Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

DIRITTO PENALE STAMPARE, Appunti di Diritto Penale

riassunti - riassunti

Tipologia: Appunti

2010/2011

Caricato il 04/10/2011

princy
princy 🇮🇹

4.2

(17)

30 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica DIRITTO PENALE STAMPARE e più Appunti in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! CAPITOLO 1 LEGITTIMAZIONE E COMPITI DEL DIRITTO PENALE Le teorie della pena Che cosa legittima il ricorso dello Stato all’arma della pena? • la risposta a questo interrogativo è offerta dalle TEORIE DELLA PENA: Esse si dividono in: - teoria RETRIBUTIVA: la pena statuale si legittima come un male inflitto dallo Stato x compensare il male che un uomo a inflitto ad un altro uomo o alla società -> questa teoria viene designata come assoluta in quanto disinteressata agli effetti della pena = svincolata dalla considerazione di un qualsiasi fine da raggiungere. -> assegnano invece uno scopo alla pena le teorie designate come relative = incentrate sugli effetti della pena; sono: - teoria GENERALPREVENTIVA: legittima la pena come mezzo x orientare le scelta di comportamento della generalità dei suoi destinatari -> lo scopo è quello di fare leva sugli effetti di intimidazione correlati al contenuto affittivo della pena = effetto di orientamento culturale che con il tempo dovrebbe sostituirsi all’obbedienza dettata dal timore della pena, e viene perseguito attraverso l’azione pedagogica delle norma penale. - teoria SPECIALPREVENTIVA: concepisce la pena come strumento x prevenire che l’autore di un reato commetta in futuro altri reati -> questa funzione può essere assolta in 3 forme: 1) risocializzazione, aiuto al condannato a inserirsi o reinserirsi nella società nel rispetto della legge; 2) intimidazione, rispetto alle persone x le quali la pena non può essere strumento di risocializzazione; 3) neutralizzazione, quando il destinatario della pena non appaia suscettibile né di risocializzazione, né di intimidazione = l’unico obbiettivo che la pena può perseguire nei suoi confronti è renderlo inoffensivo. Questa varie teorie vengono presentate come se fossero in grado di fornire al problema della legittimazione della pena una risposta valida in assoluto, INVECE, la legittimazione della pena varia a seconda del tipo di Stato in cui si pone il problema -> così nel nostro ordinamento x dare una risposta al problema della legittimazione della pena bisognerà muovere dai lineamenti dello Stato descritti dalla costituzione italiana e la risposta andrà cercata prendendo in esame tutti e 3 i singoli poteri dello Stato perché tutti concorrono all’esercizio della potestà punitiva: • potere legislativo, al quale compete di selezionare i comportamenti penalmente rilevanti, dettare comandi e divieti e minacciare le pene ai trasgressori; • potere giudiziario, al quale è riservato il compito di accertare la violazione delle norme legislative e di infliggere pene adeguate al caso concreto; • potere esecutivo, che deve curare l’esecuzione delle pene inflitte dal giudice. Allora ci si domanda in vista di quali finalità il legislatore italiano può minacciare una pena -> il ricorso alla pena da parte del legislatore italiano si legittima in chiave di prevenzione generale, che incontra un limite nella funzione di prevenzione speciale = di rieducazione che la Costituzione assegna alla pena -> il tipo e la misura della pena minacciata dal legislatore devono essere tali da rendere possibile che successivamente si realizzi un’opera di rieducazione del condannato. (Nel nostro ordinamento appare problematica la pena dell’ergastolo che, come pena detentiva a vita, preclude il ritorno del condannato nella società = contrasto con il principio costituzionale della rieducazione che è stato tuttavia temperato dalla previsione di una serie di istituiti come quelle delle liberazione condizionale). I criteri-guida x la selezione dei fatti penalmente rilevanti Da quali comportamenti possono essere legittimamente dissuasi i consociati attraverso il deterrente della pena? Da quei comportamenti che ledono o pongono in pericolo le condizioni di esistenza e di sviluppo della società. Il ricorso alla pena da parte del legislatore si legittima, in riferimento alla struttura del reato, nel principio di OFFENSIVITA’-> non vi può essere reato senza offesa a un bene giuridico = ad una situazione di fatto o giuridica modificabile e quindi offendibile per effetto di un comportamento dell’uomo. Tra i criteri che orientano e limitano le scelta di incriminazione del legislatore entra in gioco il principio di COLPEVOLEZZA-> non vi può essere reato se l’offesa al bene giuridico non è personalmente rimproverabile al suo autore, in quanto rientrava nella sua sfera di controllo = è strettamente correlato alla funzione generalpreventiva della pena. Secondo il principio di PROPORZIONE non vi può essere reato se i vantaggi per la società, derivanti dalla minaccia ed applicazione di una pena x un’offesa arrecata ad una ben giuridico, sono superiori ai costi immanenti alla pena stessa (= solo offese sufficientemente gravi colpevolmente arrecate a questo o a quel bene giuridico ‘meritano’ il ricorso alla pena). Il principio di SUSSIDIARIETA’ postula che la pena venga utilizzata solo quando nessun altro strumento, sanzionatorio e non, sia in grado di assicurare al bene giuridico una tutela efficace nei confronti di una determinata forma di aggressione -> oltre che ‘meritata/proporzionata’ alla gravità del fatto, la pena deve essere ‘necessaria’: ed essa si può fare ricorso solo come ultima ratio. (Nei principi di proporzione e di sussidiarietà si scorge il filo conduttore che ha portato il legislatore ad attuare interventi di depenalizzazione attraverso varie leggi che hanno trasferito una gamma sempre più ampia di reati tra gli illeciti amministrativi). ▬► Il ricorso alla pena da parte del legislatore si legittima nel nostro ordinamento x finalità di prevenzione generale, entro i limiti imposti dal principio della rieducazione del condannato, a tutela proporzionata e sussidiaria di beni giuridici, contro offese inferte colpevolmente. La legittimazione dell’inflizione della pena da parte del giudice Ricostruito il modelle legale del reato attraverso l’interpretazione della norma incriminatrice e accertato che il fatto concreto integra il modello astratto, il giudice pronuncia la condanna e infligge la pena. Quale lo scopo che legittima l’inflizione della pena e che deve orientare le scelte del giudice nella commisurazione della pena? Secondo l’art. 27 co. 3 della Costituzione che tende alla rieducazione del condannato il giudice deve orientare le sue scelte in funzione di tale finalità: tra più tipi di pena eventualmente comminati in via alternativa x una certa figura di reato, il giudice dovrà scegliere la più idonea a prevenire il rischio che egli delinqua nuovamente, intimidendolo o promuovendone il reinserimento nella società; secondo la stessa logica il giudice dovrà poi operare la scelta del quantum di pena, entro i limiti massimo e minimo fissati dalla norma incriminatrice. L’infli zione della pena da parte del giudice trova ulteriore fondamento nelle esigenze della prevenzione generale dei reati = che le pene minacciate dalla legge si traducano in concreto in sede di condanna -> ciò è funzionale alla prevenzione generale non solo come intimidazione/deterrenza, ma anche come orientamento culturale. CAPITOLO 2 LE FONTI Le esigenze di garanzia sottese al principio di legalità (= riserva alla legge il compito di individuare i reati e le pene, così da mettere il cittadino al sicuro da arbitri del potere esecutivo e giudiziario), frutto del pensiero illuministico, sono irrinunciabili nel nostro ordinamento. Anche dopo l’avvento del fascismo, l’eredità del pensiero liberale consente la riaffermazione del principio di legalità nel codice penale del 1930 -> la legalità dei reati e delle pene è sancita nell’art. 1, il quale dispone che “nessuno può essere punito x un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né come pene che non siano da essa stabilite”. La Costituzione repubblicana del 1948 recepisce il principio di legalità in tutti i suoi significati (vedi art. 25 “nessuno può essere punito se non in forza di una legge”). La riserva di legge come riserva di legge formale dello Stato L’esigenza che le scelte politico-criminali siano riservate all’unico potere dello Stato rappresentativo della volontà popolare, il Parlamento, impone di interpretare la formula “legge” contenuta nell’ art. 25 della Costituzione come legge formale => solo il Parlamento ha la competenza di emanare norme incriminatrici!! → Il decreto-legge non può essere fonte di norme penali, in quanto, in caso di mancata conversione, risultano non + reversibili gli effetti sulla libertà personale. → Anche il decreto legislativo non può essere fonte di norme penali. → L’unica deroga alla riserva di legge formale è rappresentata dai decreti governativi in tempo di guerr a che possono divenire fonte di diritto penale su delega espressa del Parlamento secondo l’art. 78 della Cost. → La legge regionale non può essere fonte di norme incriminatrici in quanto solo il Parlamento nazionale riflette la volontà dell’intero popolo -> l’art. 117 co. 2 della Cost. stabilisce che “lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di ordinamento penale”. → La creazione dell’Unione Europea ha acuito i problemi inerenti ai rapporti tra diritto comunitario e diritto penale degli Stati membri: • le norme incriminatrici eventualmente emanate da fonti comunitarie (= potestà sanzionatoria penale dell’UE) non possono avere ingresso nel nostro ordinamento. Gli organi dell’UE possono tutelare direttamente gli interessi comunitari solo con sanzioni amministrative. • l’UE può però imporre al legislatore degli Stati membri l’obbligo di emanare norme penali a tutela di determinati interessi. Nel 2005 la Corte di Giustizia ha riconosciuto agli strumenti normativi di primo pilastro (direttive) la possibilità di prevedere sanzioni penali a tutela di interessi rientranti nella competenza comunitaria: il legislatore comunitario spoglierà i legislatori nazionali di ogni margine di discrezionalità circa la scelta tra sanzioni penali o altre sanzioni nelle materie di rilievo comunitario. Obblighi di criminalizzazione sono già oggi presenti negli strumenti normativi di terzo pilastro (convenzioni e decisioni-quadro), strumenti che mirano ad armonizzare le legislazioni penali degli Stati membri allo scopo di promuovere la cooperazione giudiziaria e di polizia nel contrasto alle forme di criminalità + gravi di criminalità transnazionale (criminalità organizzata, terrorismo, traffico di stupefacenti e di esseri umani). L’incidenza del diritto dell’UE sulla discrezionalità del legislatore italiano è notevole. Dal diritto dell’UE discendo alcuni vincoli anche x il giudice penale degli Stati membri: • in forza del principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale, se norme comunitarie contrastano con norme penali statali le prime paralizzano in tutto o in parte l’applicabilità delle seconde. L’incompatibilità tra norma comunitaria e norma penale può essere: • totale, quando la norma comunitaria rende inapplicabile la norma penale in tutta la sua estensione; • parziale, quando dalla norma penale verranno estromesse le ipotesi regolate in modo ≠ dalla norma comunitaria. • obbligo di interpretazione conforme alla normativa comunitaria: il giudice nazionale è tenuto ad interpretare la normativa nazionale che attua gli obblighi di fonte comunitaria in senso conforme alla lettera e alla ratio dello strumento comunitario. → Il principio di riserva di legge preclude la creazione di norme incriminatrici da parte della consuetudine (c.d. consuetudine incriminatrice) in quanto solo il Parlamento ha il monopolio delle scelte punitive e di x sé la consuetudine ha carattere impreciso; non vi è spazio neppure x le c.d. consuetudini integratrici cioè x il rinvio della legge alla consuetudine x l’individuazione di un elemento del reato; il principio di gerarchia delle fonti impedisce poi alla consuetudine di abrogare norme legislative incriminatrici (c.d. consuetudine abrogatrice). Le norme consuetudinarie possono invece essere fonte di cause di giustificazione (c.d. consuetudine scriminante). → Neppure la Corte Costituzionale può ampliare la gamma dei comportamenti penalmente rilevanti o inasprire il trattamento sanzionatorio di un reato. Riserva di legge e atti del potere esecutivo • La legge formale dello Stato è l’unica fonte di norme incriminatrici! Da ciò sorge il problema di stabilire se la riserva di legge debba intendersi come: • ASSOLUTA = sarebbe riservata alla legge l’individuazione di tutti gli elementi del reato e del relativo trattamento sanzionatorio • RELATIVA = la legge potrebbe rinviare alla fonte di rango inferiore x l’individuazione del precetto e delle sanzioni = riserva tendenzialmente assoluta - > x la specificazione sul piano tecnico di singoli elementi del reato già individuati dalla legge. MA tale alternativa si pone solo in relazione agli atti del potere esecutivo generali e astratti che, in quanto tali, sono teoricamente idonei ad integrare la legge (es. i regolamenti ministeriali). Tale alternativa non si pone invece agli atti sub-legislativi del potere esecutivo individuali e concreti che, in quanto tali, non aggiungono nulla alla astratta previsione della legge (es. provvedimenti amministrativi rivolti ad un determinato destinatario). La risposta discende dalla ratio di garanzia della riserva di legge (art. 25 Cost.) -> riserva tendenzialmente assoluta di legge = la legge non può rinviare ad atti generali e astratti del potere esecutivo, a meno che si tratti di atti che si limitino a specificare sul piano tecnico elementi già descritti dalla legge stessa. Riserva di legge e potere giudiziario X mettere al sicuro il cittadino dagli arbitri del potere giudiziario, la riserva di legge impone al legislatore il rispetto di 3 principi: 1. principio di PRECISIONE → la riserva di legge vincola il legislatore ha formulare le norme penali nella forma + chiara possibile → ciò è: • garanzia x la libertà e la sicurezza del cittadino; • condizione indispensabile perché la minaccia legislativa della pena operi come strumento di prevenzione generale; • necessario in quanto leggi imprecise non consentirebbero di muovere all’agente un rimprovero di colpevolezza e non assicurerebbero all’imputato il pieno esercizio del diritto di difesa. Le norme penali possono risultare + o – precise a seconda della tecniche adottate dal legislatore nella loro formulazione: • il + alto grado di precisione è assicurato dalla tecnica casistica = descrizione analitica di specifici comportamenti, oggetti, situazioni; • un rischio di imprecisione è collegato al ricorso a clausole generali = formule sintetiche nelle quali il legislatore rinuncia ad enumerare e specificare una serie di casi; • le definizioni legislative assicurano precisione in quanto in esse il legislatore definisce il significato dei termini da lui usati; • il legislatore individua gli elementi del reato con termini, concetti descrittivi o normativi che non sempre garantiscono il rispetto del principio di precisione. 2. principio di DETERMINATEZZA→ la riserva di legge vincola il legislatore ad incriminare solo fatti suscettibili di essere provati nel processo. 3. principio di TASSATIVITA’ o DIVIETO di ANALOGIA a SFAVORE del REO→ la riserva di legge vincola il giudice al divieto di analogia a sfavore del reo, divieto che non si estende alle norme che escludono o attenuano la responsabilità (analogia in bonam partem). In base all’art. 14 delle Preleggi il divieto di analogia interessa le norme penali ma anche le leggi che dettano una disciplina eccezionale anche se la loro estensione analogica andrebbe a favore dell’agente. Il divieto di analogia non si applica alle norme che prevedono le cause di giustificazione, alle cause di esclusione della punibilità e alla norme che prevedono circostanze attenuanti. → la riserva di legge vincola il legislatore: • ad imporre al giudice il divieto di estensione analogica delle norme penali di sfavore (divieto di analogia in malum partem); • a formulare le norme penali in modo rispettoso del divieto di analogia (divieto di fattispecie ad analogia espressa). Il principio di legalità delle pene La riserva di legge abbraccia non soltanto i reati ma anche le SANZIONI = la legge deve prevedere il tipo, i contenuti e la misura delle pene. Il principio di legalità vincola: • il giudice → art 1 c.p. “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da esse stabilite”. • Il legislatore → il tipo, i contenuti e la misura delle pene devono trovare la loro fonte nella legge (art.25 Cost. “nessuno può essere punito se non in forza di una legge”). QUINDI la legge deve: 1. determinare il tipo (o i tipi) delle pene applicabili dal giudice per ciascuna figura di reato; 2. determinare con precisione il contenuto delle sanzioni penali; 3. determinare la misura delle sanzioni penali → il punto di equilibrio tra legalità e individuazione della pena risiede nella predeterminazione legale, per ogni figura Il principio di retroattività delle norme penali sfavorevoli al cittadino è stato innalzato al rango di principio costituzionale, vincolante per il legislatore → art. 25 Cost. “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. → Quindi: l’art. 25 Cost. vieta al legislatore di attribuire efficacia retroattiva ad una legge che contenga una nuova incriminazione, mentre l’art.2 co.1 c.p. vieta al giudice di applicare retroattivamente una legge di tale contenuto ▬►si configura una nuova incriminazione quando: • una legge individua una figura di reato integralmente nuova, comprensiva cioè di una classe di fatti che in base alla disciplina previgente erano tutti penalmente irrilevanti; • una legge amplia figure di reato preesistenti. Principio di irretroattività e diritto penale processuale Non sono ricoperse nel divieto di retroattività le norme che regolano il processo penale, perché tale norme non interferiscono con le libere scelte del cittadino. Per la meteria processuale opera di regole il principio tempus regit actum, secondo il quale gli atti processuali già compiuti conservano la loro validità anche dopo un mutamento della disciplina legislativa, mentre gli atti da compiere sono immediatamente disciplinati dalla nuova legge processuale. Problematica è soprattutto l’efficacia nel tempo di una legge che allunghi la durata del tempo necessario per la prescrizione di un reato. Occorre distinguere a seconda che all’entrata in vigore delle legge: • sia già decorso il tempo per la prescrizione del reato -> l’applicazione retroattiva della nuova disciplina va senz’altro esclusa: decorso il tempo necessario per la prescrizione l’agente non è punibile. • o la prescrizione non sia ancora maturata -> qualora l’allungamento dei termini intervenga prima che sia maturata la prescrizione in base alla legge vigente al momento del fatto, la legge che sancisce l’allungamento dei termini potrebbe trovare applicazione retroattiva = applicarsi anche hai fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Il principio di retroattività delle norme penali favorevoli all’agente Le ipotesi in cui dopo la commissione del fatto sopravvenga una legge penale più favorevole all’agente sono regolate dall’art.2 co.2-4 c.p. secondo il principio di retroattività della legge più favorevole. In base all’art.2 co.2 c.p. “nessuno può essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce reato e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”. La norma sopravvenuta che abolisce l’incriminazione si applica anche a fatti commessi prima della sua entrata in vigore. → L’ipotesi disciplinata dall’art.2 co.2 c.p. si applica nelle ipotesi in cui si ha: • l’abolizione integrale del reato; • la restrizione dell’area applicativa di una incriminazione preesistente. Il principio di retroattività della legge più favorevole trova inoltre applicazione nelle ipotesi di successione di leggi penali modificative della disciplina; secondo l’art.2 co.4 c.p. anche la legge sopravvenuta che modifica in senso favorevole all’agente la disciplina di un reato si applica retroattivamente, a condizione però che la sentenza di condanna non sia ancora passata in giudicato. A norma dell’art.2 co.3 c.p. se la modifica favorevole al reo consiste nella previsione della pena pecuniaria laddove la legge precedente prevedeva una legge detentiva, la legge sopravvenuta si applica retroattivamente senza incontrare il limite del giudicato. Il principio di retroattività della norma penale favorevole all’agente non è coperto da garanzia costituzionale: con la conseguenza che quest’ultimo principio vincola il giudice ma non il legislatore. La successione di norma integratrici Si discute se e quando sia applicabile il principio della retroattività della norma penale più favorevole nei casi in cui, successivamente alla commissione del fatto, sia stata modificata una norma giuridica in varia forma richiamata alla norma incriminatrice → la soluzione del problema sarà diversa a seconda che la norma richiamata integri o no la norma incriminatrice: 1. qualora la norma incriminatrice faccia riferimento ad una altra norma attraverso un elemento normativo della fattispecie, la norma richiamata non integra la norma incriminatrice con la conseguenza che la modifica della norma richiamata non da vita a fenomeni di abolizione del reato; 2. sono invece vere e proprie norme integratrici della norma penale le norme definitorie (norme attraverso le quali il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una disposizione incriminatrice): una modifica della norma definitoria , che restringa l’ambito dell’incriminazione, dà vita ad una (parziale) aolizione del reato, con efficacia retroattiva; 3. un fenomeno di integrazione della norma penale si verifica anche quando una disposizione legislativa commini una sanzione penale per la violazione di un precetto contenuto in un’altra disposizione legislativa; 4. vere e proprie norme incriminatrici della norma penale sono poi le norme che ‘colorano’ il precetto delle c.d. norme penali in bianco. La successione di norme modificative della disciplina (art.2 co.3-4 c.p.) Può darsi che una legge posteriore alla commissione del fatto non comporti l’eliminazione totale o parziale del reato: la modificazione può infatti riguardare solo la disciplina del reato. a. se la legge posteriore è meno favorevole, il principio di irretroattività impone che sia applichi la legge vigente al momento del fatto; b. se la nuove legge è più favorevole, si applicherà quest’ultima, in base al principio della retroattività della legge più favorevole → l’art. 2 co. 4 c.p. dispone che “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo” salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile; c. una ipotesi particolare di legge posteriore più favorevole al reo è quella in cui dopo la commissione di un reato punito con una pena detentiva entri in vigore una nuova legge che preveda per quel reato una sola pena pecuniaria. - Qualora la nuova legge entri in vigore prima che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile , la nuova legge troverà senz’altro applicazione a norma dell’art. 2 co. 4 c.p.: verrà inflitta la pena pecuniaria;- - Qualora invece la nuova legge intervenga dopo la pronuncia di una sentenza definitiva di condanna, la regola enunciata dall’art.2 co. 4 c.p. vorrebbe che resti fermo il giudicato e si proceda all’esecuzione della pena detentiva → Oggi però quest’ultima ipotesi è diversamente disciplinata dall’art 2 co.3 c.p. secondo il quale “se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente alla corrispondente pena pecuniaria”. Leggi eccezionali e leggi temporanee Il principio della retroattività della legge penale più favorevole non opera per le leggi eccezionali (legge emanata per fronteggiare situazioni oggettive di carattere straordinario; con il ritorno alla normalità il legislatore potrà abolire il reato previsto dalla legge) e per quelle temporanee (legge che contiene la predeterminazione espressa del periodo di tempo in cui avrò vigore, dettata anch’essa per fronteggiare situazioni di carattere contingente) → art.2 co. 5 c.p. . Il decreto-legge decaduto e non convertito Problemi relativi all’efficacia nel tempo dei decreto-legge in materia penale: 1. un decreto-legge convertito in legge che contenga una nuova incriminazione o un trattamento penale più severo non può avere efficacia retroattiva; 2. la Corte Costituzionale ha invece dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 5 dell’art.2 che rendeva applicabile ai decreti-legge decaduti o non convertiti l’intera disciplina della successione di leggi penali favorevoli al reo → per comprendere ciò è necessario distinguere tra: - Fatti pregressi: commessi prima dell’emanazione del decreto-legge non convertito per i quali qualora il fatto fosse preveduto come reato dalla legge del tempo, l’abolizione del reato o la disciplina più favorevole prevista dal decreto- legge non convertito non avrà nessun effetto: l’agente sarà punibile in base alla legge in vigore al tempo del fatto. - Fatti concomitanti : fatti commessi dopo l’emanazione del decreto-legge e prima dello scadere del termine per la sua conversione per i quali il principio di irretroattività impone di applicare la disciplina più favorevole contenuta nel decreto legge non convertito, con la conseguenza che se il decreto-legge non convertito preveda l’abolizione del reato, l’agente non sarà punibile; se invece il decreto-legge preveda una disciplina in concreto più favorevole, il giudice dovrà applicare tale disciplina. Il tempo del commesso reato Problema dell’individuazione del tempo in cui è stato commesso il fatto → il tempo del commesso reato lo si individua: • x i reati commissivi: nel momento dell’azione; • x i reati omissivi: nel momento in cui andava compiuta l’azione doverosa; • x i reati permanenti: nel momento in cui il soggetto compie l’ultimo atto con cui volontariamente mantiene la situazione antigiuridica (es. sequestro di persona = privazione della libertà personale); • x i reati abituali: nel momento in cui si realizza l’ultima condotta che integra il fatto di reato (es. maltrattamenti in famiglia = l’ultima percossa o ingiuria nel delitto di maltrattamenti). B. Limiti SPAZIALI Principio di universalità della legge penale italiana: la legge penale italiana è applicabile a tutti i fatti da essa previsti come reato dovunque, da chiunque e contro chiunque commessi. Nozione di territorio dello Stato La legge penale italiana si applica ai reati commessi nel territorio dello Stato ed è indifferente che l’autore del reato sia un cittadino italiano o un straniero →dispone infatti, l’art. 6 co. 1 c.p. che “chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana”. fatto: il fatto deve essere previsto come reato sia secondo la legge italiana, sia secondo la legge dello Stato straniero nel quale è stato commesso il reato. I delitti comuni commessi all’estero dallo straniero L’art. 10 c.p. assoggetta alla legge penale italiana i delitti comuni commessi dallo straniero all’estero: • a danno dello Stato o del cittadino italiano per tutti i delitti puniti con reclusione non inferiore nel minimo ad un anno; • a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero per i delitti puniti con la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni. ► Per tutti i delitti comuni commessi all’estero dallo straniero, l’applicabilità delle legge penale italiana è subordinata all’ulteriore condizione della doppia incriminazione del fatto. Il rinnovamento del giudizio Riserva della giurisdizione italiana su tutti i fatti assoggettati alla nostra legislazione penale: • è piena e incondizionate per i reati commessi nel territorio dello Stato; • per i delitti commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero il rinnovamento del giudizio è subordinato alla richiesta del Ministro della Giustizia. Secondo il c.p. del 1930 il principio ne bis in idem non opera nei rapporti internazionali: la persona già giudicata all’estero può essere giudicata per lo steso fatto anche in Italia. Attualmente il processo di integrazione europea determina la tendenza al riconoscimento del ne bis in idem all’interno dell’Unione europea: gli Stati membri si sono impegnati a non rinnovare il giudizio quando lo stesso fatto sia stato giudicato in un altro Paese dell’Unione. Il riconoscimento delle sentenze penali straniere Tale possibilità è circoscritta a taluni aspetti secondari della sentenza: • x stabilire la recidiva della condanna; • x dichiarare l’abitualità, la professionalità del reato o la tendenza a delinquere; • x applicare una pena accessoria; • x applicare una misura di sicurezza personale. Oltre a questi effetti di natura penale, il riconoscimento della sentenza straniere può produrre taluni effetti di diritto civile: • il riconoscimento può essere operato ai fini della restituzione o del risarcimento del danno. Recentemente i Paesi membri del Consiglio d’Europa hanno stipulato una serie di convenzioni finalizzate al riconoscimento delle sentenze straniere: 1. può essere data esecuzione in Italia alle pene principali inflitte da un giudice straniero e l’esecuzione della pena principale iniziata all’estero può proseguire in Italia a seguito del trasferimento del condannato. 2. le sentenze penali straniere possono essere riconosciute anche ai fini della confisca disposta dal giudice straniero su beni che si trovino nel territorio dello Stato, sempre che si tratti di beni confiscabili si procedesse secondo la legge italiana. → Il sistema penale italiano pone una serie di condizioni perché si possa procedere al riconoscimento di una sentenza penale straniera: • doppia incriminazione del fatto; • deve esistere un trattato di estradizione con lo Stato estero. L’estradizione → procedimento attraverso il quale uno Stato consegna ad un altro Stato una persona che si trova nel suo territorio affinché, nello Stato richiedente, sia sottoposto a giudizio (c.d. estradizione processuale) o all’esecuzione di una pene già inflittagli (c.d. estradizione esecutiva). Condizioni previste per l’estradizione sono: • doppi incriminazione del fatto; • divieto per lo Stato che ottiene l’estradizione di sottoporre l’estradato a restrizione della libertà personale per fatti anteriori e diversi da quelli per i quali l’estradizione è stata concessa (principio di specialità dell’estradizione); • l’estradizione non può essere concessa se per lo stesso fatto e nei confronti delle persona della quale è domandata l’estradizione è in corso un procedimento penale nello Stato italiano (principio di sussidiarietà); • l’estradizione è impedita quando per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata in Italia sentenza irrevocabili (di condanno o proscioglimento) (principio del ne bis in idem). • la Costituzione prevede limiti personali all’estradizione: il cittadino è estradabile per reati comuni soltanto ove l’estradizione sia espressamente prevista nelle convenzioni internazionali. • la Costituzione vieta l’estradizione del cittadino o dello straniero per reati politici (non sono però compresi i reati di genocidio e di terrorismo); questo divieto opera anche qualora vi sia motivo di temere atti persecutori o discriminatori, nel senso che lo Stato richiedente potrebbe strumentalizzare a fini politici l’estradizione ottenuta. • è vietata l’estradizione da parte dell’Italia per reati per i quali l’ordinamento dello Stato richiedente preveda la pena di morte. C. Limiti PERSONALI Il c.p. prevede la possibilità che talune categorie di soggetti siano eccezionalmente sottratte all’applicabilità della legge penale italiana → tali eccezioni possono trovare la loro fonte nel diritto pubblico interno o nel diritto internazionale e vengono designate con il nome di IMMUNITA’. Esse si distinguono in: → immunità di diritto sostanziale che comportano l’applicabilità della sanzione penale; → immunità di diritto processuale che comportano l’esenzione dalla giurisdizione penale; → immunità funzionali che riguardano i soli fatti compiuti nell’esercizio della specifica funzione da cui deriva l’immunità; → immunità extrafunzionali che riguardano i fatti estranei all’esercizio della funzione da cui deriva l’immunità. L’immunità i diritto pubblico interno È prevista per: - Presidente della Repubblica → l’art. 90 Cost. dispone che “il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio elle sue funzioni, tranne che per altro tradimento o per attentato alla Costituzione”. Si tratta di una immunità funzionale di diritto sostanziale. - membri del Parlamento → si tratta di un’immunità funzionale di diritto sostanziale circoscritta alle “opinioni espresse” e ai “voti dati nell’esercizio delle loro funzionalità”. I parlamentari godono anche di una limitata immunità processuale penale: nei loro confronti può essere iniziato un procedimento penale, ma il compimento di taluni atti processuali necessita dell’autorizzazione da parte della Camera di appartenenza. - consiglieri regionali → godono di un’immunità di diritto sostanziale analoga a quella dei parlamentari. - giudici della Corte Costituzionale → godono di un’immunità funzionale di diritto sostanziale “ per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Limitatamente alla durata della loro carica, godono anche di un’immunità processuale extrafunzionale: senza autorizzazione della Corte Costituzionale i giudici non solo non possono essere privati della libertà personale, ma non possono neppure essere sottoposti a procedimento penale. - componenti del Consiglio Superiore della Magistratura → “non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni e concernenti l’oggetto della discussione”, si tratta di un’immunità funzionale di diritto sostanziale. Le immunità di diritto internazionale Sono previste per: - Sommo Pontefice → esso godo di un’immunità di diritto sostanziale, anche per gli atti compiuti fuori dalle sue funzioni, e di una piena immunità di diritto processuale. - Capo di Stato estero, i suoi familiari e il suo seguito, quando si trovino in tempo di pace in territorio italiano → godono di un’immunità assoluta i diritto sostanziale e processuale. - Capi e membri di governo stranieri → godono di un’immunità di diritto sostanziale sia per gli effetti penale, sia per gli effetti extrapenali, quando si trovino nel territorio dello Stato italiano. - agenti diplomatici stranieri → godono dell’immunità dalla giurisdizione penale, civile e amministrativa dello Stato italiano anche per gli atti compiuti al di fuori dall’esercizio delle loro funzioni. - funzionari e impiegati consolari stranieri → godono di un’immunità funzionale di diritto sostanziale, penale e extrapenale. - membri del Parlamento europeo → godono di un’immunità funzionale, penale e extrapenale, per le opinioni e i voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni → Gli appartenenti alle forze armate di uno Stato estero che in tempo di pace si trovino nel territorio dello Stato italiano sono soggetti alla sola legge dello Stato di appartenenza, quando si tratti di reati commessi in servizio. Una disciplina speciale è prevista per gli appartenenti alle forze armate dei Paesi partecipanti alla NATO di stanza in Italia; essa prevede le giurisdizione esclusiva dello Stato di origine per i fatti non punibili in base alla legge italiana e la corrispondente giurisdizione esclusiva dello Stato italiano per i fatti non punibili secondo la legge dello Stato di origine. D) Un sistema penale sovrastatuale Accanto al diritto penale “classico” esiste un corpus normativo autonomo: il diritto penale internazionale. Esso ha la sua fonte nel diritto internazionale ed è dotato di efficacia vincolante sugli individui senza necessità di mediazione del diritto interno. Tale immediata efficacia vincolante riflette l’estrema gravità dei comportamenti incriminanti: i crimini internazionali ( o crimina iuris gentium) che si articolano in crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e aggressione. Inoltre ogni altro reato può essere espressione di una politica d’impresa finalizzata alla sua commissione, in questa eventualità l’ente sarà sanzionato con l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività. L’autonomia della responsabilità dell’ente Il d.lgs. 231/2001 sancisce l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto alla responsabilità dell’autore: il cumulo delle 2 responsabilità è solo eventuale. La ragione più frequente e importante sta nel fatto che i processi produttivi e gestionali coinvolgono una pluralità di persona, tra le quali è difficile identificare il singolo autore o gli autori del reato. L’autonoma responsabilità dell’ente è prevista nei casi in cui: - l’autore del reato non è stato identificato; - l’autore del reato non è imputabile; - il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia. Le sanzioni Le sanzioni comminate all’ente sono: • Sanzione pecuniaria = commisurata secondo lo schema delle quote, il cui importo dipende dalle condizioni patrimoniali ed economiche dell’ente. • Sanzioni interdittive temporanee = interdizione dell’esercizio dell’attività, sospensione o revoca di autorizzazioni, esclusione di finanziamenti o agevolazioni. • Sanzioni interdittive definitive = interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività, applicabile quando l’ente che ha tratto un profitto di rilevante entità è stato già condannato almeno 3 volte, negli ultimi 7 anni, all’interdizione temporanea. • Confisca = del prezzo o del profitto del reato; quando non è possibile aggredire il prezzo o il profitto del reato, la confisca avrà per oggetto somme di denaro o beni di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato. • Pubblicazione della sentenza di condanna = disposta dal giudice quando viene applicata una sanzione interdittive nei confronti dell’ente. La prescrizione dell’illecito dell’ente La prescrizione è prevista a 5 anni dalla consumazione del reato e inizio di un nuovo periodo di prescrizione dopo ogni atto interruttivo. CAPITOLO 5 ANALISI E SISTEMATICA DEL REATO → Il reato risulta composto da una serie di elementi, disposti l’uno di seguito all’altro nel seguente ordine logico: il reato è un fatto umano, antigiuridico, colpevole, punibile. A seconda che il legislatore abbia collocato il fatto o l’autore al centro della struttura del reato si dovrà scegliere tra un modello di analisi del reato o di tipo oggettivistico o di tipo soggettivistico. → Nel primo caso l’interprete dovrà innanzitutto accertare che sia stato commesso il fatto, cioè l’offesa al bene giuridico che individua ciascuna figura di reato, e solo successivamente domandarsi se l’autore del fatto ha agito con dolo o con colpa e quindi se è responsabile del reato. → Nel secondo caso, percorrendo il cammino inverso, l’interprete deve in primo luogo volgere la propria attenzione all’autore, domandandosi quali fossero le sue intenzioni, e solo successivamente deve accertare se queste intenzioni si siano tradotte nel fatto costitutivo di un reato. La sistematica ‘quadripartita’ del reato Lo schema di analisi del reato che meglio rispecchia la fisionomia che ogni reato possiede nel nostro ordinamento è quello che individua nel reato 4 elementi: 1. un fatto umano; 2. l’antigiuridicità del fatto: 3. la colpevolezza del fatto antigiuridico; 4. la punibilità del fatto antigiuridico e colpevole. Ne segue che: • punibile può essere soltanto un fatto umano antigiuridico e colpevole • colpevole può essere soltanto un fatto umano antigiuridico • antigiuridico può essere soltanto un fatto umano 1. Il fatto • È l’insieme degli elementi oggettivi che individuano e caratterizzano ogni singolo reato come specifica forma di offesa a uno o più beni giuridici. Essendo il fatto una specifica forma ad uno o a più beni giuridici, ne segue che compongono il fatto tutti e solo quegli elementi oggettivi che concorrono a descrivere quella forma di offesa: - la condotta = azione od omissione che portano al mancato compimento di un’azione giuridicamente doverosa; - i presupposti della condotta = le situazioni che devono preesistere o coesistere con la condotta; - l’evento = accadimento temporalmente o spazialmente separato dalla condotta e da questa causato; - il rapporto di causalità tra condotta ed evento; - l’oggetto materiale = persona o cosa sulla quale incide l’azione o l’omissione o l’evento; - le qualità o le relazioni giuridiche o di fatto richieste per il soggetto attivo del reato nei c.d. reati propri; - l’offesa al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, nella forma del danno (cioè la lesione totale o parziale dell’integrità della situazione tutelata dalla norma incriminatrice) o in quella del pericolo (cioè la probabilità del verificarsi di una lesione). Gli elementi costitutivi del fatto sono di regola espressamente previsti dalla norma incriminatrice; a volte invece sono sottintesi, nel senso che la loro presenza è tacitamente richiesta dalla norma per la configurazione del fatto. Nella maggioranza dei casi gli elementi del fatto di reato sono individuati dal legislatore come elementi positivi = elementi la cui presenza nel caso concreto è necessaria per la sussistenza del fatto. Alcune volte però la legge richiede per l’esistenza del fatto l’assenza di una qualche situazione di fatto o giuridica: si parla in questo caso di elementi negativi del fatto. Per individuare gli elementi del fatto di reato il legislatore può fare uso di: → concetti descrittivi = utilizzo di termini che fanno riferimento, descrivendoli, a soggetti della realtà fisica o psichica, suscettibili di essere accertati con i sensi o cmq attraverso l’esperienza. → concetti normativi = ricorso ad un concetto che fa riferimento ad una norma a ad un insieme di norme giuridiche o extragiuridiche con la conseguenza che quell’elemento del reato può essere compreso soltanto sotto il presupposto logico della norma richiamata. 2. L’antigiuridicità • Esprime il rapporto di contraddizione tra il fatto e l’intero ordinamento giuridico. Questo rapporto di contraddizione non si configura quando anche una sola norma, ubicata in qualsiasi luogo dell’ordinamento, facoltizza o rende doverosa le realizzazione del fatto → si da il nome di CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE all’insieme delle facoltà e dei doveri derivanti dalle norme che autorizzano o impongono la realizzazione di un fatto penalmente rilevante. Se il fatto è commesso in assenza di ogni causa di giustificazione, il fatto è antigiuridico; se invece è commesso in presenza di una causa di giustificazione, il fatto è lecito e quindi non costituisce reato. 3. La colpevolezza • È l’insieme dei requisiti dai quali dipende la possibilità di muovere all’agente un rimprovero per aver commesso il fatto antigiuridico. Tali requisiti sono: a. Dolo: è rappresentazione e violazione di tutti gli elementi esterni del fatto giuridico. b. Colpa: consiste nella negligenza, nell’imprudenza, nell’imperizia o nell’inosservanza di norme giuridiche preventive e deve abbracciare tutti gli elementi del fatto antigiuridico. c. Assenza di scusanti: la colpevolezza esige che il fatto antigiuridico, doloso o colposo, sia commesso dall’agente in assenza di scusanti, cioè di circostanze anormali tali da influenzare in modo irresistibile la volontà dell’agente o le sue capacità psicofisiche e da rendere perciò inesigibile un comportamento diverso da quello tenuto nel caso concreto. d. Conoscenza o conoscibilità della norma penale violata: comporta che l’agente sapesse, o potesse sapere usando la dovuta diligenza, che il fatto antigiuridico, doloso o colposo, da lui commesso era represso da una norma incriminatrice. e. Capacità di intendere e di volere: non è colpevole, quindi non può essere punito, chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non era imputabile → è imputabile chi è capace di intendere, cioè di rendersi conto del significato e delle conseguenze dei propri atti, e di volere, cioè di inibire o attivare i propri impulsi. 4. La punibilità • È l’insieme delle eventuali condizioni, ulteriori ed esterne rispetto al fatto antigiuridico e colpevole, che fondano o escludono l’opportunità di punirlo. - Fondano la punibilità quelle che il legislatore designa come “condizioni obiettive di punibilità” = sono quegli accadimenti che non contribuiscono in alcun modo a descrivere l’offesa al bene giuridico, tutelato dalla norma, ma esprimono solo valutazioni di opportunità in ordine all’inflizione della pena. - Escludono la punibilità quelle che il legislatore designa come “causa di esclusione della punibilità” : • Alcune situazioni contestuali alla commissione del fatto che attengono alla posizione personale dell’agente o ai suoi rapporti con la vittima (cause personali di non punibilità): l’azione A è causa dell’evento E quando senza A non si sarebbe verificato E, e inoltre E rappresenta una conseguenza prevedibile, o normale, di A • teoria della causalità umana A è causa di E quando senza A non si sarebbe verificato E, e inoltre il verificarsi di E non è dovuto al concorso di fattori eccezionali • teoria condizionalistica/della condicio sine qua non A è causa di E se può dirsi che senza A non si sarebbe verificato E, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto a) teoria della causalità adeguata Viene escluso il nesso di causalità quando nel decorso causale, oltre che ad A, sono intervenuti fattori anormali; bisogna quindi fare una prognosi postuma: il giudice deve compiere un viaggio nel passato e chiedersi quali erano, per quel momento, i normali o non improbabili sviluppi causali dell’azione, e secondariamente deve porre a confronto il decorso causale concreto con quelli prevedibili b) teoria della causalità umana Il nesso è escluso quando l’evento è dovuto a fattori eccezionali: a differenza della causalità adeguata, quindi, è escluso non se nel decorso intervengono fattori anormali, ma se in esso intervengono fattori causali rarissimi dalla minima possibilità di verificarsi. c) teoria condizionalistica/della condicio sine qua non Tutti reati, in quanto forme di offesa (pericolo/lesione) a beni giuridici, hanno un evento giuridico, ma non tutti hanno un evento naturalistico; il problema della causalità lega la condotta all’evento naturalistico: interessa, quindi, i soli reati di evento. È da premettere subito che la causalità non è aumento del rischio, e nemmeno probabilità statistica: è certezza, credibilità razionale, probabilità logica. È fondamentale l’accertamento del fatto che quella condotta sia stata veramente la causa di quell’evento. Il nesso eziologico che intercorre tra condotta tipica ed evento naturalistico viene accertato in sede processuale: a differenza che nel processo civile, dove vige la regola del ‘più probabile che non’ (50% + 1), al processo penale è imposto un vincolo di realtà: il nesso di causalità deve essere accertato con pratica certezza, oltre ogni ragionevole dubbio (533 c.p.p.); si rispetta il vincolo di realtà applicando correttamente il modello di accertamento della condicio. Prima si accerta se c’è nesso, poi si va a vedere se c’è colpa. Bisogna sempre sussumere la condotta e l’evento concreti alla condotta e all’evento astratti previsti dalla legge di copertura. [Consulich] Questa teoria della causalità rispecchia il senso comune: ogni evento è conseguenza di molti fattori causali, che devono tutti necessariamente verificarsi affinché si verifichi anche l’evento; pertanto, è giuridicamente rilevante come causa dell’evento ogni azione che non può essere eliminata mentalmente senza che l’evento concreto venga meno. Questa concezione di causalità viene applicata anche in due altri gruppi di casi molto discussi in dottrina (due esempi per mettere in crisi il modello della causalità come condicio + legge di copertura): α) causalità alternativa ipotetica es. il mio vicino incendia la mia casa, in cui era già scaturito un incendio a causa di un fornello del gas lasciato aperto; l’incendio c’era ugualmente, anche s eil vicino non avesse fatto niente; va assolto? NO L’evento che rappresenta il punto di riferimento del rapporto di causalità non è quello astratto descritto dalla norma incriminatrice, bensì quello concreto individuato in tutte le sue modalità di verificazione: il nesso va verificato tenendo conto del decorso causale effettivo; nell’esempio, la condicio è comunque integrata (le dimensioni dell’incendio non sarebbero state le stesse) β) causalità addizionale es., tre persone, ciascuna all’insaputa dell’altra, somministrano una quantità letale di veleno a una quarta; togliendo una alla volta le tre condotte, l’evento morte si verifica in ogni caso. In questa ipotesi, paradossalmente, andrebbero quindi assolti tutti e tre gli agenti. Ma è davvero così? NO. L’evento causale va considerato come concretamente verificatosi: esso non rimane mai uguale se si sottrae una condotta, perché, nell’esempio, la quantità di veleno somministrata verrebbe diminuita; la morte sarebbe sì avvenuta, ma con modalità diverse (intensità minore, tempo maggiore...). Il modello della condicio viene quindi fatto salvo riferendosi all’evento concreto, comprensivo del livello spazio temporale (hinc et nunc) e “qualitativo”. Come si è detto, un’azione si dice causale rispetto l’evento se, eliminandola mentalmente, l’evento viene meno. Quando si può affermare? Di per sé l’eliminazione mentale è una formula vuota, che ha bisogno di essere ‘riempita’ per poter essere applicata ai casi concreti; tali contenuti vanno desunti dalle leggi scientifiche, vale a dire da enunciati che esprimono successioni regolari di accadimenti, frutto dell’osservazione sistematica della realtà fisica o psichica. Pertanto, causa dell’evento è ogni azione che, tenendo conto di tutte le circostanze che si sono verificate, non può essere eliminata mentalmente, sulla base di leggi scientifiche, senza che l’evento concreto venga meno. Le leggi scientifiche -ossia quelle sottoposte a conferma, sperimentate- possono essere sia universali o assolute (100% grado di conferma) che statistiche o probabilistiche (< 100%); e materie trattate da leggi scientifiche universali sono assai poche, e attengono perlopiù alla fisica: non coprono cioè tutte le possibili dispute in materia penale. Secondo la dottrina, sono utilizzabili solo le leggi scientifiche che hanno un gradi di conferma del 100% o prossimo ad essa; di fatto, la giurisprudenza non segue questa linea. A far chiarezza circa questo punto è intervenuta la Corte di Cassazione, nel 2002 (sentenza fondamentale, soprattutto se si pensa che è stata pronunciata prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 533 c.p.p.), con la sentenza Franzese, nella quale si stabilisce che: I) la causalità è un giudizio individualizzante, cioè che si riferisce al caso concreto, e a posteriori: non è quindi probabilità statistica o aumento del rischio, dato che sono giudizi ex ante e non ex post II) il nesso causale non può essere ravvisato quando non vi è una massima di esperienza o una legge scientifica, universale o statistica, che permetta di dire che, eliminando mentalmente la condotta, verrà meno anche l’evento III) il coefficiente probabilistico della legge scientifica di copertura non prova né esclude la causalità specifica del caso concreto: non basta enunciare la legge scientifica e dire che è assoluta o prossima ad esserlo va concretizzata IV) condizione di utilizzo delle leggi scientifiche: possono essere usate anche quelle con grado di conferma medio-basso, ma a condizione di poter escludere con certezza tutti i decorsi causali alternativi (es. HIV, 20% per rapporti non protetti; ma se si ha il caso di una suora di clausura che l’ha contratto, che non ha subito trasfusioni, che non ha mai avuto rapporti e che è stata violentata, allora si può dire che la causa della contrazione è la violenza sessuale) V) la conclusione sull’efficacia causale della condotta dell’imputato deve essere sostenuta dall’alto grado di probabilità razionale (probabilità logica), oppure deve essere una conclusione oltre ogni ragionevole dubbio sul fatto che la condotta sia causale Inoltre, il rapporto di causalità è escluso quando tra l’azione e l’evento si è inserita una serie causale autonoma che è stata da sola sufficiente a causare l’evento: l’azione, in questo caso, è solo un antecedente temporale e non una condicio sine qua non (es. viene somministrato il veleno a una persona che muore prima che faccia effetto poiché investita da un auto: chi l’ha somministrato non può rispondere di omicidio doloso). Tra i tre modelli di causalità, va accolto quello della condicio, come evidenziato anche dall’art. 41 c.p.: “Il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra azione/omissione e l’evento. Le cause sopravvenute escludono la causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. Tutto questo vale anche quando la causa preesistente, simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”. 5) L’oggetto materiale alcuni reati devono incidere su una persona o su una cosa: tale persona o tale cosa è l’oggetto materiale del reato. Es. omicidio e lesioni personali persona furto e danneggiamento cosa 6) Le qualità o le relazioni giuridiche o di fatto nei reati propri La maggior parte dei rati possono essere commessi da chiunque (reati comuni). Alcuni, invece, possono essere commessi solo da chi possegga determinate qualità o si trovi in determinate relazioni con altre persone (reati propri). Per questi reati, il bene giuridico protetto può essere offeso solo da persone appartenenti a una determinata cerchia di soggetti; questo ha grande rilevanza in tema di concorso di persone: il soggetto estraneo, cioè privo delle qualifiche richieste, che ha agevolato o istigato la persona intranea, concorre oggettivamente a questo reato; tale concorso sarà doloso se l’agevolatore/istigatore aveva conoscenza di tutti gli elementi del fatto, tra cui le qualità del soggetto attivo. Le qualità o relazioni richieste possono essere di fatto (aborto autoprocurato - donna) oppure giuridiche (abuso d’ufficio - pubblico ufficiale). 7) L’offesa Con la condotta, l’offesa è l’altro elemento indefettibile del fatto di reato. verifichino quelle condotte, una dopol’altra, dal cui susseguirsi dipende il non verificarsi dll’evento (es. salvataggio bambino: arrivo autoambulanza, guida ad alta velocità con perizia, intervento di un abile medico presente al pronto soccorso, esattezza della diagnosi, buona riuscita dell’operazione). ULTERIORI CLASSIFICAZIONI DEI REATI SECONDO LA STRUTTURA DEL FATTO • reati commissivi (compare, descritta da un verbo, un’azione umana avente carattere di attività esteriore; es. omicidio) reati omissivi (caratterizzati dalla non commissione delle azioni imposte dai comandi delle norme giuridiche per la protezione di quel bene giuridico; es. omissione di soccorso) • reati a forma libera (ha rilevanza il comportamento che, con qualsiasi modalità, abbia causato l’evento; es. omicidio) e reati a forma vincolata (la forma concreta è rilevante, cioè tipica, solo se corrisponde allo specifico modelli descritto dalla norma incriminatrice; es. truffa, artifici e ragiri) • reati di danno (lesione a un bene giuridico; es. omicidio) reati di pericolo (probabilità di tale lesione) concreto (es. strage) o astratto (es. tutela della purezza delle acque marine) • reati comuni (possono essere commessi da chiunque; es. omicidio) reati propri (per essere penalmente rilevanti, possono essere commessi solo da chi possegga determinate qualità o si trovi in determinate relazioni con altre persone; es. abuso d’ufficio/pubblico ufficiale) • reati omissivi propri -o di mera omissione; è un reato di mera condotta- (il mancato compimento di un’azione giuridicamente doverosa è represso a prescindere dal verificarsi dell’evento da essa causato; es. omissione di soccorso) reati omissivi impropri -o reati commissivi mediante omissione; è un reato di evento- (si incrimina il mancato compimento di un’azione doverosa imposta per impedire il verificarsi dell’evento. L’evento è quindi elemento costitutivo del fatto; es. omicidio colposo del bagnino distratto da una bagnante che non salva un anziano) • reati di mera condotta (a. il reato si esaurisce nel compimento di una o più azioni -reati di mera azione-, es. falsità materiale in atto pubblico; b. nel mancato compimento di un’azione doverosa -reati di mera omissione o reati omissivi propri-, es. omissione di soccorso; le eventuali conseguenze non sono elementi costitutivi del fatto) reati di evento (a. reato costituito da azione e da uno o più eventi conseguenza di quella -reati commissivi di evento-, es. truffa rispetto induzione in errore, profitto e danno; b. reato costituito da omissione e da uno o più eventi conseguenti di quella -reati commissivi mediante omissione o reati omissivi impropri-, es. omicidio del bagnino) distinzione rilevante: nesso di causalità c’è solo per i resati di evento, solo norme inerenti a reati di evento possono dar luogo a reati omissivi impropri, solo ai reati di evento si può applicare la disciplina del recesso attivo dal delitto tentato e, infine, ai reati di evento la legge penale italiana è applicabile anche se la condotta è avvenuta integralmente all’estero e invece l’evento si è verificato nel territorio dello Stato. • reati istantanei (una volta realizzatasi la consumazione del reato, è indifferente che la situazione antigiuridica creata dall’agente si protragga nel tempo, es. furto reati permanenti (il reato è perfetto, cioè consumato, quando si verifica la condotta ed eventualmente l’evento, ma il reato non si esaurisce finché perdura la situazione antigiuridica: la consumazione può perdurare nel tempo; es. sequestro di persona) è da sottolineare che un reato si dice consumato quando, nel caso concreto, si sono verificati tutti gli estremi del fatto di reato; finché il reato non è giunto a consumazione, possono ricorrere gli estremi per un tentativo. Inoltre, il reato permanente è assoggettato a una disciplina peculiare: la prescrizione decorre da quando è cessata la permanenza, la legittima difesa è possibile per tutto il tempo della permanenza, il concorso può avvenire anche dopo l’inizio della fase consumativi e la legge del tempo del commesso reato è sia quella vigente all’inizio sia quella entrata in vigore nel corso della fase consumativi; a livello di diritto processuale, lo stato di flagranza dura fino a quando non è cessata la permanenza e la competenza per territorio spetta al giudice del luogo nel quale ha avuto inizio la consumazione. • reati abituali (il fatto esige la ripetizione, anche a distanza di tempo, di una serie di azioni od omissioni: un singolo atto del tipo descritto dalla norma non integra la figura di reato; es. maltrattamenti in famiglia) legge del tempo del commesso reato è quella in vigore al momento della commissione anche dell’ultimo degli atti, si considera commesso nel territorio dello Stato anche se in esso è stato commesso uno solo degli atti e si configura il concorso di persone solo se il partecipe (istigatore, agevolatore) ha contribuito casualmente abbia realizzato il numero minimo di condotte necessario per l’integrazione del fatto costitutivo di reato. • reati necessariamente plurisoggettivi (elemento costitutivo del fatto è il compimento di una pluralità di condotte d parte di una pluralità di soggetti; a volte sono necessariamente plurisoggettivi in senso stretto, quando sono assoggettati a pena tutti i soggetti; es. bigamia; oppure necessariamente plurisoggettivi in senso ampio o impropri, quando sono assoggettate a pena soltanto alcune condotte) CAPITOLO 7 IL REATO: 2. L’ANTIGIURIDICITÀ E LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE L’antigiuridicità esprime il rapporto di contraddizione tra il fatto e l’ordinamento giuridico; non si configura se è presente anche una sola norma, contenuta in qualsiasi ramo dell’ordinamento, che facoltizza il fatto o addirittura lo rende obbligatorio, anche se penalmente rilevante (cause di giustificazione, che hanno efficacia universale proprio perché applicabili a qualsiasi ramo dell’ordinamento se si trovano in qualsiasi ramo dell’ordinamento). La realizzazione concreta del fatto tipico deve essere in contrasto con l’intero ordinamento giuridico. Il fatto è lecito se esiste anche una sola norma, posta in qualsiasi ramo dell’ordinamento, che lo facoltizzi o addirittura ne renda doverosa la realizzazione; pertanto, se nel caso concreto sono presenti due norme antinomiche, si prospetta un conflitto di norme che però è solo apparente: infatti, per via dell’unità del nostro ordinamento giuridico, è inammissibile che uno stesso fatto possa essere sia lecito che illecito a seconda del ramo dell’ordinamento che lo prende in esame. Il conflitto si risolve dando la prevalenza alla norma che facoltizza o impone la realizzazione del fatto: il giudizio di liceità è oggettivo art. 59 c.p.: le circostanze che escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o per errore ritenute insesistenti. Si definiscono ‘cause di giustificazione del fatto’ (o anche scriminanti, cause di esclusione dell’antigiuridicità) l’insieme delle facoltà o dei doveri derivanti da norme, situate in ogni luogo dell’ordinamento, che autorizzano o impongono la realizzazione di questo o quel fatto penalmente rilevante; le cause di giustificazione, in virtù dell’unità dell’ordinamento, hanno efficacia universale. Se commesso in assenza di una qualsiasi causa di giustificazione, il fatto è antigiuridico: costituirà reato se concorreranno anche colpevolezza e punibilità. Dato che le norme che prevedono cause di giustificazione sono collocate in tutto l’ordinamento, non possono essere definite “norme penali”; ne consegue che non sono soggette alla riserva di legge di cui all’art. 25, II Cost. né al divieto di analogia di cui all’art. 14, Preleggi. Oltretutto, non sono nemmeno norme eccezionali, poiché non fanno eccezione a nessuna regola generale, anzi sono espressione di principi generali dell’ordinamento. Di regola, chi concorre alla realizzazione di un fatto tipico commesso in presenza di una scriminante non è punibile, proprio perché concorre in un fatto lecito (concorre al sacrificio di un bene, ma per salvarne uno più rilevante): art. 119 c.p., le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato. Eccezione a questa regola sono le cause di giustificazione personali (es. uso legittimo delle armi giustifica il cittadino solo se il suo intervento è stato richiesto da un pubblico ufficiale). Vi sono poi alcuni termini, denominati ‘clausole di illiceità espressa’, quali “ingiusto, indebitamente, arbitrariamente”, che danno rilievo alle scriminanti: infatti, quel fatto potrebbe non essere reato qualora sia giusto ecc., e questo è consentito, appunto, dalle cause di giustificazione. È da notare poi che, in presenza di un’offesa ‘giusta’ poiché giustificata da una scriminante, non si configurerà mai la legittima difesa. Inoltre, art. 59, IV c.p.: se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, la punibilità non è esclusa se si tratta di errore determinato da colpa, qualora il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo. • art. 51, II e III: se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde altresì chi ha eseguito l’ordine. Si ha quindi la duplice responsabilità di chi ha emanato e di chi ha eseguito l’ordine illegittimo: questo dà luogo a un concorso di persone nel reato, dato che la responsabilità del superiore discende dal suo ruolo di istigatore; perché questo avvenga, è necessario che chi ha eseguito l’ordine non fosse vincolato all’obbedienza degli ordini dei superiori (es. pubblico impiegato: potere-dovere di controllare la legittimità dell’ordine; privati che ricevono u ordine illegittimo di polizia: devono astenersi). Ci sono poi degli ordini illegittimi insindacabili, art. 51, IV c.p.: non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine. Si tratta di una causa di giustificazione personale. 5) LA LEGITTIMA DIFESA, art. 52 c.p. “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa” Questo articolo costituisce una deroga al monopolio statale dell’uso della forza, quando lo Stato non sia in grado di assicurare una tempestiva ed efficace tutela. I presupposti della legittima difesa • pericolo per pericolo si intende la probabilità della lesione; per valutarlo, il giudice deve fare una prognosi postuma in concreto, tenendo conto di tutte le circostanze esistenti al momento del fatto, circa la probabilità che tale offesa si verificasse (può avvalersi di tutte le leggi scientifiche o le massime di esperienza disponibili al momento del giudizio). Il pericolo deve scaturire da una condotta umana, sia azione che omissione; per quanto riguarda le omissioni, sono rilevanti sia l’omesso impedimento di un evento lesivo, sia le omissioni costitutive di reati omissivi propri. Infine, il pericolo deve essere attuale: il pericolo non può mai essere passato né futuro (no sanzione inflitta dal cittadino o difesa preventiva); l’offesa deve essere temporalmente imminente e il pericolo perdurante (l’offesa deve essere ancora in atto e non già esaurita). • offesa ingiusta a un diritto proprio o altrui per “diritto” si intende qualsiasi interesse individuale espressamente tutelato dall’ordinamento (compresa l’incolumità pubblica, esclusa la tutela dei beni collettivi, già affidata ai competenti organi dello Stato; titolare del diritto può essere sia una persona fisica che una persona giuridica). L’offesa deve anche essere ingiusta, ossia antigiuridica: per questo non è consentita la legittima difesa di fronte a pericoli creati nell’esercizio di una facoltà legittima o nell’adempimento di un dovere giuridico. Ai fini della legittima difesa come scriminante, è irrilevante il carattere colpevole o punibile della condotta umana che ha creato il pericolo: si può agire per legittima difesa anche contro condotte non dolose né colpose, realizzate da un soggetto non imputabile ovvero non punibile. I requisiti della difesa • necessità la difesa si dice necessaria quando il pericolo non poteva essere neutralizzato né da una condotta alternativa lecita né da una condotta meno lesiva di quella tenuta in concreto; oltretutto, non è necessaria quando è possibile un ‘commodus discessus’, ossia quando la persona minacciata nei propri diritti possa sottrarsi al pericolo senza esporsi a rischio. • proporzione bisogna effettuare una valutazione comparativa tra il bene dell’aggredito esposto al pericolo e il bene dell’aggressore sacrificato dalla condotta difensiva: il divario tra i due beni non deve essere eccessivo. Per tale comparazione, si deve fare riferimento alle valutazioni etico-sociali dei beni in conflitto, eventualmente costituzionalizzate (es. valore della vita è superiore rispetto il bene del patrimonio). Non bisogna invece tenere conto dei mezzi a disposizione dell’aggredito: questa valutazione non rientra nel principio della proporzione bensì in quello della necessità della difesa -condotta meno lesiva: l’indagine sulla proporzione è posteriore rispetto quella sulla necessità-. La legittima difesa nel domicilio e negli esercizi commerciali Legge n. 59/2006: inserimento di due nuovi commi nell’art. 52, che ampliano i limiti della legittima difesa per i casi in cui il fatto venga posto in essere nel domicilio o in altri luoghi di privata dimora, o nei luoghi in cui venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. • c’è proporzione se la difesa avviene attraverso un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere 1. la propria/altrui incolumità e 2. i beni propri/altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione; presupposto: delitto di violazione di domicilio (o degli altri luoghi indicati) deve essere stato consumato • è da notare la presunzione assoluta di proporzione, che opera anche quando chi si difende usa un’arma; inoltre, si giustificherebbe un omicidio per la sola difesa di beni patrimoniali • permane il limite della necessità della difesa • ulteriore limite: per la sola difesa dei beni patrimoniali, c’è legittima difesa se non vi è stata desistenza • l’arma impiegata deve essere legittimamente detenuta (se è detenuta illegittimamente, tale condotta sarà sottoposta alla disciplina ordinaria della legittima difesa, in particolare al principio di proporzione tra offesa e difesa) Questa nuova disciplina è in netto contrasto con i dettami costituzionali, che vedono la vita come bene supremo e non certo sacrificabile per salvare il bene del patrimonio; inoltre, non è tollerato che si ferisca una persona per difendere il patrimonio: il diritto alla salute è un fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Pertanto, o si sottopone la nuova disciplina a controllo di legittimità costituzionale, oppure si confida nell’interpretazione conforme a Costituzione da parte del giudice ordinario. 6) L’USO LEGITTIMO DELLE ARMI, art. 53 c.p. La disciplina di cui all’art. 53 c.p. si articola in tre ipotesi: I) L’uso delle armi per respingere una violenza o vincere una resistenza dell’autorità “Non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio di ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’autorità” Questa causa di giustificazione gode di uno spazio autonomo sia rispetto la legittima difesa che rispetto l’adempimento di un dovere: non si difende un diritto proprio o altrui e l’uso delle armi non è una modalità di adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica/ordine legittimo della pubblica Autorità. Questa scriminante è un evidente lascito della visione degli anni in cui fu scritto il codice, quando la visione del rapporto individuo-autorità era letta nell’ottica di uno Stato autoritario; per questo motivo, in via interpretativa e conformemente alla Costituzione, va apposto il limite della proporzione. Soggetti legittimati all’uso delle armi Soggetti tra i cui doveri istituzionali rientra l’uso della coercizione fisica diretta con armi o altri mezzi: • ufficiali e agenti della Polizia di Stato • ufficiali e agenti dell’Arma dei Carabinieri • ufficiali e agenti della Guardia di Finanza • coloro (compresi gli agenti della polizia municipale) che, ai sensi dell’art. 53, II c.p., prestano assistenza alla forza pubblica sulla base di una legale richiesta, e non di propria iniziativa (se ci si rifiuta senza giustificato motivo, si commette una contravvenzione) I presupposti dell’uso delle armi • necessità: no quando si può respingere la violenza o vincere la resistenza con mezzi diversi oppure con il mezzo meno lesivo • proporzione: va stabilito caso per caso se l’interesse pubblico sia prevalente rispetto l’interesse individuale che viene sacrificato (questo principio è imposto dal principio di imparzialità della P.A. -tener conto di tutti gli interessi in gioco- e del carattere di diritti fondamentali che la Costituzione riconosce alla vita e all’integrità fisica) • violenza all’autorità: quando, per impedire o ostacolare l’attività pubblica, si fa uso di qualsiasi forma di energia fisica che cada sulle persone, ledendone l’integrità o la salute, o sulle cose, distruggendole o rendendole inservibili • resistenza: cosiddetta ‘attiva’ Oltretutto, l’agente deve affrontare un mero pericolo, e non la prospettiva di una morte certa (non si pretende l’eroismo da parte di nessuno). CAPITOLO 8 IL REATO: 3. LA COLPEVOLEZZA Per colpevolezza si intende l’insieme dei requisiti dai quali dipende la possibilità di muovere all’agente un rimprovero per la commissione del fatto antigiuridico; i requisiti della colpevolezza sono • dolo (rappresentazione e volizione di tutti gli estremi del fatto antigiuridico) o colpa (negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di norme giuridiche preventive; deve abbracciare tutti gli elementi del fatto antigiuridico) • assenza di scusanti (assenza di circostanze anormali tali da influenzare il comportamento dell’agente al punto di rendere inesigibile una condotta diversa) • conoscenza o conoscibilità della norma penale violata (usando la normale diligenza) • capacità di intendere e di volere (fondamento per l’imputabilità; intendere = rendersi conto del significato o elle conseguenze dei prpri atti; volere = inibire o attivare i propri impulsi) e vanno riferiti al singolo fatto antigiuridico commesso dall’agente. Il principio di colpevolezza ha fondamento costituzionale nell’art. 27, I, sotto la formula di “responsabilità personale”, per volere della giurisprudenza della Corte Costituzionale del 1988: responsabilità per un fatto proprio colpevole. Il concetto di responsabilità personale va interpretato alla luce della funzione rieducativa affidata alla pena (art. 27, III Cost.): non ha senso rieducare una persona che non ne ha bisogno perché non è nemmeno in colpa; inoltre, la personalità della responsabilità si ricollega anche con i principi di legalità e di irretroattività della legge penale (art. 25, II Cost.): il principio di colpevolezza è indispensabile per garantire al soggetto libere scelte di azione e che sarà chiamato a rispondere solo di azioni da lui controllabili. Ancora, nel 1988 la Corte ha formulato due corollari a tale principio: l’art. 5 c.p. è costituzionalmente illegittimo dove non esclude dall’inescusabilità della legge penale l’ignoranza inevitabile nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale dovuta a colpa; il principio ispiratore della responsabilità oggettiva (fatto proprio realizzato senza dolo né colpa) contrasta con quello costituzionale di personalità della responsabilità penale (tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie devono essere soggettivamente collegati all’agente, ossia investiti da dolo o colpa). Infine, è da notare che la responsabilità personale di cui all’art. 27, I Cost. è responsabilità per il fatto commesso (art. 25, II Cost.). A) DOLO E COLPA Generalmente, il legislatore richiede che il criterio di attribuzione per i delitti sia il dolo: la colpa rileva solo in via di eccezione espressa, art. 42, II c.p.. Per le contravvenzioni basta anche la colpa (art. 42, IV c.p.): solo eccezionalmente sono previste contravvenzioni che devono essere necessariamente commesse con dolo o per colpa (art. 43, II c.p.); ad ogni modo va accertato tutto nel caso concreto -ci saranno effetti giuridici quali differenze a livello di commisurazione della pena, oppure dichiarazione di contravventore professionale nel caso siano state commesse più contravvenzioni dolosamente-. 1) Il dolo È la forma più grave di responsabilità penale e si compone di due parti: la rappresentazione e la volizione del fatto antigiuridico (art. 43 c.p.: delitto doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso/pericoloso è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria condotta); il dolo è escluso per difetto di rappresentazione sul fatto -errore sul fatto che costituisce reato, art. 47 c.p.- e quando l’agente, pur rappresentandosi la realizzazione del fatto, non si rende conto del suo carattere antigiuridico perché ritenga di agire in presenza di una causa di giustificazione -art. 59, IV c.p.-. α) Il momento rappresentativo del dolo Il soggetto deve essersi rappresentato il fatto antigiuridico: per questo, gli si può muovere ilo rimprovero di aver avuto ben chiaro il carattere di antigiuridicità e, ciononostante, di non essersi lasciato trattenere; da ciò deriva la rilevanza dell’errore sul fatto: non si può rimproverare all’agente di non essersi lasciato trattenere, proprio perché non si è reso conto del carattere antigiuridico di quella condotta (del pari, l’erronea convinzione di aver agito in presenza di una causa di giustificazione). La rappresentazione del dolo esige l’effettiva (e non potenziale) conoscenza di tutti gli elementi rilevanti del fatto concreto, che deve sussistere nel momento in cui il soggetto inizia l’esecuzione dell’azione tipica. Di regola, il momento rappresentativo del dolo si considera integrato anche nei casi di dubbio (infatti, chi è in dubbio ha da un lato una falsa rappresentazione del dato di realtà, ma dall’altro quella corretta); il dubbio risulta invece eccezionalmente incompatibile con il dolo quando la legge, per l’esistenza di un elemento del fatto, richiede una conoscenza piena e certa (es. calunnia e autocalunnia). Esistono alcuni elementi del fatto, denominati descrittivi, di cui si prende conoscenza mediante i sensi; ve ne sono poi altri, quelli normativi, la cui acquisizione richiede la mediazione di una norma giuridica o sociale: per questi elementi, è sufficiente la conoscenza propria del profano, vale a dire del cittadino comune (es. furto: so che significa sottrarre ad altri una cosa che non è mia, a prescindere dalla conoscenza che ho del concetto di proprietà). La rappresentazione difetta quando l’agente versa in un errore sul fatto, che può essere errore di fatto sul fatto (errata percezione sensoriale; esclude il dolo ma può residuare la colpa) o errore di diritto sul fatto (errata interpretazione di norme giuridiche, diverse dalla norma incriminatrice ma da questa richiamate attraverso un elemento normativo, o sociali) -art. 47-. β) Il momento volitivo del dolo Art. 61, III c.p.: l’aver agito nonostante la previsione dell’evento è perfettamente compatibile con la struttura della colpa; pertanto, il momento volitivo di per sé non esaurisce lo schema del dolo. Occorre che l’agente abbia voluto la realizzazione del fatto antigiuridico, deve aver deciso di realizzarlo in tutti i suoi elementi. In particolare, il momento volitivo consiste nella risoluzione di realizzare l’azione, risoluzione che deve essere presente nel momento in cui il soggetto agisce; la risoluzione può essere conseguenza immediata di un improvviso impulso ad agire (dolo d’impeto) oppure può essere mantenuta fino al compimento dell’azione, per molto tempo, senza soluzione di continuità (dolo di proposito, cioè “premeditazione” per numerosi reati: integra una circostanza aggravante). γ) I gradi del dolo I tre gradi che può assumere il dolo dipendono dall’intensità del momento rappresentativo e volitivo. • dolo intenzionale il soggetto agisce allo scopo di realizzare il fatto; la realizzazione del fatto non necessariamente deve rappresentare lo scopo ultimo dell’agente né è necessario che la causazione perseguita dal soggetto sia probabile è sufficiente la mera possibilità di successo. Questa tipologia di dolo rileva ai fini della commisurazione della pena, ma talvolta è espressamente richiesta dalla legge rispetto l’evento, e non anche gli altri elementi del fatto; in casi simili, può anche succedere che l’evento deve necessariamente realizzarsi affinché il reato sia consumato (es. abuso d’ufficio, pubblico ufficiale che intenzionalmente arreca ad altri un danno ingiusto). • dolo diretto il soggetto non ha come fine la realizzazione del fatto ma si rappresenta come certa, o probabile al limite della certezza, l’esistenza di presupposti della condotta (es. presupposto = cosa proveniente da delitto; fatto = ricettazione) ovvero il verificarsi dell’evento (es. proprietario di una nave mette a bordo una bomba per farsi indennizzare dall’assicurazione: la morte di un membro dell’equipaggio non è il fine perseguito, ma l’agente sa che è una conseguenza pressoché certa) come conseguenza dell’azione. Di regola non è necessario che l’agente si rappresenti la realizzazione del fatto come certa, tuttavia eccezionalmente la legge richiede una conoscenza piena e certa di un elemento del fatto (es. calunnia e autocalunnia). • dolo eventuale (o dolo indiretto) il soggetto non si rappresenta come certa, bensì come seriamente possibile l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare all’azione e ai relativi vantaggi, accetta che il fatto si possa verificare. Il dolo eventuale è di fondamentale importanza perché segna il confine tra dolo e colpa se un reato è punito sia per dolo che per colpa (*a questo proposito, il dolo eventuale va nettamente distinto dalla colpa con previsione dell’evento/ colpa cosciente, in cui l’agente si rappresenta come possibile il verificarsi di un evento, ma per leggerezza ne sottovaluta la probabilità o sopravvaluta le proprie capacità di evitarlo), e tra dolo e responsabilità penale del fatto se è punito solo per colpa. MOMENTO RAPPRESENTATIVO MOMENTO VOLITIVO GRADO DI DOLO la colpa viene definita nell’art. 43, I c.p.: “Il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Requisito negativo della colpa è l’assenza del dolo, quello positivo consiste nella negligenza [mancato compimento di un’azione doverosa], imprudenza [violazione di un divieto assoluto di agire o di agire con particolari modalità], imperizia [carenza di cognizioni o di abilità esecutive] -finalità preventiva o cautelare di carattere esclusivo- o inosservanza di leggi/regolamenti/ordini/discipline il giudizio di colpa è puramente normativo α) La colpa specifica come inosservanza di regole cautelari ‘codificate’, variamente sanzionate Le regole di diligenza, prudenza e perizi possono essere codificate, cioè contenute in norme di fonte pubblica o privata; è ovvio che le leggi, i regolamenti, gli ordini e le discipline sono codificati si parla in questi casi di colpa specifica; è da notare che, poiché la finalità della colpa è di tipo preventivo o cautelare, non rientrano nel novero delle leggi la cui inosservanza dà luogo a colpa quelle che hanno finalità risarcitoria oppure tributaria (es. obbligo di assicurare il proprio veicolo). β) La colpa generica come violazione di regole cautelari ‘non codificate’ Regole la cui individuazione grava sul giudice e che affiancano quelle codificate, che hanno il limite di non essere sempre di pari passo con le mutate esigenze della società a cui si rivolgono (es. circolazione stradale, è impensabile che tutti rischi siano stati codificati); nell’individuazione il giudice farà riferimento a quello che si doveva fare: farà un confronto tra il comportamento effettivo dell’agente e quello che avrebbe tenuto nelle medesime circostanze di luogo e di tempo un agente ideale preso come modello (secondo la maturata esperienza). I modelli di riferimento sono molteplici, per poter far fronte a una molteplicità di pericoli. Le regole di diligenza vanno ritagliate sulla persona del singolo agente, ma questa personalizzazione ha un limite logico: non si può tenere conto dell’assenza nell’agente di conoscenza o di capacità psico-fisiche necessarie per fronteggiare le diverse situazioni di pericolo; le uniche menomazioni rilevanti sono quelle fisiche, e le conoscenze o abilità dell’agente superiori rispetto quelle dell’agente modello non possono istituire un dovere di diligenza più elevato (se non quando portano all’individuazione di un altro agente modello). γ) I reati colposi di evento: i contenuti del dovere di diligenza Classe di reati presa a modello dal legislatore per i reati colposi; i reati colposi di evento sono numericamente superiori e le regole di diligenza, prudenza e perizia sono rivolte al futuro perché finalizzate a prevenire il verificarsi dell’evento stesso; deve essere colposa sia la condotta sia l’evento. • La condotta colposa L’agente deve riconoscere l’esistenza del pericolo che si realizzi un fatto antigiuridico mediante i sensi, i mezzi che la tecnica mette a disposizione per potenziare i sensi e le regole di esperienza o giuridiche che applicherebbe l’agente modello. Riconosciuta l’esistenza di tale pericolo, l’agente deve neutralizzare o, se tecnicamente impossibile, ridurre tale pericolo. Questo può significare sia totale astensione dall’agire o dal proseguimento dell’azione, oppure agire mediante determinate modalità. il carattere colposo della condotta può derivare già dal mancato riconoscimento del pericolo di realizzazione del fatto, che il modello sarebbe stato capace di riconoscere, nel momento in cui l’agente inizia o continua ad agire, oppure, se ormai il pericolo è riconosciuto, dalla mancata adozione dei comportamenti necessari per la sua neutralizzazione o riduzione, che in quelle circostanze e in quel momento avrebbe tenuto l’agente modello. • Il principio dell’affidamento Spesso molte attività pericolose vengono compiute da più soggetti, nella forma della cooperazione o di attività individuali che possono intersecarsi reciprocamente. In tutte queste attività opera il principio di affidamento, secondo il quale ciascuno degli agenti può confidare che il comportamento dell’altro sia conforme alle regole di diligenza prudenza e perizia, come se venisse rispettato il comportamento dell’agente modello. Il principio è sottoposto ad un doppio limite, allorché: • le circostanze del caso concreto lasciano riconoscere la possibilità di un altrui comportamento colposamente pericoloso • ai sensi dell’art. 40, II c.p. l’agente ha l’obbligo giuridico di impedire eventi lesivi dell’altrui vita o integrità fisica, il cui rispetto comporti, come dovere di diligenza, il controllo e la vigilanza dell’operato altrui L’affidamento opera anche nei reati dolosi commessi da altri (siamo autorizzati a pensare che i consociati non agiranno né colposamente né dolosamente), e ha qui una portata più ampia dal momento che • solo in via d’eccezione sono previsti delitti di agevolazione colposa di un delitto doloso • è ravvisabile un’autonoma responsabilità per colpa solo nell’aver favorito con la propria condotta l’altrui riconoscibile inclinazione o propensione a commettere un fatto doloso, in presenza di indizi concreti • Il nesso tra colpa ed evento Nei reati di evento la colpa deve abbracciare sia la condotta che l’evento: art. 43, I c.p.; il nesso che deve intercorrere è duplice: • l’evento concreto deve essere realizzazione del pericolo, o di uno dei pericoli, che la norma cautelare violata mirava a prevenire; bisogna accertarlo nel caso concreto • bisogna appurare se la condotta rispettosa delle regole di diligenza avrebbe evitato, nel caso concreto, il verificarsi dell’evento Qualora non sussista il nesso tra colpa ed evento, la condotta colposa non può essere assoggettata alla pena prevista per la causazione colposa di quell’evento; tuttavia, potrà essere sanzionata di per sé e meno aspramente (es. circolazione stradale). • La colpa nei reati omissivi impropri La responsabilità per l’omesso impedimento di eventi costitutivi di delitti colposi si configura nei confronti di chi è destinatario di obblighi di protezione o di controllo dei pericoli che possono incombere. In questi reati, la colpa può consistere in: • inottemperanza del dovere di attivarsi per riconoscere la presenza dei pericoli che i garanti hanno il dovere di sventare • mancato compimento delle azioni necessarie per neutralizzare o ridurre quei pericoli Anche in questi reati, l’evento non può essere addebitato a colpa se il soggetto non poteva evitarlo nemmeno compiendo le azioni che la diligenza o la perizia gli imponevano di compiere (es. stabilimento sprovvisto di estintori; no colpa se l’incendio avrebbe distrutto anche quelli). δ) I reati colposi di mera condotta Le regole di diligenza che l’agente deve rispettare non sono finalizzate a prevenire eventi futuri, bensì ad assicurare che l’agente assuma le informazioni necessarie ovvero compia i controllo necessari nel momento in cui esegue l’azione (es. farmacista dà farmaco sbagliato perché legge male la ricetta o perché ne ha prelevato uno scambiandolo per un altro). ε) Il grado della colpa Per ‘grado della colpa’ si intende il divario tra la condotta concretamente tenuta e quella che si sarebbe dovuta tenere secondo il modello; il grado di colpa non contribuisce a stabilire se una condotta è stata o meno colposa: rileva in sede di commisurazione della pena o per determinate figure di reato che, per essere integrate, esigono un elevato grado di colpa (la colpa con previsione è una forma di colpa molto grave). Esempi di responsabilità per colpa • le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa (art. 59 c.p.) • reati di stampa, responsabilità a titolo di colpa per l’omesso controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati (art. 57 c.p.) • aberratio delicti: se per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per un’altra causa si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde a titolo di colpa se il reato è disciplinato come delitto colposo (art. 83 c.p.) • la morte o la lesione che conseguono alla commissione di un fatto preveduto come delitto doloso saranno poste a carico dell’agente se cagionate per colpa (art. 586 c.p.) Responsabilità oggettiva e principio di colpevolezza Il codice penale del 1930 prevede una serie di ipotesi di responsabilità oggettiva, nelle quali un elemento del fatto di reato o l’intero fatto di reato viene addossato all’agente senza che sia necessario accertare la presenza nemmeno della colpa • responsabilità oggettiva in relazione all’evento a. delitti aggravati dall’evento (es. abuso dei mezzi di correzione, maltrattamenti in famiglia, abbandono di minori sono puniti con una pena più grave quando dal fatto consegue l’evento morte o lesioni personali) b. delitti preterintenzionali (es. omicidio: morte quale conseguenza materiale di atti diretti a ledere o percuotere; aborto come conseguenza materiale di atti diretti a ledere la donna) libertà vigilata se per quel reato la legge prevede una pena detentiva inferiore nel minio a 5 anni- Al centro di questi due articoli sta l’”infermità”; pertanto, il giudice deve dapprima accertarne la presenza (è sempre necessaria una perizia psichiatrica), e successivamente stabilire l’influenza che ha esercitato sulla capacità dell’agente. L’infermità include malattie di tipo sia fisico che psichico. 2) Il sordomutismo “Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità di intendere e di volere. Se la capacità di intendere e di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita”, art. 96 c.p. Il solo mutismo e la sola sordità possono integrare il vizio di mente totale o parziale; questa disciplina è invece applicabile a ogni tipo di sordomutismo, sia congenito che acquisito. Dato che il sordomutismo può frapporsi alla capacità dell’agente, il giudice deve verificare caso per caso se questo è avvenuto concretamente. Qualora il sordomuto sia prosciolto, può essere sottoposto alla misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (se ritenuto socialmente pericoloso) oppure, se punito con pena diminuita, dell’assegnazione ad una casa di cura e di custodia o alla libertà vigilata (se il reato commesso è inferiore nel minimo a 5 anni). 3) La minore età Il codice individua tre fasce d’età rilevanti: • chi, al momento della commissione del fatto, non aveva ancora compiuto i 14 anni è considerato sempre non imputabile: presunzione assoluta di incapacità - qualora abbia commesso un delitto e sia riconosciuto come socialmente pericolo, deve essere sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata o del riformatorio giudiziario per reati di particolare gravità • chi, al momento della commissione del fatto, aveva un età compresa tra i 14 e i 18 anni non ancora compiuti la dichiarazione di imputabilità è subordinata all’accertamento in concreto, caso per caso, della capacità di intendere e di volere. Criteri di accertamento: il giudice e il p.m. possono formare il loro convincimento anche sulla base di elementi relativi alla condizione personale del soggetto e di informazioni date da persone che abbiano avuto rapporti con lui; possono anche chiedere il parere di esperti, anche senza alcuna formalità - qualora sia ritenuto imputabile, pena diminuita al massimo di 1/3 - deve essere sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata o del riformatorio giudiziario per reati di particolare gravità; se il soggetto è ritenuto non imputabile, le misure di sicurezza sono l’unica sanzione penale; se imputabile, seguono l’esecuzione della pena • chi, al momento della commissione del fatto, aveva già compiuto i 18 anni il soggetto si considera imputabile; l’imputabilità può essere esclusa solo per una causa diversa dall’età 4) L’azione delle sostanze alcoliche o stupefacenti • ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore, art. 91 c.p. - accadimento imprevedibile o forza esterna invincibile, esercitata da un altro uomo o dalla natura - se non c’è prova del carattere accidentale dell’ubriachezza, si applica la disciplina dell’ubriachezza colposa il soggetto non è imputabile solo se, al momento della commissione del fatto, l’ubriachezza accidentale era piena; se invece non lo era, ma la capacità era grandemente scemata, la pena sarà diminuita fino a 1/3 se il soggetto viene prosciolto o condannato a pena diminuita, non può essere disposta nessuna misura di sicurezza • ubriachezza volontaria o colposa, art. 92 c.p. - volontaria: intenzione di ubriacarsi - colposa: si assume più di quanto si può reggere, sottovalutando gli effetti dell’alcool l’imputabilità non è né esclusa né diminuita; il dolo e la colpa saranno valutati in relazione al momento della commissione del fatto, non del carattere volontario o colposo dell’ubriachezza • ubriachezza abituale, art. 94 c.p. - si ritiene ubriaco abituale colui che è dedito all’uso di sostanze alcoliche e in stato frequente di ubriachezza - l’uso di tali sostanze è quindi sistematico, non occasionale chi commette un reato in stato di ubriachezza abituale è sempre imputabile, e in più viene sottoposto ad un aggravamento di pena nella misura massima di un terzo • cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti - consiste in un’alterazione patologica permanente che incide sul sistema nervoso; ne conseguono psicopatie che permangono indipendentemente dall’ulteriore assunzione di alcool (o stupefacenti) - la patologia deve essere irreversibile, con basi organiche; deve esserci un’alterazione non transitoria dell’equilibrio biochimico Poiché è un vero e proprio stato patologico, questa cronica intossicazione viene accostata al vizio di mente, sia totale ( art. 88 c.p., vizio totale di mente -difetto di colpevolezza-; qualora questa persona sia ritenuta socialmente pericolosa, verrà sottoposta alla misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico ovvero alla libertà vigilata) che parziale ( art. 89 c.p., vizio parziale di mente -diminuzione di pena non eccedente 1/3, dato che il vizio parziale integra una circostanza attenuante; se il soggetto è ritenuto socialmente pericoloso, si ha il ricovero in una casa di cura e custodia dopo che sia stata scontata la pena; anziché la casa di cura e custodia, il giudice può disporre la libertà vigilata se per quel reato la legge prevede una pena detentiva inferiore nel minio a 5 anni-) • ubriachezza preordinata - il soggetto si pone in stato di incapacità al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa - il reato commesso deve essere proprio quello che l’agente si riprometteva di commettere nel momento in cui si è posto nello stato di incapacità; se il reato è diverso, sarà comunque imputabile tranne il caso in cui l’incapacità non sia dovuta da alcool o sostanze stupefacenti (in quest’ultima ipotesi, andrà prosciolto in quanto non imputabile) Se ritenuto imputabile, il soggetto verrà condannato a pena aumentata nella misura massima di 1/3 5) La normale irrilevanza degli stati emotivi e passionali “Gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità”, art. 90 c.p. La giurisprudenza e la dottrina hanno però posto un limite alla normale irrilevanza di questi stati: quando sono manifestazione esterna di un vero e proprio squilibrio mentale, anche transitorio, che abbia un carattere patologico tale da poter essere ricondotto a un vizio di mente parziale o totale. Capitolo 9 LA PUNIBILITA’ Quarto elemento del reato,insieme delle eventuali condizioni, ulteriori ed esterne rispetto al fatto tipico, antigiuridico e colpevole, che fondano o escludono l’opportunità di punirlo o di non punire un fatto tipico, antigiuridico e colpevole può dipendere dalle più disparate ragioni: • ragioni politico-criminali (desistenza volontaria); • “ politiche di clemenza (amnistia propria); • “ di politica internazionale (immunità per Capi di Stato esteri); • “ di salvaguardia dell’unità della famiglia (causa di non punibilità dei delitti contro il patrimonio commessi ai danni di una ristretta cerchia di familiari). Eventuali condizioni, ulteriori ed esterne rispetto al fatto tipico, antigiuridico e colpevole che, in virtù di una valutazione di opportunità: •.1. fondano la punibilità, sono dette CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITA’ (art 44 c.p.) accadimenti menzionati in una norma incriminatrice che non contribuiscono a descrivere l’offesa al bene giuridico tutelato della norma, ma che esprimono solo valutazioni di opportunità in ordine all’inflizione della pena e che sono svincolati dal dolo e dalla colpa . Es:-> se è colto mentre prende parte al giuoco: condizione cui è subordinata la punibilità dei fatti antigiuridici e colpevoli di partecipazione ai giuochi d’azzardo (art.720); -> se interviene la dichiarazione di fallimento: condizione cui è subordinata la punibilità dei fatti antigiuridici e colpevoli di bancarotta prefallimentare (art.216 c.1 e 217 c.1 l. fallimentare). •.2. CAUSE D’ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITA, sono dette : • CAUSE PERSONALI DI NON PUNIBILITA’ situazioni concomitanti alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole, che ineriscono alla posizione personale dell’agente o ai suoi rapporti con la vittima. Es: -non punibilità derivante dallo status di coniuge non legalmente nei casi in cui agli artt. 102, 103 e 105 c.p.(abitualità nel delitto e professionalità nel reato).Il corso della prescrizione può anche subire una sospensione (art.159 c.p.); è quanto si verifica in una serie di ipotesi di forzata inattività dell’autorità giudiziaria. Si tratta delle ipotesi in cui: a) sia necessaria un’autorizzazione a procedere; b) il giudice ordinario sollevi questioni di legittimità costituzionale ovvero investa la Corte di giustizia delle Comunità europee; c) il procedimento o il processo penale siano sospesi per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore. Una volta cessata la causa di sospensione, la prescrizione riprende il suo corso e il tempo decorso anteriormente al verificarsi della causa sospensiva si somma al tempo decorso dopo che tale causa è venuta meno. • Oblazione: ha un campo di applicazione limitato alle contravvenzioni punite in astratto o che il giudice punirebbe nel caso concreto con la pena dell’ammenda. Consiste nel pagamento di una somma di denaro corrispondente a 1/3 del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione ovvero alla metà del massimo, quando si tratti di contravvenzione punita alternativamente con l’arresto o con l’ammenda: il pagamento di tale somma estingue il reato. Oblazione ordinaria (art.162) a fronte della domanda proposta tempestivamente dall’imputato, il giudice ha l’obbligo di ammetterlo all’oblazione. Oblazione speciale (art.162 bis) solo per contravvenzioni per le quali è comminata la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, qualora il giudice ritenga discrezionalmente che nel caso concreto dovrebbe infliggersi la pena dell’ammenda;- pagamento di una somma di denaro pari alla metà del massimo dell’ammenda;- non devono esservi precedenti penali dell’agente con effetto preclusivo;- non devono permanere conseguenze dannose/pericolose del fatto eliminabili dall’agente. Accolta la domanda di oblazione e accertato il pagamento da parte dell’imputato, il giudice dichiarerà con sentenza l’estinzione del reato. • perdono giudiziale (art169) indirizzato ai soli minori:- l’agente, al momento del fatto, aveva meno di 18 anni; la pena che dovrebbe infliggersi è inferiore a 2 anni di pena detentiva o a E 1549 di pena pecuniaria;- l’agente non ha riportato precedenti condanne a pena detentiva per delitto, né è delinquente o contravventore abituale o professionale;- di regola, l’agente non deve aver già fruito del perdono giudiziale; il giudice presume che l’agente in futuro si asterrà dal commettere altri reati. E’ disposto discrezionalmente dal giudice, sulla base della prognosi che il soggetto si asterrà dal commettere ulteriori reati, e può consistere o nell’astensione dal rinvio a giudizio ovvero, nel caso in cui il giudizio si sia già instaurato, nell’astensione dalla pronuncia della condanna ; l’estinzione del reato consegue immediatamente al passaggio ingiudicato della sentenza che nell’uno e nell’altro caso applica il perdono giudiziale. Alla base dell’istituto stanno considerazioni di prevenzione speciale: nei confronti di un minore, che per la prima volta e in modo del tutto occasionale si renda autore di un illecito non grave, si rinuncia a punire (o si rinuncia al processo) in ragione degli effetti criminogeni che potrebbero derivargli dalla pena e dallo stesso processo. Questo orientamento di favore per il minore è anche alla base di un’ulteriore causa di estinzione del reato:la legge prevede il giudice possa sospendere il processo per valutare la personalità del minorenne, mettendolo alla prova per un periodo di tempo che varia a seconda del tipo di reato per cui si procede; durante il periodo di prova il minore viene sottoposto ad una serie di prescrizioni e affidato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia; se la prova ha esito positivo, il giudice dichiara con sentenza l’estinzione del reati. Il perdono giudiziale presuppone l’accertamento che l’agente abbia commesso un fatto antigiuridico e colpevole: al giudice si richiede di quantificare la pena che andrebbe inflitta nel caso concreto, dovendo tale pena collocarsi al di sotto del tetto massimo di 2 anni di pena detentiva o di 1549 euro di pena pecuniaria. Nella determinazione della pena in concreto il giudice terrà conto della diminuzione prevista per il minore di età: l’istituto può applicarsi, anche a reati la cui pena massima,in astratto, sia di molto superiore ai 2 anni. L’applicabilità del perdono giudiziale è sottoposta,inoltre, ad alcuni limiti soggettivi: a) il minore non deve aver riportato precedenti condanne a pena detentiva per il delitto, né deve trattarsi di delinquente o contravventore abituale o professionale; b) non deve aver già fruito del perdono giudiziale: dispone infatti l’art. 169 co. 4 c.p. che “il perdono giudiziale non può essere conceduto più di una volta”. Oggi però l’istituto può essere applicato per la seconda volta, nel rispetto dei limiti di pena precedentemente illustrati, se il reato per cui si procede è stato commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono o se è unito dal vincolo della continuazione ad altro o altri reati per i quali già è stato concesso il perdono giudiziale. DISCIPLINA COMUNE: Il campo di applicazione delle cause di estinzione del reato gode di autonomia o specificità. Questo carattere si manifesta sia rispetto ai reati (art 170) : • quando un reato è il presupposto di un altro reato, la causa che lo estingue non si estende all’altro reato es .l’estinzione - per prescrizione, per amnistia- del litto di furto dal quale proviene la cosa oggetto di ricettazione non si estende al delitto di ricettazione (art. 648 c.p.); • la causa estintiva di un reato, che è elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato (reato complesso), non si estende a quest’ultimo: così l’intenzione del furto non si estende al delitto di rapina (art.628 c.p.); • l’estinzione di taluno fra più reati connessi non esclude l’applicabilità dell’aggravante della connessione teleologica(art.61 c.2) es: Tizio commette un omicidio per poter realizzare un furto, risponderà di omicidio aggravato anche se il furto è stato amnistiato; Alla stessa logica si ispira la norma dettata dall’art. 151 co. 2 c.p. in tema di amnistia e di concorso di reati (concorso materiale, reato continuato, concorso formale): nel concorso di più reati , l’amnistia si applica ai singoli reati per i quali è conceduto, con la conseguenza, ad esempio, che se alcuni dei reati uniti dal vincolo della continuazione sono stati commessi prima della data indicata nella legge di amnistia e altri dopo quella data, ai primi si applicherà l’amnistia, mentre i secondi ne rimarranno esclusi. sia rispetto alle persone (art 182) ed emerge nel quadro del concorso di persone nel reato • l’estinzione del reato ha effetto soltanto per coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce, di regola infatti le cause di estinzione del reato operano soltanto rispetto al singolo concorrente al quale si riferisce la causa estintiva. Così, la morte dell’autore di un fatto antigiuridico e colpevole non esclude la punibilità di chi lo avesse istigato o aiutato a commettere il reato:nei confronti di costoro la pena dovrà essere inflitta ed eseguita. ECCEZIONE:chi abbia istigato o aiutato altri a commettere un fatto di bigamia non è punibile se il matrimonio, contratto precedentemente dal bigamo, è dichiarato nullo, ovvero è annullato il secondo matrimonio per causa diversa dalla bigamia (art.556 co. 3 c.p.): eccezionalmente questa causa di estinzione del reato opera vs tutti i concorrenti, in quanto la legge dispone che il reato è estinto anche rispetto a coloro che sono concorsi nel reato. L’ordine nel quale sono disposti gli elementi del reato: 1. fatto; 2. antigiuridicità; 3. colpevolezza; 4. punibilità; • è vincolante per il giudice anche nel caso in cui sia presente una causa di estinzione del reato. In base all’art. 129 co. 2 c.p.p. la prova evidente, risultante dagli atti del processo, che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, oppure che il fatto non è antigiuridico, ovvero che il fatto è antigiuridico, ma non colpevole, impone il proscioglimento per l’una o l’altra di queste ragioni, e non per la presenza, di una causa di estinzione del reato. Il rispetto dell’ordine logico soddisfa un preciso interesse del cittadino, per i diversi risvolti sia giuridici sia etico-sociali di una pronuncia di assoluzione fondata su questa o quella ragione. Una cosa è infatti l’essere prosciolto nel merito, ad esempio, dall’accusa di aver corrotto un pubblico ufficiale e altra cosa è l’essere prosciolto per intervenuta la prescrizione o amnistia. L’imputato può rinunciare all’intervenuta prescrizione o amnistia così da consentirgli la difesa nel merito e quindi l’eventuale conseguimento di un proscioglimento che elimini ogni ombra sul suo operato. _____________________________________________________________________ _______________________________ Capitolo 10 TENTATIVO E CONCORSO DI PERSONE A) IL TENTATIVO (art. 56 c.p.) Quid minoris rispetto al delitto consumato perché: • l’azione non si compie o • l’evento non si verifica. ■ L’idoneità degli atti esecutivi. La coincidenza tra la struttura dei delitti di attentato e quella del tentativo comporta che i delitti di attentato non ammettono il tentativo: il minimo necessario per dar vita a un tentativo è già sufficiente per la consumazione; infatti, gli atti preparatori dei delitti di attentato risultano irrilevanti, a meno che non siano eccezionalmente previsti come reati a sé stanti. Es: banda armata formata per commettere un attentato contro la Costituzione.. REATI A DOLO SPECIFICO → caratterizzati dalla presenza di una finalità la cui realizzazione non è necessaria per la consumazione del reato: 1. nei quali l’evento perseguito dall’agente non è né dannoso né pericoloso Es: FURTO (ART 624 C.P.), RAPINA (ART.628 C.P.) e APPROPRIAZIONE INDEBITA (ART.646) nei quali l’agente deve essere animato da una finalità di profitto che l’ordinamento non impedisce; 2. nei quali invece è un evento offensivo di beni giuridici protetti dall’ordinamento SEQUESTRO DI PERSONA A SCOPO DI ESTORSIONE (ART.630) dove l’agente deve avere di mira un’offesa al patrimonio della persona alla quale chiederà il riscatto della vittima del sequestro, o FRODE DI ASSICURAZIONE (ART.642) dove l’agente persegue l’evento dannoso per l’assicurazione rappresentato dal pagamento di un indennizzo carpito con la frode. B) CONCORSO DI PERSONE NEL REATO (art. 110-119 c.p) → FUNZIONE: le norme sul concorso di persone nel reato hanno una duplice funzione: 1. incriminatrice: servono a dare rilevanza a comportamenti di per sé atipici ai sensi delle norma che delineano i singoli reati, estendendo quindi la responsabilità a chi non realizza in prima persona un reato consumato o tentato. 2. di disciplina: servono ad individuare la misura della pena per ciascuno dei concorrenti. → STRUTTURA: composta da 4 elementi costitutivi: 1. PLURALITA’ DI PERSONE: a. nei reati monosoggettivi: deve concorrere almeno un’altra persona (partecipe) oltre a quella la cui condotta è descritta nella norma incriminatrice di parte speciale (autore); b. nei reati necessariamente plurisoggettivi: deve aggiungersi almeno un’altra persona a quelle le cui condotte sono già richieste dalla struttura della norma incriminatrice di parte speciale. Nel novero dei concorrenti rientrano anche le persone non imputabili o non punibili per effetto di una causa personale di esclusione della punibilità. 2. REALIZZAZIONE DI UN FATTO TIPICO DI REATO (CONSUMATO O TENTATO) : Art 115 sancisce la non punibilità dell’accordo per commettere un reato e dell’istigazione accolta a commettere un reato, quando il reato oggetto dell’accordo o dell’istigazione non è stato commesso. Modello dell’accessorietà minima: • è sufficiente che la condotta atipica acceda ad un fatto tipico, commesso da altri; • non sono,invece, condizioni necessarie per la configurabilità di un concorso di persone né l’antigiuridicità, né la consapevolezza, né la punibilità di tale fatto tipico. Esecuzione frazionata del fatto: la realizzazione del fatto tipico può avvenire ad opera di più persone (coautori), ciascuna delle quali, d’accordo con l’altra, realizza una parte del fatto. Invece l’autore principale è quel solo, che eseguisce l’atto fisico in cui consiste la consumazione del delitto; se lo eseguiscono in più, sono più gli autori principali. Tutti gli altri sono delinquenti accessori. 3. CONTRIBUTO CAUSALE DELLA CONDOTTA ATIPICA ALLA REALIZZAZIONE DEL FATTO : La condotta atipica deve avere esercitato un’influenza causale( da accertarsi secondo lo schema del condicio sine qua non) sul fatto tipico, realizzato da altri. 1. se tale influenza causale riguarda l’esecuzione del fatto tipicoconcorso materiale: quando una condotta atipica di aiuto è stata condizione necessaria per l’esecuzione del fatto concreto penalmente rilevante da parte degli altri. 2. se tale influenza causale riguarda l’ideazione del fatto tipico (cioè fa nascere o rafforza il proposito di commetterlo) concorso morale: si realizza da parte di chi, con comportamenti esteriori es: consigli, minacce, fa nascere in altri il proposito di commettere il fatto che poi viene commesso,ergo, rafforza un proposito già esistente, ma non ancora consolidato. L’influenza causale dell’istigazione va accertata in concreto secondo lo schema della condicio sine qua non: si tratta cioè di accertare, che in assenza della condotta istigatoria, l’autore non avrebbe realizzato il fatto di reato con quelle specifiche modalità. La configurabilità di un concorso di persone nell’ipotesi in cui l’autore fosse già fermamente risoluto a commettere il reato omnimodo facturus. La mera presenza su luogo del reato non integra alcuna forma di concorso morale, a meno che non sia stata accompagnata da una chiara manifestazione esteriore di adesione al comportamento delittuoso e l’autore ne abbia tratto motivo di rafforzamento del suo proposito cioè rassicurazione. Fuori dai limiti del concorso morale, perché difetta ogni contributo causale alla decisione di commettere il reato, è anche la connivenza, cioè la consapevolezza che altri sta per commettere o sta commettendo un reato senza che si faccia nulla per impedirlo; potrà delinearsi un concorso nel reato soltanto nella forma del concorso omissivo, cioè quando chi non impedisce la commissione del reato aveva l’obbligo giuridico di impedirla. Rientra invece nello schema di concorso morale l’accordo , che rappresenta la comune decisione di commettere un reato come punto d’arrivo di un’influenza psicologica esercitata da ciascun partecipe dell’accordo nei confronti degli altri. All’incontro della volontà deve seguire la commissione del reato che è oggetto dell’accordo. 4) CONSAPEVOLEZZA E VOLONTA’ DI CONTRIBUIRE CAUSALMENTE ALLA REALIZZAZIONE DEL FATTO(DOLO DI PARTECIPAZIONE) : L’oggetto del dolo del partecipe abbraccia: • sia il fatto tipico principale, realizzato dall’autore, • sia il contributo causale recato dalla condotta atipica del partecipe Ai fini del dolo di partecipazione non sono necessari: -né la consapevolezza reciproca dell’altrui attività (è sufficiente il dolo di partecipazione in capo al concorrente atipico), -né il previo accordo. IRRESPONSABILITA’ DELL’AGENTE PROVOCATORE chi, appartenente alle forze dell’ordine o privato cittadino, istighi taluno a commettere un reato, volendo far scoprire e assicurare alla giustizia la persona provocata prima che il reato giunga a consumazione L’INFILTRATO. DEROGHE ALLA NECESSITA’ DEL DOLO DI PARTECIPAZIONE : • responsabilità del partecipe per un reato diverso da quello da lui voluto (art.116 c.p.) qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissioneresponsabilità oggettiva. • responsabilità dell’estraneo per un reato proprio, anche se egli ha ignorato la qualifica soggettiva dell’intraneo, nelle ipotesi in cui la presenza di tale qualifica provoca il mutamento del titolo di reato (art. 117 c.p.) .L’autore di un reato proprio può essere solo l’intraneo (per il principio di legalità). Tali deroghe pongono problemi di compatibilità con il principio di colpevolezza. LA COOPERAZIONE NEL DELITTO COLPOSO : nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso, la pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell’art 111 e nei nn. 3 e 4 dell’art 112. La funzione incriminatrice -cioè la funzione di attribuire rilevanza penale a comportamenti atipici ai sensi delle norme incriminatici dei delitti colposi- riguarda i delitti colposi di evento a forma vincolata e i delitti colposi di mera condotta, non riguarda invece i delitti colposi di evento a forma libera, nei quali è la stessa norma incrimanatrice di parte speciale che attribuisce rilevanza a qualsiasi comportamento umano, connotato da colpa, che abbia fornito un contributo causale al verificarsi dell’evento. → Quanto ai delitti colposi di evento a forma vincolata, si pensi ad es: art 452 c.1 c.p. che punisce il fatto di chi cagiona per colpa un’epidemia mediante diffusione di germi patogeni sarebbe punibile solo lo scienziato che esegua un esperimento utilizzando uno strumento riconoscibilmente difettoso, così da provocare per colpa la diffusione di germi patogeni. → Quanto ai delitti colposi di mera condotta (artt.452 c.2 e 442) che incriminano l’ipotesi colposa di commercio di sostanze alimentari adulterate o contraffatte, integra tale reato, chi pone in commercio cose, delle quali ignori per colpa che sono state da altri corrotte in modo pericolose per la salute pubblica. → Restano estranei alla funzione incriminatrice i delitti colposi di evento a forma libera, come ad es: l’omicidio colposo: chiunque cagioni per colpa un evento penalmente rilevante, aggiungendo per colpa il proprio contributo causale a quello di altre persone, risponde infatti ai sensi della norma incriminatrice di parte speciale. Alcuni elementi strutturali della cooperazione nel delitto colposo sono comuni, anche sotto il profilo della disciplina, al concorso nel delitto doloso:la pluralità di persone, la realizzazione di un fatto di reato e il contributo causale della condotta atipica alla realizzazione del fatto. Peculiare del concorso colposo è il carattere colposo della condotta di partecipazione, come violazione di una regola di diligenza, prudenza o imperizia che ha la finalità di prevenire il riconoscibile realizzarsi del fatto dannoso o pericoloso che integra il delitto colposo. La responsabilità del partecipe non dipende dal carattere colposo o meno del fatto realizzato dall’autore. L’aumento di pena deve essere contenuto entro un doppio limite massimo: la pena finale non può superare né il triplo della pena-base né, l’ammontare della pena che verrebbe applicata se si procedesse al cumulo materiale, cioè alla somma delle pene commisurate per ciascuno dei reati in concorso. Il cumulo giuridico è applicabile anche in caso di concorso fra reati puniti con pene eterogenee, cioè con pene diverse o per specie (reclusione /arresto, multa/ ammenda) o per genere (pene detentive/pene pecuniarie). La giurisprudenza opta per il cumulo giuridico per assimilazione: ritiene cioè che ai fini dell’aumento di pena si debba infliggere per i reati-satellite, ancorché puniti ex lege con pena pecuniaria, una quota di pena detentiva, e cioè una pena dello stesso genere di quella prevista per la violazione più grave. Il cumulo giuridico va operato non per assimilazione ma per addizione.Per determinare la pena complessiva, il giudice deve cioè aggiungere alla pena detentiva quantificata per il reato più grave una pena pecuniaria per il reato-satellite, la cui misura non potrà superare il limite del triplo della pena-base. → CONCORSO APPARENTE DI NORME si individua secondo i criteri di: 1. SPECIALITA’: quando più leggi speciali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito prevale la norma speciale. Una norma è speciale rispetto ad un’altra quando descrive un fatto che presenta tutti gli elementi del fatto contemplato dall’altra (= la norma generale) e inoltre uno o più elementi specializzanti. Specializzante può essere: a) elemento che specifica un elemento del fatto previsto dalla norma generale specialità per specificazione; b) un elemento che si aggiunge a quelli espressamente previsti nella norma generale specialità per aggiunta. 2. SUSSIDIARIETA’: prevale la norma principale,cioè quella che, accanto al bene giuridico protetto dalla norma sussidiaria, tutela anche uno o più beni ulteriori, ovvero reprime un grado di offesa più grave allo stesso bene. L’ipotesi della sussidiarietà tacita ricorrerà quando due norme incriminatrici, alle quali sia contemporaneamente riconducibile il fatto concreto, si pongano tra loro in un rapporto di rango,individuando due figure di reato di diversa gravità, delle quali l’una offenda l’altra, oltre al bene offeso dall’altra, anche un bene ulteriore ovvero rappresenti uno stadio di un offesa più intensa allo stesso bene giuridico. In un rapporto di sussidiarietà tacita si pongono ad esempio la norma che configura il delitto di strage (art.422 c.p) e una serie di norme che configurano altri delitti contro la pubblica incolumità come l’incendio (art. 423 c.p), l’inondazione, frana o valanga, il naufragio, sommersione o disastro aviario. La sussidiarietà, in forma espressa o tacita, può delinearsi anche fra norme incriminatrici che descrivono stadi diversi di offesa allo stesso bene giuridico, come nei rapporti tra reati di pericolo completo e corrispondenti reati di danno. Si pensi ad esempio ad una persona preposta al controllo di un passaggio a livello, la quale ometta per colpa di abbassare le sbarre nel tempo prescritto dai regolamenti ferroviari nell’imminenza del passaggio di un treno: con ciò creando il pericolo di un disastro ferroviario; un disastro che poi in effetti si verifica, mettendo a repentaglio la vita di un numero indeterminato di persone. Questo fatto è riconducibile sia al delitto di pericolo colposo di disastro ferroviario, sia al delitto di disastro ferroviario colposo. Delle due norme incriminatrici troverà però applicazione soltanto la seconda, che esaurisce il disvalore del fatto represso dalla prima norma descrivendo un grado più intenso di offesa al bene della pubblica incolumità. 3. CONSUNZIONE: in virtù del quale la commissione di un reato che sia strettamente funzionale ad un altro e più grave reato comporta l’assorbimento del primo reato meno grave: prevale, pertanto, la norma che prevede il reato più grave. Il principio di consunzione impone un interpretazione restrittiva di quelle figure astratte di reato che sono costruite dal legislatore come il risultato del combinarsi di più reati: in tanto è integrato il reato complesso,in quanto nel singolo fatto concreto sia presente il nesso strumentale e funzionale che è alla base della unificazione legislativa di quei reati. Così ad esempio il furto di abitazione è integrato - con l’estromissione sia del furto semplice, sia della violazione di domicilio- solo nei casi in cui la gente , fin dal momento in cui si introduce arbitrariamente nella abitazione altrui, agisce allo scopo di rubare. Il principio di consunzione trova anche applicazione quando, pur in assenza di una figura astratta di reato complesso, la commissione di un reato sia in concreto strettamente funzionale alla commissione di un altro e più grave reato: si tratta dell’ipotesi che parte della dottrina designa con la formula reato eventualmente complesso. Come espressione del principio di consunzione, il delitto di simulazione di reato (art. 367 c.p) deve considerarsi assorbito nel delitto di calunnia (art.368 c.p) quando la simulazione delle tracce di un reato inesistente sia diretta unicamente a rendere più attendibile la falsa incolpazione. Invece vi sarà concorso di reati quando due fatti siano espressione di attività indipendenti e distinte. b) se gli estremi di più figure legali di reato vengono integrati con una pluralità di azioni od omissioni (=più fatti concreti cronologicamente separati), allora si profila l’alternativa tra: → CONCORSO APPARENTE DI NORME si tratta di: b.1. ipotesi, ispirate alla logica della sussidiarietà, di antefatto non punibile, previste espressamente (es. istigazione a commettere un delitto contro la personalità dello Stato art.302) o tacitamente ( es. il reo prima percuote la vittima, e dopo decide di ferirla e la ferisce, art. 582); O b.2. ipotesi, ispirate alla logica della consunzione, di postfatto non punibile, previste espressamente (es. ricettazione art.648) o tacitamente (es. il reo prima ruba la cosa altrui, art 624, e poi la distrugge, art 635: si applica solo l’art. 624). NORME A PIU’ FATTISPECIE Accade non di rado che una sola disposizione di legge preveda una serie di fatti, ai quali ricollega la stessa pena Norme a più fattispecie = norme miste e alternative Disposizioni a più norme = norme miste cumulative. L’interpretazione dovrebbe sempre condurre a ravvisare un unico reato, trattandosi della violazione di un’unica norma giuridica incriminatrice. Il tratto comune a queste ipotesi è che i vari fatti descritti all’interno dell’unica disposizione rappresentano, sul piano sostanziale, o altrettanti gradi di offesa ad uno stesso bene giuridico, oppure modalità diverse di offesa a quel bene. L’inclusione di quelle diverse, o più o meno intense, offese a un medesimo bene giuridico all’interno di un'unica disposizione, con la previsione della stessa pena, parla nel senso di una unificazione legislativa di quei vari fatti, con la creazione di un'unica norma incriminatrice, la cui violazione darà vita ad un unico reato. La molteplicità dei fatti commessi dall’agente non sarà priva di qualsiasi rilevanza: il giudice terrà conto del numero o della gravità dei fatti concreti nella commisurazione della pena all’interno della cornice di tale. Ove la legge lo disponga espressamente, la pluralità dei fatti concreti potrà integrare una circostanza gravante. È il caso della bancarotta fraudolenta (art.216 l.fall.), bancarotta semplice (art.217 l.fall.) ed del ricorso abusivo al credito (art 218 l.fall.): l’art. 219 c.2 n.1 l. fall. dispone infatti che le pene stabilite negli articoli suddetti sono aumentate se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati. → CONCORSO MATERIALE DI REATI : si caratterizza per la presenza di una pluralità di azioni o di omissioni → e sotto questo profilo rileva ancora una volta l’esistenza di una cesura temporale tra le plurime violazioni della stessa norma (concorso materiale omogeneo) o tra le violazioni di diverse disposizioni di legge ( concorso materiale eterogeneo) (purchè risultino commessi davvero più reati), al quale la legge riserva il trattamento sanzionatorio del cumulo materiale delle pene (applicazione di tutte le pene, tra loro sommate, previste per i singoli reati, entro i limiti massimi previsti dall’art. 78). Esempio di concorso materiale di reati commissivi: dopo aver commesso un furto nella abitazione di Caio, senza riuscire a svuotarla del tutto, il giorno successivo Tizio penetra di nuovo in quell’appartamento, completando la razzia dei beni; Tizio spara a Caio con l’intenzione di ucciderlo, ma i colpi vanno a vuoto, e alcuni giorni dopo gli spara di nuovo ma ancora senza successo (concorso materiale di tentativi di omicidio). Ancora. Tizio è solito partecipare, il sabato notte, a gare automobilistiche clandestine, che si svolgono su normali strade aperte al traffico: se accade che in un’occasione Tizio investe un ignaro passante, provocandogli lesioni gravi, e la settimana successiva, per nulla ammaestrato da quel primo episodio, gareggia di nuovo, questa volta provocando la morte di un altro automobilista, si avraà un concorso materiale tra il delitto di lesioni personali colpose gravi (art.150 c.2 c.p.) e il delitto di omicidio colposo (art. 589 c.p.): si tratterà, in questo caso, di un concorso materiale eterogeneo. Quanto al concorso materiale di reati omissivi, si può pensare al caso di un datore di lavoro che, omettendo per colpa di far riparare un dispositivo di sicurezza di una macchina, cagioni una lesione personale ad un operaio; sordo all’ammonimento che dovrebbe derivare da un simile evento, quel datore di lavoro seguita a violare il suo dovere di garanzia, cosicché, nei giorni di successivi, altri operai vengono feriti, ed anzi si verifica un incidente mortale. Si configurerà in tal caso un concorso materiale tra delitti di lesioni colpose mediante omissione e di omicidio colposo mediante omissione. Se, però, i reati in concorso materiale tra loro, sono esecutivi di un medesimo disegno criminoso (=programma di realizzare più reati dolosi, che si forma nella mente dell’agente prima dell’inizio dell’esecuzione del primo di tali reati) si è in presenza di un reato continuato, cui si applica il trattamento sanzionatorio del cumulo giuridico delle pene. IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO:Il concorso materiale è assoggettato al cumulo materiale delle pene, ancorché temperato dalla fissazione di limiti massimi per ciascuna specie di pena: in ogni caso, la pena complessiva non può essere • hanno l’effetto di aggravare o attenuare la pena commisurata dal giudice per il reato semplice. IDENTIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE e la loro distinzione dagli elementi costitutivi. CIRCOSTANZA O ELEMENTO COSTITUTIVO? (es. indebolimento permanente di un senso o di un organo è circostanza aggravante del delitto di lesioni personali di cui all’art. 582, o è elemento costitutivo di un autonomo delitto di lesioni personali gravi di cui all’art. 583 c 1?). 1. Rilevanza della distinzione: Se circostanza… -soggetta al giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 (salvo eccezioni espresse); -per la sua imputazione, normale basta la colpa, se si tratta di aggravante (art.59 c.2); normalmente basta la sua oggettiva presenza, se si tratta di attenuante (art. 59 c.1); -non incide sul tempus e sul locus commissi delicti; -in caso di concorso di persone nel reato, è soggetta alla disciplina dell’art.118. Se elemento costitutivo… -non soggetto al giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69; -per la sua imputazione, necessario il dolo, salva espressa previsione della colpa (art. 42 c.2); -incide sul tempus e sul locus commissi delicti (con le conseguenti ricadute su configurabilità del tentativo, dies a quo nella prescrizione e applicabilità della legge penale italiana nello spazio); -in caso di concorso di persone nel reato, è soggetto alla disciplina degli artt. 110,116 e 117. 2) Criteri di distinzione: a favore della natura di circostanza: -rapporto di specialità (necessario ma non sufficiente); -espressa qualificazione come circostanza nella rubrica o nel testo della norma; -espresso rinvio a giudizio di bilanciamento tra circostanze di cui all’art. 69; - presenza, nel testo della legge, di formule quali “la pena è aumentata” o “la pena è diminuita”, non accompagnate da ulteriori indicazioni. a favore della natura di elemento costitutivo: -presenza di un apposito nomen iuris nella rubrica della norma(criterio formale). I DELITTI AGGRAVATI DALL’EVENTO : è controverso se l’evento aggravante debba essere considerato circostanza del reato ovvero elemento costitutivo di un’autonoma figura di reato, la cui peculiarità starebbe nel fatto che l’evento, doveva essere imputato all’agente a titolo di responsabilità oggettiva, mentre dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illeggittimità costituzionale di tale forma di responsabilità deve essere dovuto almeno a colpa dell’agente. Il codice sembra orientato in linea di principio nel senso dell’inquadramento dell’evento come elemento costitutivo di autonome figure delittuose. Delitti aggravati dall’evento caratterizzati da un fatto base punito per la sua oggettiva pericolosità vs un dato bene giuridico, mentre l’evento aggravante esprime la traduzione di quel pericolo nella lesione dello stesso bene. Fisionomia delle circostanze aggravanti che solo eccezionalmente si riferiscono ad un evento:in questo caso si tratta delle stesso evento costitutivo del reato-base, del quale acquista rilievo un particolare connotato di gravità. Es: aggravanti della truffa, una figura di reato che ha come elemento costitutivo il danno e prevede come circostanza aggravante la produzione di quel danno a carico dello Stato o di un altro ente pubblico. Questa differenza strutturale tra delitti aggravati dell’evento e circostanze aggravanti viene calpestata dal legislatore in alcune sporadiche ipotesi, nelle quali etichetta espressamente o implicitamente come circostanze aggravanti eventi che pure esprimono il tradursi in danno del pericolo immanente al reato-base: sono i casi ad esempio, della condanna conseguente a taluni delitti contro l’amministrazione della giustizia e delle lesioni o della morte conseguenti all’omissione di soccorso. Al di fuori di questi casi, gli eventi che esprimono la traduzione in danno del pericolo immanente al reato-base sono elementi costitutivi di altrettante figure autonome di reato. Dopo la riforma del 1974 sono incluse nell’area applicativa del giudizio di bilanciamento anche le circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella prevista per il reato-base o determina la misura della pena in modo indipendente da quella del reato-base: e proprio con l’una o l’altra di queste tecniche la legge prevede normalmente la pena per i delitti aggravati dall’evento. Qualificare l’evento aggravante come circostanza significava attrarlo nel giudizio di bilanciamento, aprendo così la strada alla scomparsa di quell’evento ai fini della pena, ogniqualvolta il giudice ritenesse equivalenti o addirittura prevalenti circostanze attenuanti presenti nel caso concreto. Si pensi, ad esempio, a quel che accade del trattamento sanzionatorio della rissa seguita da morte ove si inquadri l’evento-morte tra le circostanze del reato: se una qualsivoglia attenuante viene considerata equivalente o prevalente rispetto a quella aggravante, la cornice edittale di pena passa da tre mesi-cinque anni di reclusione a 5-309 euro di multa. Una tale bagatellizzazione di un reato offensivo del bene della vita è incompatibile con ogni esigenza di proporzione tra gravità del reato e misura della pena. LA CLASSIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE • COMUNI quelle previste per un numero indeterminato di reati, cioè per tutti i reati con i quali non siano incompatibili (es. quelle di cui agli artt.61,62 e 62 bis, 111,112 e 114). • SPECIALI quelle previste per uno o più reati determinati (es.quelle di cui all’art.625 bis); • AGGRAVANTI quelle che comportano un inasprimento della pena commisuarata dal giudice per il reato semplice (es.quelle di cui all’art.625). • ATTENUENTI quelle che comportano una mitigazione della pena commisurata dal giudice per il reato semplice (es.quelle di cui all’art.625). • A EFFICACIA COMUNE quelle che comportano un aumento o una diminuzione fino ad 1/3 della pena che dovrebbe essere inflitta per il reato semplice (es. l’aggravante di cui all’art.580 c.2 parte prima o l’attenuante di cui all’art. 323 bis). • A EFFICACIA SPECIALE: a) quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa rispetto a quella prevista per il reato semplice: circostanze autonome (es. le aggravanti dell’omicidio doloso di cui agli artt. 576 e 577); b) quelle per le quali la legge prevede una cornice di pena diversa da quella prevista per il reato semplice: circostanze indipendenti (es. le aggravanti del furto di cui all’art. 625); c) quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad 1/3 (v. art. 63 c. 3): circostanze a effetto speciale (es. circostanza attenuante dei < casi di minore gravità> di violenza sessuale, di cui all’art. 609 bis c. 3). • DEFINITE (O TIPICHE) quelle i cui elementi costitutivi sono compiutamente descritti dalla legge (es. le aggravanti di cui all’art. 61 e le attenuanti di cui all’art. 62). • INDEFINITE (O DISCREZIONALI) quelle la cui individuazione, in assenza di ogni tipizzazione legislativa o cmq di una compiuta tipizzazione legislativa, è rimessa alla discrezionalità del giudice (es. circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis, circostanze attenuanti della “lieve entità del fatto” di cui all’art. 311). • OGGETTIVE (v. art. 70 c.1 n.1) quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell’offeso (es. l’aver cagionato nei delitti contro il patrimonio un danno patrimoniale di rilevante gravità, art. 61 n.7). • SOGGETTIVE (v. art. 70 c.1 n.2 e c.2) quelle che concernono l’intensità del dolo o il grado della colpa, le condizioni e qualità personali del colpevole, i rapporti fra il colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole (inerenti alla persona del colpevole= riguardanti l’imputabilità e la recidiva) (es.: l’aver agito per motivi abbietti o futili, art. 61 n.1). L’IMPUTAZIONE DELLE CIRCOSTANZE (art.59, come modificato dalla l.19/1990) La disciplina originariamente prevista nel codice del 1930: secondo l’originario dettato dell’art. 59 c.p., le circostanze sia aggravanti sia attenuanti rilevavano di regola obiettivamente: si applicavano cioè anche se non conosciute dall’agente o per errore ritenute inesistenti. Es: Tizio, animato da odio nei confronti di Caio, si introduce nell’abitazione di quest’ultimo e lo devasta, distruggendo tra l’altro un rarissimo vaso antico. Tizio si sarebbe visto applicare la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità anche se, essendo uomo di modestissima cultura, ignorava né poteva sospettare l’ingente valore, anche economico, di quell’oggetto. Se poi un analogo fatto di danneggiamento viene compiuto su quella che l’agente ritiene una riproduzione di un vaso antico, e come tale dotata di scarsissimo valore economico, mentre in realtà si tratta di un prezioso oggetto autentico, all’agente, poteva applicarsi l’aggravante, anche se egli non poteva rendersi conto che si trattava di un vado autentico. LA DISCIPLINA VIGENTE :per effetto della l. 7 febbraio 1990 n.19, la disciplina dell’imputazione delle circostanze ha conosciuto modificazioni: 1. è rimasta ferma l’irrilevanza delle circostanze aggravanti e attenuanti erroneamente supposte dall’agente se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.; 2. del pari è rimasta ferma la rilevanza oggettiva delle circostanze attenuanti. Le circostanze che attenuano la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti; 3. è mutata radicalmente la disciplina delle circostanze aggravanti: abbandonando la logica del versari in re illecita, alla base della rilevanza obiettiva prevista dal codice del 1930, il legislatore del 1990 ha armonizzato l’imputazione delle circostanze aggravanti al principio di colpevolezza, 4)DEROGHE IN CASO DI ERRORE SULLA PERSONA DELL’OFFESO (art.60). → non ci sono. • Queste deroghe non operano (si torna, quindi, alle regole generali) se si tratta di circostanze che riguardano l’età o altre condizioni o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa (art.60 c.3). L’APPLICAZIONE DEGLI AUMENTI O DELLE DIMINUZIONI DI PENA a) una sola circostanza Se è presente nel caso concreto una sola circostanza aggravante o attenuante, l’art.63 c.1 c.p. impone al giudice di procedere come segue: quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire. La determinazione della pena dovrà perciò avvenire con un giudizio bifasico: ■ fase 1: il giudice quantificherà la pena per il reato semplice, secondo i criteri di commisurazione indicati dall’art.133 c.p.; ■ fase 2: procederà all’aumento o alla diminuzione di pena conseguente alla circostanza. Queste 2 fasi dovranno emergere nella sentenza, dove dovrà essere indicata sia la pena per il reato semplice; sia la misura dell’aumento o della diminuzione operati per effetto della circostanza, aggravante o attenuante. All’interno del procedimento bifasico per la determinazione della pena per il reato circostanziato, si pine il problema dei rapporti tra circostanze del reato e criteri di commisurazione della pena in senso stretto. Le circostanze aggravanti e attenuanti attribuiscono una particolare rilevanza a connotazioni del reato o della personalità del suo autore già di per sé riconducibili a questo o a quel criterio di commisurazione della pena. La circostanza aggravante o attenuante, in ragione del rapporto di specialità che intercorre con il corrispondente criterio di commisurazione della pena, mette fuori gioco tale criterio cioè quel criterio potrà essere applicato solo per aspetti diversi da quelli isolati dal legislatore ed assunti ad oggetto della circostanza.Es: tra le “modalità dell’azione”nella bigamia, il giudice potrà tener conto solo di modalità diverse dall’induzione in errore: tra le “condotte susseguenti”al furto, potrà tener conto solo di condotte diverse da quelle descritte nell’art. 630 bis c.p.. Il giudice non potrà dunque fare una doppia valutazione dello stesso elemento, sia nella determinazione della pena-base(pena che applicherebbe al reato semplice), sia ai fini dell’aumento o della diminuzione di quella pena. Nel caso in cui la norma di legge che prevede la singola circostanza non specifici la misura dell’aumento o della diminuzione di pena, la pena per il reato semplice dovrà essere aumentata o diminuita fino a 1/3. Al fine di determinare la misura dell’aumento o della diminuzione da apportarsi alla pena per il reato semplice, il giudice deve scomporre la fattispecie astratta della circostanza aggravante o attenuante in una scala continua di fattispecie, individuando una serie di ipotesi tutte riconducibili a quella circostanza, graduate secondo la loro gravità se si tratta di circostanza aggravante ovvero secondo la loro tenuità se si tratta di circostanza attenuante: all’interno di tale “scala” il giudice collocherà la circostanza del caso concreto, per stabilire il suo grado di “intensità”. La pena della reclusione da applicarsi per effetto dell’aumento determinato da una sola circostanza aggravante ha un limite massimo: non può superare gli anni 30. Nel caso di una sola circostanza attenuante, alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione da 20 a 24 anni. Qualora sia presente nel caso concreto una sola circostanza per la quale la legge preveda un aumento o una diminuzione della pena superiore ad 1/3 (circostanza a effetto speciale), quel maggior aumento o quella maggiore diminuzione verranno calcolati a partire dalla pena-base fissata dal giudice per il reato semplice, secondo il criterio dell’intensità della circostanza. Qualora la circostanza presente nel caso concreto sia una circostanza autonoma (per la quale la legge prevede una pena di specie diversa da quella prevista per il reato semplice, individuando un’apposita cornice di pena) o una circostanza indipendente (per la quale la legge prevede una cornice di pena diversa da quella prevista per il reato semplice), il giudice sceglierà la pena all’interno del nuovo spazio edittale utilizzando i criteri generali di commisurazione della pena fissati dall’art. 133 c.p.:in questo caso la commisurazione della pena per il reato circostanziato si svolgerà non in 2 fasi (la 1° dedicata alla determinazione della pena per il reato semplice, la 2°all’aumento o alla diminuzione per la circostanza), bensì in un’unica fase, nella quale il giudice valuterà complessivamente sia la gravità del reato, sia la capacità a delinquere del colpevole. b) concorso omogeneo di circostanze se concorrono più circostanze tutte aggravanti o attenuanti, e per ciascuna di esse è previsto un aumento, o rispettivamente, una diminuzione di pena fini ad 1/3, l’aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente. La pena risultante dagli aumenti o dalle diminuzioni conseguenti al concorso di più circostanze aggravanti o di più circostanze attenuanti a efficacia comune soggiace ad una serie di limiti fissati rispettivamente agli artt. 66 e 67 c.p. L’applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena in caso di concorso omogeneo di circostanze alcune delle quali ad efficacia speciale(circostanze autonome, indipendenti e a efficacia speciale) è disciplinata rispettivamente nell’art.63 c.3 c.p. questo menziona solo le circostanze autonome e quelle a effetto speciale e quelle indipendenti dall’art 62 c. 3,4 e 5, cioè tutte le circostanze a efficacia speciale. Nel caso in cui una circostanza a efficacia speciale concorra con una o più circostanze a efficacia comune (tutte aggravanti i attenuanti, il giudice applicherà per 1° la circostanza a efficacia speciale poi il giudice procederà all’aumento o alla diminuzione fino ad 1/3 per la circostanza a efficacia comune. (Nell’art.63 c.4 e 5 c.p.) il legislatore disciplina l’ipotesi in cui concorrano fra loro più circostanze a efficacia speciale, tutte aggravanti o tutte attenuanti. In tali ipotesi vige il principio di sussidiarietà : se si tratta di circostanze aggravanti , si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; se invece si tratta di circostanze attenuanti, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per la predette circostanze. Cioè: tra più circostanze aggravanti a efficacia speciale se ne applica una sola, e cioè quella che comporta la pena più grave, esempio: se una circostanza che comporta , luogo della multa, la reclusione concorre con una circostanza che comporta un aumento della pena della multa superiore ad 1/3, il giudice terrà conto soltanto della 1° circostanza e applicherà la pena della reclusione. Tra più circostanze attenuanti a efficacia speciale si applica soltanto quella che comporta la pena meno grave; e la pena così determinata può essere ulteriormente diminuita fino ad 1/3, esempio: se una circostanza attenuante che comporta il passaggio dalla pena della reclusione a quella della multa concorre con una circostanza che comporta una diminuzione della pena della reclusione superiore ad 1/3, il giudice terrà conto soltanto della 1° circostanza e applicherà la pena della multa, eventualmente diminuita entro il limite generale di 1/3. c) il concorso eterogeneo di circostanze quando un reato sia corredato , in concreto, da 2 o più circostanze, una o alcune delle quali aggravanti e l’altra, o le altre, attenuanti, in tal caso il giudice deve procedere al bilanciamento delle circostanze concorrenti (art 69 c.p.) che può avere un triplice esito: 1. la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti; 2. “ “ aggravanti sulle attenuanti; 3. o l’equivalenza delle une con le altre. Se il giudice ritiene prevalenti le attenuanti, applica soltanto le relative diminuzioni di pena, non tenendo conto della aggravanti. Se viceversa il giudice ritiene prevalenti le aggravanti , non tiene conto delle attenuanti e opera solo gli aumenti di pena per le aggravanti. Se il giudice ritiene equivalenti le aggravanti e le attenuanti, applicherà la pena che avrebbe inflitto se non fosse stata presente alcuna circostanza. Al giudizio di bilanciamento partecipano tutte le circostanze aggravanti e attenuanti. TRE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI: 1. Recidiva reiterata (art.99 c.p.); 2. la determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile (art.111. c.p.); 3. l’aver determinato al reato un minore di 18 anni, o una persona in stato di infermità o deficienza psichica ovvero l’essersi avvalso di una di tale persone per commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza(112 c.1 e 4 c.p.). Ulteriori eccezioni espresse dalla disciplina dettata dall’art.69 c.p. sono sono previste per alcune circostanze aggravanti. Il legislatore non esclude che l’aggravante partecipi al giudizio di bilanciamento, ma si limita a vietare la prevalenza delle attenuanti; altre volte, invece, il legislatore estromette la circostanza aggravante dal giudizio di bilanciamento, stabilendo che il relativo aumento di pena debba essere sempre applicato. La legge non fornisce nessun criterio per orientare il giudice nella valutazione comparativa delle circostanze concorrenti. Tale criterio non può essere fornito dal numero delle circostanze da bilanciare: al limite, una sola circostanza aggravante o attenuante può essere considerata prevalente su più circostanze di segno opposto: le circostanze in concorso con vanno “contate”, ma “pesate. Il giudice come deve procede al bilanciamento delle circostanze? Il bilanciamento va operato soltanto fra le circostanze, aggravanti e attenuanti. Se, ad esempio, una circostanza aggravante è presente nel caso concreto così da meritare l’aumento di pena nella misura massima, tale circostanza prevarrà su una attenuante che di per sé meriterebbe una diminuzione nella misura minima o in misura prossima al minimo. Tale criterio può soccorrere solo in limitati casi: quelli in cui concorrano due circostanze ad efficacia comune. evento, ma ritiene per colpa che quell’evento non si realizzerà nel caso concreto, e ciò in quanto , per leggerezza, sottovaluta la probabilità del suo verificarsi ovvero sopravvaluta le proprie o altrui capacità di evitarlo. La circostanza è applicabile solo ai delitti. Per le contravvenzioni della colpa cosciente, il giudice terrà conto sotto il profilo del “grado della colpa”, nel commisurare la pena all’interno della cornice edittale. L’aggravante della colpa cosciente sembra applicabile anche ai casi di eccesso colposo nelle cause di giustificazione, quando l’agente si renda conto, ad esempio, che la sua difesa potrebbe provocare un evento lesivo sproporzionato all’aggressione e ritenga per leggerezza che quella previsione non si avvererà. Applicabile anche alle ipotesi di erronea supposizione di commettere il fatto in presenza di una causa di giustificazione, quando l’agente abbia previsto la possibilità, ad esempio,dell’inesistenza di un’aggressione da cui difendersi, ma per leggerezza abbia concluso che l’aggressione era reale. Evento = espressione ellittica che sta per evento antigiuridico, con la conseguenza che il rimprovero di colpa potrà riferirsi sia al verificarsi dell’evento, sia all’antigiuridicità dell’evento. 4. L’avere adoperato sevizie(sevizia è ogni sofferenza fisica inferta alla vittima, che non è necessaria per la commissione del reato, ma esprime una scelta da parte dell’agente, o l’avere agito con crudeltà verso le persone(chi infligge alla vittima o ad un terzo una sofferenza morale, rivelatrice di mancanza di umanità:anche in questo caso deve trattarsi di una sofferenza non necessaria per la commissione del reato). 5. L’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o la privata difesa (l’aggravante della “minorata difesa” si riferisce ad una serie di situazioni ,legate a fattori ambientali o personali, per effetto delle quali la vittima non può adeguatamente difendersi né essere difesa). Tra le circostanze di tempo che possono rilevare si annoverano una pubblica calamità o un’interruzione dell’energia elettrica; tra le circostanze di luogo, l’assenza di tutti gli abitanti di un palazzo a ferragosto; tra le circostanze di persona, uno stato di particolare inferiorità della vittima, dovuto, ad esempio, ad ubriachezza, a deficienza psichica o a decadenza senile, oppure le eccezionali capacità fisiche o di persuasione dell’autore del reato. 6. L’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato. Esempio, in caso di latitanza, Art. 296 c.p., non applicabile all’evaso a meno che non sia equiparato al latitante. L’art. 61 n.6 c.p. non abbraccia neppure la situazione di chi si sottrae a un provvedimento che abbia disposto gli arresti domiciliari, il divieto di espatrio o l’obbligo di dimora.L’agente deve sottrarsi volontariamente all’esecuzione dei provvedimenti restrittivi, l’aggravante risulta applicabile solo se l’agente sia a conoscenza di essere ricercato: una conoscenza che deve essere accertata dal giudice casi per caso, in base a elementi oggettivi e soggettivi certi. 7. L’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che cmq offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità Es: reati plurioffensivi, cioè peculato: il fatto del pubblico ufficiale che si appropria di denaro o di altra cosa mobile che possiede in ragione dell’ufficio. La rilevante gravità del danno patrimoniale (danno emergente e lucro cessante), deve essere valutata secondo un criterio oggettivo, offerto dal valore intrinseco della cosa, indipendentemente dalle condizioni economiche della persona offesa Es: una truffa che abbia provocato un danno patrimoniale di un milione di euro è senz’altro applicabile l’aggravante in esame, anche se la vittima è una società che ha un patrimonio complessivo di miliardi di euro. Un criterio soggettivo, correlato alle condizioni economiche della vittima, entra in gioco solo in via sussidiaria, nei casi in cui il danno patrimoniale non sia in sé elevatissimo, ma comporti effetti di grande momento proprio in ragione delle modeste condizioni economiche della vittima Es: furto di un’auto di piccola cilindrata commesso ai danni di una persona non abbiente, che l’abbia acquistata di recente, non abbia provveduto ad assicurarsi contro il furto e stia faticosamente pagando a rate il prezzo d’acquisto. Circa il momento in relazione al quale va valutata l’entità del danno patrimoniale, decisivo è il momento consumativo del reato, mentre non rilevano vicende intervenute successivamente Es: un funzionario di banca che storni a proprio favore alcuni titoli obbligazionari, lasciati in custodia da un cliente. Il danno prodotto alla persona offesa resta di rilevante gravità anche se dopo la consumazione dell’appropriazione indebita il valore dei titoli è crollato rovinosamente, per effetto di una grave crisi della società emittente. 8. L’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso. Questa circostanza aggravante presuppone la commissione di un qualsivoglia delitto, doloso o colposo,consumato o tentato, e consiste in una condotta successiva con la quale l’agente volontariamente aggravi o cerchi di aggravare le conseguenze del precedente delitto; es: chi, avendo cagionato dolosamente o colposamente una lesione personale, ostacola o tenta di ostacolare i soccorsi alla vittima, depistando il medico chiamato a curare il ferito. “Conseguenze del reato” è formula ampia, in grado di ricomprendere anche effetti diversi e ulteriori rispetto all’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, es: sofferenze morali che un omicidio produce ai familiari della vittima. 9. L’avere commesso il fatto con abuso di poteri, o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto. Non basta che il reato venga commesso da chi possiede una di quelle qualità, è necessario l’abuso dei poteri o la violazione dei doveri inerenti a quella qualifica: l’agente deve aver fatto uso dei propri poteri per finalità diverse da quelle per le quali gli sono stati conferiti ovvero deve aver violato uno specifico dovere concernente l’attività del suo ufficio, servizio o ministero. Occorre inoltre che tra la commissione del reato e l’abuso dei poteri o la violazione dei doveri esista almeno un nesso occasionale, nel senso che l’esecuzione del reato deve essere stata resa possibile o quanto meno agevolata dalle attribuzioni dell’agente. Esempio di un infermiere di un ospedale il quale, entrato nella camera di un paziente per eseguire una medicazione, approfitta della situazione per commettere una violenza sessuale (art.609 bis c.p.). Sia l’abuso dei poteri, sia la violazione dei doveri devono essere realizzati consapevolmente: questa circostanza rappresenta una deroga alla disciplina generale dell’imputazione delle circostanze aggravanti. La circostanza aggravante non è applicabile a quei reati nei quali l’abuso dei poteri o la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o alla qualità di ministro di culto è elemento costitutivo del fatto. Esempio di in pubblico ufficiale delitto di concussione. 10. L’avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita delle qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa dell’inadempimento delle funzioni o del servizio (categoria in cui non sono compresi i capi di uno Stato estero né la generalità dei funzionari di un tale Stato). Non basta che il reato venga commesso contro chi riveste una di quelle qualifiche, è necessario che venga commesso o in un momento in cui la vittima sta esercitando le proprie funzioni( nell’atto… delle funzioni o del servizio), ovvero in un momento diverso, ma per una causa inerente alle funzioni (a causa dell’adempimento delle funzioni). Così, ad es, l’aggravante sarà integrata sia nel caso in cui un’automobilista insulti un vigile urbano mentre questi gli contesta un sorpasso vietato, sia nel caso in cui quell’automobilista insulti il vigile non durante l’accesa discussione seguita al sorpasso, ma alcune ore dopo, quando lo incontra casualmente mentre, cessato il servizio, sta passeggiando per strada. Questa aggravante esige la consapevolezza da parte dell’agente della qualità personale del soggetto passivo. 11. L’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità. L’aggravante dà rilievo a situazioni di particolare vulnerabilità del bene giuridico, derivanti da relazioni interpersonali che possono facilitare la commissione del reato. L’abuso di autorità evoca lo sfruttamento di una situazione di preminenza, nell’ambito di un rapporto privatistico, come nel caso del direttore di stabilimento che commetta molestie sessuali ai danni di un’operaia. Relazioni domestiche sono quelle interne alla famiglia in senso lato, anche in assenza di un rapporto di parentela (convivente) o di coabitazione (domestica a ore). Di relazioni d’ufficio può parlarsi a proposito dei rapporti che intercorrono tra chi opera in uno stesso ambiente di lavoro, pubblico o privato, Es: impiegato di un’azienda che sfrutti la vicinanza col tavolo di lavoro di un collega per prendere cognizione di corrispondenza diretta al collega. Relazioni di prestazione d’opera sono, non solo le ipotesi del rapporto o contratto di lavoro, ma tutti quei rapporti giuridici, che in una più vasta e larga accezione, comportano l’obbligo di un facere: si spazia quindi dalla prestazione d’opera di carattere occasionale (Tizio, fattorino di un supermercato, commette un furto d’abitazione approfittando dell’opportunità offerta dalla consegna a domicilio di merce acquistata nel supermercato) alla prestazione nascente da un contratto di trasporto (un autotrasportatore si appropria di merci affidategli da terzi) o da un contratto di agenzia (l’agente di una compagnia di assicurazione si appropria delle somme di denaro affidategli da un cliente a causalità:i più elementari dettami della psicologia insegnano che è caratteristico dell’ira cagionare reazioni incontrollabili e sproporzionate. Non è necessario, ai fini di questa attenuante, che la commissione del reato segua immediatamente al fatto ingiusto, la legge lo richiede quando la provocazione opera come scusante, e non come mera attenuante, nei delitti contro l’onore. L’attenuante può essere integrata quando l’ira segue ad una prolungata fase depressiva o di accoramento, per poi esplodere ad un gesto dell’offensore oppure a qualunque altra circostanza che rinverdisca il ricordo del torto patito. L’attenuante in esame può sussistere anche nel caso di una serie di comportamenti ingiusti, di scarsa entità se considerati uno ad uno, ma che nel loro insieme provochino, per accumulo, lo scoppio dell’ira. Dell’attenuante può giovarsi anche una persona diversa da colui che ha subito il torto, purchè quel torto abbia cagionato in lui una reazione d’ira, sfociata nella commissione del reato. L’attenuante non può trovare applicazione però nel caso in cui il reato venga commesso nei confronti di persona diversa dall’autore del fatto ingiusto, essendo inammissibile che qui sopravviva una sorta di responsabilità collettiva. Non si potrà giovare dell’attenuante, ad esempio, l’automobilista che colpisca con un pugno non chi era alla guida dell’auto che lo ha mandato fuori strada ignorando un segnale di stop, ma la moglie di costui, passeggera dell’auto. 3. L’aver agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza; Questa disposizione valorizza i risultati di indagini psicologiche anche risalenti, dando rilievo all’alterazione dei freni inibitori che una folla di persone può esercitare sulla condotta dei singoli, in particolare se quella folla è agitata da intense passioni, che si manifestano tumultuosamente con grida, invettive, slogan minacciosi. L’influenza emotiva esercitata dalla folla in tumulto, indebolendo i processi volitivi che hanno portato alla commissione del fatto, si traduce in una minore intensità del dolo: pertanto, ai sensi dell’art. 118 c.p., la circostanza non si comunica ai concorrenti nel reato. Per l’applicabilità dell’attenuante è necessario che la commissione del reato sia conseguenza della suggestione della folla in tumulto: deve cioè sussistere un nesso di causalità psichica tra la suggestione che emana dalla folla tumultuante e il reato commesso in concreto. Non ricorrerà l’attenuante quando l’agente di sia determinato a commettere il reato già prima di entrare in contatto con la folla, magari ripromettendosi di approfittare del tumulto per realizzare più facilmente il proprio proposito criminoso. La legge impone un duplice limite all’applicabilità della circostanza: ■ Limite ispirato all’esigenza di non riconoscere un’attenuante di pena a chi agisca all’interno di una situazione di illegalità: la riunione(presenza previamente organizzata di più persone in un determinato luogo)o l’assembramento (riunirsi accidentalmente o improvviso) non devono essere vietati dalla legge o dall’autorità; ■ Riflette una logica di prevenzione speciale vs chi, già incline a delinquere, può trovare ulteriori spinte criminogene nella folla in tumulto: non può infatti giovarsi dell’attenuante chi sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale o delinquente per tendenza. 4. L’essere, nei delitti contro il patrimonio, o che cmq offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere cmq conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità; La prima parte della disposizione descrive una circostanza attenuante speculare all’aggravante di cui all’art. 61 n. 7c.p.: l’aggravante è imperniata su un danno patrimoniale di rilevante gravità, l’attenuante su un danno patrimoniale di speciale tenuità. Speciale tenuità del danno patrimoniale deve essere valutata secondo un criterio oggettivo , offerto dal valore intrinseco della cosa, indipendentemente dalle condizioni economiche ella persona offesa. Delle condizioni economiche della vittima si terrà conto, nei casi in cui il danni patrimoniale sia oggettivamente modesto , ma non risulti tale nel caso concreto perché la vittima è persona con un bassissimo reddito: ad esempio, non potrà beneficiare dell’attenuante chi abbia rubato una vecchia bicicletta, quasi priva di valore commerciale, ma che per il proprietario, povero in canna, ha un più che rilevante valore d’uso. L’ambito applicativo della disposizione in esame è individuato dalla legge nei delitti contro il patrimonio, nei delitti che cmq offendono il patrimonio e nei delitti determinati da motivi di lucro. Quanto all’attenuante prevista per i delitti determinati da motivi di lucro, la speciale tenuità attiene sia al vantaggio patrimoniale che l’agente ha conseguito o intendeva conseguire attraverso il delitto, sia all’evento dannoso o pericoloso inerente al delitto commesso per motivi di lucro. L’attenuante sarebbe applicabile a qualsiasi tipo di delitto, purchè in concreto l’offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice risulti tenue. Autorizzazione dell’applicazione dell’attenuante anche a chi abbia commesso un delitto per conseguire un lucro rilevante, ma in concreto ne abbia ottenuto soltanto uno di speciale tenuità. 5. L’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa. Risulta meno grave quando alla sua realizzazione abbia contribuito volontariamente con una propria condotta la vittima del reato. Es: Tizio spara a Caio per ucciderlo; Caio gravemente ferito, viene ricoverato in ospedale, dove, in preda ad atroci sofferenze, volontariamente si stacca una medicazione, provocandosi un’emorragia che lo conduce alla morte. Tizio risponderà di omicidio doloso, per aver realizzato una condizione necessaria della morte di Caio, ma la sua responsabilità sarà attenuata ai sensi dell’art. 62 n. 5 c.p. Per integrare questa circostanza attenuante occorre che la persona offesa, con la sua condotta, abbia contribuito a realizzare il fatto di reato: l’attenuante è applicabile anche aia reati di mera condotta, dovendo interpretare l’espressione “evento” come sinonimo di “fatto di reato”. Dolo = criterio di attribuzione della responsabilità e l’oggetto del dolo è l’intero fatto, mentre ciò a cui la legge fa riferimento è soltanto il carattere volontario della condotta della vittima. L’attenuante in esame non è compatibile con quelle figure di reato nelle quali una condotta volontaria della vittima è elemento costitutivo del fatto, Es: tra i reati di evento, dell’omicidio del consenziente, e, tra i reati di mera condotta, degli atti sessuali con minorenne, dell’usura, della cessione di sostanze stupefacenti o dello sfruttamento della prostituzione. L’area applicativa di questa circostanza attenuante sembra circoscritta ai reati che offendono beni giuridici individuali(vita, integrità fisica): laddove siano in gioco beni collettivi, non c’è infatti una persona offesa del reato che con la propria condotta volontaria possa contribuire a cagionare il fatto penalmente rilevante; il campo di applicazione di questa attenuante è ridotto. 6. L’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto dall’ultimo capoverso dell’art. 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato. 1°ipotesi:questa disposizione è imperniata sull’integrale e tempestiva reintegrazione patrimoniale conseguente alla commissione di un reato, nella forma del risarcimento del danno, e quando sia possibile, anche in quella della restituzione dei beni di cui è stata privata la vittima. L’attenuante va letta in chiave oggettiva cioè come espressione dell’esigenza di incentivare la reintegrazione del patrimonio del danneggiato dal reato, a condizione che l’intervento risarcitorio sia a qualsiasi titolo riferibile all’imputato. Ciò comporta in materia di circolazione stradale la rilevanza del risarcimento effettuato dalla compagnia di assicurazione che copre i rischi relativi alla circolazione dell’auto di proprietà dell’autore del reato o a lui prestata o locata da un terzo, anche nell’ipotesi in cui il risarcimento avvenga all’insaputa dell’autore del reato. Per espressa indicazione della legge, la riparazione del danno deve essere integrale : il che comporta l’irrilevanza di un risarcimento parziale o della mera promessa di un risarcimento futuro, incorporata ad es: in assegni bancari. In caso di rifiuto della parte lesa, il risarcimento può essere effettuato nella forma dell’offerta reale ai sensi dell’art. 1209 c.c., semprechè il giudice ritenga adeguata a coprire il danno la somma offerta dall’autore del reato. Qualora sia possibile, oltre al risarcimento del danno l’agente deve provvedere alla restituzione delle cose provenienti dal reato (la cosa è stata oggetto di furto o di ricettazione). Sia il risarcimento, sia le restituzioni devono avvenire prima del giudizio, vale a dire prima dell’apertura del dibattimento. 2° ipotesi: prevista dall’art. 62 n. 6 c.p. consiste in un’attività spontanea ed efficace diretta ad elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato. La formula conseguenze dannose o pericolose del reato allude all’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma norma incriminatrice. L’attenuante è applicabile, ad es, nel caso di chi, dopo aver commesso una calunnia (Art.. 368 c.p.), impedisca l’instaurarsi del procedimento penale ritrattando spontaneamente davanti all’autorità giudiziaria l’accusa rivolta all’innocente. L’attenuante può applicarsi all’autore di un reato ambientale che riesca ad eliminare o almeno ad attenuare i danni alla purezza dell’acqua, alla salubrità dell’aria o all’integrità del suolo. 1. L’agente commette un delitto non colposo dopo che è già stato condannato con sentenza definitiva per un precedente delitto non colposo (art.99 c.1); l’istituto della recidiva è stato interessato da un’importante riforma del 2005 che ha irrigidito e inasprito il trattamento della recidiva, dalla sfera applicativa di essa sono stati esclusi i delitti colposi e le contravvenzioni anche quelle commesse con dolo. Affinchè si configuri la recidiva è necessario che la commissione del primo delitto sia stata accertata con una condanna passata in giudicato; e il giudicato si deve essere formato prima della commissione del nuovo delitto. Non è necessario che alla condanna sia seguita l’esecuzione, totale o parziale, della pena. L’art. 99 dà rilievo, ai fini della recidiva,anche: ■ Alle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento); ■ Alle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione della pena, es: amnistia impropria; ■ Alle condanne riportate all’estero. 2. il nuovo delitto deve denotare l’insensibilità dell’agente all’ammonimento derivante dalla precedente condanna (il che presuppone che l’agente conosca tale condanna) e una sua accentuata capacità a delinquere. Perché la commissione del nuovo delitto possa denotare nel caso concreto insensibilità all’ammonimento derivante dalla precedente condanna è necessario che l’agente sia a conoscenza di quella condanna. N.Bpoiché l’accertamento di questo elemento è affidato alla discrezionalità del giudice, si parla comunemente di facoltatività della recidiva. Il potere discrezionale del giudice nell’applicazione della recidiva ha carattere giuridicamente vincolante: l’aumento di pena per la recidiva si legittima in ragione sia della maggiore colpevolezza che connota il nuovo delitto( l’agente non si è lasciato trattenere dall’ammonimento che gli veniva dalla precedente condanna9, sia dalla maggiore capacità a delinquere dell’agente (il nuovo delitto è indice della sua permanente inclinazione a delinquere). NATURA GIURIDICA La recidiva è una circostanza del reato: circostanza aggravante soggettiva, inerente alla persona del colpevole; partecipa al giudizio di bilanciamento. Regime speciale per la recidiva reiterata partecipa al giudizio di bilanciamento ma non può soccombere alle circostanze attenuanti concorrenti. Il giudice dovrà considerare la recidiva prevalente o equivalente rispetto alle attenuanti. La recidiva aggravata e quella reiterata , comportando un aumento della pena superiore ad 1/3, sono circostanze ad effetto speciale. La recidiva è una di quelle circostanze soggettive che non si cominucano ai concorrenti nel reato. 1) FORME: Semplice (art.99 c.1) quando, dopo aver riportato condanna per un delitto non colposo, l’agente ne commette un altro, di qualsiasi specie e gravità, dopo che sono passati oltre 5 anni dalla condanna precedente. In tal caso il giudice, qualora ravvisi nel caso concreto il secondo requisito della recidiva, sulla pena che infliggerebbe per il reato semplice deve operare un aumento di 1/3. Se la pena per il reato semplice è = ad 1 anno di reclusione,l’aumento per la recidiva semplice sarà,obbligatoriamente, pari a 4 mesi. AUMENTI DI PENA: -aumento di 1/3 della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo(art. 99 c.1) PRINCIPALI EFFETTI PENALI: -non fruibilità della detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni. 2) FORME: Aggravata (art.99 c.2), e comporta l’aumento fino alla metà della pena che il giudice infliggerebbe per il reato semplice, in tre ipotesi quando • il nuovo delitto non colposo è della stessa indole di quello precedente • ( recidiva specifica); oppure • il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei 5 anni dalla condanna precedente (recidiva infraquinquennale); oppure; • il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena. Si parla di recidiva monoaggravata se ricorre una sola delle circostanze sopra citate. Se ricorre più di una di quelle circostanze si parla di recidiva pluriaggravata; in tal caso l’aumento di pena è della metà. Reati della stessa indole sono non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo preveduti da disposizioni diverse…, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinano, presentano,nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni. AUMENTI DI PENA: -aumento fino alla metà della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo, se ricorre una sola delle circostanze fra quelle indicate sub 1), 2) o 3) (recidiva monoaggravata:art.99 c.2). -aumento della metà della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo, se ricorrono più circostanze fra quelle indicate sub 1), 2) o 3) (recidiva pluriaggravata: art.99 c.3). PRINCIPALI EFFETTI PENALI: -non fruibilità della detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni; -non applicabilità dell’ amnistia (art.151 c.5) dell’indulto (art.174 c.3) e della prescrizione della pena (art.172 c.7). -condizioni più restrittive per la liberazione condizionale (art176 c.2) e la riabilitazione (art. 179 c.2). 3)FORME: Reiterata (art.99 c.4) quando chi è già recidivo (= è già stato sottoposto in passato ad aumento di pena per recidiva) commette un nuovo delitto non colposo. La misura dell’aumento di pena varia a seconda della forma di recidiva ritenuta nella prima condanna: se si tratta di recidiva semplice, l’aumento è della metà, se è aggravata l’aumento è di 2/3. La recidiva reiterata ha carattere facoltativo. L’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio. Una serie di ipotesi di recidiva obbligatoria è prevista dall’art. 99 co. 5 c.p.: se si tratta di uno dei delitti indicati all’art. 407 co. 2 lett. a) del c.p.p., l’aumento di pena per la recidiva è obbligatorio. I delitti in questione sono gravi:associazione mafiosa e delitti degli associati, delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione; delitti in materia di armi e esplosivi: strage, omicidio doloso, sfruttamento sessuale di minori. AUMENTI DI PENA: -aumento della metà della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo, se la precedente recidiva era semplice. -aumento di 2/3 della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo, se la precedente recidiva era aggravata. PRINCIPALI EFFETTI PENALISe il cumulo delle pene inflitte con le precedenti condanne è inferiore all’aumento che dovrebbe essere apportato per la recidiva secondo le regole ordinarie, l’aumento andrà contenuto entro il limite segnato dalla pena o dalle pene precedentemente inflitte. La recidiva può comportare per il condannato conseguenze sanzionatorie ulteriori rispetto agli aumenti di pena, che si inquadrano tra gli effetti penali della condanna. In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo (art.99 c.6). Effetti: -non fruibilità della detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni; -non applicabilità dell’ amnistia (art.151 c.5) dell’indulto (art.174 c.3) e della prescrizione della pena (art.172 c.7). -condizioni più restrittive per la liberazione condizionale (art176 c.2) e la riabilitazione (art. 179 c.2). Quanto al diritto sostanziale, al recidivo reiterato si applica un trattamento meno favorevole nel quadro del concorso di circostanze(art.69 c.4), del concorso formale di reati e del reato continuato (art.81 c.4), delle circostanze attenuanti generiche (art. 62 bis c.2) e della prescrizione del reato (artt. 157 c.2, e 161 c.2); Quanto al diritto penitenziario e processuale penale, il regime deteriore riguarda i permessi-premio , semilibertà, detenzione domiciliare e affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi più di una volta;il recidivo reiterato non può essere ammesso alla sospensione dell’ordine di esecuzione della condanna: con la conseguenza che per il recidivo reiterato all’accesso alle misure alternative presuppone necessariamente il “passaggio” attraverso il carcere. Oggi, al recidivo reiterato, si riserva uno statuto penale molto severo, infatti è difficile scorgere un fondamento razionale della recidiva reiterata in materia di prescrizione del reato. La maggior parte dei recidivi non sono autori di reati gravissimi ma sono tossicodipendenti, autori di spaccio e/o piccoli reati contro il patrimonio. In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo (art.99 c.6). CIRCOSTANZE CHE RIGUARDANO L’IMPUTABILITA’ Circostanze inerenti alla persona del colpevole, che non si comunicano ai concorrenti nel reato, sono quelle che riguardano l’imputabilità. Si tratta di circostanze attenuanti e aggravanti: tutte a efficacia comune, comportando rispettivamente una diminuzione o un aumento fino ad 1/3 della pena che dovrebbe arresto e ammenda x contravvenzioni Quanto al bene sul quale incidono (libertà personale o patrimonio) si distingue tra pene detentive o restrittive della libertà personale e pene pecuniarie. (Art. 18 c.p.) Sul bene libertà personale incidono anche le nuove pene principali della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità. Le pene detentive Ergastolo Art. 22 c.p. esso è previsto x alcuni delitti contro la personalità dello stato, contro l’incolumità pubblica e contro la vita. Il suo ambito di applicazione si è dilatato x effetto della progressiva sostituzione della pena di morte. L’ergastolo si applica anche quando concorrono + delitti x ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a 24 anni. La pena all’ergastolo è perpetua ma l’art. 176 c.p. prevede x il condannato a tale pena la possibilità di essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena. Tale termine può essere ulteriormente abbreviato x effetto delle riduzioni di pena (45 gg x ogni semestre di pena scontata). Inoltre la riforma penitenziaria del 1986 ha consentito che il condannato all’ergastolo possa essere ammesso, dopo l’espiazione di almeno 10 anni di pena, ai permessi premio, nonché dopo 20 anni di semilibertà. Se la condanna all’ergastolo è stata pronunciata x i delitti di sequestro di persona a scopo di terrorismo o estorsione o di eversione che abbiano cagionato la morte della vittima, il termine dell’ammissione del condannato alla semilibertà è elevato a 26 anni effettivi. Questa pena si ispira oggi all’idea della c.d. esecuzione progressiva, secondo la quale le modificazioni che intervengono negli atteggiamenti sociali del condannato possono tradursi in un regime gradualmente sempre + aperto. Art 22 c.p. il condannato all’ergastolo deve prestare lavoro obbligatorio: il legislatore del 1975 impegna l’amministrazione penitenziaria ad assicurare il lavoro al condannato, che ha la possibilità di prestare lavoro all’aperto e lavoro esterno. Dopo la riforma penitenziaria del 1975 gli stabilimenti destinati all’esecuzione della pena non sono + gli “ergastoli” ma le “case di reclusione”. L’ergastolo è da tempo l’oggetto di seri dubbi di legittimità costituzionale. L’art. 27 cost stabilisce il ritorno del condannato rieducato nella società (ciò l’ergastolo non lo permette). La Corte Costituzionale ha però ripetutamente respinto questioni di legittimità di questo tenore, infatti nega che la funzione e il fine della pena siano solo il riadattamento dei delinquenti e rileva che l’istituto della libertà condizionale consente il reinserimento dell’ergastolano nel consorzio civile. Inoltre successivamente la Corte ha affermato che la pena all’ergastolo attualmente non riveste + i caratteri della perpetuità. La corte afferma anche che sono illegittimi gli art. 17 e 22 c.p. nella parte in cui non escludono l’applicabilità della pena dell’ergastolo al minore imputabile. Un ulteriore problema di legittimità costituzionale è in relazione al carattere fisso dell’ergastolo (contro i principi costituzionali di eguaglianza, colpevolezze e rieducazione). Una comminatoria rigida dell’ergastolo parrebbe legittima solo in casi gravi oggettivamente che corrispondano ad un tipo e ad una costante criminologia univoca. Reclusione e arresto R e A (art 23 e 25 c. p.) sono le pene detentive temporanee, previste rispettivamente x delitti e contravvenzioni. Le differenze di contenuto sono però marginalissime. Un aspetto + significativo riguarda la ripartizione dei detenuti. Il principio della separazione dei condannati alla reclusione dei condannati all’arresto è sancito sia nel c.p. che nell’ordinamento penitenziario. In attuazione di tale principio si distinguono gli istituti x la esecuzione delle pene in caso di arresto e in caso di reclusione. Questa distinzione si annulla nella realtà a causa del sovraffollamento delle carceri. In definitiva la presenza nell’ordinamento di 2 tipi di pene detentive temporanee assolve alla sola funzione di qualificare l’illecito come delitto o come contravvenzione. Le pene di R e di A hanno limiti minimi e massimi diversi: R si estende da 15 gg a 24 anni, A da 5 gg a 3 anni. Tali termini non vincolano però il legislatore. La comminatoria della reclusione in misura superiore a 24 anni non è rara: x sequestro di persona a scopo di estorsione terrorismo o eversione . Se in + vi è la morte della vittima (e circostanze attenuanti) la pena va da 25 anni a 30. Le previsioni di limiti massimi e minimi x R e x A hanno la funzione di integrare le comminatorie indeterminate di pena. Art 23 e 25 c.p. fissano dei limiti invalicabili dal giudice in sede di commisurazione della pena. Nei casi espressamente determinati dalla legge in cui è consentito al giudice superare il massimo di 24 anni,la R non può cmq eccede i 30 anni. Nei casi in cui è esplicitamente consentito al giudice superare il limite massimo di 3 anni, l’arresto può arrivare a 5 anni (x + aggravanti) e fino a 6 anni (x concorso di reati). Permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilità Nel 2000 il legislatore ha attribuito al giudice di pace la competenza relativa ad una serie di reati previsti nel c.p. (tra cui lesioni colpose in ambito di incidenti stradali, percosse, ingiuria, diffamazione, minaccia e danneggiamento) Gli obiettivi sono 2: alleggerire il carico dell’autorità giudiziaria ordinaria e ridurre lo spazio delle pene detentive in relazione a reati numericamente frequenti ma di gravità modesta. Sono state così previste pene limitative della libertà personale (permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilità). Sono pene applicabili indifferentemente ai delitti e alle contravvenzioni. PERMANENZA DOMICILIARE: contenuti modellati sulla detenzione domiciliare : comporta l’obbligo di rimanere presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora o in un luogo di cura, assistenza o accoglienza. Si esegue di solito nei giorni di sabato e domenica, ma su richiesta del condannato può essere scontata continuativamente , ha una durata compresa fra 6 e 45 gg , può aggiungersi il divieto di accedere a specifici luoghi nei gg in cui il condannato non è obbligato alla permanenza domiciliare. LAVORO DI PUBBLICA UTILITA’: consiste nella prestazione di attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo stato, le regioni, le province, i comuni o altri enti. E’ applicabile solo su richiesta dell’imputato. Quando l’imputato lo chiede si istaura un processo di irrogazione della pena bifasico che comporta x il giudice di pace ampi poteri in tema di modalità esecutive della sanzione, all’interno di previsioni dettate dal Ministero della giustizia. Nella prassi del giudice di pace queste nuove pene occupano un ruolo marginalissimo, trovando applicazione quasi esclusiva la pena pecuniaria. (Padova e Bologna sono le città in cui sono + applicate). Pene pecuniarie Multa e ammenda M e A (art. 24 e 26 c.p.) sono sanzioni penali pecuniarie. Il legislatore italiano è stato a lungo criticato per aver attribuito a queste pene uno spazio assai ridotto, manifestando predilezione per le pene detentive. A partire dal 1981 vi è stata una progressiva valorizzazione di M e A quali sanzioni sostitutive della pena detentiva. Contemporaneamente la sfera di applicazione di M e A si è ridotta a favore della sanzione pecuniaria amministrativa x effetto della depenalizzazione (trasformazione in illeciti amministrativi una gamma sempre + vasta di delitti e contravvenzioni). Funzione delle pene pecuniarie: la corte costituzionale ha negato qualsiasi contrasto fra tali sanzioni ed il principio enunciato dall’art. 27 cost “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” tali pene infatti hanno la funzione di intimidazione- ammonimento. Art. 17 c.p. M è pena pecuniaria x delitti, A x contravvenzioni. Il loro importo dal 1 gennaio 2002 è espresso in euro con eliminazione dei decimali. Art. 24 c.p. M: minimo 5 euro,massimo 5.164 euro Art. 26 c.p. A: minimo 2 euro, massimo 1.032 euro. Tali disposizioni valgono ad integrare eventuali comminatorie indeterminate nel minimo e/o nel massimo, inoltre impongono ai giudici limiti invalicabili in sede di commisurazione della pena. Il minimo ed il massimo possono essere derogati dal giudice nei soli casi espressamente determinati dalla legge (presenza di aggravanti, concorso di reati, situazione economica del reo). Questi limiti non vincolano invece il legislatore che può stabilire multe o ammende assai superiori ai massimi generali previsti dal c.p. Art. 24 c.p. II c: per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce solo la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da 5 euro a 2.065. (norma caduta in desuetudine in quanto x la dottrina i motivi di lucro non costituiscono aggravante). M e A possono essere pagate in rate mensili, tale facilitazione può essere accordata dal giudice in relazione alle condizioni economiche del condannato. Il provvedimento può essere adottato solo in situazioni di totale impossibilità di pagare in un’unica soluzione e in casi in cui il mancato frazionamento renderebbe la pena eccessivamente gravosa. Le rate hanno cadenza mensile devono esser tra 3 (3 mesi) e 30 (2 anni e 6 mesi) e l’ammontare di ciascuna non può essere inferiore a 15 euro. Se la pena è inferire a 45 euro è impossibile rateizzarla. Sono presenti nell’ordinamento pene pecuniarie fisse e proporzionali: F = indicate dalla legge nella singola norma incriminatrice in un’unica misura P = dottrina e giurisprudenza ne hanno individuato diversi tipi: proprie: il legislatore costituisce un coefficiente fisso da combinarsi in una operazione di moltiplica con entità variabili fornite dalla fattispecie concreta. Improprie: la base del calcolo di proporzionalità è fissa o al + determinabile dal giudice tra un minimo ed un massimo prefissati ex lege. Conversione delle pene pecuniaria
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved