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DIRITTO PRIVATO- CORSO DI DIRITTO PRIVATO CON CALVO ROBERTO. APPUNTI LEZIONI E LIBRO DI CALVO ROBERTO e ALESSANDRO CIATTI CAIMI., Appunti di Diritto Privato

CORSO DI DIRITTO PRIVATO CON CALVO ROBERTO. APPUNTI LEZIONI E LIBRO DI CALVO ROBERTO e ALESSANDRO CIATTI CAIMI. CAPITOLO 1: FONTI, SITUAZIONI GIURIDICHE E LORO TUTELA CAPITOLO 2: COSE, POSSESSO E DIRITTI REALI CAPITOLO 3: LA TRASCRIZIONE CAPITOLO 4: LE OBBLIGAZIONI E LA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE CAPITOLO 5: IL FATTO ILLECITO CAPITOLO 6: IL CONTRATTO

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 04/09/2020

Clarita.is.a.mood
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Scarica DIRITTO PRIVATO- CORSO DI DIRITTO PRIVATO CON CALVO ROBERTO. APPUNTI LEZIONI E LIBRO DI CALVO ROBERTO e ALESSANDRO CIATTI CAIMI. e più Appunti in PDF di Diritto Privato solo su Docsity! Pagina di 1 91 Corso di DIRITTO PRIVATO Anno Accademico 2019/2020 Secondo Semestre Professore: Calvo Roberto CAPITOLO 1 : LE FONTI, LE SITUAZIONI GIURIDICHE E LA LORO TUTELA III - L’INTERPRETAZIONE 9. L’ARTICOLO 12 DELLE DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE, L’ANALOGIA E LA GIURISPRUDENZA. L’articolo 12 preleggi regola l’interpretazione della legge e stabilisce che: “Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. Tramite questo enunciato il legislatore stabilisce che l’interprete, ossia il soggetto chiamato ad interpretare la legge, deve indagare sul significato esatto degli enunciati: ossia deve corrispondere all’intento del legislatore. Questa prende il nome di intenzione logico-sistematica. Si definisce letterale l’interpretazione quando la ricerca della norma nell’enunciato è molto agevole, visto che vi è corrispondenza tra ambito semantico dell’enunciato e norma; invece, quando si richiede un ragionamento più complicato ed è necessario restringere od allargare l’ambito semantico, si parla di interpretazione restrittiva o al contrario estensiva. Quando nel valutare l’enunciato si guarda alla sua genesi, cioè alla formazione del testo, si parla di interpretazione storica. Nel caso in cui la norma non sia rinvenibile nell’ambito semantico degli enunciati, viene consentito di guardare enunciati riguardanti casi simili o materie analoghe, se ciò consente di ritrovarvi una norma che consenta di risolvere la controversia in maniera conforme ai valori costituzionali. L’articolo 12 preleggi stabilisce che: “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato”. Si parla in tal caso di: • Si parla di analogia legis, se si applica una legge più affine al caso concreto, che abbia più elementi di comunanza, anche se non è una legge che regola in modo esaustivo tale caso. Tale analogia non può mai essere adottata quando la legge è eccezionale come stabilisce l’articolo 14 preleggi, che regola l’applicazione delle leggi penali ed eccezionali: “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”. Non si può parlare di analogia legis con le leggi speciali perché devono essere utilizzate solo per i casi per i quali sono state emesse. • Si parla di analogia iuris se si applicano le regole generali dell'ordinamento giuridico. IV - LA TUTELA DEI DIRITTI E LE PROVE 13. LE SITUAZIONI GIURIDICHE E L’AZIONE. Come stabilisce l’articolo 24 Costituzione: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi”. Il diritto di azione è infatti riconosciuto a tutti e il titolare del diritto può esercitarlo senza bisogno di ricorrere al giudice: di fronte a due situazioni collegate nel rapporto giuridico, il titolare di quella che risulta prevalente sull’altra non può costringere l’altro a tenere il comportamento dovuto ma deve confidare sulla ragione e sulla libera volontà di lui. Diversamente dovrà rivolgersi allo Stato per invocare l’uso della forza tramite l’azione, che è lo strumento con il quale si domanda la protezione giurisdizionale ed è inevitabile per far valere un proprio diritto e per proteggere le situazioni soggettive violate. L’azione è il presupposto per l’esercizio del potere giurisdizionale, poiché la cooperazione Pagina di 2 91 19. IL GIURAMENTO E LE PRESUNZIONI. Il fatto che pure si sia verificato, ma del quale non si sia in grado di darne prova, deve essere considerato dal giudice come non verificato. Il nostro sistema tuttavia consente a una delle parti di sfidare l’altra a giurare sulla verità di un fatto proprio della parte, o di cui abbia conoscenza, per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa (articolo 2736). Se la parte presta il giuramento, la dichiarazione assume forza di prova legale. Se si accerti la falsità della dichiarazione giurata chi ha perduto la causa potrà ottenere il risarcimento del danno subito, questo giuramento viene detto decisorio. Non è ammesso il giuramento per le cause relative a diritti di cui le parti non possono disporre (capacità delle persone) o su un fatto illecito. È inoltre importante fare una distinzione tra il giuramento supplettorio che è quello che viene richiesto dal giudice nel caso in cui la domanda non è pienamente provata, ma non sono del tutto sfornite di prova e il giuramento d’estimazione che potrebbe essere richiesto dal giudice per stabilire il valore della cosa domandata, se non si può fare altrimenti. Non sono invece propriamente mezzi di prova le prove presuntive con le quali si indicano quei ragionamenti che consentono di raggiungere, tramite un fatto provato, il convincimento di un altro fatto. Sono definite dall’articolo 2727: “Sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un atto ignorato”. Si suddividono in: - Presunzione giudiziale è un ragionamento deduttivo, da parte del giudice, da cui si desume la prova di un fatto incerto tramite la valutazione di fatti certi, univoci e concordanti. L’articolo 2729, regola le presunzioni semplici, nel I° comma stabilisce che: “Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”. - Presunzione legale, quando è la legge a stabilire che dall’accertamento di un dato fatto, ne consegue un altro. V - LE PRESCRIZIONI E LA DECADENZA 20. LA PRESCRIZIONE ESTINTIVA E IL NON USO. L’articolo 2934 e seguenti, regolano l’estinzione dei diritti, e stabilisce che: “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”. Ciò vuol dire che il mancato esercizio da parte del titolare del diritto porta alla conseguenza che il diritto viene meno e si estingue. L’estinzione provocata dalla prescrizione opera quando la parte che ne tragga beneficio intenda servirsene: deve quindi domandare al giudice di accertare che si è verificata la prolungata inattività del titolare, poiché la prescrizione non è rilevabile d’ufficio dal giudice. Il debitore che vuol vedere estinto il debito deve espressamente provare la sussistenza di quei fatti che costituiscono fondamento della prescrizione. L’effetto estintivo riguarda tutti i diritti soggettivi, esclusa la proprietà, le situazioni soggettive non patrimoniali e quelle patrimoniali ma non disponibili (ossia non rinunciabili per volontà del titolare). In tali casi non si può tenere conto solo dell’interesse del titolare, poiché si trovano coinvolte anche esigenze di protezione di interessi generali (se il bisognoso non potesse ricevere gli alimenti dai famigliari si troverebbe a gravare sulla collettività intera). Questa disciplina è applicabile, viceversa, ai diritti di credito, mentre richiede di essere adattata e coordinata con altre previsioni per quanto concerne i diritti reali: per questo parliamo in tali ultimi casi di non uso. Non sono soggette a prescrizione le azioni di accertamento. La prescrizione estingue non le azioni ma l’obbligo e la situazione con esso correlata. 21. LA SOSPENSIONE E L’INTERRUZIONE DELLA PRESCRIZIONE. LE PRESCRIZIONI BREVI. Pagina di 5 91 Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può esser fatto valere, cioè da quando il fatto o atto che l’ha originato sia rilevante ed efficace: un fatto impeditivo impedisce il decorso della prescrizione che viceversa corre anche se il titolare si trovi impedito ad esercitarlo. Analizziamo ora differenti ipotesi: - la decorrenza della prescrizione può essere spostata sino al momento in cui il titolare della situazione possa trovarsi in condizione di esercitare il diritto; - la decorrenza della prescrizione può essere sospesa in ragione degli impedimenti materiali in cui il titolare della situazione giuridica si trovi. La causa di sospensione può precedere il decorso del termine di prescrizione o sopravvenire a questo: nel primo caso, il termine sarà posticipato sino al venire meno dell’inadempimento; nel secondo il decorso sarà arrestato e riprenderà, quando sia cessato l’inadempimento; - Determinati eventi cancellano il periodo di tempo già trascorso ai fini della prescrizione, che si trova così azzerato (si parla allora di interruzione della prescrizione). Per quanto riguarda i diritti di credito è prevista l’interruzione del periodo di prescrizione quando il debitore sia costituito in mora o quando lo stesso debitore ammetta l'esistenza del credito, con un suo comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscerlo: la prescrizione si azzera e ricomincia a decorrere ex novo. Il termine ordinario di prescrizione è 10 anni, mentre quello di estinzione dei diritti reali è 20 anni. Termini abbreviati sono previsti per i crediti originati da fatto illecito, questi si prescrivono in 2 o 5 anni. 22. LA PRESCRIZIONE PRESUNTIVA. La prescrizione presuntiva, viene trattata nell’articolo 2954 e seguenti, e si verifica quando alcuni diritti di credito, trascorso un certo periodo di tempo, si presumono estinti a causa della difficoltà che il debitore potrebbe incontrare, dopo quel periodo, nel dimostrare di averli pagati. Si tratta di pagamenti che normalmente avvengono in contanti e di cui in genere non si conserva la quietanza: si pensi al pagamento di un pasto al ristorante o di una camera d’albergo. La presunzione è impedita se la parte, o il debitore, ammettono che l’obbligazione non si è estinta. La presunzione stessa può essere superata chiedendo al debitore il giuramento decisorio, o se è morto ai suoi eredi, coniuge o rappresentati legali. 23. LA DECADENZA SU DIRITTI DISPONIBILI E QUELLA SU DIRITTI INDISPONIBILI. La decadenza è disciplinata agli articoli 2964 e seguenti e consiste in un termine stabilito dalla legge per effetto del quale se il soggetto, titolare di una posizione individuale, non compie certe attività, entro un periodo di tempo che tendenzialmente è breve, Il diritto si estingue. La decadenza riguardante i diritti disponibili non è rilevabile d'ufficio dal giudice e può essere prevista, oltre che dalla legge; anche da contratti o testamenti: tramite cui si può modificarne la disciplina stabilita dalla legge. Le parti possono anche rinunziare alla decadenza prima che si sia compiuta. La decadenza stabilita per contratto, testamento o legge (quando si tratti di diritti disponibili), può essere impedita dal riconoscimento della situazione proveniente dalla persona contro la quale si fa valere la situazione giuridica. Sono nulli i patti e le clausole con le quali si rinunci o si modifichi la disciplina decadenza su diritti indisponibili: qui il giudice può rilevare d’ufficio la decadenza se comporta l’improponibilità dell’azione. La decadenza può derivare da provvedimenti amministrativi o giudiziari: in questo caso non può essere modificata e le parti non vi possono rinunziare. Quei provvedimenti sono invalidi se rendono difficile l’esercizio della situazione giuridica del titolare. Pagina di 6 91 CAPITOLO 2 : LE COSE, IL POSSESSO E I DIRITTI REALI I - LE COSE 1. LE COSE Cose e beni sono due modi differenti di guardare la medesima entità, l’articolo 810 ne regola la nozione e stabilisce che: “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”: le due espressioni indicano tutto ciò che non è una persona e che serve all’uso dell’uomo. La cosa guarda all’oggetto come a un’entità separata dal soggetto, il bene all’utilità che questa può arrecare. Questo significa che per il diritto, anche gli animali vivi (per quanto ripugnante) vanno considerati “cose”. Le cose (o beni) devono essere idonee ad appartenere a una persona in via esclusiva. Non sono quindi cose, in senso giuridico, le cose che appartengono a tutti come l’aria o l’acqua, sino a quando però non vengono (ad esempio) raccolte in un serbatoio per poter servire all’uso di un soggetto. Non è richiesto che le cose appartengano attualmente ad un soggetto, ma che vi sia la possibilità che ciò accada eventualmente. Vanno distinte quelle “corporali” da quelle “incorporali o immateriali”: 1. le prime si caratterizzano per avere una propria esistenza autonoma e per poter essere apprezzate con i sensi; 2. le seconde, invece, sono quelle entità capaci di arrecare un beneficio solamente nella realtà giuridica, quindi metafisica. Un esempio è quello dei diritti soggettivi, quelli di credito… Sono immateriali le opere dell’ingegno, che consiste in una serie di benefici per l’autore o inventore. Un'altra importante distinzione è quella tra le cose fungibili e quelle infungibili a seconda che possano considerarsi in sostanza identiche, e possano essere sostituite indifferentemente le une con le altre: - le prime, sono rilevanti esclusivamente dal punto di vista quantitativo (devono di regola essere pesate, contate o misurate). Esempio di cosa fungibile è il denaro, poiché ciò che rileva è la quantità che se ne ha, non la qualità o il taglio dei biglietti di banca che rappresentano data quantità; - un esempio di cosa infungibile è un immobile, perché non esiste un immobile identico ad un altro per ubicazione, grandezze… Sono invece definite consumabili le cose mobili destinate a perdersi, in senso fisico, quando utilizzate nella loro destinazione normale, come il combustibile o prodotti alimentari. 2. GLI IMMOBILI, I MOBILI E I MOBILI ISCRITTI IN PUBBLICI REGISTRI. La distinzione tra le cose mobili e quelle immobili si rivela di importanza enorme: 1. Gli immobili sono quei beni che rivestono maggiore importanza e son caratterizzati dal fatto di “trovarsi al sole”, nel senso che non possono essere occultati alla vista dei terzi. Secondo l’articolo 812: “Gli immobili sono il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo ma anche i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all'alveo o sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione”. Pagina di 7 91 possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà”. Per l’inizio del possesso si deve anzitutto considerare l’impossessamento, che consiste in un atto unilaterale con il quale il soggetto mostri, attraverso la propria condotta, il suo potere su una cosa mobile o immobile. - Se l’impossessamento ha comportato la cessazione in capo ad un altro soggetto, si dovrà parlare di “spoglio”. Lo spoglio consiste nella privazione duratura e totale del possesso di una cosa mobile o immobile, che comincia in capo allo spoliator, il quale deve aver agito in maniera violenta o clandestina all’insaputa dello spoliatus. Quest’ultimo può reagire attraverso legittima difesa, attraverso l’azione di reintegrazione. - Se la cosa non era posseduta da alcuno o era abbandonata, si parla di “occupazione”, fanno eccezione i beni immobili che se non appartengono a privati, appartengono allo Stato. La consegna (o tradizione) può invece far cominciare sia il possesso sia la detenzione e consiste nell’attribuzione del potere sulla cosa ad un soggetto, con il consenso di chi lo aveva in precedenza. Ciò accade spesso quando il possesso comincia in capo a chi aveva già la detenzione. Il detentore avendo già disponibilità materiale della cosa non potrebbe cominciare a possedere. Se non c’è il consenso del possessore si richiede, invece, l’interversione che è quindi l’atto con cui il detentore, che fino a quel momento godeva della cosa, disconosce l’altruità del bene e tramuta la detenzione in possesso, comportandosi da quel momento in avanti come se fosse il proprietario. Essa può verificarsi in tre casi, nei primi due non c’è il consenso il possessore, mentre nel terzo c’è il consenso del possessore. - Se intende dare inizio al possesso può affermare l’esistenza del proprio potere, mediante comportamenti che manifestino al possessore mediato l’intenzione di volersi sostituire a lui. Si parla in tal caso di opposizione, per indicare un atto unilaterale dal quale risulti l’intenzione del detentore di trasformare la detenzione in possesso; - Il possesso può inoltre iniziare attraverso un atto giuridico di un terzo non proprietario invalido o inefficace, che gli trasferisca un diritto reale sulla cosa; - Più semplice è l’ipotesi in cui il possessore mediato consenta al detentore di iniziare il possesso: quest’ultimo si sostituisce quindi al primo. Si parla di “tradito brevi manu”. Deve anche essere considerato il caso in cui un soggetto cessi di possedere in favore di un altro che inizia un nuovo possesso, mentre la detenzione resta in capo al dante causa (ad esempio vendo il mio alloggio ma contestualmente l’acquirente me lo concede in locazione) oppure in capo a un terzo. Si parla di “costituto possessorio” quando il possessore precedente consente al venditore di trasformare il possesso della cosa in detenzione, cioè può conservare il godimento della cosa. Il possesso termina quando cominci in capo al terzo che si sia impossessato della cosa, o in favore del quale si sia compiuta l’introversione o al quale la cosa sia stata consegnata. Termina anche per il perimento della cosa, per l’abbandono di questa o per fatti naturali che impediscano di esercitare il potere. 7. L’ACCESSIONE E LA SUCCESSIONE NEL POSSESSO. Colui al quale sia trasferito un diritto a titolo particolare, in virtù di una successione tra vivi o per causa di morte, può unire al proprio possesso quello appena trasferito per goderne gli effetti: la legge parla in tal caso di accessione nel possesso, che viene regolato dall’articolo 1146. Pagina di 10 91 La successione nel possesso si produce invece in maniera automatica, in capo a chi acquisti “a causa di morte e a titolo universale”, cioè chi abbia accettato l’eredità. Quindi, la morte non interrompe il potere di fatto sulla cosa, che continua in capo a chi gli si sostituisce mantenendo gli stessi caratteri che aveva: ciò accade anche contro la volontà dell’erede. 8. LA DURATA DEL POSSESSO E IL MODO PER DARNE LA PROVA IN GIUDIZIO. IL POSSESSO DI BUONA FEDE. In alcuni casi la legge richiede che il possessore provi di aver posseduto continuativamente per un determinato periodo di tempo. Tuttavia è difficile dimostrare che tale condotta è perdurata per un intervallo cronologico stabilito. Per ciò, l’articolo 1142 presume, sino a prova contraria, la continuità del potere nell’intervallo compreso tra due istanti in cui si provi di averlo avuto. Tuttavia la prova del possesso attuale non può far presumere che si sia avuto un possesso anteriore, a meno che non esista un titolo o un atto giuridico valido ed efficace che mi abbia trasferito il titolo, poiché in genere la consegna della cosa avviene contestualmente alla stipulazione dell’atto. Vi sono ipotesi nelle quali il legislatore richiede che il possessore sia in buona fede: ossia si deve accertare che egli ignori di “ledere il diritto altrui” sulla cosa posseduta o ritenga per errore che il possesso non leda quel diritto. Tuttavia la buona fede non giova se dipende da colpa grave: valutando le circostanze si dovrà stabilire se qualunque persona sarebbe stata in grado di rendersi conto della lesione che il possesso arrecava. Sino a prova contraria, il possessore si presume in buona fede e questa basta che sussista al momento in cui il possesso è cominciato. 9. LE AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO. L’AZIONE DI REINTEGRAZIONE E L’AZIONE DI SPOGLIO SEMPLICE. Le azioni a tutela del possesso sono le azioni che proteggono il potere di fatto contro le azioni volte a sottrarre o ridurre quel potere di fatto. Le azioni sono due: 1. l’azione di reintegrazione o di spoglio (articolo 1168), può essere utilizzata da chi sia stato spogliato da un terzo “in maniera violenta o clandestina” del possesso di cosa mobile o immobile e non abbia immediatamente recuperato la cosa, reagendo all’aggressione subita attraverso la legittima difesa. Legittimato ad utilizzare l’azione è pure chi abbia la detenzione della cosa, purché non l’abbia per ragioni di servizio (per svolgere una prestazione di lavoro) o ospitalità (colui al quale sia stato attribuito il potere sulla cosa per ragioni di amicizia o cortesia). Quest’azione è mirata a ottenere la restituzione della cosa, può essere richiesta entro l’anno dal sofferto spoglio e in caso di spoglio clandestino il termine decorre dal giorno della scoperta dello spoglio. 2. l’azione di spoglio semplice o manutenzione recuperatoria (articolo 1170), può essere esperita da chi abbia subito uno spoglio in maniera non violenta né clandestina. Chi la esperisce deve dimostrare di non aver a sua volta acquistato il possesso in maniera violenta o clandestina e di averlo mantenuto in maniera continua e non interrotta da almeno un anno, oppure che pur avendolo acquistato in maniera clandestina o violenta, la clandestinità o violenza siano cessate da un anno. Anche quest’azione può essere richiesta entro un anno. 10. L’AZIONE DI MANUTENZIONE E LE AZIONI DI NUNCIAZIONE. - L’azione di manutenzione non ha funzione recuperatoria ma conservativa: è concessa a chi sia stato molestato nel possesso di un immobile o di un universalità di mobili, per ottenere che il giudice ordini la cessazione delle turbative. Sono molestie (o turbative) quegli atti materiali o giuridici che ostacolino, limitino o rendano meno comodo l’esercizio del possesso arrecando un disturbo apprezzabile al possessore. Anche per la manutenzione è previsto un termine annuale di decadenza e va rimarcato come essa sia concessa al possessore di immobili e universalità di mobili e sempre che chi la Pagina di 11 91 esperisca provi di non aver acquistato la cosa in modo violento o clandestino e di averla posseduta almeno da un anno. - Le azioni di nunciazione: si intendono le azioni che il possessore può proporre al fine di prevenire possibili danni materiali alla cosa oggetto del possesso, così da tutelare il proprio diritto di continuare a godere del bene nello stato di fatto in cui si trova. Tali azioni sono: - la denuncia di nuova opera: consente al possessore di ottenere dal giudice il divieto di continuare un’opera o di permetterla, quando abbia ragione di temere che dall’opera stessa stia per derivare danno alla cosa che forma oggetto del suo possesso. Nel primo caso, le cautele adottate servono ad assicurare a chi aveva intrapreso l'opera l'eventuale risarcimento del danno arrecato dalla sospensione dei lavori, quando si rivelino infondati i timori rappresentati dal possessore. Nel secondo, le cautele servono per assicurare la demolizione o riduzione dell'opera e l'eventuale risarcimento del danno che possa soffrirne il possessore, le cui ragioni vengano ritenute fondate solamente in un secondo momento, pur essendo inizialmente consentita dal giudice la prosecuzione dell’opera - la denuncia di danno temuto: consente al possessore di ricorrere al giudice per ottenere i provvedimenti più opportuni secondo le circostanze, quando si abbia ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti il pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l’oggetto del suo possesso. Il privato al quale sia impedito da un altro privato di godere di un bene della collettività può esercitare le azioni di reintegrazione e di spoglio semplice. Chi gode infine del bene demaniale come concessionario beneficia pure dell’azione di manutenzione per far cessare gli abusi e le turbative esercitate da terzi sulla cosa. III - I DIRITTI REALI 11. I DIRITTI REALI IN GENERE. I diritti reali sono i diritti sulle res, ossia sulle cose (da qui l’espressione reale) e sono diritti che si caratterizzano per l'assolutezza, quindi sono efficaci o opponibili erga omnes, ciò significa che il titolare può farli valere contro qualsiasi terzo che abbia violato l’obbligo. I diritti reali sono caratterizzati dal diritto di seguito nel senso che l’osservanza della condotta può essere pretesa da chiunque si trovi a possedere o detenere la cosa. Infine i diritti reali si caratterizzano per l’immediatezza, il titolare può infatti soddisfare il proprio interesse in maniera diretta sul bene, a differenza di quanto accade con i diritti di credito in cui titolare per soddisfarsi dovrà avvalersi della cooperazione del debitore. I FATTI COSTITUTIVI DI DIRITTI REALI 12. L’USUCAPIONE. Tutti i diritti reali (salvo le servitù non apparenti) si acquistano per usucapione (articoli 1158 e seguenti) cioè attraverso il possesso continuato per un determinato periodo di tempo. Tuttavia occorrono alcune indicazioni: a. il possesso acquistato in modo violento o clandestino impedisce l’acquisto del diritto, sino a quando violenza o clandestinità non siano cessate e si parla, a tal proposito, di possesso legittimo per indicare quello pacifico e alla luce del sole (articolo 1163); b. chi abbia un potere che si realizza in comportamenti corrispondenti a diritti reali minori (come usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie) se intende acquistare la proprietà, deve effettuare l’interversione del possesso mediante l’opposizione o mediante acquisto della proprietà di un terzo; Pagina di 12 91 questa terminologia è fuorviante, poiché non si ha costituzione di un nuovo diritto ma attribuzione a un nuovo titolare di una parte del diritto che il disponente ha già. Ove il diritto dell’acquirente venga ritrasferito al disponente (Tizio riacquista la proprietà del diritto di usufrutto trasferito a Caio, o la quota del bene che gli aveva alienato) oppure quello mantenuto dal disponente venga ulteriormente trasferito all’acquirente di quello minore (Tizio trasfelisce a Caio la nuda proprietà della cosa già concessa in usufrutto) si verifica l’estinzione del diritto minore per consolidazione. Tutti i diritti reali minori si estinguono per non uso ventennale e per rinunzia del titolare, ovvero per dichiarazione unilaterale di lui, la quale, se si tratta di atto tra vivi avente a oggetto beni immobili, richiede la forma scritta a pena di nullità ed è soggetta a trascrizione. LA PROPRIETÀ 17. IL FONDAMENTO COSTITUZIONALE DEL DIRITTO. Ci si è da sempre posti il problema di raccordare l’interesse del proprietario con l'interesse collettivo. Ciò è tanto più vero quanto maggiore è la rilevanza che la singola cosa riveste dal punto di visto sociale. Si pensi anzitutto ai beni economici come le aziende: stabilire quanto esteso sia il contenuto di chi ne sia proprietario significa stabilire se egli possa scegliere liberamente come e quanto utilizzarle. In tal modo, ad esempio, il titolare può decidere di produrre meno beni o meno servizi rispetto a quelli richiesti dalla collettività o addirittura stabilire di cessare la produzione o di lasciare l'azienda totalmente improduttiva. Al proposito, il nostro sistema costituzionale riconosce che i beni economici possano appartenere ai privati ai quali è riconosciuta la libertà di iniziativa economica e quindi la libertà nelle determinazioni riguardanti l'azienda. Simili scelte non possono tuttavia porsi in contrasto con l'utilità sociale o comunque recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Il diritto di proprietà, regolato dagli articoli 832 e seguenti, è il diritto reale per eccellenza. L’articolo stabilisce che: “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Inoltre i beni economici possono appartenere allo Stato o ad enti pubblici, in guisa da consentire che le scelte riguardanti questa o quell'azienda provengano direttamente dalla collettività e non siano rimesse al singolo proprietario, ma condivise quanto meno dalla maggioranza dei cittadini che si trova così chiamata a designare coloro che le devono compiere. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea riconosce ad ogni individuo il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità, aggiungendo che nessuno può esserne privato se non per causa di pubblico interesse, nei casi e modi previsti dalla legge (con il pagamento di una giusta indennità per la perdita di questa). 18. L’ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ (CENNI). La proprietà può esser espropriata cioè può essere trasferita in tutto o in parte dal titolare ad un altro soggetto (realizzando una vicenda traslativa) purché: - ciò accada in casi preveduti dalla legge; - sussistano motivi d’interesse generale; - il titolare che subisca il trasferimento del diritto riceva un indennizzo. L’enorme importanza che l’espropriazione per pubblica utilità riveste è nota a tutti, la quale serve per realizzare le principali opere pubbliche e per assicurare uno sviluppo armonico ed equilibrato delle Pagina di 15 91 costruzioni. L’espropriazione deve anzitutto esser distinta dalla requisizione: essa può occorrere per gravi e urgenti necessità pubbliche (alloggio temporaneo a coloro che sono stati vittime di calamità pubbliche). Si distinguono la requisizione in proprietà o traslativa che riguarda i beni mobili (deteriorabili o consumabili) dalla requisizione in uso che riguarda immobili e si dice pure occupazione temporanea. Quest’ultima consiste in un provvedimento amministrativo non traslativo, ma con efficacia obbligatoria, con il quale si impone temporaneamente al titolare del diritto di tenerlo a disposizione e di consegnarlo quando gli venga richiesto. Quando si tratti di aziende commerciali e agricole non si trasferisce coattivamente il diritto ma solamente il possesso della cosa. Quando l’opera da realizzare abbia i requisiti stabiliti, l’amministrazione provvede a determinare in via provvisoria l’indennità dovuta al proprietario. Se questi la accetta, consentendo all’amministrazione di immettersi nel possesso del bene, ha diritto a ricevere l’ottanta per cento della somma dovuta. Dopodiché si procede alla stipulazione dell’ atto di cessione e alla relativa trascrizione; diversamente si procederà all’emissione del decreto di esproprio. 19. I FATTI E GLI ATTI COSTITUTIVI DEL DIRITTO DI PROPRIETÀ. L’OCCUPAZIONE E L’INVENZIONE. Come ogni altro diritto reale, la proprietà si origina attraverso l’usucapione e gli acquisti a non domino e si trasferisce per contratto o successione a causa di morte; esistono tuttavia altri atti o fatti che le danno vita (articolo 922). L’occupazione consiste nell’atto giuridico non negoziale con il quale ci si impossessa di cose mobili. Si può innanzitutto acquistare la proprietà di quelle che non hanno mai costituito oggetto di diritto alcuno o che un precedente titolare le ha abbandonate. Vi sono alcune ipotesi nelle quali l’occupazione consente di acquistare cose mobili che si trovano in proprietà altrui: un caso, riguarda i tartufi e funghi raccolti su terreni non recintati di proprietà altrui, la legge ne consente la raccolta, ammettendo implicitamente che ne acquisti la proprietà. L’invenzione è il ritrovamento di una cosa mobile smarrita che non comporta l’acquisto immediato della proprietà: essa va infatti restituita al proprietario (possessore o detentore) se è conosciuto, o diversamente consegnata senza ritardo al Sindaco del luogo in cui la si è rinvenuta, indicando le circostanze del fatto occorso. Il Sindaco deve darne notizia mediante affissione all’albo pretorio per il periodo di tempo stabilito, e trascorso un anno dall’ultimo giorno della pubblicazione, senza che si sia presentato proprietario alcuno, la cosa (o ricavato, se sia stata nel frattempo venduta) spetta a chi l’ha trovata. Il proprietario è obbligato a pagare al ritrovatore un premio. La cosa mobile di pregio, sotterrata o nascosta nel fondo o nella cosa mobile altrui, di cui nessuno può dire d’esserne proprietario – ossia il tesoro – appartiene al proprietario del fondo o della cosa in cui si trova; se viene rivenuta da un terzo, solo “per effetto del caso”, appartiene per metà al ritrovatore. Per il ritrovamento degli oggetti d’interesse storico, archeologico, paleontologico e artistico, si osservano le disposizioni delle leggi speciali. 20. L’ACCESSIONE, L’ACCESSIONE “INVERTITA” E QUELLA “ACQUISITIVA”. Gli articoli 934 e seguenti stabiliscono che: “Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto”. L’accessione dà origine a un nuovo diritto di proprietà sulla piantagione, costruzione o sull’opera che si trovi congiunta al suolo medesimo in maniera stabile per fatto naturale o per atto dell’uomo: - può darsi che, le opere siano state fatte dal proprietario del suolo utilizzando materiali altrui. In tal caso, chi le acquista deve pagare il valore di questi, se non è stata chiesta la separazione entro il termine semestrale di decadenza decorrente dalla notizia dell’incorporazione. La separazione non è possibile quando rechi grave danno all’opera costruita o provochi probabile perimento della Pagina di 16 91 piantagione. Il proprietario del terreno è tenuto a risarcire i danni arrecati al proprietario dei materiali quando abbia agito con colpa grave o dolo; - può darsi che, l’acquisto della proprietà dei materiali dipenda dal fatto che le opere o piantagioni siano state fatte da un terzo con materiali suoi. In tal caso, l’acquisto della proprietà dei materiali è escluso se il proprietario chieda al terzo di rimuovere le opere a sue spese. La richiesta di rimozione non è consentita, se le opere o piantagioni son state fatte con la conoscenza del proprietario del suolo, che non si è opposto, oppure con la buona fede del terzo o se son trascorsi sei mesi dal giorno della notizia dell’incorporazione. Se si verifica l’acquisto della proprietà dei materiali, il proprietario del suolo deve pagare a sua scelta il valore di questi con il prezzo della manodopera; - può darsi che, il terzo abbia eseguito le opere, costruzioni o piantagioni con materiali non suoi (né ovviamente del proprietario del suolo). Il proprietario dei materiali può rivendicarli, purché non trascorso il termine semestrale di decadenza, sempre che la separazione non arrechi grave danno alle opere o al fondo. Se acquista la proprietà dei materiali, il proprietario del suolo, in mala fede, è coobbligato in solido con quest’ultimo, a pagare un’indennità pari al valore dei materiali stessi e al risarcimento del danno; - È invece norma eccezionale quella che consente a chi abbia costruito un edificio di acquistare la proprietà del suolo sul quale o sotto il quale questo esiste, quando egli sia proprietario del terreno vicino e abbia occupato in buona fede una porzione di quello attiguo. L’acquisto presuppone che il proprietario del fondo occupato non faccia opposizione entro tre mesi dal giorno in cui la costruzione ebbe inizio e che il giudice ritenga di attribuire al costruttore la proprietà dell’ufficio e del suolo occupato che deve essere pagato al doppio del suo valore. 21. L’UNIONE, LA COMMISTIONE, LA SPECIFICAZIONE E LE ACCESSIONI “LATERALI”. L’unione e la commistione (articolo 939) sono congiunzioni di due o più cose mobili che appartengono a proprietari differenti: la prima presuppone lo stato solido delle cose, che mantengono la loro individualità; l’altra invece può riguardare anche cose allo stato liquido o gassoso e produce una trasformazione che le rende indistinguibili. Se le cose sono separabili senza notevole deterioramento, i proprietari di queste mantengono il loro diritto e possono chiederne la separazione; diversamente diventano comproprietari della cosa, in proporzione del valore delle cose spettanti a ciascuno. Se tra le cose unite o mescolate, una possa ritenersi principale o di valore superiore, il proprietario di questa acquista la proprietà del tutto. Deve allora pagare il valore della cosa unita, a meno che l’unione sia occorsa senza il suo consenso per opera del proprietario della cosa di minor valore. Deve qui, la minor somma tra l’incremento di valore apportato alla cosa principale e il valore della cosa accessoria; chi ha realizzato l’unione o la commistione della cosa propria con quella di altri è tenuto al risarcimento dei danni in caso di colpa grave. La specificazione è la realizzazione di una cosa mobile nuova attraverso il lavoro dell’uomo, realizzata con la cosa mobile altrui: chi la realizza ne acquista la proprietà, ma deve pagarne il prezzo, purché il valore della cosa sia notevolmente superiore a quello della materia. Diversamente spetta la cosa al proprietario della materia che deve pagare il prezzo della mano d’opera. Sono infine previste una serie di ipotesi in cui l’incremento del terreno, provocato da fenomeni naturali, si acquista a favore del proprietario del terreno stesso: si parla di accessioni laterali). Sono quindi: - l’alluvione, che consiste in un’unione di terra o in un incremento impercettibile dei fondi posto lungo le rive dei fiumi o torrenti: essi appartengono al proprietario di questi; - l’avulsione si verifica quando la turbolenza del fiume o del torrente distacchi per forza una parte considerevole e riconoscibile di un fondo contiguo, trasportandola verso la riva opposta o un fondo Pagina di 17 91 - se non gli sia mai stata trasmessa, potrà comunque acquistare il diritto per usucapione; - il diritto non si estingue per prescrizione decennale ma soltanto per non uso ventennale; - gli atti giuridici tra vivi richiedono la forma scritta a pena di nullità e sono soggetti a trascrizione. La superficie può essere pure concessa su beni demaniali, come accade per chioschi e edicole costruite su piazze o pubbliche vie. 33. L’ENFITEUSI. L’enfiteusi è un diritto reale su un fondo altrui che attribuisce al titolare (enfiteuta) gli stessi diritti che avrebbe il proprietario (concedente) sui frutti, sul tesoro e sulle utilizzazioni del sottosuolo; il diritto dell’enfiteuta si estende alle accessioni. Sull’enfiteuta gravano fondamentalmente due obblighi: quello di versare un canone periodico (che può consistere sia in una somma di danaro sia in una quantità fissa di prodotti naturali) al concedente e quello di migliorare il fondo. Sono a carico dell’enfiteuta anche le imposte e gli altri pesi che gravano sul fondo, salvo che le leggi speciali o il titolo costitutivo non dispongano diversamente. L’enfiteusi può essere costituita mediante contratto, testamento o usucapione e può essere perpetua o temporanea, ma in quest’ultimo caso la sua durata non può essere inferiore a venti anni. Si estingue per il totale perimento del fondo, per la scadenza del termine (nel caso di enfiteusi temporanea), per prescrizione a seguito del non uso ventennale e per usucapione da parte dell’enfiteuta del diritto di proprietà. Inoltre, due cause di estinzione peculiari dell’enfiteusi sono, rispettivamente, la devoluzione (che può essere domandata dal proprietario qualora l’enfiteuta deteriori il fondo o non adempia all’obbligo di migliorarlo o sia in mora nel pagamento di due annualità di canone) e l’affrancazione (che può essere promossa dall’enfiteuta, il quale, mediante il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell’interesse legale, acquista la proprietà del fondo). L’enfiteusi è disciplinata dagli articoli 957 cc e seguenti 34. L’USUFRUTTO. Molto importante è l’usufrutto (disciplinato all’articolo 978) con il quale il titolare (o usufruttuario) trova riconosciuto il diritto di godere della cosa, non oltre la durata della sua vita, se persona fisica, potendo trarne ogni utilità che questa può dare. Egli può farne propri i frutti, naturali e civili ma non ne può alterare la destinazione economica, ossia la funzione impressa dal proprietario. La durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario. L’usufrutto costituito a favore di una persona giuridica non può durare più di trent’anni. A parte gli atti e fatti consueti, che originano il diritto (usucapione e acquisti a non domino) o con i quali può esser concesso al proprietario (contratto o testamento), l’usufrutto si origina automaticamente quando sussistano le condizioni previste all’articolo 324 oppure attraverso una sentenza. Esso si origina mediante riserva che si verifica quando il proprietario trasferisce ad altri la nuda proprietà della cosa, mantenendo per sé ciò che corrisponde al contenuto del diritto di usufrutto. L’usufrutto può avere ad oggetto qualunque cosa, mobile o immobile, consumabile e non, universalità di mobili, aziende, titoli di credito e opere dell’ingegno. Gli alberi divelti, spezzati o periti per cause naturali spettano al nudo proprietario; quelli da frutta all’usufruttuario. L’usufruttuario può apportare miglioramenti alla cosa, avendo diritto a un’indennità, sempre che non venga alterata la destinazione economica: al termine dell’usufrutto, il nudo proprietario se non concorda, ha diritto di levarle. 35. LA CESSIONE E LA DIFESA DEL DIRITTO. Pagina di 20 91 L’usufrutto può essere ceduto ad altri per un certo tempo o per tutta la sua durata (comunque non superiore alla vita dell’usufruttuario). L’usufruttuario può anche costituire un nuovo usufrutto sul suo diritto (il «sub-usufrutto»), il quale a questo punto non potrà eccedere la durata della vita del primo usufruttuario e neppure quella del secondo (se entrambi sono persone fisiche, diversamente si terrà conto della durata trentennale). 36. GLI OBBLIGHI DELL’USUFRUTTUARIO E L’ESTINZIONE DEL DIRITTO. L'usufruttuario è tenuto a una serie di obblighi, diretti ad assicurare l'adempimento dell'obbligo fondamentale di godere della cosa con la diligenza del buon padre di famiglia e di quello di restituire la cosa al momento in cui il diritto si estingue. Egli è tenuto a custodire la cosa, ad amministrarla, all'ordinaria manutenzione oltre che alle riparazioni straordinarie causate dall'inadempimento dei suoi obblighi. Oltre che per scadenza del termine, per non uso ventennale, consolidazione o perimento della cosa, il diritto si estingue, quando si accerti che l'usufruttuario «abbia abusato» del suo diritto, alienando i beni, deteriorandoli o lasciandoli perire per non aver eseguito le riparazioni ordinarie che gli competono. 37. L’USO E L’ABITAZIONE. L’uso attribuisce alla persona fisica che ne sia titolare il diritto di usare la cosa, mantenendone la destinazione economica: l’appropriazione dei frutti è limitata a ciò che occorre ai suoi bisogni e a quelli della sua famiglia. Il termine famiglia va inteso in senso ampio e comprende (oltre i figli) le persone che convivono con l’usuario, perché legate a lui da vincoli affettivi o per prestargli servizio. La persona giuridica, titolare dell’uso, non ha invece diritto ad acquistarne i frutti. La disciplina è quella dell’usufrutto, poiché compatibile, con due importanti eccezioni: - il diritto non può essere ceduto ad altri, considerata la sua natura personale, né la cosa può essere concessa in locazione o affitto (ma può esser data in comodato); - l’usuario è tenuto alle spese di coltura, riparazioni ordinarie e pagamento dei tributi in proporzione alla parte di frutti che gli spettano. L’abitazione è una sottospecie di uso che attribuisce al titolare il diritto di abitare una casa, con le sue pertinenze, limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia. Valgono, anche qui, le previsioni dettate per l’usufrutto. LA SERVITÙ 38. LA NOZIONE. La servitù, regolata dall’articolo 1027, è un peso, cioè una limitazione alla pienezza o all’esclusività del godimento della cosa, imposta a chiunque si trovi titolare della proprietà o di un altro diritto reale di godimento sul fondo (detto servente) per arrecare utilità a chiunque si trovi ad essere titolare della proprietà, o di un diritto reale di godimento, su un altro fondo (detto dominante). È quindi richiesto che l’appartenenza alle due cose spetti a due soggetti differenti. Il concetto di utilità è data dall’articolo 1028 che stabilisce che “L'utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo”. L’utilità che il fondo dominante può ritrarre dal fondo servente può consistere anche nella maggiore godibilità estetica (ad esempio, nella servitù di non asfaltare un cortile, mantenendolo ricoperto d’erba) di questo o nella maggiore comodità. L’utilità può essere pure inerente alla destinazione industriale del fondo. Non si ha servitù quando l’utilità venga arrecata all’azienda. Pagina di 21 91 Il titolare del fondo servente non può essere tenuto ad adempiere un obbligo di fare: la legge o il titolo (contratto o testamento) possono tuttavia imporgli l’obbligo di eseguire le opere necessarie per rendere possibile l’esercizio della servitù pur restando sostanzialmente estranee al contenuto (prestazioni accessorie). Il titolare del fondo servente deve tollerare il passaggio sul fondo. Se egli ritiene di esercitare il suo diritto di chiudere il fondo si troverà costretto a consentirgli l’ingresso libero e comodo: non basta che consegni le chiavi del lucchetto del cancello, ma dovrà predisporre un sistema di citofoni o apertura automatica delle chiusure. Non si richiede che i fondi siano vicini, in quanto potranno pure essere distanti l’uno dall’altro, a condizione che uno di essi rechi all’altro l’utilità. Neppure è necessario che il vantaggio che uno arrechi all’altro abbia carattere perpetuo, potendo avere un tempo determinato. L’articolo 1070 stabilisce invece che: “Il proprietario del fondo servente, quando è tenuto in forza del titolo o della legge alle spese necessarie per l'uso o per la conservazione della servitù, può sempre liberarsene, rinunziando alla proprietà del fondo servente a favore del proprietario del fondo dominante. Nel caso in cui l'esercizio della servitù sia limitato a una parte del fondo, la rinunzia può limitarsi alla parte stessa”. L'obbligato potrà tuttavia liberarsi rinunziando, con un atto unilaterale traslativo in forma scritta, alla proprietà totale o parziale del fondo servente a favore del titolare del fondo dominante. 39. L’ESERCIZIO DEL DIRITTO. L’articolo 1063 e seguenti disciplinano l’estensione e l’esercizio della servitù e stabiliscono che dipendono dal titolo (contratto, testamento o sentenza): il titolare non può usarne se non in conformità a questo o conformemente al possesso. Inoltre, l’articolo 1064 stabilisce che il proprietario del fondo dominante, nel fare le opere necessarie per conservarla, deve scegliere il tempo e il modo migliore per recare minore incomodo al proprietario del fondo servente, a sue spese. Non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente. Secondo l’articolo 1068, il titolare del fondo servente non può trasferire l’esercizio della servitù, a meno che non dimostri che il mutamento non rechi danno al fondo servente e che sia di notevole vantaggio. 40. LE SERVITÙ VOLONTARIE. Sono dette volontarie le servitù concesse dal titolare del fondo servente al titolare del fondo dominante con il trasferimento o contratto che richiede forma scritta e sarà soggetto a trascrizione. Poiché il fondo dominante o servente (o entrambi) potrebbero essere oggetto della proprietà ma anche di un coesistente diritto reale di godimento (superficie, enfiteusi etc.) occorre fare precisazioni: - le ipotesi in cui le servitù vengano costituite “a favore del fondo gravato da diritti reali di godimento”. L’enfiteuta, il superficiario o l'usufruttuario possono (con contratto o testamento) costituire una nuova servitù a favore del fondo oggetto del loro diritto, anche senza consenso del concedente. Quest’ultimo non potrà che avvantaggiarsene o rinunziarvi; potrà a sua volta costituire servitù a vantaggio dei fondi concessi in enfiteusi, superficie o usufrutto; - le ipotesi in cui le servitù vengano “imposte sul fondo gravato da diritti reali di godimento”. L’enfiteuta e il superficiario possono aggravare il fondo oggetto del loro diritto di una nuova servitù: cessa quando il loro diritto si estingua per decorso del termine o prescrizione. L’usufruttuario invece non può imporre sul fondo una servitù senza il consenso del nudo proprietario, al quale tale potere compete quando la servitù medesima non pregiudichi il diritto di usufrutto. 41. LE SERVITÙ COATTIVE. Nel caso in cui il titolare del fondo servente rifiuti di concedere spontaneamente la servitù, il titolare del fondo dominante può domandare al giudice una sentenza tramite il quale il giudice stabilisce le modalità di esercizio del diritto imposto al fondo del convenuto e il diritto di questo a ricevere un’indennità: sino a quando non sia stato pagato, il titolare del fondo servente può impedire che venga esercitata la servitù. Pagina di 22 91 49. LO SCIOGLIMENTO DELLA COMUNIONE. Per quanto riguarda lo scioglimento della comunione, ciascuno dei partecipanti può sempre chiedere la divisione della cosa comune. Il partecipante può procurarsi il consenso degli altri a stipulare un contratto di divisione o un altro contratto che realizzi un identico effetto mediante l’apporzionamento (assegnazione ai compartecipi, proporzionante alle loro quote). Se questi non presentino il loro consenso può essere avviato un procedimento diretto a ottenere la divisione giudiziale. Il giudice può rinviare la decisione per un periodo in ogni caso non superiore a cinque anni, se l’immediato scioglimento possa pregiudicare gli interessi degli altri. Il patto di rimanere in comunione per un tempo non maggiore di dieci anni è valido e ha effetto anche per gli aventi causa dai partecipanti. Se è stato stipulato per un termine maggiore, questo si riduce a dieci anni. Quando ci siano gravi circostanze che lo richiedano, il giudice può ordinare lo scioglimento della comunione prima del tempo convenuto. La domanda di divisione deve tuttavia essere rigettata quando la comunione riguardi cose che, se divise, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinate. Inoltre, è indivisibile la cosa che se venduta ad un terzo le farebbe perdere il valore o perché essa risulta utile solo con le cose di proprietà esclusiva dei compartecipanti. IL CONDOMINIO DI EDIFICI L’articolo 1117 serve a disciplinare l'ipotesi in cui i piani di uno stesso edificio fossero appartenuti a differenti proprietari. Ogni proprietario è però proprietario delle “comproprietà delle parti dell’edificio" indicate nel codice civile, cioè: - tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri, i pilastri e le travi portanti, i tetti…; - le aree destinate a parcheggio e i locali per i servizi in comune, come la portineria, la lavanderia…; - le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria… Gli obblighi dei singoli condomini. I condòmini sono obbligati a partecipare alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio e per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e non è ammesso l'abbandono della quota di proprietà delle cose condominiali per liberarsi dal debito riguardante le spese per la loro conservazione. La gestione della cosa comune e le deliberazioni dell'assemblea. La gestione delle cose condominiali è attribuita in maniera concorrente all'assemblea dei condòmini e all’amministratore. IL SUPERCONDOMINIO E LA MULTIPROPRIETÀ Si verifica un «supercondominio» quando i proprietari di alloggi ubicati in differenti edifici (non quindi in piani diversi dello stesso edificio) hanno in comune alcune tra le parti comuni indicate all’articolo 1117. Si può pensare, ad esempio, a certi complessi immobiliari come le case a schiera, che spesso hanno in comune vialetti, spazi a parcheggio, giardini comuni o a quelle ipotesi in cui, attorno a un cortile comune affacciano due o più edifici multipiano separati. In simili casi, per la gestione delle parti comuni trovano applicazione le disposizioni dettate per il condominio. V – LE OBBLIGAZIONI PROPTER REM E GLI ONERI REALI Collegate a situazioni di diritto reale sono le obbligazioni propter rem o obbligazioni reali che si caratterizzano per il fatto che la persona dell’obbligato viene individuata in base alla titolarità di un diritto reale su un determinato bene così (ad esempio) l’obbligo di tenere spese necessarie per la Pagina di 25 91 conservazione e il godimento della cosa comune grava su ciascun comproprietario. Si dubita che all’autonomia privata sia consentito creare obbligazioni reali atipiche (diverse, ulteriori, rispetto quelle espressamente previste sulla legge). Da non confondere con l’obbligazione reale è l’onere reale in forza del quale il creditore per il pagamento di somme di denaro o altre cose generiche da prestarsi periodicamente in relazione ad un determinato bene immobile, può soddisfarsi sul bene stesso chiunque ne diventi proprietario o acquisti diritti reali di godimento o di garanzia su di esso. L’unica ipotesi di onere reale prevista dal nostro c.c. sia costituita dai contributi consorziali (quote messe dai singoli compartecipanti di un consorzio). CAPITOLO 3 : LA TRASCRIZIONE 1. IL PROCEDIMENTO. La legge consente di valersi di un certo procedimento per rendere conoscibili ai terzi determinati fatti o atti giuridici. La trascrizione infatti mira in particolare a rendere conoscibili ai terzi determinati atti giuridici destinati ad acquistare, modificare o estinguere diritti reali aventi a oggetto cose immobili. Il procedimento di questa consiste in una sequenza di atti che devono essere compiuti da chi richiede la trascrizione e dal pubblico ufficiale chiamato a provvedervi. Gli atti ai quali si può dare pubblicità, Pagina di 26 91 mediante la trascrizione, devono avere la forma della sentenza passata in giudicato oppure devono essere manifestati per atto pubblico o per scrittura privata autenticata dal notaio o accertata giudizialmente, sotto pena di nullità. Il procedimento può essere avviato da chiunque, presso l’ufficio dei registri immobiliari, presentando uno dei titoli indicati con una nota di trascrizione, la quale deve contenere gli elementi necessari ad identificare l’atto. I rappresentanti di persone incapaci e i pubblici ufficiali sono obbligati a curarne la trascrizione nel più breve tempo possibile (soggetti ad una sanzione pecuniaria quando omettano la trascrizione per oltre trenta giorni). Appena ricevuto il titolo, il conservatore ne dà notizia nel registro generale, assegnando un numero e rilasciandone una ricevuta al richiedente. Provvede poi a custodire in volumi appositi i titoli ricevuti e li inserisce con numerazione progressiva annuale una delle due note nell’apposita raccolta che costituisce il “registro particolare delle trascrizioni”, restituendo l’altra al richiedente con la certificazione dell’avvenuta trascrizione. Il conservatore è obbligato a eseguire la trascrizione: del rifiuto, avverso il quale si può proporre reclamo al giudice, deve dare motivazione nella nota restituita; se ha fondati e gravi dubbi sulla trascrivibilità dell’atto deve eseguire la formalità con riserva: il richiedente medesimo è tenuto a proporre reclamo all’autorità giudiziaria. I registri immobiliari sono organizzati su base personale, cioè la classificazione delle note di trascrizione avviene in partite intestate a singole persone. Presso l’ufficio (anche in via telematica), chiunque ne faccia richiesta può ottenere dal conservatore copia delle trascrizioni eseguite o la certificazione che non ve ne è alcuna; può ispezionare i registri e ottenere copia dei documenti depositati. 2. LA PLURALITÀ DI ALIENAZIONI E LA CONTINUITÀ DELLE TRASCRIZIONI. Sono soggetti a trascrizione i contratti, le sentenze e ogni altro atto o provvedimento diretto: - a trasferire la proprietà di beni immobili; - a costituire, modificare o estinguere i diritti reali di godimento minori; - a rendere questi comuni; - a costituire o modificare le servitù o i diritti edificatori sui fondi fabbricabili; - gli atti unilaterali di rinunzia ai diritti medesimi; - alcuni contratti che costituiscono diritti personali di godimento (locazione, associazione, società). La trascrizione degli atti indicati, rende questi conoscibili e, allo stesso tempo, costituisce pure uno strumento di tutela di chi li esegue. Quando si tratta di diritti reali immobiliari all’acquirente che li riceva da chi non ne fosse titolare (a non domino) non basta procedere ad avere titolo idoneo a trasferire diritti, anche se accompagnato dall’acquisto in buona fede del possesso. Gli si richiede di trascrivere e di attendere un periodo di tempo (normalmente di dieci anni) per completare quella che il codice definisce usucapione abbreviata. La trascrizione si basa sulla regola di continuità: questo meccanismo escogitato dal legislatore, garantisce una sicurezza nei trasferimenti immobiliari, poiché ben raramente potrà capitare che si concluda un contratto, volto a trasferire un diritto reale, con chi non ne risulti titolare in seguito ad un’ispezione dei registri. Pagina di 27 91 - gli assegni. L’esecuzione forzata per l’obbligo di consegnare cose mobili o di rilasciare immobili avviene, su richiesta del creditore, attraverso l’ufficiale giudiziario il quale può richiedere l’assistenza della forza pubblica, quando sia necessario vincere la resistenza opposta del debitore o da terzi oppure allontanare persone che disturbano l’esecuzione. Invece per la prestazione di consegnare cose egli ricerca quindi le cose presso il debitore e le attribuisce al creditore che ha esperito l’azione esecutiva; se si tratti di rilascio dopo averne dato avviso, in un giorno fissato si reca là dove si trova l’immobile e immette il creditore nel possesso di questo “ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore”. Le spese vengono liquidate dal giudice e poste a carico del debitore. Per dare esecuzione forzata all’obbligo di fare fungibile e di non fare al creditore è richiesto di rivolgersi al giudice perché determini le modalità di esecuzione e designi l’ufficiale giudiziario e le persone che devono provvedere al compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta. Anche qui, l’ufficiale può farsi assistere dalla forza pubblica, ove necessario, e le spese anticipate dal creditore son poste dal giudice dell’esecuzione a carico del debitore. 5. L’ESECUZIONE MEDIANTE ESPROPRIAZIONE FORZATA (CENNI). Quando l’obbligato è tenuto a pagare al creditore una somma di denaro l’attuazione dell’interesse del creditore si realizza “per equivalente” espropriando dal patrimonio del debitore denaro o ogni altro bene che la legge non sottrae espressamente all’esecuzione. Il patrimonio del debitore comprende, ai sensi dell'articolo 2740, tutti i diritti soggettivi di cui egli fosse titolare al momento in cui è sorta l’obbligazione e tutti quelli a lui sopravvenuti per qualunque ragione (ossia bene presenti e futuri). Il creditore munito di titolo esecutivo deve domandare all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento. Le cose pignorate vengono sottoposte alla custodia del debitore o di un terzo (trattandosi di denaro) per assicurarne la loro conservazione ed amministrazione. Su domanda del creditore il giudice dell’esecuzione provvede a distribuire il denaro pignorato al debitore dall’ufficiale giudiziario oppure dispone l’assegnazione al creditore delle altre cose pignorate o la “vendita forzata” di queste, trasferendo con proprio provvedimento all’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione. Quanto ricavato a titolo di prezzo dalla vendita viene pagato al creditore pignorante e a quelli intervenuti nell’esecuzione, provvedendo a distribuire tra loro la somma conseguita. 6. LA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE DEL DEBITORE E LA PAR CONDICIO CREDITORUM. Si parla di responsabilità patrimoniale evocando i “beni” (presenti e futuri) del debitore medesimo, anche per sottolineare come al fenomeno sia da considerare del tutto estranea la persona di lui: soltanto alla legge è consentito di limitare la responsabilità medesima, poiché ogni clausola contrattuale o testamentaria differente dovrà ritenersi nulla per violazione della norma imperativa. È sottratto quindi il patrimonio del debitore all’esecuzione da parte di tutti o di alcuni creditori. In alcuni casi si trovano sottratti gruppi di beni identificati per le loro caratteristiche: ad esempio, è preclusa la pignorabilità di beni mobili strettamente correlati con la vita quotidiana del debitore. Un’importante limitazione è infine quella che discende dal riconoscimento dell’ autonomia patrimoniale perfetta ad alcune persone giuridiche. A ciascun creditore viene invece riconosciuto di procedere all’espropriazione forzata per ottenere il soddisfacimento integrale del suo diritto. È tuttavia possibile che il patrimonio del debitore risulti in tutto o in parte incapace: lo stesso debitore può averlo impiegato a pagare altri creditori oppure altri creditori possono averlo già sottoposto ad esecuzione. Il nostro sistema si basa sul carattere individuale dell’esecuzione mediante espropriazione forzata, rimettendo quindi all’iniziativa spontanea di ciascun creditore di valersene e a quella, del debitore, di preferire nel pagamento questo o quel creditore. È la legge stessa, in alcuni casi, a stabilire che alcuni crediti ricevano soddisfazione prima di altri, quando la esecuzione riguardi una determinata parte del patrimonio del debitore (ad esempio, i creditori della comunione tra coniugi vengono preferiti ai creditori personali dei coniugi stessi, se l’esecuzione riguarda i beni compresi nella comunione). Pagina di 30 91 I PRIVILEGI, IL PEGNO E LE IPOTECHE 7. I PRIVILEGI. Tra le ipotesi nelle quali la legge prevede che alcuni crediti vengano soddisfatti interamente prima degli altri vanno annoverati anzitutto i privilegi che vengono regolati all’articolo 2745: “Il privilegio è accordato dalla legge in considerazione dalla causa del credito. La costituzione del privilegio può tuttavia dalla legge essere subordinata alla convenzione delle parti; può anche essere subordinata a particolari forme di pubblicità”. Il privilegio dipende dalla causa del credito, cioè dalla sua giustificazione. I privilegi si distinguono in: - privilegi generali: riguardano qualunque cosa mobile del debitore. Il creditore al quale sia riconosciuto questo privilegio è preferito agli altri creditori che si trovino a concorrere nella distribuzione della somma ricavata dalla vendita di una qualunque cosa mobile del debitore, sempre che il credito stesso non sia sorto in data posteriore al pignoramento della cosa. Hanno privilegio generale, tra l'altro, i crediti dello Stato per l'imposta sui redditi delle persone fisiche e giuridiche, per posta sul reddito delle società o per l'Irap (imposta regionale sulle attività produttive) oppure il credito per le retribuzioni dovute ai prestatori di lavoro subordinato e quello per le retribuzioni dei professionisti. - privilegi speciali: concernono un determinato mobile o immobile del debitore. Il creditore al quale sia riconosciuto il privilegio speciale su un mobile o su un immobile è viceversa preferito nella distribuzione del ricavato agli altri creditori quando l'esecuzione riguardi un determinato bene. Hanno ad esempio privilegio speciale su singoli mobili o immobili i crediti per spese di giustizia sostenute, nell'interesse comune dei creditori, per conservarli o per espropriarli. 8. IL PEGNO. L’articolo 2784 regola la nozione di pegno, nel I° comma stabilisce che: “Il pegno è costituito a garanzia dell’obbligazione dal debitore o da un terzo per il debitore”. Attraverso il pegno di cosa mobile, uno o più creditori del debitore si trovano preferiti agli altri nella distribuzione di ciò che si ricava dalla vendita di una determinata cosa mobile di cui il debitore era titolare. Esso prevale sul privilegio speciale mobiliare. Esso, secondo l’articolo 2786, si costituisce con: - un contratto tra il debitore e il creditore; - un contratto tra il creditore garantito e un terzo datore di pegno; - un atto unilaterale tra vivi tra il debitore e un terzo datore di pegno; - un testamento; - perdita del possesso della cosa da parte del costituente; - acquisto del possesso in capo al creditore garantito. Il contratto e l’atto unilaterale possono essere manifestati in qualsiasi forma, ma il creditore non è preferito ai chirografari, se i due testi non risultino da scrittura con data certa, nel quale siano determinati il credito e la cosa. I diritti acquistati dai terzi successivamente alla costituzione del pegno sono inopponibili al creditore, a meno che il terzo non acquisti in buona fede il possesso della cosa. L’oggetto del pegno può essere la proprietà di singole cose mobili o l’usufrutto sulle cose, sulle universalità di mobili, sulle aziende. Il titolare del pegno, come stabilisce l’articolo 2794, ha il diritto di ritenzione, cioè può rifiutare la restituzione della cosa fino a quanto non gli sia stato interamente pagato il capitale, con gli interessi e le spese relative al debito e al pegno. Pagina di 31 91 Il pegno si caratterizza di: - accessorietà, perché garantisce un diritto del creditore e quindi si presume che questo esista; - indivisibilità, come stabilisce l’articolo 2799, perché rimane integro nonostante la parziale estinzione del credito o il frazionamento di questo o del debito; - realità, perché andrebbe considerato un diritto reale, in quanto il titolare può farlo valere contro i terzi acquirenti. Il pegno di credito si tratta di una prestazione di dare o fare, purché sia indifferente ch’essa venga eseguita verso il debitore o verso un terzo. Il creditore deve riscuotere alla scadenza il credito ricevuto in pegno. 10. L’IPOTECA. L’ipoteca, regolata dall’articolo 2808: “L’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriare, anche in confronto del terzo acquirente, i beni vincolati a garanzia del suo credito e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione”. Essa attribuisce la prelazione al creditore attraverso un procedimento con efficacia costitutiva, l’iscrizione, che consente a chiunque di avere legale conoscenza dell’atto giuridico, nel quale devono essere indicati chiaramente la cosa oggetto della prelazione e il credito garantito. L’iscrizione dell’atto che origina il vincolo ipotecario è prevista quando riguarda la proprietà, l’usufrutto e la superficie. L’iscrizione ha efficacia costitutiva, quindi il diritto di ipoteca non nasce finché non sia compiuto. Chi richiede l’iscrizione deve presentare al conservatore un titolo e una nota sottoscritta, dal quale devono risultare determinate indicazioni. Il conservatore rilascerà al richiedente uno degli originali con la data e il numero dell’iscrizione. L’ipoteca si distingue in: - volontaria: concessa con la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata, dal debitore o da un terzo, con un contratto o un atto unilaterale tra vivi; - giudiziale: si origina con l’iscrizione di una sentenza di condanna; - legale: viene iscritta d’ufficio ed imprime il vincolo ipotecario. Ogni iscrizione ha effetto per vent’anni, ma il creditore può rinnovare gli effetti per altri vent’anni. Sullo stesso diritto immobiliare possono coesistere più iscrizioni, che prendono ciascuna un proprio grado. Il creditore che ha conseguito per primo l’iscrizione ha diritto a soddisfare interamente il suo credito sul ricavato, a preferenza del creditore secondario, che soddisferà il suo credito su ciò che residui. La cancellazione dell’ipoteca è un procedimento eguale e contrario all’iscrizione, che si esegue dal conservatore, presentando una richiesta scritta e consegnando un atto con il quale il creditore la consenta o con una sentenza passata in giudicato che la ordini. L’estinzione dell’ipoteca dipende dall’estinzione dell’obbligo, dall’acquisto del diritto su bene espropriato da parte dell’acquirente alla vendita forzata o dalla rinuncia del creditore, che deve essere manifestata espressamente in forma di scrittura privata. La cosa soggetta a privilegio, pegno o ipoteca potrebbe perirsi, deteriorarsi o espropriata per pubblica utilità. In questo caso viene costituito in favore dei creditori un pegno sul credito, dovuto dall’assicuratore dove era stata stipulata una copertura. La costituzione di tale pegno avviene attraverso la notifica di un atto al debitore, entro trenta giorni dalla perdita o dal deterioramento. Il creditore può anche esigere l’immediato pagamento del suo credito, nonostante la pattuizione di un termine, che diventa inefficace. Pagina di 32 91 20. IL PAGAMENTO AL TERZO. Nel caso in cui il debitore si libera eseguendo la prestazione non al creditore ma a un terzo, l’articolo 1188 stabilisce che se il terzo non era legittimato ad ottenere il pagamento, il pagamento al terzo non estingue l'obbligo e il terzo sarà obbligato a restituire quanto ricevuto. Analizziamo quindi le situazioni che rendono liberatorio il pagamento al terzo: • può darsi che il terzo sia autorizzato dalla legge o dal giudice a ricevere il pagamento; • può darsi che il creditore indichi al debitore il soggetto al quale deve essere rivolta la prestazione (ad esempio una banca); • può darsi che il creditore autorizzi con atto unilaterale, un terzo a ricevere la prestazione. In questi tre casi, il terzo è legittimato a ricevere ma non ad esigere, poiché non può vantare alcun diritto soggettivo verso il debitore. • può darsi che, il terzo è autorizzato tanto a ricevere quanto ad esigere la prestazione, poiché il debitore non si può liberare eseguendola nei confronti del creditore a causa dell’incapacità di lui (articolo 1190). Ciò accade ai legali rappresentanti di minori o interdetti; • può darsi che, il pagamento al terzo sia liberatorio, poiché l’interesse del creditore sia comunque soddisfatto: ciò può risultare da una sua dichiarazione espressa (che il legislatore chiama “ratifica”) oppure perché si può comunque desumere dall’arricchimento che abbia conseguito (si parla al proposito di “approfittamento”); • può darsi che, il pagamento sia liberatorio poiché il debitore ha erroneamente confuso il terzo col creditore (ipotesi del “creditore apparente”); • può darsi che, il debitore abbia erroneamente ritenuto il terzo legittimato a ricevere il pagamento. In queste due ultime ipotesi il debitore deve dimostrare, tuttavia, la sua buona fede, nonostante l’attenzione dovuta, nell’identificare il creditore vero o nel desumere la legittimazione del terzo a ricevere il pagamento. Il terzo che ha ricevuto il pagamento deve restituirlo al creditore. 21. LA CAPACITÀ DELLE PARTI, LA QUIETANZA, L’IMPUGNAZIONE DEL PAGAMENTO E LE SPESE. Il pagamento effettuato al creditore non è liberatorio sempre che non si accerti che il suo interesse risulta in ogni modo soddisfatto. L’incapacità del debitore non impedisce l’estinzione dell’obbligo e non gli consente di ottenere dal creditore la restituzione di quanto dovuto: se si tratta dell’obbligo di concludere un contratto l’incapacità (legale o naturale) potrà comportare l’annullabilità del contratto definitivo. Al momento del pagamento, il creditore o terzi legittimati devono rilasciarne quietanza, ossia consegnare, al debitore, una dichiarazione scritta con la quale attestino di aver ricevuto il pagamento. Tale dichiarazione può essere apposta anche sul documento da cui risulta l’atto giuridico che ha originato l’obbligazione. La quietanza costituisce confessione stragiudiziale rivolta alla parte. Le spese della quietanza e quelle per l’adempimento della prestazione sono a carico del debitore. In alternativa alla quietanza, il debitore può ottenere la restituzione o distruzione dell’originale documento da cui risulta l’atto generatore dell’obbligo. L’obbligato può dichiarare quale tra quei debiti intende soddisfare. Tale dichiarazione ha struttura unilaterale recettizia, non negoziale e non richiede di essere manifestata espressamente o in una forma determinata. In mancanza, il pagamento viene imputato dalla legge a quello tra i differenti debiti che risulti scaduto e a quello meno garantito: nel caso in cui fossero tutti egualmente garantiti, il pagamento andrà imputato al più oneroso e a quello più antico (in caso di parimenti onerosi). Ove essi si fossero originati nella stessa data, il pagamento andrà imputato ai vari debiti in misura proporzionale. Il debitore deve munirsi del consenso del creditore piuttosto che agli interessi e alle spese: il pagamento fatto Pagina di 35 91 genericamente deve essere imputato prima agli interessi. Se non vi provvede il debitore, il creditore può imputare il pagamento, con dichiarazione, ma l’imputazione stessa è inefficace quando risulti inganno o malafede. IV - IL PAGAMENTO DELL'INDEBITO E L'ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA 22. IL PAGAMENTO DELL’INDEBITO. Occorre considerare le ipotesi nelle quali il pagamento sia stato effettuato dal debitore, ma non sussista l’obbligo ch'egli doveva adempiere perché questo era estinto o venuto meno (si parla in tal caso di indebito oggettivo che è regolato all’articolo 2033): - Ciò può accadere perché la fonte che lo doveva generare era in realtà “inefficace ab origine” (contratto nullo); - Può accadere perché l’efficacia originaria della fonte generatrice dell’obbligo, è venuta meno prima del pagamento (ma il debitore ha eseguito ugualmente la prestazione); - Può infine accadere perché l’efficacia dell’obbligo è venuta meno con efficacia retroattiva successivamente al pagamento. Analoga è l’ipotesi (indebito soggettivo) nella quale l’obbligo sia in realtà sussistente, ma il debitore abbia erroneamente pagato quanto dovuto al terzo (non quindi al creditore). In quest’ultimo caso, come già è stato detto, il pagamento effettuato dal debitore potrebbe aver estinto l’obbligo. Il creditore potrebbe aver “ratificato” la prestazione o averne “approfittato”. Come già detto, il pagamento al terzo può aver liberato il debitore anche quando si fosse verificata l’ipotesi del pagamento al creditore apparente oppure del pagamento al terzo apparentemente legittimato a riceverlo. Va considerato il caso del pagamento effettuato al creditore (vero) da un terzo (pagamento erroneo di debito altrui): l’adempimento in questi casi estingue l’obbligo, ma si tratta da un lato di tutelare il terzo, che ha pagato un debito non suo, dall’altro di evitare un ingiusto arricchimento del debitore, che si è ritrovato un debito pagato da altri. Allo scopo sono previsti due rimedi: - La legge consente al creditore di rivolgersi a chi ha ricevuto la prestazione, per ottenerne la restituzione ma occorre: - che il solvens provi di aver pagato il debito; - che il debito fosse dovuto da altri (debitore vero); - che il solvens provi di essersi erroneamente creduto debitore; - che l’errata opinione fosse scusabile. La nascita dell’obbligo di restituzione è comunque impedita dalla prova, data da chi ha ricevuto il pagamento, di essersi privato del documento da cui risulta l’atto che origina l’obbligo o delle garanzie del credito in buona fede; - Se non si origina l’obbligo di restituire il pagamento al terzo questi “subentra” nei diritti del creditore verso il debitore vero e può esigere quanto questi doveva al primo. 23. IL CONTENUTO DELL’OBBLIGO RESTITUTORIO. L’articolo 2033, che regola l’indebito oggettivo, stabilisce che: “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del Pagina di 36 91 pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se in buona fede, dal giorno della domanda”. Questo significa che l’esatta determinazione dell’obbligo di restituire quanto indebitamente ricevuto dipende dalla natura della prestazione e dal suo atteggiamento psicologico al momento della solutio: - Se si tratta di prestazione di danaro egli deve restituire il capitale con gli interessi, che decorrono dalla domanda, se era in buona fede, o dalla solutio, se era in mala fede. - Se ha ricevuto una cosa determinata, deve restituirla con i frutti, sempre dalla domanda se era in buona fede o dalla solutio nel caso opposto. - Se la cosa è perita o deteriorata, egli non ne risponde se era in buona fede, mentre se era in mala fede deve corrisponderne il valore. - Se abbia alienato la cosa ad un terzo, occorre tenere conto di: 1) buona o mala fede al momento in cui ha ricevuto il pagamento; 2) la conoscenza dell’obbligo di restituzione al momento dell’alienazione; 3) il carattere oneroso o gratuito dell’alienazione al terzo. 24. LE PRESTAZIONI IRRIPETIBILI (SOLUTI RETENTIO). Vi sono alcune ipotesi nelle quali chi ha ricevuto un pagamento non dovuto non è tenuto a restituirlo (soluti retentio): può accadere quando si giudichi che il solvens fosse tenuto ad eseguire la prestazione per un dovere morale o sociale. Il pagamento torna ripetibile quando chi lo ha eseguito, oltre ad essere incapace, era stato indotto ad effettuarlo con inganno o con minaccia. 25. L’ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA. L’arricchimento senza causa è regolato dall’articolo 2041 e stabilisce che: “Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”. Questo significa che chi a causa di un fatto determinato ha subito una diminuzione patrimoniale ha diritto di ottenere da chi se n’è avvantaggiato un indennizzo pari allo spostamento patrimoniale accertato, se lo spostamento non è fondato su un titolo giuridico ancorché invalido o inefficace. Chi ha subito l’impoverimento deve provare: - lo spostamento patrimoniale tra impoverito e chi si è arricchito; - il fatto che lo ha generato; - il legame causale tra il fatto e lo spostamento patrimoniale. Il legislatore ha anche precisato che questo tipo di azione non è proponibile quando il danneggiato possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito. V - LA MORA DEL CREDITORE 26. LA COOPERAZIONE MANCATA DEL CREDITORE DURANTE L’ADEMPIMENTO (MORA DEL CREDITORE). Alcuni obblighi possono essere adempiuti senza la cooperazione del creditore: ciò accade per quelli negativi (mi sono impegnato a non concludere un contratto); si tratta di casi in fondo rari. In altri casi, invece, il comportamento ostruzionistico o inerte del creditore impedisce al debitore l’adempimento (l’ipotesi in cui si renda irreperibile nel domicilio ove l’obbligato gli deve consegnare la cosa o pagare il denaro). Ciò accade quando il creditore lo rifiuti o non compia quanto necessario per ricevere la Pagina di 37 91 L’obbligazione si estingue anche per novazione oggettiva, cioè quando le parti si accordino per sostituirla con un'altra obbligazione differente per la causa che la giustifica, si parla quindi di novazione causale, o per la prestazione dovuta, si parla quindi di novazione reale. Tale intenzione deve essere condivisa dai due contraenti e deve corrispondere a un loro comune interesse. Le modifiche accessorie ad un qualsiasi rapporto obbligatorio non implicano novazione, in quanto non sono elementi necessari e significativi. 31. LA COMPENSAZIONE. La compensazione avviene quando due persone sono obbligate reciprocamente, cioè l’una nei confronti dell’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti (articolo 1241). Essa non opera se una delle parti ha rinunciato preventivamente alla compensazione. Esso è giustificato dal principio di economia degli adempimenti, visto che il risultato dei due pagamenti si realizza estinguendo le due pretese contrapposte. Vi sono differenti tipi di compensazione: - Legale: quando i debiti sono di eguale contenuto e si estinguono a vicenda; - Giudiziale: quando il debito non è in denaro ma è quantificabile, purché sia di facile e pronta liquidazione; - Volontaria: non è altro che l’effetto di un accordo tra le parti. VII - LA SUCCESSIONE NEL DEBITO E LA NOVAZIONE SOGGETTIVA L’obbligo non si estingue per morte del debitore ma esso si trasferisce all’erede; il debito può essere trasferito anche per atto tra vivi o al debitore originario può succedere un terzo, che assume la posizione di nuovo debitore: si parla in tali casi di cessione del debito. La cessione va distinta dalla novazione soggettiva passiva: mentre nel primo caso il cessionario assume verso il creditore il debito originario che si troverà soggetto all’identica disciplina, per quanto concerne eventuali privilegi, accessori dovuti e prescrizione. Nel secondo caso nasce invece in capo al terzo un “nuovo obbligo”, che potrà pure aver contenuto identico a quello dovuto dal debitore, ma sarà originato da un’altra fonte e da questa sarà quindi regolato. Non saranno dovuti gli interessi convenzionali, mentre in ogni caso il nuovo debito sarà sottoposto alla prescrizione decennale ordinaria, non sarà privilegiato e il giudicato pronunziato tra debitore e creditore originario non sarà opponibile al terzo che abbia assunto nuovo debito. Costituisce un modo ulteriore di liberazione del debitore, mediante la sostituzione con una nuova obbligazione di quella originaria, che appunto si estingue. Viene realizzata in genere attraverso una delegazione di debito liberatoria: in tal caso il delegato (nuovo debitore) non può opporre al delegatario (creditore) le eccezioni che a quest’ultimo avrebbe potuto opporre il delegante (primo debitore). L’obbligazione assunta dal terzo verso il creditore è nuova, poiché assolutamente autonoma rispetto quella del debitore originario. VIII - LA DELEGAZIONE, L’ESPROMISSIONE E L’ACCOLLO 33. LA DELEGAZIONE DI PAGAMENTO E LA DELEGAZIONE DI DEBITO. La delegazione, regolata dagli articoli 1268 e seguenti, consiste in un incarico che un soggetto (delegante) conferisce ad un altro (delegato), affinché paghi oppure si obblighi a pagare un terzo creditore (delegatario). La delegazione può essere: - di pagamento, quando l’incarico consiste nel pagare il terzo; - di debito o promissoria, quando l’incarico consiste nell’assumere l’obbligo di pagare il terzo. Pagina di 40 91 Il rapporto tra delegante e delegato si dice “rapporto di provvista”. Tale incarico è revocabile, fino a quando non sia stata assunta l’obbligazione verso il delegatario o non sia stato eseguito il pagamento. I due contratti conclusi tra le parti sono “collegati tra loro” ma mantengono la propria autonomia: si potranno trovare l’atto giuridico, che ha generato l’obbligazione sussistente tra delegante e delegatario e quello con il quale il delegante ha assegnato al delegatario un nuovo debitore. La morte o sopravvenuta incapacità del delegatario non impediscono l’esecuzione dell’incarico stesso. Nella delegazione di debito nasce una nuova obbligazione tra delegato e delegatario, originata da un contratto tra loro concluso. Salvo diversa pattuizione, il delegatario non può esigere l’adempimento dal delegante, se non ha richiesto l’adempimento al delegato. Il delegatario può liberare il delegante: la delegazione si dice liberatoria e realizza una novazione soggettiva, se l’obbligazione assunta dal delegato è nuova e sostituisce quella del delegante, ad esempio. La liberazione estingue le garanzie prestate, salvo differente pattuizione. Liberando il delegante, il creditore-delegatario può incorrere nel rischio che il suo unico debitore divenga insolvente: può condizionare risolutivamente la liberazione all’eventuale insolvenza del delegato. La liberazione del delegante è in ogni caso inefficace, se il delegato era insolvente quando assunse il debito con il delegatario o se il contratto sia invalido o inefficace. 34. L’ESPROMISSIONE. Si realizza un’ espromissione quando, con un contratto, un terzo espromittente, senza essere stato incaricato, si obbliga con il creditore espromissario a pagare un debito che quest’ultimo ha verso il debitore epromesso (articolo 1272). Il terzo espromittente assume l’impegno a pagare al posto del debitore, che diventa quindi obbligato. L’espromittente non può opporre al creditore le eccezioni relative ai suoi rapporti con l’estromesso: non ha alcun rilievo quindi la ragione per la quale il terzo assume su di sé l’obbligo dell’espromesso, neppure se questo dipenda da titolo invalido o inefficace. Il terzo può opporre al creditore tutte le eccezioni che il debitore avrebbe potuto opporgli. L’espromissione è normalmente cumulativa: il creditore può, tuttavia, liberare il debitore, con una propria dichiarazione (espromissione liberatoria) realizzando una cessione del debito (di carattere privativa). In tal caso si estinguono le garanzie dei terzi. Il creditore che libera il debitore assume completamente su di sé il rischio che il terzo diventi insolvente, a meno che non abbia risolutivamente condizionato la liberazione all’insolvenza dell’espromittente. La nullità o annullamento dell’espromissone fa rivivere il debito originario. 35. L’ACCOLLO. Si realizza un accollo quando con un contratto tra debitore e terzo (accollante), questo si assume il debito che l’altro abbia col creditore (accollatario). Quest’ultimo risulta beneficiario dell’intesa, poiché si ritrova un nuovo debitore, che si aggiunge a quello originario. Il creditore è terzo rispetto alla stipulazione, alla quale può tuttavia aderire: ciò non comporta liberazione del debitore, se non vi è stata dichiarazione espressa o se la stipulazione non era condizionata alla liberazione. L’accollante può opporre all’accollatario le eccezioni che discendono dal contratto d’accollo e può opporre le eccezioni che a questo avrebbe potuto opporre il debitore accollato. L’accollo ha carattere cumulativo, in guisa che l’accollante e il debitore si trovano entrambi obbligati verso l’accollatario. Quando la liberazione dell’accollato abbia costituito condizione espressa, il debitore è in ogni caso obbligato se l’accollante era insolvente al tempo dell’adesione del creditore all’accollo. L’invalidità o inefficacia dell’accollo comportano inefficacia della liberazione: anche con l’accollo liberatorio si realizza una cessione del debito. Si parla infine di accollo interno o semplice per le ipotesi nelle quali il creditore non abbia inteso aderire all’accollo oppure per quelle in cui l’accollante e accollato abbiano inteso non attribuire effetto Pagina di 41 91 giuridico al creditore: quest’ultimo continua ad avere un unico debitore. Si parla di accollo esterno, quando l’accollatario è terzo rispetto alla stipulazione, alla quale può aderire. IX - LA CESSIONE DEL CREDITO E IL PAGAMENTO CON SURROGAZIONE 36. LA CESSIONE DEI CREDITI. Anche il credito può essere trasferito dal creditore ad un terzo che gli si sostituisce, sia a causa di morte sia per atto tra vivi, a titolo oneroso o gratuito. La cessione del credito tuttavia, non è consentita quando: - il credito ha carattere personale poiché diretto a soddisfare un bisogno fisico o morale della persona (credito a ricevere una determinata cura sanitaria); - vi è un divieto legale di cessione (cedere il credito per alimenti); - vi è un divieto convenzionale di cessione. Il patto è opponibile al cessionario (la cessione diviene inefficace) se si prova che questi lo conosceva al momento in cui si è verificato l’effetto traslativo. Non è necessario che il debitore consenta alla cessione, perché per lui dovrebbe essere indifferente pagare al creditore originario, il cedente, o a quello subentrato a lui, il cessionario. Deve tuttavia sapere a chi pagare, poiché se paga al cedente è liberato, se il cessionario non prova che il ceduto era a conoscenza della cessione. Chi acquista il credito può far dichiarare al debitore di essere a conoscenza della cessione. Il credito acquistato dal cessionario comprende privilegi, accessori (interessi), garanzie personali e quelle reali. Il cedente non può trasferire al cessionario il possesso della cosa ricevuta, se il debitore ceduto non glielo consenta. Il cedente in mancanza di consenso assume la posizione di custode della cosa. Il cedente deve consegnare al cessionario i documenti probatori del credito: il ceduto può opporre a quest’ultimo tutte le eccezioni che avrebbe potuto far valere contro il cedente. Quando il medesimo credito sia stato ceduto a una pluralità di cessionari, prevale chi tra essi ha stipulato per primo l’atto di cessione, se non vi sia stata notificazione della cessione al debitore con atto di data certa o accettazione munita sempre di certezza della data. Diversamente, prevale chi per primo si sia procurato la dichiarazione di accettazione del debitore o chi per primo gli abbia notificato la cessione. Il cedente deve garantire al cessionario l’esistenza del credito: se la cessione è a titolo oneroso una clausola con la quale simile garanzia sia esclusa è valida, ma il cedente resta obbligato per il fatto proprio; l’inesistenza del credito indica le ipotesi in cui il titolo che lo doveva generare fosse stato invalido o inefficace, anche per evento sopravvenuto, quelle in cui il credito fosse estinto prima della cessione o quelle in cui il cedente non ne fosse titolare. Se la cessione è a titolo gratuito, il cedente risponde soltanto nei casi e limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia. Il cedente non risponde invece della solvenza del debitore, salvo patto contrario; deve corrispondere gli interessi, rimborsare le spese della cessione e quelle sopportate dal cessionario per risarcire il danno al debitore. Ogni patto diretto ad aggravare la responsabilità del cedente è nullo. È tuttavia tenuto a iniziare e proseguire le istanze contro il ceduto insolvente: diversamente perde la garanzia prestatagli dal cedente. 37. IL PAGAMENTO CON SURROGAZIONE. La surrogazione, nell'ordinamento italiano, è il subingresso di un terzo che si sostituisce nei diritti del creditore verso un debitore, per effetto del pagamento del debito da parte del terzo stesso. Il pagamento con surrogazione è disciplinato agli articoli 1201-1205. Il codice prevede tre distinte figure di surrogazione: Pagina di 42 91 L’obbligazione di versare gli interessi è un’obbligazione pecuniaria, avente natura accessoria, poiché si aggiunge a quella principale e periodica giacché matura giorno per giorno. Il debito consiste in una somma determinata in misura proporzionale al capitale: tale misura, detta saggio può essere variata. In mancanza permane identica a quella dell’anno precedente. La misura può essere determinata con due importanti limitazioni: - gli interessi superiori ala misura legale devono essere determinati per iscritto, diversamente sono dovuti al saggio legale; - gli interessi superiori alla misura legale non devono eccedere la soglia di usura, diversamente non sono dovuti interessi. La soglia si definisce aumentando il tasso medio di 1⁄4 ed aggiungendo un ulteriore 4%. L’unificazione del c.c. e di quello commerciale ha condotto alla generalizzazione della regola che proclama dovuti automaticamente gli interessi corrispettivi, quando il credito sia liquido ed esigibile, cioè determinato l’ammontare in denaro direttamente o con un certo conteggio aritmetico e non vi sia termine di adempimento o questo sia scaduto. Ciò vale per ogni debito di valuta e non ovviamente per i debiti di valore, sino a quando non siano stati liquidati. È limitato l’anatocismo (o capitalizzazione degli interessi), ossia l’obbligo di pagare gli interessi non sul capitale ma sugli interessi già maturati (assimilati al capitale). L’obbligo predetto (dell’anatocismo) si origina solamente nelle seguente ipotesi: - quando sussista un uso normativo che lo ammetta (anatocismo consuetudinario); - quando sia stata proposta la domanda giudiziale di condanna del debitore (anatocismo giudiziale); - quando lo si sia pattuito espressamente (anatocismo convenzionale) e si richiede in questo caso la forma scritta. Nelle ultimi due casi si deve trattare di “interessi scaduti e dovuti da almeno sei mesi”: il saggio al quale si calcolano è quello legale, anche se gli altri interessi fossero dovuti a saggio più elevato. XI - L’INADEMPIMENTO 43. L’INADEMPIMENTO (LA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE). L’inadempimento è la mancata prestazione eseguita ed è regolato dall’articolo 1218, che riconosce al creditore il diritto di ottenere il valore del danno arrecatogli dall’inadempimento del debitore, che ha una responsabilità contrattuale. Tuttavia, l’inadempimento non obbliga il debitore a risarcire il danno, quando sia stato provocato da un evento sopravvenuto, che ha reso la prestazione impossibile, purché questo non gli sia imputabile. L’esecuzione tardiva della prestazione non può considerarsi inadempimento e quindi non consente al creditore di conseguire il risarcimento del danno. Il creditore può intimare o richiedere per iscritto al debitore di adempiere, in tal modo costituendolo in mora. L’intimazione scritta, tuttavia, non è necessaria quando: - il debito deriva da fatto illecito; - il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler adempiere; - il termine è scaduto. La mora è impedita dalla tempestiva offerta della prestazione dovuta, anche se questa non sia stata compiuta con le forme necessarie per costituire in mora il creditore, purché quest’ultimo non l’abbia rifiutata per motivo legittimo. Oltre all’obbligo di risarcire il danno, la mora del debitore impedisce Pagina di 45 91 l’estinzione per sopravvenuta impossibilità derivante da causa non imputabile al debitore, a meno che questo non provi che la prestazione sarebbe ugualmente perita presso il creditore. Quando si tratti di prestazioni di non fare non si può immaginare un inadempimento tardivo o mancato; diversa dall’ipotesi in cui il debitore esegua la prestazione ma in maniera inesatta, ossia: - quantitativamente, quando la prestazione è eseguita in modo parziale; - qualitativamente, quando la prestazione è eseguita, ma è diversa da quella dovuta. Nel primo caso, se la prestazione è divisibile il creditore può chiedere la condanna ad adempiere la parte mancante, fermo restando il diritto di risarcimento dei danni; nel secondo caso invece, quando l’esecuzione della prestazione è inesatta qualitativamente, vi è obbligo di risarcire il danno. È richiesto all’interprete, di confrontare la condotta tenuta dal debitore con un modello astratto: il buon padre di famiglia, il quale rappresenta la persona media, che adopera nelle proprie azioni la cautela e l’attenzione. 44. IL RISARCIMENTO DEL DANNO. Il danno esprime la perdita che il creditore subisce in conseguenza dell’inadempimento o della mora. È dato anzitutto di distinguere il: - danno emergente, quando si parla di perdita subita; - lucro cessante, quando si parla di mancato guadagno. Per determinare il danno si devono distinguere: - la causalità materiale, quando gli eventi sono provocati dall’inadempimento; - la causalità giuridica, quando le conseguenze si hanno sul patrimonio o sulla persona del debitore. Il danno è risarcibile se è la conseguenza immediata e diretta della condotta del debitore. Tuttavia, è escluso quando le conseguenze prodotte dall’inadempimento al patrimonio o alla persona del debitore fossero prevedibili, secondo un criterio probabilistico di normalità, al momento in cui è sorta l’obbligazione. L’articolo 1227 limita o esclude il risarcimento secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate, quando i danni derivano dalla condotta del creditore, ed esclude il risarcimento quando il creditore poteva evitare i danni con la diligenza ordinaria. 45. IL DANNO NELLE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE. Nelle obbligazioni di valuta, gli interessi moratori vengono calcolati al saggio legale dal giorno della mora del debitore. Tali interessi sono dovuti a prescindere dal fatto che il creditore abbia subito il danno e quindi dal fatto che ne abbia dato la prova. Se il creditore dimostra di aver subito un danno maggiore attraverso delle prove del fatto, gli spetta un ulteriore risarcimento, purché non sia stato pattuito che il debitore gli dovesse interessi moratori in misura superiore al saggio legale. Pagina di 46 91 CAPITOLO 5 : IL FATTO ILLECITO I - IL DANNO 1. LA NOZIONE. Il fatto illecito è regolato dagli articoli 2043 e seguenti. Secondo una regola antichissima, l’obbligazione di risarcire il danno nasce in capo alla persona che lo ha provocato. Il danno può essere: - patrimoniale, quando il danno arrecato è valutabile economicamente, nella quale si raggruppano, oltre i diritti soggettivi (diritti reali, assoluti e relativi, diritti di credito), gli interessi legittimi e persino il Pagina di 47 91 La circolazione stradale è una tra le principali cause di sinistro a cose e persone e va quindi considerata attività utile socialmente ma pericolosa. Se il sinistro si è realizzato in uno scontro tra veicoli, la responsabilità dei conducenti nel provocarlo si presume uguale, se non si provi il contrario (tamponamento da parte di quello che segue). Il conducente risponde in ogni caso per i difetti di manutenzione (pastiglie dei freni) o vizi di costruzione (malfunzionamento del si positivo abs). 8. LA RESPONSABILITÀ DEL PRODUTTORE. Per i danni arrecati da un prodotto difettoso risponde chi ne abbia fabbricato almeno una parte o chi li abbia coltivati, allevati, pescati o cacciati: se questi non sia individuato, risponde il fornitore che li abbia distribuiti e non abbia entro tre mesi declinato le generalità del produttore o di chi gli avesse fornito il prodotto. Il prodotto difettoso è quello che non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere. Il produttore non risponde quando: - non l’abbia messo in circolazione; - il difetto non esisteva al momento in cui il produttore lo ha messo in circolazione; - il prodotto non sia fabbricato per la vendita o per altre forme di distribuzione commerciale; - il difetto è dovuto all’osservanza di una norma giuridica vincolante; - lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permettevano di considerarlo come difettoso; - il produttore o il fornitore abbiano realizzato o fornito una parte della cosa; - il danno risarcibile è quello arrecato alla persona o alle cose destinate all’uso o al consumo pubblico. L’azione si prescrive in tre anni ed è soggetta a decadenza decennale. III - LA RESPONSABILITÀ PER COMPORTAMENTO DOLOSO O COLPOSO Chi provochi un danno ingiusto è debitore del risarcimento, quando si provi ch’egli era capace d’intendere e di volere e che la sua condotta era dolosa o colposa. È capace di intendere e di volere chi sia in grado di scegliere se tenere o non tenere una certa condotta e possa comprendere le conseguenze delle proprie azioni. L’incapace è una persona affetta da una grave malattia psichiatrica, un bambino in età infantile o una persona che ha fatto uso abbondante di stupefacenti o di bevande alcoliche. L’incapacità tuttavia non impedisce l’insorgere del risarcimento quando dipenda da un comportamento dell’agente. Se una persona viene resa incapace da un’altra persona, quest’ultimo risponderà dei danni. Se la persona che commette un danno ha la capacità d’intendere e di volere, risponderà della sua azione o la sua omissione se è stata “dolosa o colposa”: il codice penale definisce doloso l’evento dannoso o pericoloso, quando sia il risultato che l’agente ha “preveduto e voluto come conseguenza di queste” (chi appositamente induca alcuno ad affacciarsi dal balcone per farlo rovinare a terra), mentre è colposo quando l’evento stesso, “anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, discipline, regolamenti…”. IV - LA RESPONSABILITÀ PER FATTO ALTRUI 10. I SORVEGLIANTI, I GENITORI, I TUTORI E GLI INSEGNANTI. Pagina di 50 91 Si parla di responsabilità per fatto altrui per indicare le ipotesi nelle quali l’evento dannoso sia provocato per esempio da un incapace. In questo caso risponde chi è “tenuto a sorvegliarlo” – come i genitori o gli insegnanti, oppure l’addetto ad una cura psichiatrica. L’obbligazione risarcitoria non sorge in capo a costoro soltanto “se provino di non aver potuto impedire il fatto” ossia di essersi trovati nell’impossibilità di impedire l’evento. La vittima, che non ottiene risarcimento del danno dei sorveglianti perché non risultano obbligati a risarcirlo, può comunque ottenere la condanna dell’autore del danno a versargli un’indennità equa. I genitori e il tutore sono coobbligati in solido con il minore o interdetto per i danni che questi ha arrecato a terzi. 11. I PADRONI E COMMITTENTI E IL PROPRIETARIO DEI VEICOLI. I padroni e i committenti sono coobbligati in solido con i loro “domestici e commessi” per i danni che questi arrechino a terzi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. È una previsione di rilevanza pratica, che propaga al datore di lavoro la responsabilità per gli illeciti commessi dai suoi dipendenti durante il loro incarico. Tra le mansioni affidate e l’evento dannoso deve sussistere un nesso detto di occasionalità necessaria: l’obbligazione del datore di lavoro non sorge quando il danno sia provocato dal dipendente con dolo o comunque trasgredendo le direttive impartite. CAPITOLO 6 : IL CONTRATTO I - CLASSIFICAZIONI 1. IL SINALLAGMA L’articolo 1321 stabilisce che “Il contratto è l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Consiste quindi nell’incontro tra più dichiarazioni di volontà emesse da parti capaci di agire: la volontà è diretta a creare un effetto giuridico patrimoniale. Ciascun contraente è tenuto ad una prestazione di dare, fare o non fare, nell’interesse dell’altra parte. Il nesso unente la prestazione alla controprestazione genera il sinallagma: vincolo di corrispettività che Pagina di 51 91 giustifica gli spostamenti patrimoniali in funzione dei quali gli stipulanti hanno raggiunto l’intesa, quindi chi acquista un bene ha il diritto di ottenere la consegna della cosa, ma a sua volta è tenuto, per controprestazione, a pagare il corrispettivo prezzo. Finora abbiamo parlato di sinallagma genetico, che si distingue da quello funzionale che attiene all’adempimento delle prestazioni, cioè legittima il creditore a chiedere la risoluzione del contratto. 2. LE CATEGORIE Il contratto sinallagmatico (o commutativo) può essere accostato alla fonte di diritti e obblighi reciproci: ciascuna parte ha diritto di esigere qualcosa dall’altra, e detta pretesa legittima gli spostamenti di ricchezza. Il contratto può eccezionalmente obbligare una sola parte, ma in tal caso siamo di fronte ad un contratto unilaterale. Si parla di contratto bilaterale quando l’accordo è tra due parti e il perfezionamento implica ciascuna parte alla remunerazione diretta della controprestazione. È invece plurilaterale, quando il perfezionamento implica la riduzione ad unità di una molteplicità di volizioni, tramite le quali ciascuna parte si obbliga verso le altre o una parte è tenuta a adempiere nelle mani del terzo; è associativo quando le prestazioni dovute sono unificate dal vincolo di destinazione, per cui ciascuna parte è titolare di diritti e obbligazioni. Quando lo spostamento patrimoniale trae la propria ragione giustificativa dall’interesse del disponente di arricchire il beneficiario senza ottenere alcunché in cambio, possiamo parlare di liberalità donativa e si parla in tal caso di contratto con natura di causa liberale: vi è l’impoverimento del donatore, che si spoglia di una porzione del proprio patrimonio per ragioni di generosità, motivi ideali, scopi altruistici e così via. Il contratto aleatorio, invece, è quello dove appare inizialmente incerto se la prestazione di una parte verrà “retribuita” dalla controprestazione (contratto di assicurazione, nel quale mentre la prestazione dell’aderente, pagamento del premio è certa, quella dell’assicuratore ossia il pagamento dell’indennizzo è incerta). Il contratto può inoltre essere a titolo gratuito, quando lo spostamento patrimoniale è mosso da un interesse patrimoniale indiretto, cioè di una sola parte. 3. IL CONSENSO I contratti si perfezionano di regola per effetto del semplice accordo (articolo 1376): il nostro ordinamento è informato al principio consensualistico; secondo questo, il diritto di proprietà su cose determinate si trasmette in virtù del consenso espressamente manifestato, mentre per le cose non determinate, ma determinabili, l’effetto traslativo è posticipato all’atto di individuazione. L’individuazione è un contratto accessorio il cui fine è quello di completare la vicenda traslativa. Per i contratti aventi ad oggetto, ad esempio, il trasferimento di un diritto reale (diritto di superficie), il trasferimento della proprietà di un edificio si realizza solo con il consenso, non essendo necessaria la consegna effettiva o simbolica (chiavi) dello stabile. Solo in casi espressamente previsti per legge il contratto si perfeziona con la consegna: deposito, mutuo, comodato e così via. 4. ULTERIORI SUDDIVISIONI I contratti possono poi essere a forma libera oppure vincolata: la volontà può essere anche tacita, essendo estrapolabile da determinati comportamenti. La legge impone forme vincolate: a. in alcuni casi la forma scritta (scrittura privata o atto pubblico) è richiesta sotto pena di nullità, come accade per i contratti aventi ad oggetto trasferimento di diritti reali su immobili; b. in altri casi è richiesta ai fini probatori, nel senso che il contratto non potrà essere dimostrato avanti al giudice mediante testimoni o presunzioni, ma attraverso l’esibizione del documento d’accordo, oppure tramite confessione. Bisogna inoltre suddividere tra contratti istantanei e di durata: Pagina di 52 91 L’imprenditore che ricorre alla semplificazione assicurata delle condizioni generali di contratto utilizza moduli riproducesti clausole: ma non sempre il contratto viene documentato per iscritto (articolo 2702) (nel caso in cui acquistiamo un alimento mediante distributore automatico, vi è un’intesa non incorporata in documento). La spersonalizzazione della trattativa vi è qui, tra l’altro, accentuata dal fatto che il “consumatore” entra in relazione con una macchina anziché con altra persona. Il contratto viene stipulato per comportamento concludente. Prendendo in considerazione l’esempio prima citato, il negoziato è assente, sebbene l’offerente abbia in anticipo predisposto uno statuto uniforme di (futuri) contratti con i singoli utilizzatori. Questo è possibile grazie al “congegno” le cui condizioni generali sono opponibili. Onere del predisponente (offerente) è di fare in modo che la totalità dei suoi potenziali clienti possa apprendere il contenuto delle condizioni generali prima di perfezionare il vincolo giuridico (non conta la conoscenza effettiva, quando la conoscibilità astratta). L’aderente non potrà dolersi di non averle lette, perché la legge gli addebita un onere di diligenza in caso di mancato adempimento (quando entriamo in banca troviamo affisse, vicino gli sportelli, le condizioni generali dell’impresa: l’imprenditore adempie l’onere di conoscibilità e se questo omette di leggerle poco importa). 14. LE CLAUSOLE VESSATORIE Le clausole vessatorie sono quelle clausole che sono presenti nei contratti e che producono uno squilibrio a danno del consumatore. Vi è infatti, in determinate circostanze, il pericolo che l’aderente si veda opporre dall’altra parte clausole “inattese” scatenanti una limitazione insidiosa della responsabilità contrattuale: l’acquirente (consumatore) nutre la legittima aspettativa che l’offerente risponda delle conseguenze dannose derivanti da vizi o difetti materiali della cosa negoziata (articolo 1490). Per scansare la turbativa delle clausole inattese, “non hanno effetto (ossia sono nulle) quelle clausole che non sono specificatamente approvate per iscritto, con condizioni e limitazioni di responsabilità, che presentano la facoltà di recedere dal contratto o di sospendere l’esecuzione; quelle che sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale con terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria”. Insomma, la protezione della parte debole (aderente) viene garantita attraverso la mera sottoscrizione specifica della clausola vessatoria: però, se l’aderente ha apposto la c.d. doppia firma in calce al modulo, dichiarando così di accettare una o più clausole, questa concreta una protezione priva di effettività. La denunziata inadeguatezza è aggravata dalla persuasione secondo cui: l’elenco che precede è tassativo e la doppia sottoscrizione non sarebbe richiesta per contratti redatti dal notaio. 15. CLAUSOLE ABUSIVE E TUTELA PRO CONSUMATORE La tutela pro aderente è applicabile ai rapporti negoziali tra professionista (persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio di un’attività) e consumatore (persona fisica): viene assicurata una tutela reale. L’articolo 36 c.cons stabilisce che una clausola atipica è invalida se urta contro il principio secondo cui si considerano vessatorie le clausole che arrecano al consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali. Il suddetto squilibrio è un modo di manifestarsi della contrarietà del principio di buona fede. Tale sanzione è rilevabile d’ufficio a beneficio del consumatore. Ancorché l'aderente abbia sottoscritto specificatamente la clausola, essa è nulla ove rientri tra quelle enumerate nell'articolo 33, c. cons. Inoltre, non si estende a clausole che determinano l’oggetto del contratto. Sono sempre nulle le clausole destinate a: - escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto del professionista; - escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o d’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o adempimento inesatto da parte del professionista; Pagina di 55 91 - prevedono l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. Tuttavia, secondo l’articolo 34 c.cons, non sono vessatorie le clausole che determinano l’oggetto del contratto o l’adeguatezza del corrispettivo, purché tali elementi siano facilmente comprensibili al consumatore. 16. LA TUTELA DELL’IMPRENDITORE DEBOLE (C.D. “TERZO CONTRATTO”) La disciplina qui illustrata è quella tra professionista e consumatore e la disparità contrattuale è ravvisabile nei rapporti, al pari, tra imprenditori. Ad esempio, la situazione dove operino medio-piccolo commerciante con l’artigiano, i quali non hanno alcun potere di negoziato nei riguardi dell’impresa fornitrice: infatti, quest’ultima fa valere la propria superiorità economica rifiutando qualsiasi trattativa del contratto. Dal primo contratto tra pari regolato dal codice civile ove gli status personali delle parti sono irrilevanti, si è passati al secondo contratto tra professionista e consumatore, per giungere al terzo contratto dedicato allo statuto del contratto tra imprenditore forte e imprenditore debole. L’articolo 9 della legge n. 192 del 1998 permette al giudice di contrastare l’abuso della libertà contrattuale a scapito dell’imprenditore vessato dal contenuto del contratto imposto dalla parte economicamente forte. Una tutela particolare a beneficio dell’ affiliato (franchisee) è prevista dalla disciplina dell’ affiliazione commerciale (franchising). III - LA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTAUALE 17. IL RECESSO INGIUSTIFICATO DELLE TRATTATIVE Ai sensi dell’articolo 1337, durante le trattative precontrattuali le parti devono comportarsi secondo buona fede, quindi secondo correttezza e lealtà. Vi è il divieto per i protagonisti del negoziato di suscitare erronee aspettative circa la possibilità di trovare un’intesa. Chi per malizia o noncuranza imbastisce un negoziato di cui sin dall’inizio sa o dovrebbe sapere che questo è destinato al fallimento è tenuto a risarcire economicamente l’altra parte, anche se abbia semplicemente trascurato di valutare con la necessaria diligenza le proprie possibilità di stipulare il contratto. Le parti non devono iniziare la trattativa per meri interessi nocivi. Si parla di responsabilità precontrattuale nel momento in cui una delle parti non operi in buona fede o rifiuti di punto in bianco l’ulteriore discussione a completare il contratto, se fino a quel momento il comportamento della parte aveva dimostra la volontà di concludere il contratto, scaturendo la fiducia dell’altra parte nel raggiungimento di tale contratto. 18. LA SOPRAVVENUTA OFFERTA PIÙ VANTAGGIOSA Nel corso delle trattative la parte potrebbe ricevere un’offerta da un terzo più conveniente: la parte quindi può tranquillamente prendere in considerazione tale proposta. Il terzo proponente ha l’onere di informare dell’evento l’altro interlocutore, in modo che possa adeguare la trattativa già in atto. Il recesso del negoziato in questo caso sarebbe corretto nel caso in cui la parte non riuscisse ad ottenere dalla controparte lo stesso vantaggio economico che conseguirebbe accettando l’offerta del terzo. 19. IL DIRITTO DI RIPENSAMENTO Il diritto di ripensamento è riconosciuto al consumatore in ipotesi di vendite fuori dei locali commerciali, in ordine alle quali s’insinua il rischio dell’effetto a sorpresa. 20. LE TRATTATIVE AFFIDANTI Pagina di 56 91 La libertà di “fare un passo indietro” svincolandosi dalla relazione si riduce con l’aumentare delle clausole. Si parla di illecito contrattuale quando le parti abbiano almeno iniziato la discussione sugli elementi essenziali del contratto. Allora, l’illecito precontrattuale è ravvisabile di fronte ad un repentino mutamento di rotta, che si traduce non nell’abbandono totale della trattativa, ma nell’impostazione tramite la fissazione di un termine entro cui l’altra parte è tenuta ad accettare la proposta sino a quel momento elaborata. 21. STIPULAZIONE DEL CONTRATTO E RESPONSABILITÀ Si parla inoltre di illecito contrattuale anche per reticenza, ovvero quando la parte non comunichi alla controparte ogni circostanza a questa ignota, che possa influire sulla conclusione del contratto. 22. LA CONOSCENZA DELLE CAUSE D’INVALIDITÀ ED INEFFICACIA DEL CONTRATTO Ai sensi dell’articolo 1338, la parte risponde a titolo di responsabilità contrattuale quando, conoscendo o dovendo conoscere la causa d’invalidità del contratto, la ometta alla controparte, il quale patisce un danno per aver, senza colpa, confidato sulla validità del contratto stesso: ciò non è applicabile nel caso in cui la causa invalidante sia posta a protezione del contraente incapace. Non merita invece protezione chi abbia ignorato la causa d’invalidità o inefficacia traente origine da una norma inderogabile, poiché avrebbe potuto esser superato da un comportamento diligente. 23. IL DANNO RISARCIBILE L’autore dell’illecito precontrattuale deve risarcire economicamente la parte danneggiata per le spese inutilmente sostenute per effetto della trattativa la quale non ha portato alla stipulazione di un contratto valido o efficace. La parte danneggiata è legittimata a richiedere il risarcimento dei danni derivanti dalle occasioni non sfruttate a causa dell’inconcludente trattativa. Il danno dell’interesse contrattuale deve comprendere tutti i pregiudizi subiti dalla parte lesa i quali siano conseguenza diretta del comportamento illecito. 24. LA NATURA DELLA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE La responsabilità precontrattuale è riconducibile all’articolo 2043. Secondo la regola generale, competerebbe al danneggiato dimostrare il dolo o la colpa dell’altro stipulante. IV - L’ACCORDO 25. PREMESSA Gli elementi essenziali del contratto sono: - l’accordo; - la forma, solo quando sia imposta dalla legge sotto pena di nullità; - l’oggetto; - la causa. L’accordo è dato dall’unione tra proposta e accettazione: si tratta di atti unilaterali recettizi, ossia che acquistano efficacia nel momento in cui pervengono a conoscenza del destinatario (articolo 1334). Proposta e accettazione, si reputano conosciute nell’istante in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova d’essere stato nell’impossibilità di averne notizia per una causa a lui non imputabile. 26. LA TRATTATIVA FRAZIONATA Pagina di 57 91 Secondo l’articolo 1326 l’accettazione deve essere tempestiva: la ritardata manifestazione di volontà dell’oblato non vincola il proponente, salvo che questi dichiari di voler dar corso all’intesa. Detta regola intende contrastare l’incertezza circa la sorte della proposta contro le esigenze tese a proteggere la sicurezza del traffico giuridico. L’incertezza può essere scansata tramite l’apposizione all’atto unilaterale recettizio (proposta) di un termine finale di efficacia. Invece, è impedito di applicare alla proposta contrattuale il termine di prescrizione. Serve accertare se sia o no ammissibile la fissazione di una termine iniziale della proposta. Il proponente è libero di revocare l’offerta finché il contratto non sia stato stipulato. In conclusione, il termine iniziale risponde all’apprezzabile interesse del dichiarante di rendere certo il momento a decorrere dal quale la proposta produce il proprio effetto tipico. 41. L’ESECUZIONE CONCLUDENTE Secondo l’articolo 1327: “Qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell'affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto si conclude nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione”. Questo introduce una regola eccezionale che, su richiesta del proponente o per la natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi dall’oblato senza una preventiva risposta. Come tutte le regole eccezionali, questa è sottoposta al principio dell’ interpretazione restrittiva. La volontà del proponente di autorizzare l’oblato all’esecuzione del contratto non richiede formule particolari: può, ad esempio, essere desunta dalla clausola “pronta consegna”. Il contratto si conclude nel tempo e nel luogo in cui l’accettazione sia giunta nella sfera di conoscibilità del proponente; invece, questo è perfezionato non già per effetto dell’accettazione, bensì “nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione”. L’interesse del proponente ad essere informato se l’oblato abbia accettato la proposta mediante comportamento concludente è tutelato, ed onera l’oblato di dare tempestiva comunicazione alla controparte dell’iniziata esecuzione, pena l’obbligazione di risarcire i danni da questi subiti per aver confidato senza colpa nel mancato perfezionamento del rapporto. Le parti sono sollecitate, dall’ art. 1327, all’ esecuzione del vincolo (tutelata per l’interesse di queste), in modo da snellire la circolazione giuridica. Allo stesso tempo è vero che il contratto si perfeziona quando il proponente sia venuto a conoscenza della volontà dell’altra parte, e anche che il contratto è perfezionato sic et simpliciter a seguito dell’adempimento, dove la comunicazione rileva ai soli fini di superare l’incertezza circa la conclusione del rapporto obbligatorio. Si è detto che il comportamento dell’oblato perfeziona il contratto poiché dimostrativo della volontà di accettare la proposta: ma questo vale in astratto, poiché in concreto il comportamento concludente può lasciare taluni margini d’incertezza circa la perfetta simmetria fra proposta e accettazione tacita. Questo problema è destinato a riverberarsi sul fronte dell’ esatto adempimento anche di fronte ad un ‘ accettazione espressa perché il debitore può eseguire una prestazione difforme quantunque sia obbligato a rispettare il contenuto della proposta. A conclusione del discorso, l’inizio della prestazione non perfettamente coincidente alla proposta impedisca la formazione del contratto secondo lo schema applicato, finendo per l’assumere i connotati di una nuova proposta. Se non viene accettata, spetta alla parte che abbia dato inizio alla prestazione sopportare i costi inutilmente sostenuti. I contratti formali non rientrano nel campo d’applicazione dell’articolo 1327 in quanto la fattispecie della quale ci stiamo qui occupando non può essere invocata nei contratti con la pubblica amministrazione, siccome tali rapporti sottostanno alla regola della forma scritta. Vi è l’eccezione in tema di subfornitura posto che tale tipologia contrattuale è suscettibile di perfezionamento. Il legislatore ha ritenuto che al fine di dare una risposta alle istanze di protezione del subfornitore (il quale si trova in uno stato di dipendenza economica verso il committente) ciò che conta è che siano chiare e facilmente dimostrabili le clausole contrattuali predisposte dalla parte forte, riguardo alle quali lo stipulante economicamente debole non ha alcun potere di negoziato. Se così, allora è sufficiente che la forma scritta sia rispettata dal committente nella stesura della proposta. 42. LA REVOCABILITÀ DELLA PROPOSTA E DELL’ACCETTAZIONE Secondo l’articolo 1328 proposta e accettazione sono normalmente atti unilaterali recettizi liberamente revocabili, salva l’eventuale responsabilità e in caso di ripensamento: il diritto di ripensamento si dissolve Pagina di 60 91 quando il contratto sia stato perfezionato. La revoca della dichiarazione unilaterale (proposta o accettazione) determina l’effetto estintivo ove giunga nella sfera di conoscibilità del destinatario. La revoca non è efficace quando arrivi all’indirizzo del’oblato prima che l’accettazione di questi sia giunta ad indirizzo del revocante, mentre l’accettazione è efficacemente revocata allorché la dichiarazione abdicativa sia giunta all’indirizzo del proponente prima dell’atto oggetto di revoca. 43. LA SEMPLIFICAZIONE DI CUI ALL’ARTICOLO 1333 Ai sensi dell’articolo 1333: “nei contratti unilaterali le promesse sono obbligatorie appena giungano a notizia della parte di cui sono fatte”: La proposta unilaterale perfeziona la fattispecie negoziale per il semplice effetto della sua ricezione all’oblato. L’oblato non è immediatamente vincolato dalla proposta, perché è libero di rifiutarla entro un congruo termine. A seguito dello scadere del termine si perfeziona il vincolo obbligatorio. Il rifiuto può essere desumibile dal comportamento inconciliabile con la proposta. 45. L’OFFERTA AL PUBBLICO L’elemento caratterizzante l’offerta al pubblico (articolo 1336) è costituito dall’incertezza del destinatario, essendo rivolta alla generalità dei consociati oppure a una determinata categoria di persone: qui il contratto è concluso quando il proponente abbia avuto notizia del’accettazione. L’ offerta perde efficacia ove sia stata revocata osservando le medesime forme tramite le quali fu resa pubblica. Tale tipo d’ offerta è ravvisabile da condotte socialmente tipiche (come ad esempio, il commerciante che ha esposto i beni indicandone il prezzo). Stando così le cose, la vendita è perfetta quando il cliente comunichi all’offerente il proprio consenso. Qualora il bene sia infungibile, può essere applicato il principio secondo cui la volontà del commerciante assume il contenuto di un mero invito ad offrire. Tale soluzione risponde a esigenze avvertite nel traffico mercantile, ove si consideri che sembrerebbe contro la natura delle cose ritenere vincolato il commerciante stesso da un contratto perfezionato grazie alla semplice accettazione del “passante” il quale dichiari di acquistare l’oggetto esposto; magari si tratta di un costoso diamante riguardo al quale il venditore ha la facoltà di valutare la vera intenzione del cliente. Il titolare dell’attività commerciale al dettaglio procede alla vendita al richiedente nel rispetto dell’ordine temporale della richiesta. I dubbi sono dissolti quando sia inequivocabile l’animo contrahendae obligationis. V - LA FORMA 46. LA TASSATIVITÀ I contratti possono essere a forma libera o vincolata. Secondo gli articoli 1325 e 1350, in alcuni casi la forma del contratto è richiesta dalla legge sotto pena di nullità, mentre in altri casi è richiesta a fini probatori, quindi il contratto non potrà essere dimostrato davanti al giudice con testimoni o presunzioni, ma attraverso la confessione giudiziale, il giuramento decisorio o l’esibizione del documento incorporante l’accordo. 49. SOTTOSCRIZIONE “AL BUIO” Si parla di sottoscrizione al buio quando un soggetto firma un contratto senza leggerne il contenuto. In tal caso l'autore della dichiarazione è vincolato alla sua dichiarazione per il principio di autoresponsabilità e di affidamento, nel senso che è assoggettato alle conseguenze di essa secondo il suo significato oggettivo, dato che l'altro contraente fa affidamento sulle dichiarazione. Nel caso, invece, in cui il soggetto che ha predisposto il testo sappia che la sottoscrizione dell'altro è avvenuta al buio, e il contratto contenga clausole a sorpresa, che esulano i normali termini di un accordo contrattuale, il soggetto danneggiato potrà proporre l’azione di annullamento ove la discrasia sia riconoscibile dall’altra parte. Pagina di 61 91 50. IL BIANCOSEGNO Diverso, invece è il caso del biancosegno, che avviene quando le parti sottoscrivono il documento (quindi lo firmano) senza inserire il testo del regolamento, che dovrà esser composto da un terzo arbitratore. Nel caso in cui le parti hanno conferito al terzo il mandato di riempire il documento secondo alcune istruzioni, e il soggetto viola l’incarico, le parti sono legittimate a impugnare il contratto per errore ostativo: poiché vi è discrasia fra voluto e dichiarato. All’opposto, se il terzo riempie il documento sottoscritto in bianco senza aver ricevuto l’incarico da colui che risulta essere il dichiarante, questo può reagire all’abuso proponendo la querela di falso. 51. FORMA ED ELEMENTI DELLA FATTISPECIE Per i contratti sottoposti alla regola della forma scritta tutti gli elementi costitutivi del contratto devono essere racchiusi nel documento: quelli non essenziali possono invece essere concordati anche oralmente. 52. LA DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO DEL CONTRATTO PER RELATIONEM Nella fattispecie negoziale del contratto, la quale deve necessariamente rivestire la forma scritta, può essere questa espressa anche in una fonte esterna al documento ove sia soddisfatte queste condizioni: - l’oggetto del contratto deve essere stato specificatamente individuato nel documento; - la fonte esterna d’integrazione deve rispettare i requisiti formali proprio del tipo contrattuale. 53. VOLONTÀ NEGOZIALE Il contratto sottoposto alla forma scritta a pena di nullità deve documentare la volontà delle parti diretta a realizzare gli effetti qualificanti il sottostante rapporto obbligatorio. 54. IL NEGOZIO DI ACCERTAMENTO Il negozio di accertamento è destinato a rendere certa la situazione giuridica preesistente: qui le parti non dichiarano una nuova volontà costitutiva di un rinnovato rapporto obbligatorio, ma enunciano una volontà che mette ordine alla pregressa incertezza circa una determinata vicenda oggetto di discorde valutazione fra i dichiaranti. Il negozio di accertamento presuppone la validità di un contratto inter partes in relazione al quale interviene il successivo atto chiarificatore. 58. IL CONTRATTO RISOLUTORIO Il contratto destinato a risolvere un precedente accordo sottoposto alla forma scritta a pena di nullità va incontro alla medesima sanzione qualora non sia stato racchiuso in un atto scritto. Secondo l’articolo 1351, l’effetto programmato tramite un contratto preliminare può condurre ad una modificazione della situazione patrimoniale così rilevante da giustificare la simmetria tra forma del preliminare e forma del contratto oggetto dell’obbligazione a contrarre. 59. IL CONTRATTO MODIFICATIVO Il patto modificativo del contratto formale deve essere redatto nell’identica forma prevista ai fini della validità, salvo che la correzione ricada su elementi non essenziali della fattispecie, in relazione ai quali non sussiste alcun particolare vincolo formale. Le clausole modificativa di un contratto rientrante, ove non siano state redatte per atto scritto, sono senz’altro nulle. 60. IL PATTO SULLA FORMA Pagina di 62 91 I contraenti sono liberi d’anticipare l’esecuzione di talune prestazioni tipiche del definitivo: (ad esempio) è ricorrente che nel preliminare di vendita sia anticipata la consegna del bene oppure il pagamento (tutto o parte) del corrispettivo. 82. I VINCOLI REALI SUL BENE PROMESSO IN VENDITA Nel caso in cui il bene promesso in vendita sia gravato da pegno o ipoteca, ci si chiede quali tutele possa invocare il promissario a fronte del pericolo di evizione (perdita del diritto a seguito dell’esecuzione forzata). L’articolo 1482 concede all’acquirente in buona fede i rimedi preventivi della sospensione del pagamento del prezzo e della fissazione giudiziale di un termine per la liberazione del bene dal preesistente vincolo. Quando il promittente abbia dichiarato falsamente che il bene è libero da vincoli reali, all’altra parte è concessa la facoltà di esercitare l’azione di risoluzione del contratto. 83. I VIZI MATERIALI DEL BENE Nel caso in cui il promissario acquirente di cosa affetta da vizi materiali, ha diritto ad una tutela anticipata, per cui può richiedere l’azione di risoluzione del contratto o l’azione di riduzione del prezzo. VII - L’OGGETTO Altro elemento essenziale del contratto è l’oggetto che è rappresentato dalle prestazioni che ciascuna parte è tenuta a effettuare in adempimento della promessa assunta. La ragione pratica che giustifica la prestazione e gli spostamenti patrimoniali costituiscono invece la causa. L’articolo 1346 stabilisce che “l’oggetto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile”. Se la prestazione inizialmente era possibile ma successivamente sia divenuta impossibile non inficia la validità del contrato, ma si parla di inadempimento se è imputabile al debitore, oppure si parla di risoluzione del contratto ove sia determinata da fattori estranei. 85. LA POSSIBILITÀ MATERIALE La possibilità può essere: - giuridica, quando l’oggetto viene dedotto in un rapporto negoziale. Essa dipende dalla norma proibitiva vietante la prestazione pattuita senza renderla invero illecita o dalla circostanza che la situazione soggettiva dedotta nell’accordo è insuscettibile di scambio; - materiale, quando l’oggetto deve essere materialmente realizzabile, cioè dipende da circostanze naturali, per cui vale il principio d’autoresponsabilità: se la parte si obbliga ad eseguire una prestazione la quale richieda un impegno straordinario, allora le eventuali perdite economiche che è tenuta a sopportare al fine di assicurare il rispetto della parola data. Allorché le difficoltà risultino generate da imprevisti e imprevedibili eventi sopravvenuti, fuoriuscenti dal controllo del debitore, entra in scena l’impossibilità oggettiva. 87. CENNI FINALI Allo scopo di mitigare il rischio della nullità del contratto per impossibilità (originaria) dell’oggetto le parti hanno la facoltà di concordare un termine iniziale di efficacia del contratto medesimo o apporre ad esso una condizione sospensiva, in modo che se la prestazione diviene possibile prima della scadenza del termine o dell’avveramento della condizione, il contratto è valido. 88. LA LICEITÀ Pagina di 65 91 La prestazione illecita rende nullo il contratto: la nozione di illiceità è desumibile dall’articolo 1343. L’oggetto è illecito quando è contrario a norme imperative all’ordine pubblico o buon costume. L’illiceità è il contrasto fra oggetto del rapporto e norme di un interesse collettivo o indisponibile. 89. LA DETERMINAZIONE DELLA PRESTAZIONE La prestazione deve essere determinata o, almeno, determinabile: le parti sono libere di attribuire ad una di esse il potere di determinare il contenuto del contratto, e ciò non urta contro il principio secondo cui il contratto si fonda sull’incontro delle volontà perché è la volontà stessa che s’indirizza ad assegnare a una parte il potere d’integrazione del regolamento d’interessi. Si parla quindi di autoarbitraggio. L’articolo 1349 autorizza le parti a conferire l’incarico al terzo arbitratore di determinare il contenuto della prestazione del contratto, si parla in. Tal caso di arbitraggio. 90. LA PERIZIA CONTRATTUALE L’atto giuridico di arbitraggio deve essere distinto dalla perizia contrattuale (la cui autonomia non è da tutti condivisa) che si ha quando le parti nominino uno o più esperti, ai quali spetta il compito di formulare una valutazione tecnica, e non di risolvere una controversia giuridica. 92. LA DETERMINABILITÀ DELL’OGGETTO NELLA VENDITA IMMOBILIARE. Secondo l’articolo 1378, il trasferimento della cosa determinata solo nel genere avviene solo quando le parti ne individuano la specie. VIII - CAUSA E MOTIVI 93. L’ASTRAZIONE DELLA CAUSA. Ultimo elemento essenziale del contratto è la causa: ogni spostamento patrimoniale deve essere sorretto da una ragione giustificativa a pena di nullità. Il consenso sorretto da una giusta causa costituisce il titolo dell’attribuzione patrimoniale, salvo che la legge richieda un atto esecutivo ai fini del completamento della fattispecie. L’enunciazione di una causa inesistente non basta a giustificare lo spostamento patrimoniale; il riconoscimento di ciò che è inesistente non serve a scansare la nullità dell’atto. La causa manca (ad esempio) quando l’acquirente comperi un bene già suo, oppure allorché il preliminare di vendita abbia ad oggetto la stipula di un preliminare di secondo grado: non ci si può obbligare a obbligarsi. La causa individua l’interesse concreto che spinge ciascun contraente a stipulare il contratto e a dare a proprio patrimonio la sistemazione ritenuta più giusta a questo scopo. Essa varia a seconda delle diverse finalità perseguite dalle parti. 95. I MOTIVI. Il motivo individua il fondamento negoziale, cioè la sensazione di bisogno che induce il privato ad inserirsi nel traffico giuridico. Se questo bisogno viene a conoscenza dell’altra parte, esso contraddistingue la ragione pratica o la causa concreta della fattispecie. La demolizione della prospettata condotta affidante autorizza la parte ad avvalersi dei rimedi in tema d’inadempimento. Il motivo è irrilevante quando fuoriesce dal contenuto del contratto, mentre diventa giuridicamente rilevante quando rappresenta aspettative e previsioni considerate nella loro oggettività e dedotte nell’atto. 97. IL COLLEGAMENTO NEGOZIALE. Il collegamento negoziale si ha quando due o più contratti oggettivamente distinti possono essere coordinati per il conseguimento di un unitario e articolato risultato economico. I singoli contratti Pagina di 66 91 conservano la loro specificità, ma la causa deve essere individuata con l’interdipendenza che li unisce. Le parti devono utilizzare il collegamento, cioè la ragione giustificativa degli spostamenti patrimoniali generati dalle fattispecie negoziali. Il collegamento è necessario quando è previsto dalla legge. Il collegamento è gerarchico, in quanto l’invalidità del contratto a monte colpisce il contratto subordinato, che non si riverbera sul precedente. Il negozio può essere: - indiretto, quando è utilizzato per raggiungere un fine diverso da quello tipico; - misto, quando convergono più schemi causali appartenenti a distinte fattispecie negoziali; - in frode alla legge, quando viene concluso per ottenere un risultato indiretto, per cui risulta 
 immeritevole di tutela perché serve ad aggirare una norma imperativa. Se l’aggiramento della norma pregiudichi interessi generali, allora la causa concreta è illegale. Si fonda sul concetto di causa in senso pratico. 98. IL NEGOZIO INDIRETTO. Il contratto può essere utilizzato per raggiungere un fine diverso rispetto a quello tipico, in maniera da celare ai terzi il proposito mediato. Gli interessi possono agire in giudizio per far accertare il fine indiretto. 99. IL NEGOZIO MISTO. Il contratto misto presuppone che le parti abbiano congegnato un regolamento d’interessi nel quale convergano più schemi casuali appartenenti a distinte fattispecie negoziali. Rimane sempre fermo il diritto dei legittimari di agire in riduzione nei limiti del frammento mediante donato tramite la vendita. Il contratto misto rappresenta lo strumento preordinato all’attuazione di un fine indiretto: prova ne sia che la vendita viene anche utilizzata per il conseguimento di un obiettivo estraneo al rapporto di scambio di cosa contro prezzo.La convergenza di causa è del pari individuabile nei rapporti tra vendita e appalto: quando l’appaltatore fornisce la materia prima nasce dal contratto di durata un effetto traslativo (articolo 1658). Occorre applicare lo statuto del tipo negoziale prevalente alla luce della causa reale dello scambio. Se prevale il dare il rapporto è governato dalla vendita; se domina il fare va applicata la disciplina in tema d’appalto. 100. IL NEGOZIO IN FRODE ALLA LEGGE. Nei casi in cui il contratto sia stato concluso per ottenere un risultato indiretto può capitare che l’atto di autonomia privata sia immeritevole di tutela. È necessaria una precisazione: come già visto, i contratti aggiranti la disciplina dei diritti dei legittimari non sono nulli, sebbene suscettibili di riduzione. L’azione di riduzione non determina l’ invalidità del contratto, bensì la sua inefficacia relativa entro i limiti necessari a reintegrare la quota disponibile. Qualora l’aggiramento della norma pregiudichi interessi generali, si deve riconoscere che il contratto votato a questo programma abbia una funzione (causa concreta) illegale perché preordinata a frodare la legge (articolo 1344). Da qui la nullità. Niente esclude che il negozio in fraudem legis sia stato concordato per aggirare i vincoli fiscali: l’orientamento prevalente esclude la sanzione della frode perché la sanzione stessa deve essere ricercata nella disciplina di diritto tributario. IX - LA CONDIZIONE 102. TIPOLOGIA. La condizione è l’evento futuro e incerto il cui verificarsi determina l’efficacia del contratto se essa è sospensiva. Si parla invece di condizione risolutiva, quando gli effetti vengono meno. La condizione è tradizionalmente considerata un elemento accidentale del contratto: essa non è un frammento costitutivo Pagina di 67 91 X – L’INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO 113. LE TECNICHE D’INTEGRAZIONE. L’articolo 1374 esterna il principio secondo cui “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge,o in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. Le parti, grazie ai poteri di autonomia privata, sono libere di determinare il contenuto del contratto e di scegliere il tipo negoziale funzionale all’attuazione del risultato programmato. Non sempre, però, il regolamento è così esaustivo da esprimere la totalità delle regole intessenti la fattispecie; anzi, il più delle volte le lacune sono inevitabili, e questo perché è nella natura delle cose che le parti intendano implicitamente rimettersi alle regole sancite dalla legge integranti l’atto di autonomia privata. In tal caso si parla d’ integrazione suppletiva, cui si contrappone l’ integrazione cogente la quale opera nonostante l’eventuale patto contrario allorché la norma trasgredita abbia natura imperativa. Il bilanciamento fra opposte esigenze innervante la regola a mente della quale la nullità delle singole clausole si ripercuote sull’intero contratto, nel caso in cui queste erano determinanti del consenso. Vi è, per questo, un meccanismo di sostituzione automatica delle clausole legali inderogabili a quelle convenzionali ad esse contrarie, qualora il diritto scritto non abbia decretato diversa sanzione per colpire l’antonomia. 114. GLI USI. Gli usi rientrano tra le fonti d’integrazione del contratto: la norma principale fa riferimento agli usi normativi o consuetudini. Gli elementi costitutivi dell’uso normativo sono due: uno di carattere oggettivo che consiste nella reiterazione uniforme e costante di un determinato comportamento; l’ altro di carattere soggettivo consistente nella convinzione della obbligatorietà di questa condotta. Tali usi costituiscono una fonte sussidiaria di produzione nelle materie non regolate dalla legge, mentre nelle altre ipotesi hanno efficacia solo in quanto siano espressamente richiamati dalla fonte superiore. La nullità della clausola del contratto di conto corrente bancario stabilente, in difformità dalla disciplina legale di cui l’articolo 1283 la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente. Viceversa, gli usi richiamati dall’articolo 1340 hanno natura negoziale: consistono in pratiche seguite da una determinata cerchia di contraenti oppure diffuse entro un circoscritto settore. Gli usi convenzionali integrano il regolamento privato d’interessi quantunque ignorati dalle pardi, poiché quando il contraente sia riuscito a dimostrare l’ignoranza del’ uso prova di non averlo voluto, posto che non si può volere ciò di cui s’ignora l’esistenza. In caso di antinomia gli usi negoziali prevalgono sulle disposizioni suppletive di legge. Ciò perché l’efficacia dell’ uso negoziale è assimilabile a quella riconosciuta alla clausola contrattuale. La “forza giuridica” dell’ uso convenzionale trova un limite riguardo agli onere di forma previsti per il tipo negoziale, poiché detto uso non può integrare il contratto sottoposto alla forma scritta a pena di nullità. Tuttavia l’approvazione per iscritto non è necessaria riguardo a quelle riproducesti il contenuto di un uso di fatto o contrattuale. La manifestazione della volontà contraria all’inserimento nel contratto di clausole d’uso non ha effetto se intervenuta dopo la sua conclusione. Allorché il datore di lavoro paghi alla generalità dei suoi dipendenti una determinata “somma di danaro”, al fine di appurarne l’obbligatorietà è indispensabile valutare se tale prestazione sia poi stata corrisposta in modo continuativo ai beneficiati. Occorre essere avvertiti del fatto che le condizioni di miglior favore derivanti dagli usi aziendali non sono derogabili. 115. LE CLAUSOLE DI STILE. Le clausole di stile non esprimono una volontà concreta delle parti essendo fissate per una sorta di atto di fede (ad esempio, assume tale connotato la proposizione con cui si stabilisce che ogni violazione del contratto importerà la sua risoluzione automatica). La clausola di questa disciplina recita che “la vendita comprende i connessi diritti, accessori e pertinenze” essendo indispensabile la manifestazione dell’ Pagina di 70 91 inequivocabile volontà del proprietario oltre che la specifica determinazione di tutti i suoi elementi essenziali. 116. L’EQUITÀ. Il diritto è l’arte del buono e dell’ equo: la definizione permette di svelare che il fondamento equitativo delle regole scritte non costituisce una mera ambizione del legislatore, ma si eleva a imprescindibile argomento di validità. In alcuni casi è la legge stessa che assegna al giudice poteri equitativi, ma si tratta di ipotesi perlopiù riguardo alle quali appare preferibile riconoscere al giudice poteri discrezionali legittimandolo a decretare la norma più acconcia al caso soggetto allo scrutinio magistratuale. L’ equità assurde ad argomento usato per rimediare all’estremo rigore del diritto scritto, nell’intendo di differenziare la posizione del debitore corretto da quella in cui si trova l’obbligato disonesto, riconoscendo solo al primo il trattamento di favore stabilito in via eccezionale. L’ equità, inoltre, consente di integrare le lacune del regolamento contrattuale in guisa da creare la norma più adatta alla soluzione del contrasto grazie ai superiori ideali di giustizia. Da un lato il giudice non può fare esclusivo affidamento sulla sua personale sensibilità equitativa essendo tenuto ad esercitare i poteri discrezionali lasciandosi guidare dal ragionamento analogico e dai valori costituzionali, dall’altro egli deve sempre rispettare il principio di parità di trattamento di fronte a situazioni simili. In conclusione, la funzione integratrice dell’ equità non può indulgere al disordine e confusione; essa deve conformarsi ai cardini del sistema. 117. LA BUONA FEDE. Valore determinante in vista dell’integrazione dell’ atto di autonomia privata deve esser riconosciuto alla clausola generale di buona fede (art. 1175, comportamento secondo correttezza; 1375, esecuzione di buona fede). Rappresenta l’architrave sorreggente l’impalcatura del controllo giudiziale sul contenuto del contratto. L’importanza della buona fede è fondamentale quale strumento autentico di completamento del contratto contro i propositi delle parti di stravolgerne l’originario fondamento negoziale in vista dell’attuazione di interessi egoistici in opposizione ai canoni di etica negoziale. La clausola generale di buona fede è destinata a rivestire un duplice ruolo, consistente nella legittimazione del giudice ad accertare la nullità delle singole pattuizioni i cui contenuti entrino in dissidio con la legalità costituzionale (quando il contratto si tramuti in un mezzo di dominio sull’uomo) da un lato; e allo stesso tempo, dall’altro, permette al giudice d’individuare gli obblighi impressi ma immanenti che appaiono strumentali al raggiungimento del programma. Le clausole generali obbligano le corti ad allontanarsi dall’interpretazione formalista del contratto, proprio perché la ricerca della volontà implicita costringe il pratico ad accertare quanto si cela al di sotto delle clausole espresse. Però il contratto non và trasformato in un meccanismo che abbisogna della “mano invisibile” del giudice al quale venga demandato il compito di proteggere il contraente ritenuto meritevole di tutela. I valori di etica negoziale non autorizzano invasioni di campo nel potere statale, in quello dell’autonomia privata e autodeterminazione dei consociati. L’ integrazione del contratto secondo buona fede si deve armonizzare con i postulati della libertà negoziale; se così, il giudice è tenuto a intervenire là dove avvenga la mortificazione dell’individualità (extrema ratio). L’attitudine integrativa della buona fede presuppone un regolamento d’interessi definitivo di modo che essa in relazione alle circostanze concrete può fondare obblighi ulteriori non previsti, senza alterarne il contenuto. La clausola di buona fede viene invocata quale regola di condotta allo scopo di avvalorare la pretesa all’esecuzione di prestazioni le quali appaiono necessarie in vista della realizzazione della causa concreta e non richiedono un impegno di rilevanza tale da stravolgere l’assetto di interessi voluto delle parti. La condotta non prevista ma necessitata in funzione dell’interesse della controparte è dovuta nel rispetto della clausola generale di buona fede a patto che non implichi, ciò, un sacrificio ampio da alterare l’equilibrio economico fra promessa e ripromissione. Pagina di 71 91 XI – LA SIMULAZIONE 118. LA STRUTTURA DEL MECCANISMO SIMULATORIO. Tramite l’ accordo simulatorio le parti confezionano un regolamento d’interessi diverso da quello effettivamente voluto. L’intesa da cui affiora la volontà vera (c.d. controdichiarazione) destinata a disciplinare in concreto le relazioni patrimoniali tra parti, è segreta. Il requisito della segretezza rappresenta l’epicentro della simulazione perché essa non avrebbe senso se la controdichiarazione fosse esternata siccome la divulgazione annienterebbe l’utilità del meccanismo simulatorio. Vero è che il programma occulto è ignorato dai terzi, proprio perché gli stipulanti intendono creare un’apparenza opponibile erga omnes diversa dalla realtà. La discrasia fra il voluto e il dichiarato è consapevole essendo accettata da tutti i partecipanti al rapporto obbligatorio oggetto di simulazione; se all’ intesa occulta partecipassero soltanto alcuni di essi, nei confronti degli altri il contratto risulterebbe vincolante perché nei loro riguardi la simulazione non sarebbe percettibile e quindi mancherebbe la discrasia prima citata. D’altro canto, quanto il contrasto riguardasse solo uno dei contraenti occorrerebbe evocare la categoria della riserva mentale; infine, divergenza involontaria rileverebbe quale errore ostativo.La simulazione è assoluta quando le parti attraverso l’intesa dissimulata (accordo che esprime la discrasia) non intendano perfezionare alcun rapporto giuridico né modificare lo stato delle cose e la consistenza delle rispettive sfere giuridicopatrimoniali. E’ relativa nel caso in cui gli stipulanti vogliano modificare la situazione giuridica avvalendosi di un contratto del contenuto diverso da quello apparente (che recepisce le dichiarazioni preordinate a celare la volizione vera). Questa tipologia di simulazione può essere: - oggettiva quando gli elementi di distinzione fra contratto simulato (dichiarazione apparente) e contratto dissimulato (volizione vera) concernano il modello negoziale; - soggettiva quando il rapporto giuridico intercorra fra le parti diverse rispetto a quelle del contratto simulato. L’elemento costitutivo della fattispecie è l’ adesione all’ accordo dissimulato non solo dell’interponente (titolare effettivo) e dell’interposto (titolare apparente, “uomo di paglia”) ma altresì dell’altro contraente (dante causa) affinché egli manifesti la volontà di assumere diritti e obblighi contrattuali direttamente nei confronti dell’interponente anziché verso il prestanome (interposto). L’interposizione reale, che dà luogo ad un trasferimento fiduciario, è estranea alla fattispecie simulatoria in quanto gli effetti del trasferimento strumentale sono davvero voluti dalle parti; rappresentano il presupposto irrinunciabile ai fini della concertazione del factum fiduciae. 119.CONTRATTO IN FRODE AI TERZI E ABUSO DEL DIRITTO. L’ ordinamento giuridico non considera di per sé la simulazione alla stregua di una pratica da sanzionare, pur ammantandola di limiti sotto il profili probatorio. L’ intesa simulatoria si presta all’elusione della responsabilità patrimoniale (art. 2740). Gli interessi possono reagire attraverso l’azione volta ad accertare sia la simulazione sia l’eventuale nullità del contratto in fraudem legis. Vi è inoltre l’ azione revocatoria ordinaria (art. 2901, condizione) che può essere esperita soprattutto quando i terzi non siano a conoscenza della dissimulazione (intesa occulta) o non riescano a dar prova dei suoi elementi costitutivi. L’ordinamento non sancisce la nullità del contratto “in frode a terzi” essendo prevista espressamente soltanto la nullità del contratto in frode alla legge. La simulazione, allo stesso tempo, costituisce il mezzo utilizzato dai contraenti per arrecare ai terzi un danno ingiusto. Contratto simulato e intesa dissimulata costituiscono sotto il profilo funzionale un tutt’uno: rappresentano nel complesso le due facciate di un'unica medaglia, con da un parte il lato desinato a riflettere erga omnes la volontà apparente, e dall’altro il reale assetto d’interessi divisato dai partecipi all’ intesa simulatoria. Pagina di 72 91 L’onere di provare il rapporto occultato dal contratto apparente incombe su chi deduca tale circostanza. È limitato il diritto delle parti ad avvalersi della prova per testimoni, salvo che sia diretta a dimostrare l’illiceità del contratto dissimulato come accade (ad esempio) nell’ipotesi in cui la compravendita dissimuli un mutuo gratuito. Serve inoltre rinnovare alla memoria che per effetto dell’ eccezione (art. 2725, atti per i quali è richiesta la prova per iscritto e la forma scritta) la prova per testimoni è ammissibile quando il contraente abbia senza colpa perduto il documento dimostrativo dell’accordo simulatorio. Ai terzi è riconosciuta, senza restrizioni particolari, la possibilità di dimostrare il rapporto occulto tramite testimoni. In tutti i casi in cui è ammessa la prova testimoniale, è del pari possibile ricorrere al ragionamento presuntivo (prova indiretta). XII - LE NULLITA’ 129. LE SPECIE DI NULLITÀ: NULLITÀ TESTUALI E VIRTUALI. L’articolo 1418 delinea due classi di nullità: - le nullità testuali che si hanno quando è la legge a stabilire espressamente la sanzione contro l’atto immeritevole di protezione; - le nullità virtuali le quali si hanno quando il disvalore dell’atto discende dalla sua contrarietà a norme imperative, oppure dall’assenza di un valido elemento essenziale. Non qualsiasi violazione della norma è punita con la nullità; il giurista deve usare un criterio di proporzionalità dell’argomento, in maniera da valutare se la regola trasgredita tuteli interessi generali oppure particolari che non urtano contro la legalità costituzionale. 130. NULLITÀ FORMALI E SOSTANZIALI. La legge ha sviluppato poi un’ulteriore distinzione: - la nullità sostanziale (o insanabile), quando non contiene gli estremi, per cui è irrecuperabile; - la nullità formale (o sanabile), quando manca un elemento formale, ma è recuperabile tramite l’atto di conferma redatto nella stessa forma dell’atto principale, a iniziativa anche di una sola parte. 131. REGOLE DI VALIDITÀ E DI CONDOTTA. Vi è l’obbligo per l’intermediario di informare il cliente dei rischi a cui va incontro. Quando la stipulazione del contratto costituisce un elemento della condotta perfezionativa dell’illecito penale, il contratto è nullo se la sanzione criminale colpisce la condotta di entrambe le parti. 132. NULLITÀ VIRTUALE E ILLECITO PENALE. La parte lesa può ottenere protezione invocando la disciplina privatistica specificatamente prevista a tutela dei propri interessi. 133. LA NULLITÀ PARZIALE (ARTICOLO 1419) Secondo l’articolo 1419 stabilisce che “La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”. È onere della parte interessata convincere il giudice che in sua assenza il contratto non sarebbe stato perfezionato. La nullità delle singole clausole non consegue la nullità dell’intero contratto quando esse siano sostituite da norme imperative, a prescindere dalla loro essenzialità. Pagina di 75 91 134. NULLITÀ DEL CONTRATTO PLURILATERALE. Nei contratti con più di due stipulanti, in cui le prestazioni di ciascuno siano dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di una solo delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba considerarsi essenziale. 135. OPPONIBILITÀ. La nullità opera retroattivamente e coinvolge anche i diritti dei terzi subacquirenti in buona fede. Tuttavia, tale acquisto è salvo quando la domanda di nullità sia stata trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione dell’atto nullo. Essa è quindi opponibile ai terzi qualora ricorrano i presupposti temporali (decorso del quinquennio) e soggettivi (stato di buona fede). 136. CONVALIDA E RINNOVAZIONE. L’articolo 1421 dispone che “La nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”. La domanda di accertamento della nullità presuppone che l’attore abbia interesse a farla valere, il cui interesse deve essere dimostrato allegando la necessità di ricorrere all’autorità giudiziaria. Non è dunque sufficiente invocare lo stato d’incertezza in merito alla validità della fattispecie negoziale, ma occorre che questa cagioni un danno rilevante per l’attore. XIII – L’INCAPACITÀ NATURALE 140. ATTI UNILATERALI. Secondo l’articolo 428, colui che è colto da incapacità naturale, cioè colui che dispone della capacità di agire richiesta ai fini dell’assunzione di un determinato impegno, ma non dispone della capacità d’intendere e di volere, ha la facoltà di esercitare l’azione di annullamento a causa del vizio del consenso, se sia dimostrato il grave pregiudizio dell’autore. Il disordine psichico può aver inciso sulle capacità intellettive o su quelle inerenti alla volontà del dichiarante. Questi può, quindi, impugnare l’atto dimostrando i presupposti del vizio inficiante la volontà e grave pregiudizio. Per esserci incapacità naturale non è sufficiente che la manifestazione della volontà sia turbata da ragioni di carattere emotivo o cause dipendenti da grave malattia, ma è invece necessario che le facoltà intellettive del soggetto siano alterate, così tanto, da impedirgli una seria valutazione del contenuto del negozio. Ciò va provato da chi ne abbia interesse. 141. CONTRATTI. Quando l’atto è contrattuale condiziona l’annullamento alla sussistenza della mala fede dell’altro contraenti. Quindi, ai fini dell’annullamento dei contratti stipulati da incapace naturale è sufficiente il requisito della mala fede. La legittimazione dell’ azione di annullamento spetta all’incapace naturale, oppure ai suoi successori a titolo universale o particolare che sia. XIV – L’ERRORE 142. PREMESSA. L’errore-vizio, cagionato dalla falsa rappresentazione della realtà materiale o giuridica, contraddice la volontà poiché non permette al dichiarante di maturare una determinazione corretta (ad esempio, chi acquista un alloggio persuaso che esso abbia una veduta sulla colina, mentre in realtà lo stabile è circondato da palazzi che ne impediscono la vista). Tale errore viene anche definito errore-motivo perché incide sul processo di maturazione della volontà, colpendo l’impulso che sta alla base di essa. Pagina di 76 91 Secondo l’articolo 1428 l’errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale (ciò significa che ne determina il consenso) ed è riconoscibile dalla controparte. L’ errore-vizio quindi legittima il soggetto passivo all’azione di annullamento nel caso in cui la differenza fra la situazione di fatto e la rappresentazione del dichiarante sia percettibile al momento della stipulazione del contratto. L’articolo 1429 detta un elenco di ipotesi integranti gli estremi dell’errore essenziale e stabilisce che l’errore è essenziale: - quando cade sulla natura o sull'oggetto del contratto, che accade quando il contraente ha rappresentato in modo errato gli effetti giuridici essenziali della fattispecie concordata, mentre cade sull’oggetto quando riguarda il rapporto intercedente tra le prestazioni dedotte nel rapporto obbligatorio; - quando cade sull'identità dell'oggetto della prestazione, vi è errore quando l’individuazione della cosa negoziata è effettivamente impedita, per cui vale il principio secondo il quale l’errata descrizione non invalida l’atto; - quando cade sulla qualità dell’oggetto: ossia cade sulle caratteristiche materiali della cosa e viene in essere quando il venditore offra al compratore un bene di marca, che in realtà è contraffatto. Questo errore ricorre per esempio là dove sia stato venduto o promesso in vendita un bene inesattamente qualificato come inedificabile. - quando cade sull’identità della persona dell'altro contraente o sulle qualità personali (sulla controparte), sempre che l'una o le altre siano state determinanti del consenso; cioè quando l’identità o le qualità sono determinanti del consenso dell’errante; - quando, trattandosi di errore di diritto, è stato la ragione unica o principale del contratto.” L’errore ha rilevanza autonoma qualora non ricada nelle precedenti esemplificazioni di errore essenziale; per cui l’errante si limita a chiedere l’annullamento del contratto a seguito della rappresentazione errata della realtà normativa. La falsa conoscenza della regola giuridica (error iuris) non legittima il dichiarante a far valere il vizio del consenso nel caso in cui sia dimostrato che il destinatario della dichiarazione abbia tempestivamente avvertito l’altra parte della possibile o verosimile inesattezza perché in questa situazione emerge l’accettazione consapevole del rischio. 151. LA RICONOSCIBILITÀ. Secondo l’articolo 1431: “L'errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo”. Non serve quindi a nulla rilevare che quest’ultimo fosse distratto o noncurante mentre invece gioca un ruolo importante il requisito delle qualità del destinatario della dichiarazione viziata, che possono svelarsi utili ad appurare l’errore in cui è caduto il dichiarante; ma anche le qualità dell’errante possono cooperare alla riconoscibilità dell’inesatta rappresentazione, nella misura in cui siano note alla controparte. È intuitivo che lo stipulante caduto in errore sia tenuto a dimostrare non solo la differenza fra realtà e rappresentazione soggettiva, ma anche della riconoscibilità. 152. ERRORE COMUNE, ERRORE CONOSCIUTO ED ERRORE INESCUSABILE. Il requisito della riconoscibilità è irrilevante in caso di errore comune, che si concreta quando le volontà di entrambe le parti siano state viziate dal medesimo sbaglio. Il contratto è quindi annullabile Pagina di 77 91 Il contratto annullabile può essere convalidato dalla parte cui spetta la conseguente azione, mediante atto che contenga la menzione del contratto e il motivo di annullabilità, nonché la dichiarazione della convalida. Si parla di convalida espressa quando il proposito di sanare il vizio è percettibile a chiare lettere; al contrario, la convalida tacita vi è quando il contraente cui spettava l’azione di annullamento vi abbia dato volontariamente esecuzione conoscendo il motivo di annullabilità. La convalida non ha effetto se chi la esegue non sia in condizione di concludere validamente il contratto. La convalida circoscritta a uno o più stipulanti è ammissibile, salvo che la partecipazione dello stipulante il cui vincolo non sia stato convalidato debba ritenersi essenziale. XVII – LA VIOLENZA E LA RESCISSIONE 166. LA VIOLENZA PSICHICA E FISICA. L’articolo 1434 stabilisce che il contratto deve ritenersi annullato se stipulato a seguito di violenza, anche se esercitata da un terzo. La violenza deve essere di tal natura da fare impressione sopra una persona e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole. Si ha riguardo, in questo caso, all’età, al sesso e alla condizione delle persone. La valutazione dell’ingiustizia del male deve quindi sottostare a uno scrutinio soggettivo, che tenga conto delle predette circostanze: infatti il male minacciato può condizionare la volontà di una persona anziana o emotivamente labile, mentre può essere irrilevante se indirizzato ad un soggetto che non si trova in tale stato di fragilità. Nel caso in cui il male minacciato sia rivolto contro i terzi, l’azione di annullamento è legittimata, quando tale male riguardi la persona o i beni del coniuge del contraente, di un suo discendente o ascendete. Se il male riguarda altre persone l’annullamento è rimesso alla decisione del giudice. La violenza fisica non è presa espressamente in considerazione dal legislatore. Essa esclude la volontarietà dell’atto, rendendolo nullo se non inesistente. 167. METUS AB INTRINSECO. L’intimidazione accidentale non è causa di annullamento poiché è provocata da uno stato di fatto oggettivo che non inficia la volontà. Neppure il timore reverenziale è causa d’invalidità del contratto: chi ha prestato il consenso per la preoccupazione di non urtare la sensibilità della controparte che agisce in una posizione di superiorità, non può chiedere l’annullamento del vincolo in quanto è arbitro assoluto della propria determinazione. 168. LA MINACCIA DI FAR VALERE UN DIRITTO (ART. 1438). Secondo l’articolo 1438 “La minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti”, quindi non è illegale la condotta del soggetto che minacci di esercitare un diritto strumentale a tutelare una determinata posizione giuridica. 169. LA RESCISSIONE DEL CONTRATTO CONCLUSO A CONDIZIONI INIQUE. La rescissione è una forma d’invalidità che conduce all’annullabilità: il contratto rescindibile è efficace finché non venga rescisso con sentenza che ne elimina gli effetti. Il contratto rescindibile non può essere convalidato. L’articolo 1447 regola la rescissione del contratto concluso a condizioni inique per la necessità di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla persona. Ove sia imputabile ad un terzo oppure ad eventi naturali, è richiesta la cognizione della controparte. Il giudice nella pronuncia della rescissione può Pagina di 80 91 assegnare un equo compenso all’altra parte per l’opera prestata. Bisogna dimostrare, inoltre, che la parte si è determinata a prestare il consenso per scansare il pericolo. 170. L’AZIONE GENERALE DI RESCISSIONE PER LESIONE. L’azione di rescissione per lesione è regolata nell’articolo 1448: gli elementi costitutivi della domanda per l’azione di rescissione per lesione sono rappresentati dall’approfondimento dello stato di bisogno e dalla lesione oltre la metà tra dato e ricevuto. I contratti aleatori non sono rescindibili per causa di lesione. Il bisogno non coincide con lo stato d’indigenza, essendo sufficiente la sussistenza di una situazione d’illiquidità tale da indurre la parte a perfezionare un contratto economicamente svantaggioso. Secondo alcuni studiosi, il bisogno può sostanziarsi in impellenti esigenze di stampo morale. Nel caso in cui il contratto sia stato concluso dal procuratore occorre aver riguardo alla situazione di bisogno del rappresentato. L’approfittamento non implica una condotta attiva dell’agente volta a promuovere o sollecitare la stipulazione del contratto, essendo sufficiente la conoscenza dello stato di bisogno in cui versa l’altra parte. La sproporzione deve perdurare fino alla data della proposizione della domanda. Secondo l’articolo 1450 “Il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità”, quindi l’offerta di adeguamento del contratto paralizza l’azione di rescissione soltanto quando il profittatore offra una prestazione complementare in grado di ristabilire la sostanziale parità economica fra dato e ricevuto. Secondo l’articolo 1449 l’azione si prescrive in un anno dall’accordo. Se il contratto sia sospensivamente condizionato, il termine decorrerà dal verificarsi dell’evento condizionante. XVIII – LA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO 171. GLI ELEMENTI CARATTERISTICI. Quando il debitore trasgredisce la promessa violando l’impegno di adempiere (inadempimento totale) o di adempiere esattamente e tempestivamente (inadempimento parziale): il creditore può chiedere la risoluzione del contratto ma possono anche nascere delle pretese restitutorie e il risarcimento del danno. Il creditore inoltre potrebbe chiedere al giudice una sentenza che condanni il debitore all’esatto adempimento, oltre ai danni patrimoniali. 172. LA SENTENZA DI RISOLUZIONE. La risoluzione si dice giudiziale quando trae fondamento dalla sentenza costitutiva, che determina l’estinzione del vincolo sulla base del presupposto rappresentato dall’inadempimento imputabile. Alle parti è riconosciuta la facoltà di pattuire clausole contrattuali che generano l’immediata risoluzione del contratto. Si parla invece di risoluzione di diritto quando sentenza funge da atto conclusivo del processo; il processo ha natura di semplice accertamento di una vicenda estintiva la cui fonte diretta è la clausola del contratto mentre la violazione dell’obbligazione rappresenta l’antefatto. Spetta al creditore scegliere il rimedio più adatto alla protezione dei suoi interessi. Il ricorso all’ autorità giudiziaria può rappresentare una strada obbligata per ottenere un provvedimento che si pronunzi sull’efficacia della vicenda estintiva. Pagina di 81 91 - La diffida ad adempiere: l’articolo 1454 stabilisce che la parte adempiente possa ordinare alla parte inadempiente l’intimazione per atto scritto ad adempiere entro un congruo termine, che non può essere inferiore ai 15 giorni, con l’avvertimento che decorso il termine il contratto s’intenderà risolto. L’intimazione produce lo scioglimento soltanto quando l’inadempimento sia grave e imputabile al diffidato. Il termine non può essere inferiore ai 15 giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore. - La clausola risolutiva espressa (articolo 1456): le parti ottengono l’estinzione del contratto per violazione della condotta protetta dalla stessa clausola, sottraendo al giudice il potere di valutare l’importanza dell’ inadempimento. L’inadempimento può determinare la risoluzione di diritto a patto che sia imputabile al debitore. Le obbligazioni protette dalla clausola devono essere individuate in maniera specifica: la risoluzione di diritto non può quindi intervenire quando le parti abbiano stabilito che qualsiasi inadempimento implica lo scioglimento del vincolo. La risoluzione non si perfeziona per effetto dell’ inadempimento, ma soltanto a seguito della dichiarazione del creditore di volersene avvalere. - Il termine essenziale: la risoluzione di diritto può essere determinata dall’inadempimento che si protrae, per cause del debitore, di là del termine essenziale fissato dalle parti per la prestazione. La legge protegge l’interesse del creditore a ottenere la prestazione tardiva, purché egli esprima alla controparte tale proposito entro tre giorni dalla scadenza. 173. EFFICACIA E OPPONIBILITÀ. La risoluzione opera con efficacia retroattiva, nel senso che le parti sono liberate dai propri obblighi, mentre se vi sono eventuali prestazioni già eseguite, queste devono essere reciprocamente restituite. Tuttavia nel caso in cui vi è un rapporto di durata, le prestazioni già effettuate restano nella sfera patrimoniale del ricevente. Verso i terzi vige la regola opposta: la risoluzione è loro inopponibile a prescindere dallo stato di buona fede o natura dell’acquisto, salvi gli effetti della trascrizione relativa alla domanda di risoluzione. 175. LA PRECLUSIONE DELL’ADEMPIMENTO. Non è consentito al creditore di pretendere l’adempimento dopo aver richiesto la risoluzione del contratto; mentre dall’altro lato, è precluso al debitore di eseguire la prestazione successivamente alla domanda di risoluzione. La preclusione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, in quanto il debitore potrebbe preferire adempiere piuttosto che restituire quanto già ricevuto. Essa viene meno quando sia stata rigettata la domanda di risoluzione. 176. DIFESA STRAGIUDIZIALE Esistono anche delle clausole per la difesa stragiudiziale: - eccezione d’inadempimento, secondo l’articolo 1460 “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”. Nel caso in cui l’inadempimento è la conseguenza del precedente, la parte che per seconda deve effettuare la prestazione può legittimamente opporre l’eccezione d’inadempimento. Grazie a tale eccezione il creditore ha uno strumento di autotutela per contrastare il pericolo che la prestazione possa essere concessa e l’azzardo di poterla efficacemente recuperare con l’azione d’indebito. In Pagina di 82 91 circostanze esistenti all’epoca della formazione della volontà ma si riflette sulla previsione relativa al mantenimento dello status quo, oppure alla sopravvenienza. In ipotesi di originaria assenza dell’elemento presupposto non vi dovrebbe essere spazio per invocare la dottrina del fondamento negoziale, che attrae al suo interno gli errori di previsione, ma non l’errata lettura della realtà esistente alla data del perfezionamento dell’accordo. La presupposizione ha ad oggetto una situazione in divenire, mentre in questo caso l’inesatta rappresentazione si concentra sullo stato delle cose consolidato. La vicenda è sorretta dalla disciplina dell’ errore-vizio. 190. LA COMUNANZA DELLA SITUAZIONE PRESUPPOSTA. La comunanza della situazione di fatto o di diritto costituisce la ragione giustificativa dello scambio: si può riconoscere che là dove l’obiettivo inseguito da una parte si sia sostanziato nel regolamento privato d’interessi, esso finisce con l’imprimere un ‘impronta specifica alla causa reale dello scambio emancipandosi dal vero motivo. Per questo possono essere utilizzati elementi indiziari. Il fondamento negoziale entra a far parte degli elementi destinati a bilanciare il sinallagma quando l’ equilibrio economico del contratto si sia basato su una situazione in divenire o sul mantenimento pro futuro. Il fallimento della previsione e la conseguente frustrazione dell’obiettivo programmato dal contraente che abbia riposto il proprio affidamento sulla circostanza presupposta rappresentano vicende perturbatrici l’equilibrio soggettivo. Il sistema non può tollerare che la parte, la quale abbia tratto vantaggio dal giuoco speculativo della previsione, possa beneficiare dell’arricchimento a pregiudizio della controparte che non sia riuscita a trarre utilità dalla situazione presupposta. Giova ripetere che, la sopravvenienza che stravolge lo scambio, legittima il ricorso alla risoluzione soltanto quando sia estranea alla sfera del dominio delle parti; in questa eventualità il danneggiato deve imputare a sé le conseguenze della propria noncuranza. 191. IL DOVERE DI RINEGOZIARE LE CLAUSOLE CONTRATTUALI. Sotto il profilo processuale la parte danneggiata dalla sopravvenienza può chiedere lo scioglimento del rapporto, salva la facoltà riconosciuta alla controparte di paralizzare la domanda offrendo di modificare equamente le condizioni dell’intesa. Il contraente che rifiuta di rinegoziare là ove sussistano i presupposti per la risoluzione, agisce in mala fede ed è quindi tenuto a risarcire l’altro i danni conseguiti all’illegittimo. XX – IL RECESSO E LE PENE CONTRATTUALI 192. IL RECESSO. Secondo l’articolo 1372 le parti possono sciogliere il vincolo contrattuale. Lo scioglimento può derivare dal mutuo dissenso, dalla risoluzione di diritto o giudiziale e dall’esercizio del diritto potestativo di recesso. La fonte del recesso può essere legale o volontaria: nel primo caso la legge legittima tale istituto. 193. DISCIPLINA. Il recesso ha natura di negozio unilaterale recettizio, e deve rivestire la medesima forma richiesta per il contratto su cui ricade: il recesso del contratto avente ad oggetto il trasferimento di diritti reali su beni immobili deve rispettare la forma scritta a pena di nullità. L’articolo 1373 stabilisce che nei contratti istantanei il recesso può essere esercitato dalla parte legittimata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Tale regola è derogabile. Chi accetta la prestazione dimostra un interesse opposto allo scioglimento unilaterale del rapporto. Il recesso è paralizzato soltanto dall’esecuzione della prestazione per opera o dello stesso titolare della potestà oppure della controparte: perciò, la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il definitivo non può ostacolare il diritto di recesso spettante al convenuto. Quando il contratto Pagina di 85 91 sia di durata, il recesso può essere esercitato durante la pendenza del vincolo. Ma l’esercizio del recesso non pregiudica, se non diversamente concordato, le prestazioni già eseguite o in corso d’esecuzione. La ritardata o inesatta esecuzione delle prestazioni già attuate autorizza il creditore ad esperire l’ azione di risoluzione del contratto o di risarcimento del danno quantunque egli si sia successivamente avvalso della potestà estintiva del vincolo obbligatorio. 194. PREAVVISO. Al fine di evitare che il recesso possa sorprendere l’altro stipulante è possibile condizionare l’efficacia al rispetto del preavviso. Per scansare il rischio che il recesso possa tramutarsi in uno strumento di pregiudizio a scapito della controparte, ove questa abbia confidato sulla determinazione del titolare del potere, bisogno riconoscere in capo a tale titolare il dovere di rispettare la regola di buona fede oggettiva la quale può esigere che il recesso medesimo sia intimato con un preavviso adeguato. 195. CAPARRA E MULTA PENITENZIALI. I contraenti sono liberi di prevedere un corrispettivo per il recesso, che si può sostanziare in una caparra rappresentata da una somma di denaro (o altre cose fungibili) consegnata dal titolare all’altra parte al momento dell’accordo. Se la facoltà di recedere è da intendersi come attribuita a entrambe le parti, quantunque una sola abbia versato la caparra, l’esercizio del recesso a iniziativa di colui che abbia ricevuto la caparra presuppone la restituzione del doppio di quella ricevuta. Al diritto potestativo di liberarsi unilateralmente al vincolo contrattuale può essere affiancata la multa penitenziale, costituita da una somma danaro che deve essere pagata dal titolare affinché il recesso produca il proprio effetto estintivo. 196. LA CAPARRA CONFIRMATORIA. Consiste in un contratto reale che ha ad oggetto una somma di denaro o di una quantità di altre cose fungibili, intercedente fra persone già legate ad un rapporto a prestazioni corrispettive. Essa assume un ruolo confirmatorio: si tratta di un inizio di esecuzione del contratto. Ha inoltre una funzione di liquidazione convenzionale del danno: nel caso in cui la parte che ha pagato la caparra non adempia le proprie obbligazioni, al creditore è riconosciuta la potestà di recedere ritenendo la caparra. L’ inadempimento è valutabile alla luce delle regole di diritto comune; la caparra dovrà nella specie essere compensata con il debito risarcitorio liquidato dal giudice. Al contrario, se la violazione del contratto sia stata perpetrata dal soggetto che ha ricevuto la caparra, l’altra parte può recedere chiedendo non soltanto la somma a titolo di caparra, ma anche la condanna al pagamento di un’ulteriore somma di pari importo. 197. LA CLAUSOLA PENALE. La clausola con cui si stabilisce che, in caso d’inadempimento o di ritardo, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del pregiudizio. Il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se questa non è stata stipulata per il semplice ritardo. La clausola penale ha tipicamente una finalità di anticipata liquidazione del danno contrattuale: il tentativo di ridurre a unità lo scopo della penale pare scontrarsi con i poteri di autonomia privata di cui essa è espressione, in quanto le parti sono libere di perseguire diversi interessi: dalla fissazione ora per allora del danno per l’eventuale inadempimento imputabile, oppure dell’inflizione a carico del debitore di una pena punitiva determinante un sacrificio patrimoniale che va oltre l’entità del danno prevedibile. La pena contrattuale si esprimerebbe nell’obbligazione di corrispondere un quid pluris rispetto all’ammontare, stimabile del’interesse all’esatto adempimento. Peraltro l’autonomia delle parti può spingersi sino a conferire alla penale un improprio ruolo di limitazione Pagina di 86 91 della responsabilità contrattuale. Là dove la clausola penale svolge in concreto la duplice funzione, di liquidazione anticipata del danno e – assieme – di minacciata applicazione di una sanzione (o pena) destinata ad aggravare la posizione del debitore, in cui pare possibile intravedere la sua natura di strumento indirettamente rafforzativo dell’efficacia del vincolo negoziale e di pressione sulla sua volontà per spronarlo ad adempiere correttamente. Quando l’ammontare della penale risulta “manifestamente eccessivo” il giudice può ridurla a equità. Rileva l’evidente sproporzione fra i due valori, la quale rappresenta l’indice di un sostanziale soggiogamento del debitore verso l’altro contraente tale da rendere ingiustificato l’arricchimento che quest’ultimo otterrebbe. La penale può piegarsi ad una finalità opposta: in questo caso funge da incentivo all’ inadempimento perché assicura un risparmio di spesa nella misura in cui il debitore infedele va incontro a una sanzione inferiore alla prestazione promessa. Ai sensi dell’ deve il debitore rispondere dell’integrale danno patito dal creditore, nel caso in cui l’eventuale limitazione della responsabilità tramite la clausola non libera esso stesso dalle conseguenza dell’ inadempimento qualificato da dolo o colpa grave. La pattuizione di una clausola penale non sottrae il rapporto inter partes alla disciplina delle obbligazioni. In conclusione, è vietato il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere il pagamento della penale per l’inadempimento, ma non impedisce alle parti di concordare cumulativamente una penale sia per in attuazione del rapporto sia per l’esecuzione ritardata dello stesso. XXI – LA RAPPRESENTANZA VOLONTARIA 198. LA PROCURA. Secondo l’articolo 1387 il potere di rappresentanza può derivare dalla legge (rappresentanza legale) o dall’interessato (rappresentanza volontaria). Si ha, invece, rappresentanza organica, quando il potere ad essa sotteso sia correlato all’ufficio ricoperto da una determinata persona (ad esempio, l’amministratore unico di una fondazione ha la rappresentanza della stessa). Per quanto riguarda la rappresentanza legale, questa attribuisce a determinati soggetti, i rappresentanti, il potere di agire in nome e per conto dei rappresentati (articolo 320) In caso di rappresentanza volontaria, l’atto con cui l’interessato attribuisce ad un soggetto il potere di rappresentanza si chiama procura: si tratta di un negozio unilaterale recettizio che si perfeziona all’accettazione del destinatario. Si ritiene che il potere rappresentativo è efficace anche se la procura non sia stata comunicata al rappresentante. Il rappresentante (o procuratore) non è obbligato a spendere il nome del rappresentato perché la procura – non essendo un contratto – è fonte di poteri; cioè crea una legittimazione disancorata dall’obbligo di agire in nome altrui. Secondo l’articolo 1388 “Il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato”, infatti il rappresentante è parte in senso formale, perché è lui che conclude il contratto, mentre il rappresentato lo è in senso sostanziale, perché è lui che ha gli obblighi. Il rappresentante va tenuto distinto dal nunzio (portavoce) che è colui il quale non forma la volontà i cui effetti ricadono sul rappresentato, ma si limita a trasmettere la determinazione volitiva. La procura deve avere la stessa forma del negozio oggetto del potere rappresentativo. Se la procura ha forma libera, il consequenziale potere rappresentativo può anche essere desunto dalla tacita volontà del proponente. Circa l’ oggetto, la procura può essere generale o speciale: nel primo caso, il procuratore può compiere tutti gli atti di straordinaria amministrazione mentre nell’altro egli è legittimato a perfezionare unicamente l’atto o gli atti in essa indicati. Per la validità del contratto concluso dal rappresentante basta la capacità d’agire del rappresentato, mentre è sufficiente che il primo abbia la capacità naturale di intendere e volere. Per la validità del contratto concluso dal rappresentante è necessario che il contratto non sia vietato al rappresentato. Pagina di 87 91 obbligati per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Salvo diversamente pattuito, l’ acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio della stessa che non abbiano carattere personale. Il terzo può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia di trasferimento. Le stesse disposizioni si applicano per l’usufruttuario e affittuario per la durata del’ usufrutto e affitto. 205. IL CONTRATTO A FAVORE DEL TERZO. È ammessa la stipulazione a favore di un terzo qualora lo stipulante vi abbia interesse; inoltre può questo, avere natura extrapatrimoniale. L’interesse è invece patrimoniale (datore di lavoro che stipula con il vettore il contratto a loro favore che consente il programma di spostamento). Il contratto pro terzo esige la forma scritta a pena di nullità quando abbia ad oggetto diritti reali su immobili: il terzo è estraneo alla convenzione stipulata a suo favore, rispetto cui si trova in una posizione di vantaggio che lo legittima a beneficiare della prestazione dovuta del promittente. Il terzo avvantaggiandosi della prestazione del promittente diventa beneficiario di una libertà indiretta; se la prestazione è invece destinata ad estinguere il debito dello stipulante verso il terzo la vicenda è riconducibile alla delegazione di debito. La posizione soggettiva di vantaggio del beneficiario è suscettibile di limitazione mediata se derivano da questa, oneri giuridici o fiscali. Voler profittare della prestazione rende definitivi contenuto ed effetti della convenzione pro beneficiario, posto che, prima d ciò, lo stipulante è libero di modificare o revocare la vicenda obbligatoria. Il terzo può pretendere dal promittente la prestazione a suo favore oltre ai danni derivanti dal ritardo. Il promittente è obbligato nei confronti dello stipulante a effettuare l’attività in direzione del terzo; può inoltre opporre al terzo le eccezioni fondate sul contrato fonte del diritto pro terzo, ma non quelle legate ad altri rapporti tra promittente e stipulante. In caso di revoca della stipulazione o rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante. La revoca e il rifiuto sono atti giuridici unilaterali recettizi di natura potestativa: revoca e modifica essendo diritti potestativi disponibili, sono suscettibili di abdicazione da parte del titolare. XXIII – L’INTERPRETAZIONE 206. LA COMUNE INTENZIONE. Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti (articolo 1362). Per determinare la comune intenzione si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto. La norma pone due regole fondamentali per interpretare la effettiva volontà delle parti: - occorre appurare la loro comune intenzione; - occorre valutare il comportamento complessivo delle parti anche successivo all’accordo. 207. CANONI INTERPRETATIVI. Il codice detta alcune norme: la prima di esse stabilisce che le clausole del contratto vanno interpretate le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto. Ciò significa che se il contratto è stipulato per il conseguimento di un determinato programma, allora è logico che i singoli punti debbano essere letti in modo armonico anziché scomposto (o frammentato). Il codice prevede altri canoni oggettivi, cui occorre far ricorso se all’applicazione di quelli soggettivi non sia stato possibile risolvere il problema sulla comune intenzione: questi criteri oggettivi hanno lo scopo di di dare al contratto il significato più rispondente ai valori di ragionevolezza e adeguatezza. Tra i canoni oggettivi segnaliamo: Pagina di 90 91 - il principio di conservazione del contratto, dato che il regolamento negoziale deve essere interpretato in modo da assegnare alle sue clausole funzione applicativa; - le clausole ambigue s’interpretano secondo la prassi consolidatasi nel luogo ove è stato concluso; - le espressioni polisense devono essere intese nel senso più confacente al singolo contratto; - le condizioni generali devono essere interpretate contra proferentem; - il contratto deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato se è a titolo gratuito; - se è a titolo oneroso va in teso in modo da assicurare un equo bilanciamento d’interessi conflittuali. Un posto va assegnato alla buona fede interpretativa. Il giudice fra due o più ipotesi interpretative è tenuto a preferire quella che meglio di ogni altra permetta di decifrare l’esatto contenuto dell’intesa. Per quanto riguarda i canoni soggettivi spetta all’interprete far tesoro dei suddetti canoni per elaborare la lettura più adatta al soddisfacimento della causa concreta: non si possono fissare a priori rigide graduazioni, dovendo essere riconosciuta all’interprete la facoltà di modulare i criteri normativi alla luce delle mutevoli circostanze affioranti dalla singola lite. 
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