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Diritto processuale civile 2, Appunti di Diritto Processuale Civile

seconda parte di diritto processuale civile. preparato su 2 manuali: Tarzia (dal procedimento di primo grado, sino le impugnazioni comprese) e Mandrioli (processo esecutivo, procedimenti speciali, mediazione e negoziazione assistita). voto preso: 30/30

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 17/06/2021

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Scarica Diritto processuale civile 2 e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE 2 SECONDO SEMESTRE Il Procedimento di Primo Grado SEZIONE PRIMA: PREMESSE Il dibattito ha trovato componimento con la l.353/1990, con la quale il legislatore è pervenuto ad una soluzione di compromesso, ma con la l.51/1998 è stata istituita la figura del giudice di primo grado (giudice di pace e Tribunale) ed è stata confermata la regola della distribuzione delle cause fra giudice monocratico e collegio, all’interno del Tribunale; infatti, in materia civile e penale il tribunale giudica in composizione monocratica e, nei casi previsti dalla legge, in composizione collegiale e, salvo le disposizioni relative alla composizione delle sezioni specializzate, il tribunale, quando giudica in composizione collegiale, decide con il numero invariabile di 3 componenti (art.48co.1-3). I caratteri generali del processo di cognizione A partire dagli anni ’90 sono state attuate una serie di modifiche migliorative al processo di cognizione, tra cui: - Istituzione del giudice unico di tribunale come regola generale. - Introduzione di un sistema di preclusioni volto a scandire le varie fasi del processo. - Previsione di provvedimenti anticipatori di condanna. - Esecuzione provvisoria ope legis delle sentenze di primo grado. - Trasformazione del giudizio d’appello da novum iudicium a revisio prioris instantiae. - Rimodellamento del rapporto tra le fasi di preparazione, trattazione e di istruzione della causa. - Introduzione di alcune nuove specifiche regole in materia di notificazioni (artt.145-147). - Ampliamento dei termini di comparizione (art.163bis). - Sono state apportate alcune modifiche e correzioni alla disciplina delle ordinanze anticipatorie. I termini processuali e la rimessione in termini Il processo agisce in un preciso contesto spazio-temporale, che rappresenta una variabile significativa e come tale è un fattore determinante da tenere in considerazione; infatti, il raggiungimento dello scopo perseguito dipende in larga misura anche dai tempi entro i quali la tutela stessa viene accordata  lo svolgimento del processo è scandito mediante la fissazione di termini, volti a disciplinare e collocare nell’iter del giudizio il compimento dei singoli atti processuali. Il nostro ordinamento (art.152) distingue tra termini legali (previsti dalla legge) e termini giudiziari (stabiliti dal giudice); inoltre, fondamentale è poi la distinzione tra termini ordinatori (= sono previsti per il compimento di determinati atti, ma la legge non ricollega alcuna sanzione per l’ipotesi di loro inosservanza) e termini perentori (= implicano, in caso di mancato rispetto, una decadenza o una preclusione dal successivo compimento dell’atto per il quale erano deputati, ma devono essere stabiliti dal giudice, qualora la legge lo permetta espressamente). In ogni caso, esigenze di giustizia impongono che si possa ovviare alle eventuali preclusioni nelle quali la parte sia incorsa per causa ad essa non imputabile; in questo senso, il legislatore ha introdotto un principio di rimessioni in termini per tutti i termini processuali (art.294)  l’art.153co.2 afferma che la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, può chiedere al giudice di essere rimessa in termini, il quale provvederà, con ordinanza, a norma dell’art.294, cioè mediante il procedimento previsto per la rimessioni in termini del contumace che si costituisce tardivamente. Il calendario del processo Al fine di una migliore organizzazione dei tempi processuali, la l.69/2009 ha introdotto l’art.81bis disp.att., che prevede la fissazione ad opera del giudice di un calendario del processo, per consentire alle parti di preventivare i tempi del processo e al contempo garantirne la ragionevole durata (= si tratta di un potere che costituisce diretta espressione della direzione del procedimento affidata al giudice istruttore e informata ai criteri di celerità e lealtà, art.175)  sentite le parti al termine dell’udienza di trattazione, il giudice provvede alla pianificazione delle attività, tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa (= si tratta delle udienze successive a quella di prima comparizione e trattazione, ivi compresa la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni); in ogni caso, su istanza di parte o d’ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti, i termini possono essere prorogati, mentre, in caso di mancato rispetto dei termini, si costituisce violazione disciplinare. Il processo civile telematico La profonda crisi che ha attraversato la giustizia negli ultimi anni ha indotto il legislatore ad individuare soluzioni che potessero risolvere o quantomeno contenere i disagi avvertiti nella prassi; in questo contesto, nasce l’idea del processo civile telematico (PCT) promosso dal Ministero della Giustizia per migliorare la qualità dei servizi giudiziari  si tratta di realizzare un sistema che sia in grado di consentire l’esecuzione delle operazioni che sono correnti e funzionali al processo senza recarsi fisicamente presso le cancellerie o i tribunali, ma operando da remoto, con l’utilizzo di strumenti informatici e telematici. In questo contesto, fondamentale è stato il Regolamento 123/2001 perché ha fissato alcune regole essenziali della disciplina: possibilità di compiere tutti gli atti e i provvedimenti del processo attraverso documenti informatici (art.4); possibilità di redigere il processo verbale mediante strumenti informatici (art.5); possibilità di allegare in copia informatica la procura alle liti (art.10); possibilità di depositare la relazione del CTU in forma digitale (art.13). SEZIONE II: LA FASE PREPARATORIA Dal punto di vista della struttura e della scansione temporale degli atti processuali, il giudizio ordinario di cognizione si articola in 3 fasi successive: la fase preparatoria (o introduttiva), la fase istruttoria e la fase decisoria. Scopo della fase preparatoria è quella di individuare i soggetti del processo e di delimitare l’oggetto del processo sul quale è richiesto l’intervento dell’autorità giurisdizionale; il suo assetto è profondamente mutato rispetto l’originaria versione del codice civile del 1942: il processo civile inizia sulla base dell’atto di citazione (art.163c.p.c.) che è un atto recettizio di parte i cui requisiti sono predeterminati dal legislatore e deve individuare l’azione (editio actionis) e fissare l’udienza (vocatio in ius), tenendo conto di alcuni elementi: a. Al convenuto deve essere garantito un certo tempo di difesa di 90 giorni (se domiciliata in Italia, altrimenti 150, art.163bis co.1)  la citazione viene notificata al convenuto. b. L’udienza deve essere fissata tenendo conto anche degli impegni del giudice naturale precostituito per legge, altrimenti sarà la cancelleria ad assegnare un’altra data. Il ricorso, invece, è un atto processuale che deve identificare l’azione, ma non svolge la funzione di locatio in ius: è un atto processuale con cui non viene chiamato in giudizio il convenuto, perché Il convenuto deve costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza fissata nell’atto di citazione, o almeno 10 nel caso di abbreviazione dei termini, a mezzo di procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando in cancelleria la comparsa di risposta con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Nel caso in cui il giudice istruttore abbia differito la data della prima udienza con decreto, a norma dell’art.168bis co.5, il convenuto può costituirsi almeno 20 giorni prima di tale nuove data di udienza; in tal caso, il convenuto, per poter predisporre la difesa, deve essere ammesso a esaminare il fascicolo dell’attore anche prima di una formale costituzione e, perciò, l’art.76disp.att. attribuisce alle parti, o i loro difensori muniti di procura, il potere di esaminare il fascicolo dell’attore e di farsi rilasciare copia degli atti e documenti ivi inclusi  la volontà che il thema decidendum sia definito prima dell’udienza, ha indotto il legislatore a stabilire che il convenuto, nella comparsa di risposta, debba proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni (art.167co.1), e, sempre a pena di decadenza, deve proporre le eventuali domande riconvenzionali (se assente l’oggetto o il titolo, il giudice fisserà un termine perentorio entro cui integrarlo) e le eccezioni processuali e di merito (= intesi i fatti giuridici o principali) che non siano rilevabili d’ufficio (anche l’incompetenza, art.38c.p.c.). L’iscrizione della causa a ruolo, la designazione del giudice istruttore e il differimento dell’udienza Una volta proposta la causa deve giungere al giudice istruttore per la trattazione: la causa viene iscritta al ruolo all’atto della prima costituzione di una delle parti, il cancelliere la iscrive sul ruolo generale (= registro sul quale vengono annotati i processi) e forma il fascicolo d’ufficio destinato a comprendere gli atti, i documenti, i verbali e i provvedimenti relativi a quella determinata causa (art.168), il quale verrà poi presentato al presidente del tribunale per la nomina del giudice istruttore o per l’assegnazione alla sezione (art.168bis: lo scopo è di accelerare l’investitura del giudice e di consentirgli di tenere fruttuosamente la prima udienza). Se nel giorno fissato il giudice istruttore non tiene l’udienza, la comparizione delle parti è d’ufficio rimandata all’udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato (art.168bis co.4); inoltre, il giudice può differire, con decreto da emettere entro 5 giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino ad un massimo di 45 giorni e, in tal caso, il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza (co.5)  lo scopo è di garantire al giudice di non tenere una prima udienza a vuoto per l’accumulo con altre cause. L’onere di preservare l’ordine dei fascicoli delle parti (= costituisce la costituzione delle parti e viene depositato in cancelleria) spetta al cancelliere (art.74disp.att.), con un ruolo attivo delle parti e difensori, i quali devono gestire in maniera logica ed ordinata gli atti e i documenti ivi contenuti. La ritardata e la mancata costituzione delle parti: la contumacia Esigenza primaria per l’organizzazione di un processo concentrato è che la cadenza degli atti delle parti sia rigorosamente stabilita; in particolare, è obbligo per l’attore di costituirsi in limine litis, rendendo così consultabili per il convenuto la sua procura e i documenti che egli offre in comunicazione (art.163; in caso di ricorso, ciò avviene tramite la coincidenza tra la proposizione della domanda e la costituzione dell’attore, che avviene con il deposito dell’atto introduttivo in cancelleria). Per quanto riguarda il giudizio ordinario, a norma dell’art.171co.2, se una delle parti si è costituita entro il termine assegnato, l’altra può costituirsi successivamente fino alla prima udienza; tuttavia, il legislatore ha alterato la parità tra armi, stabilendo che in tal caso restano ferme per il convenuto le decadenze dell’art.167  il convenuto, se non vuole incorrere nella decadenza dalla domanda riconvenzionale, dalle eccezioni in senso stretto e dalla chiamata di terzi, deve costituirsi entro 20 giorni dalla prima udienza, anche quando l’attore non si sia ancora costituito e quindi senza conoscere i documenti da lui offerti, articolando cioè la sua difesa sulla base della mera lettura dell’atto di citazione; in ogni caso, la costituzione del convenuto salva il termine per l’attore, il quale può costituirsi, senza conseguenze negative, sino alla prima udienza. Nel caso in cui, invece, nessuna delle parti si costituisce nei termini stabiliti, il processo entra in uno stato di quiescenza e può essere riassunto entro 3 mesi dalla scadenza del termine stabilito per la costituzione del convenuto, altrimenti si estingue (art.171co.1); se, viceversa, una sola parte si è costituita in termini, l’altra parte, che non si costituisca neppure alla prima udienza, è dichiarata contumace (art.290) con ordinanza del giudice istruttore (art.171co.3; se viene rilevato un vizio che importi la nullità della notificazione dell’atto di costituzione, il giudice fissa all’attore un termine perentorio per rinnovarla, art.291). Dichiarata la contumacia, il relativo processo si svolge secondo le regole normali, non essendosi data rilevanza alla contumacia come elemento di per sé determinante ai fini dell’accoglimento della domanda dell’attore (= è un comportamento neutro, frutto di una libera scelta della parte); in questa prospettiva, il legislatore, tuttavia, ha ritenuto necessario rafforzare la garanzia del contraddittorio prevedendo che la parte contumace debba essere informata di una serie determinata di atti processuali, gravidi di conseguenze rilevanti, nonostante l’atteggiamento di disinteresse dimostrato per il processo  devono essere personalmente notificate al contumace: a. L’ordinanza che ammette l’interrogatorio formale o il giuramento in considerazione degli effetti della mancata risposta al primo e della mancata prestazione del secondo (art.292). b. L’ordinanza che dispone l’ispezione sulla persona del contumace o di cose in suo possesso, in considerazione degli argomenti di prova che possono essere tratti a suo danno dal rifiuto di eseguire l’ordine (art.118). c. L’ordinanza che dispone l’esibizione di un documento o di una cosa in possesso della parte contumace (art.95disp.att. in relazione all’art.210c.p.c.). d. Il verbale in cui si dà atto della produzione della scrittura privata non indicata in atti notificati in precedenza al fine di consentirne il tempestivo disconoscimento e le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte (art.292co.1). e. Le sentenze (art.292co.4). Le altre comparse si considerano comunicate con il deposito in cancelleria e l’apposizione del visto del cancelliere sull’originale; tuttavia, è salva la possibilità di una costituzione tardiva, anche oltre la prima udienza, quando l’altra parte si sia tempestivamente costituita: per il convenuto restano ferme le decadenze richiamate nell’art.171co.2, mentre l’attore non potrà in alcun modo integrare la deduzione dei fatti costitutivi del diritto e la formulazione delle domande contenuta nell’atto di citazione, anche se il convenuto potrà chiedere la rimessione in termini se dimostra che la nullità della citazione/notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione è stata impedita da causa a lui non imputabile; in tal caso, la rimessione è ordinata dal giudice con ordinanza, dopo aver ammesso la prova dell’impedimento, sempre che ritenga verosimili i fatti allegati (art.294). SEZIONE III: LA FASE ISTRUTTORIA La prima udienza di comparizione L’art.180 si limita oggi a riportare le regole generali dell’oralità della trattazione e della necessaria redazione di un processo verbale che documenti i tempi e le attività della causa; in tal proposito, la l.534/1995 aveva introdotto una necessaria dissociazione tra la prima udienza (destinata alla prima comparizione) e l’udienza di trattazione vera e propria al fine di riequilibrare la posizione dell’attore e convenuto ed introdurre nel processo a preclusioni un ordine di svolgimento che garantisse la separazione della fase introduttiva destinata alla mera preparazione del giudizio, dalla fase di trattazione del merito  questa scissione è oggi venuta meno per effetto della l.80/2005, che ha ridotto l’art.180 (ex. è stata soppressa la possibilità di uno scambio di atti difensivi tra le parti autorizzati dal giudice), riscrivendo l’art.183. L’art.183 ha previsto una sola udienza di prima comparizione delle parti e trattazione della causa, fungendo dunque da prima udienza, cioè quella fissata nell’atto di citazione e costituisce anche il termine ultimo per la costituzione tempestiva di una parte, se l’altra si è costituita nel termine a lei assegnato; tuttavia, è rimasto salvo l’ordine logico di questa prima udienza: innanzitutto ci sarà una verifica di carattere processuale sulla regolare e corretta instaurazione del giudizio e, successivamente, la trattazione della causa nel merito: - Il giudice deve provvedere alla verifica d’ufficio della regolarità del contraddittorio e, eventualmente, all’emanazione dei provvedimenti per l’integrazione del contraddittorio in caso di litisconsorzio necessario (art.102), in caso di sanatoria della citazione, della domanda riconvenzionale e per la sanatoria dei difetti di rappresentanza/assistenza/autorizzazione e dei vizi della notificazione della citazione (co.1). - Quando si pronuncia sui provvedimenti del co.1, il giudice fissa una nuova udienza di trattazione (co.2) che fungerà anche come una nuova prima comparizione delle parti, ove sarà necessario verificare nuovamente la correttezza processuale del giudizio. Una volta esauriti gli adempimenti preliminari, il giudizio entra nel vivo con la previsione di una trattazione destinata al chiarimento delle allegazioni delle parti, tramite il loro interrogatorio, nonché alla precisazione ed eventuale modificazione delle domande/eccezioni/conclusioni. Sanatoria del difetto di rappresentanza, assistenza e autorizzazione e dei vizi della procura del difensore Ai sensi dell’art.182co.1, il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi; perciò, qualora rilevasse un difetto di rappresentanza/assistenza/autorizzazione o un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni o della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. In questo contesto, si registra un’estensione dell’ambito di operatività della norma in relazione alla tipologia dei vizi concretamente sanabili, anche se ci si dovrebbe domandare se al giudice competa il potere-dovere di assegnare alla parte un termine per ovviare a vizi unicamente di nullità della procura o eventualmente anche all’ipotesi di un difetto radicale e così di inesistenza della stessa: infatti, il co.2 afferma che il giudice assegna un termine per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa, dandogli così un ruolo più attivo del giudice rafforzando anche le modalità di operatività della sanatoria stessa. Interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione Il legislatore delle ultime riforme ha escluso l’obbligatorietà dell’interrogatorio libero delle parti; in termini pratici, tuttavia, si tratta di una modifica apprezzabile per già in linea astratta l’interrogatorio libero poteva risolversi in un adempimento non funzionale alla trattazione della lite e perché, nella concreta prassi applicativa, tale interrogatorio si traduceva in una mera formalità  il co.3 ha dunque previsto che l’interrogatorio libero continui ad avere luogo nell’ipotesi in cui le parti presentino un’istanza congiunta in tal senso al giudice istruttore, favorendo il contatto tra giudice e parti nelle ipotesi in cui queste ultime ritengano concretamente percorribile la strada del dialogo. decisione della terza via), una nullità rilevabile d’ufficio per violazione diretta dei principi della Costituzione. In realtà, il legislatore non ha preso una posizione precisa in merito alla collocazione degli adempimenti previsti dalla nuova disposizione e spetta quindi all’interprete ricostruire in quali ipotesi e in quale momento del processo il giudice deve procedere all’assegnazione di un termine alle parti per interloquire sopra questioni rilevabili d’ufficio; in secondo luogo, la disposizione è di difficile coordinamento con il contenuto dell’art.183co.4c.p.c. che prevede per il giudice il dovere generale di segnalare alle parti, all’inizio della fase di trattazione e prima della concessione dei termini per lo scambio delle memorie ex.art.183co.6, le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione (in caso di omissione, la parte dovrà ritenersi legittimata a chiedere/ ottenere un provvedimento di rimessione in termini per poter esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa)  si prevede oggi la possibilità di procedere all’attivazione di un meccanismo tendenzialmente agile con la concessione di un breve termine alle parti per poter discutere con il giudice in merito alle scelte da compiere per la prosecuzione del processo prima che queste vengano eventualmente adottate. In sintesi, ove il giudice nella fase strettamente decisoria rilevi una questione rilevabile d’ufficio non assoggettata al contraddittorio delle parti sia idonea a incidere sulla decisione sulla lite, dovrà provocare il contraddittorio delle parti raccogliendo le relative osservazioni, in modo da accertare concretamente le modalità più idonee e auspicabilmente più rapide per sanare il vizio del contraddittorio. L’intervento volontario La disciplina della fase introduttiva si conclude con la normativa concernente l’intervento volontario e l’intervento coatto: il primo è disciplinato dall’art.105c.p.c. che ammette che possano spontaneamente intervenire nel processo diverse categorie di terzi: 1. Intervento principale = il terzo fa valere un proprio diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto in giudizio nei confronti di entrambe le parti; in questo caso, il terzo deduce in giudizio una situazione soggettiva propria, autonoma rispetto a quelle già dedotte dalle altre parti e con esse incompatibile (= è un mezzo facoltativo a disposizione del terzo che fa introdurre una nuova lite, ponendo ognuna delle parti in posizione antagonista con le altre e dà luogo ad un processo regolato dagli stessi principi che valgono per lo svolgimento del processo con litisconsorzio necessario)  non è proponibile oltre ai termini stabiliti per la costituzione del convenuto. 2. Litisconsorzio necessario (intervento litisconsortile o adesivo autonomo) = il terzo fa valere un proprio diritto sempre relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto in giudizio, ma nei confronti di alcune parti soltanto (art.105co.1); le ragioni che stanno alla base di questo tipo di intervento sono da rinvenirsi nella connessione tra la situazione sostanziale del terzo e quella già oggetto del giudizio, perché, in questo caso, la partecipazione del terzo al giudizio dà luogo ad un litisconsorzio facoltativo successivo (art.103, le cause potranno essere separate al ricorrere delle condizioni previste dalla norma, ex. istanza di tutte le parti)  non è proponibile oltre ai termini stabiliti per la costituzione del convenuto. 3. Intervento del co-legittimato = ipotesi in cui un terzo proponga nel processo la medesima domanda già proposta da una delle parti; in questa ipotesi l’intervento del terzo dà luogo ad un litisconsorzio che diventa necessario a seguito dell’intervento (litisconsorzio unitario)  è proponibile fin quando non siano state precisate le conclusioni. 4. Intervento adesivo dipendente = l’art.105co.2 contempla l’ipotesi del terzo che interviene nel giudizio limitandosi a sostenere le ragioni di alcuna delle parti, qualora vi abbia un interesse riconosciuto meritevole di tutela dall’ordinamento (= situazione soggettiva dipendente)  diventa necessario perché se il terzo non intervenisse nel processo, sarebbe comunque soggetto all’efficacia riflessa della sentenza, avverso la quale potrebbe esperire opposizione di terzo revocatoria ex.art.404co.2c.p.c.  è proponibile fin quando non siano state precisate le conclusioni. In tutti questi casi, il terzo, per intervenire, deve costituirsi presentando in udienza o depositando in cancelleria una comparsa formata a norma dell’art.167 con le copie per le altre parti, i documenti e la procura; dopo di che, il cancelliere darà notizia dell’intervento alle altre parti se la costituzione non è avvenuta in udienza (art.267co.2). L’art.268 dispone poi che l’intervento può aver luogo sino a che non vengono precisate le conclusioni e il terzo non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte, ad eccezione che il terzo compaia volontariamente per l’integrazione necessaria del contraddittorio (la modificazione delle domande/eccezioni/conclusioni già formulate sarà consentita anche al terzo qualora le abbia tempestivamente proposte e solo in tal caso potrà chiedere la fissazione di un termine per la precisazione/modificazione delle domande ed eccezioni già proposte e per replicare alle domande/eccezioni dell’attore). La chiamata di un terzo in causa e la costituzione del terzo chiamato La partecipazione al giudizio di un terzo soggetto può essere provocata da una chiamata del terzo da parte del giudice oppure ad opera di una delle parti: - Un ordine di chiamata da parte del giudice può essere dovuto anche alla necessità del litisconsorzio che trova fondamento della domanda originaria; in tal caso, il giudice è tenuto ad emanare un ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario assente (art.102co.2), a seguito del quale la parte più diligente deve provvedere in concreto alla citazione del terzo in giudizio. Da quest’ipotesi deve distinguersi l’intervento del terzo per ordine del giudice, istituto che trova le proprie ragioni nella valutazione, da parte del giudice, di una comunanza della lite con la posizione soggettiva del terzo e nell’opportunità della realizzazione del simultaneus processus anche nei confronti del terzo (art.107); in tal caso, l’ordine del giudice è rivolto alle parti, le quali dovranno provvedere a citare il terzo in giudizio, a pena della cancellazione della causa dal ruolo (art.270co.2). - L’intervento su istanza di parte è ammesso quando una delle parti originarie del processo intende ampliare il contraddittorio citando in giudizio un terzo al quale ritiene comune la causa (ex. il terzo si afferma il vero titolare del diritto in contesa) o dal quale pretende essere garantita (= chiamata in garanzia) (art.106); in questi casi, la parte interessata provvede mediante citazione a comparire nell’udienza fissata dal giudice istruttore osservati i termini dell’art.163bis (art.269co.1). Il convenuto, che intende chiamare un terzo in causa, deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto del termine ordinario a comparire (il giudice, entro 5 giorni, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza); tuttavia, la norma disciplina distintamente l’ipotesi che a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, sia sorto l’interesse dell’attore a chiamare in causa un terzo: in tal caso, l’attore deve chiedere, nella prima udienza, l’autorizzazione al giudice istruttore per la chiamata del terzo a pena di decadenza. La parte che chiama in causa il terzo deve depositare la citazione notificata entro il termine previsto dall’art.165, ossia entro il termine di 10 giorni dalla notificazione della citazione stessa; tale termine è ordinatorio, ma la sua inosservanza non è causa di improcedibilità della domanda proposta nei confronti del terzo, né di estinzione del processo e non incide neanche sulla validità e regolarità del processo. A norma poi dell’art.166, il terzo deve costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza fissata dal giudice istruttore ed indicata nell’atto di citazione (art.269co.4), proponendo tutte le sue difese ed indicando i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulando anche le conclusioni  qualora intenda chiamare poi a sua volta in causa un terzo (rapporto a catena), deve fare dichiarazione di questa sua volontà, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta ed essere poi autorizzato dal giudice ai sensi dell’art.269co.3. Per quello che riguarda la difesa delle parti originarie di fronte alle domande o alle eccezioni del terzo chiamato, il legislatore stabilisce anzitutto che nell’ipotesi prevista dal co.3 (ipotesi di chiamata del terzo ad istanza dell’attore), restano ferme per le parti le preclusioni ricollegate alla prima udienza di trattazione (= la chiamata del terzo non costituisce motivo di rimessioni in termini per le attività già precluse nel rapporto tra le parti originarie); tuttavia, i termini eventuali ex.art.183co.6 sono fissati dal giudice istruttore nell’udienza di comparizione del terzo (art.269co.5). Il litisconsorzio Si parla di litisconsorzio originario, attivo o passivo o misto, a seconda che più siano gli attori, i convenuti, o entrambi; sotto questa denominazione il codice regola peraltro due istituti profondamente diversi e uno unitario: a. Litisconsorzio necessario (art.102) = si verifica quando la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, le quali devono agire o essere convenute nello stesso processo (ex. sia dedotto o debba essere dedotto in giudizio un rapporto giuridico unico tra più parti, come ad esempio un contratto plurilaterale; azione surrogatoria del terzo; il creditore si oppone alla divisione); inoltre, il litisconsorte necessario pretermesso potrà proporre opposizione di terzo ordinaria contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva (art.404). b. Litisconsorzio facoltativo (art.103) = si verifica quando le parti agiscono o sono convenute nello stesso processo per più cause tra loro connesse; è proprio qualora, fra le domande cumulate nello stesso processo, sussista un rapporto di connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, mentre è improprio quando la decisione di due o più domande dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni. Quando è originario, infine, il giudice può disporre la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte le parti oppure quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e poi rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza (co.2) c. Litisconsorzio unitario = si verifica in tutte quelle ipotesi in cui rapporto giuridico posto a fondamento dell’azione sia plurilaterale e la partecipazione di più soggetti alla lite sia originariamente facoltativa, ma, una volta avvenuta, dia luogo ad un processo inscindibile, dovendo i rapporti in contestazione essere decisi congiuntamente e non essendo le posizioni tra le parti scorporabili (ex. casi di intervento volontario principale). La trattazione della causa Conclusa la trattazione con la definizione dei fatti principali poste alla base delle domande e delle eccezioni delle parti, possono presentarsi al giudice istruttore diverse eventualità: anzitutto, è opportuno ricordare che elemento del principio della domanda è l’onere dell’allegazione (= onere dell’attore di dedurre i fatti costitutivi e del convenuto di dedurre quelli impeditivi, modificativi ed estintivi della situazione sostanziale oggetto del giudizio, oltre a quelle altre circostanze che non integrano direttamente il diritto e la pretesa fatta valere in giudizio, ma dalle quali può comunque desumersi l’esistenza o inesistenza dei fatti principali, artt.92 e 112); inoltre, nel processo opera, solo nella fase finale del giudizio, la regola di giudizio dell’onere della prova (= ripartizione tra l’attore e il convenuto del rischio della mancata prova); infine, il giudice è tenuto a porre a base sorgono nel corso della stessa (art.205) e le parti possono assistere personalmente all’assunzione dei mezzi di prova (art.206) dei quali si dovrà redigere processo verbale, che riporti le dichiarazioni delle parti e dei testimoni (art.207). In caso di diserzione (= mancata presenza) bilaterale dell’udienza destinata all’assunzione delle prove, dovrà essere considerata alla stregua della mancata comparizione di entrambe le parti a una qualunque udienza davanti al giudice istruttore, con il conseguente rinvio d’ufficio ad altra udienza, la cui data verrà comunicata alle parti a mezzo di biglietto di cancelleria; qualora, invece, non si presenti la parte su istanza della quale deve iniziarsi o proseguirsi la prova (= quella che ha chiesto l’ammissione), il giudice istruttore la dichiara decaduta dal diritto di farla assumere, salvo che l’altra parte presente non richieda l’assunzione, in virtù del principio di acquisizione processuale (= principio secondo cui una volta dedotte, le prove sono comuni alle parti e la rinuncia di una di esse non è sufficiente per escluderle dal processo), senza contare che la parte interessata può chiedere nell’udienza successiva al giudice la revoca dell’ordinanza che ha pronunciato la sua decadenza dal diritto di assumere la prova (sempre con ordinanza qualora la causa non sia imputabile al soggetto, art.208co.2). Infine, il giudice istruttore dichiara chiusa l’assunzione quando sono eseguiti i mezzi ammessi o quando, dichiarata la decadenza, non vi sono altri mezzi da assumere, oppure quando egli ravvisa superflua l’ulteriore assunzione (art.209). La consulenza tecnica La consulenza tecnica rappresenta lo strumento del quale il giudice decide di avvalersi ogniqualvolta la causa presenti aspetti e questioni che necessitano particolari conoscenze/cognizioni tecniche, oppure laddove le questioni di fatto richiedano un approfondimento per il quale lo stesso giudice potrebbe riconoscersi non adeguatamente preparato; in questo caso, il consulente tecnico ha il compito di fornire, sia in udienza che in camera di consiglio, eventuali chiarimenti che lo stesso organo giudicante gli richiede. In questo contesto fondamentale è stata la l.69/2009 perché ha innovato la disciplina sotto molti profili: a. Ha precisato che, in linea generale, il giudice istruttore deve nominare il consulente tecnico con ordinanza (ex. art.183co.7) che provvede globalmente sulle richieste istruttorie, o con altra successiva, la quale deve precisare, oltre alla nomina del consulente tecnico e alla fissazione dell’udienza di comparizione, anche i quesiti che verranno sottoposti al consulente. b. Il consulente tecnico svolge le operazioni peritali redigendo processo verbale qualora queste vengano compiute con l’intervento del giudice istruttore, altrimenti si da conto dei risultati delle indagini mediante la redazione di una relazione scritta (art.195, in virtù di esigenze di semplificazione del procedimento). c. Con ordinanza, il giudice è chiamato a compiere una serie di specifiche attività: fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente tecnico le proprie osservazioni sulla relazione; fissa il termine entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria oltre che la sua relazione, anche le osservazioni delle parti ed una sua personale sintetica valutazione delle stesse osservazioni. d. La vigilanza da intraprendersi sull’attribuzione degli incarichi è demandata al Presidente del Tribunale, chiamato a verificare che a nessuno dei consulenti tecnici iscritti nelle apposite liste venga conferito più del 10% degli incarichi globalmente conferiti dall’ufficio e a garantire un’adeguata trasparenza nell’assegnazione della consulenza. La testimonianza scritta L’introduzione della testimonianza scritta con la riforma del 2009 è volta nei propositi del legislatore ad attenuare il principio di oralità in nome della celerità del processo; infatti, la ragione dell’innovazione risiede nell’intento di eliminare il procedimento necessario all’assunzione delle prove, richiedendo unicamente il deposito di una prova precostituita (= documento contenente le dichiarazioni del teste). In questo contesto, l’art.257bis conferisce al giudice il potere di assegnare un termine alla persona indicata come testimone per rispondere per iscritto le domande sulle quali deve essere interrogato; tuttavia, 2 sono le condizioni concorrenti perché questo procedimento possa trovare applicazione: 1. Affinché possa avere ingresso la testimonianza scritta, deve sussistere l’accordo di tutte le parti opposte in causa (= in ipotesi di litisconsorzio dovrà essere necessario il consenso anche di eventuali terzi intervenuti o chiamati). 2. Attraverso una clausola generale, il legislatore ha escluso che sia sufficiente il consenso delle parti per dare ingresso alla testimonianza nella forma scritta; infatti, l’art.257bis co.1 prevede che il giudice sia comunque tenuto a decidere, tenendo conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, se escludere o meno le forme tradizionali per l’audizione dei testi. Il procedimento per la formazione della testimonianza scritta è disciplinato dei successivi commi del’art.257bis: l’organo giudicante dispone che la parte richiedente provveda alla compilazione di un modello di atto contenente i capitoli di prova ammessi in giudizio e provvede alla relativa notificazione al teste, il quale sarà tenuto in autonomia a provvedere alla compilazione del modello rispondendo alle domande ivi contenute e a far pervenire il modulo compilato presso la cancelleria entro il termine assegnato dal giudice, pena la possibilità di incorrere nelle sanzioni di carattere economico di cui all’art.255co.1. In ogni caso, occorre tenere conto che l’ultimo comma dell’art.257bis ha salvaguardato la possibilità per il giudice di procedere direttamente alla formazione della testimonianza, anche qualora questa sia stata inizialmente ammessa in forma scritta. Le ordinanze Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento, fissando le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali, e assume tutti i suoi provvedimenti, salvo che la legge disponga altrimenti, in forma di ordinanza, che può essere pronunciata sia in udienza che fuori (artt.175-176), ma che non possono mai pregiudicare la decisione della causa (art.177co.1), ma possono sempre essere modificate/revocate dal giudice che le ha pronunciate (art.177co.2)  questo principio prevede alcune eccezioni, poiché non sono modificabili né revocabili dal giudice che le ha pronunciate: 1. Le ordinanze pronunciate sull’accordo delle parti, le quali hanno facoltà di stipulare accordi sullo svolgimento della causa o sull’ammissione dei mezzi di prova, ma a condizione che essi non confliggono con norme perentorie (ex. quelle sulle preclusioni). 2. Le ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge (ex. quella che pronuncia sull’istanza di ricusazione del giudice ex.art.53co.2). 3. Le ordinanze per le quali la legge predisponga uno speciale mezzo di reclamo o altro mezzo di impugnazione (ex. quelle che pronunciano sulla competenza). 4. Le ordinanze sull’ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova (sono soltanto modificabili o revocabili dal giudice che le ha emesse). Nei processi a decisione collegiale, il collegio dispone di un potere generale di controllo sulle ordinanze, perché le parti, senza bisogno di mezzi di impugnazione, possono proporre al collegio tutte le questioni risolute dal giudice istruttore con ordinanza revocabile (art.178co.1). L’ordinanza di pagamento delle somme non contestate L’ordinanza per il pagamento di somme non contestate è un provvedimento che richiama l’istituto presente nel processo del lavoro all’art.423: su istanza di parte, il giudice istruttore può disporre, fino al momento della precisazione delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite (art.186bis co.1); dunque, il provvedimento può essere emesso soltanto nei confronti delle parti costituite, e non nei confronti delle parti contumaci (= la contumacia mantiene un significato neutro, anche ai fini di una tutela provvisoria in pendenza di giudizio)  l’ordinanza può essere pronunciata dopo la prima udienza, mentre per il termine finale non può pronunciarsi oltre il momento nel quale le parti hanno precisato le conclusioni da sottoporre al collegio, o al giudice unico, per la decisione. Sulla richiesta di ordinanza deve necessariamente esplicarsi il contraddittorio e perciò, essa non può essere emanata durante la sospensione o l’interruzione del processo; inoltre, l’ordinanza può avere per oggetto soltanto il pagamento di somme e non anche l’adempimento di ogni altra obbligazione  per non contestazione s’intende quel comportamento processuale, che si evince dal complesso sistema di argomentazioni. L’ordinanza, tuttavia, non preclude al giudice la possibilità di tornare a decidere nuovamente sul suo contenuto (= non riduce definitivamente l’oggetto della causa, così come invece avverrebbe in altre ipotesi di non contestazione del diritto, ex. nel processo del lavoro); infatti, essa è soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli artt.177co.1-2 e 178co.1  l’ordinanza non solo costituisce titolo esecutivo, ma conserva la sua efficacia in caso di estinzione del processo (art.186bis co.2); in ogni caso, finché non sia revocata, la non contestazione equivale sostanzialmente al riconoscimento della domanda, ammesso in altri ordinamenti. L’ordinanza di ingiunzione L’art.186ter disciplina uno speciale provvedimento di ingiunzione (= un ordine di pagamento o di consegna): a. Presupposti = il provvedimento può essere richiesto, nel corso di un giudizio ordinario di cognizione, quando l’attore: abbia proposto domanda di condanna; si affermi creditore di una somma di denaro di una determinata quantità di cose fungibili, o avente diritto alla consegna di una cosa mobile determinata; abbia dato prova scritta. Tale provvedimento può essere chiesto anche se il diritto dipende da una controprestazione o da una condizione, purché l’istante offra elementi atti a far presumere l’adempimento della controprestazione o l’avveramento della condizione (art.633co.2). La parte può chiedere al giudice istruttore, in ogni stato del processo, ma fino al momento della precisazione delle conclusioni, di pronunciare con ordinanza ingiunzione di pagamento o di consegna (art.186ter co.1); tuttavia, se l’istanza è proposta fuori dall’udienza, il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per la notificazione. b. Contenuto = l’ordinanza deve contenere i provvedimenti previsti dall’art.641 (= liquidazione delle spese e delle competenze e la relativa ingiunzione di pagamento) e può essere dichiarata provvisoriamente esecutiva quando: ricorrano i presupposti di cui all’art.642 (= il credito sia fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, o su atto ricevuto dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, oppure vi sia pericolo di grave pregiudizio nel ritardo o il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore comprovante il diritto fatto valere); la controparte non sia rimasta contumace se ricorrano i presupposti di cui all’art.648co.1 (= la resistenza della controparte non è fondata su prova scritta/pronta soluzione)  l’art.186ter co.2 precisa che la esecutorietà non può mai essere disposta ove la controparte abbia 1. Sia proposto regolamento di giurisdizione, salvo che il giudice ritenga l’istanza manifestamente inammissibile/infondata. 2. Sia stato proposto il regolamento di competenza ad istanza di parte (artt.42-43) e d’ufficio (art.45). 3. Sia stata accolta l’istanza di ricusazione del giudice (art.52). 4. Avverso la medesima sentenza siano state proposte al contempo revocazione e ricorso per cassazione, per la quale si prevede che il giudice della revocazione, su istanza di parte, qualora ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta, possa sospendere il giudizio di cassazione fino alla sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione (art.398co.4). 5. Gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, proposta da una delle parti o sollevate d’ufficio, che il giudice ritenga rilevante per la definizione della causa e non manifestamente infondata; in tal caso, la trasmissione è disposta dal giudice con ordinanza, con la quale sospende il giudizio in corso). 6. Il giudice rimette alla Corte di giustizia dell’UE la decisione, in via pregiudiziale, delle questioni relative all’interpretazione dei trattati o alla validità o all’interpretazione degli atti delle istituzioni europee. d. Sospensione facoltativa (art.337co.2) = quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata: qualora la sentenza resa nella causa pregiudiziale sia stata impugnata e il processo penda in grado di appello, il giudizio dipendente non deve di necessità essere sospeso, ma può esserlo se il giudice del 2° non intenda riconoscere l’autorità dell’altra decisione  gli effetti della sospensione sono duplici: da un lato vige il divieto di compiere atti del procedimento (ad eccezione dei provvedimenti cautelari ed urgenti), mentre dall’altro vi è l’interruzione dei termini processuali in corso, che ricominciano a decorrere dal giorno della nuova udienza, fissata appositamente per la prosecuzione del processo (art.298). L’interruzione del processo L’interruzione (artt.299-305) opera in maniera diversa a seconda che l’evento riguardi la parte, costituita per il tramite del difensore, oppure il difensore; in via preliminare, l’interruzione del processo consiste in un arresto temporaneo del giudizio in attesa di una sua possibile ripresa, ma la ratio di questo istituto è del tutto differente rispetto a quella che soggiace alla sospensione: tale disciplina mira ad assicurare l’attuazione del principio del contraddittorio tra le parti e costituisce dunque una garanzia fondamentale del diritto costituzionale alla difesa  le fattispecie interruttive sono qualificate dalla sopravvenienza di una situazione potenzialmente lesiva della piena esplicazione del contraddittorio, quale: a. Morte o perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale (anche scioglimento di un ente con devoluzione del patrimonio ad altre persone giuridiche ex.art.32c.c., o la scissione per la società, art.2506c.c.). b. Cessazione della rappresentanza. c. Morte, radiazione o sospensione del procuratore (arttt.299-301). Qualora uno di questi eventi si verifichi, occorre consentire il ristabilimento del contraddittorio e ciò può avvenire mediante la costituzione, o la chiamata in giudizio del successore, o della parte divenuta capace, o viceversa del tutore dell’incapace, o mediante la nomina di un nuovo difensore  qualora l’evento interruttivo che colpisce la parte sopravviene prima della costituzione in cancelleria o all’udienza davanti al giudice istruttore, il processo è interrotto, salvo che coloro ai quali spetta di proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione osservati i termini di cui all’art.163bis; se, invece, le cause di interruzione che concernono la parte si avverano nei confronti di un soggetto già costituito a mezzo di procuratore, resta a questi il potere monopolistico di dichiarare l’evento in udienza o di notificarlo alle parti (art.300co.1) e ciò determina l’interruzione del processo, salva la costituzione volontaria o la riassunzione che in tal caso comporta la prosecuzione del processo in nome della parte originaria e per conto della medesima o di chi subentra ad essa. Se questa situazione riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall’altra parte, o è notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all’art.292 che devono essere direttamente notificati al contumace. L’evento non produce effetto quando si avvera o è notificato dopo la chiusura della discussione (art.300co.4), mentre se l’evento colpisce il procuratore, il processo immediatamente interrotto e si applica la disposizione dell’art.299 (art.301). Se la prosecuzione volontaria non avviene, l’altra parte può chiedere la fissazione dell’udienza, mediante ricorso da notificare unitamente al decreto di fissazione dell’udienza stessa, a coloro che devono costituirsi per proseguirlo (art.303); in ogni caso, il processo deve essere proseguito o riassunto nel termine perentorio di 3 mesi, che decorre dalla conoscenza che la parte abbia avuto dell’interruzione stessa (art.305). La cancellazione della causa dal ruolo e l’estinzione del processo L’estinzione del processo costituisce una forma anomala di chiusura anticipata dello stesso rispetto al suo naturale epilogo, e l’ordinamento prevede 2 distinte cause in grado di provocare l’estinzione del processo: la rinuncia agli atti e l’inattività delle parti: a. Rinuncia agli atti del giudizio = la rinuncia, che costituisce un atto di parte o di suo procuratore speciale, deve avere ad oggetto gli atti del giudizio (la domanda e tutti gli atti successivi) e per essere efficace, deve di regola essere accettata, personalmente o per mezzo di procuratore speciale, dalle parti costituite che potrebbero avere interesse nella prosecuzione; in tal caso, l’estinzione è dichiarata con ordinanza, e il giudice istruttore deve anche liquidare con ordinanza non impugnabile le spese dovute dal rinunciante alle altre parti (art.306co.4). b. Inattività delle parti = si intende l’omissione di un atto di impulso processuale, che costituisce l’esercizio di un potere-onere della parte (art.307); diverse sono le ipotesi: la contumacia dell’attore; la mancata costituzione del convenuto (salvo eventuali nullità della notificazione); la mancata costituzione di tutte le parti nei termini stabiliti (= il processo rimane quiescente e dev’essere riassunto davanti allo stesso giudice entro 3 mesi); la cancellazione della causa dal ruolo; la mancata comparizione delle parti all’udienza (se alla prima, art.181co.1; prima di pronunciare l’ordinanza di cancellazione, il giudice dovrà verificare che la mancata comparizione delle parti non possa essere imputata una irregolarità dell’ufficio, perché in questo caso il giudice dovrà rinviare la causa ad altra udienza). Contro l’ordinanza di cancellazione, le parti potranno reagire sia con la riassunzione del processo (entro 3 mesi), sia resistendo all’eccezione di estinzione, fondata sul decorso di 3 mesi da quel provvedimento; conseguentemente, l’ordinanza è soggetta a reclamo (artt.308co.1 e 178co.2) quando sia emanata dal giudice istruttore che non operi in funzione del giudice unico, e quindi solo nel processo collegiale (= è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio), ma dev’essere proposto nel termine perentorio di 10 giorni, decorrente dalla pronuncia dell’ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla comunicazione dell’ordinanza medesima (= è presentato con una semplice dichiarazione nel verbale di udienza con ricorso al giudice istruttore)  una volta scaduti i termini, il collegio provvede entro i 15 giorni successivi (art.178co.5) in camera di consiglio con sentenza, se respinge il reclamo, e con ordinanza non impugnabile, se l’accoglie (art.308co.2). L’estinzione del processo non estingue l’azione pertanto non influisce sul diritto sostanziale dedotto in giudizio; inoltre, l’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza (le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate, art.310co.4). SEZIONE VI: LA FASE DECISORIA Terminata la fase di trattazione della controversia si apre la successiva e conclusiva fase di decisione; l’attuale disciplina normativa parte sostanzialmente dalla descrizione del rito per la rimessione della causa alla decisione collegiale (artt.187-190), per poi adeguarla alla diversa ipotesi della decisione da parte del giudice istruttore in funzione di giudice monocratico. L’art.187, sotto la rubrica provvedimenti del giudice istruttore, detta le condizioni in presenza delle quali deve rimettere le parti davanti al collegio; queste ipotesi di rimessione si verificano quando: 1. La causa si presenti matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di mezzi di prova (co.1) = la rimessione al collegio può essere disposta dal giudice istruttore anche nell’udienza destinata esclusivamente alla prima comparizione delle parti (= l’udienza). 2. Occorre decidere una questione di merito avente carattere preliminare che sia tale da poter definire il giudizio (co.2, ex. il convenuto solleva un’eccezione di prescrizione del diritto dell’attore che si palesi già ad una prima impressione fondata); tale norma si applica anche per la decisione sulle questioni relative all’intervento, quando il giudice non ritenga di deciderle insieme con il merito (art.272c.p.c.). 3. Il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali, ma può anche disporre che siano decise unitamente al merito (co.3) = nella scelta verrà in considerazione la probabile fondatezza della questione o la sua incertezza; in tale valutazione, il giudice dovrà anche tenere conto dell’eventuale istanza di una o entrambe le parti (ex. il giudice istruttore rimette le parti al collegio dopo che sia stata esaurita l’istruzione della causa, art.188). 4. Rimessione parziale (solo in determinate ipotesi, ex. è necessario decidere separatamente sulla querela di falso/verificazione di scrittura privata) = non investe il collegio della decisione dell’intera controversia, ma della sola questione avente ad oggetto la falsità del documento oggetto della querela o disconosciuto. 5. Contestazioni sorte tra le parti circa l’ammissione del giuramento decisorio (= una parte deferisce all’altra per farne dipendere la decisione totale/parziale della causa)  comporta la pronuncia di un’ordinanza e non di una sentenza. Qualora il collegio provveda a norma dell'art.279co.2, n.4, i termini di cui all'art.183co.8, non concessi prima della rimessione al collegio, sono assegnati dal giudice istruttore, su istanza di parte, nella prima udienza dinanzi a lui; inoltre, il collegio pronuncia ordinanza quando provvede soltanto su questioni relative all’istruzione della causa, senza definire il giudizio, ammettendo prove non ammesse dal giudice istruttore o rese necessarie dalle deduzioni del p.m. (= rimette la causa al giudice istruttore per l’integrazione dell’istruzione, artt.279co.1 e 280). Secondo l’art.50bis il tribunale giudica in formazione collegiale soltanto in una serie di giudizi: 1. Nelle cause nelle quali è obbligatorio l’intervento del p.m., salvo che sia diversamente disposto (art.70, ex. nelle cause che potrebbe egli stesso proporre o in quelle matrimoniali). 2. Nelle cause di opposizione, impugnazione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti e altre leggi speciali disciplinanti la liquidazione coatta amministrativa. 3. Nelle cause devolute alle sezioni specializzate. 4. Nelle cause di omologazione del concordato fallimentare e del concordato preventivo. 5. Nelle cause di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché nelle cause di responsabilità da chiunque promosse contro gli a. Può accadere che il collegio, dinanzi al quale la causa è stata rimessa alla decisione, rilevi che essa deve essere decisa dal giudice istruttore in funzione di giudice monocratico; in tal caso, rimette la causa dinanzi a quest’ultimo con ordinanza non impugnabile affinché provveda, quale giudice monocratico, alla decisione della controversia nelle forme proprie del rito davanti al tribunale in composizione monocratica (art.281septies)  l’investitura del giudice istruttore avrà luogo d’ufficio, come nei casi di rimessione in istruttoria; inoltre, l’ordinanza dovrà essere comunicata alle parti e il giudice istruttore dovrà comunque fissare un udienza per l’eventuale comparizione delle parti, nella quale, se una delle parti stesse lo richiederà (art.281quinquies), fisserà l’udienza di discussione orale senza disporre un nuovo scambio di comparse conclusionali. b. Il giudice, quando rileva che una causa, riservata per la decisione dinanzi a sé in funzione di giudice monocratico, deve essere decisa dal tribunale in composizione collegiale, provvede ai sensi degli artt.187-188-189 (art.281octies) = il giudice istruttore deve valutare se la causa debba essere immediatamente rimessa al collegio per la decisione di una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito, oppure trattenuta dinanzi a lui in fase istruttoria sino a quando non sia matura per la decisione del merito. c. Secondo l’art.50quater, le disposizioni di cui agli artt.50bis-ter non si considerano attinenti alla costituzione del giudice (alla nullità derivante dalla loro inosservanza si applica l’art.161co.1). d. In caso di connessione tra cause che devono essere decise dal tribunale in composizione collegiale e cause che devono essere decise dal tribunale in composizione monocratica, il giudice istruttore ne ordina la riunione e, all’esito dell’istruttoria, le rimette, norma dell’art.189, al collegio che si pronuncia su tutte le domande, a meno che disponga la separazione ai sensi dell’art.279co.5  il principio secondo cui il simultaneus processus deve condurre alla decisione collegiale e ad una decisione congiunta su tutte le domande vale di fronte ad un’ipotesi di connessione, soggettiva, suggestiva, semplice o qualificata: deve essere applicato quando il medesimo giudice istruttore sia stato investito delle varie cause connesse, quando pendono dinanzi a giudici diversi della stessa sezione o a sezioni diverse del medesimo tribunale o quando l’attore abbia congiuntamente proposto domande che rientrerebbero alcune le attribuzioni del giudice monocratico e altre nelle attribuzioni del collegio. e. In merito alla separazione, il collegio, valendosi della facoltà di cui agli artt.103co.2 e 104co.2, decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite, e con distinti provvedimenti dispone la separazione delle altre cause e le ulteriori istruzioni riguardo alle medesime, oppure dispone la rimessione al giudice inferiore delle cause di sua competenza (art.279co.2, n.5). I possibili oggetti della sentenza: la causa e le questioni La forma dei provvedimenti del collegio o del giudice monocratico quando la causa è rimessa ai sensi dell’art.187, è quello dell’ordinanza quando si provvede soltanto su questioni relative all’istruzione della causa; invece, il provvedimento che sia totalmente o parzialmente decisorio della causa deve avere la forma della sentenza. Un primo vincolo per l’oggetto della pronuncia giudiziale è costituito dalla causa, nel senso che il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre limiti di essa (art.112), applicando nella decisione le norme di diritto salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità  la domanda delimita l’oggetto del processo, sulla cui decisione si formerà la cosa giudicata sostanziale (art.2909c.c.). Le questioni costituiscono punti dubbi attinenti al processo o al merito, di fatto o di diritto, che il giudice deve conoscere e sui quali generalmente pronuncia incidenter tantum, ossia soltanto ai fini della decisione della causa  le decisioni su di esse non vengono coperte dal giudicato. Si riconnette alla nozione di questioni quella delle eccezioni, sia processuali (= punti dubbi la cui soluzione in senso positivo è idonea ad impedire una decisione sul merito della domanda) che di merito (= costituita da fatti impeditive, modificativi o estintivi del diritto fatto valere dall’attore); sotto altro profilo, si distinguono eccezioni in senso lato (= possono essere rilevate anche d’ufficio se risultano dagli atti del processo) ed eccezioni in senso stretto (= possono essere fatte valere soltanto dalla parte interessata), alle quali (entrambe) si estende l’obbligo di pronuncia del giudice che non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti. L’art.279co.2 impone al collegio e al giudice monocratico nelle cause a lui attribuite, di pronunciare sentenza nei seguenti casi: a. Quando definisce il giudizio, decidendo questioni di giurisdizione = tale pronuncia definisce il processo davanti a quel giudice, impedendo qualunque sua ulteriore attività processuale. b. Quando definisce il giudizio, decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito = le prime sono le questioni sugli impedimenti processuali di una decisione di merito (il giudice deve risolvere anzitutto le questioni sulla validità della domanda introduttiva nonché sulla regolarità del contraddittorio, poi su presupposti processuali e successivamente sulle condizioni dell’azione), mentre le seconde sono quelle che vertono su ostacoli di fatto e di diritto, il cui superamento è necessario per giungere alla cognizione del merito (ex. nullità del contratto)  l’effetto della decisione sarà diverso a seconda della questione accolta: 1. La sentenza che dichiara la nullità del procedimento per vizio della vocatio in ius non impedisce la riproposizione della domanda, ma gli atti compiuti nel processo nullo non conserveranno alcuna efficacia. 2. La definizione tradizionale dei presupposti processuali copre requisiti diversi, accomunati dal fatto che la loro mancanza impedisce la decisione sul merito da parte del giudice adito. 3. Gli effetti della sentenza che dichiara il difetto di giurisdizione, a cui consegue l’improponibilità della domanda in caso di difetto assoluto, saranno eccepiti sia dal giudice che ha pronunciato la sentenza sia da qualsiasi altro giudice, altrimenti sarà possibile la riproposizione della domanda davanti al giudice munito di giurisdizione. 4. L’ordinanza che dichiara l’incompetenza deve designare il giudice competente e il processo potrà così continuare dinanzi a lui. 5. Sarà rilevabile anche d’ufficio la mancanza delle condizioni dell’azione (interesse ad agire, legittimazione ad agire). c. Quando definisce il giudizio, decidendo totalmente il merito = ipotesi di conclusione del processo, nella quale il giudice pronuncia sul merito delle domande ed eccezioni delle parti che presuppone l’accertamento dell’esistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione, nonché della regolarità degli atti processuali. d. Le sentenze non definitive invece sono quelle che non chiudono il processo perché permettono la rimessione immediata in decisione. e. Qualora vi siano più cause cumulate e non tutte mature per la decisione, il giudice può decidere quelle che appaiono già sufficientemente istruite e disporre con distinti provvedimenti la separazione delle altre cause e l’ulteriore istruzione riguardo alle medesime (= rimessione al giudice inferiore delle cause di sua competenza). La tipologia delle sentenze di merito La sentenza di merito giudica sul rapporto giuridico o sul diritto oggettivo della domanda proposta dall’attore; da ciò, conseguiranno degli effetti diversi a seconda che la sentenza pronunciata abbia ad oggetto: a. Sentenza di accertamento = con tale pronuncia viene accertata e dichiarata l’esistenza di un diritto, di un rapporto giuridico di uno status personale; solo eccezionalmente oggetto della pronuncia di accertamento potrà essere un mero fatto giuridico (ex. sentenza che decide sulla verificazione della scrittura privata o sulla querela di falso)  l’effetto è quello di creare una situazione di certezza legale sul rapporto oggetto della pronuncia, che rimane stabilito tra le parti nei termini decisi dal giudice, rendendo improponibile qualunque ulteriore contestazione (= rimuove uno stato di incertezza obiettiva e attuale, determinato, nel rapporto fra le parti, dal vanto che il convenuto abbia compiuto un diritto verso l’attore, oppure dalla contestazione che abbia fatto del diritto della controparte). Secondo il comune orientamento, l’accertamento può avere contenuto positivo (= si accerta l’esistenza di un determinato diritto o status), o negativo (= si decide che un determinato diritto o rapporto giuridico è inesistente tra le parti). b. Sentenza di condanna = il giudice accerta la lesione di un diritto dell’attore, derivante da un inadempimento o da un illecito, il suo conseguente diritto ad una prestazione e ordina alla parte soccombente di adempiere la prestazione così determinata, assoggettando la parte stessa, in caso di mancato adempimento, alla sanzione esecutiva; in ciò si sostanza il principale tra gli effetti della sentenza di condanna, ovvero quello di costituire titolo esecutivo, rendendo possibile l’esecuzione forzata (ex. crediti di denaro o rilascio di beni immobili) a carico della parte soccombente (art.474). Oltre a costituire titolo esecutivo, la sentenza produce anche due ulteriori effetti di rilevante portata: è titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art.2818c.c.) e, quando sia passata in giudicato, prolunga il termine per la prescrizione del diritto alla prestazione, qualora esso fosse in origine è soggetto ad una prescrizione breve, sino ad elevarlo alla durata ordinaria di 10 anni (art.2953c.c.); infine, l’ordinamento ammette anche altre specie di condanne: 1. Condanna con riserva di eccezioni = è prevista espressamente nei casi di eccezione di compensazione avente ad oggetto un credito contestato e che ecceda la competenza per valore del giudice adito (art.35) e per la domanda riconvenzionale che ecceda la competenza del giudice adito e che sia contestata (art.36). 2. Condanna in futuro = è ammessa o come tutela speciale di determinati aventi diritto o come tutela giustificata da precedenti inadempimenti e in caso di inadempimento a una o più rate nelle obbligazioni con prestazioni periodiche. 3. Condanna condizionale = la legittimità di pronunce di tale contenuto è generalmente ammessa quando l’efficacia della condanna è subordinata al verificarsi di determinati eventi futuri e incerti o al sopravvenire di un termine o al preventivo adempimento di una controprestazione, in quanto con esse si accerta l’esistenza attuale dell’obbligo di conseguire una determinata prestazione e il condizionamento ugualmente attuale di tale obbligo al verificarsi di una circostanza ulteriore, il cui avveramento si presenta differito ed incerto. 4. Condanna a favore di terzi = sono pronunciate con deroga al principio della domanda, per ragioni che possono definirsi sociali. c. Sentenza costitutiva = costituisce, modifica, od estingue un rapporto giuridico, nei soli casi previsti dalla legge (art.2908c.c.); infatti, la preminenza dell’autonomia privata fa sì che gli effetti costitutivi si riportino normalmente all’esercizio di poteri di una delle parti, o dell’accordo delle parti stesse. d. Sentenza inibitoria = sentenze che proibiscono la continuazione o reiterazione di un comportamento illegittimo e impartiscono gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti (ex. tutela del diritto al nome, art.7c.c.); in questi casi, tassativamente previsti dalla legge, il giudice ordina la cessazione del fatto lesivo o dell’abuso, la cessazione delle turbative, degli impedimenti, delle molestie, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti, il divieto di uso delle condizioni di cui sia accertata l’abusività (= emana un ordine di non fare). La sentenza di condanna generica e la provvisionale idoneo a divenire immutabile se non impugnato; tra l’altro, entro 5 giorni dalla pubblicazione, il cancelliere comunica la sentenza alle parti costituite mediante biglietto di cancelleria contenente il dispositivo. L’esecutorietà della sentenza L’art.282 stabilisce che la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti (= esecutività automatica): sono esecutive le sentenze di condanna, idonee di per sé a costituire titolo esecutivo e le sentenze inibitorie (lo sono provvisoriamente perché sono immediatamente applicabili quelle previste per il caso di non ottemperanza), ma non quelle di mero accertamento e quelle costitutive (in realtà parte della dottrina ritiene il contrario su quest’ultimo punto)  la provvisoria esecuzione opera tra le parti, ma si deve ritenere che la sentenza abbia tale efficacia anche nei confronti degli eredi ed aventi causa. Questa esecutorietà provvisoria viene sospesa qualora venga presentato appello (art.283) per gravi e fondati motivi, valutati discrezionalmente dal giudice d’appello. La notificazione della sentenza La notificazione ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione è fatta dall’ufficiale giudiziario su istanza di parte a norma dell’art.170 (art.285), nel senso che deve essere effettuata al procuratore costituito o, se la parte sia costituita personalmente, nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto; inoltre, è oggi possibile, per la notifica della sentenza, la consegna di una sola copia dell’atto, laddove il procuratore sia costituito anche per più parti, mentre, qualora la parte sia rimasta contumace, la notificazione della sentenza deve essere fatta personalmente (art.292co.4). La correzione e l’integrazione dei provvedimenti del giudice La correzione è un particolare rimedio offerto per ovviare all’ipotesi in cui il giudice sia incorso in omissioni (= mancanza di uno o più elementi formali della sentenza dovuta a dimenticanza o svista, ex. manca intestazione “Repubblica Italiana”) o in errori materiali (= errore di redazione della sentenza, ex. data errata) o di calcolo, cioè per scorretta applicazione delle regole matematiche (art.287): non per vizi di giudizio, ma unicamente per errori nella dichiarazione/espressione della decisione assunta, emendabile senza necessità di scendere nuovamente ad alcun esame della causa (per sentenze/ordinanze non revocabili)  è oggi possibile il ricorso a tale istituto indipendentemente dall’eventuale avvenuta proposizione dell’appello (post intervento Corte costituzionale con la sentenza 335/2014): nel sistema attuale sussiste una totale autonomia tra il rimedio della correzione (sempre esperibile) e l’impugnazione, anche qualora quest’ultima sia stata in concreto proposta. Il procedimento, sempre instaurato mediante ricorso allo stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento che si intende correggere, prevede un’alternativa: a. Se tutte le parti concordano nel chiedere la correzione, il giudice provvede con decreto. b. Se la correzione è richiesta da una sola delle parti, il giudice, con decreto da notificare assieme al ricorso, fissa l’udienza di comparizione e provvede, sentite le parti, con ordinanza che deve essere annotata sull’originale del provvedimento. Dopo 1 anno dalla pubblicazione della sentenza, il ricorso e il decreto devono essere notificati alle altre parti personalmente e la sentenza potrà essere impugnata, relativamente alle parti corrette, nel termine ordinario, ma decorrente dal giorno nel quale è stata notificata alle parti l’ordinanza di correzione, a cura del cancelliere (artt.288 e 121disp.att.). Diverso, invece, è il caso dell’integrazione dei provvedimenti istruttori, che deve aver luogo anche d’ufficio, entro il termine perentorio di 6 mesi, quando essi non contengono la fissazione dell’udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali (art.289). Il procedimento sommario di cognizione Il legislatore del 2009, in armonia con il principio della ragionevole durata del processo, ha affiancato al processo ordinario di cognizione anche la possibilità per le parti di introdurre un rito sommario caratterizzato da una maggiore elasticità e semplicità nelle forme e destinato auspicabilmente a concludersi in tempi rapidi; infatti, il nuovo art.702bis ha circoscritto le forme sommarie a quelle sole controversie sulle quali venga chiamato a giudicare il tribunale in composizione monocratica; inoltre, il d.lgs.150/2011, finalizzato alla riduzione e semplificazione di numerosi riti speciali presenti nell’ordinamento, ha ampliato il novero delle controversie che devono necessariamente essere decise secondo le forme del rito sommario di cognizione. La fase preparatoria Quanto all’iter procedimentale previsto per il rito sommario, il legislatore ha abbandonato il modulo consueto della citazione a udienza fissa e ha previsto, per l’introduzione della causa, la forma del ricorso, da depositarsi direttamente presso la cancelleria del tribunale in modo che il presidente possa provvedere alla designazione il giudice incaricato di seguire la lite e di procedere alla fissazione della prima udienza; in questo contesto, l’art.702ter co.1 prescrive che il ricorso introduttivo del rito sommario venga sottoscritto con le stesse modalità e, quanto al contenuto, sia modellato sulla falsariga dell’atto di citazione introduttivo del processo ordinario di cognizione con l’inserimento di tutte le indicazioni prescritte dall'art.163 e con l'avvertimento al convenuto circa le conseguenze derivanti dalla mancata tempestiva costituzione in giudizio  il ricorso deve contenere, a pena di nullità: a. Indicazione del tribunale adito. b. Nome/cognome/residenza dell’attore e il nome/cognome/residenza/domicilio/dimora del convenuto o delle persone che li rappresentano. c. Qualora l’attore o il convenuto o entrambi siano persone giuridiche o associazioni non riconosciute o comitati, la denominazione o la ditta con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza. d. La determinazione dell’oggetto della domanda. e. L’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni. f. L’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti; g. Il nome/cognome del procuratore se sia già stata rilasciata la procura. h. Avvertimento di cui all’art.163co.3, n.7. Una volta ottenuto il decreto di fissazione di udienza da parte del giudice designato, l’art.702ter co.3, dispone che il ricorso deve essere notificato al convenuto, almeno 30 giorni prima della data fissata per la sua costituzione (= 40 giorni prima dell’udienza). Quanto alla costituzione della parte convenuta, da effettuarsi almeno 10 giorni prima dell’udienza, l’art.702bis co.4-5 prevede che la comparsa di costituzione di risposta abbia un contenuto analogo a quello previsto per il processo ordinario di cognizione e analoghe sono le attività che devono essere compiute tempestivamente a pena di decadenza: la proposizione di eventuali domande riconvenzionali; l’allegazione di eccezione di incompetenza e di eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio; la chiamata in giudizio di eventuali terzi (solo se effettuata a titolo di garanzia, co.5: il convenuto deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza; a questo punto, il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo). Il procedimento e l’istruttoria Terminato lo scambio degli atti introduttivi, il legislatore disciplina espressamente all’art.702ter co.1-2 due ipotesi nelle quali il processo sommario non è idoneo proseguire sino all’esame nel merito, ma deve concludersi con una pronuncia in rito: 1. Ipotesi in cui il giudice ritenga di dichiarare la propria incompetenza, che deve avvenire con ordinanza. 2. Per le domande introdotte, in via principale o in via riconvenzionale, con le forme sommarie, quando in realtà non sussistevano i requisiti, o per le controversie che non erano di competenza del tribunale in composizione monocratica, ma avrebbero dovuto essere sottoposte al tribunale in composizione collegiale  con un’ordinanza non impugnabile, si dichiarerà l’inammissibilità. L’art.702ter co.3-4 consentono poi all’organo giudicante di non dare corso al processo nelle forme sommarie, qualora tale scelta risulti incompatibile con la complessità suggerita dal contenuto delle difese delle parti, le quali siano tali da rendere preferibile un’istruzione da svolgersi nelle forme ordinarie; in ogni caso, il legislatore ha previsto, per ipotesi in cui sia la sola domanda riconvenzionale, a causa del contenuto delle difese alla stessa conseguenti, dover essere trattata con il processo sommario, che la stessa venga separata dal giudizio principale per essere trattata in un autonomo processo con le forme ordinarie. L’art.702ter co.5 prevede, invece, che il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al rispetto del principio del contraddittorio, possa procedere nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento. La forma della decisione e il regime di stabilità A differenza del processo ordinario di cognizione, il processo sommario è destinato a concludersi con un provvedimento avente la forma dell’ordinanza, ma con effetti e con un contenuto equiparabile a quello della sentenza, sicché la scelta operata ha verosimilmente come scopo principale quello di suggerire che il procedimento si concluda con un provvedimento caratterizzato da un contenuto sintetico; infatti, l’art.702ter co.6 dispone che al pari delle sentenze di merito l’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale per la trascrizione e, inoltre, oltre a contenere la decisione sul merito della controversia, dovrà contenere anche la statuizione sulle spese della lite ai sensi della disciplina ordinaria cui agli artt.91ss. (co.7). L’art.702quater co.1 prevede che il contenuto dell’ordinanza sia idoneo a passare in giudicato qualora la parte non proponga appello entro 30 giorni dalla notificazione o dalla comunicazione del provvedimento (= non vale il termine di 6 mesi dal deposito per il passaggio in giudicato in caso di mancata notificazione come per la sentenza). Le forme dell’appello non trovano disciplina espressa, perché si basano su quelle previste per il processo ordinario di cognizione, ma è ammissibile e potrà avere luogo anche a prescindere dalla dimostrazione che ricorra una ragionevole probabilità che l’impugnazione venga accolta. Un’altra differenza con il rito ordinario è costituita dal fatto che mentre per questo vige un radicale divieto di introduzione di nuovi mezzi di prova o di documenti, l’art.702quater consente l’introduzione, nel giudizio di appello del processo sommario, di nuovi mezzi di istruttoria alla sola condizione che essi siano ritenuti dal giudice dell’impugnazione indispensabili ai fini della decisione. Il procedimento davanti al giudice di pace Con la l.374/1991 è stato introdotto nel nostro ordinamento la figura del giudice di pace (artt.311- 322), ruolo ricoperto da un magistrato ordinario appartenente all’ordine giudiziario, i cui requisiti per la nomina sono: a. Essere cittadino italiano. Riguardo le prove documentali, resta fermo che se proposta è querela di falso, il giudice di pace, quando ritiene il documento impugnato rilevante per la decisione, sospende il giudizio e rimette le parti davanti al tribunale per il relativo procedimento (art.313) fissando un termine perentorio entro il quale le parti stesse devono riassumere la causa davanti al tribunale (art.65disp.att.); in questo caso, il giudice può anche disporre, a norma dell’art.225co.2, la trattazione della causa che continui davanti a sé relativamente alle domande che possono essere decise indipendentemente dal documento impugnato. La decisione della causa Il giudice di pace, quando ritiene matura la causa per la decisione, invita le parti a precisare le conclusioni e a discutere la causa (art.321co.1); tuttavia, il giudice può invitare le parti alla precisazione delle conclusioni e poi la discussione in funzione non solo di una sentenza definitiva di merito, ma anche di una sentenza non definitiva su questioni preliminari, processuali o di merito  la precisazione delle conclusioni può aver luogo nella stessa udienza, nella quale si è esaurita l’istruzione probatoria, o in una successiva (= l’udienza di discussione può essere rinviata soltanto una volta, per il grave impedimento dell’ufficio o delle parti da specificarsi nel provvedimento di rinvio, art.62disp.att.). La causa deve essere decisa dal giudice di pace che ha proceduto all’istruzione, salvo che sia stato sostituito ex.art.174 e la sentenza è depositata in cancelleria entro 15 giorni dalla discussione (art.321co.2). La conciliazione in sede non contenziosa Il legislatore ha ritenuto di mantenere, anche per il giudice di pace, la funzione di conciliazione in sede non contenziosa (art.322), la cui istanza è proposta anche verbalmente al giudice di pace competente per territorio secondo le disposizioni generali (artt.18ss.); se l’istanza è proposta con ricorso, il giudice fa invitare dal cancelliere le parti a comparire davanti a lui in un giorno/ora determinati per cercare di conciliarle, se invece viene proposta verbalmente redige di essa processo verbale (art.68co.2-3). Se la parte invitata non si presenta, il giudice ne dà atto nel processo verbale e di ciò la parte istante può ottenere copia; se le parti compaiono, ma non si conciliano, se ne darà atto nel processo verbale (sarà comunque possibile una conciliazione parziale); invece, quando le parti si conciliano, il processo verbale costituisce titolo esecutivo a norma dell’art.185, se la controversia rientra nella competenza del giudice di pace; negli altri casi (= quando la conciliazione si è raggiunta dinanzi al giudice incompetente per valore o per materia), il processo verbale ha valore di scrittura privata riconosciuta in giudizio (art.322co.3). Le impugnazioni SEZIONE PRIMA: LE DISPOSIZIONI GENERALI La sentenza può rilevarsi difforme dalla corretta applicazione del diritto e non rispondere dunque adeguatamente all’esigenza di giustizia; per questo motivo, è avvertita la necessità di consentire al litigante che sei rimasto insoddisfatto dalla pronuncia, di esercitare il potere di impugnazione, rivolgendosi a un giudice diverso (di grado superiore), oppure allo stesso giudice per ottenere l’annullamento del provvedimento ed una nuova decisione. Per quanto concerne i vizi della che la sentenza può presentare, occorre distinguere: a. Sentenza invalida = si verifica qualora vengano denunciate violazioni della legge processuale nel corso dello svolgimento del processo o nella stessa formazione della decisione   mezzi di impugnazione. b. Sentenza ingiusta = si verifica qualora si denunci un errore di giudizio da parte del giudice  mezzi di gravame. Per quanto riguarda i mezzi in concreto previsti dal nostro ordinamento per impugnare le sentenze, il relativo catalogo (art.323) è rimasto identico a quello previsto dal testo originario del codice; dunque, i mezzi di impugnazione sono: a. Regolamento di competenza = nei casi previsti dalla legge, cioè contro le ordinanze sulla competenza, sulla litispendenza, sulla continenza e sulla connessione, quando questo è causa di modificazione della competenza e anche contro i provvedimenti che dispongono la sospensione del processo ai sensi dell’art.295. b. Appello = inteso come mezzo generale di impugnazione contro le sentenze di primo grado. c. Ricorso per cassazione = mezzo esperibile contro le sentenze emesse in secondo grado o in unico grado. d. Revocazione e. Opposizione di terzo L’art.324 considera come passata in giudicato quella sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai nn.4-5 dell’art.395 (= cosa giudicata formale, secondo cui non è più possibile esercitare il potere di impugnazione; invece, il giudicato sostanziale è quello che fa stato tra le parti, i loro eredi e i loro aventi causa). Le impugnazioni si dividono poi in: a. Ordinarie o straordinarie = dipende a seconda che impediscano la formazione della cosa giudicata o costituiscano un rimedio contro il giudicato: ordinari (appello, cassazione, revocazione ordinaria e regolamento di competenza) e straordinari (revocazione straordinaria e del p.m., opposizione di terzo, opposizione tardiva al decreto ingiuntivo/convalida di sfratto). b. Sostitutive o rescindenti = dipende a seconda che conducano ad una nuova decisione della causa, che sostituisce quella impugnata, o soltanto il suo annullamento, a cui potrà far seguito una nuova decisione, davanti allo stesso o a diverso giudice. La legittimazione e l’interesse ad impugnare Per la corretta instaurazione e il conseguente accoglimento di un’impugnazione è necessario anzitutto la sussistenza di due specifici presupposti: 1. Legittimazione ad impugnare = spetta a chi è stato parte nel grado di processo che si è concluso con la sentenza che viene impugnata, e ciò vale sia per le parti originarie, sia per le parti nei cui confronti sia stata ordinata l’integrazione del contraddittorio, sia per i terzi che siano divenuti parti in seguito ad intervento volontario. Quando una parte viene meno per morte o altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto: ciò comporta anche che la sentenza validamente emessa nei confronti di una parte che sia venuta a mancare possa essere impugnata dal successore universale; invece, qualora si abbia una successione a titolo particolare, sia mortis causa, sia inter vivos, la sentenza spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui. Infine, un caso particolare di legittimazione ad impugnare è quella riconosciuta dalla legge al p.m., perché, ai sensi dell’art.72, esso è titolare di un autonomo diritto di impugnazione nell’ambito delle cause che abbia promosso o che avrebbe potuto promuovere, ed è inoltre legittimato a proporre impugnazione contro le sentenze relative alle cause matrimoniali, salvo che per quelle di separazione personale dei coniugi, e contro le sentenze che dichiarano l’efficacia o l’inefficacia di sentenze straniere relative a cause matrimoniali (salvo che per quelle di separazione personale dei coniugi). 2. Interesse ad impugnare = occorre che la parte non sia rimasta soddisfatta dell’esito del giudizio, ricollegabile alla c.d. soccombenza formale (= soccombente è la parte la cui domanda non è stata accolta per qualunque ragione, anche non attinente al merito, oppure la parte contro la quale sia stata accolta una domanda dell’avversario) o alla soccombenza parziale o reciproca; inoltre, tale interesse può sorgere anche per quella parte che possa comunque attendersi dall’impugnazione un risultato utile, anche sotto forma di un minor pregiudizio (c.d. soccombenza in senso materiale). I termini per le impugnazioni La proposizione dei mezzi di impugnazione è assoggettata a termini perentori, e cioè (art.325): a. Il termine per proporre l’appello, la revocazione e l’opposizione di terzo di cui all’art.404co.2 contro le sentenze dei giudici di pace e dei tribunali è di 30 giorni. b. Il termine per proporre la revocazione e l’opposizione di terzo revocatoria contro le sentenze delle Corti d’appello e di 30 giorni. c. Il termine per proporre ricorso per cassazione è di 60 giorni. Questi termini brevi perentori decorrono dalla notificazione della sentenza effettuata da una parte all’altra (art.326) e invece dalla scoperta del fatto che è motivo di impugnazione per la revocazione straordinaria e per l’opposizione di terzo revocatoria, o dalla conoscenza della sentenza per il p.m., quando ricorrano i motivi della sua impugnazione per revocazione (art.397). Questi termini sono sostituiti dal termine lungo di 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza per la proposizione dell’appello, del ricorso per cassazione, della revocazione ordinaria e per i motivi indicati nei nn.4-5 dell’art.395; inoltre: - Il termine per proporre il regolamento di competenza e di 30 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza che abbia pronunciato sulla competenza o dalla notificazione dell’impugnazione ordinaria quando le altre parti intendono proporre l’istanza di regolamento ai sensi dell’art.43co.2; è sempre di 30 giorni dalla comunicazione anche il termine per l’impugnazione dei provvedimenti che dispongono la sospensione necessaria del processo. - Il termine per chiedere la revocazione della sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è di 60 giorni dalla notificazione della sentenza o, se questa non sia stata eseguita, di un anno dalla pubblicazione della sentenza stessa (art.391bis co.1). - Il termine lungo per l’impugnazione non si applica quando la parte, rimasta contumace nel processo concluso con la sentenza impugnabile, dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa e per nullità della notificazione degli atti di cui all’art.292; in questi casi, spetta alla parte contumace impugnante l’onere della prova delle nullità degli atti. L’acquiescenza Il potere di proporre le impugnazioni ordinarie si può perdere non solamente per il decorso dei termini perentori, bensì anche in conseguenza dell’istituto dell’acquiescenza, che deve risultare da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge (art.329co.1); essa può essere espressa, tacita o parziale: quella espressa consiste in una dichiarazione di rinuncia della parte stessa (= atto unilaterale e non recettizio, che non necessita di particolari formalità ed è irretrattabile), quella tacita consiste in comportamenti inequivocabilmente funzionali all’incondizionata accettazione degli effetti della sentenza, ed assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto all’impugnazione, mentre quella parziale (o impropria) riguarda esclusivamente l’eventualità che la sentenza contenga più capi contro i quali la parte avrebbe interesse a proporre impugnazione. Il luogo di notifica delle impugnazioni Se la parte, nell’atto di notificazione della sentenza, ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che ha pronunciato la sentenza, l’impugnazione deve essere - Le pronunce emesse in caso di mancata ottemperanza o contestazione del riconoscimento della sentenza straniera o quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata sulla base di essa. - Le sentenze sulle azioni di nullità e di risarcimento del danno derivante dalla violazione della legge antitrust. - Le sentenze rese nei giudizi per la determinazione dell’equa riparazione del danno subito dalla ragionevole durata del processo. - Le sentenze emanate in sede di impugnazione per nullità del lodo rituale. Per quanto concerne il regime dell’appello contro le sentenze non definitive (ex. sentenze di condanna generiche), la parte interessata si trova dinanzi ad un’alternativa: proporre immediatamente appello, oppure formulare una riserva, differendo così l’appello al momento in cui sarà emanata la sentenza definitiva (= deve essere fatta dalla parte soccombente, a pena di decadenza, entro il termine per appellare e comunque non oltre la prima udienza dinanzi al giudice istruttore; in tal caso, l’appello deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza definitiva o contro una sentenza successiva non definitiva). Il giudice d’appello Ai sensi dell’art.341, l’appello contro le sentenze del giudice di pace (= sono appellabili solo le decisioni relative a cause decise secondo diritto, il cui valore eccede 1100€ o quelle derivanti da rapporti conclusi secondo le modalità di cui all’art.1342c.c.) e del tribunale si propone rispettivamente al tribunale ed alla Corte d’appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza  la regola generale fissata nell’art.350 è quella della collegialità della trattazione davanti al giudice d’appello, che è peraltro prevista solo dinanzi alla Corte d’appello, mentre si è preferito che l’appello contro le sentenze del giudice di pace sia trattato e deciso dal giudice monocratico. La proposizione dell’appello Ai sensi dell’art.342, l’appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte dall’art.163 (entro 30 giorni dalla notifica della sentenza, oppure entro 6 mesi dalla pubblicazione); inoltre, deve essere motivato e contenere, a pena di inammissibilità: - Indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado. - Indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. In ogni caso, l’atto d’appello delimita l’ambito della cognizione del giudice del gravame, rispetto a quello del giudice di primo grado: sia perché l’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate (art.329co.2), sia perché le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate (art.346). L’avvertimento ex. art.163co.3, n.7 deve essere dato all’appellato, a pena di nullità, nell’atto di citazione in appello, ma non potrà concernere la decadenza dalle domande riconvenzionali e dalle eccezioni in senso stretto, ma dovrà riferirsi alla decadenza dal diritto di proporre appello incidentale; inoltre, i termini liberi a comparire sono i medesimi stabiliti per il giudizio di primo grado che intercorrono tra il giorno della citazione a quello della prima udienza di trattazione (art.342co.2). La costituzione dell’appellante, appellato e l’appello incidentale Il sistema della citazione a udienza fissa comporta che il contraddittorio istituito, anche in appello, con la notificazione della citazione, e pertanto la costituzione mantiene la funzione di assicurare la legale presenza della parte nel processo. La costituzione avviene secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale (art.347co.1), cioè con le modalità previste per i procedimenti di primo grado: l’appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata e il cancelliere del giudice d’appello deve provvedere all’iscrizione della causa dal ruolo e alla formazione del fascicolo d’ufficio e richiedere la trasmissione dello stesso al cancelliere del giudice di primo grado. L’appellato è equiparato al convenuto e deve pertanto costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione (o 10 giorni prima nel caso di abbreviazione del termine a comparire)  la sua costituzione si effettua mediante deposito in cancelleria ai sensi dell’art.166 della comparsa di risposta (art.343co.1), ove l’appellato dovrà proporre tutte le sue difese, prendendo posizione sui fatti posti dall’appellante a fondamento dell’appello, indicando i mezzi di prova di cui intende valersi, documenti che offre in comunicazione e formulare le conclusioni; inoltre, dovrà riproporre espressamente le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado perché assorbite (art.346), mentre non potrà proporre nuove domande riconvenzionali, ma potrà soltanto rinnovare quelle già proposte in primo grado. Se l’appellato, che sia rimasto anche gli soccombente, intende impugnare a sua volta la sentenza per le parti a lui sfavorevoli, deve proporre l’appello incidentale a pena di decadenza nella comparsa di risposta, all’atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell’art.166 (entro 20 giorni dell’udienza fissata nell’atto di citazione); invece, se non si è costituito, la comparsa contenente l’appello incidentale dovrà essergli notificata  in generale: a. L’appello, proposto in via principale dopo l’appello della controparte, si converte in incidentale, e deve con quello essere riunito ex. art.335. b. L’appello incidentale può essere tempestivo o tardivo (in tal caso se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, quella incidentale perde ogni efficacia, art.334co.2). c. L’appello incidentale tardivo è ammissibile anche quando investa una parte o un capo della sentenza diverso da quello impugnato in via principale. d. La proposizione dell’appello incidentale non comporta lo spostamento dell’udienza di trattazione, nella concessione di un termine a difesa all’appellante principale. e. Se l’interesse a proporre appello incidentale sorge dall’impugnazione proposta d’altra parte che non sia quella principale, tale appello si propone nella prima udienza successiva alla proposizione dell’impugnazione stessa (art.343co.2). f. Le parti, chiamate ad integrare il contraddittorio nelle cause inscindibili, o cui sia stata notificata l’impugnazione in cause scindibili devono proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo (art.333). Poiché il giudice d’appello emanerà l’ordine di integrazione di notifica nella prima udienza, dovrà con ordinanza, resa all’udienza stessa, fissare all’uopo nuova udienza; dunque, l’appello incidentale potrà essere proposto dalle parti con la comparsa di costituzione depositata almeno 20 giorni prima della nuova udienza. L’intervento di terzo Nel giudizio d’appello è ammesso soltanto intervento dei terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell’art.404 (art.344); per esigenze di economia processuale, dunque, sono unicamente ammessi ad intervenire in appello 2 categorie di terzi: 1. Coloro che ritengono che la sentenza pregiudichi i loro diritti. 2. I terzi che sarebbero legittimati all’opposizione revocatoria, e cioè gli aventi causa e i creditori di una delle parti, che ritengono che la sentenza sia l’effetto di dolo o collusione delle parti stesse a loro danno. L’intervento dovrà compiersi nei modi e termini stabiliti per il giudizio di primo grado, mentre appellante ed appellato potranno formulare le loro contro difese e le deduzioni probatorie che si rendono necessarie, anche con comparsa, previo rinvio del processo. L’inammissibilità e l’improcedibilità dell’appello La proposizione tempestiva dell’appello consente alla parte di evitare l’inammissibilità del gravame stesso; tale sanzione (inammissibilità) si verifica in particolare quando: a. L’impugnazione sia proposta avverso una decisione inappellabile per legge o per accordo delle parti a norma dell’art.360co.2 (art.339). b. L’impugnazione sia stata proposta oltre il termine perentorio fissato dalla legge (artt.325 e 327). c. L’impugnazione venga proposta malgrado la già prestata acquiescenza alla sentenza (art.329). d. In ipotesi di cause inscindibili o tra loro dipendenti, qualora l’impugnazione sia proposta verso alcune soltanto delle parti, e a seguito dell’ordine del giudice di integrazione del contraddittorio l’appellante non vi provveda (art.331). Una volta proposto tempestivamente e validamente, l’appello deve anche essere proseguito mediante atti di impulso, che costituiscono per la parte interessata una serie di oneri da osservare, al fine di evitare la sanzione dell’improcedibilità; quest’ultima, con l’inammissibilità, pur scaturendo da differenti presupposti, conducono entrambe al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado poiché l’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge (art.358). Per quanto poi concerne in particolare l’improcedibilità, ai sensi dell’art.348, l’appello è dichiarato improcedibile, anche d’ufficio, in 2 distinte ipotesi: 1. Se l’appellante non si costituisce in termini (art.348co.1, intesi quelli ordinari di 10 giorni dalla notificazione della citazione all’appellato). 2. Se l’appellante non compare alla prima udienza, benché si sia anteriormente costituito, il collegio, con ordinanza non impugnabile, rinvia la causa ad una prossima udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all’appellante e, se anche in quest’ultima non compare, l’appello è dichiarato improcedibile anche d’ufficio (art.348co.2). Il filtro in appello Il legislatore del 2012 è intervenuto in modo incisivo sulla disciplina dell’appello, tentando di ripristinare efficacia, efficienza e rapidità; in particolare, a norma dell’art.348bis, fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta  la norma istituisce un doppio controllo preliminare cui ogni impugnativa depositata deve essere sottoposta: il giudice dovrà sincerarsi che la stessa non risulti inficiata da uno dei motivi che tradizionalmente ne comportano l’inammissibilità; in secondo luogo, sarà chiamata a verificare che questa risulti adeguatamente seria da meritare un ulteriore disamina nel merito. Una volta che il ricorso sia stato rigettato con le forme di cui agli artt.348bis e 348ter, l’appellante- soccombente nel merito potrà eventualmente impugnare in cassazione la sentenza di primo grado, il cui termine decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità. Il divieto di nuove domande ed eccezioni e i limiti all’ammissibilità di nuove prove oppure la rinnovazione totale o parziale dell’assunzione già avvenuta in primo grado, pronuncia ordinanza e provvede a norma degli art.191ss. (art.356co.1). Quando la prova sia disposta d’ufficio, il giudice deve dare termine alle parti per dedurre i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione a quelli ammessi, pronunciando sulla loro ammissione e, solo successivamente, procedendo all’assunzione; questa regola si impone per evitare che il sistema sia inficiato di illegittimità costituzionale per violazione del diritto di difesa di fronte all’esercizio dei poteri istruttori e d’ufficio del giudice d’appello. Nello stesso modo, il giudice potrà disporre la rinnovazione totale o parziale dell’assunzione già avvenuta in primo grado, quando la prova sia stata invalidamente assunta e la sua acquisizione appaia necessaria, sulla base di una valutazione complessiva del materiale probatorio (art.356). Qualora sia stato proposto appello immediato contro una sentenza non definitiva, il giudice di primo grado può disporre che l’esecuzione o la prosecuzione dell’ulteriore istruttoria sia sospesa, sino alla definizione del giudizio d’appello, ma solo su istanza concorde delle parti e qualora ritenga che i provvedimenti dell’ordinanza collegiale siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza impugnata (art.279co.4); in tal caso, le parti dovranno riassumere il processo dinanzi al giudice di primo grado entro il termine perentorio di 6 mesi dalla comunicazione della sentenza che definisce il giudizio sull’appello immediato che ha dato luogo alla sospensione (art.125bis disp.att.). La fase decisoria Esaurita l’attività preliminare, il giudice d’appello, se non provvede all’ammissione/assunzione di prove, invita le parti a precisare le conclusioni e dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell’art.190 (art.352co.1); il termine per il deposito in cancelleria è di 60 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica (art.352co.1). Qualora il giudizio di appello si svolga dinanzi alla Corte di appello, ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio; in tal caso, la richiesta deve essere riproposta al presidente della Corte alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, il quale provvederà poi con decreto sulla richiesta, fissando la data dell’udienza di discussione da tenersi entro 60 giorni e designando il relatore (la discussione sarà poi preceduta dalla relazione della causa e la sentenza sarà poi depositata in cancelleria entro i 60 giorni successivi). Qualora la causa si trovi dinanzi al tribunale, il giudice monocratico, quando una delle parti lo richieda, dispone lo scambio delle sole comparse conclusionali e fissa l’udienza di discussione non oltre 60 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse medesime; successivamente, il giudice provvederà al deposito in cancelleria entro i 60 giorni successivi. L’appello contro la sentenza di estinzione del processo Un regime speciale è stabilito per la decisione del giudizio d’appello contro la sentenza, nei casi in cui con questa forma si sia dichiarata l’estinzione del processo di cognizione di primo grado (art.307co.4); infatti, in questi casi, si applica il rito della decisione con sentenza, ma in camera di consiglio: non è preceduta dalla pubblica discussione, né dallo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie, ma soltanto eventualmente di memorie difensive ed è un rito stabilito dalle norme citate nella decisione in primo grado  in tale giudizio di gravame, il collegio, quando necessario, autorizza le parti a presentare memorie, fissando i rispettivi termini, e provvede in camera di consiglio con sentenza (art.130disp.att.). Se il giudice riformerà la sentenza che abbia dichiarato l’estinzione del processo, dovrà rimettere la causa al giudice di primo grado ex.art.354co.2. Il contenuto della sentenza d’appello e la rimessione in primo grado Il giudizio d’appello può essere definito con un provvedimento a contenuto meramente processuale: si conclude con sentenza che può dichiarare l’inammissibilità, o l’improcedibilità, o la nullità dell’appello, o l’estinzione del conseguente procedimento; in secondo luogo, lo stesso può concludersi con un’ordinanza di inammissibilità per essere l’impugnazione sostanzialmente infondata nel merito. Al di fuori di queste ipotesi, la sentenza d’appello sostituisce quella di primo grado, confermandola o riformandola, in tutto o in parte; la riforma parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata (art.336co.1); tuttavia, il giudice d’appello deve limitarsi ad annullare la sentenza e a rimettere la causa al giudice di primo grado in alcune ipotesi, ritenute tassative, e cioè quando: a. Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, negata dal primo giudice. b. Dichiara nulla la notificazione della citazione introduttiva del processo di primo grado, non sanata mediante la rinnovazione della notifica o la costituzione del convenuto (art.291). c. Riconosce che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio, con la chiamata di un litisconsorte necessario. d. Riconosce che non doveva essere estromessa una parte. e. Dichiara nulla la sentenza di primo grado, perché priva della sottoscrizione del giudice (art.161co.2). f. Riforma la pronuncia di estinzione del processo, emessa in primo grado. La rinnovazione del processo dinanzi al primo giudice non potrebbe essere sostituita neppure dall’applicazione in appello del rito previsto per il primo grado. In tutti questi casi di rimessione della causa al primo giudice, le parti devono riassumere il processo davanti a questi nel termine perentorio di 3 mesi dalla notificazione della sentenza; peraltro, il termine è interrotto se contro la sentenza d’appello è proposto ricorso per cassazione (artt.353co.3 e 354co.3). SEZIONE III: LA CASSAZIONE La Corte di cassazione è l’organo supremo della giurisdizione che nasce dall’esigenza di evitare la rinnovazione delle invasioni nella sfera del potere legislativo, con il compito di annullare le sentenze pronunciate in ultimo grado è viziato da violazione di legge o delle forme processuali previste appena di nullità, senza il potere di scendere all’esame del merito; infatti, l’art.65ord.penit. attribuisce alla Corte di cassazione il compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. Le sentenze impugnabili per cassazione Possono essere impugnate con ricorso per cassazione le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado (art.360co.1), nonché le sentenze rese in primo grado dal tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (solo ove l’impugnazione sia promossa per violazione o falsa applicazione di norme di diritto dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, art.360co.2); inoltre, sono soggetti a ricorso per cassazione ex. art.111Cost. tutti i provvedimenti che, anche se non siano stati pronunciati in forma di sentenza, abbiano natura decisoria o incidano su diritti e non siano altrimenti impugnabili e quelli per i quali è ammesso ricorso per violazione di legge; infine, sono impugnabili, per motivi attinenti alla giurisdizione, le sentenze emanate dal Consiglio di Stato o della Corte dei conti e le decisioni in grado di appello o in unico grado di ogni giudice speciale. L’accordo, che potrà essersi formato anche prima della pronuncia della sentenza impugnata, deve risultare mediante visto, apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato da unirsi al ricorso (art.366co.3)  questa previsione normativa ha la funzione di consentire alle parti l’abbreviazione del corso delle impugnazioni e la relativa opportunità appare evidente quando la causa sia di puro diritto. Inoltre, possono essere denunciati in ogni tempo con ricorso per cassazione: a. I conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra questi e i giudici ordinari. b. I conflitti negativi di attribuzione tra la PA e il giudice ordinario (art.362co.2). Un principio di diritto nell’interesse della legge L’art.363 prevede la possibilità che la Corte di cassazione enunci il principio di diritto anche su sollecitazione del procuratore generale o d’ufficio al di fuori della struttura tradizionale della funzione dei mezzi di impugnazione proposti dalle parti; infatti, il co.1 prevede che il procuratore generale presso la Corte di cassazione possa richiedere e ottenere la restaurazione astratta, e quindi come precedente, di una regola di diritto che ritenga essere stata violata dal giudice di merito anche nel caso in cui le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato. A fianco di tale fattispecie, il legislatore del 2006 ha introdotto ex novo l’ulteriore possibilità per il procuratore generale di richiedere la pronuncia di una regola di diritto anche nell’ipotesi normativa nella quale il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile. Il co.2 prevede poi uno schema del tutto riformalizzato, nel quale il procuratore generale potrà limitarsi alla presentazione di una richiesta contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell’istanza rivolta al primo presidente, il quale potrà disporre anche una pronuncia delle Sezioni Unite da parte della Corte di cassazione. I motivi di cassazione Il ricorso in cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi previsti dall’art.360; con riferimento alla sentenza impugnata possono, dunque, essere denunciati o vizi del procedimento e della sentenza (errores in procedendo), o errori nell’interpretazione nell’applicazione delle norme di diritto dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (errores in iudicando), o per vizi di motivazione  la sentenza può essere impugnata per: a. Motivi attinenti alla giurisdizione = difetto di giurisdizione dei giudici ordinari o dei giudici speciali. b. Violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza = si verifica quando il provvedimento non è deciso soltanto sulla competenza, nel qual caso è soggetto al regolamento necessario di competenza. c. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto dei CCNL = si intende l’errore sull’esistenza o sull’interpretazione delle norme o delle clausole della contrattazione collettiva, e come errore nel caso concreto, nell’applicazione della norma o del contratto collettivo o una fattispecie diversa da quella prevista in astratto. d. Nullità della sentenza o del procedimento = si deve valutare alla stregua del principio di estinzione della nullità a tutti gli atti successivi che ne sono dipendenti (art.159). e. Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti (= vizio della motivazione). Il ricorso Il ricorso per cassazione, diretto alla Corte e sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto nell’apposito albo e munito di procura speciale (art.365), deve contenere a pena di inammissibilità (art.366): 1. Indicazione delle parti. 2. Indicazione della sentenza o decisione impugnata. 3. Esposizione sommaria dei fatti della causa. 4. Motivi per i quali si chiede la cassazione. il giudice ordinario; inoltre, il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a Sezioni Unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle Sezioni semplici, oltre che su quelli che presentano una questione di massima e di particolare importanza (art.374co.2). Il co.3 dell’art.374 prevede poi che la rimessione possa avvenire, con ordinanza motivata, su iniziativa di una delle Sezioni semplici ove questa ritenga di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite. Quanto alle modalità di fissazione dell’udienza, il primo presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, deve fissare l’udienza o l’adunanza della camera di consiglio e nominare il relatore per i ricorsi assegnati alle Sezioni Unite; viceversa, per i ricorsi assegnati alle Sezioni semplici provvede allo stesso modo il presidente della sezione (art.377). Dall’udienza di discussione è data comunicazione dal cancelliere agli avvocati delle parti almeno 20 giorni prima e, la parte che ritiene di competenza delle Sezioni Unite un ricorso assegnato ad una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle Sezioni Unite, almeno 10 giorni prima dell’udienza di discussione del ricorso; invece, all’udienza della Sezione semplice, la rimessione può essere disposta soltanto su richiesta del p.m. o d’ufficio, con ordinanza inserita nel processo verbale. La produzione di documenti nuovi Nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, l’attività probatoria è rigorosamente limitata: è esclusa del tutto l’assunzione di prove costituende, le parti non possono depositare atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne per quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso o anche la sopravvenuta cessazione della materia del contendere. Il deposito, se non ha luogo contestualmente a quello del ricorso e del controricorso, deve essere notificato, mediante elenco, alle altre parti (art.372). Il deposito di memorie di parte Le parti possono presentare memorie in cancelleria non oltre 5 giorni prima dell’udienza (art.378) o l’adunanza in camera di consiglio (art.375); il deposito oltre il termine di legge ha come conseguenza il fatto che la Corte, nel decidere, non potrà tener conto del contenuto della memoria, ma l’eventuale violazione di questo divieto non appare sanzionabile, mentre, in caso di deposito tardivo ad opera della parte poi risultata vittoriosa, non potranno essere riconosciute alla stessa le spese relative a questo atto (art.91). Il procedimento ad udienza pubblica All’udienza il relatore riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, il riassunto (solitamente solo qualora non vi sia discussione delle parti, art.379co.1), i motivi del ricorso e del controricorso; terminata la relazione, il presidente invita gli avvocati delle parti a svolgere le loro difese e, successivamente, il p.m. espone oralmente le sue conclusioni motivate (art.379co.2-3), ma i difensori non avranno possibilità di replica. Dopo la discussione, la Corte di cassazione delibera, nella medesima seduta, la sentenza in camera di consiglio, con le stesse modalità previste per le pronunce di primo grado (art.380), la quale sarà poi pubblicata, completa di motivazione e dispositivo, mediante deposito in cancelleria; dopo la pubblicazione, una copia del dispositivo viene trasmessa anche per via telematica dal cancelliere della Corte a quello del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, affinché ne sia presa nota in margine all’originale di quest’ultima (art.388). La pronuncia in camera di consiglio La Corte si pronuncia in camera di consiglio, e sempre con ordinanza, in due diversi ordini di ipotesi, nonché in una composizione è un momento processuale differenti: a. Innanzi alla Sezione speciale deputata al vaglio preventivo della controversia quando: deve dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall’art.360; deve accogliere o rigettare il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza/infondatezza (art.375, n.5), con la precisazione che non si giustificherebbe la decisione in camera di consiglio per manifesta fondatezza quando si delineasse la possibilità di una decisione di merito. b. Innanzi alle Sezioni Unite, oppure innanzi a una sezione semplice quando: si deve ordinare l’integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita o rinnovata la notificazione dell’impugnazione a norma dell’art.332; si deve provvedere in ordine all’estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia (art.375, n.3); la Corte sia chiamata a pronunciarsi sull’istanza di regolamento di competenza e di giurisdizione. L’art.380bis co.1-3, oggetto di una riforma del 2016, prevede che la prima iniziativa volta stimolare la decisione della causa in camera di consiglio debba provenire dal giudice relatore, il quale depositerà in cancelleria una relazione contenente la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi di fatto e diritto in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio, e a tale iniziativa seguirà la pronuncia da parte del presidente; il co.2 prescrive poi che la relazione e il decreto vengano comunicati almeno 20 giorni prima della data fissata per l’udienza agli avvocati delle parti in modo da consentire a questi ultimi il deposito di memorie almeno 5 giorni prima dell’udienza (la comunicazione riguarda esclusivamente l’udienza pubblica, poiché dell’adunanza in camera di consiglio le parti hanno notizia attraverso la comunicazione delle conclusioni del p.m., co.3). Qualora si ravvisi che il contraddittorio debba essere integrato, poiché il ricorso per cassazione è stato proposto contro la sentenza resa su causa inscindibile o su cause tra loro dipendenti, la Corte assegna alle parti un termine per provvedervi (art.331); si dispone così che qualora la Corte abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio, il ricorso notificato deve essere depositato nella cancelleria della Corte stessa, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dalla scadenza del termine assegnato (art.371bis), altrimenti il cancelliere deve fare formale attestazione con una dichiarazione che sarà allegata al fascicolo, in modo da agevolare il procedimento diretto alla dichiarazione di improcedibilità a causa di questo motivo sopravvenuto (se l’ordine di integrazione non sia stato adempiuto nei termini, il ricorso per cassazione dovrà essere dichiarato inammissibile, artt.331- 375). La sentenza: rigetto, cassazione con rinvio, cassazione senza rinvio Se il ricorso o i ricorsi non sono né inammissibili, né improcedibili, la cassazione può decidere, con sentenza, sul merito dell’impugnazione o delle impugnazioni; quanto al contenuto della pronuncia, si possono configurare differenti eventualità: a. Se il ricorso è stato proposto per i motivi di cui ai nn.1-2, art.360, la Corte potrà accoglierlo o rigettarlo, provvedendo a statuire in ogni caso sulla giurisdizione o sulla competenza; qualora risulti che sia il giudice del quale si impugna il provvedimento, sia ogni altro giudice, difettano di giurisdizione, la sentenza sarà cassata senza rinvio (art.382). b. Se il ricorso è stato proposto per altri motivi, la Corte potrà: rigettare il ricorso; cassare la sentenza impugnata senza/con rinvio; cassare la sentenza impugnata e decidere, eccezionalmente, la causa nel merito; ritenere fondato il ricorso, salvo poi respingerlo, limitandosi a correggere la motivazione, quando il dispositivo è conforme a diritto (art.384co.4). In caso di rigetto del ricorso, la Corte condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, cioè qualora il resistente vittorioso si sia costituito e abbia svolto attività difensive (art.385co.1); qualora, invece, il ricorso venga accolto, si avrà cassazione senza rinvio in caso di carenza di giurisdizione e in ogni altro caso in cui la Corte ritenga che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito (=> si dovrà provvedere sulle spese di tutti i precedenti giudizi liquidandole o rimettendone la liquidazione al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata, co.2); infine, se il ricorso viene accolto, e la causa può proseguire, la Corte rinvia la causa ad un altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata (art.383co.1). La natura del rinvio è differente a seconda del motivo per il quale il ricorso è stato accolto: a. Rinvio improprio o restitutorio = si verifica in caso di accoglimento di un ricorso per nullità della sentenza o del procedimento: la causa sarà restituita al giudice di merito, perché possa provvedere a riprendere il percorso dal punto in cui si è interrotto a causa della nullità accertata dalla Corte. b. Rinvio proprio o in senso stretto = si verifica qualora il vizio denunciato sia relativo all’applicazione del diritto da parte del giudice, o del vizio di motivazione: al giudice di merito è attribuito il compito esclusivo di decidere nuovamente la lite, con l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte, o di riesaminare i fatti di causa per fondare la sua decisione su una motivazione immune da vizi logici e giuridici. La correzione della motivazione Non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso, la Corte si limita a correggere la motivazione (art.384co.4)  l’errore denunciato deve essere in judicando e non in procedendo: pertanto, la sostituzione della motivazione errata con quella corretta può avvenire solo a condizione di non incidere in alcun modo sul contenuto del dispositivo, e deve scaturire solo da una diversa interpretazione delle norme applicate o da una diversa individuazione di quelle applicabili senza comportare indagini o valutazioni di fatto, perché precluse dalla Corte; infine, la correzione non può essere operata d’ufficio, in assenza di una specifica denuncia dell’errore da parte del ricorrente, così come non può basarsi su eccezioni non sollevate dalle parti e non rilevabili d’ufficio. La cassazione per errore di diritto, l’enunciazione del principio di diritto e la decisione della causa nel merito Quando decide il ricorso proposto per violazione o falsa applicazione di norme di diritto o dei CCNL, la Corte enuncia il principio di diritto (art.384co.1); nonostante le ultime riforme, l’iniziativa delle parti continua a costituire il primo presupposto per l’esercizio della funzione nomofilattica della Corte di cassazione; tuttavia, il legislatore del 2006 ha innovato la disciplina con un duplice ordine di interventi: 1. La Corte di cassazione che sia stata adita in forza dell’art.360co.1, n.3, è tenuta ad enunciare il principio di diritto non solo in caso di accoglimento, ma anche in ipotesi di rigetto del ricorso. 2. La Corte può enunciare il principio di diritto anche in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza (art.384co.1). A seguito dell’ulteriore modifica dell’art.384co.2, la Corte, in caso di accoglimento del ricorso, potrà cassare la sentenza e rinviare la causa ad un nuovo giudice, il quale dovrà uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte; diversamente, la Corte di legittimità dovrà decidere la causa nel merito ove non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto. Sempre a seguito dell’intervento del 2006, la Corte di cassazione, ove intenda decidere nel merito la controversia sulla base di una questione rilevata d’ufficio, deve riservare la decisione ed assegnare processo); in caso di regolamento facoltativo, invece, l’art.47 prevede che il ricorso per regolamento proposto dalle altre parti possa anche essere notificato entro il termine perentorio di 30 giorni dalla notificazione dell’impugnazione ordinaria (se una delle parti propone appello o ricorso in cassazione, per le altre decorrerà un nuovo termine perentorio di 30 giorni dalla notificazione dell’impugnazione ordinaria). Entro 5 giorni dall’ultima notifica il ricorrente deve proporre un’istanza al cancelliere dell’Ufficio davanti al quale pende il processo, chiedendo che il relativo fascicolo sia trasmesso alla cancelleria della Corte di cassazione (art.47co.3)  da questo momento il processo è sospeso ex lege, ma il giudice di merito può sempre autorizzare il compimento degli atti che ritiene urgenti. Nel termine perentorio di 20 giorni dalla stessa notificazione, deve essere depositato nella cancelleria della cassazione il ricorso con i documenti necessari, tra i quali si dovrà trovare il provvedimento impugnato; successivamente, i soggetti ai quali è stato notificato il ricorso possono depositare in cancelleria scritture difensive e documenti, entro 20 giorni dalla scadenza di tale termine e, la cassazione entro il termine di 20 giorni dopo la scadenza di quella difesa concessa agli intimati, deciderà sul regolamento  con l’ordinanza la cassazione statuisce sulla competenza, dà i provvedimenti necessari per la prosecuzione del processo davanti al giudice che dichiara competente e rimette, quando occorre, le parti in termini affinché provvedano alla loro difesa (art.49co.2); a questo punto, la causa deve essere riassunta dinanzi al giudice indicato nel termine fissato dalla Cassazione (art.50co.1), o entro 3 mesi dalla comunicazione dell’ordinanza, altrimenti il processo si estingue (= l’ordinanza di regolamento conserva la sua efficacia anche per il futuro, qualora venga riproposta ab initio la stessa domanda tra le stesse parti, art.310co.1). SEZIONE V: LA REVOCAZIONE La revocazione è un’impugnazione limitata, in quanto può essere proposta soltanto per determinati motivi, individuati tassativamente dalla legge; inoltre, si propone dinanzi allo stesso giudice che ha emesso la sentenza impugnata  3 sono le forme di revocazione: 1. Revocazione ordinaria = i cui motivi sono contenuti nei nn.4-5, art.395, è un’impugnazione ordinaria, la cui esperibilità è di ostacolo al passaggio in giudicato della sentenza. 2. Revocazione straordinaria = i motivi sono indicati nei nn.1,2,3,6, art.395, può essere proposta anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza. 3. Revocazione proponibile dal p.m. (art.397). I motivi di revocazione ordinaria sono indicati nei nn.4-5, art.395: 1. Se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa (= la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita)  deve trattarsi di una svista che abbia impedito al giudice di accorgersi che un fatto era sicuramente, e incontrovertibilmente vero/falso, senza che vi fosse alcun margine per una valutazione discrezionale, e quindi per un giudizio. 2. Se la sentenza è contraria ad un’altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione (art.395n.5) = qualora la sentenza sia pronunciata sulla questione, negando il contrasto, o qualora l’eccezione sia stata sollevata dalla parte, ma non sia stata esaminata, si aprirà la strada all’appello, o al ricorso in cassazione, che costituiscono la sede idonea per dibattere sia sull’eventuale errore del giudice nell’affermare o nel negare il conflitto, sia per denunciare il vizio di omessa pronuncia sull’eccezione. I motivi di revocazione straordinaria sono indicati nei nn.1-2-3-6, art.395: a. Se la sentenza è l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra (n.1) = si ritiene che si deve essere la presenza di comportamenti, consistenti in artifici o raggiri, posti in essere con successo da una parte, e diretti a pregiudicare la difesa dell’avversario; in particolare, si ritiene che non possono dare luogo al dolo revocatorio né la reticenza, né le false affermazioni compiute negli scritti difensivi, in quanto la falsità di un atto del processo che faccia apparire come esistente un elemento in realtà mancante, può configurare dolo revocatorio della sentenza solo se si inserisce in una macchinazione fraudolenta che abbia concretamente inciso sul principio del contraddittorio sul diritto di difesa o sull’accertamento della verità. b. Se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza, oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali da prima della sentenza (n.2) = la prova falsa può essere sia una prova scritta, sia una costituenda, ad esclusione del giuramento (art.2738); invece, la dichiarazione di falsità deve provenire, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, da una sentenza, civile o penale, passata in giudicato anteriormente alla proposizione dell’istanza di revocazione. c. Se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per una causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario (n.3). d. Se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato (n.6) = si presuppone che il giudice, venendo meno ai propri doveri d’ufficio, abbia consapevolmente pronunciato una sentenza ingiusta, e che questo suo comportamento risulti già irreversibilmente accertato. La revocazione del p.m. può essere proposta nelle cause per le quali è obbligatorio il suo intervento, ai sensi dell’art.70; con questo rimedio, dunque, il p.m. può impugnare sia le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado, sia le sentenze di primo grado per le quali siano scaduti i termini per l’appello (art.397): a. Quando la sentenza sia stata pronunciata senza che gli sia stato sentito. b. Quando la sentenza è l’effetto della collusione poste in essere dalle parti per frodare la legge = l’accordo delle parti deve aver avuto lo scopo di eludere una norma imperativa, ottenendo per sentenza un risultato non ammesso dalla legge. Il termine per la proposizione di questo gravame è di 30 giorni dal giorno in cui p.m. ha avuto conoscenza della sentenza (art.396co.1; è un rimedio straordinario, proponibile anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza); tuttavia, qualora il p.m. abbia notizia della sentenza prima della scadenza del termine per appellare, si ritiene che il rimedio utilizzabile sia l’appello, il cui termine di proposizione sarà eventualmente prorogato. La revocazione si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, ma, in caso di dolo di questo, la causa può essere assegnata allo stesso magistrato o essere decisa da un collegio di cui faccia parte un giudice che è stato già presente nel collegio precedente; la citazione deve essere poi sottoscritta da un difensore munito di procura speciale, e deve contenere, a pena di inammissibilità: l’indicazione del motivo di revocazione (in caso di revocazione straordinaria, anche la dimostrazione dei fatti sopravvenuti posti alla base della domanda); l’indicazione e la prova del giorno della scoperta o dell’accertamento del dolo o della falsità, o del recupero dei documenti (art.398co.2-3)  se la domanda è proposta davanti al tribunale o alla Corte d’appello, l’atto di citazione deve essere depositato in cancelleria, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dalla notificazione, unitamente ad una copia autentica della sentenza impugnata (le altre parti devono costituirsi nello stesso termine). La domanda di revocazione può essere dichiarata inammissibile (art.398) o improcedibile (art.399) e può essere rigettata nel merito, se il giudice ritiene infondati i motivi dedotti, oppure può essere accolta e, in tal caso, con la sentenza che pronuncia la revocazione, il giudice decide il merito della causa dispone l’eventuale restituzione di ciò che sia conseguito con la sentenza impugnata  le sentenze possono essere impugnate con gli stessi mezzi di impugnazione originariamente ammessi con la sentenza impugnata fatta eccezione per la revocazione (art.403) Può essere, infine, che la sentenza, emessa in grado di appello o in unico grado, sia impugnabile tanto per i motivi che danno adito a ricorso per cassazione quanto per quelli propri della revocazione; in tal caso, la proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre ricorso per cassazione o il procedimento relativo (= i processi di impugnazione possono correre parallelamente e il coordinamento avverrà ex post); tuttavia, il giudice davanti a cui è proposta la revocazione, su istanza di parte, può sospendere l’uno o l’altro fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione (non fino al passaggio in giudicato), qualora ritenga non manifestamente infondata quella proposta (art.398co.4)  gli eventuali esiti: a. Se il ricorso per cassazione è stato respinto prima della conclusione del giudizio di revocazione, questo dovrà proseguire per il controllo sull’esistenza dei vizi revocatori. b. Se la sentenza di merito è stata revocata, e la pronuncia sulla revocazione passa in giudicato prima della conclusione del giudizio di cassazione, l’avvenuta sostituzione della pronuncia impugnata fa cessare la materia del contendere nel giudizio di cassazione. c. Se la Corte di cassazione ha accolto il ricorso con una pronuncia di annullamento senza rinvio, non resta materia per una sostituzione della sentenza impugnata con altra decisione del merito, in via di revocazione  il processo di revocazione si conclude con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, se ancora pendente al momento dell’emanazione della decisione della Suprema Corte; invece, se la pronuncia della Cassazione è successiva a quella di accoglimento della domanda di revocazione, essa travolge la pronuncia di revocazione stessa come atto dipendente dalla sentenza cassata in quanto trova la sua ragione giustificatrice nella stessa sentenza che è stata oggetto del duplice giudizio di impugnazione. d. Se la Corte di cassazione ha accolto il ricorso con rinvio ad altro giudice o ha deciso nel merito della particolare ipotesi considerata nell’art.384, si verificherà o la cessazione della materia del contendere del processo di revocazione o la caducazione della sentenza resa su revocazione, come sentenza dipendente da quella cassata. La revocazione può riguardare sia le sentenze di merito, sia quelle emesse dalla Corte di cassazione. Revocazione delle sentenze di merito Possono essere impugnate per revocazione le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado (art.395): contro le quali, cioè, non è proponibile il mezzo ordinario di gravame; inoltre, possono essere impugnate le sentenze per le quali sia scaduto il termine per l’appello, esclusivamente per i motivi di revocazione straordinaria. Sono poi impugnabili per revocazione: il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo a norma dell’art.647; le ordinanze di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione e di sfratto per morosità; il lodo rituale, solo per i motivi di revocazione straordinaria; il decreto con cui la Corte d’appello provvede sul reclamo contro il decreto che abbia dichiarato inammissibile la domanda proposta contro lo Stato, per il risarcimento del danno ingiusto provocato dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni. Revocazione delle sentenze della Cassazione Attualmente, l’art.391bis disciplina congiuntamente due rimedi esperibili avverso le sentenze della cassazione: la correzione e la revocazione; per quest’ultima ipotesi, sono soggetti, sia pure soltanto per errore di fatto, tutte le sentenze della Corte di cassazione, anche se rese su ricorso per cassazione fondato su motivi diversi dalla nullità della sentenza o del procedimento. La revocazione della sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione può essere richiesta dalla parte interessata con ricorso ai sensi degli artt.365ss. da notificare entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notificazione della sentenza o di 1 anno dalla pubblicazione della stessa (art.391bis co.1); decorsi tali termini, la sentenza della Corte non potrà più essere revocata per errore di fatto e rimarrà dunque vincolante nella statuizione che esprime, benché inficiata dall’errore che sarebbe potuto essere riparata. La sentenza che accoglie l’opposizione avrà un contenuto sia rescindente che rescissorio e riformerà la pronuncia impugnata nella misura in cui ciò sia necessario per la tutela del diritto del terzo, lasciandola per il resto valida ed efficace tra le parti (= vale a rendere inopponibile la sentenza nei confronti del terzo); qualora, invece, l’opposizione venga respinta o dichiarata inammissibile o improcedibile, è prevista la condanna dell’opponente a una pena pecuniaria (2 euro)  in assenza di una norma limitativa, la sentenza è impugnabile con tutti i rimedi previsti contro le sentenze emesse in quel grado da quel giudice. PARTE I: IL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA Aspetti generali Il processo esecutivo costituisce l’oggetto della disciplina contenuta nel III libro del codice di procedura civile, che ha come fine l’attuazione pratica, materiale, in via coattiva o forzata (= attraverso l’impiego effettivo e potenziale della forza), da parte dell’ordinamento, di quella determinata regola di diritto. I soggetti ai quali fa capo l’attività processuale esecutiva sono, da un lato, l’organo esecutivo che opera nel quadro di un ufficio giudiziario (tribunale) sotto il controllo di un giudice, e, dall’altro, i soggetti che corrispondono a coloro che nel processo di cognizione sono l’attore e il convenuto, cioè quei soggetti che rispettivamente chiedono o nei cui confronti si chiede la tutela giurisdizionale esecutiva (creditore e debitore). La domanda all’organo esecutivo è proposta verbalmente ed è sempre preceduta da una serie di atti (notificazione del titolo esecutivo e del precetto) che restano ancora al di fuori del processo esecutivo vero e proprio, del quale costituiscono un preannuncio; inoltre, la domanda esecutiva ha effetto interruttivo della prescrizione, sia un effetto istantaneo di cui all’art.2943c.c e sia quello permanente di cui all’art.2945co.2c.c. L’attività propria dell’organo esecutivo si estrinseca in atti che, quando incidono direttamente sul mondo materiale, presentano i caratteri delle operazioni; l’attività del giudice, invece, si estrinseca in provvedimenti la cui natura è perlopiù ordinatoria ed assume le forme dell’ordinanza e del decreto, perché la sentenza rimane propria ed esclusiva dell’attività di cognizione  il principio della domanda e quello dell’impulso di parte ispirano la disciplina del processo esecutivo in modo analogo a quello del processo di cognizione; inoltre, opera il principio della disponibilità dell’oggetto per il processo, che non determina l’ambito di un giudizio, bensì l’oggetto di un’attività esecutiva, che talora è predeterminato dallo stesso ambito del diritto da portare ad esecuzione, ferma comunque la possibilità della litispendenza esecutiva, con la conseguente riunione dei procedimenti ai sensi dell’art.273. Quanto al principio dell’uguaglianza delle parti e il principio del contraddittorio, le profonde differenze emergono dai rilievi con secondo cui l’uguaglianza delle parti è soltanto formale, poiché l’esecuzione si compie per attuare il diritto dell’una contro l’altra, mentre il contraddittorio prescinde dalla contrapposizione dialettica delle parti concernendo solo le modalità dell’esecuzione, sul fondamento di ragioni di opportunità. I diversi tipi di esecuzione forzata e di processo esecutivo Poiché la funzione dell’esecuzione forzata consiste nel dare esecuzione concreta e materiale ai diritti, questa esecuzione deve essere, almeno tendenzialmente, esatta e completa; perciò, il principio di effettività, che ispira la disciplina del processo in generale nella sua funzione unitaria comprendente cognizione ed esecuzione, presuppone che il processo deve far conseguire al creditore tutto quello è proprio quello che gli ha diritto di conseguire (Chiovenda)  l’obiettivo dell’attività esecutiva sta nell’attuare il diritto nella sua identità specifica (ex. consegna o rilascio proprio di quella certa cosa, art.2930). Tipi di processo esecutivo che realizzano l’esecuzione forzata in forma specifica sono quelli strutturalmente più semplici: sono l’esecuzione forzata per consegna di cose mobili o rilascio di immobili, attraverso la quale il creditore della consegna o del rilascio può conseguire la disponibilità materiale di cosa determinata cosa mobile o immobile (art.2930), nonché l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare attraverso la quale il creditore può conseguire la medesima specifica prestazione di fare o l’eliminazione di quanto fatto in violazione dell’obbligo di non fare (artt.2931- 2933); prima di questi due tipi di esecuzione forzata in forma specifica, tuttavia, il codice disciplina l’esecuzione forzata in forma generica o quella per espropriazione, il cui processo è molto complesso poiché: da un lato, verificandosi raramente la possibilità di rinvenire denaro liquido nel patrimonio del debitore, vi è la necessità conseguente di espropriare i suoi beni per convertirli in denaro costringendo così l’ordinamento ad una serie di atti che hanno funzione solo strumentale; dall’altro, la trasformazione dei beni del debitore in denaro consente ad eventuali altri creditori di utilizzare gli atti compiuti dal primo procedente, realizzando così un concorso con ripartizione proporzionata ai rispettivi diritti. L’azione esecutiva e il titolo esecutivo come unica condizione dell’azione esecutiva Mentre l’attività di cognizione si fonda sull’affermazione del diritto sostanziale per pervenire al suo accertamento, l’attività di esecuzione forzata si fonda sull’accertamento del diritto sostanziale per pervenire alla sua attuazione concreta in via fattiva  il processo esecutivo tende all’esecuzione materiale del diritto sostanziale, e ciò presuppone il già avvenuto accertamento di tale diritto e, dunque, l’azione esecutiva deve essere condizionata da un accertamento che al tempo stesso non può essere condizionata da null’altro che da un accertamento, purché si tratti di uno idoneo a rappresentare o a documentare il diritto all’organo che deve eseguirlo, senza necessità di altri accertamenti e valutazioni interpretative. Questo accertamento, che appare come la sola vera condizione dell’azione esecutiva, deve essere consacrato in un documento come in una fotografia, cosicché l’organo esecutivo possa operare senza preoccuparsi della sua eventuale non corrispondenza con la realtà (= efficacia incondizionata del titolo); inoltre, è presente anche l’accertamento del diritto sostanziale come esistente e come suscettibile di esecuzione forzata, cioè il titolo esecutivo (= atto di accertamento contenuto in un documento che costituisce la condizione necessaria sufficiente per procedere all’esecuzione forzata), nel quale si esauriscono le condizioni dell’azione esecutiva, poiché l’interesse ad agire/legittimazione ad agire/possibilità giuridica si riducono ad elementi impliciti nell’accertamento stesso. L’azione di cognizione è un diritto autonomo dal diritto sostanziale, poiché si rivolge verso un soggetto diverso dal soggetto passivo del diritto sostanziale e tende ad una prestazione diversa da quella alla quale tende il diritto sostanziale: la tutela giurisdizionale mediante cognizione (idem per l’azione esecutiva); inoltre, tale azione è un diritto astratto dal diritto sostanziale poiché sussiste indipendentemente dall’esistenza di quest’ultimo, a differenza dell’azione esecutiva che è un diritto in certa misura astratto da quello sostanziale, poiché presuppone soltanto il titolo (= sufficiente grado di accertamento del diritto). L’azione di cognizione è poi diritto all’attività giurisdizionale fino ad un ad un provvedimento sul merito, che l’attore postula a lui favorevole, ma che potrebbe anche risultare sfavorevole; invece, l’azione esecutiva è diritto all’attività giurisdizionale esecutiva fino al suo atto conclusivo, che è preordinato alla soddisfazione del diritto, ma che potrebbe anche non conseguire tale soddisfazione per ragioni contingenti. L’azione esecutiva e, dunque, un diritto autonomo ed astratto, condizionato in maniera necessaria e sufficiente da un titolo esecutivo, ed avente per oggetto la prestazione dell’attività giurisdizionale esecutiva fino al suo compimento in funzione della soddisfazione del diritto accertato nel titolo, ed indipendentemente dall’effettivo conseguimento di questa soddisfazione. I soggetti del processo esecutivo Al centro dell’attività esecutiva sta l’organo esecutivo (ufficiale giudiziario) che, in questo contesto, è più che altro un ausiliario del giudice, il quale opera nell’ambito di un ufficio giudiziario (tribunale e giudice di pace), anche se le funzioni decisorie spettano al giudice dell’esecuzione nel ruolo di tribunale in composizione monocratica. L’azione esecutiva spetta al soggetto che nel titolo risulta creditore e nei confronti del soggetto che nel titolo risulta come debitore, tenendo presente che questi due soggetti, secondo la terminologia propria del processo di cognizione, sarebbero invece le parti legittimate o giuste parti. In questo contesto, il terzo assume un ruolo fondamentale perché, nonostante non siano i creditori o debitori del titolo, possono comunque essere legittimati all’opposizione nel processo esecutivo (espropriazione presso terzi ed intervento dei terzi/concorso nell’espropriazione). I presupposti del processo di esecuzione La nozione dei presupposti processuali può essere facilmente adattate al processo esecutivo: nel processo di cognizione, con tale espressione ci si riferisce a quei requisiti che devono esistere prima della proposizione della domanda affinché il processo possa pervenire ad una pronuncia sul merito, anziché arrestarsi ad una pronuncia sul processo; invece, per quanto riguarda il processo esecutivo, l’adattamento di questa nozione riguarda oltre che la determinazione del momento di proposizione della domanda (= atto col quale, dopo gli atti introduttivi e preparatori, ci si rivolge all’organo esecutivo per chiedere il pignoramento/consegna/rilascio di cose mobili o immobili; atto con cui si chiede al tribunale la determinazione delle modalità dell’esecuzione degli obblighi di fare o non fare oppure si chiede al giudice dell’esecuzione l’assegnazione o la vendita delle cose soggette a pegno/ipoteca), la precisazione di ciò che è condizionato dai requisiti in discorso, anche l’individuazione delle particolarità con le quali, in caso di mancanza di quei requisiti, può comunque avvenire all’arresto del processo. I singoli presupposti processuali sono: a. Competenza = a norma del D.P.R. 1229/1959 (art.106), l’ufficiale giudiziario ha competenza funzionale ed esclusiva per compiere gli atti del proprio ministero nell’ambito della circoscrizione al quale è addetto, cioè al luogo di compimento dell’atto e non alla competenza dell’autorità giudiziaria; tuttavia, con riguardo alla competenza per materia, il d.lgs.116/2017 ha provveduto a trasferire al giudice di pace la competenza per il processo esecutivo di espropriazione forzata su beni mobili, ma solo a partire dal 31 ottobre 2021 (art.15bis). In merito alla competenza per territorio, invece, questa spetta: al giudice del luogo ove le cose si trovino, se si tratta di esecuzione su cose mobili o immobili (se si tratta di esecuzione su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, competente è il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza/domicilio/dimora/sede, art.26co.1-2); al giudice del luogo dove il debitore ha la residenza/domicilio/dimora/sede, nel caso di espropriazione forzata di crediti (a meno che il debitore non sia una delle PA indicate dall’art.413co.5, perché in questo caso è competente il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza/domicilio/dimora/sede, art.26bis); al giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto in caso di esecuzione degli obblighi di fare o non fare (art.26co.3). In caso di competenza relativa alle cause di opposizione nel processo esecutivo, il codice, con riguardo la distribuzione della competenza tra giudici di tipo diverso, fa riferimento al criterio del valore (art.17) mentre, per quanto riguarda il territorio, l’art.27 si riferisce al luogo dell’esecuzione o a quello dove si svolge l’esecuzione. b. Legittimazione processuale = ha le medesime regole disciplinate dagli artt.75ss. (ex. in caso di società di persone, la legittimazione processuale spetta a questa in quanto dotata di autonomia soggettiva giuridica, e non ai singoli soci). procedere all’esecuzione forzata, e più precisamente il proposito di esercitare l’azione esecutiva che si fonda su quel titolo esecutivo, per il conseguimento di quel diritto e con quella portata soggettiva, che emerge dal titolo  lo scopo è quello di offrire al debitore l’ultima possibilità di eseguire il proprio obbligo spontaneamente evitando di subire l’esecuzione e le relative spese, e la possibilità di conoscere tutti gli elementi dell’azione esecutiva pronunciata per valutare le concrete possibilità di contestarne la legittimità, prima ancora del suo effettivo esercizio. L’art.479co.1 enuncia che se la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto; il co.2, poi, dispone che la notificazione del titolo esecutivo va fatta alla parte personalmente, a norma degli artt.137ss., però, quando si ha a che fare con il titolo esecutivo costituito dalla sentenza di primo grado, occorrerà la doppia notificazione della sentenza (al difensore costituito ai fini del decorso del termine breve per impugnare, e alla parte personalmente ai fini della preparazione all’esecuzione); tuttavia, in caso di morte del debitore prima dell’inizio dell’esecuzione forzata, l’art.477co.2 dispone che, agli effetti dell’esercizio dell’azione esecutiva contro gli eredi, la notificazione del titolo esecutivo può essere effettuata, entro 1 anno dalla morte del debitore, agli eredi, collettivamente e impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto. Precetto e notificazione Secondo il disposto dell’art.480co.1, il precetto consiste nell’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo, entro un termine non minore di 10 giorni, salva l’autorizzazione di cui all’art.482, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata  è un atto tipicamente recettizio, nel senso che non produce alcun effetto se non in quanto portato a conoscenza del suo di destinatario. La notificazione deve avvenire personalmente, e quindi il codice esclude la possibilità di avvalersi dello strumento del difensore; invece, per quanto concerne l’autore dell’atto, il precetto deve essere sottoscritto a norma dell’art.125, cioè a norma di una disposizione che contempla, per gli atti di parte, la sottoscrizione della parte personalmente o del difensore. L’art.480co.2-3 indica poi i requisiti del precetto in aggiunta all’intimazione ad adempiere che ne è l’elemento essenziale: non è richiesta l’indicazione dell’ufficio giudiziario innanzi al quale si svolgerà l’esecuzione, ma è richiesta la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione (artt.26-26bis; se effettuata si determina il luogo di competenza per l’opposizione del precetto, altrimenti competente sarà il giudice del luogo della notificazione del precetto e l’eventuale opposizione può essere notificato al creditore mediante deposito presso la cancelleria del giudice); sono richiesti, a pena di nullità, i requisiti dell’indicazione delle parti e dell’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo (2 sono le eccezioni: quando il creditore si avvalga della facoltà di redigere il precetto di seguito al titolo esecutivo, e di notificarlo insieme a questo purché la notificazione sia fatta al debitore personalmente; quando il titolo esecutivo è costituito da cambiale o altro titolo di credito, da scrittura privata autenticata o da accordo di conciliazione concluso nella procedura di mediazione o di negoziazione assistita). La notificazione del precetto consiste nella consegna, da parte dell’ufficiale giudiziario, al destinatario di una copia autentica dello stesso, debitamente sottoscritta e la consegna è da documentarsi nella relazione di notificazione in calce ad entrambe le copie dell’atto di precetto  la sua efficacia è limitata a 90 giorni dalla notificazione: se entro tale termine l’esecuzione forzata non viene iniziata, l’avvenuta notificazione non è più utilizzabile (art.481), nel senso che per dare validamente inizio all’esecuzione occorre un nuovo atto di precetto da notificare; tuttavia, il codice (art.482) dispone che il capo dell’ufficio giudiziario competente per l’esecuzione o un giudice da lui delegato può, se vi è pericolo nel ritardo, autorizzare l’esecuzione immediata (con decreto scritto in calce al precetto e trascritto nella copia da notificarsi), eventualmente subordinando la concessione alla prestazione, da parte del creditore procedente, di una cauzione. L’espropriazione L’art.2910c.c. enuncia che il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può far espropriare i beni del debitore secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile; perciò, l’espropriazione forzata è quel tipo di procedimento esecutivo che consiste nel sottrarre coattivamente al debitore determinati beni appartenenti al suo patrimonio e nel trasformarli in denaro per destinarli alla soddisfazione del creditore, in attuazione della loro funzione di garanzia generica dei crediti che consegue alla responsabilità patrimoniale con tutti i beni presenti e futuri ex.art.2740c.c.  al fine di evitare la necessità di ricorrere all’espropriazione forzata, sono stati introdotti, dal d.l.59/2016, 2 nuovi istituti: il pegno non possessorio (art.1 = il creditore, che abbia concesso un credito a favore dell’imprenditore, ottiene, garanzia del suo credito, un pegno non possessorio su beni mobili non registrati destinati all’esercizio dell’impresa, sui quali soddisfarsi in caso di inadempimento del debitore, con modalità diverse dall’espropriazione forzata) e il patto marciano (art.2 = il finanziamento all’imprenditore viene garantito a favore del creditore da un particolare patto, stipulato al momento della conclusione del contratto di finanziamento o anche successivamente trascritto nei registri immobiliari, che prevede il trasferimento al creditore della proprietà di un immobile o di un altro diritto immobiliare dell’imprenditore o di un terzo). L’espropriazione colpisce preferibilmente il denaro del debitore e i suoi beni che siano più facilmente trasformabili in denaro, come titoli di credito e gli oggetti preziosi (art.517co.2); tuttavia, può comunque colpire ogni bene idoneo ad essere trasformato in denaro: beni mobili/credito/beni immobili; perciò 3 sono le ipotesi di espropriazione: mobiliare presso il debitore (= denaro e altri beni mobili); presso terzi (= crediti del debitore o altre cose mobili appartenenti a questo, ma non nella sua disponibilità perché presso terzi); immobiliare (= beni immobili)  la disciplina dell’espropriazione riguarda anzitutto le modalità per sottrarre la disponibilità giuridica del debitore e vincolare i beni del debitore stesso (pignoramento) e, quindi, per trasformarli coattivamente in denaro (vendita forzata, salvo il caso dell’assegnazione diretta); inoltre, la disciplina concerne le modalità per passare, col denaro conseguito, a soddisfare sia il creditore che ha assunto l’iniziativa (creditore procedente), sia gli eventuali altri creditori che abbiano approfittato di questa iniziativa per partecipare alla ripartizione del denaro (creditori intervenienti). Il codice consente, in linea generale, al creditore di valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione, anche se il debitore può opporsi per ottenere dal giudice dell’esecuzione un’ordinanza non impugnabile che limiti l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o a quello che il giudice stesso determina (art.483), tenuto conto anche dei crediti degli intervenienti. Il giudice dell’esecuzione e i suoi provvedimenti L’art.484co.1 afferma che l’espropriazione è diretta da un giudice, cioè quello dell’esecuzione, il quale si differenzia dal giudice competente per l’esecuzione poiché con quest’ultimo ci si riferisce a quel giudice-ufficio giudiziario nel cui ambito può svolgersi una determinata esecuzione forzata, mentre il giudice dell’esecuzione è un organo impersonato da una determinata persona fisica di magistrato, da designarsi volta per volta (art.484co.2), così come avviene per il processo di cognizione. L’art.484co.4 dispone che si applicano al giudice dell’esecuzione le disposizioni degli artt.174-175, cioè le norme che concernono l’immutabilità del giudice e i poteri direttivi ed ordinatori del procedimento a lui attribuiti; inoltre, l’art.487 prevede che i provvedimenti del giudice siano adottati con ordinanza non reclamabili dinanzi al collegio, salvo che per le ordinanze concernenti l’estinzione del processo (art.630). L’iscrizione a ruolo e la formazione del fascicolo d’ufficio L’art.484co.2 dispone che la designazione del giudice dell’esecuzione è compiuta dal presidente del tribunale su presentazione, a cura del cancelliere, del fascicolo entro 2 giorni dalla sua formazione; tale fascicolo sarebbe quello dell’esecuzione ex. art.488, che il cancelliere deve formare per ogni procedimento di espropriazione e nel quale sono inseriti tutti gli atti compiuti dal giudice, dal cancelliere e dall’ufficiale giudiziario e gli atti e documenti depositati dalle parti e dagli eventuali interessati (il cancelliere provvede immediatamente dopo l’iscrizione a ruolo del processo per espropriazione). Oltre all’iscrizione a ruolo, che avviene mediante presentazione alla cancelleria del giudice della nota di iscrizione a ruolo, da effettuarsi con modalità telematiche, il creditore deve anche provvedere a depositare, presso la cancelleria del giudice competente, il titolo esecutivo e il precetto, con copie conformi, la cui conformità all’originale è attestata dall’avvocato del creditore; inoltre, il titolo esecutivo deve essere inserito nel fascicolo dell’esecuzione in originale, salva l’autorizzazione del giudice a depositare, in luogo dell’originale, una copia autentica, con l’obbligo di presentare quella vera ad ogni richiesta del giudice (art.488co.2). L’art.159ter disp.att. ammette poi che, ove prima che il creditore provveda all’iscrizione a ruolo sia depositato un atto o un’istanza ad opera di un soggetto diverso dal creditore procedente, questi deve depositare la nota di iscrizione a ruolo e una copia dell’atto di pignoramento; inoltre, l’istanza di iscrizione a ruolo potrebbe provenire dall’ufficiale giudiziario e, in tal caso, all’iscrizione provvede d’ufficio il cancelliere; infine, il deposito telematico della nota di iscrizione a ruolo può essere effettuato anche dei difensori delle parti precedentemente costituite, dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria e dai dipendenti delle PA dei i quali questi si avvalgono per stare in giudizio  in ogni caso, quando l’iscrizione a ruolo avvenga ad opera di un soggetto diverso dal creditore procedente, quest’ultimo deve comunque provvedere, a pena di inefficacia del pignoramento, al deposito delle copie conformi del titolo esecutivo e del precetto e si applica l’art.164ter disp.att. ai fini delle dichiarazioni di inefficacia del pignoramento. Nel corso del processo di espropriazione, i poteri ordinatori e direttivi fanno capo al giudice dell’esecuzione, davanti al quale si svolge l’udienza per l’autorizzazione alla vendita o all’assegnazione delle cose pignorate e si possono svolgere anche eventuali altre udienze richieste dalla legge o disposte dallo stesso giudice dell’esecuzione, quando questi ritiene necessario sentire le parti ed eventualmente altri interessati; in tal caso, il giudice fissa l’udienza con decreto da comunicarsi a cura del cancelliere, col quale dispone la comparizione delle parti e degli eventuali altri interessati davanti a lui, la cui audizione configura un incontro rilevante anche sotto il profilo di una possibile apertura al contraddittorio (art.485). Al giudice dell’esecuzione possono essere rivolte, dalle parti e dagli altri interessati, domande ed istanze, che sono, di regola, proposte oralmente quando avvengano in udienza e con ricorso da depositarsi in cancelleria (art.486). L’art.490 tratta poi il tema della pubblicità che deve essere data a taluni avvisi di atti dell’espropriazione che possono interessare il pubblico: il co.1 prevede il caso in cui debba essere data pubblica notizia ad un atto esecutivo, con l’inserimento del relativo avviso sul portale del Ministero della giustizia, in un’area pubblica denominata portale delle vendite pubbliche, con le modalità indicate e a pena di estinzione del processo esecutivo; il co.3 prevede poi come facoltativa l’inserzione dell’avviso uno o più volte sui quotidiani di informazione locali aventi maggiore diffusione, omettendo l’indicazione del debitore; infine, in caso di espropriazione di beni mobili registrati per un valore superiore a 25.000 € e di beni immobili, l’avviso deve essere inserito in appositi siti Internet almeno 45 giorni prima del termine per la presentazione delle offerte o della data dell’incanto (art.490co.2). Il pignoramento L’art.491 enuncia solennemente che l’espropriazione forzata si inizia col pignoramento; in linea generale, si può affermare che la funzione del pignoramento consista nel vincolare determinati beni del debitore alla soddisfazione del creditore procedente che agisce, nonché alla soddisfazione dei crediti per i quali altri creditori siano successivamente intervenuti nell’espropriazione (= vincolo L’art.499co.2 precisa poi che l’intervento si effettua con un ricorso da depositarsi prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, che deve essere redatto con l’assistenza di un difensore munito di procura e contenere l’indicazione del credito e quella del titolo di esso, la domanda di partecipazione alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione; invece, se l’intervento è successivo all’udienza (tardivo) dà diritto soltanto a partecipare la distribuzione della parte di ricavato, che sopravanza dopo che siano soddisfatti i diritti del creditore pignorante, di quello privilegiato e di quello chirografario intervenuti tempestivamente, purché l’intervento avvenga prima del provvedimento di distribuzione dell’espropriazione mobiliare (art.528) e prima dell’udienza nell’espropriazione immobiliare (art.565). Vendita forzata, assegnazione e distribuzione del ricavato L’atto di impulso processuale immediatamente successivo al pignoramento è un’istanza che il creditore pignorante ha l’onere di rivolgere al giudice dell’esecuzione e con la quale chiede la vendita forzata dei beni pignorati o la loro assunzione/assegnazione in pagamento; per tale istanza, il codice prevede un termine acceleratorio di non oltre 45 giorni dal pignoramento (art.497), ma anche uno dilatorio: l’istanza non può, infatti, essere proposta se non sono decorsi 10 giorni dal pignoramento, tranne che si tratti di cose deteriorabili. A seguito dell’istanza, il giudice dell’esecuzione provvede a disporre la vendita o l’assegnazione con le modalità particolari a ciascun tipo di espropriazione: a. Vendita forzata = ha la funzione di trasformare i beni pignorati in denaro liquido (non avviene quando il pignoramento abbia colpito una somma di denaro), e viene effettuata con modalità che variano nei diversi tipi di espropriazione; in merito alla sua natura giuridica, la vendita forzata differisce dal comune contratto di compravendita poiché questa avviene prescindendo totalmente dalla volontà di colui che sarebbe il venditore, i cui effetti sono quelli configurati dagli artt.2919c.c., i quali stanno in correlazione con la prevalenza degli elementi processualistici. b. Assegnazione forzata = consiste nell’attribuzione diretta del bene pignorato al creditore sulla base di un determinato valore: se non vi è stato l’intervento di altri creditori, la soddisfazione del solo creditore procedente avviene attraverso una sorta di datio in solutum, la cui determinazione del valore del bene assegnato serve solo a stabilire se il creditore sia soddisfatto totalmente o parzialmente; invece, se si è verificato l’intervento di altri creditori, la determinazione del valore dei beni assegnati serve anche a stabilire l’importo del ricavato, affinché siano fatte salve le spese di esecuzione e le ragioni di prelazione. Se l’assegnazione ha ad oggetto un credito, questa opera come cessione pro solvendo (art.2928c.c.): l’assegnazione è compiuta, a richiesta del creditore, dal giudice dell’esecuzione con l’ordinanza ex. art.507. La fase del processo espropriativo, che segue la vendita forzata o l’assegnazione, consiste nella distribuzione della somma ricavata che è formata da quanto proviene a titolo di prezzo o conguaglio delle cose vendute o assegnate, aumentata di eventuali accessori (art.509): se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, la somma ricavata viene attribuita al creditore procedente fino a soddisfazione del credito, degli interessi e delle spese (il giudice provvede con ordinanza, sentito il debitore, art.510co.1); invece, se vi sono intervenienti, il provvedimento del giudice effettuerà un riparto proporzionale (progetto di distribuzione), secondo le modalità proprie di ciascun tipo di espropriazione, tenendo conto dei privilegi e delle cause di prelazione, e previo accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo (= l’accantonamento è disposto dal giudice per il tempo ritenuto necessario affinché i creditori possano munirsi di titolo esecutivo e comunque per un periodo di tempo non superiore a 3 anni, dopodiché, su istanza di una delle parti o anche d’ufficio, il giudice dispone la comparizione davanti a sé del debitore, del creditore procedente e dei creditori intervenuti non ancora integralmente soddisfatti e provvede alla distribuzione della somma accantonata, anche a favore dei creditori intervenuti che si siano muniti di titolo esecutivo). In sede di distribuzione, il creditore procedente e ciascuno dei creditori intervenuti possono assumere evidentemente delle posizioni di reciproco contrasto poiché la concorrenza di ciascun credito può diminuire la percentuale di soddisfazione di tutti gli altri  in questo contesto può verificarsi una reciproca contestazione dei crediti: l’art.512 affida quindi al giudice dell’esecuzione il potere di decidere la contestazione nell’esercizio dei suoi poteri ordinatori, e cioè con ordinanza impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art.617 (il giudice può anche sospendere, in tutto o in parte, la distribuzione della somma ricavata). Di conseguenza, all’accertamento del credito oggetto di contestazione si perviene attraverso un procedimento articolato in 2 fasi: una a cognizione sommaria (si conclude con ordinanza) e l’altra a cognizione piena ed esauriente, che è eventuale e si apre con l’opposizione da proporre nelle forme e nei termini di cui all’art.612 e si conclude con sentenza impugnabile con l’appello. L’esecuzione diretta o in forma specifica L’art.2930 enuncia l’eseguibilità specifica dell’obbligo di consegnare una cosa mobile o di rilasciare una cosa immobile con le forme disciplinate dalla legge (artt.605-611); in questo contesto, il codice dispone che il precetto, la cui notificazione deve precedere l’inizio del procedimento stesso, ha qui un requisito in più, e cioè la descrizione sommaria dei beni sui quali si intende procedere con l’esecuzione per consegna o rilascio (art.605co.1)  in merito ai titoli esecutivi idonei a fondare questa esecuzione, sono quelli indicati dall’art.474co.2-3, cioè sentenze/provvedimenti giudiziari/altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva/atti ricevuti dal notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. In secondo luogo, il codice contempla l’eventualità che, nel corso dell’esecuzione, sorgano delle difficoltà che non ammettano dilazione, stabilendo che ciascuna parte può chiedere al giudice dell’esecuzione i provvedimenti temporanei occorrenti (art.610), revocabili e modificabili; in terzo luogo, il giudice dell’esecuzione ha la funzione di liquidare le spese dell’esecuzione con un decreto che costituisce titolo esecutivo (art.611). Il procedimento per consegna di cose mobili si realizza con un semplice atto dell’ufficiale giudiziario, a seguito di richiesta, anche verbale, del creditore della consegna; infatti, dopo l’esaurimento degli atti preliminari all’esecuzione, il creditore può rivolgere la richiesta all’ufficiale giudiziario, il quale si reca sul luogo in cui le cose si trovano e le ricerca con le modalità stabilite dall’art.513, dopodiché se ne impossessa e ne fa consegna alla parte istante o a persona da lui designata (art.606). Nell’esecuzione per il rilascio di immobili, le forme procedimentali sono meno semplici: l’art.608 enuncia che l’esecuzione inizia con la notifica dell’avviso con il quale l’ufficiale giudiziario comunica almeno 10 giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l’immobile, il giorno e l’ora in cui procederà; in questo caso, nel giorno e nell’ora stabiliti, l’ufficiale giudiziario si reca sul luogo dell’esecuzione e immette la parte istante, o una persona da lei conosciuta, nel possesso dell’immobile, del quale le consegna le chiavi; tuttavia, qualora l’immobile sia detenuto da terzi (ex. conduttori o affittuari), la cui detenzione non impedisce il trasferimento del possesso, l’ufficiale giudiziario ingiunge a tali eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore (art.608co.2), ma, qualora il terzo detentore vanti un titolo di possesso autonomo da quello del debitore, l’esecuzione non può proseguire fino a quando non sia stata respinta l’opposizione nella quale la pretesa del detentore dovrebbe concretarsi e alla quale il detentore sarebbe legittimato in quanto assoggettato all’esecuzione, e fino a quando il creditore non si sia munito di un titolo nei confronti del terzo. Qualora l’immobile presenti dei beni mobili estranei all’esecuzione, l’art.609 prevede che l’ufficiale giudiziario intimi alla parte tenuta al rilascio o a colui al quale gli stessi beni mobili risultino appartenere di asportarli, assegnandogli il relativo termine, ma laddove ciò non accadesse, lo stesso ufficiale giudiziario, su richiesta e a spese della parte istante, determina il valore presumibile di realizzo dei beni e indica le prevedibili spese di custodia e di asporto (il proprietario dei beni può comunque chiedere la consegna oltre al termine, ma prima che sia disposta la vendita/smaltimento/distruzione, co.4). L’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare Con questa forma di esecuzione forzata specifica si realizzano gli obblighi positivi di fare o quelli, originariamente negati, consistenti nel divieto di fare, ma che sono divenuti positivi in quanto trasformati nell’obbligo di eliminare ciò che sia stato fatto in violazione dell’originario obbligo di non fare (artt.2931-2933c.c.). Il limite all’utilizzazione di questo strumento processuale non è dato dalla natura del diritto da cui è sorto l’obbligo di fare o di non fare, ma soltanto dall’obiettiva possibilità dell’esecuzione forzata, in quanto questo avviene prescindendo dalla volontà dell’obbligato o addirittura contro la sua volontà; infatti, l’art.612 riconduce chiaramente il procedimento alla sentenza di condanna, lasciando intendere di ritenere questo tipo di titolo esecutivo come l’unico idoneo a fondare l’esecuzione in argomento. In questo procedimento le funzioni del giudice dell’esecuzione hanno un ruolo necessario ed essenziale, poiché è previsto, come atto base per l’intero successivo iter procedimentale, un provvedimento del giudice, da chiedersi con ricorso a cura del creditore istante e la cui funzione consiste nella determinazione delle modalità dell’esecuzione; più precisamente, il creditore istante deve inoltrare al giudice dell’esecuzione un ricorso con il quale chiede che siano determinate le modalità dell’esecuzione (art.612co.1) e il giudice dovrà anzitutto attuare il contraddittorio (= disporre l’audizione delle parti) e, dopodiché, pronunciare il provvedimento (ordinanza) con il quale determinerà le modalità dell’esecuzione, designando anche l’ufficiale giudiziario che dovrà procedere all’esecuzione e le persone che dovranno provvedere al compimento dell’opera non eseguita o all’eliminazione di quella già compiuta (co.2). L’attuale testo dell’art.614bis (esecuzione indiretta) prevede che con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro, il giudice deve fissare su richiesta di parte la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, oppure per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento  il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza e il giudice determinerà l’ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. Le opposizioni nel processo esecutivo Sul piano concettuale, il rapporto tra le opposizioni e il processo esecutivo emerge come conseguenza di quella efficacia incondizionata del titolo esecutivo; la sussistenza di questa condizione dà già per acquisita la certezza giuridica nella misura sufficiente perché possa attuarsi l’esigenza di attuazione pratica del diritto, chi è la funzione propria del processo esecutivo. L’opposizione all’esecuzione Il capo 1° del Titolo V del Libro III del codice dedicato alle opposizioni del debitore e del terzo assoggettato all’esecuzione, è ripartito in tre sezioni dedicate rispettivamente all’opposizione all’esecuzione, all’opposizione agli atti esecutivi e alle opposizioni in materia di lavoro di previdenza e di assistenza  l’opposizione può essere proposta da tutti coloro che in concreto subiscono l’esecuzione, cioè coloro i quali la parte istante attribuisce o pretende di attribuire il ruolo L’opposizione del terzo nel processo esecutivo Alle due possibili reazioni del soggetto passivo dell’esecuzione, il codice contempla la possibilità di un’opposizione da parte di un soggetto che, pur essendo terzo rispetto al processo esecutivo, viene di fatto coinvolto in esso, in modo che, se l’esecuzione giungesse al suo epilogo, costui subirebbe l’ingiusto sacrificio dei suoi diritti; questo fenomeno si verifica tipicamente nell’espropriazione, quando accade che il pignoramento colpisca per errore beni appartenenti non al debitore, bensì ad un terzo  quando ciò accade, il codice lascia l’iniziativa per contestare la legittimità dell’esecuzione direttamente al terzo, attribuendogli la legittimazione a proporre un’opposizione, con le forme e le caratteristiche del giudizio di cognizione, in contraddittorio con il creditore e il debitore, nonché gli eventuali creditori pignoranti; il conseguente autonomo giudizio di cognizione dà poi luogo ad un accertamento che è determinante sulla legittimità del pignoramento e degli atti successivi. Il codice, nel disciplinare quest’opposizione, ne determina l’oggetto nella pretesa del terzo di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati (art.619co.1), ossia con una formula che riassume il fenomeno e che sembra non lasciar margine né per far valere i vizi del procedimento, né per una sua applicazione a fenomeni analoghi  tale opposizione non è assoggettata a termini di preclusione; tuttavia, la necessità di tener conto dei diritti di coloro che, per effetto dell’espropriazione, siano divenuti acquirenti delle cose pignorate, si pone un limite alla funzionalità dell’opposizione, a partire dal momento della vendita o dell’assegnazione. Il procedimento è il medesimo per l’opposizione all’esecuzione; tuttavia, se in udienza le parti non raggiungono un accordo, il giudice provvede ai sensi dell’art.616, altrimenti l’art.619 stabilisce che il giudice ne dà atto adottando ogni altra decisione idonea ad assicurare la prosecuzione del processo esecutivo o ad estinguere il processo, statuendo altresì anche sulle spese. I procedimenti speciali in generale Il libro IV del codice di procedura civile contiene la disciplina di una serie di procedimenti che non hanno altro in comune se non la loro specialità, cioè la loro divergenza dall’ordinario processo a cognizione piena, disciplinato nel libro II del codice; in realtà, con riguardo alla minore o maggiore intensità delle divergenze, è possibile inquadrare in almeno quattro gruppi questi procedimenti speciali: 1. Procedimenti speciali di cognizione = il primo gruppo comprende quei procedimenti che sono speciali perché, nonostante divergano dalla disciplina del processo ordinario di cognizione, queste divergenze non investono le caratteristiche proprie dell’attività giurisdizionale di cognizione; a questo gruppo appartengono poi le due figure principali di quelle condanne speciali: il procedimento per ingiunzione e il procedimento per convalida di licenza o sfratto (ad essi si aggiungono altri procedimenti quali la separazione dei coniugi o il divorzio). 2. Procedimenti speciali di attività cautelare = il secondo gruppo comprende procedimenti che sono speciali perché divergono dal giudizio ordinario di cognizione per il fatto che hanno le caratteristiche funzionali e strutturali dell’attività cautelare: sono procedimenti speciali nel senso generalissimo per cui con essi si attua un tipo particolare di attività giurisdizionale caratterizzato dalla strumentalità rispetto al risultato della cognizione o dell’esecuzione; inoltre, questi procedimenti presentano la caratteristica della sommarietà, così come gli accertamenti con prevalente funzione esecutiva (= procedimenti cautelari, ex. sequestri/denuncia di nuova opera). 3. Procedimenti speciali di giurisdizione volontaria = il terzo gruppo comprende procedimenti che sono speciali nel senso che divergono dal procedimento ordinario di cognizione non solo perché non hanno le caratteristiche proprie della cognizione, ma anche perché queste possono dirsi quasi giurisdizionali. 4. Semplificazione dei riti = introdotti dal d.lgs.150/2011, alcuni riti speciali di cognizione, in precedenza contenuti in diverse leggi speciali, sono stati ricondotti ai tre diversi modelli processuali policistici del rito ordinario di cognizione, del lavoro e del procedimento sommario di cognizione, ma con l’aggiunta di specifiche disposizioni speciali che valgono solo con riferimento a questi procedimenti disciplinati dal decreto. I procedimenti sommari di accertamento con prevalente funzione esecutiva Il procedimento d’ingiunzione è un tipo particolare di procedimento di cognizione, e più precisamente di condanna; esso appartiene alla categoria di quegli accertamenti definibili come accertamenti con prevalente funzione esecutiva in quanto caratterizzati, dal punto di vista della funzione, dall’esigenza di conseguire il più rapidamente possibile il titolo esecutivo e con esso l’avvio dell’esecuzione forzata, nonché, dal punto di vista strutturale, dalla sommarietà della cognizione (= costituisce lo strumento strutturale per mezzo del quale la legge vuole conseguire lo scopo di ottenere la rapida formazione di un titolo esecutivo). In relazione a ciò, è evidente che i casi nei quali la sommarietà della cognizione appare possibile sono quelli nei quali il giudizio può risultare più semplice e più probabile l’effettiva esistenza del diritto che si fa valere, sia per la natura e l’oggetto del diritto stesso, sia per la particolare attendibilità della prova offerta a fondamento di quel diritto; in secondo luogo, appare evidente che la sommarietà della cognizione deve assolvere a 2 esigenze che di solito sono tra loro contrastanti: eliminare la complessità del giudizio ordinario di cognizione in funzione dell’esigenza del contraddittorio e non eliminare le garanzie di uguaglianza insite nel contraddittorio stesso. Per far fronte alla prima esigenza, è stato creato un espediente, cioè quello di articolare il procedimento in 2 fasi: 1. La prima (necessaria e a cognizione sommaria) si instaura ad iniziativa di chi fa valere un diritto di credito, si svolge senza contraddittorio e si conclude con una pronuncia del decreto ingiuntivo resa inaudita altera parte. 2. La seconda può svolgersi ad eventuale iniziativa di colui nei cui confronti è stato pronunciato il decreto ingiuntivo (c.d. debitore ingiunto) e nella quale quest’ultimo può ovviare al pregiudizio che può aver subito per la sommarietà della cognizione nella prima fase (= può, entro un breve termine perentorio proporre un’opposizione che fa instaurare un giudizio che si svolge con un contraddittorio differito, e che è di primo grado in quanto si sostituisce interamente a quello svoltosi sommariamente nella prima fase). Presupposti specifici del procedimento L’art.633 indica i requisiti necessari per poter impiegare le forme del procedimento di ingiunzione: 1. Diritto che si può far valere = in base all’art.633co.1, le forme del procedimento di ingiunzione possono essere impiegate soltanto per far valere un credito in senso ampio (= ogni diritto o un altro tipo di prestazione); inoltre, tale credito deve essere esigibile e deve avere ad oggetto o una somma di denaro o una quantità di cose fungibili, purché sia liquida (= precisata nel suo importo) e che sia determinata; infine, il credito può avere ad oggetto la consegna di una cosa mobile determinata  questi requisiti che riguardano il diritto fatto valere, devono concorrere con il requisito della prova scritta; tuttavia, quando il credito ha per oggetto onorari o rimborso di spese a favore di avvocati o procuratori/onorari di notaio o di altri esercenti per una professione per la quale esiste una tariffa legalmente approvata, il requisito della prova scritta viene, di regola, sostituito da quello della parcella sottoscritta dal creditore e corredata dal parere della competente associazione professionale (art.636). 2. Prova su cui il diritto si fonda = salvi i casi particolari, di regola l’accesso alle forme del procedimento ingiuntivo dipendono anche dal fatto che del diritto fatto valere si dia prova scritta; tale requisito sta in relazione col fatto che la funzione e la tecnica del procedimento di cui trattasi esigono, da un lato, una forte probabilità di esistenza del credito, e dall’altro una rapida riscontrabilità di tale esistenza o di tale probabilità (art.634, ex. polizze/premesse unilaterali). 3. Modalità particolari per l’ipotesi che il diritto fatto valere dipende da una controprestazione o dall’avverarsi di una condizione sospensiva = in quest’ipotesi, al fine di comprovare l’esigibilità del credito vantato, occorre che il ricorrente offra elementi idonei a far presumere l’adempimento della sua controprestazione o l’avveramento della condizione, a cui l’adempimento del credito fosse sospensivamente condizionato (art.633co.2). La fase senza contraddittorio La domanda introduttiva del procedimento ingiuntivo è proposta con ricorso, la cui differenza più rilevante tra quest’atto e quello di citazione, con cui si propone la domanda nel giudizio ordinario a cognizione piena, sta nel fatto che esso ha la struttura formale di un atto che si rivolge direttamente al giudice senza previamente provocare l’altra parte al contraddittorio (= contiene solo la proposizione della domanda al giudice e non anche la vocatio in ius della controparte). Quanto al contenuto, il ricorso non si differenzia dalla citazione: deve corrispondere al contenuto che risulta dall’art.125 e contenere oltre all’indicazione del giudice competente, del creditore ricorrente e del debitore, anche le esposizione del fatto e l’affermazione del credito, l’elezione del domicilio e l’indicazione delle prove che si producono (art.638); inoltre, quando la domanda riguarda la consegna di una quantità di cose fungibili, il ricorrente deve dichiarare, nel ricorso, la somma di denaro che è disposto ad accettare in mancanza della prestazione in natura (art.639). Una volta redatto, il ricorso, corredato della procura e sottoscritto dal difensore, viene depositato nella cancelleria del giudice competente, insieme ai documenti che costituiscono la necessaria prova scritta. Giudice competente è quello che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria (art.637co.1); tuttavia, va tenuta presente una particolarità che consegue a rilievo che la funzione e la struttura di questa prima fase esigono una pronuncia immediata: quando la competenza spetta al tribunale, il codice impone che la proposizione del ricorso avvenga al tribunale in composizione monocratica. Il ricorso viene sottoposto immediatamente dal cancelliere all’esame del giudice, il quale, pronunciandosi inaudita altera parte, può rigettare o accogliere la domanda: il rigetto (art.640) consegue al difetto di uno o più dei presupposti e requisiti specifici oppure ad un’insufficiente prova del credito (in tal caso il giudice prima di pronunciare il rigetto deve disporre che il cancelliere inviti il ricorrente ad eventualmente integrare la documentazione: se ciò non avviene, il giudice rigetta la domanda con decreto motivato che però non pregiudica la riproposizione della stessa domanda); invece, se esistono i presupposti previsti e la domanda risulti fondata, il giudice accoglie la domanda pronunciando, in calce al ricorso, un decreto motivato da emettere entro 30 giorni dal deposito del ricorso con il quale ingiunge al ritenuto debitore di pagare la somma entro il termine di 40 giorni dalla notificazione del decreto (se residente in uno degli altri Stati dell’UE, il termine è di 50 giorni, abbreviabile a 20, altrimenti è di 60, ma non può essere inferiore a 30 o superiore a 120), nel quale è contenuto anche l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere proposta dallo stesso intimato l’opposizione che introduce la seconda fase, o che il suddetto termine trascorrerà senza che l’opposizione sia stata proposta e quindi si procederà ad esecuzione forzata. Il codice contempla poi alcune ipotesi eccezionali nelle quali il decreto ingiuntivo deve o può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo su istanza del ricorrente (art.642): Per quanto riguarda la fase dell’opposizione, l’art.17 del Reg. prevede che il procedimento prosegue in conformità delle norme del procedimento europeo per le controversie di modesta entità laddove applicabile, oppure di un rito processuale civile nazionale appropriato, lasciando alla legislazione dei singoli Stati la disciplina del passaggio e il procedimento dell’eventuale opposizione. Il provvedimento ingiuntivo è pronunciato dall’autorità competente del singolo Stato membro sulla scorta del contenuto del modulo di domanda ed è soggetto ad opposizione del debitore in un termine di 30 giorni dalla notifica; ove tale opposizione non sia proposta, il provvedimento acquista efficacia esecutiva in tutti gli Stati membri che è automatica, senza necessità di exequatur, né di altre certificazioni o attribuzioni. L’opposizione del debitore comporta l’estinzione del procedimento, laddove il ricorrente abbia manifestato una volontà in tal senso nell’iniziale domanda di ingiunzione; inoltre, la notificazione al convenuto del provvedimento ingiuntivo dovrà avvenire con le modalità di cui agli artt.13-14 del Regolamento, mentre l’eventuale provvedimento di rigetto lascia aperta la possibilità di riproposizione. Le disposizioni comuni ai procedimenti cautelari La disciplina dei procedimenti cautelari in generale è unitaria perché si applica a tutti i procedimenti cautelari in quanto compatibili, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali; tuttavia, tale disciplina unitaria non è esaustiva, in quanto va integrata con la disciplina dettata nelle sezioni successive con riguardo ai singoli procedimenti cautelari. In ogni caso, questa disciplina si articola in 3 fasi: 1. Fase di autorizzazione = ha caratteristiche strutturali simili a quelle dell’attività di cognizione e si svolge, su domanda dell’interessato, in funzione della pronuncia di un provvedimento che ha la forma del decreto o dell’ordinanza e ha il contenuto di una pronuncia di autorizzazione della misura cautelare; più precisamente, con tale provvedimento il giudice, previo riscontro dell’esistenza dei presupposti e delle condizioni di fondatezza dell’azione cautelare, autorizza o nega la misura. 2. Fase della sua attuazione/esecuzione = ha caratteristiche strutturali assimilabili a quelle dell’esecuzione forzata, ma sta in un rapporto assimilabile a quello che sussiste tra il titolo esecutivo e l’esecuzione forzata. 3. Fase di impugnazione con reclamo = consente un controllo ad opera di un giudice diverso sul provvedimento autorizzativo, mediante la proposizione del reclamo. La prima fase inizia, ai sensi dell’art.669bis con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente, che deve contenere i requisiti generali, oltre all’indicazione delle condizioni proprie dell’azione cautelare e all’indicazione del provvedimento cautelare richiesto; inoltre, in caso di domanda cautelare ante causam, essa deve contenere anche gli elementi individuatori della proponenda azione per il merito. L’individuazione del giudice competente è compiuta nei successivi articoli che disciplinano, in modo organico, la competenza nei procedimenti cautelari in generale, distinguendo le due ipotesi della domanda proposta anteriormente all’introduzione della causa sul merito e della domanda proposta in corso di causa e ispirandosi al principio della maggior possibile coincidenza tra il giudice della cautela e il giudice del merito: - Qualora la causa non sia ancora pendente, l’art.669ter co.1 enuncia che la domanda si propone al giudice competente a conoscere del merito e, se questo è il giudice di pace, la domanda si propone al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace. - Se il giudice italiano non è competente a conoscere del merito, la domanda si propone al giudice che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare (co.3). - Se la causa sia già pendente per il merito, il ricorso va proposto al giudice della stessa (all’istruttore se la causa pende innanzi al tribunale in composizione collegiale o al presidente del tribunale che si limita a designare il magistrato al quale è affidata la trattazione del procedimento). - Se la causa pende innanzi al giudice di pace, l’istanza si propone al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace. - Se è pendente il termine per proporre l’impugnazione, la domanda si propone al giudice che ha pronunciato la sentenza. - Per il caso di pendenza del giudizio innanzi al giudice straniero, senza che quello italiano sia competente a conoscere del merito, viene indicato il giudice del luogo in cui dovrebbe essere eseguito il provvedimento cautelare. - Se il giudizio pende in grado di appello, la domanda va proposta al giudice dell’appello. - Se il giudizio pende innanzi agli arbitri (anche in un rituale) o che la controversia sia oggetto di convenzione arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. Per quanto concerne l’attività procedimentale, il codice si limita ad affermare che le parti vengono sentite (art.669sexies), ma nulla in merito al potere dell’altra parte di replicare al ricorso con un atto difensivo scritto  il co.1 afferma che sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, il giudice procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda; tuttavia, il co.2 prevede che quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il giudice provvede inaudita altera parte con decreto motivato (in tal caso deve anche fissare l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a 15 giorni, assegnando all’istante un termine perentorio non superiore ad 8 per la notificazione del ricorso e del decreto; a tale udienza, il giudice, con ordinanza, conferma/modifica/revoca i provvedimenti emanati con decreto). Provvedimento di rigetto L’art.669sexies evidenziano che la forma del provvedimento cautelare, sia quello dell’ordinanza, mentre quella del decreto nel solo caso del provvedimento reso inaudita altera parte; con riguardo al contenuto, il provvedimento può essere di rigetto in due casi: 1. Incompetenza = l’ordinanza di incompetenza non preclude la riproposizione della domanda. 2. Rigetto in merito = non preclude la riproposizione della domanda, a condizione che si verifichino mutamenti nelle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. Tale provvedimento, che chiude il procedimento cautelare, pronuncia definitivamente sulle spese stesse (immediatamente esecutive e sottoponibili a reclamo, art.669terdecies) e sull’eventuale condanna per responsabilità aggravata. Provvedimento di accoglimento L’art.669octies si riferisce all’ipotesi del provvedimento di accoglimento per disciplinare un meccanismo che fa dipendere il permanere dell’efficacia del provvedimento dall’introduzione del giudizio di merito, innanzi all’ufficio giudiziario che ha pronunciato il provvedimento cautelare, in un termine perentorio non superiore a 60 giorni, da fissarsi con l’ordinanza di accoglimento (in mancanza di fissazione, è comunque di 60 giorni). I successivi commi esibiscono una disciplina particolare per l’efficacia dei provvedimenti d’urgenza di cui all’art.700, delle denunce di nuova opera o danno temuto e dei provvedimenti cautelari a contenuto anticipatorio; infatti, questi provvedimenti restano efficaci (non implica il giudicato) anche in mancanza di proposizione del giudizio di merito, salva la loro revocabilità e modificabilità in caso di mutamento delle circostanze (in realtà il co.6 tempera questa disposizione a livello temporale, mentre il co.7 afferma che il giudice può provvedere sulle spese del procedimento cautelare anche prima dell’inizio della causa di merito). L’art.669undecies dispone che il provvedimento di accoglimento/conferma/modifica può contenere l’imposizione alla parte istante, previa valutazione di ogni circostanza, di una cauzione per l’eventuale risarcimento dei danni; l’art.669novies, invece, disciplina l’iter di dichiarazione dell’inefficacia: la parte interessata a ciò può proporre ricorso al giudice che abbia emesso il provvedimento e, in calce a tale ricorso, lo stesso giudice emette un decreto che convoca le parti, il quale va notificato all’altra parte; all’udienza, se non c’è contestazione, il giudice dichiara con ordinanza l’inefficacia del provvedimento dando le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione, altrimenti l’ufficio giudiziario deve decidere con sentenza provvisoriamente esecutiva, salva la possibilità di emanare in corso di causa i provvedimenti di cui all’art.669decies. Infine, l’ultimo comma dell’art.669novies disciplina la perdita di efficacia del provvedimento cautelare nei casi in cui la causa di merito appartiene alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato italiano o estero; infatti, la norma dispone che, in questi casi, il provvedimento perde efficacia nel caso che: dopo la pronuncia della sentenza straniera o del lodo arbitrale, la parte che ha chiesto il provvedimento cautelare non presenti domanda di esecutorietà in Italia della sentenza straniera o del lodo arbitrale entro i termini previsti a pena di decadenza; se sono pronunciati sentenza straniera o lodo arbitrale, che dichiarino inesistente il diritto per il quale il provvedimento cautelare era stato concesso. Revoca e modifica del provvedimento cautelare L’iniziativa rivolta alla revoca o la modifica si distingue da quella propria del reclamo perché, a differenza di quest’ultima, non contesta l’originaria con cedibilità del provvedimento, ma fa valere mutamenti sopravvenuti; l’art.669decies prevede a riguardo che, nel corso dell’istruzione del giudizio di merito, la revoca o la modifica possono essere disposte dal giudice istruttore della causa in merito, su istanza di parte e con ordinanza, anche se il provvedimento cautelare è stato emesso anteriormente alla causa, ma solo se si siano verificati mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. L’art.669duodecies disciplina le modalità di attuazione dei provvedimenti cautelari: quelli aventi ad oggetto somme di denaro nelle forme del pignoramento in quanto compatibili; quelli aventi ad oggetto obblighi di consegna/rilascio/fare o non fare sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, il quale ne determina anche modalità di attuazione; ogni altra questione che va proposta nel giudizio di merito. In merito alla fase di impugnazione, l’art.669terdecies ha introdotto l’istituto del reclamo contro i provvedimenti cautelari, configurandolo come un’impugnazione in senso ampio, ma con caratteristiche proprie, in funzione di una nuova pronuncia nell’esercizio degli stessi poteri da parte di un giudice, che è diverso da quello che ha pronunciato il primo provvedimento; questa nuova pronuncia ha, tuttavia, il carattere della provvisorietà, che ne implica la naturale caducazione per effetto della pronuncia negativa sul merito  va proposto con ricorso nel termine perentorio di 15 giorni dalla pronuncia di udienza, oppure dalla comunicazione o notificazione se anteriore; giudice competente per il reclamo contro i provvedimenti del giudice singolo o del tribunale è lo stesso tribunale in composizione collegiale, mentre se il provvedimento cautelare è stato emesso dalla Corte d’appello, il reclamo si propone ad un’altra sezione della Corte o, in mancanza, alla Corte d’appello più vicino; infine, nei casi in cui il tribunale decide in composizione collegiale, il reclamo andrà proposto ad altra sezione dello stesso ufficio giudiziario o, in mancanza, al tribunale più vicino. Il procedimento è disciplinato dagli artt.737-738, dai quali si desume che il tribunale può assumere informazioni, ma senza che ciò implichi l’attribuzione di ulteriori poteri inquisitori; il co.4 stabilisce poi che le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo devono fumus boni iuris (= verosimile fondatezza della domanda in base agli elementi di diritto di fatto che vengono rappresentati) e il periculum in mora (= possibilità che, per il tempo necessario celebrare il processo ordinario di cognizione, il diritto fatto valere venga compromesso irrimediabilmente). Per finire, la particolare strumentalità e sussidiarietà della tutela d’urgenza esige che, nei casi in cui tale tutela è chiesta ante causam, il ricorso introduttivo contenga la formulazione o comunque l’indicazione della domanda di merito, che funge da punto di riferimento per individuare i presupposti della tutela cautelare e per valutare l’efficacia del provvedimento richiesto a neutralizzare il pericolo che minaccia il diritto. Il procedimento sommario di cognizione È un procedimento che nasce nel 2009 riguarda solo cause di cognizione a pertinenti alla competenza del tribunale e limitatamente a quelle nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica; si tratta di un procedimento strutturato in 2 fasi, la prima delle quali è quella cognizione sommaria e rispetto alla quale la seconda, con le forme dell’appello a cognizione piena, sopperisce a tutte le insufficienze garantistiche conseguenti alla sommarietà della prima fase, aprendo la via ad una pronuncia idonea a passare in giudicato, nel rispetto dei principi costituzionali del giusto processo  si tratta di un procedimento semplificato, ma nel suo complesso non cautelare ed a cognizione non superficiale. Per l’introduzione del procedimento sommario è stata scelta la forma del ricorso, il quale deve contenere, a pena di nullità: i. Indicazione del tribunale adito. j. Nome/cognome/residenza dell’attore e il nome/cognome/residenza/domicilio/dimora del convenuto o delle persone che li rappresentano. k. Qualora l’attore o il convenuto o entrambi siano persone giuridiche o associazioni non riconosciute o comitati, la denominazione o la ditta con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza. l. La determinazione dell’oggetto della domanda. m. L’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni. n. L’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti; o. Il nome cognome del procuratore se sia già stata rilasciata la procura. p. Avvertimento di cui all’art.163co.3, n.7. Tale ricorso deve essere sottoscritto dal difensore o dalla parte, in caso di difesa personale, e deve essere depositato nella cancelleria del giudice per la fissazione dell’udienza; a seguito della sua presentazione, il cancelliere forma poi il fascicolo d’ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento  il giudice designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto che deve avvenire non oltre 10 giorni prima dell’udienza, e a tal fine il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno 30 giorni prima per la data fissata per la sua costituzione. Il convenuto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dall’ricorrente a fondamento della domanda, indicando i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni (art.702bis). Per quanto concerne la chiamata in causa del terzo, l’art.702bis prevede espressamente che, se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza; a questo punto, il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. Lo svolgimento della fase sommaria L’art.702ter dispone che il giudice: a. Se ritiene di essere incompetente, lo dichiara con ordinanza impugnabile solo con regolamento di competenza ex.art.42. b. Se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’art.702bis, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile e allo stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale. c. Se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l’udienza di cui all’art.183. d. Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un’istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione. e. Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che più ritiene opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande. La forma delle determinazioni del giudice è, in ogni caso, l’ordinanza (provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione), con la quale viene chiusa la prima fase e il primo grado del procedimento sommario: o per ragioni di rito (inclusa la questione di incompetenza); o per inammissibilità della trattazione della domanda principale secondo il procedimento sommario; o per decisione nel merito. L’appello avverso l’ordinanza e la sua idoneità al giudicato La sommariaetà delle forme che caratterizza la prima fase del giudizio esige che nella seconda fase siano ammissibili ed esercitabili tutte quelle facoltà che appartengono alla pienezza del diritto di difesa e che erano rimaste comprese nella prima fase; per questo motivo, l’appello avverso l’ordinanza sommaria è oggetto di una disciplina speciale riconosciuta dall’art.702quater, sulla base dell’introduzione di un filtro di ammissibilità della richiesta. L’ordinanza può essere appellata entro 30 giorni dalla sua comunicazione o notificazione e, in mancanza di disposizioni diverse, l’appello si propone con citazione davanti alla Corte d’appello competente; inoltre, l’appello proposto avverso l’ordinanza del procedimento sommario non è sottoposto al preventivo vaglio di ammissibilità circa la ragionevole probabilità di essere accolto nel merito (= filtro in appello, art.348bis), e quindi il giudice deve sempre procedere alla trattazione dell’appello proposto anche quando dovesse apparire infondato. Per quanto riguarda l’oggetto dell’appello, originariamente si prevedeva che in appello fossero ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti qualora il collegio li ritenesse rilevanti ai fini della decisione, mentre oggi essi vengono assunti qualora siano indispensabili, cioè necessari per poter riformare/confermare l’ordinanza appellata; oltre a questa modifica, è stato aggiunto che possono essere proposti anche i mezzi di prova e quei documenti che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel corso del procedimento di primo grado per causa ad essa non imputabile, e comunque il presidente del collegio può sempre delegare l’assunzione dei nuovi mezzi di prova ad uno dei membri del collegio. I procedimenti in camera di consiglio Si tratta di attività gestatoria del diritto privato affidata ad organi giurisdizionali, per la quale il legislatore non ha dettato una disciplina autonoma ed organica, ma si è limitato a dedicare l’intero spazio ai procedimenti in camera di consiglio che costituiscono un tentativo di disciplina unitaria e paradigmatica per questi procedimenti  l’art.742 afferma che le disposizioni comuni costituiscono un nucleo di disciplina applicabile a tutti i procedimenti che si svolgono davanti ad organi giurisdizionali ed operano in senso genericamente costitutivo e presentano le caratteristiche strutturali della revocabilità/modificabilità o comunque della non idoneità a dar luogo alla cosa giudicata; in pratica, questo nucleo di disciplina si applica interamente o nella misura risultante delle singole norme di richiamo, a procedimenti che di solito hanno ad oggetto materie diverse dei diritti e degli status o che non risolvono posizioni di contrasto né assolvono ad esigenze di tutela. Giudice competente per questo tipo di procedimento è di regola il tribunale, al quale conduce l’espressione in camera di consiglio, tenendo presente che giudicherà in composizione collegiale, salvo che non sia altrimenti disposto; la domanda si propone con ricorso, che viene inoltrato direttamente al giudice per il tramite della cancelleria e, di regola, non sussiste l’onere del patrocinio di un avvocato. Una volta presentato il ricorso, il presidente nomina, tra i componenti del collegio, un relatore che ha il compito di riferire in camera di consiglio e che preliminarmente provvede ad una succinta attività di istruzione con un eventuale riscontro in merito alla necessità o di opportunità che al procedimento partecipino eventuali altri interessati o contro interessati ai quali pertanto il giudice può disporre che il ricorso venga notificato ad opera del ricorrente, insieme al decreto di fissazione dell’adunanza camerale. Se deve essere sentito il p.m., gli atti sono a lui previamente comunicati ed egli stende le sue conclusioni in calce al provvedimento del presidente, così esaurendo l’assolvimento all’onere della sua partecipazione (art.738co.2); successivamente, il giudice può anche compiere una vera e propria istruzione probatoria, la quale si ritiene che sia necessaria ed esercitabile anche mediante i poteri istruttori ufficiosi ed in applicazione analogica della disciplina sul processo ordinario di cognizione, quando il procedimento camerale abbia ad oggetto la tutela di diritti soggettivi e venga utilizzato dal legislatore anche al di fuori dell’esercizio della giurisdizione volontaria. Il provvedimento assume la forma di decreto motivato, salvo che la legge disponga altrimenti e l’art.739 configura poi un mezzo di impugnazione, il reclamo, da proporsi al giudice immediatamente superiore entro 10 giorni dalla comunicazione del decreto (dopo di che, il decreto acquista efficacia costitutiva): al tribunale in camera di consiglio contro i decreti del giudice in veste di giudice tutelare e alla Corte d’appello nei confronti dei decreti del tribunale; contro tale mezzo di impugnazione di regola non ne è ammesso un altro, anche se generalmente è ammesso ricorso per cassazione, nei casi in cui il procedimento camerale abbia ad oggetto la tutela di diritti soggettivi o status. Infine, l’art.742 afferma che i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati, salvi soltanto i diritti acquisiti in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca (= legittimati sono soltanto coloro che furono parti nel procedimento camerale, perché i terzi possono solo chiederne l’annullamento); inoltre, tali provvedimenti sono anche contestabili nella loro legittimità, sia attraverso la disapplicazione qualora rilevino incidentalmente in giudizio per la tutela di diritti o status, sia con l’actio nullitatis o con un’azione autonoma, anche ad opera di coloro che furono parti nel relativo procedimento. La semplificazione dei riti La semplificazione e riduzione dei riti speciali di cognizione era l’obiettivo del l.lgs.150/2011, che si presenta tuttavia come una sorta di testo unico di alcuni riti speciali, in precedenza contenuti in diverse leggi speciali; tale decreto si articola in 5 capi, il primo dei quali, intitolato disposizioni generali, fissa le regole applicabili a tutte le controversie interessate e funge anche da raccordo con stesso e deve essere allegato all'atto introduttivo dell’eventuale giudizio  con questo procedimento sono previsti degli incentivi di carattere fiscale, con riferimento: a. Atti del procedimento = è prevista un'esenzione generalizzata dell'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. b. Verbale di conciliazione = vi è un’esenzione dall' imposta di registro fino al limite di valore di 50.000 €. c. Indennità da corrispondere al mediatore = s’intende un credito di imposta a favore di chi ha versato l’indennità, commisurato alla stessa, ma solo in caso di successo della mediazione e fino alla concorrenza di 500 € (mentre, in caso contrario, il credito d'imposta è ridotto alla metà)  L’indennità spettante all' organismo, in realtà, non è dovuta, nei casi in cui la procedura di mediazione è prevista come condizione di procedibilità della domanda oppure disposta dal giudice oppure dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, previo deposito presso l'organismo di apposita autocertificazione della documentazione necessaria. Mediazione obbligatoria Seppure inizialmente sia stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’originaria previsione di mediazione obbligatoria, è stata reintrodotta dal legislatore, secondo cui chi intenda esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia (in materia di: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, atti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), è tenuto, assistito dall'avvocato, ad esperire preliminarmente il procedimento di mediazione  in questi casi, il suo esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’eventuale improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza, il cui rilievo determina conseguenze diverse a seconda che: a. La procedura di mediazione sia stata già iniziata e non conclusa = il giudice deve limitarsi a fissare la successiva udienza dopo la scadenza del termine massimo previsto per la conclusione della procedura di mediazione dell’art.6 (3 mesi). b. La procedura di mediazione non sia stata iniziata = si procederà nello stesso modo, ma assegnando contestualmente alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della relativa domanda di mediazione all'organismo prescelto. Quando l'esperimento del procedimento di mediazione sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo; invece, se il contratto/statuto/atto costitutivo dell'ente prevedono una clausola di mediazione/conciliazione e non sia stata preventivamente esperita la procedura di mediazione, il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine (3 mesi)  allo stesso modo, il giudice o l'arbitro, fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. Il preventivo esperimento obbligatorio della mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti cautelari, né preclude la trascrizione della domanda giudiziale, né trova applicazione per le azioni collettive di classe; infine, va escluso: - Nei procedimenti per ingiunzione fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione dopo la proposizione dell'opposizione al decreto ingiuntivo. - Nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito. - Nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite. - Nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti ex. art.703co.3. - Nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata. - Nei procedimenti in camera di consiglio. - Nei casi in cui l'azione civile sia esercitata nel processo penale. Mediazione delegata dal giudice Il giudice, anche in sede di giudizio d'appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Tale metodo è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, oppure quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa; inoltre, il giudice deve fissare la successiva udienza dopo la scadenza del termine (3 mesi) e quando la mediazione non sia già stata avviata, assegnando contestualmente alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Procedura di mediazione Il regolamento dell’organismo (di mediazione) scelto dalle parti deve garantire la riservatezza del procedimento e assicurare l'imparzialità del mediatore e può provvedere che la procedura si svolga anche secondo modalità telematiche: a. Domanda di mediazione = va presentata all'organismo territorialmente competente per la controversia (= gli organismi di mediazione sono iscritti nel registro del Ministero della giustizia) e determina sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale. b. La procedura di mediazione si svolge senza formalità = accordo amichevole di definizione della controversia: se viene raggiunto l'accordo, si forma processo verbale con allegato l'accordo che viene sottoscritto dalle parti dal mediatore (= il verbale del raggiunto accordo può prevedere anche una misura coercitiva, ex. pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti oppure per il ritardo nel loro adempimento); successivamente, il processo verbale deve essere depositato presso la segreteria dell’organismo e di esso viene rilasciata copia le parti che lo richiedono (= costituisce titolo esecutivo). Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta (avanzata dal mediatore), il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa e condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, con un versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all' esperto; tuttavia, il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento (queste disposizioni non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri, salvo diverso accordo fra le parti). Negoziazione assistita Generalmente si fonda su una scelta volontaria delle parti, che stipulano un’apposita convenzione, ma in alcune specifiche ipotesi costituisce una condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Negoziazione assistita volontaria Consiste in un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere, in via amichevole, la controversia tramite l'assistenza di avvocati; gli elementi essenziali di tale accordo, che va stipulato in forma scritta a pena di nullità e con l'assistenza di uno di uno/più avvocati, sono: - Individuazione del termine per l’espletamento della procedura (non inferiore ad 1 mese e non superiore a 3, prorogabile per ulteriori 30 giorni su accordo delle parti). - Oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili, né vertere in materia di lavoro. Alla stipulazione della convenzione di negoziazione assistita le parti possono pervenire anche attraverso un invito rivolto da una delle parti alla controparte, contenente l'indicazione dell'oggetto della controversia e l'avvertimento che, in caso di mancata risposta entro 30 giorni dalla ricezione o di un suo rifiuto, tale comportamento potrà essere valutato dal giudice ai fini della determinazione delle spese giudiziali  dal momento della comunicazione dell’invito/sottoscrizione della convenzione di negoziazione assistita, si producono sulla prescrizione gli stessi effetti (interruttivi) della domanda giudiziale e della stessa data è impedita la decadenza, per una sola volta. La negoziazione assistita funge da condizione di procedibilità della domanda giudiziale, nel senso che assume la medesima funzione del preventivo esperimento obbligatorio della mediazione; ciò vale, in particolare: - Per le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, a prescindere dal loro valore. - Per quelle aventi ad oggetto pagamento a qualsiasi titolo di somme di denaro non eccedente i 50.000 €. In materia di contratto di trasporto o di sub-trasporto. Laddove la negoziazione assistita non sia stata esperita prima della proposizione della domanda giudiziale, l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza; una volta eccepita/rilevata, il giudice assegna alle parti un termine di 15 giorni per la comunicazione dell’invito a stipulare una convenzione di negoziazione, fissando la successiva udienza dopo la scadenza del termine per la conclusione della procedura (non superiore a 3 mesi)  l’improcedibilità viene meno se, avanzato da una delle parti il prescritto invito, la controparte non risponda, si rifiuti oppure sia decorso il termine per la conclusione della procedura; in ogni caso, la necessità di esperire preventivamente la procedura di negoziazione assistita non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale. Tale procedimento, tuttavia, non trova applicazione: - Nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione. - Nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite. - Nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata. - Nei procedimenti in camera di consiglio. - Nei casi di azione civile esercitata nel processo penale. L’efficacia dell’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita costituisce titolo esecutivo e titolo per l'iscrizione dell’ipoteca giudiziale, ma solo dopo che sia stato sottoscritto dalle parti e
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