coordinamento dei vari indizi raccolti e conferisce loro un significato univoco), si colloca in una posizione subordinata quando si tratta di accertare il dolo. In particolare, il movente svolge una funzione soltanto sussidiaria in quanto risultano essere sempre diverse per intensità le reazioni di ciascun individuo agli stimoli esterni. Dolo generico e dolo specifico (intensità del dolo e premeditazione) Tale ripartizione tiene conto dei motivi che inducono il soggetto ad agire e della loro rilevanza. Nel primo caso la legge richiede semplicemente la rappresentazione e la volontà del fatto descritto nella norma incriminatrice senza che rilevi il fine perseguito dall’agente; nel secondo la legge esige che il soggetto abbia agito per un fine particolare la cui realizzazione però non è necessaria per l’esistenza del reato. Qui la legge dà rilevanza allo scopo dell’azione il cui concreto raggiungimento non è necessario ai fini della consumazione del reato. Si pensi al fine di uccidere nel delitto di strage. Perché sussista il reato occorre che il soggetto abbia posto in essere gli atti idonei a porre in pericolo la pubblica incolumità al fine di uccidere; a questo punto il reato è perfetto anche se non si verifichi la morte di una o più persone anche se è necessario che il soggetto abbia agito precipuamente con quell’intento. L'intensità del dolo Ai sensi dell'articolo 133 c.p. (Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena) poi, il dolo è diversamente punito in ragione della sua intensità. Cioè, se il dolo è volontà dell'evento, va detto che non ogni azione volontaria è voluta con la stessa intensità. Un conto è cogliere sul fatto l'assassino della propria moglie e ucciderlo in un impeto d'ira, e altro conto è uccidere una persona per rubarle del denaro, premeditando il delitto da mesi. Così, in relazione all'intensità, si distinguono i seguenti tipi di dolo: - dolo d'impeto (quando la volontà nasce al momento del fatto e si traduce subito in azione); è il caso dell'assassino, appena visto; - dolo di proposito: caratterizzato da un ampio stacco temporale tra il momento della decisione e quello dell'esecuzione; ad esempio uccidere l'assassino dopo averlo rincorso a lungo; infine, abbiamo la premeditazione, consistente non solo in un ampio stacco temporale, ma anche in una ostinazione criminosa particolarmente riprovevole; si pensi ancora una volta all'omicidio, ma su commissione. La Colpa ART 43 LA COLPA “IL delitto è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” La colpa costituisce la forma meno grave della colpevolezza poiché se seppur il soggetto si rappresenta non vuole come conseguenza della propria azione il verificarsi dell’evento. Se viene a verificarsi l’evento questo è stato dovuto a casi di colpa generica oppure colpa specifica Colpa generica: si tratta di violazione di regole cautelari che sono: o negligenza o imprudenza o imperizia Colpa specifica: se invece si hanno violazioni di regole cautelari scritte che sono o regolamenti o ordini o discipline colpa propria, la quale ricorre in tutti i casi in cui l’evento non è voluto dall’agente; colpa impropria, si ha quando l’evento è voluto dall’agente (il quale dovrebbe dunque rispondere a titolo di dolo) ma la legge stabilisce, in via eccezionale, che l’agente risponda a titolo di colpa. I casi di colpa impropria sono: o l’eccesso colposo nelle cause di giustificazione; o la supposizione erronea dell’esistenza di una causa di giustificazione inesistente; o l’errore di fatto determinato da colpa; colpa cosciente, si ha quando l’agente ha previsto l’evento senza averlo voluto (paragone con dolo eventuale: colpa incosciente, si ha quando l’evento non è voluto e nemmeno previsto dall’agente. Si differenziano altresì colpa comune che concerne attività lecite e comporta al soggetto di astenersi da una condotta pericolosa colpa professionale riguarda le attività poste in essere sul piano sociale dall’agente che viene dal ordinamento consentita seppur pericolosa Il grado della colpa costituisce uno dei vari indici di commisurazione della pena e si concreta nel divario tra la condotta concreta e il modello di condotta che l’agente doveva rispettare. La gradazione della colpa viene effettuata secondo diversi criteri: o criteri soggettivi, quali:  la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa;  il quantum di esigibilità dell’osservanza delle regole cautelari;  i motivi che hanno spinto il soggetto ad agire; o criteri oggettivi, quali:  il quantum di evitabilità; il quantum di divergenza tra la condotta doverosa e quella tenuta. Delitto preterintenzionale (differenze con l’eccesso colposo) Consenso dell’avente diritto (50 c.p.): non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne. Deve trattarsi di un diritto disponibile e che il consenso venga concesso prima del fatto. Adempimento di un dovere (51 c.p.): requisiti adempiere ad un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità (es. atti di P.G. imposti dall’A.G.); Esercizio di un diritto (51 c.p.): Il titolare di un diritto, nell’esercizio di esso, può compiere atti che normalmente costituiscono reato, rimanendo immune da pena (es. il giornalista che riferisce di fatti lesivi dell’onore di una persona non commette diffamazione, offendicula ecc.). Si tratta di una scriminante che esclude l'antigiuridicità del fatto secondo la dottrina prevalente, il "diritto" va intenso in senso ampio ovvero come ogni potere giuridico di agire (diritto soggettivo, potestativo, potestà o facoltà giuridica), eccetto gli interessi legittimi e i c.d. interessi semplici. Legittima difesa (52 c.p.): La legittima difesa è riconosciuta in tutte le legislazioni penali, è prevista nel nostro codice all’art. 52 c.p., stabilisce che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui, contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, la difesa deve essere sempre proporzionata all’offesa. Elementi sono: necessità di difendere un diritto proprio o altrui; pericolo attuale di un’offesa ingiusta; difesa proporzionata all’offesa. L’aggressione deve essere diretta contro un diritto personale, deve consistere in una minaccia ingiusta ed in contrasto con l’ordinamento giuridico, la reazione deve essere attuale e non di un pericolo futuro o passato. Uso legittimo delle armi (53 c.p.): E’ una particolare forma di adempimento di un dovere, previsto solo per il P.U. per respingere una violenza o per vincere una resistenza all’Autorità e di impedire i delitti di cui all’ultimo inciso dell’art. 53. Stato di necessità, previsto dall’art. 54 c.p., prevede che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se o altri da un pericolo attuale di un grave danno alla persona, pericolo non causato e non evitabile. Questi sono elementi indispensabili. Anche in questo caso l’azione deve essere sempre proporzionata al pericolo (es.: naufrago). Consenso Avente Diritto Presunto E Putativo Il consenso dell'avente diritto è una causa di giustificazione prevista nel codice penale italiano all'art. 50: "Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne." E’ una scriminante che non pone un problema di comparazione di interessi e di complementare verifica della prevalenza di un interesse sull’altro, fondandosi sulla carenza di un interesse da tutelare, in conseguenza della rinunzia del titolare alla conservazione del bene protetto dalla norma. La liceità dell’azione scriminata deriva, dunque, dall’indifferenza mostrata dall’ordinamento alla tutela del bene, avendo il suo titolare acconsentito alla sua lesione. In pratica anche se il fatto, per come è realizzato, è tipico (è conforme cioè alla fattispecie astratta) è esclusa l’antigiuridicità. Mentre per esempio nel consenso in caso di violenza sessuale, che non è una causa di giustificazione, si parla di consenso come volontà che fa venir meno un elemento costitutivo del reato e viene quindi esclude la ricorrenza di un fatto tipico. Affinché il consenso abbia efficacia scriminante è necessario che: ● sia valido, ossia provenga dal legittimo titolare del diritto e sia libero o spontaneo ● abbia ad oggetto diritti disponibili. Sono tali ad esempio i diritti patrimoniali, che fanno capo al solo soggetto passivo. Mentre non vi rientrano, e sono dunque indisponibili e insuscettibili di consenso scriminante, i diritti della personalità (diritto al nome, diritto all'onore), gli interessi che fanno capo allo Stato e alla famiglia. Viene in rilievo anche la tutela della posizione morale contro quei reati che aggrediscono il bene dell'onore. L'ambito applicativo del consenso si estende fino alla tutela della sfera sessuale e dell'incolumità personale. Non è disponibile il bene della vita: il nostro ordinamento prevede come reato la fattispecie dell'omicidio del consenziente e l'istigazione al suicidio. In questo caso il consenso prestato dalla vittima non scrimina, infatti il soggetto attivo viene comunque punito in quanto l’ordinamento tutela come bene indisponibile la vita. ● sia lecito e cioè non contrario a norme imperative, ordine pubblico e buon costume ● sia attuale, cioè deve esistere al momento del fatto per cui non deve essere revocato e non può essere successivo. Dal consenso tacito, che è effettivamente esistente, vanno distinti il consenso putativo ed il consenso presunto. Si ha consenso putativo quando l’agente suppone erroneamente esistente il consenso della persona titolare del diritto; in tal caso chi agisce non è punibile in base all’art. 59, c. 3. Si ha, invece, consenso presunto quando l’agente sa che non vi è il consenso, ma compie ugualmente l’azione perché essa appare vantaggiosa per l’avente diritto. La giurisprudenza non attribuisce alcuna rilevanza al consenso presunto; ai fini dell’applicabilità dell’art. 50 è necessario il requisito della effettività, e a nulla vale la convinzione ipotetica ed eventuale che il consenso sarebbe stato dato se richiesto. Esercizio di un diritto L'esercizio di un diritto è la sciminante che esclude la punibilità ai sensi dell’art. 51 c.1 c.p.. La norma, che deve essere considerata una norma penale in bianco, si rifà al principio di non contraddizione. Vi sono infatti due norme in conflitto: una che vieta un certo comportamento e l’altra che lo permette. L’articolo 51 risolve il conflitto nel senso che esercitare un diritto previsto da una norma esclude il reato, in quanto si dà la prevalenza al soggetto che è titolare del diritto. La norma è, talvolta, complementare alla precedente (art. 50 c.p.), sul consenso dell’avente diritto: chi è destinatario di un atto di consenso, infatti, ha il diritto ad esercitare una determinata azione, sì che taluno ha affermato che le due fattispecie esaminano lo stesso problema da due punti di vista diversi: dal punto di vista del soggetto attivo, nell’articolo 50; dal punto di vista del soggetto passivo, nell’articolo 51. Elementi costitutivi sono: a) l'esistenza di un diritto, riferito a qualsiasi posizione di potere riconosciuta dall’ordinamento: diritto potestativo, facoltà, potestà, ecc.; b) fonte del diritto scriminante che può nascere anche da regolamenti, consuetudini, contratti, atti amministrativi, o dal diritto straniero, ecc.; c) titolarità del diritto; d)limiti all'esercizio del diritto, ovvero l'esistenza e l'esercizio del diritto non sono sufficienti ad escludere automaticamente la punibilità del fatto commesso. Qualche autore ha notato la superfluità della norma (infatti nessuno avrebbe dubitato, anche in assenza dell’articolo 51, stante il principio di non contraddizione dell’ordinamento, che l’esercizio di un diritto impedisse il reato). Per contro, si nota l’assenza di utili indicazioni da parte del legislatore per risolvere il conflitto tra la norma permissiva e quella impeditiva, ovverosia per capire, nel conflitto tra una norma che impone un comportamento e una che corrispondentemente lo vieta, a quale dare la prevalenza. Secondo la dottrina più autorevole la questione va risolta per mezzo di tre criteri: gerarchico, la legge superiore prevale su quella inferiore; cronologico, la norma successiva prevale su quella antecedente; di specialità; la norma speciale prevale su quella generale. Ad esempio l’attività giornalistica dà il diritto di divulgare notizie riservate altrui ed è noto che superando certi limiti il giornalista può incorrere nel reato di diffamazione. Altro esempio: i genitori hanno il potere di punire i figli a scopo educativo, e oltre certi limiti scatta il reato di maltrattamenti in famiglia, ma mancano dei validi criteri indicatori per capire il limite a partire dal quale il comportamento diventa reato. Adempimento di un dovere Adempimento di un dovere art 51 non è punibile chi ha commesso un fatto per adempiere ad un dovere imposto da norma giuridica o da ordine di autorità (il soggetto agente non ha facoltà di scelta vi è un obbligo (norma o ordine) da eseguire) Norma giuridica Ordine legittimo dell’autorità del fatto risponde il superiore gerarchico che ha impartito l’ordine (l’ordine può essere disatteso solo se manifestamente criminoso) Se l’ordine è illegittimo il reato sussiste e ne risponde il PU che ha dato l’ordine. Caso particolare di attività giustificata da norma giuridica, l’ Uso legittimo delle armi art 53 cp, il pubblico ufficiale, che al fine adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso od ordina di far uso delle armi o altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o vincere una resistenza o impedire i reati di strage – naufragio – sommersione- disastro aviatorio e ferroviario – omicidio volontario – rapina a mano armata e sequestro di persona. La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta da PU gli presta assistenza. L’esercizio di un diritto art 51, risiede nel principio di non contradizione: se l’ordinamento ha attribuito ad un soggetto un diritto e la conseguente facoltà di agire l’azione riconosciuta non può integrare un fatto penalmente rilevante (a differenza dell’adempimento di un dovere, in questo caso il soggetto agente ha facoltà di scelta) Rientrano nelle scriminanti (cause di giustificazione), ovvero situazioni che descrivono un fatto che sembra conforme ad una fattispecie tipica che diviene lecita e dispensa l’autore dalla responsabilità penale, escludono l’offesa e l’antigiuridicità. Si estende a tutti i rami. Le cause di giustificazione si fondano sul principio di non contraddizione secondo il quale l’ordinamento giuridico non può allo stesso tempo consentire e vietare uno stesso fatto per cui soggiacciono alla stessa disciplina dell’art 59, le cause di giustificazione sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o ritenute inesistenti e se l’agente ritiene per errore che esistano cause di giustificazione queste siano valutate a suo favore. Se l’errore è dovuto a colpa l’agente ne risponde a titolo di colpa. Eccesso colposo art 55 cp se l’agente eccede colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dalla necessità, risponderà di delitto colposo se il fatto è previsto come delitto colposo (Secondo comma nei casi di legittima difesa la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui art 61 com I ovvero in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo derivante dalla situazione Dec. Salvini) Trasmissibilità ai correi art 119 comma 2 cp, le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetti per tutti coloro che hanno partecipato al reato. Offendicula Si tratta di mezzi di difesa di tipo “offensivo” tramite i quali si attua la difesa meccanica e automatica di beni patrimoniali ma anche personale contro l’aggressione altrui. Sono strumenti atti a ledere l’integrità fisica o la vita altrui come cocci di vetro sui muri di recinzione, cani mordaci da guardia, filo spinato. Sono strumenti quindi leciti il cui utilizzo è stato sempre codificato come esercizio di un diritto tuttavia attualmente la dottrina ha articolato dei termini differenti a seconda che gli offendicula cagionino lesioni in danno:  Del terzo aggressore: si applica la causa di giustificazione della legittima difesa ma se il danno è sproporzionato rispetto al bene protetto si può realizzare un eccesso colposo.  Del terzo non aggressore: il fatto non sarà punibile ma scriminato come esercizio di un diritto, purchè il proprietario abbia adottato tutte le cautele idonee a scongiurare la potenzialità lesiva. A tal fine dovranno essere predisposte adeguatamente le opportune segnaletiche. Se invece gli offendicula sono insidiosi e nascosti il soggetto risponderà del reato commesso a titolo di dolo o colpa. Legittima difesa differenza con la nuova normativa innocente al fatto; lo stato di necessità è invocabile non per difendere qualunque diritto ma solo in caso di “danno grave alla persona”; il soggetto pregiudicato ha diritto a un equo indennizzo. E’ facile constatare che, a differenza della legittima difesa, il fatto commesso in stato di necessità non è un fatto lecito, che l’ordinamento giustifica e scrimina, ma un fatto che può considerarsi solo “tollerato”. Infatti mentre l’aggressione, nella legittima difesa, è un fatto ingiusto, che legittima una reazione, nello stato di necessità il terzo è estraneo alla vicenda e spesso inconsapevole. E’ anche per questo motivo che il soggetto pregiudicato ha diritto ad un indennizzo, istituto che – come è noto - ricorre quando si deve risarcire un fatto lecito. Resta quindi da chiarire il motivo della non punibilità del soggetto che agisce. Il punto è che il soggetto che agisce si trova in una situazione necessitata, in cui il suo istinto di conservazione non gli pone altra scelta. Ne risulta che sarebbe del tutto inutile una punizione da parte dello stato, che non avrebbe alcuno scopo, né preventivo (non avendo alcuna forza deterrente la pena sulle situazioni di costrizione), né punitivo (perché il soggetto, in linea di massima, non è rimproverabile, proprio a causa della situazione di costrizione). Chiarito tutto ciò, a questo punto sarà più semplice riportare nei giusti binari il dibattito sul fondamento dello stato di necessità; e viene, in tal modo, naturale osservare che tutte le tesi che si sono occupate di individuare la ratio della norma, così come accade anche per la legittima difesa, sono in genere parziali perché si limitano a fotografare solo un frammento di verità. La verità è che tutte le tesi che la dottrina ha proposto concorrono a precisare i contorni e la ratio della figura. Senz’altro ha ragione chi ravvisa la ratio dello stato di necessità nell’istinto di conservazione dell’uomo. Tuttavia questa teoria può spiegare le ragioni per cui l’agente ha cagionato il danno, ma non spiega perché il soggetto non è considerato punibile dallo stato. Precisano alcuni autori, allora, che il fondamento della norma risiede nella mancanza di colpevolezza. Nessun rimprovero può infatti muoversi all’agente, perché costui si trovava in una situazione necessitata che non lasciava altra scelta. In tal senso proprio perché la spinta dell’agente è nell’istinto di conservazione il suo stato soggettivo non è né quello della colpa né quello del dolo. In quest’ottica il fondamento della norma è visto in chiave spiccatamente soggettiva. Tuttavia anche questa tesi, pur essendo più precisa della precedente, non è del tutto soddisfacente; non si può escludere infatti che il soggetto agisca con freddezza, senza perdere la calma, e che volendo avrebbe potuto trovare strade alternative per salvare se stesso. Ad esempio, il naufrago che getta il compagno dalla zattera potrebbe essere un esperto nuotatore, e magari con maggiore sangue freddo avrebbe potuto scendere dalla zattera e aggrapparsi ad essa nuotando, aspettando i soccorsi. Inoltre la teoria spiega (anche se solo parzialmente) la realtà quando si tratta di salvare un proprio diritto, ma non certo quando c’è la necessità di salvare un diritto altrui; in tal caso l'agente ha spesso la possibilità di scegliere e di valutare la situazione, e quindi il coefficiente psicologico è spesso quello del dolo. Il punto è che il bene sacrificato è di valore uguale a quello che sarebbe stato sacrificato in sua vece. Ne consegue che nel conflitto di interessi lo stato sceglie di preferire quello del soggetto danneggiante invece che del danneggiato, sì che non hanno del tutto torto coloro che ravvisano il fondamento della norma nel bilanciamento di interessi, e cioè in chiave eminentemente oggettiva. Secondo la classica tesi di Antolisei, poi, manca il danno sociale, e quindi l’interesse dello stato alla repressione del fatto. La teoria non è se non una lieve variante della precedente, perché la mancanza di danno sociale è ravvisabile proprio a causa dell’equivalenza dei beni in gioco, sì che non crea alcuno scompiglio, o allarme, il sacrificio di un bene anziché di un altro. In conclusione, tutte le ragioni sopra esposte contribuiscono a spiegare il fondamento della norma. Si tratta in parte di ragioni oggettive (bilanciamento degli interessi) in parte di ragioni soggettive (mancanza di colpevolezza) sì che la figura si colloca a metà strada tra le scriminanti e le scusanti. Natura giuridica Coloro che ravvisano il fondamento dello stato di necessità in sole ragioni oggettive collocano l’esimente in esame tra le scriminanti vere e proprie, cioè in quelle situazioni che fanno venire meno l’illiceità del fatto. Coloro che accedono alle visioni soggettive invece collocano l’istituto tra le cosiddette "scusanti", che non fanno venire meno l’illiceità ma solo la punibilità, per mancanza di colpevolezza. La verità è invece che lo stato di necessità si colloca a metà strada tra l’inesigibilità per ragioni soggettive e le vere e proprie cause di giustificazione, e quindi è una figura che può presentare aspetti diversi a seconda dei casi. Ci sembra allora che si possa concludere nel senso che la figura in esame si presenta in un triplice aspetto, diverso a seconda delle fattispecie concrete: sarà una vera e propria scriminante quando il bene sacrificato è di valore inferiore a quello da salvare, perché in tal modo viene meno l’illiceità del fatto stesso ("stato di necessità giustificante"); sarà invece una scusante nel caso in cui il bene sacrificato sia identico a quello salvato, perché in tal caso viene meno la sola colpevolezza dell’agente; il fatto quindi rimane illecito ma il soggetto è scusato ("stato di necessità scusante"); sarà una vera e propria causa di non punibilità nei casi in cui il bene sacrificato sia di valore uguale a quello salvato, e residui anche la colpevolezza dell’agente. Il cosiddetto soccorso di necessità ricorre quando l'azione necessitata è compiuta da un terzo soccorritore e non da colui che è in pericolo. L’articolo 54 infatti opera sia quando c’è la necessità di salvare se stessi, sia quando si deve salvare un altro, scriminando in ogni caso il soggetto agente. Il punto, infatti, è che tale norma permette ai cittadini di intervenire in situazioni di pericolo, mutando l’ordine naturale delle cose, e permettendo che si decida arbitrariamente una situazione a favore di un soggetto anziché di un altro. Ad esempio permette a taluno di decidere quale dei due naufraghi gettare dalla zattera, favorendo un amico; o permette a un alpinista di decidere chi salvare, di due colleghi in scalata entrambi in pericolo. Non solo, ma tale norma è stata invocata anche per scriminare il patteggiamento con terroristi o delinquenti, barattando la vita degli ostaggi con la libertà di malviventi. Per questo motivo alcuni autori cercando di restringere la portata della norma fanno leva sull’elemento della necessità e della costrizione. Ad esempio nei casi di baratto di ostaggi, si fa notare che non qualunque baratto è lecito, ma solo quello in cui il bene sacrificato sia inferiore a quello che si vuole proteggere (vita degli ostaggi con la libertà dei malviventi) oppure quando la scelta tra due soggetti da salvare sia tra persone di cui una ha una relazione molto stretta, di parentela o amicizia col soggetto agente. Erronea supposizione della presenza di causa di giustificazione Le cause di giustificazione si fondano sul principio di non contraddizione per cui l’ordinamento non può allo stesso tempo consentire e vietare uno stesso fatto, per cui soggiacciono alla stessa disciplina dell’art 59 cp, le cause di giustificazione sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o ritenute per errore inesistenti e se l’agente ritiene per errore che esistono delle cause di esclusione della pena queste sono valutate a suo favore, se l’errore è dovuto a colpa l’agente ne risponde a titolo di colpa. Inoltre soggiacciono alla disciplina dell’art 55 cp, eccesso colposo, ovvero quando il soggetto eccede colposamente i limiti stabiliti dalla legge risponderà del delitto colposo se il fatto è previsto come tale. Eccesso Colposo L'art.55 c.p. disciplina l'eccesso colposo come segue quando nel commettere alcuni dei fatti previsti dagli artt.51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo (42 co. 2 e 43)", pertanto condizione fondamentale e indispensabile per l'applicabilità della norma dell'art.55 c.p. è la sussistenza nella fattispecie delle condizioni e dei requisiti presupposti per la legittima difesa (ex art. 52c.p.), ad eccezione della proporzione tra la difesa e l'offesa. Deve essere dunque accertato che il soggetto attivo sia una persona fisica con capacità dì diritto penale ed imputabile (essendo la responsabilità subordinata all'imputabilità), che sia esistito il pericolo di un'offesa e la necessità di difendere un diritto contro detto pericolo. In particolare, per quanto riguarda il pericolo dell'offesa, va evidenziato che detto pericolo deve essere attuale cioè essere già in corso di attuazione nel momento della reazione (pericolo di un'offesa maggiore nei reati permanenti) o imminente; infatti senza questa condizione si deve ritenere la difesa privata come non necessaria e pertanto illegittima. Di conseguenza l'eccesso colposo non potrà configurarsi nel caso in cui l'offesa riguardi il futuro o si sia già esaurita, caso in cui tuttavia potrà trovare eventuale applicazione l'attenuante della provocazione disciplinata dall'art.62 n. 2 c.p. L'offesa minacciata, che può essere sia fisica, come nella fattispecie, che morale, deve inoltre essere ingiusta cioè configurare una situazione soggettiva contraria al diritto (indipendentemente dal fatto che questa costituisca un reato); non rileva invece la gravità di questa, in considerazione del fatto che l'eccesso colposo, come del resto la legittima difesa, viene prevista per tutti i reati. La reazione dell'agente deve apparire necessaria per salvaguardare il bene posto in pericolo e pertanto deve essere inevitabile; tale giudizio non può essere assoluto, bensì relativo, e ciò comporta che la valutazione della necessità di difesa dovrà avvenire in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto. L'art.55, come la giustificante della legittima difesa, trova altresì applicazione anche qualora la difesa privata posta in essere si fondi sulla necessità di difendere il diritto altrui contro il pericolo di un'ingiusta offesa (come nel caso di specie, ove il padre interviene a difesa dei proprio figlio minore) ad eccezione della sola ipotesi in cui si tratti di un diritto disponibile e l'agente pretenda di difenderlo contro la volontà a lui nota dei suo titolare (caso che certamente non riguarda la nostra fattispecie, in considerazione dei fatto che il bene messo in pericolo era l'integrità fisica del figlio se non addirittura la propria vita). Si evidenzia inoltre che il terzo, il cui diritto e/o interesse legittimo viene posto in pericolo, può essere chiunque e non solo i congiunti, per i quali tuttavia esiste un sentimento ed un dovere morale senz'altro più pregnante. L'eccesso colposo si differenzia dunque dalla legittima difesa unicamente per la mancanza del requisito della proporzione tra difesa ed offesa; pertanto, verificata la sussistenza di tutte le sopra indicate condizioni, sussisterà l'eccesso colposo qualora per colpa sopraggiunta del reagente, la reazione risulti esuberante rispetto allo scopo di difendere un diritto contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta. La giurisprudenza e la dottrina concordemente ritengono che per misurare l'adeguatezza o l'eccessività della difesa non si deve istituire il confronto tra il male subito o che vi era il pericolo di subire ed il male inflitto per reazione, il quale ultimo può essere di gran lunga superiore al primo senza che per ciò venga meno la giustificante, bensì tra i mezzi reattivi che l'aggredito aveva a propria disposizione e i mezzi da lui adoperati, tenendo presente comunque che se questi erano i soli che in concreto rendevano possibile la ripulsione dell'offesa altrui, non si configurerà l'eccesso colposo, bensì la giustificante della legittima difesa. Ciò significa che nell'ipotesi in cui un tale viene aggredito da un altro armato di coltello e per difendersi gli spara con una rivoltella, una volta verificato che la rivoltella era l'unico mezzo efficace che tenesse a propria disposizione, non potrà dirsi che il reagente abbia ecceduto nella difesa, ma troverà piena applicazione la scriminante della legittima difesa. Si evidenzia inoltre che al fine del giudizio di proporzione rilevano anche le condizioni fisiche dell'aggressore rispetto anche a quelle dell'aggredito. Il travalicamento o la sproporzione tra difesa ed offesa deve essere colposo, pertanto deve dipendere da difetto inescusabile di conoscenza della situazione concreta da parte del reagente, ovvero da altre forme di inosservanza di regole di condotta a contenuto precauzionale relative all'uso dei mezzi o alle modalità di realizzazione del comportamento. La dottrina distingue due forme di eccesso colposo: la prima che si configura qualora, a causa dell'erronea valutazione della situazione di fatto, il reagente abbia realizzato volutamente un determinato risultato, la seconda che si configura quando nonostante la corretta valutazione della situazione di fatto, il reagente commette un errore esecutivo che produce un effetto più grave. mensile; ecc.), mentre il caso di responsabilità extracontrattuale per antonomasia è il sinistro stradale tra due autovetture. Responsabilità penale: cos’è? La differenza tra caso fortuito e forza maggiore rileva anche nel settore penale, come ti dirò di qui ad un istante. La responsabilità penale si basa anch’essa, come quella civile sopra vista, sul legame tra la condotta colpevole di un soggetto e le sue conseguenze: se colpisci con un pugno un’altra persona, risponderai di lesioni o di percosse; se ti impossessi volontariamente di una cosa altrui, risponderai di furto; e così via. La differenza più rilevante tra responsabilità civile e responsabilità penale è che, di norma, della prima si risponde anche se il danno è stato cagionato senza una precisa intenzione, mentre nella seconda la regola è che si risponda solamente quando il fatto sia commesso con dolo, cioè con la precisa volontà di danneggiare. Caso fortuito e forza maggiore: cosa sono? Il codice penale dice espressamente che non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore [1]. Non differentemente, il codice civile dice, in alcuni suoi articoli, che si è responsabili del danno prodotto, a meno che non si dimostri il caso fortuito [2]; in altri ancora, che si va esenti da responsabilità se l’impossibilità della prestazione non derivi da causa imputabile [3]. Ciò che si desume dalle poche norme dedicate al caso fortuito e alla forza maggiore è che entrambi spezzano il legame che c’è tra una condotta e il danno che ad essa è ricollegabile: in poche parole, c’è il danno, ma non la responsabilità (civile o penale che sia). Questo perché sia il caso fortuito che la forza maggiore intervengono dall’esterno, rendendo inevitabile l’episodio avvenuto ma, allo stesso tempo, escludendo la responsabilità in capo a colui che solo apparentemente ne è l’autore. Ti faccio un esempio molto chiaro, dopodiché passeremo a definire le due categorie di cui ci stiamo occupando: se un operaio che sta lavorando su un’impalcatura viene fatto precipitare giù da una violenta tromba d’aria e, cadendo, travolge un povero passante, la responsabilità potrà essere correttamente attribuita all’operaio? Un malintenzionato ti punta una pistola alla tempia dicendo che, se non colpisci ripetutamente al viso il tuo amico, farà fuoco: obbedisci, causando multiple ferite alla vittima. In un’ipotesi come questa, l’evento lesivo può esserti attribuito? Caso fortuito: cos’è? La differenza tra caso fortuito e forza maggiore è sottile ma c’è; non potrai comprenderla, però, se non ti spiego prima cosa sia l’uno e cosa l’altra. Secondo la giurisprudenza, per caso fortuito deve intendersi quell’evento imponderabile, imprevisto e imprevedibile, che si inserisce improvvisamente nell’azione del soggetto, vincendo ogni possibilità di resistenza e di contrasto, così da rendere fatale il compiersi dell’evento al quale l’agente viene a dare quindi un contributo causale meramente fisico [4]. Esempio: possono essere ricondotte al caso fortuito le eccezionali e imprevedibili condizioni meteorologiche avverse che, rendendo impraticabile il manto stradale, cagionano un pericoloso incidente. Ugualmente, può rientrare nella categoria del caso fortuito l’improvviso cedimento del terreno dovuto ad una frana, oppure una violenta scossa di terremoto. È sempre caso fortuito l’improvviso scoppio di uno pneumatico di un’autovettura, dal quale consegue un sinistro, quando lo scoppio non sia dovuto alla negligenza del guidatore oppure alla sua condotta imprudente. Forza maggiore: cos’è? A differenza del caso fortuito, la forza maggiore si caratterizza non per la fatalità dell’evento, ma per la sua inevitabilità. Secondo la giurisprudenza, mentre il caso fortuito presuppone l’improvviso inserimento nella condotta dell’agente di un fattore imprevedibile che rende fatale il compiersi dell’evento, la forza maggiore si concreta in un evento, derivante dalla natura o dall’uomo, alla cui azione non ci si può sottrarre [5]. In pratica, la forza maggiore è una forza esterna alla quale non si può resistere: si pensi all’esempio sopra riportato della violenta raffica di vento che fa cadere una persona costringendola ad atterrare su di un’altra; oppure alla violenza perpetrata da altro individuo, che costringe la persona che la subisce a fare cose che altrimenti non avrebbe mai fatto. Forza maggiore, quindi, può essere tanto il fatto della natura quanto quello dell’uomo o, addirittura, dello Stato: si pensi a chi si era obbligato a pagare il proprio debito mediante conferimento dei frutti di una particolare coltivazione, coltivazione che, a seguito dell’entrata in vigore di una nuova legge, è divenuta illegale. ELEMENTI DEL REATO Colpa: il terzo comma dell’art. 43 c.p. stabilisce che “è colposo o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Il soggetto attivo commette un reato non perché aveva la volontà di provocalo ma perché non ha utilizzato la dovuta e richiesta diligenza. La colpa può essere:  generica (deriva da imprudenza, negligenza o imperizia) o specifica (deriva dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline ovvero di norme che impongono determinate cautele);  propria (l’evento non è voluto dall’agente), impropria (l’evento è voluto dall’agente ma non tanto da farlo rientrare nell’ipotesi del dolo), incosciente (manca la volontà di cagionare un evento e la previsione dello stesso), cosciente (manca la volontà ma non anche la previsione), professionale (riguarda attività professionali di per sé pericolose ma che l’Ordinamento consente e autorizza nel loro svolgimento in quanto produttive di risultati ritenuti socialmente utili). L’evento è quindi posto a carico del soggetto solo sulla base del rapporto di causalità che lega la sua azione all’evento. In tali ipotesi non è ravvisabile né la colpa né il dolo. Per il reato preterintenzionale, la legge prevede una sanzione penale più tenue rispetto a quella prevista per l’omicidio doloso ma comunque più grave rispetto a quella prevista per il reato colposo. Errore Di Fatto E Di Diritto L’errore, nell’ambito del diritto penale, viene comunemente indicato come la principale causa di esclusione della colpevolezza. La disciplina dell’errore va distinta, in prima battuta, fra l’errore vizio della volontà (errore quindi di giudizio, di rappresentazione) e l’errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato (errore aberrante). L’errore vizio della volontà può, a sua volta, distinguersi in errore di fatto o di diritto, a seconda che riguardi la rappresentazione degli elementi del fatto o della sua qualificazione giuridica. L’errore di diritto può riguardare la legge penale o una legge diversa da quella penale (legge extrapenale). L’errore di fatto può invece riguardare elementi sia essenziali che non essenziali del reato. L’errore di fatto è disciplinato dall’art. 47 c.p., secondo cui l’errore sul fatto che costituisce reato esclude la punibilità dell’agente. Deve trattarsi non di un qualunque errore nella rappresentazione del fatto, bensì di un errore sul fatto, ovvero sulle caratteristiche che lo rendono costitutivo del reato, e cioè di un errore essenziale di fatto. L’errore essenziale sul fatto, escludendo il dolo, fa altresì venir meno la responsabilità penale. Il soggetto avrebbe infatti agito diversamente se si fosse correttamente rappresentato la realtà. Si pensi al caso di chi si sposa ritenendo per errore di essere rimasto vedovo. Errore di fatto non essenziale è quello, invece, per esempio che concerne l’individuazione della persona offesa o le caratteristiche dell’oggetto materiale del reato: l’agente ritiene di rubare una cosa a Tizio, che invece appartiene a Caio; o ancora: l’agente ritiene di rubare una pietra preziosa e invece di tratta di un falso Ove trattasi di un errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. L’ipotesi del c.d. errore colpevole è una di quelle che vengono solitamente indicato sotto l’etichetta della colpa impropria; colpa impropria appunto, perché il fatto è commesso volontariamente, ma per effetto di un errore colpevole. Va distinto dall’errore la sussistenza nell’agente del dubbio in merito al fatto posto in essere. Mentre l’errore determina il convincimento circa l’esistenza di una situazione che non corrisponde alla realtà, il dubbio determina per contro uno stato di incertezza, una possibilità di differente valutazione la quale, permanendo, impedisce il formarsi dell’erronea certezza richiesta dalla norma. Il comma 2 dell’art. 47 c.p. prosegue affermando che l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso, di cui chiaramente ricorrano i presupposti. Gli artt. 48 e 49 c.p. prevedono rispettivamente il caso dell’errore determinato dall’altrui inganno (nel qual caso del fatto commesso dalla persona ingannata ne risponde chi l’ha determinata a commetterlo), e la non punibilità di chi commette un fatto costituente reato nell’erronea convinzione che esso costituisca reato. L’errore di diritto sulla legge penale è in linea di principio irrilevante. Secondo l’art. 5 c.p. infatti, nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale. All’ignoranza viene del tutto assimilato l’errore. Con sent. N. 364/1988, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. Concetto, quello dell’ignoranza inevitabile, che va considerato essenziale della nozione di colpevolezza. Il giudizio di inevitabilità dell’errore va modulato in relazione alle circostanze del caso concreto oggetto della considerazione del giudice, che possono essere – come per l’ignoranza, e di tipo oggettivo (es. : l’agente che si sia determinato in conseguenza di condotte provenienti dall’autorità amministrativa alla quale si sia rivolto per dei chiarimenti e che gli abbia fornito informazioni errate) e di tipo soggettivo (es. : l’agente si è determinato in funzioni delle sue attitudini e capacità, considerate inadeguate in confronto a particolari difficoltà riscontrate, di carattere tecnico o di altro tipo). L’errore di diritto che investa invece una legge diversa da quella penale può: a) incidere sulla rappresentazione – da parte del soggetto – del fatto così come previsto dalla legge come reato e determinare quindi un errore essenziale di fatto che esclude la punibilità (art. 47, comma 3 c.p.); ovvero, b) concernere la riconducibilità del fatto alla figura delittuosa perché la norma extrapenale integra la norma penale così da determinare un errore di diritto sulla legge penale, che – come tale – non esclude la punibilità. Il primo caso si traduce quindi in un errore essenziale sul fatto previsto dalla legge come reato. Si pensi all’errore sull’altruità della cosa determinato da una norma di diritto civile sui contratti o sulle successioni: esso può certamente tradursi in un errore essenziale sul fatto costitutivo, ad es., il delitto di appropriazione indebita. Al contrario l’errore su una norma di diritto, ad es., amministrativo che si limiti a integrare il contenuto del precetto penale (norma penale in bianco), si traduce in un errore sulla riconducibilità del fatto alla figura delittuosa; è un errore sul precetto, va quindi considerato errore sulla legge penale, come tale irrilevante. Naturalmente, ove, nonostante l’errore, siano ravvisabili i presupposti soggettivi ed oggettivi di un reato diverso da quello oggetto dell’errata rappresentazione, l’agente risponderà, a titolo di dolo, di tale diverso reato. Infine, resta da analizzare la problematica dell’errore in materia contravvenzionale. Parrebbe poter dirsi che l’elemento soggettivo nei reati contravvenzionali può essere escluso dalla buona fede dell’agente, circa la liceità del suo comportamento; deve, cioè, essere sempre riscontrato un elemento positivo estraneo all’agente, ovvero una situazione psicologica tale da escludere anche la colpa. Inoltre, in materia contravvenzionale, la possibilità di scusare l’errore è anche ammissibile quando la condotta illecita è causata da caso fortuito o forza maggiore. Aberratio Delicti – Aberratio Ictus – Aberratio Causae Tentativo (può esserci tentativo nei reati colposi) (perché è prevista una disciplina per il tentativo): (Libro I Titolo III “Del Reato” Capo I “Del Reato Consumato e Tentato” art. 56 C.P.) Il delitto tentato (art. 56 c.p.), è una forma di manifestazione del reato e costituisce un’autonoma figura di reato e non una circostanza attenuante, esso si ha quando l’attività esecutiva del reato o l’evento non si realizza per cause sopravvenute indipendenti dalla volontà dell’autore. Quindi, chi compi atti idonei in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato se l’azione non si compie o l’evento non si verifica. Tale figura di reato non può essere prevista nei reati colposi, perché manca l’elemento volitivo delittuoso. Se l’azione non si compie si avrà un cd. tentativo incompiuto, se l’evento non si verifica si avrà un cd. tentativo compiuto. Presupposti che l’azione non si compie o viene interrotta e che l’evento non si verifichi. È punito con pena ridotta rispetto al delitto consumato, non inferiore a 12 se per il delitto tentato è previsto l’ergastolo mentre negli altri casi ridotta di un terzo. Non è ammesso nelle contravvenzioni e nei delitti di attentato (perché si anticiperebbe troppo la punibilità, essendo questi a consumazione anticipata). È stata prevista la figura del tentativo, perché alcune degli atti idonei facenti fine all’proposito criminoso, sotto l’aspetto penale potrebbero, analizzati individualmente non configurare reati, quindi resterebbero impuniti. Il giudizio del giudice deve essere ex ante, ovvero ponendosi all’inizio della condotta. Vi è Desistenza volontaria (c. 3) quando l’autore iniziata la fase cambia proposito ed interrompe l’attività criminosa e risponde degli atti compiuti. Vi è Recesso Attivo (c. 4) quando esaurita l’attività esecutiva per coscienza o fatti sopravvenuti si adopera affinché non si verifichi l’evento (circostanza attenuante ad effetto speciale – 1/3 a -1/2). Ravvedimento Operoso: quando compiuta l’azione e verificatosi l’evento l’autore si adopera ad eliminare gli effetti dannosi e pericolosi. Tipo riparare il danno prima del giudizio, ovvero come circostanza attenuante comune (art. 62 c.6 c.p.). Reato consumato e tentato Art 56 cp : chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica. Il colpevole del delitto tentato è punito: con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l'ergastolo; e, negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi (6). Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso. Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà Mentre il delitto consumato rappresenta il momento in cui la fattispecie astratta prevista dalla legge e il fatto concreto vengono a coincidere, esprimendo la massima gravità concreta della condotta messa in atto, il delitto tentato ne rappresenta l'antecedente, sia logico che cronologico. La figura del tentativo si applica tramite la combinazione con le singole norme incriminatrici, ove possibile e non logicamente incompatibile. La riduzione delle pene previste per i singoli delitti deriva dal fatto che, per vari motivi, non si è raggiunta l'effettiva lesione al bene giuridico tutelato, in quanto o il tentativo è rimasto incompiuto, e quindi l'agente ha posto in essere solo una parte della condotta, o è stato compiuto, ma l'evento lesivo non si è realizzato. Nonostante manchi nel delitto tentato un evento lesivo, il legislatore ne ha comunque previsto la punibilità a causa sia dell'intento criminoso mostrato dal soggetto, sia dal pericolo a cui il bene giuridico è stato sottoposto. La norma richiede comunque l'univocità degli atti compiuti, con ciò intendendosi sia gli atti esecutivi del disegno criminoso, sia, secondo la giurisprudenza dominante, gli atti preparatori. Infatti, ai fini del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri e propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come preparatori, per le circostanze concrete (di tempo, di luogo, di mezzi ecc.) fanno fondatamente ritenere che l'azione abbia la rilevante probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che l'agente si trovi oramai ad un punto di non ritorno dall'imminente progettato delitto, e che esso sarà commesso. Per atti idonei vanno intesi gli atti dotati di una potenzialità offensiva effettiva, di modo da integrare un effettivo pericolo per il bene giuridico tutelato. Il giudizio sulla idoneità degli atti va compiuto ex ante e dunque il giudice deve collocarsi idealmente al momento dell'azione, in concreto, valutando l'effettiva efficienza causale (art. 40) e a base parziale, ovvero basato sulle circostanze conosciute o conoscibili dal soggetto agente al momento del tentativo. Nel caso di desistenza volontaria il soggetto soggiace solo per gli atti precedentemente compiuti, qualora essi configurino un reato, mentre nel caso di recesso attivo, vi sarà una riduzione della pena prevista per il delitto tentato. La differenza tra le due figure, da ricercarsi nella suindicata dicotomia tra tentativo compiuto ed incompiuto, si basa quindi sull'esaurimento dell'azione esecutiva, in base alla quale nella desistenza vi è un comportamento di rinuncia preventiva da parte dell'agente, mentre nel recesso il soggetto tiene un comportamento positivo, atto a elidere la imminente lesione del bene giuridico. Inoltre, le due figure non sono per forza caratterizzate dal ravvedimento o dalla resipiscenza del colpevole, bensì solo dalla volontarietà. Per tali motivi, l'operatività dei commi 3 e 4 va esclusa in presenza di motivi cogenti (ad es. l'arrivo della polizia) o quando la continuazione dell'impresa presenti seri rischi o svantaggi. Si ricordi che il tentativo non è ammissibile nei delitti colposi (per l'incompatibilità tra la mancanza di volontà delittuosa e l'idoneità e univocità degli atti in cui si sostanzia il delitto tentato) nelle contravvenzioni (l'articolo in esame si riferisce ai soli delitti), nei reati unisussistenti (solo relativamente alla forma del tentativo incompiuto), nei delitti di attentato (poiché quanto richiesto per configurarsi tentativo punibile è già sufficiente alla consumazione del delitto), nei reati di pericolo, nei delitti preterintenzionali. A proposito del fondamento della punibilità del tentativo, la dottrina si è divisa. Secondo la teoria oggettiva, il tentativo è punibile se sussiste il pericolo di realizzazione dell'evento, quindi se gli atti rispondono ai requisiti dell'idoneità. Mentre per la teoria soggettiva è bastevole la volontà colpevole, quindi sarebbe punibile anche un tentativo inidoneo ed irreale. Infine, la teoria intermedia, adottata anche dal codice penale, tiene in considerazione tanto gli elementi oggettivi che quelli soggettivi e quindi basa la punibilità sull'idoneità e sulla univocità. Delitto Tentato (recesso attivo e desistenza) DELITTO TENTATO Norma estensiva art 56 cp: “Chi compie atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto risponde di delitto tentato se l'azione non si compie (TENTATIVO INCOMPIUTO) o l'evento non si verifica (TENTATIVO COMPIUTO).” Pena ridotta da 1/3 a 2/3 mentre se la pena prevista è l'ergastolo nel caso di tentativo la reclusione non è inferiore a 12 anni. LA DESISTENZA si ha quando, dopo aver iniziato l'esecuzione del delitto l'agente muta volontariamente proposito ed interrompe l'attività IMPORTA L'IMPUNIBILITA' SE GLI ATTI GIA' COMPIUTI NON COSTITUTISCONO REATO DIVERSO. IL RECESSO ATTIVO O PENTIMENTO OPEROSO si verifica quando l’attività è già condotta a termine ma poi ci si attiva per impedire l'evento ha carattere positivo e deve essere sempre volontario, NON IMPORTA L'IMPUNITA' MA DIMINUISCE LA PENA DA UN TERZO ALLA META' della pena stabilita per il reato tentato. Desistenza (56 Cp) - Sottodomanda: Errore Iniziare con l'art 56 CP (TENTATIVO): Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato se l'azione non si compie o l'evento non si verifica. Citare l’IDONEITÀ DEGLI ATTI (idoneità A ledere o mettere In pericolo o il bene giuridico tutelato dalla norma), l’UNIVOCITA degli atti. Solo il DELITTO può essere TENTATO!!! La desistenza opera quando il soggetto dopo aver compiuto atti che di per sé costituiscono tentativo punibile cambia proposito e si comporta in modo tale che il delitto non si perfezioni poiché interrompe volontariamente l’iter criminis ancor prima che si compia il tentativo. La DESISTENZA solitamente non è punita (a meno che gli atti compiuti costituiscano altro reato) Si ha recesso attivo quando il colpevole abbia portato a compimento la attività criminosa ma si attiva al fine di evitare il verificarsi dell'evento. Nel recesso attivo il tentativo è già compiuto ma il soggetto agente agisce al fine di evitare l'evento. Nel recesso attivo il fatto è punito ma si avrà riduzione di pena. Nel concorso di persone se taluno desiste, risponde per il semplice fatto della partecipazione. L'ERRORE invece può predefinito come la falsa rappresentazione della realtà. Art 47 CP: L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. Distinguiamo l’errore di fatto (che ricade su una situazione di fatto) e l’errore sul diritto (che ricade invece su una falsa rappresentazione sulla norma giuridica). Il reato circostanziato Circostanza del reato è in genere ciò che sta intorno al reato. La sua caratteristica è il fatto che essa determina una maggiore o minore gravità del reato e in ogni caso una modificazione della pena. La presenza di una circostanza trasforma il reato semplice in un reato circostanziato. La circostanza può precedere, accompagnare o seguire la condotta umana e l’evento. Classifichiamo le circostanze in aggravanti comuni (art.61 c.p.), attenuanti comuni (art.62 c.p.) e attenuanti generiche (art. 62 bis c.p.). Se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l'aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente (2). Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l'aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa ovvero su quella che il giudice avrebbe applicato se la circostanza non si fosse verificata. Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo. Se concorrono più circostanze aggravanti ad effetto speciale, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla (potere discrezionale del giudice entro i limiti di legge) Se concorrono più circostanze attenuanti ad effetto speciale, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le predette circostanze; ma il giudice può diminuirla (potere discrezionale del giudice entro i limiti di legge). un’attenuante obiettivamente sussistente, viene valutata a suo favore indipendentemente dalla consapevolezza o meno della sua insussistenza) Concorso Materiale E Concorso Formale Concorso di reati Il concorso di reati si verifica allorché l'agente, con un'unica azione od omissione o con una pluralità di azioni od omissioni violi la stessa o diverse disposizioni penali incriminatrici; nel primo caso si avrà il concorso formale, nel secondo caso si avrà il concorso materiale dei reati (o, nel caso in cui la pluralità di azioni od omissioni siano esecutive dello stesso disegno criminoso, reato continuato). Concorso formale (e reato continuato) e concorso materiale prevedono risposte sanzionatorie diverse in considerazione del ritenuto minor disvalore penale della condotta unitaria violatrice di diverse disposizioni penali (o della pluralità di condotte avvinte da disegno unitario), rispetto ad una pluralità di azioni integranti, ciascuna, un fatto di reato autonomo. Il concorso materiale di reati Il concorso materiale di reati non è espressamente contemplato dal codice che ne disciplina esclusivamente la risposta sanzionatoria, agli artt. 73 (nel caso in cui le pene da applicare siano della stessa specie) e 74 e 75 (ove le pene da applicare siano di specie diversa). Il concorso materiale si caratterizza per la compresenza di una pluralità di condotte, ciascuna integrante gli elementi materiali di altrettanti autonomi reati e ciascuna sorretta da autonoma volizione. L'autonomia di ciascuno dei reati è causa della maggiore asprezza della risposta sanzionatoria che è riassunta dal noto brocardo tot crimina tot poenae. In caso di concorso materiale, dunque, il Legislatore prevede che la pena sia, ove possibile, unica e risultante dalla sommatoria delle pene previste per ciascun reato. La disciplina del concorso materiale di reati può trovare applicazione, sia allorché i diversi episodi criminosi siano giudicati nel medesimo processo, sia allorché si tratti di dare esecuzione a due o più giudicati, sia, infine, allorché, con riferimento ad uno o più reati si siano già formati giudicati ed occorra applicare una nuova sanzione penale a carico del medesimo soggetto per fatti in precedenza commessi. In ogni caso, la rigorosa previsione del tot crimina tot poenae è temperata da alcuni limiti previsti dagli artt. 78, 79 e, con riferimento all'ergastolo, dall'art. 72. In particolare, viene previsto che la pena detentiva, da sola o unitamente a quella dell'arresto, non possa eccedere i 30 anni e che, nel caso di cui all'art. 73, la pena da applicarsi non possa, in ogni caso, eccedere il quintuplo della pena prevista per il reato più grave (il limite per l'arresto, nel caso previsto dall'art. 73 cp è quello dei sei anni). E' stato osservato che l'ampliamento dell'ambito applicativo del reato continuato a finito per ridurre lo spazio d'applicazione del concorso materiale dei reati che, oggi, rappresenta un istituto che trova applicazione soprattutto in sede esecutiva. Il concorso formale di reati Il concorso formale di reati si verifica allorché un soggetto, con un'unica azione od omissione violi, più volte, la stessa disposizione di legge incriminatrice o diverse disposizioni di legge incriminatrici. In tal caso, la risposta sanzionatoria è quella del cumulo giuridico, viene, cioè, applicata la pena prevista per il reato più grave commesso aumentata fino al triplo. Il concorso formale si distingue, poi, in: concorso omogeneo, allorché la disposizione incriminatrice violata ripetutamente sia unica; concorso eterogeneo, allorché le disposizioni incriminatrici violate siano plurime. Il problema di maggiore rilevanza, con riferimento al concorso formale di reati, è comprendere quando si sia in presenza di una pluralità di reati distinguendo tale ipotesi da quella in cui il reato commesso sia, in realtà, unico sussistendo, nonostante l'apparente pluralità di atti idonei ad offendere o la pluralità di persone offese, unicità d'offesa al bene giuridico protetto dalla norma penale. Tra i criteri proposti da dottrina e giurisprudenza per escludere il concorso formale di reati in fattispecie caratterizzate da una pluralità di atti idonei ad offendere o da una pluralità di soggetti passivi vi sono quello della contestualità, in ogni caso richiesta per poter parlare di unicità della condotta e quello della natura del bene offeso. In particolare è stato sottolineato che: Laddove la pluralità di atti sia posta in essere nel medesimo contesto spazio temporale ai danni della stessa persona, la condotta sarà unica ed offensiva di un unico bene giuridico non essendo, dunque, configurabile il concorso formale; Laddove la condotta offenda contemporaneamente soggetti passivi distinti ma sia realizzata nel medesimo contesto spazio temporale: Ove offenda beni altamente personali integrerà il concorso formale di reati; Ove offenda beni non altamente personali, integrerà un unico fatto di reato (si pensi, ad esempio, se, nel corso di un’unica fattispecie di furto, siano asportati beni appartenenti a diversi soggetti). Ulteriore questione relativa al concorso formale di reati attiene alle norme che contemplino diverse azioni alternative offensive, le cc.dd. norme penali miste (si pensi al delitto di danneggiamento di cui all'art. 635 cp che punisce le condotte della distruzione, della dispersione, del deterioramento e del rendere inservibile. Con riferimento a tali fattispecie, di reato, si sostiene che la contemporanea realizzazione di due o più delle condotte individuate dalla norma non sia idonea a realizzare una pluralità di offese al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, sicché si applicherà la pena prevista per un unico reato. Ove, invece, la norma penale, in realtà, incrimini diverse condotte, ciascuna idonea ad offendere, la commissione contestuale o successiva di due o più condotte, tra quelle elencate dalla norma, determinerà l'applicazione delle norme sul concorso (materiale o formale) di reati. Si tratterà, dunque, di compiere un'operazione esegetica sulla norma e di interpretarne la portata. Con riferimento al momento psicologico caratterizzante il concorso formale, secondo parte della dottrina e la giurisprudenza, l'autore, a fronte di una condotta unitaria, dovrebbe rappresentarsi e/o volere, ciascun fatto di reato, in tutti gli elementi costitutivi. Si avrebbe, cioè, unicità di condotta e pluralità di volizioni. Altra dottrina ha preferito descrivere diversamente l'elemento psicologico del concorso formale di reati sottolineando come, in realtà, non si abbia una pluralità di volizioni diverse ma la volontà di un'unica condotta con evento (materiale o giuridico) plurimo. Con riguardo alla struttura del concorso formale, si ritiene che esso sia da considerarsi reato unico solo ai fini della pena mentre, sotto il profilo dell'applicazione di istituti come la prescrizione o la concessione del decreto di amnistia, ciascun reato vada considerato autonomamente. Art. 73 Concorso di reati che importano pene detentive temporanee o pene pecuniarie della stessa specie Se piu' reati importano pene temporanee detentive della stessa specie, si applica una pena unica, per un tempo eguale alla durata complessiva delle pene che si dovrebbero infliggere per i singoli reati. Quando concorrono piu' delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica l'ergastolo (1) . Le pene pecuniarie della stessa specie si applicano tutte per intero. (1 )La Corte costituzionale, con sentenza 28 aprile 1994, n. 168, ha dichiarato, in applicazione dell'art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale del presente comma nella parte in cui, in caso di concorso di piu' delitti commessi da minore imputabile, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, prevede la pena dell'ergastolo. Art. 74. Concorso di reati che importano pene detentive di specie diversa Se piu' reati importano pene temporanee detentive di specie diversa, queste si applicano tutte distintamente e per intero. La pena dell'arresto è eseguita per ultima. Art. 75. Concorso di reati che importano pene pecuniarie di specie diversa Se piu' reati importano pene pecuniarie di specie diversa, queste si applicano tutte distintamente e per intero. Nel caso che la pena pecuniaria non sia stata pagata per intero, la somma pagata, agli effetti della conversione, viene detratta dall'ammontare della multa. Art 78. Limiti degli aumenti delle pene principali. Nel caso di concorso di reati preveduto dall'articolo 73, la pena da applicare a norma dello stesso articolo non può essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti, né comunque eccedere: 1) trenta anni, per la reclusione; 2) sei anni per l'arresto; 3) 15.493 euro per la multa e 3.098 euro per l'ammenda; ovvero 64.557 euro per la multa e 12.911 euro per l'ammenda, se il giudice si vale della facoltà di aumento indicata nel capoverso dell'articolo 133-bis. Nel caso di concorso di reati, preveduto dall'articolo 74, la durata delle pene da applicare a norma dell'articolo stesso non può superare gli anni trenta. La parte di pena, eccedente tale limite, è detratta in ogni caso dall'arresto. Art 79. Limiti degli aumenti delle pene accessorie. La durata massima delle pene accessorie temporanee non può superare, nel complesso, i limiti seguenti: 1) dieci anni, se si tratta della interdizione dai pubblici uffici [28, 29, 31] o dell'interdizione da una professione o da un'arte [30, 31]; 2) cinque anni, se si tratta della sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte Art. 81. Concorso formale. Reato continuato E' punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge. Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. Nei casi preveduti da quest'articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti. Cumulo Giuridico E Cumulo Materiale Rappresentano la risposta sanzionatoria dell’ordinamento nelle ipotesi di concorso di reato ovvero l’ipotesi in cui un soggetto deve rispondere per più reati, il concorso può essere: - CONCORSO FORMALE: ex art 81 cp., si realizza quando con 1 azione od 1 omissione si violano le stesse (omogenee) o diverse (eterogenee) disposizione di legge. La sanzione prevista è quella per il reato più grave aumentata sino al triplo. (cumulo giuridico) L’ordinamento considera questa tipologia di concorso come reato unico solo ai fini della pena per questo concede una reazione più mite di fronte al minor disvalore sociale di un unico atteggiamento. - CONCORSO MATERIALE: è riferito a chiunque con una più azioni od omissioni commette una pluralità di reati. Esso si distingue ulteriormente in omogeneo, se viene violata più volte la stessa norma incriminatrice, ed in eterogeneo se le norme violate sono diverse. Al concorso materiale di reati segue l’applicazione del trattamento sanzionatorio del cumulo materiale ovvero la somma algebrica del quantum di pena irrogato in relazione a ciascun singolo reato commesso (tot crimina tot poenae), temperato dalla previsione di limiti agli aumenti fissati dagli artt. 78 e 79 c.p., ovvero non può eccedere: - 30 anni per la reclusione - 6 anni per l’arresto - 15.433 euro per la multa e 3.098euro per ammenda. Oppure: -10 anni per la interdizione dai pubblici uffici o da professione e arte Il reato complesso Il reato complesso si caratterizza per il fatto di essere composto da più elementi che, di per sé, corrispondono ad altre autonome fattispecie di reato. Le singole figure di reato possono entrare nella • si perfeziona con la realizzazione del minimum di condotte e con la frequenza, necessari ad integrare quel sistema di comportamenti in cui si concreta tale reato e la cui valutazione è affidata alla discrezionalità del giudice. • si consuma quando cessa la condotta reiterata. • può presentarsi in forma di tentativo, che si ha quando il soggetto pone in essere, senza successo, atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere quei fatti che, da soli o aggiungendosi ad altri, avrebbero integrato la serie minima richiesta per l’esistenza del reato abituale. • può presentarsi in forma di concorso, che si ha quando la partecipazione riguarda un numero di episodi sufficiente ad integrare la serie minima, necessaria ad integrare il reato abituale. • può essere colposo Reato Abituale e Pericolosità Sociale Reato Abituale: Il reato è un fatto giuridico umano (commissivo od omissivo) vietato dall'ordinamento giuridico di uno Stato, cui si ricollega una sanzione penale. Si definisce abituale il reato nel quale il comportamento criminoso viene prodotto dalla reiterazione da parte del reo, nel tempo, di più condotte identiche e omogenee (es. maltrattamenti in famiglia). Nel reato abituale quindi la condotta deve essere necessariamente plurisussistente. Il reato abituale può essere distinto in proprio (le singole condotte, considerate autonomamente, sono penalmente irrilevanti) e in improprio (le singole condotte, integrano di per sé reato e la reiterazione della condotta dà luogo a un’aggravante o ad una figura di reato più grave). A seconda della natura e del momento consumativo del reato (durata dell'illecito) il reato può essere istantaneo, permanente, continuato, abituale o professionale. Il reato abituale è un reato che si verifica solo in presenza di una condotta reiterata nel tempo da parte dello stesso autore, mediante più azioni identiche ed omogenee, come nel lenocinio o nel delitto di maltrattamenti in famiglia. Pericolosità Sociale: La pericolosità sociale unitamente alla commissione di un reato sono i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza. È socialmente pericolosa la persona la quale ha commesso già reati, ed è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati. Alcune forme di pericolosità sociale sono: delinquente abituale (colui che realizza ripetutamente nel tempo reati), delinquente per tendenza (colui che commette delitti contro la vita ed è di indole malvagia) e delinquente professionale (colui che vive dei proventi del reato). Reato Impossibile Il reato impossibile si configura quando per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa è impossibile l’evento dannoso o pericoloso (art. 49, co. 2 c.p.). Il reato impossibile, definito anche quasi reato, ricorre in due casi: quando l’azione non è idonea a determinare l’evento (Es. Tizio vuole uccidere Caio sparandogli con una pistola giocattolo); oppure quando l’oggetto dell’azione è inesistente (Es: Tizio vuole uccidere Caio ed entra di notte nella sua casa, spara un colpo d’arma da fuoco credendolo nel letto, in realtà là vi è posto solo un fantoccio, al posto di Caio). Si potrebbe essere portati a far coincidere il reato impossibile con il tentativo inidoneo, ma ciò che distingue le due figure è il fatto che nel tentativo inidoneo si ha un singolo atto inidoneo (Tizio tenta di sparare a Caio con una pistola giocattolo, singoloatto inidoneo, perché tenta di sparare), nel reato impossibile è tutta l’azione che, portata a compimento, è inidonea. Inoltre nel tentativo inidoneo l’inesistenza dell’oggetto è solo relativa o momentanea, nel reato impossibile l’inesistenza è assoluta. La distinzione è più chiara se si pone a base del ragionamento il principio di offensività, per il quale il reato deve effettivamente ledere un bene, se un soggetto compie singoli atti concretamente non idonei a produrre un evento, si avrà tentativo inidoneo, se invece un soggetto pone in essere l’intera condotta, ma questa è inidonea ad offendere il bene si avrà reato impossibile. Ciò spiega anche perché il tentativo inidoneo non è punito, mentre il reato impossibile è sanzionato con l’applicazione di una misura di sicurezza, in quanto denota una pericolosità sociale del soggetto che agisce. Reato Permanente I reati permanenti sono quei reati in cui l’offesa al bene giuridico si protrae nel tempo per effetto della persistente condotta del soggetto attivo. Perché si parli di reato permanente occorrono dunque due presupposti: che l’offesa al bene giuridico derivante dalla condotta del reo perduri nel tempo; che il protrarsi della condotta sia dovuto alla volontà del reo che potrebbe porvi fine immediatamente. Il reato permanente è un reato unico, non si perfeziona nel omento in cui inizia la situazione di offesa ma quando si realizza il mantenimento minimo della stessa, necessario perché ci sia la sussistenza del reato. Prima di questo momento, si avrà il tentativo. Esempi di reato permanente sono il sequestro di persona, la riduzione in schiavitù, l’invasione di terreni. No bigamia, in quanto il bigamo non è nelle condizioni di far cessare volontariamente gli effetti di uno dei due matrimoni. La cessazione della continuazione può avvenire per volontà dell’agente, per terzi, per lo stesso soggetto passivo. L’importanza della figura del reato permanente, rileva in relazione a: Locus commissi delicti; ai fini della determinazione della competenza territoriale; per la flagranza; per la decorrenza dei termini della prescrizione; per la decorrenza del termine per proporre querela; ai fini dell’applicazione dell’amnistia. Concorso Apparente Di Norme Ricorre il fenomeno del concorso apparente di norme quando più norme sembrano apparentemente disciplinare il medesimo fatto, ma al caso concreto ne deve essere applicata una soltanto per non incorrere nel fenomeno della violazione del ne bis in idem sostanziale. Il concorso apparente di norme va tenuto ben distinto dal contiguo, ma diverso istituto del concorso formale di reati (art. 81 c.p.). Mentre nel concorso apparente di norme la pluralità di norme incriminatrici è, appunto, solo apparente, essendo unica la norma concretamente applicabile; nel concorso effettivo di reati, alla pluralità delle norme incriminatrici violate corrisponde anche la pluralità dei reati, ancorché posti in essere con un’unica azione od omissione. Il primo punto di riferimento, ai fini dell’identificazione del concorso apparente e della relativa distinzione dal concorso di reati, si rinviene nell’art. 15 c.p., a tenore del quale “quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”. Viene pertanto ravvisato nella specialità il criterio da applicare nel delimitare l’ambito riservato al fenomeno del concorso apparente di norme. Più in particolare, la specialità sussiste allorché una norma (speciale) contiene tutti gli elementi costitutivi di un’altra norma (generale) con l’aggiunta di un o più elementi ulteriori (c.d. specializzanti) , sul presupposto indefettibile che entrambe regolino la stessa materia. Nei casi di specialità reciproca è evidente che per poter stabilire quale norma vada in concreto applicata non si possa far riferimento al criterio di cui all’art. 15 c.p. Proprio in relazione a casi di questo tipo, la dottrina ha infatti suggerito il ricorso ai criteri di sussidiarietà e di assorbimento per risolvere il concorso. In forza del principio di sussidiarietà la legge primaria deroga alla legge sussidiaria ( lex primaria derogat legi subsidiariae). Tale principio verrebbe in rilievo ogniqualvolta tra le fattispecie astratte sia ravvisabile un rapporto di complementarietà, che ricorre quando la norma sussidiaria risulti applicabile nei soli casi in cui non sia applicabile la norma primaria. Tale rapporto è ravvisabile quando le norme tutelino un medesimo bene giuridico in stadi diversi di aggressione. Tale principio talune volte è espressamente rilevabile nel testo di una disposizione di legge per mezzo di un’apposita clausola di riserva (sussidiarietà espressa). In altri casi, si parla invece di sussidiarietà tacita, quando essa sia desumibile in via interpretativa. Secondo il principio di assorbimento o consunzione invece, una norma (consumante) assorbe l’altra (consumata) quando comprende il fatto previsto dalla norma consumata, esaurendo l’intero disvalore del caso concreto; nel senso che la commissione di essa comporta la necessaria integrazione anche della seconda, che dovrebbe di conseguenza ritenersi assorbita nella prima. La norma consumante andrebbe pertanto individuata in quella che prevede il trattamento sanzionatorio più severo o che preveda la tutela del bene di rango più elevato. Principio di specialità, rapporto di specialità bilaterale Il principio di specialità (art. 15 c.p.) è il principale criterio per dirimere i conflitti apparenti di norme in diritto penale. È sancito dall’articolo 15, per il quale, quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito. Il principio di specialità presuppone, dunque, che fra due norme esista un rapporto di genere a specie e comporti la priorità della norma speciale su quella generale, escludendone l’applicazione. Una norma è speciale quando contiene, oltre agli elementi compresi nella fattispecie generale, anche degli elementi particolari e speciali (cd. specializzanti). È un principio di portata generale, che opera, cioè, non solo tra norme penali incriminatrici, ma anche tra disposizioni scriminanti o circostanzianti. Si ha specialità unilaterale nell’ipotesi classica di norma contenente tutti gli elementi di un’altra più elementi specializzanti, per aggiunta o per specificazione. Si ha, invece, specialità reciproca o bilaterale laddove vi sia un nucleo di elementi comune alle due norme e poi ciascuna presenti elementi specializzanti. In questo caso, dunque, non si ha una norma speciale e una generale, ma norme in rapporto alternativo di generalità e specialità. In relazione a specifici e diversi elementi. Concorso di persone nel reato L’istituto del concorso di persone nel reato si riferisce alle ipotesi in cui la commissione di un reato sia addebitabile a più soggetti. Il concorso è disciplinato dall’art. 110 c.p. che testualmente recita: “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”. I requisiti strutturali del concorso sono: pluralità di soggetti agenti (per aversi concorso sono sufficienti anche solo 2 persone), realizzazione di un fatto illecito, partecipazione di ciascun concorrente alla determinazione dell’evento, elemento soggettivo (non si limita alla coscienza e volontà del fatto criminoso, ma comprende anche la consapevolezza che il reato viene commesso con altre persone). Affinché possa essere inquadrata la fattispecie del concorso, occorre la partecipazione di tutti i correi alla realizzazione del fatto illecito e il contributo causale di ciascuno deve estrinsecarsi in una condotta materiale esteriore. Per quanto attiene al requisito della realizzazione dell’illecito va detto che in rispetto al principio di materialità ed offensività che ispirano il nostro Codice Penale, l'art. 115 stabilisce che qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto della sussistenza dell'accordo. La sussistenza di quest’ultima circostanza può al massimo comportare l'applicazione di misure di sicurezza. Il concorso può essere: alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso». mentre nel recesso attivo «Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà». Pentimento operoso Circostanza attenuante comune, di cui all'art. 62, n. 6 seconda parte c.p., che opera a favore dell'agente che si sia adoperato, prima del giudizio, in modo spontaneo ed efficace per elidere o attenuare le conseguenze del reato. Denominato anche ravvedimento post delictum, il pentimento operoso presuppone non solo la volontarietà ma anche la spontaneità del comportamento riparatore in quanto deve essere determinato da motivi interni e non da ragioni meramente opportunistiche. Tale attenuante si riferisce alle conseguenze del reato non eliminabili mediante risarcimento e non è applicabile quando l'azione riparatrice è imposta dalla legge. Espressione della diminuita capacità a delinquere del reo, è applicabile a tutti i reati, anche se non abbiano come oggetto di tutela primario il patrimonio. In materia di tentativo, il pentimento operoso è denominato recesso attivo. La più attenta dottrina segnala una sensibile differenza tra il recesso attivo (art. 56, co. 4) ed il pentimento operoso. Nella prima ipotesi la condotta è antecedente al verificarsi dell'evento; nel secondo caso viene posta in essere dopo il suo verificarsi. Inoltre nel pentimento operoso deve essere presente una volontà che manifesti il ravvedimento. …..x completezza… Recesso attivo Circostanza attenuante operante in materia di tentativo, a favore dell'agente che, dopo aver integrato l'intera condotta criminosa, si attivi volontariamente e con successo, al fine di impedire la verificazione dell'evento. Mentre la desistenza volontaria si estrinseca, di regola, nella semplice astensione dal continuare nel proprio comportamento, il recesso attivo, detto impropriamente anche pentimento operoso, implica una condotta attiva dell'agente diretta ad interrompere il processo causale già attivato. È peraltro da rilevare che in talune ipotesi il recesso attivo può realizzarsi anche con un mero comportamento omissivo (es.: estortore che, dopo avere effettuato telefonicamente la richiesta estorsiva, non si reca nel luogo ad ora stabilita per ritirare il denaro). Il recesso attivo, che comporta una diminuzione della pena da un terzo alla metà di quella stabilita per il delitto tentato, può aversi solo nei delitti in cui tra la realizzazione della condotta ed il verificarsi dell'evento intercorra un certo lasso di tempo. Il recesso attivo non deve essere confuso con il ravvedimento post delictum, ex art. 62, n. 6 c.p., che si realizza dopo il verificarsi dell'evento, dunque dopo la consumazione del reato, allo scopo di eliminare o attenuare le conseguenze dannose o pericolose dello stesso. Imputabilità L’art. 85 c.p. determina i criteri di imputabilità dell’illecito e la conseguente punibilità del soggetto. La norma afferma che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”. Al secondo comma precisa che “È imputabile chi ha la capacità di intendere e volere”. La colpevolezza presuppone quindi che il soggetto, al momento della commissione dell’illecito, sia munito congiuntamente della capacità di intendere e di volere e, laddove ne sia privo, non potrà essere considerato imputabile e quindi punibile (non gli si potrà addebitare la sanzione penale) anche se il suo comportamento integri una fattispecie di reato. La capacità di intendere indica l’attitudine di ogni persona a comprendere il valore del proprio comportamento, nonché le conseguenze morali, giuridiche e fattuali che le proprie azioni od omissioni hanno sulla realtà esterna, richiedendo quindi il possesso di capacità di cognizione ed anche di previsione. Si tratta di qualcosa di diverso dall’ignorare l’antigiuridicità normativa di un’azione, poiché l’art. 5 c.p. chiaramente afferma che “nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale”. La capacità di volere riguarda, invece, la facoltà di una persona ad autodeterminarsi liberamente e autonomamente; entra in gioco l’elemento volitivo, attuativo di uno scopo, che segue la corretta rappresentazione e percezione della realtà. Il codice penale prende in considerazione ipotesi tipiche in cui l’imputabilità è attenuata o esclusa, in considerazione di situazioni in cui presuntivamente il soggetto è incapace di autodeterminarsi. Minore Età Gli artt. 97 e 98 c.p. prevedono rispettivamente che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni” e che “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e volere; ma la pena è diminuita”. Il legislatore, per esigenze di uguaglianza, certezza e semplicità, fissa a 18 anni l’età in cui il soggetto presumibilmente ha raggiunto una maturità psichica tale da essere normalmente imputabile, mentre per i minorenni effettua una distinzione. Il minore di anni 14 non è mai imputabile in quanto sussiste a suo carico una presunzione assoluta di incapacità d’intendere e di volere, mentre, per il minore di età compresa tra 14 e 18 anni, questa presunzione non sussiste e per la sua non imputabilità dovrà adeguatamente dimostrarsi, caso per caso, l’insussistenza dei requisiti di capacità. Vizio di mente e infermità Gli artt. 88 e 89 c.p. disciplinano rispettivamente il vizio totale e parziale di mente, affermando che “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d'intendere o di volere” (art.88 c.p.) mentre “Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d'intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita”. Da queste norme si evince che la presunzione d’imputabilità prevista dal legislatore, trova una deroga in caso il soggetto, al momento della commissione dell’illecito, sia gravato da un’alterazione mentale tale da ingenerare uno stato patologico di incapacità totale di intendere o di volere (quindi dell’una o dell’altra, non necessariamente di entrambe). La disciplina dell’imputabilità si differenzia in relazione alla differenza quantitativa tra i due vizi mentali: se l’infermità è di portata tale da sopprimere completamente la capacità di intendere e di volere del soggetto, egli sarà non imputabile; invece, la seminfermità di mente, tale da far scemare grandemente al momento del reato la capacità di intendere e di volere senza eliminarla del tutto, determina la piena imputabilità e il suo status potrà valere da attenuante. Si dovrà ovviamente, in ambo i casi, dimostrare il nesso eziologico sussistente tra il vizio mentale e lo specifico fatto di reato commesso. L’art. 96 c.p. stabilisce invece che “non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità d'intendere o di volere. Se la capacità d'intendere o di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita”. Anche in questo caso viene in rilievo uno stato di infermità precisamente identificato (il sordomutismo) che, se determina al momento dell’illecito uno stato di incapacità totale di intendere o di volere, può escludere l’imputabilità del reo. Assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti Mentre “gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l'imputabilità” (art. 90 c.p.) di un soggetto sano, il quale è in grado di controllare le proprie pulsioni non essendo affetto da infermità di mente, diverso è il discorso per i soggetti la cui alterazione psichica derivi da alcol e stupefacenti. Solo in caso di ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore (art. 91 c.p.), a causa del quale il soggetto non sia in grado di intendere o di volere al momento della commissione del fatto, il legislatore esclude l’imputabilità del reato. Deve trattarsi di una situazione imprevedibile o inevitabile, diversa dall'ipotesi in cui l'ubriachezza sia volontaria o colposa (art. 92 c.p.): in questo secondo caso l’imputabilità non è ne diminuita né esclusa. Analogicamente, la stessa disciplina si applica anche nel caso di assunzione di sostanze stupefacenti. Il legislatore, tuttavia, precisa all'art. 95 che lo status di cronica intossicazione prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti, è assimilabile ai fini dell'imputabilità ad un'infermità, quindi dovrà applicarsi quanto disposto dagli artt. 88 e 89 c.p. La sentenza della Corte Costituzionale n. 114/1998 ha chiarito che l'intossicazione cronica è diversa dall'ubriachezza abituale, in quanto l'intossicazione permane in maniera irreversibile, indipendentemente dall'assunzione o meno della sostanza. Anche nei c.d. intervalli di astinenza, il soggetto con patologia cronica continua a presentare segni di intossicazione in grado di alterarne, in maniera totale o parziale, la capacità di intendere e di volere Imputabilità E Le Forme Che La Attenuano (Differenze Con La Colpevolezza) Status che deve essere presente nel momento in cui il soggetto commette il reato. Infatti secondo il c.p. nessuno può essere punito per un fatto preveduto come reato, se al momento in cui l’ha commesso non era imputabile (85 cp). Affinché si parli di imputabile occorre che vi sia la presenza della capacità di intendere e volere (Intendere consiste nel comprendere il valore sociale dell’atto che si compie; volere attitudine di scegliere in modo autonomo resistendo agli impulsi, autodeterminazione ed autocontrollo). La incapacità di intendere e volere può essere PARZIALE (il soggetto soggiace a minor pena rispetto a quella prevista dal codice) o TOTALE (esente da pena se essa dipende da infermità, ma il soggetto può essere sottoposto a misura di sicurezza del ricovero in manicomio giudiziario, se pericoloso). Le cause che escludono l’imputabilità sono di natura fisiologica (età) patologica (infermità di mente o sordomutismo) e tossica (abuso di alcool e sostanze stupefacenti).  Età minore degli anni 14 (97 e 98 cp) (tuttavia, se giudicato socialmente pericoloso, può essere sottoposto alla la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario);  Vizio Totale di mente (88 e 89 cp) (comporta la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario);  ubriachezza (91 cp) o stupefazione accidentale che può essere accidentale (esclude la imputabilità), volontaria o preordinata (l’imputabilità non è esclusa né diminuita e non comporta conseguenze giuridiche);  cronica intossicazione da alcool o sostanza stupefacente (94 e 95 cp) (equiparata al vizio totale di mente).  Gli stati emotivi e passionali sono particolari stati d’animo determinati da motivi affettivi o sentimentali che possono provocare un improvviso turbamento psichico (ira, vergogna, paura), non escludono ne diminuiscono l’imputabilità, tuttavia possono determinare circostanze attenuanti. La colpevolezza è l'elemento costitutivo soggettivo del reato, occorre che l'autore abbia agito colpevolmente, cioè che il fatto tipico sia a lui riconducibile. della recidiva non può mai superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo. Sulla scorta dell’art.133, la recidiva congiuntamente agli altri criteri di legali per la determinazione della capacità a delinquere del reo opera come giudizio prognostico che il giudice deve tenere conto per la definizione della Pena. L’Abitualità Criminosa Il contesto è quello dell’applicabilità delle MISURE DI SICUREZZA e del concetto del DOPPIO BINARIO: “Pur aventi carattere sanzionatorio le misure di sicurezza sono dotate di una propria funzione autonoma rispetto alle pene, avendo una funzione di PREVENZIONE SPECIALE, mirando a neutralizzare la pericolosità sociale del reo. In particolare, nel codice Penale agli articoli 102, 103 e 104 si definisce DELINQUENTE ABITUALE chi con la sua persistente attività criminosa dimostra di avere acquisito una notevole attitudine a commettere reati:  art. 102 c.p. Abitualità presunta dalla Legge: il reo è stato condannato allareclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi non contestualmente entro dieci anni; riporta un’altra condanna per un delitto non colposo, della stessa indole e commesso entro i dieci anni successivi.  art. 103 c.p. Abitualità presunta dal Giudice: il reo è stato condannato per due delitti non colposi; riporta un’altra condanna per delitto colposo; il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del reo e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’art. 133 c.p.(Gravità del reato : valutazione agli effetti della pena) , ritiene che il colpevole è dedito al delitto.  art. 104 c.p. Da ultimo per le contravvenzioni l’abitualità non è mai presunta, ma deve essere dichiarata dal giudice. Essa ricorre quando il reo è stato condannato all’arresto per tre contravvenzioni della stessa indole; quando il giudice, tenuto conto della specie e della gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di virtù del colpevole e delle altre circostanze di cui al cpv. dell’art. 133 c.p., ritiene che il colpevole è dedito al reato. Cosa comporta la dichiarazione di ABITUALITA’ CRIMINOSA, che può avvenire in ogni tempo, anche dopo l’esecuzione della pena? Se Le conseguenze della dichiarazione di abitualità sono: a) applicazione della misura di sicurezza dell’assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro; b) interdizione perpetua dai pubblici uffici; c) divieti della sospensione condizionale della pena e del perdono giudiziale; d) inapplicabilità dell’amnistia e indulto, (se il decreto non dispone diversamente). Le Pene La pena può essere definita come la risposta giuridica dello Stato alla violazione di una norma penale. Concettualmente consiste nella privazione o limitazione di un bene-interesse personale, che provoca sofferenza al soggetto che la subisce. I reati si distinguono proprio in funzione della pena ad essi applicabili ai sensi dell’art. 39 del C.P. La pena ha funzione di: ● retributiva, infatti rappresenta il corrispettivo per il male commesso; ● prevenzione generale, in quanto strumento per distogliere i consociati dal commettere atti criminosi. ● emenda del condannato, mirando al ravvedimento del reo, al fine d’impedire che lo stesso possa in futuro delinquere nuovamente; ● rieducativa, poiché tende al reinserimento sociale del reo attraverso adeguate educazione. Questa impostazione risulta al momento la più conforme al dettato normativo di cui all’art.27della Cost. e nella stessa ottica considerare le misure di sicurezza, come strumenti finalizzati al recupero del reo. Con l’inserimento nel codice delle misure di sicurezza, infatti, nasce il sistema del doppio binario ovvero la possibilità di applicare alternativamente la pena o le misure di sicurezza, in base alle esigenze del caso concreto e dall’analisi della pericolosità del reo. Caratteri della pena: ● personalissima, essa colpisce solo l’autore del reato (art. 27 Cost “la responsabilità penale è personale”); ● legalità: l’applicazione della pena è rigorosamente disciplinata dalla legge; ● inderogabilità: una volta minacciata è sempre applicata (notevoli deroghe si hanno, tuttavia, con gli istituti della liberazione condizionale e il perdono giudiziale con i minori); ● proporzionalità, in quanto deve essere necessariamente adeguata alla gravità del reato. Classificazione delle pene: le pene principali sono quelle inflitte dal giudice con la sentenza e sono elencate in maniera precisa nell’art. 17 del c.p, il quale attua una distinzione tra le pene previste per i delitti e quelle previste per le contravvenzioni: DELITTI: ergastolo-reclusione-multa CONTRAVVENZIONI: arresto e ammenda. L’ergastolo, consiste nella privazione della libertà personale per l’intera durata della vita del condannato (non applicabile ai minori). La reclusione è una pena detentiva che va da 15 giorni a 24 anni. Questo limite può essere elevato fino a 30 anni in caso di aumenti di pena determinati da circostanze aggravanti. La multa è una pena pecuniaria prevista da 50 a 50000 €. L’arresto consiste in una pena detentiva che oscilla tra 5 giorni e 3 anni, elevabile fino a 5 anni in caso di concorso di circostanze aggravanti. La multa è la pena pecuniaria che va da 20 a 10000 €. Le pene accessorie sono quelle applicate in aggiunta alla pena principale. Si distinguono in  pene accessorie per i delitti: INTERDIZIONE DAI PUBBLICI UFFICI- INTERDIZIONE DA UNA PROFESSIONE O DA UN’ARTE- INTERDIZIONE LEGALE-INTERDIZIONE DAGLI UFFICI DIRETTIVI DELLE PERSONE GIURIDICHE E DELLE IMPRESE- INCAPACITÀ A CONTRARRE CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE- ESTINZIONE DEL RAPPORTO D’IMPIEGO o DI LAVORO- DECADENZA o SOSPENSIONE DALLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE.  Pene accessorie per le contravvenzioni sono: SOSPENSIONE DAGLI UFFICI DIRETTIVI DELLE PERSONE GIURUDICHE O DELLE IMPRESE- SOSPENSIONE DELL’ESERZIZIO DI UNA PROFESSIONE O UN’ARTE. Comune a delitti e contravvenzioni è invece LA PUBBLICAZIONE DELLA SENTENZA DI CONDANNA. Tranne rarissime condizioni, la pena per i singoli reati oscilla tra un minimo e un massimo, spetta al giudice, caso per caso, determinarla in concreto. Egli gode a riguardo di un potere discrezionale, pur se è tenuto a indicare nella motivazione del provvedimento di condanna le ragioni concrete della sua determinazione. Tale discrezionalità non è tuttavia illimitata, è lo stesso legislatore, infatti, che fissa i criteri di determinazione della pena. Ai sensi dell’art. 133 del c.p., il giudice deve tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo. Vedasi: misure alternative alla detenzione (L. 354/75) pene sostitutive (L. 689/81) cause di estinzione del reato. Le singole pene e loro classificazione Il codice penale prevede 2 tipi di pene: 1. PENE PRINCIPALI che a sua volta si dividono in:  PENE PRINCIPALI PER I DELITTI che sono:  L’ergastolo, la reclusione e la multa  PENE PRINCIPALI PER LA CONTRAVVENZIONE che sono:  L’arresto e l’ammenda 2. PENE ACCESSORIE che si dividono in:  PENE ACCESSORIE PER I DELITTI costituite da misure interdittive (es. interd. da una professione) e misure inabilitanti (es. decadenza della responsabilità genitoriale)  PENE ACCESSORIE PER LA CONTRAVVENZIONE danno luogo a misure sospensive (es. sosp. dall’esercizio di una professione)  Con la legge 689/81 si è aggiunta un ulteriore tipologia di sanzioni penali: LE SANZIONI SOSTITUTIVE DELLE PENE DETENTIVE BREVI, esse erano:  La semidetenzione,  la libertà controllata,  la pena pecuniaria per reati non gravi o non particolarmente pericolosi Nel 2000 la competenza è stata data anche al Giudice di pace e le sanzioni sostitutive che si possono comminare sono:  La pena pecuniaria,  l’obbligo di permanenza domiciliare,  il lavoro di pubblica utilità (sostituiscono le precedenti)  PENE DETENTIVE 1) ERGASTOLO: Per delitti più gravi. Consiste nella privazione delle libertà per tutta la vita 2) RECLUSIONE: pena principale per i delitti. Consiste nella privazione della libertà da 15gg a 24 anni (elevabili a 30 con aggravanti) 3) ARRESTO: Pena per le contravvenzioni + gravi. Va da 5gg a max 3 anni (fino a 5 con aggravanti e 6 per concorso di reato) PENE PECUNIARIE 1) MULTA: Prevista per i delitti, pagamento allo stato da 50€ a 50000€ 2) AMMENDA: Pagamento per le contravvenzioni da 20€ a 10000€ Qualora le pene pecuniarie non vengano pagate è previsto un meccanismo di conversione dalla pena pecuniaria alla libertà controllata. PENE ACCESSORIE 1)INTERDIZIONE DA UFFICI PUBBLICI: privazione in ogni pubblico ufficio, di stipendio o pensioni a carico dello stato (Da1 a 5 anni), perpetua, accessoria rispetto all’ergastolo o alla reclusione non inferiore a 5 anni 2)INTERDIZIONE DA UNA PROFESSIONE: Privazione dall’esercizio di una professione (da 1 a 5 anni) 3)SOSPENSIONE DA UNA PROFESSIONE: Per le contravvenzioni commesse con abuso di potere 4)INTERDIZIONE LEGALE: per ergastolo o reclusione non inferiore a 5 anni assieme alla sospensione della responsabilità genitoriale dei genitori comporta la perdita della capacità di agire 5)INTERDIZIONI (per i delitti) e SOSPENSIONE DAGLI UFFICI DIRETTIVI DELLE PERSONE GIURIDICHE E DELLE IMPRESE (per condanne non inferiori a 6 mesi) l’offesa all’interesse protetto (ad esempio, il «pubblico scandalo» nel delitto di incesto, e il “pericolo per l’incolumità pubblica” di cui all’art. 423 c.p.) L’interesse pratico alla individuazione delle condizioni obiettive di punibilità è duplice: in primo luogo, mentre gli eventi che fanno parte del fatto in senso stretto devono essere oggetto del dolo o della colpa, gli eventi-condizioni obiettive vengono imputati a titolo di responsabilità oggettiva (art. 44 c.p.); in secondo luogo, l’art. 158, comma 2, c.p. fa decorrere il termine di prescrizione del reato dal momento in cui si verifica la condizione obiettiva di punibilità. La punibilità può estinguersi in virtù di cause speciali previste dalla legge, che il codice distingue in: a) cause di estinzione del reato: estinguono la punibilità in astratto, cioè l’applicabilità di una certa pena all’autore di una trasgressione, antecedentemente alla sentenza definitiva di condanna; Le cause generali di estinzione del reato sono:  la morte del reo prima della condanna;  la remissione della querela;  l’amnistia propria, precedente cioè alla condanna;  la prescrizione;  l’oblazione nelle contravvenzioni;  la sospensione condizionale; il perdono giudiziale. In realtà il reato cosiddetto “estinto” continua a produrre rilevanti effetti giuridici in ordine, per esempio, alla recidiva, alle dichiarazioni di abitualità e professionalità nel reato, nonché ai fini dell’aggravamento di pena dipendente dalla connessione di reato. b) cause di estinzione della pena: estinguono la punibilità in concreto, cioè la pena da applicare nel caso concreto, per effetto di una sentenza definitiva di condanna. Le cause di estinzione della pena previste dal codice penale sono invece:  la morte del reo dopo la condanna;  l'amnistia impropria, ossia successiva alla condanna;  la prescrizione della pena; l'indulto; la grazia;  la libertà condizionale;  la riabilitazione;  la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. L’effetto estintivo della pena segue anche all’applicazione delle misure alternative alla detenzione e al cosiddetto patteggiamento c) Non punibilità per particolare tenuità del fatto: prevede che nei reati per i quali sia prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità sia esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo l’offesa sia di particolare tenuità e il comportamento risulti non abituale(ciò anche quando la particolare tenuità del danno o del pericolo costituiscano circostanza attenuante). Quando l’autore abbia agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o abbia adoperato sevizie o, ancora, abbia profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta abbia cagionato o da essa siano derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona non può essere applicato. Misure di sicurezza Nel nostro ordinamento esiste il cd. Sistema del doppio binario per il quale a seguito di violazione di una norma penale può essere applicata o una pena o una misura di sicurezza in base alle esigenze del caso concreto e all’analisi sulla pericolosità sociale del reo (art. 133 cp criteri). Le misure di sicurezza (poi MdiS) trovano applicazione di fronte alla necessità di rieducare e riadattare il reo, socialmente pericoloso, al fine di neutralizzare la predisposizione a delinquere e a favorire il reinserimento sociale. Sono due i presupposti per l’applicazione: 1) commissione di un fatto previsto dalla legge come reato o quasi reato (ipotesi art. 49 e art. 115 cp) 2) pericolosità sociale del delinquente, intesa come modo di essere della persona dal quale si deduce la probabilità che continui a delinquere. Caratteristiche delle M. di S: 1) sono sottoposte al principio di legalità 2) non hanno natura punitiva in quanto mirano a prevenire il compimento di futuri crimini 3) hanno durata indeterminata perché collegata alla persistenza della pericolosità che va accertata. La durata per ciascuna misura è stabilita solo nel minimo. 4) si applicano anche ai non imputabili 5) le MdiS detentive si applicano con precedenza a quelle non detentive 6) le MdiS possono essere sospese se il condannato deve scontare altra pena detentiva e possono essere oggetto di trasformazione. Il procedimento con cui le MdiS sono applicate, modificate o revocate ha natura giurisdizionale ed è competente il giudice che emette la sentenza di proscioglimento o di condanna. Se invece vengono applicate in un secondo momento, esclusa la confisca, competente è il magistrato di sorveglianza. L’esecuzione è successiva all’espiazione della pena principale ovvero in caso di sentenza di proscioglimento o di condanna a pena non detentiva è successiva al passaggio in giudicato della sentenza medesima. Distinguiamo MdiS personali e patrimoniali. Le personali si distinguono in: detentive: 1) assegnazione ad una colonia agricola o casa di lavoro (durata minima 1 anno; 2 anni per delinquenti abituali, 3 anni per quelli professionali, 4 anni per quelli per tendenza); 2) ricovero in una casa di cura e di custodia 3) ricovero in un ospedale psichiatrico Le Residenze pr l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) sono strutture che dal 1 aprile 2015 hanno sostituito le case di cura e gli OPG; le misure indicate dal codice con riferimento a queste due ultime tipologie di strutture vanno ora riferite alle REMS destinate ad accogliere perciò coloro che sono stati condannati a pena diminuita per infermità di mente, sordomutismo, intossicazione da alcol e stupe ovvero coloro che per le stesse ragioni siano stati prosciolti; 4) ricovero in riformatorio giudiziario per i minori non imputabili o condannati a pena diminuita (durata minima 1 anno). Non detentive: 1) libertà vigilata (durata minima 1 anno) che comporta l’obbligo di rispettare precise prescrizioni imposte dal giudice. Può essere facoltativa (art. 229 cp) o obbligatoria (230 cp); il controllo del sottoposto è affidato all’autorità di ps; 2) divieto di soggiorno in uno o più comuni o n una o più province (1 anno) per condannati a delitti contro la personalità dello stato, contro l’ordine pubblico ovvero commessi per motivi politici; 3) divieto di frequentare osterie o pubblici spacci di bevande alcoliche (1 anno); 4) espulsione o allontanamento dello straniero dallo Stato in caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore ai due anni. Le patrimoniali sono: 1) cauzione di buona condotta che consiste nel versamento di una somma di denaro o nella prestazione di una garanzia mediante ipoteca o fidejussione per un periodo da 1 a 5 anni. Se nel periodo stabilito dal giudice il soggetto commette un reato per il quale è previsto l’arresto la somma o la garanzia è devoluta alla cassa delle ammende; in caso contrario restituita o cancellata; 2) la confisca consiste nell’espropriazione da parte dello stato delle cose che sono servite a commettere il reato o che ne costituiscono il prezzo o il profitto. Normalmente è facoltativa, è obbligatoria quando riguardo cose che siano il prezzo del reato ovvero si tratti di beni e di strumenti informatici o telematici che siano stati utilizzati per commettere reati informatici (vedi comma2 art. 240). Ricorda confisca per equivalente in materia di usura (vedi art. 644 cp). Doppio Binario (Pena Più Misura Di Sicurezza) Le misure di sicurezza sono degli speciali provvedimenti di carattere educativo o cautelativo, che vengono applicati dall’Autorità giudiziaria in sostituzione o in aggiunta alla pena, nei confronti di un soggetto ritenuto socialmente pericoloso. Il legislatore del 1930 ha inserito nel codice penale il cd sistema del doppio binario affiancando alla sanzione penale tradizionale la misura di sicurezza destinata a neutralizzare la pericolosità sociale di determinati categorie di soggetti. Con la loro introduzione si ha avuto lo scopo di potenziare la difesa sociale mediante la prevenzione del pericolo di recidiva del reo. Esse vengono applicate in presenza di alcuni presupposti: la commissione di un fatto previsto dalla legge come reato o di un quasi- reato (cioè un fatto non punibile né tipico, ma considerato come estrinsecazione di pericolosità, come il reato impossibile e l’istigazione a commettere un reato non accolta); la pericolosità criminale del reo, eventualmente accertata tramite una perizia. Le misure di sicurezza vanno tenute distinte dalla pena, riguardo a determinati aspetti: dal punto di vista della funzione, la pena ha una funzione retributiva, mentre la misura di sicurezza ha esclusivamente la funzione di emenda del colpevole; dal punto di vista dei destinatari, la pena si applica solo ai soggetti imputabili, mentre la misura di sicurezza si applica anche ai non imputabili; dal punto di vista della durata, la pena è fissa, avendo una durata determinata stabilita nella sentenza di condanna, mentre la misura di sicurezza ha una durata indeterminata, dovendo, per sua natura, cessare con il venir meno dello stato di pericolosità del soggetto. Le misure di sicurezza si distinguono in: personali e patrimoniali personali, in quanto limitano la libertà personale del soggetto, le quali possono essere a loro volta distinte in: detentive, quali l’assegnazione ad una colonia agricola o casa di lavoro; l’assegnazione ad una casa di cura e di custodia; il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario; il riformatorio giudiziario; non detentive, quali la libertà vigilata; il divieto di soggiorno; il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche; l’espulsione o l’allontanamento dello straniero dallo Stato. patrimoniali, incidenti soltanto sul patrimonio del soggetto, le quali sono: la cauzione di buona condotta, la confisca. Nello specifico, la confisca, consiste nella espropriazione a favore dello Stato di cose che: servono a commettere il reato (ad esempio, gli arnesi da scasso) che sono il prodotto o il profitto, ovvero di cose la cui fabbricazione, uso, detenzione o alienazione costituisce il reato (ad esempio, armi, monete false). È una misura di sicurezza che prescinde dalla pericolosità sociale del reo ed è legata alla pericolosità della res che, se lasciata nella disponibilità del reo, potrebbe indurlo a delinquere nuovamente o comunque ad agevolare la reiterazione del reato.Per i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione e per le ipotesi aggravate di truffa, il codice penale consente la confisca per equivalente. Si tratta di un provvedimento che colpisce i beni della persona condannata per detti reati, in misura proporzionale al prezzo o al profitto dei reati stessi e, in assenza di qualsiasi prova di un rapporto pertinenziale tra i beni appresi ed il fatto illecito cui si riferisce la sentenza di condanna. Ad esempio, al pubblico ufficiale corrotto può essere confiscata la retribuzione, nei limiti consentiti, fino alla concorrenza dell’illecito profitto.
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