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Universalità di mobili: Pluralità di diritti sulle cose mobili - Diritti reali e servitù -, Sintesi del corso di Diritto Privato

UsufruttoDiritto civileDiritti realiServitù

I diritti reali sulle cose mobili, come il possesso vale titolo, la trasferibilità di diritti reali, la qualità di consorziato e l'uso e abitazione. Viene inoltre discusso sulla servitù, come l'acquedotto coattivo e le limitazioni al godimento del fondo servente. Il documento illustra anche la differenza tra usufrutto e oneri reali.

Cosa imparerai

  • Come si trasferiscono i diritti reali su una cosa mobile?
  • Che cos'è un diritto reale sulle cose mobili?
  • Quali sono i limiti all'uso e all'abitazione di una cosa mobile?
  • Che cos'è una servitù e come si esercita su un fondo?
  • Che cos'è un usufrutto e come si differenzia da un onere reale?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 18/03/2019

ChiarettaPiardi
ChiarettaPiardi 🇮🇹

4.1

(7)

19 documenti

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Scarica Universalità di mobili: Pluralità di diritti sulle cose mobili - Diritti reali e servitù - e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Privato solo su Docsity! CAPITOLO 2 SEZIONE 1 Cose e beni indicano tutto ciò che non è persona e serve all’uso dell’uomo. La cosa guada all’oggetto come a un’entità separata dal soggetto, il bene all’utilità che questa può arrecare. Le cose o i beni devono essere idonee ad appartenere a una persona in via esclusiva, non è richiesto però chele cose appartengano attualmente a un soggetto, basta la possibilità che ciò accada eventualmente: si parla di res nullius cioè di cose di nessuno. Le cose si distinguono: • Corporali: loro esistenza autonoma nella realtà per poter essere apprezzate con i sensi, esempio le energie anche fanno parte di queste, si richiede che possano essere riguardate separatamente dalla persona, inoltre si richiede che possano appartenere ad una persona in via esclusiva o che abbiano un valore economico. • Incorporali/immateriali: entità capaci di arrecare un beneficio solamente riguardandole nella realtà giuridica e perciò metafisica. Esempio sono i diritti soggettivi come i diritti reali o di credito. Ai diritti reali aventi ad oggetto beni immobili si applicano le regole dettate per le cose mobili, mentre quelle riguardanti i mobili si applicano a tutti gli altri diritti. Un diritto soggettivo potrebbe infatti essere considerato come bene perché è capace ad arrecare a qualcuno un beneficio, un vantaggio tale da soddisfare un suo interesse. Sono immateriali anche le opere dell’ingegno. • Fungibili: ossia che possano considerarsi in sostanza identiche e per questo possano essere sostituite indifferentemente le une con le altre. Esempio è il denaro e ciò a cui si fa riferimento è esclusivamente dal punto quantitativo, cioè la quantità del bene. • Infungibile: non possono sostituirsi l’une con le altre. Si può rendere infungibile qualcosa che di natura non lo è mentre il procedimento inverso non è ammesso. Esempio è l’immobile. Si distinguono a loro volta in “determinate soltanto nel genere” o “fungibili in senso oggettivo”. • Consumabili: cose destinate a perdersi in senso fisico quando vengono utilizzate nella loro destinazione normale come il combustibile o i prodotti alimentari o il denaro (che si perde però solo in senso giuridico). • Non consumabili: non sono destinate a perdersi fisicamente quando vengono utilizzate. • Immobili: beni che rivestono maggiore importanza e caratterizzati dal fatto di trovarsi al sole nel senso che non possono essere occultati alla vista dei terzi. L’insieme delle cose immobili si trova definito dal legislatore in maniera tale da prescindere dalla loro conformazione fisica. Vanno ricondotte le seguenti categorie di cose: il suolo cioè la superficie visibile e il sottosuolo con tutto ciò che vi si trova e fino a quando questo non ne venga asportato, le sorgenti e i corsi d’acqua superficiali o sotterranei, gli alberi piantati nel terreno, gli edifici e le altre costruzioni anche se unite al suolo a scopo transitorio, ciò che è naturalmente e artificialmente incorporato al suolo, i bagni, i mulini e gli altri edifici galleggianti. • Mobili: ogni altro bene deve essere considerato mobile e si dividono in: mobili iscritti in pubblici registri che comprende le navi, gli aeromobili e gli autoveicoli. Universalità di mobili: pluralità di diritti sulle cose mobili le quali: hanno un unico titolare, hanno una destinazione unitaria, mantengono la loro autonomia. Importante è la relazione unitaria che si instaura tra i differenti mobili: questi mantengono la loro attitudine a formare oggetto di separati atti e di separati rapporti giuridici ma queste stesse cose possono riguardare invece l’insieme unitariamente considerato. Esempi sono il garage, la biblioteca. L’eredità e l’azienda possono a loro volta costituire oggetto di atti e rapporti giuridici che li considerino unitariamente. Pertinenza: diritto reale su una cosa, mobile o immobile che si trovi in rapporto di subordinazione rispetto ad un altro diritto reale, sono esempi tutto ciò riguardante la navigazione. Da ciò si desume che una cosa è pertinenza anche se congiunta o unita ad un’altra, queste ultime cose unite alla cosa principale si chiamano accessori. La relazione pertinenziale si instaura tra i diritti che hanno per oggetto le cose in virtù di un comportamento detto destinazione che è consentito a chi abbia la proprietà o un diritto reale sulla cosa principale mentre non occorre che questi sia un titolare di un diritto reale sulla cosa destinata a pertinenza. Il titolare di questa la può comunque rivendicare nei confronti del titolare del diritto sulla cosa principale. Se la cosa principale quanto la pertinenza sono immobili, il conflitto viene risolto con le regole della trascrizione mentre se la cosa principale e la pertinenza sono mobili, intervengono le regole sul possesso di buona fede dei beni mobili quando il possesso sia stato trasferito all’acquirente oppure si ha riguardo alla certezza della data nella scrittura. La relazione pertinenziale cessa quando si esaurisce la destinazione della cosa accessoria a ornamento o servizio di quella principale. Frutti: redditi prodotti da una cosa, con o senza l’opera dell’uomo, si parla di frutti naturali, sia attribuendola ad altri, ricavandone un corrispettivo e si parla in questo caso di frutti civili. I frutti appartengono al proprietario della cosa principale sino a quando siano pendenti cioè non ne siano distaccati. Si può tuttavia disporre separatamente dei frutti. La separazione dunque è un modo di acquisto della proprietà dei frutti, che non richiede la volontà dell’acquirente poiché può verificarsi anche per un fatto naturale o per il fatto di un terzo. Neppure si richiede l’apprensione di questi, detta perceptio. Chi fa propri i frutti deve rimborsare chi abbia effettuato spese per la produzione e il raccolto, si tratta di un’applicazione del divieto di arricchimento senza causa. I frutti civili invece non sono prodotti dalla cosa quanto dalla remunerazione dell’uso che ad altri sia stato attribuito con un negozio di durata. L’acquisto di questa categoria di frutti dipende dalla durata del godimento per questo si dice che essi si acquistano giorno per giorno. Beni pubblici patrimoniali indisponibili: cose mobili, universalità di mobili e immobili di cui dispongano, gli enti pubblici territoriali. Sono sottoposti ad un regime speciale poiché non possono essere sottratti alla loro destinazione a meno che non si seguano i procedimenti appositi dettati dalle leggi che li riguardano. Sono: • Foreste che costituiscono il demanio forestale • Le miniere, le cave e le torbiere • Le cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico rinvenute nel suolo • Beni costituenti la dotazione della presidenza della repubblica • Le caserme e gli armamenti Due azioni sono assegnate al possessore: • L’azione di reintegrazione o di spoglio art. 1168. Può essere esperita da chi sia stato spogliato da un terzo in maniera violente o clandestina del possesso di una cosa mobile o immobile e non abbia immediatamente recuperato la cosa da sé reagendo all’aggressione subita attraverso la legittima difesa. Spoglio: privazione duratura e totale del possesso comincia in capo allo spoliator il quale deve aver agito in maniera violenta ossia con forza o con minacce o clandestina cioè occulta o comunque all’insaputa dello spoliatus. Legittimato ad esperire quest’azione è anche chi abbia la detenzione della cosa purché non l’abbia per ragioni di ospitalità o di servizio chiamato detenzione semplice o non qualificata. • Azione di spoglio semplice o manutenzione recuperatoria art. 1170. Può essere esperita da chi abbia subito uno spoglio in maniera non violenta né clandestina. Chi la esperisce deve dimostrare di non aver a sua volta acquistato il possesso in maniera violenta o clandestina e di averlo mantenuto in maniera continua almeno da un anno o comunque che la violenza sia cessata da almeno un anno. Per queste due cose è previsto chela domanda deve essere proposta entro un anno del sofferto spoglio, ma in caso di spoglio clandestino il termine decorre dal giorno della scoperta dello spoglio. Il procedimento possessorio si svolge con l’audizione delle parti, omessa ogni formalità non essenziale al contradditorio e con il compimento solamente degli atti istruttori ritenuti indispensabili, dovendosi ordinare la reintegrazione sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione. Art. 1169: l’azione può essere esperita contro lo spoliator, ma anche contro chi abbia acquistato il possesso da lui, essendo al momento dell’acquisto a conoscenza dello spoglio. Azione di manutenzione: ha funzione conservativa: è concessa a chi sia stato molestato nel possesso di un immobile o di un’universalità di mobili, per ottenere che il giudice ordini la cessazione delle turbative. Sono molestie quegli atti materiali o giuridici che ostacolino, limitino o rendano meno comodo l’esercizio del possesso, arrecando un disturbo apprezzabile al possessore. È previsto un termine annuale di decadenza e sempre che chi la esperisca provi: • Di non aver acquistato la cosa in modo clandestino e violento • Di averla posseduta almeno da un anno Denuncia di nuova opera: il possessore ottiene dal giudice il divieto di continuare un’opera o di permetterla adottando in entrambi i casi le opportune cautele quando si abbia ragione di temere che dall’opera stessa intrapresa da alcuno sul proprio come sull’altrui fondo, stia per derivare danno alla cosa che forma oggetto del suo possesso. L’azione è soggetta al solito termine annuale di decadenza che decorre dall’inizio dell’opera e non è più esperibile quando quest’ultima sia terminata. Denuncia di danno temuto: consente al possessore di ricorrere al giudice per ottenere i provvedimenti secondo le circostanze, quando si abbia ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti il pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l’oggetto del suo possesso o del suo diritto. In entrambi i casi il giudice deve sentire entrambi le parti, poi omessa ogni formalità di procedura non essenziale al contradditorio provvede sulle denunzie compiendo gli atti istruttori indispensabili. Il giudice deve decidere nel minor tempo possibile. Alla fase a cognizione sommaria può seguire una a cognizione piena. SEZIONE 3 Diritti reali: somma di poteri in ordine alla cosa che la norma riconoscerebbe al titolare. I diritti reali hanno la caratteristica dell’assolutezza poiché tutti sono obbligati a non ingerirsi riguardo a quella determinata cosa, mentre i diritti relativi come ad esempio le obbligazioni, l’obbligato è una persona e si dicono caratterizzati dalla caratteristica della relatività. I diritti assoluti come quelli reali sono efficaci o opponibili erga omnes cioè verso tutti per indicare che il titolare può farli valere contro un terzo che abbia violato l’obbligo di non ingerirsi riguardo alla cosa oggetto del diritto stesso. I diritti reali sono tipici o numerus clausus cioè numero chiuso per indicare che l’insieme dei diritti reali e la determinazione del contenuto di ciascuno di questi è finito. Inoltre proprio perché comportano un obbligo di non ingerenza verso chiunque, si dice che i diritti reali sono caratterizzati dal diritto di seguito o di sequela nel senso che l’osservanza della condotta può essere pretesa da chiunque si trovi a possedere o detenere la cosa. Il titolare del diritto realizza l’interesse che accompagna e giustifica qualunque obbligo senza bisogno della cooperazione altrui. I diritti reali si caratterizzano ancora per l’immediatezza cioè per l’assenza di uno strumento o medium: il soddisfacimento del diritto non dipenderebbe dalla prestazione dei terzi obbligati. Il diritto reale si caratterizzerebbe per l’inerenza alla cosa nel senso che questa si troverebbe a circolare insieme al diritto di cui sarebbe oggetto. SOTTOSEZIONE 1 L’usucapione: tutti i diritti reali si acquistano tramite l’usucapione cioè il possesso continuato per un determinato periodo di tempo. Il possesso acquistato in modo violento o clandestino impedisce l’acquisto del diritto sino a quando la violenza o la clandestinità non siano cessate. Chi abbia un potere che si realizza in comportamenti corrispondenti a diritti reali minori, se intende acquistare la proprietà, deve effettuare l’interversione del possesso mediante opposizione oppure tramite acquisto della proprietà da un terzo. Si osservano per usucapione le disposizioni generali sulla prescrizione per questo la disciplina dell’usucapione non può essere modificata pattiziamente. Non è rilevabile d’ufficio dal giudice. Sospensione della prescrizione: la decorrenza del termine per l’usucapione è impedita dove sussistano quelle relazioni tra il titolare del diritto sulla cosa e chi la possieda, o quegli impedimenti derivanti dalla condizione del titolare medesimo che gli renderebbero troppo difficile la protezione del diritto. Il possesso si considera interrotto chiamata interruzione naturale quando chi aveva il potere sulla cosa ne sia stato privato per oltre un anno cioè oltre il termine di decadenza concesso per chiederne la reintegrazione con l’azione di spoglio e con quella di spoglio semplice. All’usucapione invece non sono applicabili le norme sulla rinunzia espressa o tacita alla prescrizione e neppure quella dettata dall’art. 2939 poiché il diritto viene acquistato automaticamente dal possessore. Ai fini dell’usucapione il possesso deve perdurare per venti anni quando si voglia acquistare la proprietà o un diritto reale avente ad oggetto un immobile, un’universalità di mobili o un mobile. Se si tratta della proprietà di fondi rustici la durata del possesso ad usucapionem è ridotta a 15 anni. Se si tratta della proprietà o di un diritto reale minore avente a oggetto beni mobili iscritti in pubblici registri il possesso deve perdurare per 10 anni. Trattandosi di ogni altro bene mobile, il termine è di 10 anni se il possessore è in buona fede, cioè se ignori di ledere l’altrui diritto. Gli acquisti a non domino: i beni mobili: quando si intende realizzare una successione o vicenda traslativa di un diritto reale per atto tra vivi si può verificare che il disponente sia privo della necessaria legittimazione a disporne sia cioè a non dominus. Nessuno può cioè trasferire ad altri un diritto poziore di quello che ha. Possesso vale titolo: possesso che fa acquistare al posto o in luogo del titolo: colui al quale sia trasferito un potere reale da chi non ne aveva la titolarità acquista un nuovo diritto di contenuto identico a quello che avrebbe dovuto acquistare purché gli sia stata consegnata la cosa e sia in buona fede. • Per trasferire un diritto reale a titolo originario inter vivos o mortis causa occorre un atto giuridico per questo si parla di titolo idoneo a trasferire la proprietà • Tale atto deve essere valido ed efficace • Tale il disponente non deve essere titolare del diritto reale • L’acquirente del nuovo diritto deve avere ricevuto il possesso mediante la consegna effettiva della cosa • Che ci sia buona fede, impedimento dell’insorgere del diritto in capo all’acquirente quando egli conosca l’illegittima provenienza della cosa. La buona fede in questo caso non si rileva occorre la prova della effettiva conoscenza. Il diritto si costituisce in capo all’acquirente privo di diritti altrui a meno che quei diritti o quei vincoli non risultino dal titolo o si provi che egli ne fosse stato comunque a conoscenza. Prevale sempre chi ha acquistato in buona fede il possesso anche se il titolo sia di data posteriore. Art. 1156 esclude che la regola possesso vale titolo si possa applicare ai negozi con effetti traslativi aventi a oggetto universalità di mobili e mobili iscritti in pubblici registri. Lo stesso vale per i diritti reali aventi ad oggetto beni immobili. In questi casi si richiedono: titolo idoneo, acquisto del possesso, buona fede, ulteriori fatti di cui si dovrà dare la prova. Per l’acquisto di diritti reali aventi ad oggetto le universalità di mobili occorre un requisito ulteriore: che il possesso perduri almeno per 10 anni. Per l’acquisto di diritti reali aventi a oggetto mobili iscritti in pubblici registri si richiedono tre requisiti ulteriori: che il titolo sia debitamente trascritto, che siano trascorsi 3 anni dalla data della trascrizione e che sussista la buona fede al momento di acquisto del possesso se questo è avvenuto dopo la trascrizione o al momento in cui questa si è perfezionata. Regola analoga vale per l’acquisto di diritti reali aventi ad oggetto beni immobili quindi si richiede che il titolo sia stato trascritto, che siano trascorsi 10 anni dalla data in cui il titolo è stato trascritto e che sussista la buona fede quando si acquista il possesso o al momento in cui si trascrive il titolo. SOTTOSEZIONE 2 L’usucapione e gli acquisti a non domino costituiscono acquisti a titolo originario perché danno origine a nuovi diritti sulle cose. La proprietà e gli altri diritti possono invece essere modificati attraverso atti negoziali con efficacia traslativa trasferendoli in tutto o in parte a un altro soggetto e si parla di acquisti a titolo derivativo ad evidenziare la traslazione del diritto da un soggetto all’altro. Ci sono ancora gli acquisti derivativo-costitutivi e non si ha costituzione di un nuovo diritto, ma semplicemente attribuzione a un nuovo titolare di una parte del diritto che il disponente già ha. Quando il diritto dell’acquirente viene ritrasferito al disponente oppure quello mantenuto dal disponente venga trasferito all’acquirente di quello minore si verifica l’estinzione del diritto minore per consolidazione. Tutti i diritti reali minori si estinguono per uso non ventennale e per rinunzia del titolare cioè per dichiarazione unilaterale di lui, la quale, se si tratta di atto inter vivos avente a oggetto beni immobili, richiede la forma scritta a pena di nullità ed è soggetta a trascrizione. SOTTOSEZIONE III Considerata la vastità, quasi illimitata, dell’obbligo di non ingerenza imposto ai consociati di fronte al proprietario, si è da sempre posto il problema di raccordarlo con l’interesse collettivo, cioè con la somma degli interessi di ciascuno. Si pensi anzitutto ai beni economici, ai quali il nostro sistema costituzionale conoscenza del proprietario del suolo, che non vi si è opposto, oppure con la buona fede del terzo – che credeva di costruire sul fondo – o comunque se sono trascorsi sei mesi dal giorno in cui abbia avuto notizia dell’incorporazione. Se si verifica l’acquisto della proprietà dei materiali, il proprietario del suolo deve pagare a sua scelta il valore di questi con il prezzo della manodopera oppure l’aumento del valore recato al fondo. c. Si ipotizza infine che il terzo abbia eseguito le opere, le costruzioni o le piantagioni con materiali non suoi (né ovviamente del proprietario del suolo). Il proprietario dei materiali, per impedire l’accessione in favore del proprietario del suolo, può rivendicarli, purché non sia trascorso il solito termine semestrale di decadenza, che decorre da quando il proprietario dei materiali ha avuto conoscenza dell’incorporazione, e sempre che la separazione – che avverrà a spese di chi ha incorporato i materiali – non arrechi grave danno alle opere o al fondo. Se acquista la proprietà dei materiali, il proprietario del suolo in mala fede, consapevole cioè del fatto che i materiali utilizzati non appartenevano né a lui né a chi faceva le opere, è obbligato in solido con quest’ultimo, a pagare un’indennità pari al valore dei materiali stessi e al risarcimento del danno. Il proprietario dei materiali ha anche un’azione diretta contro il proprietario del suolo, anche se è in buona fede, per il prezzo ancora dovuto al terzo che ha realizzato le costruzioni, le opere o le piantagioni. L’accessione invertita: è una norma eccezionale che consente a chi abbia costruito un edificio di acquistare la proprietà del suolo sul quale o sotto il quale questo insiste, quando egli sia proprietario del terreno vicino e abbia occupato in buona fede una porzione di quello attiguo. L’acquisto presuppone che il proprietario del fondo occupato non faccia opposizione entro tre mesi dal giorno in cui la costruzione ebbe inizio e che il giudice, tenuto conto delle circostanze, ritenga di attribuire al costruttore la proprietà dell’edificio e del suolo occupato che deve essere pagato al doppio del suo valore, fermo restando l’eventuale risarcimento del danno arrecato. L’accessione acquisitiva: riguarda quelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione avesse proceduto ad espropriare un’area per realizzare un’opera pubblica, ma il procedimento espropriativo fosse viziato da illegittimità (e quindi inefficace il trasferimento coattivo del terreno dal privato al beneficiario). L’amministrazione può, in tali casi, valutati gli interessi in conflitto, disporre che il bene sia acquisito al suo patrimonio indisponibile, corrispondendo al proprietario il valore venale del bene, maggiorato di 1/10 quale indennizzo per il danno arrecato. L’unione e la commistione: sono congiunzioni di due o più cose mobili che appartengono a proprietari differenti. La prima presuppone lo stato solido delle cose, che mantengono la loro individualità, l’altra invece può riguardare anche cose allo stato liquido o gassoso, e produce una trasformazione che le rende indistinguibili. Se le cose sono separabili senza notevole deterioramento, i proprietari di queste mantengono il loro diritto e possono chiederne la separazione; diversamente diventano comproprietari della cosa prodotta dall’unione o dalla commistione, in proporzione al valore delle cose spettanti a ciascuno. Se tra le cose unite o mescolate, una possa ritenersi principale o di valore molto superiore, il proprietario di questa acquista la proprietà del tutto. Deve allora pagare il valore della cosa unita o mescolata, a meno che l’unione o la mescolanza siano occorse senza il suo consenso per opera del proprietario della cosa accessoria o di minor valore. In questo caso, dove la minor somma tra l’incremento di valore apportato alla cosa principale e il valore della cosa accessoria; chi ha realizzato l’unione o la commistione della cosa propria con quella di altri è tenuto al risarcimento dei danni in caso di colpa grave. La specificazione: è la realizzazione di una cosa mobile nuova attraverso il lavoro dell’uomo, realizzata con la cosa mobile altrui. Chi la realizza ne acquista la proprietà, anche se la materia potrebbe riprendere la sua forma originaria, ma deve pagarne il prezzo, purché il valore del prezzo della cosa sia notevolmente superiore a quello della materia. Diversamente la cosa spetta al proprietario della materia che deve pagare il prezzo della mano d’opera. Le accessioni laterali: sono infine previste una serie di ipotesi in cui l’incremento del terreno, provocato da fenomeni naturali, si acquista a favore del proprietario del terreno stesso, si parla di accessione laterali. • L’alluvione: consiste in un’unione di terra o in un incremento impercettibile – provocata naturalmente – dei fondi posti lungo le rive di fiumi o torrenti: essi appartengono al proprietario di questi. • L’avulsione: si verifica invece quando la turbolenza del fiume o del torrente distacchi per forza istantanea una parte considerevole e riconoscibile di un fondo contiguo al loro alveo, trasportandola verso la riva opposta o verso un fondo collocato più a valle; il proprietario di questi acquista allora l’incremento ma deve pagare all’altro proprietario un’indennità nei limiti del maggior valore recato al fondo dall’avulsione. • Si parla di alluvione impropria: per indicare l’ipotesi nella quale, a causa del lento e progressivo ritiro delle acque correnti di fiumi, torrenti, laghi, mare o stagni demaniali, restino scoperte delle parti di terreno attigue; dal 1994 esse appartengono in ogni caso al demanio pubblico. La stessa regola vale quando il fenomeno abbia invece uno sviluppo subitaneo e provochi il repentino abbandono dell’alveo o quando si formino nel letto di fiumi o torrenti isole e unioni di terre. Il codice vigente ha mantenuto la contrapposizione tra il godere e il disporre, cioè tra l’appropriarsi del valore d’uso – per conseguirne un beneficio patrimoniale o non patrimoniale – e il fruire del suo valore di scambio. Ha poi ritenuto di ribadire che il godimento e la disposizione sono pieni, cioè illimitati e potenzialmente perpetui, per sottolineare che il contenuto del diritto è talmente ampio da comprendere tutto ciò che si possa fare, o immaginare di fare, sulla cosa e che le indicazioni eventualmente rinvenibili nella legge devono ritenersi in sostanza esemplificative e mai tassative. Il codice vigente ha tuttavia sostituito una serie di limiti, attraverso i quali viene definito in negativo il contenuto del diritto, comprimendolo quando sussista l’esigenza di salvaguardare o promuovere interessi di singoli o della collettività, ritenuti dal legislatore idonei ad assicurarne la funzione sociale o a renderla accessibile a tutti. I limiti si atteggiano poi variamente e possono consistere in un espresso divieto di tenere un certo comportamento, o in un divieto di tenerlo se non sussistano certe condizioni, o nel dover subire il comportamento altrui. Un’eccezione è data dal divieto di atti emulativi, che circoscrive il diritto a prescindere dal suo oggetto. Al proprietario di cose mobili o immobili non è infatti consentito di fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri (art. 833). Sono quindi fuori dal contenuto della proprietà quelle condotte attive o omissive, le quali arrechino danno o molestia ai terzi e non producano alcun apprezzabile beneficio per le chi le ponga in essere. Nel diritto romano la proprietà fondiaria si estendeva verticalmente. Simile impostazione dovrebbe quindi obbligare i terzi ad astenersi dal percorrere i cieli soprastanti il fondo del proprietario – cioè il terreno e tutto ciò che vi si trova incorporato – o dallo scavare una galleria autostradale nella collina sulla quale il terreno si trova. L’art. 840 si conforma a quella tradizione, ma chiarisce poi ch’essa non vale per quanto forma oggetto delle leggi sulle miniere, cave, torbiere e facendo salve le previsioni speciali sulle antichità e le belle arti, sulle acque e sulle opere idrauliche. L’accessibilità giustifica ampiamente il limite contenuto al secondo comma, ove si impedisce al proprietario di vantare pretese contro terzi, che svolgano attività a tale profondità dal suolo o a tale altezza da terra nello spazio sovrastante, da non avere interesse ad escluderle. Se l’art. 840 non individua una dimensione verticale del diritto di proprietà, ma piuttosto ne chiarisce il contenuto, di confini si deve parlare invece per quanto concerne l’estensione orizzontale dei fondi. Al proprietario viene anzitutto riconosciuto il potere di chiudere il fondo «in qualunque tempo»: simile previsione ha un’importanza soprattutto storica, perché ha in sé il pallido ricordo dell’epoca anteriore alla rivoluzione francese, nella quale era vietata la chiusura delle terre coltivate, giacché agli abitanti del comune era consentito di appropriarsi della legna o dei prodotti della terra, mentre ai signori competeva il diritto di cacciare sulle terre aperte. A tale proposito, è vero che i terzi hanno l’obbligo di non entrare nel fondo anche se non recintato, giacché il godimento della proprietà è pieno ed esclusivo. Trattandosi tuttavia di cacciatori tale obbligo non vale, se essi siano muniti della prescritta licenza e il fondo non sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Neppure non sono obbligati a non entrare nel fondo – ma in tal caso si tratta di limiti chiaramente giustificati costituzionalmente – quanti abbiano la necessità riconosciuta di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune, anche se il proprietario ha diritto a un’indennità per i danni eventualmente patiti. Lo stesso vale per coloro che intendano riprendere le loro cose che si trovino accidentalmente sul fondo o l’animale che vi si sia riparato sfuggendo alla custodia. In tale ultimo caso tuttavia il proprietario può impedire l’accesso consegnando la cosa o l’animale (art. 843). I terzi non sono obbligati ad astenersi dall’effettuare immissioni di fumo, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e propagazioni simili, derivanti da fondi vicini a quello del proprietario, se rientrino nella normale tollerabilità, cioè se la coscienza sociale le giudichi sopportabili (art. 844). La tollerabilità prescinde cioè dal fastidio concreto che ne possa ricevere il proprietario, ma nel valutarla si deve tenere conto anzitutto della condizione dei luoghi, cioè della destinazione d’uso dei fondi interessati: tollerabile è così il rumore per un’area urbana affollata, mentre può non esserlo quando colpisca una villetta isolata in campagna. Non si rivelano in proposito decisive le indicazioni che possano prevenire dalla legislazione amministrativa, ove spesso si trovano fissati limiti massimi di emissione di gas in atmosfera, di decibel e via dicendo, poiché esse sono formulate con carattere generale, mentre l’art. 844 ha riguardo alla condizione concreta del singolo fondo che subisce l’immissione. • Se si tratta di immissioni provocate a causa dell’esercizio di attività produttive, occorre contemperarne le esigenze con quelle della proprietà. Il giudice può decidere di non impedire le immissioni, potendosi limitare a imporre un indennizzo al proprietario che le deve subire, pari alla riduzione di valore del fondo. Infine il giudice stesso può tener conto della priorità di un determinato uso, cioè del fatto che un’attività esercitata da terzi preesistesse alla destinazione impressa al fondo. La cessazione delle immissioni intollerabili, oltre che con l’azione possessoria di manutenzione, può essere conseguita con un’azione risarcitoria ai sensi dell’art. 2043. La logica proprietaria sottesa alla previsione contenuta nell’art. 844 la rende sicuramente non compatibile con l’art. 32 Cost. in tutte le ipotesi in cui le immissioni realizzino un danno per la salute del singolo proprietario. In questi casi si dovrà allora prescindere del tutto dal giudizio di tollerabilità e consentire a chi subisce l’immissione di ottenere il risarcimento del danno e la condanna in forma specifica del danneggiante, ai sensi dell’art. 2058, a cessare l’attività lesiva o a adottare gli opportuni dispositivi per prevenirla in futuro. Le costruzioni realizzate sul fondo, come le relative sopraelevazioni, devono mantenere la distanza minima di tre metri (o quella superiore stabilita dai regolamenti locali) da quelle preesistenti su fondi di terzi. Nel computo della distanza non si tiene conto degli sporti e degli oggetti. Per la stessa ragione non si richiede l’osservanza delle distanze per le costruzioni interrate o per le parti interrate di queste. Le costruzioni realizzate in confine con le piazze e le vie pubbliche non sono soggette alle norme sulle distanze ma devono osservare apposite leggi e regolamenti (c.d. fasce di rispetto). Se non insistano costruzioni sui fondi vicini, ciascuno dei proprietari può costruirvi dove meglio crede: chi edifica per primo gode cioè del c.d. «diritto di prevenzione»: quelle indicate all’art. 892. Il vicino può quindi esigere che si estirpino gli alberi e le siepi piantati o cresciuti a distanza minore di quelle prescritte (art. 894). Il proprietario del fondo sul quale si protendano i rami degli alberi del vicino può in qualunque tempo costringerlo a tagliarli, e può egli stesso tagliare le radici che si addentrino nel suo terreno, salvi però in ambedue i casi i regolamenti e gli usi locali differenti (art. 896). Gli usi sono comportamenti ripetuti, richiamati dalla legge. Se non vi sia termine di confine o altra prova in contrario, ogni siepe tra due fondi – con gli alberi che eventualmente vi si trovino – si presume comune ed è mantenuta a spese comuni: se uno solo dei fondi è recinto, si presume che la siepe appartenga al proprietario del fondo recinto, ovvero di quello dalla cui parte si trova la siepe stessa in relazione ai termini di confine esistenti (art. 898). Anche gli alberi sorgenti sulla linea di confine si presumono comuni, salvo titolo o prova in contrario. Gli alberi che servono di limite o che si trovano nella siepe comune non possono essere tagliati, se non di comune accordo o dopo che l’autorità giudiziaria abbia riconosciuto la necessità o la convenienza del taglio (art. 899). Si è detto che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato, anche se gli usi diversi dal consumo umano sono sempre ammessi, sebbene nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità. Il proprietario del fondo che si sia servito dell’acqua, non la può riversare sui fondi vicini. Il fondo inferiore si trova invece costretto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolino naturalmente, ossia senza che sia intervenuta l’opera dell’uomo: egli non può impedire questo scolo, né il proprietario del fondo superiore può renderlo più gravoso (art. 913). L’apertura di sorgenti o il compimento di ogni altra opera, connessa all’estrazione delle acque dal sottosuolo e al loro scorrimento, deve essere compiuta osservando non soltanto le distanze prescritte per i fossi e i canali, ma soprattutto usando ogni cautela per non recare pregiudizio ai fondi o alle sorgenti, acquedotti o canali preesistenti e destinati all’irrigazione di terreni altrui o agli usi domestici o industriali. Le controversie che insorgano tra proprietari sull’uso dell’acqua andranno risolte valutando l’interesse dei singoli proprietari nei loro rapporti e rispetto ai vantaggi che possono derivare all’agricoltura o all’industria dall’uso a cui l’acqua è destinata o si vuol destinare. Il giudice può assegnare un’indennità ai proprietari che sopportino diminuzione del loro diritto. Ciascun proprietario deve mantenere in buono stato le sponde e gli argini delle acque che percorrono il suo fondo, se occorre anche costruendone di nuovi quando ciò sia necessario nell’interesse dei fondi vicini. Egli deve inoltre rimuovere l’ingombro formatosi sulla superficie del fondo o in un fosso o rivo o alveo, a causa di materia in essi impigliata. Se non provvede i proprietari dei fondi vicini, che hanno sofferto o temono di ricevere danno, possono farsi autorizzare dal tribunale a provvedere direttamente. In tale caso le opere devono essere eseguite in modo che il fondo interessato non subisca danno, eccetto quello temporaneo causato dalla esecuzione delle opere stesse. Un ruolo significativo viene riconosciuto in materia ai consorzi – cioè a forme di comunione sulle strutture immobiliari – che consentono di sfruttare la risorsa idrica (come i canali e i relativi sistemi di chiusa). Essi possono trarre origine da un contratto (c.d. consorzi volontari) oppure da un provvedimento amministrativo (c.d. consorzi amministrativi). Devono essere muniti di un regolamento (in forma scritta) che, almeno se si tratti di consorzi originati da contratto, è deliberato dalla maggioranza calcolata in base all’estensione dei terreni a cui serve l’acqua, disciplinandone l’uso. La qualità di consorziato si trasmette necessariamente con la trasmissione del fondo dominante e si perde per non uso ventennale dei diritti di utilizzazione dell’acqua, ossia con la prescrizione della servitù. Lo scioglimento del consorzio può essere deliberato dalla maggioranza indicata all’art. 919 o quando alcuno dei componenti abbia chiesto la divisione delle opere e questa possa essere effettuata senza grave danno. Lo sviluppo ordinato ed armonico delle costruzioni costituisce uno dei principali problemi del quale deve occuparsi la disciplina della proprietà fondiaria. A questo proposito il codice civile contiene pochi cenni al fenomeno, anche perché contemporaneamente ad esso era entrata in vigore la l. 17 agosto 1942, n.1150 Legge urbanistica. Vi si disciplina sostanzialmente il potere della P.A. di regolare l’uso del territorio. Il piano regolatore generale – che viene approvato dall’autorità comunale ed ha vigore a tempo indeterminato – riguarda la totalità del territorio comunale. Indica la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie, navigabili e dei relativi impianti, stabilendo una suddivisione del territorio comunale in zone. Alcune di esse vengono destinate all’espansione dell’aggregato urbano mentre altre vengono destinate a formare spazi di uso pubblico e sono riservate ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere e impianti di interesse sociale o collettivo (art. 7). Il regolamento edilizio contiene invece la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi. L’uso del territorio a fini edificatori, da parte dei proprietari è libero soltanto per gli interventi indicati all’art. 6 d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico dell’edilizia, mentre gli interventi di nuova costruzione, gli interventi di ristrutturazione urbanistica e quelli di ristrutturazione edilizia sono subordinati al rilascio del permesso di costruire, da parte della competente autorità comunale. Questa deve verificare che l’intervento progettato risulti conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistica ed edilizia vigente e che esistano le opere di urbanizzazione primaria (cioè le strade residenziali, le fognature, la rete idrica, la rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, la pubblica illuminazione, ecc.), o almeno che si preveda, da parte del comune, di attuarle nel successivo triennio. In mancanza, i proprietari possono impegnarsi a realizzarle insieme alla costruzione dell’edificio oggetto del permesso attraverso un apposito contratto. Il volume della costruzione realizzabile in una data area dipende dagli indici di edificabilità fissati dai piani regolatori per ciascuna zona: il proprietario dell’area può tuttavia sommare alla propria la volumetria cedutagli dai titolari delle aree vicine (che sia ovviamente tutt’ora inedificate). Il contratto con il quale vengono ceduti i «diritti edificatori», dal titolare di un fondo a quello vicino, costituisce una servitù volontaria con utilità futura sul fondo dominante e deve quindi essere trascritto. In genere, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato al costo di costruzione dell’intervento e all’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria (asili nido, scuole materne, scuole dell’obbligo, impianti sportivi, aree verdi ecc.). L’autorità comunale deve vigilare sulle costruzioni realizzate per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nel permesso di costruire; le violazioni sono soggette a sanzioni amministrative e penali. Il singolo proprietario non può ovviamente pretendere che l’amministrazione o il giudice provvedano a perseguire le violazioni, ma se ha subito un danno ha diritto ad esserne risarcito ai sensi dell’art. 2043. Una forma indiretta di sanzione contro gli abusi edilizi si trova infine all’art. 46 del d.p.r. 380 del 2001, il quale stabilisce che gli atti tra vivi aventi per oggetto trasferimento, costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costituzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire. L’azione di rivendicazione può essere esperita dal proprietario per ottenere la condanna del convenuto a restituire la cosa mobile o immobile di cui abbia il possesso o la detenzione. Non rileva la ragione per cui quest’ultimo l’abbia ottenuta. Se dopo l’esperimento della domanda, questi abbia cessato per fatto proprio di possedere o detenere la cosa, o se la cosa sia stata distrutta, il proprietario può conseguire la condanna del convenuto a recuperarla a sue spese o, in mancanza, a corrispondergliene il valore. Quando però consegua la cosa direttamente dal nuovo possessore o dal nuovo detentore, il proprietario deve restituire la somma ricevuta dal precedente possessore o dal precedente detentore. In ogni caso il proprietario ha diritto al risarcimento del danno subito, quando sussistano i presupposti stabiliti all’art.2043. L’azione come si è detto, è imprescrittibile ed è soggetta a trascrizione, se abbia a oggetto immobili o mobili iscritti in pubblici registri: la sentenza pronunziata contro il convenuto indicato nella trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda. Secondo la regola generale, chi agisce deve provare l’atto o il fatto giuridico che ha originato il diritto vantato. Tra questi non sono ricompresi quegli atti (come il contratto) che non originano la proprietà ma si limitano semplicemente a modificarla attraverso una successione tra vivi. L’attore può tuttavia provare che il fatto costitutivo del diritto si è prodotto in capo al suo autore, oppure in capo a chi aveva alienato a questi, risalendo, con una catena di atti traslativi, sino all’acquirente originario. Allo stesso modo può valersi dell’usucapione, se occorre sommando al suo possesso quello degli attori precedenti. Il possessore di buona fede, quando sia condannato a restituire la cosa, fa suoi i frutti naturali separati sino al giorno della domanda e quelli civili maturati sino a quello stesso giorno. Fino a quando non l’ha effettivamente restituita, risponde verso il rivendicante dei frutti percepiti dopo la domanda giudiziale e di quelli che avrebbe potuto percepire dopo tale data con l’ordinaria diligenza (frutti percipiendi). Il possessore in mala fede, non fa ovviamente propri i frutti e risponde verso il rivendicante per tutti i frutti che avrebbe potuto percepire con la normale diligenza (dal momento in cui ha acquistato il possesso sino all’effettiva restituzione al rivendicante). Si ritiene che tali regole possano valere anche per il detentore. Il possessore (come il detentore) in mala fede, quando sia tenuto a restituire i frutti indebitamente percepiti, ha diritto comunque al rimborso delle spese fatte per produrli e raccoglierli e a quelle sostenute per le riparazioni ordinarie (cioè per la normale manutenzione della cosa), limitatamente al tempo per il quale la restituzione è dovuta. Anche se non deve restituire i frutti, ha inoltre diritto al rimborso delle spese fatte per riparazioni straordinarie e a un’indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purché sussistano al momento della restituzione. Tale indennità si quantifica diversamente a seconda che il possessore fosse in buona o in mala fede: nel primo caso è uguale alla misura dell’aumento di valore conseguito alla cosa attraverso i miglioramenti. Nel secondo è pari alla minor somma tra quanto si sia speso e l’aumento di valore. Per le addizioni – cioè per le opere, costruzioni, piantagioni – fatte dal possessore sulla cosa si applica l’art. 936; se le addizioni costituiscono miglioramento, il possessore in buona fede ha tuttavia diritto a un’indennità in misura pari all’aumento di valore conseguito dalla cosa. Il pagamento delle somme dovute al possessore può essere rateizzato dal giudice che deve in tal caso disporre le opportune garanzie. Solamente il possessore di buona fede ha infine diritto di ritenzione sulla cosa, sino a quando non abbia ricevuto le indennità dovutegli, purché queste siano state richieste durante il giudizio di rivendicazione e sia stata fornita una prova almeno generica della sussistenza delle riparazioni e dei miglioramenti. Tale diritto gli è riconosciuto pure per il periodo in cui il rivendicante, che abbia ottenuto la rateizzazione del suo debito, non abbia prestato le garanzie imposte dal giudice. Come la stessa denominazione fa chiaramente intendere, l’azione negatoria, mira a far accettare al giudice l’inesistenza di diritti reali che un terzo vanti sulla cosa in modo da far temere al proprietario di poterne essere pregiudicato. È quindi un’azione diretta a conseguire una sentenza di accertamento ma può essere accompagnata anche da una domanda diretta a conseguire la condanna a cessare le turbative e le molestie e a risarcire i danni eventualmente arrecati. Legittimati attivamente ad esperirla sono il proprietario e il comproprietario (oltre che l’enfiteuta e l’usufruttuario), sia che abbiano il possesso della cosa sia che non lo abbiano. Passivamente legittimati sono tutti coloro che vantano l’esistenza di diritti reali sul fondo: l’azione non può essere proposta contro il semplice possessore o il semplice detentore e neppure contro coloro che si siano limitati a porre in essere turbative o molestie, senza vantare la titolarità di un diritto reale che obbliga il proprietario a tollerarle. Poiché nel giudizio si controverte sull’inesistenza del diritto reale vantato dal convenuto, non sulla sussistenza della proprietà in capo all’attore, non v’è ragione per chiedere la prova del titolo di acquisto della 2. L’enfiteuta può invece estinguere il diritto mediante l’affrancazione (in questo modo acquista la piena proprietà del fondo): anche tale diritto potestativo è ad esercizio giudiziale, anche se il medesimo effetto si può realizzare con un contratto o con un testamento col quale il concedente gli trasferisca la proprietà del fondo enfiteutico. L’affranco si realizza – secondo l’art. 9 della l. 1138 del 1970 – mediante il pagamento di una somma pari a quindici volte l’ammontare del canone. Va infine ribadito che l’utilista è legittimato ad esperire le azioni a difesa della proprietà. L’usufrutto: assai più vitale si rivela invece l’usufrutto, con il quale il titolare (o usufruttario) trova riconosciuto il diritto di godere della cosa – non oltre la durata della sua vita, se è una persona fisica, o di un trentennio se è una persona giuridica – potendo trarne ogni utilità che questa può dare. Egli può quindi farne propri i frutti, naturali e civili – anche se il contratto o il testamento possono limitarne o escluderne questo diritto – ma non ne può alterare la destinazione economica, ossia la funzione impressa dal proprietario (es esempio trasformando un appartamento a uso residenziale in ufficio o negozio). A parte i fatti e gli atti ormai consueti – che possono originare il diritto (usucapione e acquisti a non domino) o con i quali questo può essere concesso dal proprietario (che viene detto in tal caso “nudo”) ossia il contratto o il testamento – l’usufrutto si origina automaticamente quando sussistano le condizioni previste dall’art. 324 (usufrutto legale) oppure attraverso una sentenza. Frequentemente esso si origina mediante riserva che si verifica quando il proprietario trasferisce ad altri la nuda proprietà della cosa, mantenendo per sé ciò che corrisponde al contenuto del diritto di usufrutto. A differenza di quanto si è detto per l’enfiteusi, l’usufrutto può avere ad oggetto qualunque cosa, mobile o immobile, consumabile e non consumabile, universalità di mobili, aziende, titoli di credito e le opere dell’ingegno. Il diritto comprende le accessioni ma non il tesoro. Gli alberi divelti, spezzati o periti per cause naturali spettano al nudo proprietario, se sono di alto fusto; quelli da frutta spettano all’usufruttuario. Se oggetto del diritto siano una mandria o un gregge, l’usufruttuario deve surrogare gli animali periti, fino alla concorrente quantità dei nati; se la mandria o il gregge perisce interamente per causa a lui non imputabile deve al nudo proprietario solamente le pelli o il loro valore. L’usufrutto che abbia a oggetto cose consumabili e viene detto quasi usufrutto, ne fa acquistare la proprietà all’usufruttuario che se ne serva, con l’obbligo di pagarne il valore, stimato secondo le indicazioni rinvenibili all’art. 995, quando il diritto si estingue. Quando viceversa le cose siano soltanto deteriorabili, cioè sottoposte al normale logorio del tempo e dell’uso, egli deve restituirle semplicemente nello stato in cui si trovano. L’usufrutto, che abbia a oggetto diritti di credito, non è un diritto reale – poiché il credito non è una cosa – e conferisce al titolare il diritto di percepire quei particolari frutti civili detti «interessi» e di riscuotere il capitale congiuntamente al nudo proprietario. Il debitore che gli paghi solamente a quest’ultimo o solamente all’usufruttuario non si libera, se conosce o ha accettato la costituzione dell’usufrutto o ne abbia ricevuto notifica: sull’impiego del capitale riscosso. L’usufruttuario può (anche se non è obbligato) apportare miglioramenti alla cosa, avendo diritto a un’indennità, e può eseguirvi addizioni, sempre che non ne venga in tal modo alterata la destinazione economica: al termine dell’usufrutto, se il nudo proprietario non intenda mantenerle, pagando l’indennità prevista all’art. 986, ha diritto di levarle, se ciò sia possibile senza recare nocumento alla cosa. Quando oggetto dell’usufrutto siano boschi, filari o alberi sparsi di alto fusto destinati alla produzione di legna, se non è stabilito diversamente dal titolo, l’usufruttuario può procedere ai tagli ordinari, curando tuttavia il mantenimento dell’originaria consistenza dei boschi e dei filari, provvedendo se occorre alla loro ricostruzione. Cessione dell’usufrutto: se l’atto che glielo attribuisce non lo vieta, l’usufrutto può essere ceduto ad altri per un certo tempo o per tutta la sua durata (che è comunque non superiore alla vita dell’usufruttuario o al trentennio, se questi sia una persona giuridica): la notifica della cessione – realizzata con l’invio al nudo proprietario di un atto scritto dal quale essa risulti – libera il cedente per i debiti vantanti dal proprietario medesimo. Il sub-usufrutto: L’usufruttuario può anche costruire un nuovo usufrutto sul suo diritto (il sub usufrutto), il quale a questo punto non potrà eccedere la durata della vita del primo usufruttuario e neppure quella del secondo. Le azioni a difesa dell’usufrutto: l’usufruttuario è legittimato ad esperire, oltre a quelle di nunciazione, il regolamento di confini e l’apposizione di termini, l’azione di rivendicazione a difesa del suo diritto e la negatoria: in tutti i casi è tuttavia tenuto a chiamare in giudizio il nudo proprietario. Per conseguire il possesso della cosa da quest’ultimo ha a disposizione l’azione personale prevista all’art. 982. Può agire anche per far riconoscere l’esistenza delle servitù a favore del fondo. 36. (segue): gli obblighi dell’usufruttuario e l’estinzione del diritto. L’usufruttuario è tenuto a una serie di obblighi, diretti ad assicurare l’adempimento dell’obbligo fondamentale di godere della cosa con la diligenza del buon padre di famiglia e di quello di restituire la cosa al momento in cui il diritto si estingue. Deve quindi redigere l’inventario a sue spese, deve cioè predisporre un atto formato dal notaio o dal cancelliere che contenga la descrizione analitica delle cose, a meno che non ne sia stato dispensato o non si sia stabilito di redigerlo in forma privata; inoltre salvo sempre dispensa o rinunzia da parte del nudo proprietario – gli si richiede di prestare idonea garanzia. Diversamente non può conseguire il possesso delle cose anche se, pur non avendo prestato le idonee garanzie, può in ogni modo chiedere che siano adottate le misure indicate all’art. 1003, così da poterne percepire i frutti. Egli è tenuto a custodire la cosa, ad amministrarla, all’ordinaria manutenzione oltre che alle riparazioni straordinarie causate dall’inadempimento dei suoi obblighi. Le riparazioni straordinarie – come quelle indicate all’art. 1005: sostituzione di travi, consolidamento dei muri, rinnovamento notevole dei tetti dei solai, delle scale etc. – sono invece a carico del nudo proprietario (se non le esegue possono essere eseguite dall’usufruttuario che ha diritto al rimborso delle spese fatte). Quest’ultimo è tenuto tuttavia a corrispondere al nudo proprietario, che le abbia eseguite, l’interesse sulle somme dal momento in cui sono state spese sino all’estinzione del diritto. Sono a carico dell’usufruttuario le imposte, i canoni, le rendite e gli altri pesi che gravano sul reddito: i carichi imposti sulla proprietà sono dovuti invece dal nudo proprietario. Oltre che per scadenza del termine, non uso ventennale, consolidazione o perimento della cosa, il diritto si estingue quando – con sentenza costitutiva – si accerti che l’usufruttuario abbia abusato del suo diritto, alienando beni, deteriorandoli o lasciandoli perire per non aver eseguito le riparazioni ordinarie che gli competono. Il giudice, che gli sia stato richiesto da una delle parti e giudichi gli abusi non eccessivamente gravi, può mantenere esistente il diritto, ordinando che l’usufruttuario dia idonee garanzie o che i beni siano locati o posti sotto amministrazione altrui a spese dell’usufruttuario stesso o concessi al nudo proprietario che sarà obbligato a pagargli annualmente una somma determinata (art. 1015). Uso e abitazione: come l’usufrutto, l’uso attribuisce alla persona fisica che ne sia titolare il diritto di usare una cosa, mantenendone la destinazione economica: l’appropriazione dei frutti è tuttavia limitata a ciò che occorre ai suoi bisogni – valutati secondo la sua condizione sociale – e a quelli della sua famiglia. Questa va intensa in senso particolarmente ampio e comprende, oltre ai figli, le persone che convivono con l’usuario, perché legate a lui da vincoli di tipo affettivo o per prestargli i propri servizi. La persona giuridica titolare dell’uso, non ha invece diritto ad acquistare i frutti. La disciplina è quella dell’usufrutto, in quanto compatibile (art. 1026) – l’uso quindi può ad esempio avere ad oggetto qualsiasi bene, immobile o mobile, anche consumabile, ma non può durare oltre i termini indicati all’art. 979 – con due importanti eccezioni: a) Il diritto non può essere ceduto ad altri, considerata la sua natura personale, né la cosa può essere concessa in locazione o in affitto (ma può essere data in comodato, art. 1024); b) L’usuario è tenuto alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie e al pagamento dei tributi in proporzione alla parte di frutti che gli spettano (art. 1025) L’abitazione è una sottospecie di uso – che la tradizione vuole tuttavia da questo formalmente distinta – che attribuisce al titolare (habitator) il diritto di abitare una casa, con le sue pertinenze, limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia. SOTTOSEZIONE V La servitù: è un peso – cioè una limitazione alla pienezza oppure all’esclusività del godimento – imposta a chiunque si trovi titolare della proprietà o di un altro diritto reale di godimento sul fondo (detto servente) per recare utilità a chiunque si trovi ad essere titolare della proprietà, o di un altro diritto reale di godimento, su un altro fondo (detto dominante) (art. 1027). Si assume quindi che i due fondi – cioè i due terreni con le cose immobili che vi si trovino al di sopra o al di sotto – si trovino tra loro in una relazione non diversa da quella in cui si è già detto parlando delle pertinenze, con l’importante precisazione che qui richiede necessariamente, oltre alla natura esclusivamente immobiliare delle cose, anche l’appartenenza di queste a due soggetti differenti. Come nella pertinenza, la relazione funzionale tra i due fondi è unilaterale, anche se è possibile immaginare che tra i due fondi si possano configurare due distinti diritti di servitù di contenuto uguale e contrario, tali per cui un fondo subisce un peso per recare vantaggio a quello vicino che a sua volta subisce un peso uguale per recare un identico vantaggio all’altro. In proposito, frequentemente si parla si «servitù reciproche». L’utilità che il fondo dominante può ritrarre dal fondo servente, può consistere anche nella maggiore godibilità estetica di questo. Volendo poi risolvere una questione particolarmente controversa durante la vigenza del primo codice unitario, l’art. 1028 precisa che l’utilità può pure essere inerente alla destinazione industriale del fondo. L’espressione risulta tuttavia ambigua e costringe gli interpreti a precisare che non si ha servitù, quando l’utilità venga arrecata all’azienda. Ad esempio ciò accade quando io consenta al proprietario di una bottega vicina di appoggiare l’insegna luminosa sulla terrazza di casa mia, poiché dell’insegna beneficia direttamente l’azienda non l’immobile ove essa viene esercitata. Può invece costituire oggetto di servitù (detta industriale) l’impegno a non attrezzare a camping un’area vicina al mio albergo – ipotizzando che l’immobile abbia come sua destinazione quella turistica – o quella di prelevare terra da ceramica da impiegare nella fabbrica vicina o ancora quella di non piantare alberi che possano limitare l’irraggiamento solare del fondo del vicino, ove sia installato un impianto fotovoltaico. Il vantaggio può anche essere futuro, come può essere destinato a un edificio ancora da costruire (derivo acqua dal fondo vicino per somministrarla al fabbricato da edificare) o di un fondo da acquistare (la casa c’è già ma appartiene ancora a Tizio, dal quale vorrei acquistarla). Inversamente il peso può essere imposto su un edificio da costruire o su un fondo da acquistare. L’atto negoziale che genera la servitù (volontaria) sarà in questo caso valido ma non efficace sino al momento in cui l’edificio venga costruito o acquistato (art. 1029). L’utilità arrecata deve promanare dal fondo servente. Questo si troverà costretto a subire una o più ingerenze determinate (in questo modo ne viene compressa l’esclusività del godimento: si pensi all’esempio della servitù di passaggio) oppure patirà una limitazione nel godimento. Salvo eccezioni non si ammette che il titolare del fondo servente possa essere tenuto a adempiere a un obbligo di facere. La legge o il titolo (il contratto o il testamento) possono tuttavia imporgli l’obbligo di eseguire le opere necessarie per rendere possibile l’esercizio della servitù pur restando comunque sostanzialmente estranee al contenuto della servitù medesima. Queste vengono dette allora prestazioni accessorie, ad esempio nel contratto costitutivo della servitù di non piantare sul fondo servente alberi d’alto fusto, che impediscano l’irraggiamento solare del fondo dominante, potrebbe essere imposta la potatura dei rami delle altre piante. sentenza additiva del 10 maggio 1999, n. 167, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale ultima previsione, nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma dell’art. 1052 possa essere concesso dall’autorità giudiziaria, quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità – di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici destinati a uso abitativo. Il passaggio verrà stabilito dalla sentenza laddove l’accesso alla via pubblica sia più breve e riesca di minor danno al fondo servente; l’indennità dovuta al titolare di questo viene stabilita in misura proporzionale al danno recatogli. Sono esenti dall’impostazione della servitù le case, i cortili, i giardini e le aie. f) Le servitù di «elettrodotto e passaggio coattivo di linee teleferiche» impongono ai proprietari dei fondi di consentire il passaggio delle condutture elettriche o delle gomene di vie funicolari aeree a uso agrario o industriale. Si costituiscono con sentenza che tiene luogo degli effetti del contratto non concluso, anche se chi la domanda deve essere stato autorizzato alla realizzazione dell’impianto. Il decreto di autorizzazione può anche contenere la dichiarazione di pubblica utilità, in guisa che il diritto viene allora trasferito coattivamente al fondo dominante mediante provvedimento espropriativo. Non vi è motivo di dubitare che le due ipotesi riguardino la costituzione di una vera e propria servitù. Le servitù acquistate per usucapione e destinazione del padre di famiglia: quando sussistano opere: a) permanenti b) situate sul fondo servente o su quello dominante c) visibili d) destinate inequivocabilmente all’esercizio della servitù, questa si dice apparente (si pensi alla strada asfaltata che serve di accesso al fondo, alle condutture plastiche o metalliche che vi portano acqua; mentre non è apparente, ad esempio, il passaggio che risulti da solchi tracciati dalle ruote dei trattori). A differenza di quanto si è detto per tutti gli altri diritti reali – e fermo restando che qualunque servitù si può acquistare a non domino – soltanto quelle apparenti possono essere acquistate per usucapione (art. 1061), nonostante pure le servitù non apparenti possano possedute. Le servitù apparenti possono pure essere acquistate per destinazione del padre di famiglia: a) Il proprietario di un unico fondo può infatti con un proprio comportamento attivo (porre) o omissivo (lasciare) “destinare” alcune opere realizzate su una parte del fondo per recare servizio o anche soltanto ornamento a un’altra. Ad esempio nello stabile ho costruito due alloggi; in uno di questi ho realizzato un balcone che consente una veduta sull’altro, a distanza di pochi centimetri; oppure ho costruito un vialetto che attraversa il terreno occupato da una delle due villette, per dare all’altra un accesso comodo sulla via pubblica. Posto che il fondo appartiene a un unico titolare, non c’è servitù ma semplicemente godimento di un diritto reale b) La parte del fondo sul quale insistono le opere destinate a servizio o ornamento dell’altra viene alienata oppure viene alienata la parte che ne sia beneficiata. L’art. 1062 riconosce che i fatti descritti hanno originato una servitù: nei nostri esempi di passaggio o di veduta. Ciò non accade tuttavia quando il contratto o il testamento, che hanno trasferito la parte di fondo, contenevano la costituzione espressa della servitù o inversamente escludevano espressamente o implicitamente l’operatività della fattispecie descritta all’articolo citato. La servitù può essere modificata con il contratto o con il testamento o eventualmente con la sentenza, ma non può essere ceduta separatamente dal fondo. L’esercizio in modo da trarne un’utilità minore da quella indicata dal titolo non la modifica, consentendo di conservarla per intero (servitù di passaggio con veicoli, che viene esercitata solamente passando a piedi). Essa si estingue per: 1. Confusione che occorre quando in una sola persona si riuniscano la proprietà del fondo dominante con quella del fondo servente (art. 1072): l’effetto dipende dalla regola già evocata nemini res sua servit. 2. Prescrizione ventennale. Le ipotesi da considerare sono due: a. La prima e più importante è quella di mancato esercizio da parte del titolare del fondo dominante o di chi lo possieda come titolare di un diritto reale di godimento o del conduttore. b. La seconda è quella in cui la servitù venga esercitata dai soggetti appena indicati ma in un tempo (o in un luogo) differente da quello stabilito dal titolo o dal possesso. 3. Se la servitù è negativa – consiste cioè in una limitazione alla pienezza del godimento del fondo servente, ossia non postula alcuna ingerenza su questo da parte del titolare di quello dominante – il termine decorre dal giorno in cui si è verificato un fatto che ne ha impedito l’esercizio, cioè dal giorno in cui il titolare del fondo servente ha interrotto il suo non facere, realizzando il comportamento che la servitù vietava. 4. La stessa regola vale per le servitù “affermative continue”, ossia per quelle comportano un’ingerenza sul fondo servente ma possono essere esercitate senza il fatto dell’uomo (come quella di presa d’acqua o di veduta: la prescrizione decorre dal giorno in cui sia crollata la finestra o sia cessato il funzionamento della pompa. 5. Nella servitù affermativa discontinua (come quella di passaggio) il termine decorre dal giorno in cui si è cessato di esercitarla (ossia dall’ultima volta in cui si è passati). 6. Nelle servitù che si esercitano a intervalli o intermittenti (come quella di prelevare acqua a turni), il termine decorre dal giorno in cui la servitù si sarebbe potuta esercitare e non ne fu ripreso l’esercizio. Poiché non rileva chi sia concretamente titolare del fondo dominante, per la prescrizione si computa anche il tempo per il quale la servitù non fu esercitata dai precedenti titolari. 7. Tra le cause che interrompono il corso vanno annoverate: la domanda giudiziale e l’atto di riconoscimento (art. 2944). Se il fondo dominante era tuttavia in comunione, la sospensione e l’interruzione della prescrizione a vantaggio di uno dei comproprietari giova anche agli altri. 8. La servitù si estingue anche per rinunzia del titolare del fondo dominante o, quando si tratti di servitù coattive, con sentenza nei casi previsti all’art. 1055. 9. L’impossibilità di usare la servitù o il venir meno dell’utilità non fanno estinguere la servitù fino a quando non si sia completato il periodo per la prescrizione (art. 1074). L’azione confessoria servitutis: il titolare del fondo dominante può chiedere che si accerti con sentenza l’esistenza e la consistenza della servitù contro chi ne contesti l’esercizio, con l’eventuale condanna a far cessare le turbative e la rimessione in pristino delle opere (azione confessoria servitutis art. 1079). L’azione si dirige contro chi contesti la sussistenza del diritto, cioè contro coloro che sarebbero attivamente legittimati ad agire con l’azione negatoria. Essa non può essere proposta quindi contro il semplice possessore o il semplice detentore: in tali occorre agire con le azioni possessorie oppure con un’azione di responsabilità extracontrattuale, se occorre domandando pure la reintegrazione in forma specifica ai sensi dell’art. 2058. Si parla di atipicità del contenuto delle servitù volontarie. Per alcune servitù in materia di acque – a causa dell’enorme rilievo che la risorsa idrica riveste – sono invece state dettate una serie di regole che ne descrivono il contenuto in maniera dettagliata, anche se le parti possono liberamente derogarvi. Si tratta in particolare delle servitù di presa o di derivazione d’acqua e di quelle degli scoli e degli avanzi d’acqua. Il titolare della servitù di presa d’acqua può quindi prelevare acqua dal fondo servente, con opere o manufatti, per condurla al suo fondo e utilizzarla a fini domestici, agricoli o industriali. Si distingue perciò dalla servitù di acquedotto perché in tale ultimo caso il titolare può solamente far passare sul fondo servente le acque che attinge altrove attraverso opere, come tubi o canali. Sono dettate una serie di regole sulla misurazione e sulla quantità massima d’acqua che il fondo dominante può derivare (art. 1082), sul tempo nel quale essa può essere derivata (art. 1085), sui turni di esercizio del diritto (art. 1086-1088) e sulla distribuzione dell’incomodo provocato dalla sopravvenuta deficienza della risorsa idrica. L’art. 1091 costituisce una deroga, sia pure eliminabile con contratto o testamento, posto che si richiede al concedente di eseguire le opere ordinarie e straordinarie per la derivazione e la condotta dell’acqua fino al punto in cui ne fa consegna, oltre che di mantenere in buono stato gli edifici e di compiere tutto ciò che si trova indicato in quell’articolo. La servitù attiva degli scoli consiste nel diritto di ricevere le acque colaticce (o appunto scoli) dal fondo superiore che se ne sia servito (non va confusa con quella passiva degli scoli o di scarico, nella quale il fondo superiore è dominante e gode quindi dell’utilità di scaricare le acque su quello inferiore). La servitù degli avanzi d’acqua è analoga ma impegna il fondo, che riceve da un altro una certa quantità d’acqua per un determinato uso, a restituirla al concedente o a un terzo (i fondi dominanti) nella misura che avanza (art. 1097). Nell’art. 1099 si rinviene una particolare ipotesi di estinzione della servitù mediante la costituzione coattiva di una nuova: il proprietario del fondo soggetto alla servitù degli scoli o degli avanzi d’acqua può infatti sempre liberarsi da tale servitù concedendo e assicurando al fondo dominante un corpo d’acqua viva, nella quantità stabilita dall’autorità giudiziaria, tenuto conto di tutte le circostanze. SEZIONE IV SOTTOSEZIONE I Sulla stessa cosa può insistere, oltre al diritto di proprietà, anche un diritto reale di godimento (di contenuto minore) che ne comprime il contenuto: in tal modo si rende fruibile la cosa stessa da due o più persone. È altresì dato immaginare la sussistenza sulla stessa cosa di una pluralità di diritti reali di identico contenuto (che a loro volta possono trovarsi a coesistere con altri diritti reali di contenuto differente). Quando più soggetti siano titolari dello stesso diritto reale sull’identica cosa si dice che si trovino in comunione: essi vengono detti quindi partecipanti, compartecipi o, più raramente comunisti. A seconda poi del diritto reale in comunione si parla pure di comproprietà, di co-superficie, di co-enfiteusi, di co-usufrutto, di co-uso o di co-abitazione. La servitù invece, non potendosi immaginare disgiuntamente dal diritto del titolare del fondo dominante, neppure può configurarsi in comunione tra più persone: piuttosto si può avere la comunione del diritto reale di godimento sul fondo dominante. La coesistenza di diritti identici sulla stessa cosa – vi è più quando si tratti della proprietà, con la pienezza e soprattutto l’esclusività che ne connota il godimento – è fenomeno complesso e, secondo alcuni, non configurabile. Per questo alcuni tentano di spiegare il fenomeno diversamente. Vi è chi assume allora che il diritto reale appartenga in realtà a un ente che essi chiamano comunione (al quale riconoscono soggettività giuridica): tale impostazione non riesce a spiegare quale diritto comporterebbe ai partecipanti sino allo scioglimento della comunione. I diritti reali si comprimerebbero vicendevolmente ma manterrebbero in sostanza inalterata la loro natura e il loro contenuto. La capacità di ciascuno di questi di comprimere gli altri – o se si vuole la misura con il quale l’uno comprime gli altri – è detta quota. Le quote si presumono uguali e in proporzione a queste si ripartiscono i vantaggi – ossia gli incrementi economici, come i frutti, gli accessori, l’accessione e il tesoro – e i pesi della comunione, ossia i debiti. La regola è derogabile e si possono così attribuire a un compartecipe tutti i debiti, lasciando vantaggi solo agli altri, o riconoscergli all’inverso tutti i vantaggi esonerandolo dai pesi. La comunione non deve essere confusa appunto con la società, alla quale si riconosce invece soggettività giuridica propria e che l’art. 2247 definisce come il contratto con il quale due o più persone conferiscono beni e servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica, allo scopo di dividerne gli utili. Tradizionalmente si è soliti distinguere: • la comunione volontaria quando dipenda da un contratto concluso tra i partecipanti • la comunione incidentale che si realizza quale effetto legale, in conseguenza di successione a causa di morte Giacché potrebbero esserne pregiudicati, i creditori e gli aventi causa da ciascun partecipante possono infine intervenire nel giudizio divisorio a proprie spese. Se non si siano opposti, con atto notificato prima della divisione stessa, non possono impugnare la divisione già eseguita. SOTTOSEZIONE II Con la legge del 1934 si rielaborò interamente e si disciplinò ex novo la materia ex novo. Si introdusse così nel lessico comune l’uso di designare come condominio cioè come comproprietà, di case o di edifici, ciò che a ben vedere non è una comunione di diritti di proprietà aventi a oggetto il fabbricato. Piuttosto esso consiste nella coesistenza – accanto a due o più proprietà esclusive di alloggi costruiti su diversi piani o diverse porzioni dello stesso piano – della comproprietà delle parti dell’edificio indicate all’art. 1117, cioè: (la comunione è su): a) Tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondamenta, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti, i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili, le facciate; b) Le aree destinate a parcheggio e i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, destinate all’uso comune; c) Le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo. La comproprietà delle parti indicate, distribuita tra i proprietari esclusivi degli alloggi ai quali funzionalmente sono destinate, si verifica ovviamente «se il contrario non risulti dal titolo». L’art. 1117 è cioè norma dispositiva che i proprietari dei singoli alloggi possono derogare con un contratto stipulato in forma scritta, trattandosi di cose immobili, o con un testamento. In genere, la contitolarità del diritto di proprietà sulle cose indicate nasce nel momento in cui il proprietario esclusivo dell’intero edificio trasferisca ad altri (per atto tra vivi o a causa di morte) la proprietà di un alloggio, collocato su un piano o porzione di piano, mantenendo per sé altro piano o altra porzione di piano. Quelle cose che si trovano allora funzionalmente destinate a servire due differenti proprietà esclusive e per questo la legge le presume comuni. Se tutti i condomini siano d’accordo, quelle parti potranno essere divise contrattualmente, anche se in tal modo si renda più incomodo l’uso ad alcuno tra i condomini. Non potrà invece essere accolta la domanda giudiziale di divisione, proposta da uno o più condomini se, in seguito allo scioglimento della comunione, l’uso della cosa a ciascun comproprietario verrebbe reso più incomodo. In ogni caso l’art. 61 stabilisce che l’assemblea ordinaria dei condomini – o il giudice su domanda di un terzo dei comproprietari dell’edificio da separare – può deliberare lo scioglimento del condominio (o di una parte soltanto delle cose comuni), quando un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi possa essere diviso in parti che abbiano le caratteriste di edifici autonomi, eventualmente costituendosi in un condominio separato. Ancora il perimento totale o per almeno 3/4 dell’edifico comporta lo scioglimento automatico della comunione sulle parti comuni. Alla comproprietà delle cose comuni si applicano le norme sulla comunione, salvo che non sia diversamente disposto. Ciascuno dei partecipanti può quindi esercitare il suo diritto, facendo l’uso delle cose condominiali che più aggrada, purché osservi i limiti stabiliti all’art. 1102 e, con quegli stessi limiti, vi può apportare a sue spese (senza alcun diritto di rimborso) le modifiche necessarie per il migliore godimento di queste. Non ha invece diritto al rimborso delle spese fatte senza autorizzazione dell’assemblea o dell’amministratore – a meno che non fossero urgenti – quando abbia assunto spontaneamente la gestione delle parti comuni. Ha ovviamente il compossesso delle cose condominiali, e gode quindi della relativa tutela, potendone estendere il possesso per acquistarle integralmente con l’usucapione. Se non sia diversamente stabilito dal titolo, la sua quota di partecipazione alla comproprietà non è tuttavia stabilita in misura paritaria ma è proporzionata al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene. Salvo il consenso degli altri condomini, gli è invece precluso di disporre a qualunque titolo della quota sulle parti condominiali separatamente dalla proprietà del suo appartamento: chi lo acquista, per atto tra vivi o mortis causa, è obbligato in solido con lui per il pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente. Per ciò che concerne invece la proprietà esclusiva del piano o della porzione di piano, si rinvia a quanto si è detto sul contenuto di quel diritto. Si deve tuttavia precisare che gli è precluso di eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio o che ne pregiudichino la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico. Se è proprietario dell’ultimo piano dell’edificio, o del lastrico solare, ha tuttavia il diritto di costruirvi nuovi piani o nuove fabbriche, quando non gli è vietato dal titolo. Tale diritto, che è in sostanza una concessione superficiaria, può pure essere alienato a terzi. La sopraelevazione non è consentita se le condizioni statiche dell’edificio non la permettano o se possa pregiudicare l’aspetto architettonico dell’edificio o diminuire notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti. Gli altri condomini hanno diritto a un’indennità pari al valore dell’area da occuparsi, suddivisa in base alle quote di ciascuno (sempre che il tetto o il lastrico solare sul quale si erige la nuova costruzione sia comune, diversamente quell’indennità spetterà a chi ne sia proprietario). Se tutti i condomini, o alcuni di loro, avevano diritto d’uso del lastrico, chi vi edifica deve inoltre ricostruirlo. I condomini sono obbligati a partecipare alle spese necessarie e per la prestazione di servizi nell’interesse comune ma, a differenza di quanto accade per la comunione ordinaria, non è ammesso l’abbandono liberatorio della quota di proprietà delle cose condominiali per liberarsi dal debito riguardante le spese per la loro conservazione. Di regola ciascun condomino partecipa alle spese in ragione della sua quota di partecipazione quale risulta dalla tabella millesimale allegata al regolamento. Se si tratti tuttavia di cose destinate a servire i condomini stessi in misura diversa (come le spese per il riscaldamento) le spese vengono ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne. Quando un edificio abbia infine più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero edificio, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità. Regole particolare – sempre derogabili dal titolo – valgono: a) Per la manutenzione e la ricostruzione delle scale e degli ascensori, che competono ai proprietari degli appartamenti che se ne servano (le spese sono ripartite per metà in proporzione ai millesimi e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano. (art. 1124) b) Per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti. (art. 1125) c) Per le riparazioni o ricostruzioni di lastrici solari, l’uso dei quali non sia comune a tutti i condomini (chi ne ha l’uso esclusivo deve contribuire alla spesa per 1/3, mentre i restanti 2/3 gravano sugli altri condomini visto che il lastrico funge da copertura dell’edificio comune). La gestione delle cose condominiali è attribuita in maniera concorrente all’assemblea dei condomini e all’amministratore, il quale deve essere nominato dall’assemblea se i condomini sono più di otto, diversamente vi provvede il giudice su domanda di uno di loro. Può pure essere nominato un consiglio di condominio composto da almeno tre condomini – quando nell’edificio sussistano almeno dodici unità immobiliari: esso svolge esclusivamente funzioni consultive e di controllo (art. 1130-bis). In mancanza di nomina dell’amministratore da parte dell’assemblea, coloro che ne svolgono le relative funzioni, devono – come deve fare l’amministratore – rendere note agli altri condomini e ai terzi le loro generalità e i loro recapiti, mediante affissione in un luogo di accesso al condominio o di maggior uso. Nel condominio di edifici – affinché le deliberazioni della maggioranza vincoli gli assenti e i dissenzienti – si richiede invece l’osservanza di un apposito procedimento (detto metodo assembleare), al quale le parti non possono rinunziare o che non possono derogare attraverso il contratto, a causa della tipicità dei diritti reali. Occorre quindi che tutti i condomini siano invitati a prendere parte a un’apposita riunione – mediante avviso comunicato loro almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza, mediante lettera raccomandata, posta elettronica certificata, fax o consegna a mano – nella quale le deliberazioni devono essere documentate per iscritto, mediante processo verbale da trascriversi in un registro apposito tenuto dall’amministratore, e, quando costituiscano, modifichino o estinguano un diritto reale, da trascrivere nei registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2645. In prima convocazione l’assemblea è regolarmente costituita con le maggioranze stabilite all’art. 1136, 1° comma (c.d. quorum costitutivo: 2/3 del valore dell’intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio) e la deliberazione è valida e vincola gli assenti e i dissenzienti se è adottata con le maggioranze stabilite all’art. 1136, 2° comma (c.d. quorum deliberativo: maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore dell’edificio). Quando la prima convocazione vada deserta, l’assemblea è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino almeno 1/3 del valore dell’intero edificio e 1/3 dei partecipanti al condominio. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio. Si richiede tuttavia la maggioranza per teste e per valore dell’edificio: a) Per la nomina e la revoca dell’amministratore; b) Per le liti attive e passive relative alle materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore; c) Per la ricostruzione dell’edificio; d) Per le riparazioni straordinarie di notevole entità e) Per far cessare le attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni; f) Per consentire le innovazioni aventi a oggetto opere e interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti; o per eliminare le barriere architettoniche, o contenere il consumo energetico degli edifici o realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, etc. g) Per installare impianti di videosorveglianza nelle parti comuni; h) Per autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare ai progetti di cui all’ultimo comma dell’art. 1135 i) Per deliberare l’attivazione del sito internet del condominio; Si richiede invece il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti – e che essi rappresentino almeno 2/3 del valore dell’edificio – per le deliberazioni che hanno a oggetto le innovazioni (cioè le modifiche materiali della cosa comune di una certa consistenza, che non ne alterino la destinazione d’uso) dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento e quelle destinate a autorizzarne le modifiche resesi necessarie per installare sul lastrico solare impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, destinate a servire alle singole unità immobiliari. Infine l’assemblea delibera validamente con un numero di voti che rappresenti almeno i 4/5 dei partecipanti al condominio e i 4/5 del valore dell’edificio, quando si intenda modificare la destinazione d’uso delle parti comuni. Sono in ogni caso vietate le innovazioni che possano rendere inservibili talune parti comuni all’uso o al godimento anche solo di un condomino. Una disciplina particolare riguarda le innovazioni che importino una altrimenti, la titolarità del diritto identifica chi è obbligato ad adempiere a un’obbligazione, in guisa che si parla di ambulatorietà del debito, poiché esso si trasmette ipso iure con la titolarità del diritto reale. Secondo alcuni l’obbligazione propter rem si distingue tuttavia dall’onere reale, poiché solamente nel primo caso la titolarità del credito sarebbe a sua volta collegata intrinsecamente con il diritto reale. Per questo si ascrivono alle obbligazioni propter rem l’obbligo di riparazione del muro comune, oppure quello dei partecipanti alla comunione di contribuire alle spese necessarie per la conservazione della cosa, etc. Come si vede sia il creditore sia il debitore sono individuati in base alla titolarità del diritto reale (sono comproprietario del muro o della cosa comune e quindi devo pagare le spese ma ho anche per questo diritto di pretenderne il pagamento dagli altri). Le imposte e i pesi che gravano sull’utilista e dell’usufruttuario verso soggetti differenti dal concedente o dal nudo proprietario, costituirebbero invece oneri reali poiché il creditore non ha diritti reali sul fondo. Ciò che più interessa è stabilire se simili obblighi possano nascere dal contratto: poiché essi vincolano nei confronti di chi acquista un diritto reale e non di colui che, prestando il suo consenso, ha concluso il contratto. In linea generale lo si deve sicuramente escludere. POSSESSO E DETENZIONE ART.1140 c.c.: Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa. INIZIO DEL POSSESSO (IN BUONA O MALA FEDE) • IMPOSSESSAMENTO o APPRENSIONE: • Occupazione • Spoglio • Consegna ≠ atti di tolleranza del possessore PRESUNZIONE DI POSSESSO Art 1141 c.c. Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione. ALTRE PRESUNZIONI LEGALI (RELATIVE) presunzione di possesso intermedio (art. 1142 c.c.) presunzione di possesso dalla data del titolo (art. 1143 c.c.) presunzione di buona fede (art. 1147 c.c.) AZIONI A DIFESA DEL POSSESSO: AZIONE DI SPOGLIO AZIONE DI MANUTENZIONE AZIONE DI NUNCIAZIONE AZIONE DI REINTEGRAZIONE O SPOGLIO: spoglio violento o clandestino entro 1 anno dallo spoglio o dalla scoperta legittimazione attiva: possessore, possessore mediato, detentore qualificato legittimazione passiva: spoliator, chi ha acquistato il possesso in mala fede dallo spoliator AZIONE DI MANUTENZIONE RECUPERATORIA spoglio NON violento o clandestino entro 1 anno dallo spoglio o dalla scoperta legittimazione attiva: possessore da almeno un anno (con possesso non violento né clandestino) legittimazione passiva: spoliator, chi ha acquistato il possesso in mala fede dallo spoliator AZIONE DI MANUTENZIONE molestie nel possesso di immobili o universalità di mobili entro 1 anno legittimazione attiva: possessore da almeno un anno (con possesso non violento né clandestino) AZIONE DI NUNCIAZIONE: DENUNCIA DI NUOVA OPERA DENUNCIA DI DANNO TEMUTO USUCAPIONE modi di acquisto della proprietà o di altri diritti reali in forza di possesso: pacifico e palese indisturbato prolungato nel tempo DURATA DEL POSSESSO immobili: 20 anni universalità di mobili: 20 anni mobili: 10 anni se possesso in buona fede / 20 anni se in mala fede fondi rustici: 15 anni mobili iscritti in pubblici registri: 10 anni SOSPENSIONE: art. 2941 c.c. INTERRUZIONE: atto giudiziale riconoscimento dell'altrui diritto interruzione del possesso per più di 1 anno. COMUNIONE: no persona giuridica, condivisione del diritto per quote astratte. USO DELLA COSA COMUNE: ciascuno può esercitare il suo diritto, senza impedire agli altri l'uso regolamento della comunione: maggioranza per quote compossesso spese necessarie per conservazione → rimborso (art. 1110). AMMINISTRAZIONE DELLA COSA COMUNE Maggioranza semplice per quote per ordinaria amministrazione e nomina amministratore Maggioranza 2/3 del valore della cosa per straordinaria amministrazione e innovazioni Unanimità per alienazioni e locazioni oltre 9 anni SCIOGLIMENTO diritto alla divisione contrattuale giudiziale in natura civile patto di indivisibilità (entro 10 anni, con effetti verso gli aventi causa). IL CONDOMINIO no persona giuridica coesistenza di proprietà esclusive e parti comuni (indicate nell'art. 1117 c.c., “se il contrario non risulta dal titolo”) - titolo valido ed efficace - consegna effettiva della cosa - buona fede • beni immobili o mobili registrati → cd. usucapione abbreviata (a. 1159, 1162) - alienante non proprietario - titolo idoneo a trasferire il diritto - titolo valido ed efficace - buona fede - trascrizione - 10 anni (3 anni per mobili registrati) dalla trascrizione. CONFLITTO TRA DUE ACQUIRENTI DA UNO STESSO ALIENANTE: • mobili: prevale chi ottiene per primo il possesso in buona fede • immobili e mobili registrati: prevale chi trascrive per primo l'acquisto PROPRIETÀ: Art. 42 Cost.: • La proprietà è pubblica o privata. • I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. • La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. • La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità. • Art. 832 c.c. • Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico INIZIATIVA ECONOMICA PRIVATA • ART. 41 COST. • L'iniziativa economica privata è libera. • Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. • La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. ARTICOLO 17 CARTA DI NIZZA 1. Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L'uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale. 2. La proprietà intellettuale è protetta. LIMITI AL DIRITTO DI GODERE E DISPORRE: • espropriazione per pubblica utilità • prelazione Stato su beni d'interesse culturale • divieto di immissioni intollerabili • divieto di atti emulativi • limiti al divieto di ingerenza: accesso al fondo di terzi • proprietà fondiaria: distanze – uso edificatorio dei fondi AZIONI A DIFESA DELLA PROPRIETÀ • Azione di rivendicazione (art. 948 c.c.) • Azione negatoria • Azione di regolamento di confini • Azione di apposizione di termini.
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