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Diritto Processuale Civile, Appunti di Diritto Processuale Civile

Esecuzione forzata, procedimento cautelare, titolo esecutivo, rito di famiglia, rito del lavoro, opposizioni all'esecuzione forzata, decreto ingiuntivo, espropriazione, pignoramento, intervento dei creditori.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 27/05/2024

DESSTER
DESSTER 🇮🇹

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Scarica Diritto Processuale Civile e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE 2 27 febbraio 2024 I poteri del giudice in materia di famiglia, la tutela del minore per quanto riguarda il processo in materia di famiglia. Da studiare dagli appunti della professoressa, dal contributo dato dalla professoressa e dagli articoli. I procedimenti in materia di famiglia e del lavoro non sono sommari né speciali. La prima parte del semestre sarà su procedimenti speciali. I procedimenti in materia di famiglia e lavoro sono di cognizione differenziata è a tutela piena. La cognizione non è sommaria, l’accertamento non è sommario e il rito non speciale. Il rito del lavoro è collocata nel secondo libro, il legislatore voleva che si capisse che fosse una tutela piena ed esauriente prevista per le fattispecie che riguardano il lavoro (contratti a tempo indeterminato). Tutela differenziata con regole diverse che rispondono ad esigenze diverse. Tutela a cognizione piena ed esauriente: stessa validità, efficacia e qualità di una sentenza del giudizio di cognizione. Il legislatore impone il rito del lavoro per delle ipotesi da lui designate. La parte può scegliere se introdurre un semplificato di cognizione o un ordinario di cognizione e c’è una discrezionalità dell’attore. Nel caso del rito del lavoro l’attore non ha discrezionalità deve seguire gli artt. 409 ss c.p.c., nel caso in cui l’attore non utilizzasse questo rito dall’inizio il giudice se ne accorgerà e cambierà il rito e lo sposterà alla sezione speciale del tribunale. Il rito di famiglia è previsto agli artt. 403 bis ss c.p.c. ed è stato introdotto dalla riforma Cartabia. Prima era previsto un procedimento per le fattispecie che riguardavano i coniugi, c’era una convertibilità. La tutela differenziata è dall’inizio a cognizione piena ed esauriente. Il legislatore in maniera di famiglia prende le regole già previste dal codice e trasferisce la materia nel secondo libro, questo trasferimento è molto importante perché si passa da una tutela speciale ad una tutela differenziata a cognizione piena ed esauriente. I procedimenti sommari di cognizione speciali del libro quarto dove la sommarietà emerge in modi diversi. Il procedimento cautelare ha lo scopo di proteggere il diritto fino al procedimento di cognizione ed è quindi strumentale alla tutela dichiarativa. NO LEZIONE IL 12/03, 10/04, CONVEGNO il 09/04 (vale come didattica). PARZIALE 09/04. Faremo una lezione sulle ADR (per vedere le modifiche della cartabia) che confluirà nel parziale. Capitoli per parziale: da 48 a 51, no 52 e 52, saltare fino a 65, no 66, fare cap. 67 da par. 1 al 4 e 8. Sono 121 pagine. Non fare procedimenti possessori dall’art. 703 al 705 c.p.c. e i procedimenti per convalida di sfratto. Tutela differenziata: primo tipo di rito che studieremo: lavoro e famiglia. Tutela sostitutiva che esclude il concorso di alcuni strumenti processuali. C’è il mutamento del rito nei casi di errore sul rito. Altro fenomeno è che i riti differenziati diventano paradigmi: il rito del lavoro è diventato modello che ha ispirato il legislatore della riforma Cartabia, è imposto fuori dal codice di rito con il d. Lgs. 5/2011 decreto sulla semplificazione dei riti civili. Questo decreto contempla riti disparati che non rispondono ad un’unica logica, ci sono tre modelli: cognizione piena, semplificato e modello del lavoro. 1 Perché per il rito del lavoro e per la famiglia c’è una tutela differenziata? Serve a tutelare i soggetti deboli, il rito del lavoro nasce anche in attuazione dell’art. 3 Cost. per riequilibrare posizioni squilibrate la posizione del lavoratore è debole rispetto a quella del datore del lavoro. Oggi non regge del tutto. C’è una cultura che abbraccia di più i diritti dei lavoratori, però nel caso delle grandi aziende c’è sicuramente uno squilibrio di posizione. Anche nel rito di famiglia (rito delle persone dei minorenni e delle famiglie) non ruota solo intorno al minorenne, c’è ad esempio la separazione di coniugi che non hanno figli, le ipotesi di violenza di genere o domestica, ma si ritiene in ogni caso che al centro della tutela differenziata ci sia la necessità di proteggere il soggetto debole ossia il minore, o il maggiore di età con problemi. I procedimenti speciali non rispondono alla tutela differenziata: sono rimessi alla scelta dell’attore (nel caso in cui esistono presupposti per decreto ingiuntivo, l’attore non è obbligato ad instaurare il procedimento monitorio, ma si può scegliere per il sommario o per la cognizione ordinaria). L’aggettivo “sommario speciale” significa che è speciale rispetto alla cognizione ordinaria. L’alternatività lascia all’istante una discrezionalità sugli strumenti di tutela, non c’è obbligo di seguire una strada processuale. Si deve capire dove emerge la sommarietà. Esistono procedimenti sommari con finalità cognitiva esecutiva o cautelari, sono tutti sommaria, ma la sommarietà è diversa, es. Ci può essere sommarietà sulla cognizione del giudice, è diretta ad accertare l'esistenza solo di alcune condizioni, che si riscontra nella tutela cautelare soprattutto. Il giudice cautelare deve accertare il periculum in mora, pregiudizio derivante dal ritardo fisiologico del processo, e il fumus boni iuris, verosimiglianza del diritto, l’azione di chi domanda la tutela sembra essere fondata, il giudice deve essere persuaso che esista il diritto. Si dice che è una tutela sommaria dove la sommarietà emerge nella superficialità della cognizione. C’è anche una sommarietà in senso stretto e si riscontra nel procedimento per decreto ingiuntivo e quello cautelare, nel primo abbiamo una fase sommaria dove manca l’altra parte, cognizione sommaria in senso stretto, non c’è contraddittorio nella fase monitoria, l’istante dialoga solo con il magistrato, deposita il ricorso, chiede il decreto ingiuntivo, se il magistrato crede che esista dà il decreto ingiuntivo, nel caso l’ingiunto dia impulso di volersi opporre ci sarà contraddittorio. Vengono conosciute solo alcune prove e solo la prova scritta. Per il procedimento cautelare si devia dalle regole della cognizione ordinaria, la fase istruttoria è snella e deformalizzata e vengono assunte le prove in modo sommario (assumiamo sommarie informazioni), non si seguono le regole della cognizione ordinaria, non si seguono neanche i parametri che erano prima previsti. L’esigenza cautelare è un’esigenza di urgenza. Ultima caratteristica della tutela sommaria storica è la forma dell’atto introduttiva e la forma del provvedimento conclusivo rispettivamente un ricorso tradizionalmente, non sempre così (ricorso per decreto ingiuntivo, ricorso cautelare, ricorso per rito semplificato di cognizione, ricorso per rito del lavoro/famiglia) questo profilo ha perso importanza perché questi ricorsi hanno quasi tutti gli elementi dell’atto di citazione, il provvedimento conclusivo ha quasi sempre forma di ordinanza o decreto, non sentenza, tranne in alcuni casi. Il decreto ingiuntivo è ipotesi più caratteristica perché può anche essere succintamente motivato. Le tutele speciali del quarto libro e quelle del secondo libro sono differenziati anche perché prima c’era l’ordinanza quando dalla fase sommaria si passa alla fase di cognizione piena. Il provvedimento cautelare strumentale al giudizio di cognizione, se c’è giudizio di cognizione questo provvedimento è assorbito dalla sentenza. L’esecuzione forzata ha come perno il titolo esecutivo. 2 Nell’art. 420 c.p.c. troviamo il fulcro del processo del lavoro. L’udienza si apre con delle verifiche preliminari ed è un processo in cui si vedono sempre parti e giudice, si dovrebbe esaurire tutta l’attività e in teoria tutto potrebbe essere svolto nello stesso identico giorno di udienza. Oggi ciò si realizza quando non c’è bisogno di istruzione o di puro rito. All’inizio era molto più frequente che tutto si realizzasse alla prima udienza. Il tentativo di conciliazione è un passaggio necessario: il giudice interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione, l'interrogatorio libero è fondamentale e ha tre funzioni, la prima è quella di tentare la conciliazione, la seconda è che così viene a conoscenza e chiarisce dei fatti allegati precedentemente e può ascoltare le parti a questo scopo, la terza attività dal contegno delle parti hanno il giudice può trarre degli argomenti di prova. Il giudice tenta la conciliazione delle parti e può formulare la proposta conciliativa sulla base di ciò che lui ha conosciuto, il giudice deve conoscere la causa quando arriva davanti alle parti per poter anche decidere la causa. La conciliazione viene raggiunta e inserita in verbale che è titolo esecutivo. Quando non riesce la conciliazione, il giudice può ritenere la causa già matura per la decisione. Il giudice singolo deve invitare le parti a discutere subito innanzi a sè se ritiene che la causa sia matura per la decisione e pronuncia subito la sentenza. La formula per pronunciare la sentenza: dà la lettura del dispositivo in udienza, può dare lettura anche della sentenza non definitiva, perché l’udienza si possa svolgere per bene è richiesta la presenza necessaria delle parti, lavoratore e datore di lavoro, in persona, presenza necessaria dei difensori, tutte le attività sono compiute in un determinato momento. La causa non è matura per la decisione quando deve essere istruita, la concentrazione è comunque garantita perché nella stessa udienza può ammettere già i mezzi di prova già proposti dalle parti o quelle che le parti non abbiano potuto produrre prima, la consulta è risalita all’idea che anche per il ricorrente i mezzi di prova vadano messi a pena di decadenza. Può ammettere solo i mezzi di prova del ricorrente solo se la mancata produzione è data da un motivo a sé non imputabile. Nel sesto comma dice che il giudice può fissare un’altra udienza. A norma dell’ottavo comma tutta l’assunzione delle prove deve svolgersi nella stessa udienza. (si parla dell’art. 420 c.p.c.) altra particolarità: tutte le comunicazioni e notificazioni nel giudizio ordinario sono fatte a cura della parte, qui sono tutte scelte a cura della cancelleria. Nel corso dell’istruttoria c’è una regola in particolare che rappresenta la sintesi del processo del lavoro e è rappresentata da poteri ampi istruttori d’ufficio svolti dal giudice, il giudice può in nome della verità sostanziale può ammettere d’ufficio dei mezzi di prova che il giudice ritiene importanti per la causa. La giurisprudenza ha fissato dei confini per i poteri istruttori del giudice, l’esercizio del potere istruttorio del giudice che si sta sostituendo alle parti deve essere sempre rispettoso dell’idea che ci sia una tutela differenziata e non diversificata: visti i termini stringenti se le parti non sono state in grado di indicare i mezzi di prova, il giudice possa compensare questa insufficienza probatoria per ricercare la verità per dare ragione a chi ce l’ha, ciò vuol dire che non deve ammettere d’ufficio solo le prove che vanno a vantaggio del lavoratore, deve ammettere però le prove che risultino dagli atti di causa in modo indiretto (es. documento a cui fanno riferimento gli atti, ma non allegato), la condizione essenziale è che il giudice non deve andare a vantaggio di una parte o dell’altra e non deve bypassare la regola dell’onere della prova. La parte che si avvantaggia del potere istruttorio deve aver dato una semipoena probatoria, deve esserci una prova non piena (giudice non può accogliere la domanda) però non è una prova totalmente assente, il giudice ha in quel caso degli elementi per dedurne una prova. Altra particolarità dei mezzi istruttori attribuiti dalle parti: i mezzi di prova possono essere ammessi anche fuori dai termini previsti dal codice, la prova testimoniale è ammessa anche in relazione ai contratti altrimenti non avrebbe mai trovato mai spazio nel rito del lavoro, anche perché nel 99% si fonda su 5 contratti di lavoro. I poteri istruttori vengono esercitati nell’art. 420 c.p.c. c’è quindi introduzione della causa, tentativo di conciliazione, istruzione e la decisione, tutto in un’unica udienza. La decisione La decisione avviene nella stessa udienza ex art. 429 c.p.c. il giudice decide dando lettura del dispositivo (comando giudiziale) alle parti e dal 2008 dà una lettura di una concisa motivazione della sua decisione. Solo nelle cause particolarmente complesse il giudice può depositare la motivazione entro 60 giorni successivi dalla causa. Questo attribuisce alla discussione orale una particolare importanza. La pronuncia può essere completa (dispositivo e motivazione) o incompleta (dispositivo), si può impugnare subito se contiene solo il dispositivo? Nel processo del lavoro si può fare, perché c’è una particolarità degli effetti esecutivi. Tutte le sentenze di condanna sono provvisoriamente esecutive, ma queste lo sono di più, le sentenze con condanna a favore del lavoratore sono provvisoriamente esecutive, ma all’esecuzione si può procedere solo alla base del dispositivo, quindi avendo solo il dispositivo, il lavoratore può ricorrere subito sul dispositivo. La parte soccombente potrebbe impugnare la sentenza, ma qui manca la sentenza, subisce l’esecuzione, ma sa che lui ha ragione e appella allora il dispositivo: si prevede una tutela tecnica speciale che avvantaggia il lavoratore e che si deve compensare con la possibilità di non subire una sentenza ingiusta per il datore di lavoro. Il datore di lavoro soccombente potrà proporre impugnazione con riserva dei motivi quindi solo al fine di bloccare l’esecuzione → espressione di tutela differenziata. Quando la sentenza è a favore del datore di lavoro le sentenza sono anch’esse provvisoriamente esecutive, ma solo la sentenza e non il dispositivo e quella sentenza è assoggettata alle regole generali artt. 282 e 283 c.p.c. Questa è la struttura particolare tanto per l’esecutorietà del processo del lavoro tanto per quanto riguarda l’impugnazione (appello con riserva dei motivi - si appella solo il dispositivo) è un’espressione di tutela differenziata, esigenze particolari del rapporto di lavoro. Art. 420 bis c.p.c. norma inserita nel 2006 sorge la questione pregiudiziale, il giudice prima di arrivare a decidere sul diritto che rientra in un contratto collettivo, il giudice deve capire cosa dice un contratto collettivo che ha efficacia erga omnes (parametri minimi di tutela - quasi efficacia di legge), il giudice deve capire come interpretare il contratto collettivo e deve risolvere la questione pregiudiziale per risolvere la causa, ricorda il rinvio pregiudiziale, l’interpretazione del contratto collettivo è una questione pregiudiziale perché si applica a tutti i lavoratori che sul territorio nazionale vi sottostanno, il giudice non si spoglia della causa lasciando decidere la cassazione (come con il rinvio pregiudiziale) il giudice per poter risolvere una questione di diritto rilevante per più casi serve la cassazione che svolge funzione nomofilattica, qui però decide prima il giudice di merito, quindi, si ha un doppio passaggio, si pronuncia con sentenza non definitiva, le parti hanno due possibilità: o si tengono quella pronuncia e possono accontentarsi o proporre ricorso per cassazione (immediato ricorso per cassazione saltando l’appello). Si vuole sollecitare quanto prima l’intervento della Cassazione. Il giudice di merito quindi decide e risolve la questione, ma le parti se non apprezzano la sentenza la rimettono alla cassazione: decisione pregiudiziale alla quale può seguire impugnazione alla cassazione. Impugnazione Tutto uguale al processo ordinario c’è una particolarità nuova dal 2012, secondo il regime dei nova in appello nel processo ordinario non possono introdursi nuove prove in appello a 6 meno che la parte non potesse produrle, nel rito di lavoro non si possono produrre i nova in appello a meno che non siano indispensabili. In grado di appello possono entrare le prove nuove quando siano capaci di mutare l'indirizzo del giudice decidente. Il regime del primo grado è ristretto, mentre quello dell’appello è molto aperto quasi a compensare. La difficoltà maggiore di fornire prove è principalmente del lavoratore. I poteri istruttori vengono esercitati molto poco, quando questo potere è un potere dovere da come lo configura la giurisprudenza. La difficoltà probatoria viene colmata con l’utilizzo con la vicinanza della prova: quando il giudice non capisce chi deve provare cosa stabilisce che la prova di quel fatto che non si è riuscita a provare grava su chi era più vicino a quella prova e nella maggior parte dei casi è il datore di lavoro. L’onere della prova si dice provata quando piena o semipiena. Le modifiche della riforma cartabia non sono molto buone, la vera riforma nel processo sul lavoro si trova nei principi generali artt. 127 bis e 127 ter c.p.c. ossia l’udienza cartolare, che l’ha introdotta anche nel processo del lavoro. Viene così meno un aspetto che nessuno aveva ancora toccato: l’oralità. 5 marzo 2024 - Rito di famiglia Rito introdotto dal legislatore della Cartabia in materia di persone, minorenni e famiglie. È un giudizio a cognizione piena ed esauriente e a tutela differenziata. Era necessario? Si, seguendo le sollecitudini degli operatori che si occupavano di questa materia, contestavano il fatto che il corpus normativo non fosse omogeneo e non ci fosse una parte del codice specifica che se ne occupasse. C’erano tante leggi e tante norme sparse. Per es. nelle unioni civili. C’era confusione anche nell’applicazione di questi strumenti, la dottrina richiedeva da tanto un procedimento duttile. Il bilancio dell'introduzione di questo strumento è positivo. A chi si applica? A tutti i processi che riguardano minori e famiglia tranne i casi esclusi dagli artt. 473 bis e 473 ter c.p.c., ma in realtà non sono neanche più queste le esclusioni perché sta arrivando il correttivo. Queste norme sono di apertura e chiusura del titolo. In generale bisogna ricordare che tutti i procedimenti di questa materia sottostanno a questo rito tranne i casi espressamente disposti dal legislatore. Il giudice tutelare continua a decidere con un procedimento snello, colui che sorveglia quando c’è la tutela, lui decide in camera di consiglio. Non è un rito unico, è un modello unico, duttile, flessibile che si adegua a diverse fattispecie. Il titolo IV bis ha delle disposizioni generale, poi c’è il modello astrattamente applicabile (dall’art. 473 bis.11 fino all’art. 473 bis.29) è un modello in primo grado, c’è una disciplina specifica per l’appello, una per l’attuazione dei provvedimento, in questo settore non si discute di esecuzione forzata degli obblighi, ma si è coniato il termine di attuazione che ha qualcosa in comune con l’esecuzione forzata e qualcosa di specifico della materia, es. diritti di frequentazione del genitore con il minore, questo è un obbligo a contenuto non patrimoniale. Poi iniziano i riti speciali che partono con la violenza domestica e di genere, poi c’è il rito per la separazione e quello per il divorzio, poi c’è la nomina dell’amministratore di sostegno e poi ci sono procedimenti particolari. Art. 473 bis.1 c.p.c. Composizione dell’organo giudicante: collegiale, ma molte funzioni possono essere date al giudice istruttore o al giudice relatore del collegio. Tribunale per le persone, minorenni e famiglia: non è stato ancora istituito, ma l’esigenza è quella di creare 7 agli atti introduttivi ci sono le memorie integrative che rispondono ad una dinamica di dialettica pura attore-convenuto-attore, la maggior parte delle preclusioni per l’attore maturano con la prima memoria, per il convenuto alla seconda memoria, è una non coincidenza fisiologica. Art. 473 bis.19 c.p.c. (.14 costituzione e risposta, .17 memorie integrative) ci dice che quando ci sono di mezzo i minori non valgono le preclusione né assertive né istruttorie, si possono sempre introdurre mezzi di prova, il minore cambia le carte in tavola, le preclusioni sono valide solo per diritti disponibili: contributi economici tra coniugi senza figli minori. Le preclusioni saltano quando c’è un minore. La legge fa riferimento a quelle che riguardano l'affidamento o il contributo economico per i figli minori. Qui è fisiologico: la presenza del minore scardina la presenza delle preclusioni. Sull’attuazione dei provvedimenti (non approfondire il 473 bis.36 e .37 c.p.c.): attuazione di provvedimento a contenuto patrimoniale e attuazione di obblighi per i diritti di frequentazioni. Molte controversie ad oggi sono per inibire la pubblicazione delle foto del minore da parte del genitore che non è d’accordo. L’interesse del minore deve sempre essere prevalente. Con gli obblighi patrimoniali si può parlare di esecuzione forzata. Ci sono garanzie a tutela del credito art. 473 bis.36 c.p.c., prima disciplinato da una normativa disomogenea, quando le obbligazioni sono pecuniarie abbiamo una tutela più forte di esecuzione forzata. C’è anche una tutela penale. Con le obbligazioni patrimoniali è un’esecuzione forzata potenziata, ancora di più si consente l’aggressione del debitore. Altra cosa è che per l’attuazione degli obblighi non patrimoniali, è mancato per anni nel nostro sistema uno strumento idoneo ad assicurare l’attuazione di questi obblighi a contenuto non patrimoniale, dove l’esecuzione forzata è inutile o inefficace. Con la riforma cartabia è stato introdotto l’art. 473 bis. 38 c.p.c. che è del tutto nuovo e disegna una modalità di attuazione assai particolare dei provvedimenti relativi all’affidamento o che coinvolgono interessi non patrimoniali del minore, è scritta malissimo, è anche previsto l’intervento della forza pubblica come extrema ratio. È un sistema che serviva e prevede delle modalità incisive. Art. 473 bis.39 c.p.c. è il restauro dell’art. 739 ter c.p.c. che prevede misure di esecuzioni indiretta (misure coercitive), minacce di un danno e si prova a coartare la volontà, ammonimenti, sanzioni, per coartare la volontà del soggetto per farlo collaborare. Si ritiene che solo queste misure sono in grado di far ottenere l’utilità sperata dal creditore. Il pagamento non è per avere soldi, ma l’ammonimento/sanzione serve a coartare. Non è scritto bene, ma è lo strumento più utile quando la tutela esecutiva è inefficente. CURIOSITÀ: Per la prima volta avendo unificato separazione e divorzio il legislatore ha consentito il cumulo processuale di separazione e divorzio. Processualmente sono più brevi i tempi per ottenere il divorzio, si può partire con il cumulo delle domande, dopo un anno dalla costituzione delle parti e passata in giudicato la separazione diventa procedibile il divorzio. L’avvocato deve essere già preparato ad entrambe le domande, ma è un risparmio di tempo e di soldi per la parte. La Cassazione è intervenuta e ha sciolto il dubbio interpretativo: anche nel procedimento dove c’è un unico ricorso anche lì si può cumulare la domanda di separazione con quella di divorzio. 10 6 marzo 2024 - Procedimento cautelare uniforme. La tutela cautelare è una tutela sommaria. La sommarietà nel procedimento cautelare è definita “parziale”, perché non si estende a conoscere tutte le questioni che attengono alla fattispecie, il giudice cautelare non si occupa dell’accertamento, non si pone il problema di conoscere le questioni, ma si interroga solo sull’esistenza del fumus boni iuris (verosimiglianza dell’esistenza del diritto) e il periculum in mora (pregiudizio che potrebbe subire il diritto nel tempo necessario per la tutela di merito/dichiarativa). Il procedimento cautelare è sommario in senso stretto, è strutturalmente sommario, le fasi non sono come quelle del giudizio ordinario, ma sono caratterizzate da deformalizzazione, c’è snellezza e come la tutela sommaria speciale, gli effetti del provvedimento che conclude il giudizio sono diversi da quelli del provvedimento che chiude il giudizio ordinario, un conto è il giudicato e una è l’efficacia e il regime del provvedimento cautelare, che non passa mai in giudicato (il giudicato cautelare non esiste). Il giudicato è quel fenomeno proprio delle sentenze e non si addice al provvedimento cautelare. La tutela cautelare è provvisoria e strumentale, rispetto al giudizio di merito, ed è stata garantita nel tempo da una lettura più pervasiva dell’art. 24 Cost.: se la tutela giurisdizionale deve essere effettiva si deve dare sia una tutela di merito che cautelare per tutelare al meglio le situazioni dove ci può essere un pregiudizio per il diritto o che addirittura questo perisca. Si è ricondotta alla garanzia del diritto d’azione dell’art. 24 Cost. con il legame di strumentalità. Il processo serve il diritto, la tutela cautelare serve il merito, per garantire la fruttuosità dell’azione dichiarativa in questo senso lo riconduciamo all’art. 24 Cost. Il diritto d’azione è tutelato a livello effettivo. Il provvedimento cautelare è provvisorio ed è destinato ad essere riassorbito dalla sentenza, o dal provvedimento che impartisce la tutela dichiarativa. Carattere della provvisorietà. Procedimento cautelare uniforme Inizialmente non c’erano delle regole che disciplinassero il procedimento cautelare, c’erano i singoli provvedimenti cautelari con regole che permangono. Sono disciplinati i sequestri, il provvedimento d’urgenza, i procedimenti di istruzione preventiva, sia nel codice di rito che fuori ogni provvedimento cautelare aveva la sua disciplina, oppure si trattava di una regolamentazione abbastanza lacunosa che si cercava di correggere in via di prassi affermati nella tribunale. Es. è il sequestro. Nel 1990 il legislatore ha posto fine a questo sistema disomogeneo ed ha introdotto dall’art. 669 bis c.p.c. fino al quaterdecies ha introdotto il procedimento cautelare uniforme, astrattamente si applica per la pronuncia di tutti i provvedimenti cautelari. Prevede delle regole uniformi che devono essere rispettate dal giudice per la pronuncia di provvedimenti cautelari. L’art. 669 quaterdecies c.p.c. definisce l’ambito di applicazione. Sul combinato disposto dell’art. 669 quaterdecies c.p.c. con altri articoli è intervenuta la Consulta allargando le maglie. Il procedimento cautelare uniforme si applica ai sequestri, ai procedimenti di denuncia di nuova opera e di danno temuto e ai provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (unico articolo che indica la sezione V) e anche agli altri provvedimenti previsti dal codice e ai procedimenti d'istruzione preventiva, questo è un rinvio espresso fatto dall’art. 669 quaterdecies c.p.c. Per i procedimenti di istruzione preventiva (sez. IV) non c’è una generale applicabilità ed applicazione delle regole sul procedimento cautelare uniforme. Questi sono procedimenti che consentono l’assunzione di mezzi di prova e di porli al riparo prima che si sia arrivati alla fase istruttoria. In particolare è possibile assumere prima la testimonianza. A questo tipo di procedimenti non si può 11 applicare direttamente il procedimento cautelare uniforme, il legislatore voleva mantenere le regole speciali per questi procedimenti, sono procedimenti particolari, l’esigenza cautelare che proteggono è il diritto alla prova, cioè che la prova perisca. La corte costituzionale ha deciso con varie sentenze che non era sufficiente applicare le regole già previste per l’istruzione preventiva perché le regole cautelari create dal legislatore per il procedimento cautelare uniforme erano più garantiste, la regola più garantista è il reclamo. La consulta ha ritenuto applicabile ai procedimenti di istruzione preventiva il reclamo anche se non espressamente previsto dalla legge. Art. 669 quaterdecies c.p.c. prevede che ai procedimenti di istruzione preventiva si applica solo l’art. 669 septies c.p.c. in tema di rigetto e la consulta ha dichiarato che vi si applica anche il terdecies (reclamo cautelare) e il quinquies (competenza in maniera cautelare). Ai procedimenti di istruzione preventiva non si applica tutto ma si applica la disciplina del rigetto e una disposizione in tema di competenza e le disposizioni in tema di reclamo. Si introduce con ricorso. Per fare una domanda cautelare bisogna individuare il giudice competente, poi bisogna fare la domanda introduttiva, poi la fase istruttoria deformalizzata, la fase decisoria e poi bisogna interrogarsi sul regime del provvedimento (reclamato, modificato o revocato). Se il giudice non ha accolto la domanda si può fare il reclamo. Se il giudice ha accolto il provvedimento cautelare allora il ricorrente può chiedere la revoca o modifica del provvedimento cautelare. Competenza Si può chiedere la tutela cautelare prima del giudizio di merito (ante causam) oppure anche in corso di causa, dal momento della pendenza della lite. C’è una regola di parallelismo o corrispondenza: in generale si chiede tutela cautelare al giudice competente per il merito. Si fa la richiesta dinanzi allo stesso giudice di merito. In linea generale c’è un parallelismo. Nel corso del giudizio c’è già un giudice istruttore investito. Nell’atto di citazione si inserisce da subito la richiesta del provvedimento cautelare, se non si è inserita si può fare un’istanza al giudice investito per ottenere un provvedimento cautelare. Agli artt. 669 ter, quater e quinquies c.p.c. si occupano di competenza in materia cautelare e sono delle eccezioni. PRIMA ECCEZIONE: art. 669 ter c. 2 c.p.c. sia nel caso di tutela ante causam sia in corso di causa il giudice di pace non ha mai poteri cautelari, questo è frutto di un’impostazione vecchia che collega il giudice professionale che può utilizzare la pubblica forza e, quindi, il giudice non togato che non viene dallo stato non può utilizzare né la tutela esecutiva né quella cautelare. Se è competente il giudice di pace, bisogna comunque chiedere la tutela cautelare al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace. SECONDA ECCEZIONE: se il giudice italiano non è competente per il merito, anche se la tutela mi serve per un diritto che è in Italia, la giurisdizione è del giudice straniero in questo caso, ma il provvedimento mi serve in Italia, si ha in questo caso c’è una scissione tra giudice competente e il giudice cautelare, la regola è dettata dall’art. 669 ter c.3 e quater c.p.c. si va quindi al tribunale (non ci poniamo problema della competenza per valore) del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare, in materia di immobili non si crea quasi mai questa situazione perché è competente il giudice del luogo dove l’immobile si trova. In quel caso sopperisce il criterio del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare. TERZA ECCEZIONE: se c’è stata pronuncia di merito e non c’è richiesta di provvedimento cautelare da chi devo andare? La regola è dello stesso giudice che sarebbe competente per il merito, però ci dice l’art. 669 quater c. 1, 2 e 4 c.p.c. che quando pendono i termini per l’impugnazione il legislatore ha deciso di andare solo dal giudice che ha pronunciato la 12 un provvedimento cautelare: la misura è stata concessa e questa può essere particolarmente pregiudizievole per chi deve subirla. Si era così creata una disparità di trattamento tra chi chiedeva la misura e la otteneva e chi invece non la otteneva, nel primo caso si poteva chiedere il reclamo, nel secondo caso non si poteva chiedere il reclamo, ma doveva riproporrela domanda cautelare. La consulta dichiara il meccanismo inadatto con due sentenze: anche se è facile riproporre la domanda cautelare c’è una preclusione, non è una libera riproponibilità, l’unica volta che c’è la libera riproponibilità è quando la pronuncia sia di incompetenza, solo lì l’istante può andare avanti anche per anni chiedendola stessa tutela cautelare scrivendo un atto perfettamente identico al primo, ma in alcuni casi si deve sforzare di aggiungere qualcosa in più. Si deve concedere anche alla parte che ha il rigetto di fare altra domanda. La consulta con queste due sentenze ha dichiarato incostituzionalità dell’art. 669 terdecies c.1 c.p.c. nella parte in cui non prevedeva la reclamabilità del provvedimento di rigetto basando la sua argomentazione sul principio della parità delle armi, ritenendo che in questo caso non ci fosse stata parità delle armi tra chi otteneva il provvedimento cautelare e chi si vedeva rigettare la richiesta del provvedimento cautelare e doveva industriarsi per trovare sopravvenienze o altri motivi in fatto o in diritto perché non aveva accesso allo strumento del reclamo, che funge da impugnazione. È una sorta di controllo sull’operato del giudice: in un caso il controllo veniva concesso e in un altro caso non veniva concesso → disparità delle armi. Art. 669 terdecies c. 1 c.p.c dichiarato incostituzionale e poi riscritto dal legislatore per aderire alla dichiarazione di incostituzionalità. C’era disparità per lo strumento del reclamo consentendo l’utilizzo di questo solo per le ordinanze di accoglimento basandosi sulla blanda preclusione prevista dall’art. 669 terdecies c.p.c. 13 marzo 2024 - Procedimento cautelare uniforme Presupposti della tutela cautelare sono il fumus bonis iuris e il periculum in mora. Dopo aver individuato il giudice competente inizia il procedimento cautelare. L’art. 669 sexies c.p.c. ha due modi procedimentali: uno caratterizzato dalla super urgenza per la quale è meglio non coinvolgere il resistente, potrebbero esserci problemi nell’attuazione del provvedimento (il classico esempio è quello del creditore che chiede il sequestro conservativo sui beni del debitore); il secondo procedimento - normale - è quello in cui si instaura il contraddittorio con l’altra parte e si chiude con ordinanza, c’è il ricorso cautelare, c’è la memoria difensiva dell’altra parte, si tiene l’udienza, solitamente si tratta di un’udienza unica, a meno che non ci sia una questione complessa, all’esito di questa il giudice pronuncia il provvedimento di rigetto o accoglimento. Il provvedimento di rigetto è una preclusione blanda, perché se è motivato per ragioni di competenza la parte può sempre riproporre la domanda cautelare anche allo stesso giudice che si è dichiarato incompetente. In altri casi e per ragioni di merito o rito, la parte può sempre richiedere la tutela cautelare, ma devono esserci stati mutamenti nelle circostanze o che vengano allegate nuove ragioni di fatto o di diritto, che vengono intese dalla dottrina e dalla giurisprudenza non come ragioni sopravvenute, ma anche come preesistenti, ma che vengono allegate solo alla riproposizione della domanda cautelare. Ciononostante anche avverso il provvedimento di rigetto, il legislatore e la Corte 15 Costituzionale hanno dichiarato necessario il reclamo cautelare previsto dall’art. 669 quaterdecies c.p.c. La tutela deve sempre essere immediata e il giudice non fa altre valutazioni oltre a quelle previste dai presupposti. Provvedimento di accoglimento Impartisce la tutela cautelare, cd. misura cautelare, contenuto tipizzato dal legislatore, la cosa più importante è la distinzione tra provvedimenti conservativo assicurativi e provvedimenti anticipatori ex art. 669 octies c.p.c. La distinzione rileva soprattutto quando la tutela è chiesta ante causam (prima dell'instaurazione del giudizio di merito) e fino al 2006 succedeva sempre la stessa cosa: domanda cautelare ante causam, successivo provvedimento di accoglimento, però in massimo 60 giorni o in un termine perentorio concesso dal giudice va iniziato necessariamente il giudizio di merito altrimenti il provvedimento cautelare perde efficacia. Questa è stata la disciplina fino al 2006. Questa disciplina è ancora valida, ma solo per i provvedimenti assicurativo conservativi e non per i provvedimenti anticipatori, a questo proposito si parla di strumentalità forte o strutturale, o strumentalità debole o attenuata. La relazione tra la cautela e il merito in caso di provvedimenti assicurativi conservativi è di strumentalità forte, la strumentalità è debole nel caso dei provvedimenti anticipatori. Nel primo caso si deve ancora instaurare il giudizio di merito in un termine non superiore a 60 giorni a pena di inefficacia; nel caso del provvedimento anticipatorio il giudizio di merito può anche non essere instaurato e il provvedimento non perde efficacia. Non abbiamo una definizione di quando un provvedimento è conservativo o quando è anticipatorio. Il provvedimento conservativo per eccellenza è il sequestro conservativo, molto aggressivo, blocca il patrimonio del debitore. I provvedimenti di urgenza dell’art. 700 c.p.c. sono provvedimenti molto incisivi nei confronti della controparte. In astratto un provvedimento conservativo non è più aggressivo di quello anticipatorio. Altra distinzione è quella secondo cui è i provvedimenti conservativi affondano le loro ragioni in prerogative processuali, la situazione dal punto di vista processuale viene cristallizzata. Mentre i provvedimenti anticipatori nascerebbero da rapporti sostanziali, non c’è una norma processuale che detta i comportamenti da tenere, ma viene tutelata una prerogativa del diritto sostanziale. Un approccio pratico in questo argomento è più apprezzato: la vera differenza è che il provvedimento anticipatorio dà un’utilità immediata anche solo a livello cautelare, già apprezzabile. I provvedimenti anticipatori anticipano a livello cautelare (e non a livello dichiarativo) gli effetti della sentenza e possono dare un’utilità immediata a chi li chiede. Dal provvedimento anticipatorio non deriva necessariamente l’instaurazione del giudizio di merito dalla parte che lo ha richiesto, ma l’altra parte coinvolta potrebbe avere l’interesse ad instaurare il giudizio di merito per far perdere efficacia al provvedimento cautelare che grazie alla sentenza frutto del giudizio di merito: il provvedimento verrà da questa assorbito e perderà efficacia. Il provvedimento cautelare sia se confermato sia che rigettato viene assorbito nella sentenza. La parte può sia fare il reclamo o instaurare un vero e proprio giudizio di merito di primo grado per un accertamento negativo di quanto contenuto nel provvedimento. L’instaurazione del giudizio di merito ad opera dell’altra parte viene fatta come una sorta di opposizione, solo al fine di ottenere un accertamento negativo per la caducazione del provvedimento cautelare; può anche fare il reclamo per combattere il contenuto cautelare del provvedimento;1 fa giudizio di merito anche per far fronte al danno 1 Risposta alla domanda n. 2 dell’esame parziale. 16 reputazionale (e.g.). Nel provvedimento assicurativo conservativo è obbligatorio instaurare il giudizio perché es. 1 avendo efficacia sine die (non cessa) il sequestro non ha termine, ma non si può tenere sequestrato per sempre un patrimonio di un’altra persona, lì è necessario che ci sia il giudizio di merito; es. 2 se ad una società vengono sequestrati i libri contabili questa non potrebbe lavorare. Provvedimento di accoglimento nella tutela ante causam (artt. 669 octies c. 1, 2 e 6 c.p.c.). Con la riforma Cartabia sono stati indicati i provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari adottate ai sensi dell’art. 1137 c.4 c.c., indicati specificatamente perché la Cassazione nel 2021 aveva fatto una celebre sentenza definendo queste delibere come provvedimenti conservativi, ma visto che la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza non li ritenevano tali, il legislatore della Cartabia li inserisce all’interno dei provvedimenti anticipatori, sovvertendo quell’orientamento. Il c. 6 fa, quindi, un elenco di tutti i provvedimenti anticipatori, dicendo che non è imposto alla parte che ottiene un provvedimento iniziale del giudizio di merito, ma alla fine dice che ciascuna parte può iniziarla. Non è imposto, ma può iniziarlo sia l’istante per ottenere la tutela dichiarativa, sia l’altra parte per ottenere un accertamento negativo dell’inesistenza del diritto fatto valere dall’altra parte. Si realizza una sorta di provocatio ad opponendum anche se non è una vera opposizione del decreto ingiuntivo. Quando viene pronunciato un provvedimento anticipatorio il giudice cautelare decide anche per le spese del procedimento, perché potrebbe non esserci una fase di merito, ma questa unica fase cautelare. Quando può diventare inefficace? Il provvedimento assicurativo conservativo diventa inefficace se non viene instaurato il giudizio di merito, la distinzione permane anche nel caso in cui il giudizio di merito sia già pendente, quindi, il provvedimento con queste caratteristiche sia chiesto nel corso della causa, ma se questo giudizio si estingue il provvedimento perde efficacia; per quando riguarda quello anticipatorio, indipendente dal momento della richiesta, se all’interno del giudizio di merito o prima, anche se il primo grado si estingue il provvedimento anticipatorio mantiene la sua efficacia. In generale il provvedimento cautelare, a qualsiasi categoria appartenga, perda la sua efficacia nel caso ci sia la decisione nel merito, la sentenza di merito che riconosce o non 17 si è auto investita sulla questione della composizione del collegio giudicante a seguito di proposta di abbandono dell’art. 380 bis c.p.c.: proposta di rinuncia al ricorso quando è manifestamente infondato o improcedibile, si è sollevato tema perché il giudice del ricorso era un componente del collegio della Cassazione. Pare che la cassazione abbia deciso che lo stesso giudice che abbia proposto l’abbandono vada poi a decidere la controversia. La regola per cui il magistrato che ha pronunciato il provvedimento non può giudicare andare a comporre il collegio giudicante è espressa dall’art. 669 terdecies c.p.c., è una regola che poteva essere desunta dalle regole in materia di astensione e ricusazione del giudice ed incontra il favore della Corte Costituzionale. È particolarmente importante per il reclamo perché con questo strumento si può dire di rivedere la decisione espressa dal primo giudice, senza addurre mutamenti né fatti nuovi. Si dice che non va bene la decisione assunta dal giudice cautelare. Si possono introdurre le sopravvenienze con il reclamo? Si può chiedere la revoca o modifica? Art. 669 decies c.p.c. dice che tutto quello che puoi far valere con la revoca o modifica del provvedimento, può essere ugualmente speso con il reclamo, quindi, con il reclamo si possono anche introdurre sopravvenienze, questo è frutto di una modifica per cui si era posto problema del rapporto tra istanza di revoca o modifica e reclamo il legislatore ha voluto esprimere il suo favor per il reclamo. Quindi solo entro 15 giorni dal provvedimento si può proporre il reclamo, con questo si può veicolare qualsiasi tipo di contestazione, questi vanno dalla pronuncia in udienza del provvedimento se c’erano le parti presenti, le parti conoscono il provvedimento perché erano presenti e il provvedimento è pronunciato in udienza, oppure se le parti non sono presenti in udienza o dalla comunicazione o notificazione, i quindici giorni decorrono dall’attività compiuta per prima, quindi, se prima avviene prima notificazione o comunicazione. Scaduti i 15 giorni si può sempre proporre revoca/modifica. RICAPITOLANDO Il giudice del reclamo è sempre collegiale e si determina per relationem da quello che lo ha pronunciato, termine perentorio di proposizione molto stretto di 15 giorni che decorrono o dalla notificazione o dalla pronuncia o dalla comunicazione. Rapporto tra revoca modifica e reclamo: se si è nei termini per proporre il reclamo, il legislatore vuole che anche i motivi di revoca o modifica siano proposti con il reclamo, se sono scaduti i termini la revoca o modifica va proposta nei termini dell’art. 669 decies c.p.c., la differenza fondamentale è rappresentata dal giudice: revoca/modifica si propongono allo stesso giudice mentre il reclamo si chiede ad un giudice diverso. Il procedimento per il reclamo si svolge in camera di consiglio, deformalizzato quindi, all'esito del quale viene pronunciata ordinanza con la quale, se il provvedimento era di rigetto si può capovolgere, può essere concessa la tutela cautelare, mentre se era di accoglimento si può confermare o revocare. L'ordinanza emessa all’esito del reclamo non è più reclamabile, ma si può sottoporre alla revoca o modifica se prevede la misura cautelare. Non ha effetti sospensivi del provvedimento, ma possono essere richiesti al giudice del reclamo che decide anche sulla sospensione dell’efficacia del provvedimento, nessuna impugnazione sospende automaticamente l’efficacia del reclamo, ma si può arrivare alla sospensione chiedendo al giudice, quindi si può procedere all’attuazione anche se è stato reclamato il provvedimento. 20 PROCEDIMENTO CAUTELARE UNIFORME MAPPA CONCETTUALE DEGLI STUDENTI ATTO INTRODUTTIVO: RICORSO ex 669 bis c.p.c. COMPETENZA: regola generale → competente il giudice del merito. Eccezioni: ● Nel caso in cui la competenza sia del GdP→ Competenza cautelare è del Tribunale (art. 669 ter c. 2 c.p.c.); ● Nel caso in cui la competenza sia del giudice straniero→ Competenza cautelare affidata al giudice del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare (art. 669 ter c. 3 c.p.c.); ● Nel caso in cui sia presente una Convenzione Arbitrale→ Competenza cautelare è del giudice che sarebbe stato competente per il merito in assenza di convenzione, salvo che le parti conferiscano potere cautelare agli arbitri (artt. 669 quinquies e 818 c.p.c.); ● Altre eccezioni previste dagli artt. 669 ter e 669 quater. c.p.c. Procedimento (art. 669 sexies c.p.c.): Provvedimento negativo: 1) Per incompetenza → La domanda è sempre riproponibile, anche allo stesso ufficio Giudiziario; 2) Ogni altra ragione di rito o merito → La domanda è riproponibile solo se si profilano mutamenti di circostanze (sopravvenienze, non deducibile anteriormente) o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto (anche deducibili anteriormente, ma non dedotte). Si dice, pertanto, che il provvedimento cautelare “copre il dedotto, ma non il deducibile”. Provvedimento di accoglimento: 1. Strumentalità forte in caso di provvedimento concesso ante causam, di natura conservativa, l’istante è tenuto ad instaurare il procedimento di merito entro il termine perentorio di 60 giorni – o quello diverso stabilito dal giudice – a pena di inefficacia; in caso 21 di estinzione del processo di merito abbiamo la caducazione del provvedimento concesso; 2. Strumentalità attenuata/debole in caso di provvedimento concesso ante causam, di natura anticipatoria, l’efficacia del provvedimento non dipende dalla successiva instaurazione del giudizio di merito. Se il giudizio di merito viene instaurato e comunque si estingue, il provvedimento resta efficace. Reclamo cautelare (art. 669 terdecies c.p.c.): ● Provvedimenti reclamabili → provvedimenti di accoglimento e provvedimenti di rigetto (vedi sent. 93 e 94 Corte Cost.); ● Competenza → come regola generale il reclamo si propone ad un giudice diverso da quello che ha emesso il provvedimento (art. 669 terdecies, co. 2 c.p.c.). Termine per il reclamo→ 15 giorni dalla pronuncia in udienza o dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore (art. 669 terdecies, co. 1 c.p.c.). Caratteristiche del reclamo→ è un gravame, struttura simile a quella dell’appello. Sospensione dell’efficacia del provvedimento reclamato→ non è automatica ma può essere chiesta con il reclamo. Procedimento camerale→ il rinvio è agli artt. 737 e 738 c.p.c. Rapporto con revoca e modifica del provvedimento di accoglimento→ in pendenza del termine per proporre il reclamo si possono far valere anche le condizioni per ottenere la revoca o modifica del provvedimento (art. 669 decies, co. 1 c.p.c.). Regole di “attuazione” del provvedimento cautelare→ il provvedimento cautelare non è un titolo esecutivo. L’attuazione è prevista dall’art. 669 duodecies c.p.c. 20 marzo 2024 La terminologia dell’esecuzione forzata è diversa, si parla di creditore e debitore, o obbligato e soggetto titolare del diritto. Nel procedimento cautelare si parla di attuazione perché non c’è il titolo esecutivo cautelare, documento che legittima l’esecuzione forzata, che dà l’avvio al procedimento di esecuzione forzata, se si perde il titolo non si può più portare avanti l’esecuzione forzata. Nell’ordinamento tedesco e francese c’è questa equiparazione: il procedimento cautelare fa sorgere il titolo esecutivo, non hanno problemi ad applicare direttamente le regole dell’esecuzione forzata all’attuazione cautelare. Non c’è nel nostro ordinamento questa equiparazione, ma tutto sommato non c’è un rinvio totale, ma i modi per dare forzosamente applicazione ad un obbligo sono sempre gli stessi, anche se non c’è applicazione diretta, per analogia si prendono le forme dell’esecuzione forzata. Art. 669 duodecies c.p.c. - due principi: 1) i sequestri, che sono anch’essi sottoposti a procedimento cautelare uniforme, hanno delle regole proprie di attuazione; 2) se il provvedimento cautelare ha ad oggetto pagamento o somme di denaro si applicano tout court le norme in materia di pignoramento (art. 491 ss. c.p.c.), per il pagamento di somme il legislatore sceglie di applicare le regole dell’esecuzione forzata sul pignoramento. La modalità di attuazione scelta dal legislatore è mista: per provvedimenti che hanno ad oggetto somme di denaro si rinvia direttamente alle norme sul pignoramento; per i provvedimenti che hanno ad oggetto 22 Sequestro giudiziario al n. 2 è che intanto si mette al sicuro la fonte di prova, ma questo non implica che dal custode che detiene la fonte di prova, questa passi direttamente al giudice o alla cancelleria del tribunale: non significa che la parte ha acconsentito ad esibire il documento, quando ci sarà la fase dell’istruzione probatoria, la parte potrà decidere di ottemperare all’ordine di esibizione o meno. La valutazione del giudice cautelare potrebbe essere diversa da quella del giudice della cognizione. In sede cautelare il fumus boni iuris e il periculum in mora non sono richiesti in maniera decisa, ma nella cognizione può essere fatta la richiesta di ordine di esibizione e non vengono ritenuti sussistenti i presupposti. Il provvedimento viene assorbito dal giudizio di merito, non avrà più ragion d’essere perché il giudice non ha concesso l’ordine di esibizione. Sequestro conservativo. Art. 671 c.p.c. realizza il primo ponte per l’esecuzione forzata, è un pignoramento anticipato2. Ha altra ratio rispetto al precedente. Il fumus boni iuris e il periculum in mora sono descritti in maniera più incisiva. È un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, serve a mantenerla intatta, tra le norme del libro VI titolo III c’è l’art. 2905 c.c. che rimanda alle regole che stiamo esaminando. Il creditore che vuole ottenere il sequestro conservativo deve dimostrare di essere creditore (fumus boni iuris) e che abbia il fondato timore di perdere la garanzia del credito (periculum in mora - comportamenti del debitore che puntano al depauperamento); si attua nelle stesse forme del pignoramento, nelle forme del pignoramento più adatto alla materia. Ha una grande differenza con il pignoramento che ci viene ricordata dall’art. 2906 c.c.: l’effetto sostanziale del pignoramento è l’inopponibilità, cioè l’atto è inefficace processualmente nei confronti del creditore pignorante o sequestrante. Nel pignoramento si chiama “vincolo a porte aperte” perché di questa inopponibilità possono beneficiare anche altri creditori intervenuti nella procedura; l’art. 2906 c.c. pone un vincolo “a porte chiuse” quindi che vale solo per il creditore sequestrante. Il sequestro conservativo diversamente da quello giudiziario non prevede l’individuazione del bene, si blocca il patrimonio del debitore fino ad un tot. All’attuazione del sequestro conservativo il bene va individuato. Non è propedeutica l’individuazione del bene ai fini del sequestro. 26 marzo 2024 - I provvedimenti d’urgenza (art. 700 c.p.c.) Provvedimenti molto diffusi. L’art. 700 c.p.c. ci dice le condizioni per la concessione → fuori dalle precedenti sezioni, chi ha fondato motivo che nel tempo per far valere il proprio diritto questo sia minacciato irreparabilmente può chiedere con provvedimento d’urgenza. Si può chiedere solo quando non esiste un altro provvedimento idoneo a proteggere in via cautelare il diritto. È anche atipico, non c’è l’effetto del provvedimento. Esiste un altro provvedimento cautelare che può proteggere il mio diritto? L’art. 700 c.p.c. può essere utilizzato in via residuale e sussidiaria, quando non c’è provvedimento idoneo a tutelare il bene. L’art. 700 c.p.c. ci dice che si deve chiedere al giudice il provvedimento d’urgenza che appaia più idoneo alla situazione nel merito. Si deve far capire al giudice che provvedimento è richiesto dal ricorrente. All’art. 700 c.p.c. non c’è scritto effettivamente ciò che l’istante vuole e deve essere particolarmente bravo da individuare il contenuto del provvedimento. Altra cosa importante è il tipo di pregiudizio, il tipo di periculum in mora: si vuole evitare un pregiudizio imminente ed irreparabile. Tutto ciò che era irreparabile riguardava somme di 2 Risposta alla domanda d’esame di cos’è il sequestro conservativo. 25 denaro, la Cassazione li ha esclusi se non c’era questo presupposto, ma alcuni diritti di credito non sono solo diritti di credito in quanto proteggono diritti personalissimi dell’individuo (e.g. gli alimenti). Con la “rivoluzione” giurisprudenziale è un diritto irreparabile in quanto magari può causare la morte della persona (e.g. per comprarsi le medicine etc...) in questo caso si applica l’art. 700 c.p.c. Altra apertura giurisprudenziale fu fatta nell’ambito commerciale delle imprese. Se un pagamento, e.g. non arriva entro quei 3/4 mesi allora quell’impresa diventa insolvente e viene messa in uno stato di crisi semplicemente perché un’altra impresa non ha fatto fronte ai propri obblighi/doveri e si scatena un pregiudizio che è parzialmente irreparabile. Applicabile l’art. 700 c.p.c. quando un pagamento ritardato nel tempo potrebbe portare l’impresa in una situazione di insolvenza. Inoltre, è il ricorrente che deve dire al giudice quale provvedimento adottare. Non è preveduto il provvedimento da chiedere al giudice. Si tratta di provvedimento anticipatorio della sentenza. Procedimenti di istruzione preventiva: puntano ad assumere una prova costituenda prima del giudizio ed hanno effetto meramente processuale, non cambiano la realtà giuridica sostanziale. Mentre col processo giudiziario il documento viene dato al custode, in questo caso non c’è. Ne fanno parte la testimonianza e la consulenza tecnica. Anche se non c’è giudizio di merito si può fare consulenza tecnica etc… I procedimenti valgono sia se non c’è prova di giudizio di merito, sia se è pendente, ma non nella fase istruttoria. Art. 669 c.p.c. si fa il ricorso, il giudice decide se concedere o meno la tutela cautelare, tutto si conclude con verbale in cui è stata assunta la testimonianza. Il giudice è lo stesso del merito, ma ha una sua regola che comprende anche il giudice di pace. Non c’è necessità di spiegare il fumus boni in iuris, bisogna far capire al giudice che la prova è rilevante, non si fa ammissibilità → quando viene instaurato il giudizio di merito, il giudice farà accertamento di ammissibilità e potrà ritenere che la prova assunta non debba rientrare nel processo. N.B. si può rinnovare la prova se si arriva alla fase istruttoria e il testimone può ancora rendere la testimonianza. Art. 696 c.p.c. con l’attività di istruzione preventiva si può fare solo fotografia dei luoghi, ma non si poteva fare valutazione dei danni, e.g., nel fare attività speculativa e immaginare la causa che aveva provocato il danno. In molte controversie non c’è problema di capire chi ha ragione e chi meno, ma molto dipende dalla consulenza tecnica soprattutto per la responsabilità medica. Art. 696 bis c.p.c. serve a fare subito la consulenza tecnica prima del giudizio e da possibilità alle parti di valutare se fare o meno l’azione. 27 marzo 2024 - Procedimento minitorio Il procedimento per decreto ingiuntivo e opposizione hanno una struttura bifasica, c’è la prima fase inaudita altera parte, poi c’è la fase dell’opposizione al decreto ingiuntivo è una fase eventuale e successiva che si svolge secondo le regole della cognizione ordinaria. Art. 633 c.p.c. condizioni che devono sussistere per l’ottenimento del decreto ingiuntivo. Il procedimento ingiuntivo è un procedimento di cognizione e sommario per l’ottenimento in 26 tempi brevi di un titolo esecutivo. Lo scopo principale è la formazione in tempi più celeri rispetto a quelli della cognizione ordinaria, è un procedimento alternativo a questo, l’alternatività è rimessa al ricorrente. Non può essere fatto per tutti i diritti, per tutte le situazioni sostanziali, ma solo per quelle elencate all’art. 633 c.p.c.: si può usare per i diritti di credito, per i diritti alla consegna di cose fungibili o alla consegna di cosa mobile determinata, solo per queste tre fattispecie è ammissibile la tutela monitoria. Liquido: già individuata o facilmente individuabile. Il decreto ingiuntivo stabilisce il pagamento di una somma purché sia liquida, fungibile e determinata. Il decreto ingiuntivo non vale per il rilascio di immobili. Con decreto ingiuntivo non si può mai richiedere di lasciare l’immobile ai coinquilini ai quali è stato dato l’immobile in locazione. Questi sono i presupposti speciali della tutela monitoria se mancano si fa la domanda in via ordinaria, un ordinario giudizio di cognizione. Ha gli stessi presupposti dell’ordinanza art. 186 ter c.p.c.: ordinanza per decreto ingiuntivo che si fa nel caso in cui i requisiti siano maturati in pendenza di un giudizio ordinario e non prima, perché e.g. il credito non era esigibile/liquido, l’attore che, quindi, non ha potuto promuovere dall’inizio il procedimento monitorio, può essere interessato a chiedere nel giudizio ordinario di cognizione un’ordinanza di questo genere, che è uno speculare del decreto ingiuntivo. Se si estingue il procedimento sopravvive, se si arriva alla decisione di merito, quell’ordinanza viene assorbita dalla decisione finale. Tutto questo non succede al decreto nella fase monitoria, perché se al decreto ingiuntivo non è fatta opposizione passa in giudicato e ha stessa efficacia di un sentenza di condanna. Rispetto a quello che bisogna dimostrare si distingue tra procedimento monitorio puro e spurio. Per quello puro basta allegare il diritto di credito (“io sono creditore di una somma di denaro"), il decreto ingiuntivo è concesso sulla base delle allegazioni dell’istante senza prova, secondo le regole ordinarie dell’istruzione probatoria. Più frequente è quello spurio, è stato scelto dall’UE per il decreto ingiuntivo di matrice europea con efficacia in tutti gli stati membri. La nozione di prova in questo procedimento è più ampia. Per il monitorio spurio serve una prova scritta prevista dall’art. 634 c.p.c. La parcella dell’avvocato è un documento formato dall’avvocato. La parcella scritta dall’avvocato tra un minimo e un massimo del tariffario, si porta all’ordine degli avvocati che verifica che le voci inserite siano congrue, non entra a sindacare se si usa il minimo o il massimo e con questo documento l’avvocato può chiedere un decreto ingiuntivo, non è prova del credito, ma formato dall’avvocato con un controllo formale dell’ordine. Le prove elencate dall’art. 634 c.p.c. sono prove che non sarebbero prove nel giudizio ordinario di cognizione. Nel procedimento monitorio puro possono essere depositate delle prove, ma non rappresentano prove del credito. Per dare certezza dell’atto: autenticazione del PU, procedimento di verificazione, riconoscimento. La nozione di prova scritta (non documentale) fa rientrare anche un SMS, o un messaggio su whatsapp (spunte blu - prova forte - messaggio con ricevuta di ritorno, legittimità di un 27 esecutivo in via definitiva, cioè passa in giudicato e in ogni caso è esecutivo, si può avviare esecuzione forzata sulla base di questo specifico titolo. La litispendenza non si ha con il deposito originario del ricorso, ma si ha con la notificazione del decreto ingiuntivo. Art. 643 c.p.c. la notificazione determina la pendenza della lite, in tutta la fase inaudita altera parte non c’è la pendenza della lite, la lite pende quando si mette a conoscenza del decreto ingiuntivo già emesso, a quel momento si collegano gli effetti sostanziali e processuali della domanda e decorrono da quel momento i termini per il pagamento o per l’opposizione. La cassazione stempera un po’ la regola, dice che la notificazione determina la pendenza della lite, ma qualche effetto retroagisce al deposito del decreto ingiuntivo e lo dice per tutelare l’istante, perché e.g. potrebbe esserci un problema di ne bis in idem o di litispendenza. La giurisprudenza che alcuni effetti, soprattutto l’effetto collegato al ne bis in idem, si facciano retroagire alla data del deposito del ricorso. Tra la data del deposito del ricorso e la data del decreto ingiuntivo potrebbe innestarsi un azione del debitore che può porre nel nulla il decreto ingiuntivo, perché quella litispendenza è successiva, questo è un orientamento giurisprudenziale piuttosto consolidato. Prima dell’intervento del 2023 c’era l’opposizione tardiva che è proposta oltre i 40 gg che non è in realtà ammissibile, ma a determinate condizioni sì, quelle esposte all’art. 650 c.p.c. irregolarità di notificazione o caso fortuito o forza maggiore. La Consulta lo ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 650 c.p.c. laddove non prevedeva anche un’altra condizione la possibilità di aver messo in atto l’opposizione al decreto ingiuntivo che poteva non essere rispettato per una malattia o e.g. per covid. Il termine di 40 giorni poteva non essere rispettato per una malattia, es. Covid nel 2020. Dal 2023 è utilizzato dal consumatore per proporre opposizione tardiva per averlo prima dell’accertamento delle clausole vessatorie (6 aprile 2023). 3 aprile 2024 - Decreto ingiuntivo Non si può iniziare l’esecuzione forzata sulla base del decreto ingiuntivo. In altri casi c’è la possibilità che il decreto nasca provvisoriamente esecutivo e quindi possa essere messo in atto. Il momento in cui si apre la pendenza della lite è quello della notificazione. L’opposizione al decreto ingiuntivo è una fase eventuale. Esiste un’opposizione tardiva proponibile anche se spirato il termine di 40 giorni se per caso fortuito o forza maggior l’ingiunto non ha avuto conoscenza del decreto, o anche avendo avuto conoscenza per caso fortuito o forza maggiore non ha potuto proporre opposizione. Il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo cambia regime, si passa dalla fase sommaria alla fase a cognizione piena ed esauriente, è un giudizio ordinario di cognizione con regole precise e peculiarità, la cognizione è piena ed esauriente. Serve a rendere costituzionalmente compatibile il 30 procedimento monitorio. Il principio del contraddittorio è rispettato nella fase della cognizione piena, va bene la struttura del monitorio inaudita altera parte, ma nella fase a cognizione piena il contraddittorio è rispettato. La fase di opposizione al decreto ingiuntivo è però una fase eventuale attuata dal debitore ingiunto. Se non è opposto il decreto ingiuntivo acquista esecutività e passa in giudicato quindi su questo decreto motivato si forma lo stesso giudicato che si forma sulla sentenza di condanna. La seconda fase, quella di opposizione, segue la prima fase sommaria e monitoria. Prima le forme di opposizione erano quelle degli art. 560 ss c.p.c. e quelle del rito del lavoro che seguivano appunto questa forma. Si segue la cognizione piena ed esauriente anche nel lavoro. Si è aggiunto il procedimento semplificato di cognizione, perché prima della Cartabia c’era il sommario di cognizione, il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo non era proposto secondo quel modello, ma visto che quegli articoli sono abrogati adesso c’è il semplificato di cognizione, l’ingiunto potrebbe quindi scegliere di proporre opposizione al decreto nelle forme del semplificato, non con atto di citazione, ma con ricorso ex art. 281 undecies c.p.c. Nel correttivo l’art. 645 c.p.c. viene modificato il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e verrà modificato facendo riferimento al semplificato di cognizione. Forse il semplificato di cognizione si potrà seguire quando sussistono le condizione del rito: seguirà le forme del semplificato se l'opponente è fornito di prova scritta, se ha un'istruzione non complessa e tutte le condizione dell’art. 281 undecies c.p.c. Nel caso di istruttoria complicata allora probabilmente si avrà il giudizio ordinario di cognizione. Nel caso dell’opposizione viene proposta dal debitore tramite ricorso o atto di citazione, quindi, c’è un’inversione dell’iniziativa processuale o inversione solo formale del ruolo delle parti. La citazione che fa l’ingiunto è sì un citazione, ma ha le sembianze della comparsa di costituzione e risposta perché chiede un rigetto. Il debitore ingiunto diventa attore in opposizione scrive parte della citazione, ma tutto il resto ha il contenuto della costituzione e risposta per difendersi e fare domande riconvenzionali e difesa, il convenuto è l'originario ricorrente, il creditore, nell’opposizione si costituisce con comparsa di costituzione e risposta, ma con contenuto di citazione, insiste per l’accoglimento della domanda e sostiene il decreto ingiuntivo. Debitore→ attore in opposizione/ricorrente → rigetto della domanda originaria. 31 Creditore→ convenuto/opposto → accoglimento della domanda originaria che ha giustificato il decreto ingiuntivo. Il procedimento di opposizione non è sull’atto (decreto ingiuntivo motivato), ma è sul diritto, si deve conoscere della complessa situazione giuridica. Bisogna capire se il creditore aveva o meno il diritto a quel credito. In questo giudizio viene rimessa in discussione la questione, non è un giudizio di impugnazione, ma è un giudizio in cui si analizza la questione sostanziale. Ai fini dell’onere della prova si apprezza massimamente la formula dell’art. 2697 c.c. il creditore deve allegare i fatti costitutivi e fornire la prova. Per richiedere il decreto ingiuntivo si è già data la prova, ma si deve ripresentare se la prova depositata nella fase monitoria non è sufficiente perché la prova ammessa nel decreto ingiuntivo non va bene per il giudizio ordinario di cognizione. L’oggetto dell'opposizione non è l’atto, ma la situazione sostanziale dedotta. Si rimette tutto in discussione. Esistono presupposti speciali della procedura monitoria e presupposti generali della domanda giudiziale, se si contestano solo i primi, non si vince, perché nella cognizione il giudice può convincersi dell’esistenza del diritto. Si è intelligenti se si attacca non solo il decreto ingiuntivo, ma anche il diritto originario che si è dichiarato con il decreto ingiuntivo. È inutile fare un’opposizione che attacca solo i presupposti speciali della fase monitoria, si devono attaccare i presupposti processuali o il merito della pretesa per ottenere un soddisfacimento, il giudizio di opposizione è complessivo e non sulla legittimità del decreto ingiuntivo. L’opposizione si chiude con una sentenza di primo grado appellabile che può avere tre contenuti: di rigetto dell’opposizione, di accoglimento o di accoglimento parziale. Se viene rigettata il decreto ingiuntivo acquista stabilità e diventa esecutivo, qualora non fosse stato provvisto della clausola di provvisoria esecutività, la sentenza è titolo esecutivo, ma questa sentenza non dice la condanna, ma dice “p.q.m. l’opposizione viene rigettata e viene confermato il decreto ingiuntivo”; nel caso dell’accoglimento dell’opposizione il decreto ingiuntivo viene caducato e la sentenza passa in giudicato ed è il titolo esecutivo che disciplina l’assetto degli interessi, è una sentenza di rigetto della domanda dell’attore che aveva trovato accoglimento nella fase monitoria; nel caso dell’accoglimento parziale si guarda alla sentenza per disciplina del rapporto sostanziale del giudicato e per l’ammontare della pena, si deve leggere insieme la sentenza e il decreto ingiuntivo, la situazione si complica quando il decreto ingiuntivo era stato emesso provvisoriamente esecutivo perché se il titolo esecutivo è la sentenza: si inizia l’esecuzione forzata se è provvisoriamente esecutivo, si va avanti con l’esecuzione forzata, si arriva all’accoglimento parziale il decreto ingiuntivo è valido sì, ma non per 40k, ma per 20k, gli atti restano in piedi o vengono caducati? Art . 653 c.p.c. compomesso: (...) Se l'opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta. Con la sentenza che rigetta totalmente o in parte l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso sulla base dei 32 1. Diretta→ è quell’esecuzione per cui un soggetto si può sostituire all’inadempiente per ottenere la prestazione; se ne parla in relazione agli obblighi fungibili (es. sentenza di condanna: condanna Caio al pagamento di 10.000 euro, Caio non paga i 10.000, allora inizia l’esecuzione forzata. Faccio espropriare i beni di Caio in un processo di esecuzione forzata e all’esito, con i 20.000 euro ricavati, ottengo l’adempimento della prestazione della somma che mi deve dare → il creditore ha ottenuto, né più né meno, di quello che avrebbe comunque ottenuto sulla base della spontanea collaborazione del debitore. Questa sostituzione dà la tutela del suo diritto → con l’esecuzione diretta, si sostituiscono gli organi della procedura al debitore inadempiente.) In alcuni casi la prestazione è caratterizzata proprio dalla persona e, quindi, non è possibile una esecuzione diretta. 2. Indiretta → seppure l’ufficiale giudiziario si sostituisce al debitore inadempiente, il creditore riceverebbe meno di quella che è la sua situazione sostanziale tutelata. L’esecuzione indiretta non funziona quindi secondo le regole del Libro III del c.p.c., fino al 2009, nel codice di procedura, non esisteva una vera misura coercitiva a carattere generale, cioè capace di coprire tutte queste situazioni, collegata agli obblighi infungibili. Dal 2009 è stata inserita una norma nel codice, l’art. 614 bis c.p.c. che contempla una misura coercitiva generale sul modello francese. Negli ordinamenti stranieri, chi adotta il sistema delle misure coercitive lo può fare secondo due direttive; ci sono: misure coercitive civili e misure coercitive penali. Nell’arti. 614 c.p.c. si parla di pena pecuniaria, perché al più, il debitore che non adempie, viene condannato a un ulteriore aggravio della sua situazione debitoria in quanto viene irrogata nei suoi confronti una pena pecuniaria → questo è il meccanismo della misura coercitiva indiretta. Norma che con la riforma cartabia riceve un inquadramento, e vengono aumentate le potenzialità applicative. Nell’Esecuzione Diretta, si distingue tra: generica e specifica, l’esecuzione generica è quella che si attua mediante espropriazione, mentre l’esecuzione in forma specifica presiede all’attuazione obbligatoria degli obblighi di consegna o di rilascio, degli obblighi di fare, non fare o di disfare. Abbiamo come struttura dell’esecuzione diretta, il processo di espropriazione forzata (lo scopo è che alla fine si deve avere una somma di denaro da distribuire ai vari creditori, oppure da assegnare all’unico creditore). Abbiamo due tipologie di esecuzione specifica: 1. Esecuzione alla consegna o rilascio; 2. Esecuzione per obbligo di fare, non fare o disfare. Le norme che esprimono la struttura dell’esecuzione diretta sono nel codice civile. Per la struttura abbiamo l’art. 2910 c.c. secondo il quale il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può fare espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile. C’è un rapporto trilaterale: Il creditore ha un diritto di credito nei confronti del debitore che è tenuto, sulla base del diritto sostanziale della norma 2740 c.c., a far fronte all’obbligazione del contratto con tutto il suo patrimonio, presente e futuro; inoltre, il creditore fonda la tutela processuale di questa situazione del diritto di credito (sostanziale). Il creditore delega agli organi della procedura esecutiva l’espropriazione dei beni del debitore (non ha diritto ad agire direttamente in via esecutiva contro il debitore). C’è un diritto processuale del creditore nei confronti dello Stato: “sei tu che devi porre in essere tutti i presidi affinché i miei diritti vengano forzosamente adempiuti, soddisfatti”. Art. 2930 c.c. esecuzione in forma specifica → il giudice dirà come 35 potrò ottenere l’esecuzione in questo modo. Esecuzione forzata degli obblighi di fare: se non è adempiuto un obbligo di fare, l’avente diritto può ottenere che questo sia eseguito a spese dell’obbligato nelle forme stabilite dal c.p.c.; Esecuzione dell’obbligo di non fare: se non è adempiuto l’obbligo di non fare, l’avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell’obbligato ciò che è stato fatto. Se non c’è un titolo esecutivo, non si può procedere ad esecuzione forzata. Che cos’è il titolo esecutivo? È il presupposto necessario e sufficiente per procedere ad esecuzione forzata. In mancanza di questo non si può agire in via esecutiva. A norma dell’art. 474 c. 1 c.p.c. l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. Il secondo comma individua le tipologie di titolo esecutivo offrendo un elenco non esaustivo: i titoli esecutivi sono quelli definiti tali dalla legge, ne abbiamo tantissimi nel codice e fuori dal codice civile. È sbagliato dire, in sede di esame, che i titoli esecutivi sono solo quelli elencati dall’art. 474 c.p.c. Affinché un atto sia titolo esecutivo, è necessario che la legge gli attribuisca espressamente efficacia esecutiva ossia la possibilità di iniziare l’esecuzione forzata sulla base di quel documento. Il c. 3 mette in relazione i tipi di titolo esecutivo con le forme di esecuzione forzata cui aprono la porta. Primo concetto: non sulla base di tutti i titoli esecutivi si può procedere, ad esempio, ad esecuzione specifica per un ordine di fare, non fare o disfare. Il titolo esecutivo può essere differenziato in: 1. In senso sostanziale: diritto a procedere all’esecuzione forzata, è un diritto processuale ad ottenere la soddisfazione forzosa di una obbligazione; 2. In senso documentale: il documento, l’atto, il provvedimento. Il processo esecutivo è organizzato in modo tale che l’istante abbia la prova del proprio diritto. La prova è rappresentata proprio dal documento titolo esecutivo (es. cambiale, sentenza di condanna). Si ha questa nozione perché il creditore deve dare la prova del proprio diritto a procedere ad esecuzione forzata. È prevista questa prova per agevolare il giudice dell’esecuzione, perché si intende eliminare tutti gli spazi di cognizione del processo esecutivo (il giudice dell’esecuzione non si deve interrogare sui diritti, sull’esistenza di questi e sull’accertamento, questa era l’impostazione del codice del ’42 che adesso però non regge). Il giudice esecutivo, verifica la sussistenza del titolo esecutivo, presiede allo svolgimento dell’esecuzione forzata. C’è una distinzione in quanto non sempre coincidono. Perché non coincidono? Es. c’è una sentenza di condanna, ma il diritto a procedere ad esecuzione forzata non esiste. Non c’è corrispondenza tra il titolo esecutivo documentale e il titolo esecutivo sostanziale → Ho la sentenza di condanna al pagamento di 10.000 euro. Dopo la sentenza ho pagato. Il pagamento risulta dal bonifico, ma sulla sentenza non c’è scritto niente, in quanto si tratta di una sopravvenienza. La sentenza di condanna è stata emessa il 15 gennaio, il 25 il debitore ha pagato. Se il creditore mette in esecuzione quella sentenza, lui ha il titolo esecutivo in senso documentale, ma non ha il titolo esecutivo in senso sostanziale. Non ha il diritto a procedere ad esecuzione forzata nonostante il titolo, perché dopo la sentenza di condanna c’è stata una sopravvenienza, un evento che ha tolto il diritto al creditore in quanto il debitore ha pagato. In questo caso, entra in gioco lo spazio della cognizione incidentale: l’accertamento di questa non coincidenza tra documento e diritto 36 processuale non può essere verificata dal giudice dell’esecuzione, ma deve essere verificata dal giudice della cognizione (il giudice dell’opposizione all’esecuzione). Differenza tra: 1. Titoli giudiziali: si formano nel corso del processo, che è sicuramente dichiarativo - elencati al n. 1 dell’art. 474 c.p.c. e sono ovviamente la sentenza di condanna (nel nostro ordinamento l’unico titolo esecutivo, quando si parla di sentenze, sono le sentenze di condanna; non è titolo esecutivo la sentenza di condanna generica perché è una sentenza di mero accertamento che non liquida la prestazione), provvedimenti che sono titoli esecutivi: ordinanze (artt. 186 bis, ter e quater c.p.c., il decreto ingiuntivo), accanto a questi ci sono atti che non vengono dal potere decisionale del giudice, come il verbale di conciliazione (quando la conciliazione viene raggiunta nel giudizio - atto che rappresenta un incontro della volontà delle parti); 2. Titoli stragiudiziali→ il legislatore li divide tra il n. 2 e 3 dell’art. 474 c.p.c.: è una divisione che risponde ad una ratio precisa. (n.2 scritture private autenticate, (omissis) le cambiali, (omissis) altri titoli di credito che hanno efficacia ex lege - n.3 atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli). Rispetto al n. 2, abbiamo due tipologie: Titoli di credito, e quindi cambiali, assegni; Scritture private autenticate. Rispetto a queste, il legislatore fa una precisazione: ci dice che queste valgono come titolo esecutivo solo per le obbligazioni di somme di denaro. Ciò vuol dire che sulla base del n. 2 l’unica forma di esecuzione diretta possibile è l’espropriazione, quindi esecuzione generica (il creditore, alla fine del procedimento esecutivo, vuole una somma di denaro). Es. in caso di contratto di compravendita con la scrittura privata autenticata. L’unica parte di quel contratto che può valere come titolo esecutivo stragiudiziale è quella che presiede il pagamento del prezzo, cioè quella in virtù della quale è possibile ottenere in via forzosa il pagamento del prezzo. Il legislatore ha scelto, rispetto alle scritture autenticate, di rendere esecutiva solo la parte relativa al pagamento del prezzo; altrimenti detto: questo titolo esecutivo può essere utilizzato solo per l’espropriazione forzata. I titoli elencati al n. 2 fondano solo l’espropriazione forzata per il pagamento di somme di denaro. I titoli elencati nel n. 3 aprono la porta a più forme di esecuzione forzata, infatti, il terzo comma stabilisce che l’esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai nn. 1) e 3) del c. 2. Se si ha un titolo stragiudiziale, ma assimilato a quello del n. 3, si può fare sia espropriazione forzata, sia esecuzione forzata per consegna e per rilascio. Nel nostro ordinamento, il titolo che apre la strada a tutte le forme di esecuzione è il titolo giudiziale. Art. 474 c. 1 c.p.c. il diritto deve essere certo, liquido ed esigibile, altrimenti non si può procedere ad esecuzione forzata. C’è stata elaborazione dottrinale e giurisprudenziale su questi requisiti, e soprattutto sull’individuazione della certezza. Esigibilità: a volte le prestazioni sono sottoposte a termine o a condizione sospensiva. Si deve verificare la condizione affinché sia possibile esigere la prestazione, oppure (evidente nei diritti di credito) deve essere scaduto il termine affinché sia possibile esigere il pagamento. Liquidità: il diritto si riferisce al pagamento di una somma di denaro. La somma deve essere individuata o facilmente individuabile sulla base di meri calcoli matematici. Certezza: il problema si è posto in maniera più critica soprattutto riguardo alle obbligazioni di fare, non fare e disfare. In quel caso non è detto che il titolo esecutivo individui puntualmente l’obbligo oggetto della prestazione. Si sono sviluppati due orientamenti rispetto alle misure della 37 oggetto qualsiasi tipo di prestazione, non solo il pagamento di somme di denaro. Il legislatore ha scelto di rendere titolo esecutivo solo la parte relativa al pagamento del prezzo, può quindi solo essere usato per l’espropriazione forzata. Se si ha un problema di consegna del bene acquistato non si può usare il contratto, ma si deve agire in giudizio per ottenere l’accertamento dell’obbligo di consegna del bene e quel provvedimento sarà titolo esecutivo. La distinzione del n. 2 e 3 è giustificata dal fatto che quelli elencati al n. 2 fondano solo un’espropriazione forzata (solo pagamento di somma di denaro), i titoli sempre stragiudiziali del n. 3 aprono la porta a più forme di esecuzione forzata. Se si ha un titolo stragiudiziale assimilato al n. 3 (atti pubblici) si può fare sia espropriazione forzata sia l'esecuzione per consegna o rilascio. I titoli che si fondano all’esito della mediazione sono più forti perché nel nostro ordinamento il titolo che apre la strada a tutte le forme di esecuzione, è il titolo giudiziale, se si ha una sentenza di condanna, a seconda dell’obbligo contemplato, si può fare un’esecuzione in forma specifica o un’esecuzione in forma generica. Il verbale di mediazione è un titolo stragiudiziale, ma il legislatore incoraggia sempre le ADR e dà a questi verbali la stessa importanza dei titoli giudiziali, se si raggiunge la conciliazione e si ottiene un verbale, si ottiene un titolo stragiudiziale, ma ha una valenza più forte anche più dell’atto pubblico. Il titolo esecutivo in senso sostanziale, cioè il diritto a procedere all’espropriazione forzata, quello documentale rappresenta un diritto che deve essere certo, liquido ed esigibile5. Il requisito della liquidità si riferisce all’obbligazione di pagamento di una somma di denaro, individuata o individuabile. Il problema della certezza si è posto in maniera critica con le obbligazioni di fare/non fare/disfare perché in quel caso non sempre è individuato l’obbligo oggetto della prestazione. Le spese del processo esecutivo sono a carico dell’esecutato. La certezza non risponde tanto alle obbligazioni di pagamento, ma la liquidità potrebbe creare un problema perché la prestazione non sempre è individuata, due orientamenti: 1) non è seguito da nessuno - è certo solo il diritto accertato, il problema c’era sempre perché con accertamento compiuto dal giudice poteva starci, ma qualcuno con un po’ di forzatura ci faceva rientrare l’atto pubblico, ma il requisito della certezza poteva difettare (non era accertamento sempre del giudice), questo è stato abbandonato da diverso tempo, perché non è detto che il diritto certo sia un diritto accertato, sono concetti diversi; 2) ora la giurisprudenza e la dottrina individuano nel diritto certo dei caratteri più semplici ed effettivi: si ha diritto certo quando si individua il soggetto attivo (creditore o titolare della posizione positiva), il soggetto passivo e il contenuto della prestazione (chi è creditore, chi è debitore e qual è l’oggetto). Il giudice dell’esecuzione non fa un’ulteriore valutazione della bontà della sentenza, deve immediatamente sapere cosa deve fare. Questa nozione di certezza strizza l’occhio al principio di letteralità del titolo esecutivo: devono esserci tutti gli elementi per il 5 Art. 474 (Titolo esecutivo): L'esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. 40 titolo esecutivo, che deve contenere tutto senza far riferimento ad atti o documenti esterni. Questo era consolidato come orientamento fino a due pronunce della Cassazione del 2012 che hanno introdotto l’eterointegrazione del titolo esecutivo (una delle massime è riportata nella slide). Non c’è solo una rivalutazione monetaria, questo era già permesso, qui il dato più importante è la possibilità di eterointegrazione del titolo con atti o documenti prodotti nel giudizio, questo criterio interpretativo, che in realtà va oltre, vale soprattutto per i titoli giudiziali. Entro quali limiti si può fare questo riferimento? Quali sono stati i casi? In queste controversie si parlava di materia di lavoro, dove per alcuni diritti nella sentenza il giudice non aveva quantificato l’ammontare della prestazione dovuta, ma aveva fatto riferimento al CCNL o a documenti prodotti nel giudizio. Chi si trovava con questa sentenza non aveva né una prestazione certa né liquida. Per non porre nel nulla quella sentenza la giurisprudenza ha deciso che per individuare la prestazione si può far riferimento ad atti e documenti depositati nel giudizio a meno che questo non venga contestato da una delle parti. È possibile eterointegrare il titolo esecutivo, cioè specificare con atti inseriti nel processo e non contestati. Si è scelta la strada dell’eterointegrazione, ma il problema è quanto la giurisprudenza consenta l’eterointegrazione, quindi, molti titoli possono essere rimaneggiati. Esempio del chitarrista: non è un diritto certo, la misura dell’art. 614 bis c.p.c. ci dà dimostrazione di come il legislatore ha introdotto una misura. Es. n. 2 nell’ambito di un divorzio esistono delle spese, quando ci sono i minori, a cui si sa di dover far fronte (vestiti, scarpe, dentista) e spese straordinarie che non sono determinate e non se ne sa la quantità, la sentenza di condanna non dà un diritto certo circa queste spese, la giurisprudenza dapprima ha adottato un atteggiamento restrittivo: si andava a chiedere il decreto ingiuntivo con la sentenza di separazione per il rimborso di uno dei genitori da parte dell’altro; in un secondo motivo è stato deciso che se anche quella sentenza non contiene un diritto certo può essere usata come titolo esecutivo semplicemente nel precetto si dovrà indicare l’entità della spesa sostenuta. La Cassazione ha stabilito un altro principio. Non può essere fatta nessuna azione esecutiva senza il titolo esecutivo (nulla executio sine titulo), che deve esistere e stare in piedi per tutto il processo esecutivo. Può accadere che non rimanga in piedi per tutto il procedimento quando l’esecuzione del decreto ingiuntivo è provvisoria, questo non era passato in giudicato, non si aveva più il diritto a procedere all’esecuzione forzata, succedeva che Tizio procedente/pignorante iniziava l’espropriazione forzata con una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, il giudice d’appello diceva che non ne aveva diritto al pagamento, Tizio se ne convinceva, passava in giudicato e la procedura esecutiva veniva estinta. Questo è fisiologico per chi agisce con una sentenza provvisoriamente esecutiva. Il problema si era posto per chi interveniva nella procedura espropriativa perché alla caduta del titolo cadeva il processo esecutivo, c’era il travolgimento degli interessi di questi terzi. Alcune volte conviene fare intervento non avendo un titolo esecutivo, quindi, non si può fare 41 la propria procedura esecutiva; in altri casi conviene perché si ha con un titolo esecutivo, l’intervento è quindi fatto da un creditore titolato, che ha, quindi, a sua volta un suo titolo esecutivo passato in giudicato, non opposto. Ai fini dell’economicità della procedura e dell’effettiva tutela dell’interventore, è vero che non può essere fatta esecuzione forzata se non in virtù di un titolo valido, ma se uno che ne ha uno valido interviene la procedura resta in piedi. Il precedente orientamento diceva che andava fatto tutto sul titolo del procedente, ma se interviene uno titolato allora, ad oggi, questo può mantenere tutta la procedura (vedere sentenza dell’ultima slide). 2 maggio 2024 - Titolo e Precetto Teoria dell’oggettivizzazione del titolo esecutivo: sostenuta dalla dottrina e poi confermata nel 2014 dalla giurisprudenza, secondo questa il titolo esecutivo deve permanere per tutto il procedimento, ma non per forza deve essere quello del pignorante, la procedura può reggersi anche nel caso in cui ci siano interventori titolati, si reggerà sul loro titolo esecutivo. Se ne parla soprattutto in ambito di espropriazione forzata, ma fonda questa teoria a prescindere dall’espropriazione forzata. Gli interventori titolati possono entrare in un processo già in atto senza proporre un proprio processo esecutivo. Per il creditore titolato che vuole intervenire dopo il 2014 è diventato tutto più semplice perché la procedura a seguito dell’intervento resta regolare. Con l’opposizione all’esecuzione si contesta il titolo esecutivo (diritto della parte che agisce in via esecutiva) prima del 2014, l’opposizione proposta contro il primo titolo esecutivo caducava l’intero processo esecutivo. Adesso l’opposizione all’esecuzione non ha più questa forza perché adesso non cade tutta la procedura se ci sono altri interventori titolati. Inizio del processo esecutivo La prima cosa da fare quasi in ogni caso è notificare il titolo esecutivo e il precetto. La notifica del titolo esecutivo è cambiata perché è stata abrogata la formula esecutiva. Prima i cancellieri apponevano la formula esecutiva sul provvedimento che consentiva la spedizione in forma esecutivo, è un retaggio burocratico eliminato con la Cartabia, prima si apponeva il “comandiamo” perché si comandava al all’ufficiale giudiziario di eseguire un dato provvedimento. Questo iter era complicato ora perché il processo è stato trasformato in digitale. Con le difficoltà, con questo retaggio inattuale e con l’avvento del covid (procedure esecutive sospese) è stata abbreviata perché prima troppo lunga, infatti l’apposizione è stata ritenuta irrilevante. La cartabia ha abolito la formula esecutiva, adesso l’avvocato attesta la conformità del provvedimento che notifica il titolo esecutivo all’originale. C’è una mera attestazione dell’avvocato di questa conformità degli atti processuali agli originali. In capo all’avvocato c’è una responsabilità. L’unico problema vero è che la formula esecutiva aveva la funzione fondamentale di impedire la circolazione dello stesso titolo esecutivo in mano a diversi soggetti attivi. La formula esecutiva era tale per cui se si apponeva sull’atto dato dal giudice questa aveva effetto sempre, si era affermata l’idea che un unico soggetto attivo può agire per ottenere l’esecuzione forzata del contenuto di un provvedimento e a favore di quel soggetto veniva dato il provvedimento. Questo comportava una tranquillità: non c’erano più soggetti attivi che volevano porre in atto quel provvedimento. Tutta la fase di apposizione di formula esecutiva che durava parecchio è stata snellita di molto, inizialmente si è cercato di stringere i tempi. 42 Chi è il giudice che emette la misura prevista dall’art. 614 bis c. 1 c.p.c.? Il giudice della cognizione, non c’era scritto per questo bisognava specificarlo, fino al 2022 questa norma è stata configurata solo come una condanna accessoria. “Caro giudice, emetti il provvedimento di condanna ed emetti anche la misura di coercizione ex art. 614 bis c.p.c.”. Si chiedeva al giudice della cognizione un adempimento e una condanna pecuniaria per ogni giorno di ritardo. C’è un bilanciamento di quanto può essere gravosa la violazione. È una condanna accessoria. Se il soggetto obbligato a tenere un comportamento ritarderà, si avrà una misura coercitiva da azionare quando si verificherà il ritardo. Il secondo comma ha dato la possibilità di emettere una misura coercitiva al giudice dell’esecuzione. Prima era una condanna in futuro nella cognizione. La misura coercitiva assiste l’obbligo principale, la violazione è solo eventuale. Se però si verifica dopo la cognizione bisogna dare possibilità di richiederla nella fase dell’esecuzione forzata e anche nei casi in cui il titolo esecutivo sia stragiudiziale. Quindi si amplia la possibilità anche ai titoli stragiudiziali di poter richiedere la misura dell’art. 614 bis c.p.c. anche al giudice dell’esecuzione. Il legislatore ha permesso il controllo e l’emissione dal giudice dell’esecuzione, si è avuto in questo modo un slabramento dell’esecuzione: nell’esecuzione entra un’ulteriore ipotesi di accertamento, ma fatto nelle forme dell’esecuzione, artt. 612 e 614 c.p.c. esecuzione in forma specifica di obblighi di fare o di non fare. La vera distinzione tra questi due articoli è la fungibilità o meno dell’obbligo, di solito si usa la misura coercitiva quando l’obbligo è infungibile, il legislatore ha ritenuto che questo procedimento fosse più idoneo da seguire per ottenere una misura coercitiva nell’ambito dell’esecuzione. A prescindere dal provvedimento giurisdizionale, quindi quando il titolo esecutivo è stragiudiziale o quando questo è un titolo esecutivo dato da una condanna, ma in quella sede non è stata fatta richiesta per la misura accessoria, allora si può chiedere al giudice della cognizione. Nel ricorso si inserisce la misura coercitiva. Pignoramento È un rapporto trilatero, il creditore può far espropriare i beni del debitore, vi rientra lo stato e vi rientra il processo esecutivo: procedura per fare/espropriare beni del debitore. La struttura si può dividere in tre momenti: 1. Individuazione dei beni da pignorare, in questo momento l’espropriazione forzata inizia con il pignoramento; 2. Liquidazione dei beni pignorati, si passa dal bene del debitore fino ad ottenere una somma, ciò avviene con vendita forzata o assegnazione → fase non obbligatoria; 3. Distribuzione della somma ricavata o momento distributivo, in molte procedure non c’è, non è presente per esempio nelle procedure in cui c’è un solo creditore pignorante. Si chiude velocemente perché si dà la somma al creditore e può esserci un residuo con il quale vengono pagate le spese giudiziali → fase non obbligatoria. Ci sono tre tipi di espropriazione: ● Mobiliare presso il debitore; ● Mobiliare presso terzi o espropriazione di crediti; ● Immobiliare. A seconda del tipo di espropriazione c’è differenza anche nel pignoramento che è il primo atto dell'espropriazione, quindi, ha regole diverse, a seconda dell'espropriazione. Il legislatore ha dato regole specifiche per il pignoramento e per i vari tipi di espropriazione, ma ha anche dato una regola generale che individua il contenuto minimo del pignoramento (art. 492 c.p.c.). Questa norma segna il contenuto minimo del pignoramento. 45 8 maggio 2024 - Espropriazione forzata - Pignoramento Info di servizio - VOTO PARZIALE 26 - Non portare al totale della seconda parte di procedura civile: estinzione e sospensione del processo esecutivo, pignoramenti di beni indivisi e pignoramento contro il terzo proprietario (599 ss, 602 e 604, titolo sesto dall’art. 623 al 632). Il legislatore ha collocato all’art. 492 c.p.c. la disciplina del pignoramento, che è la norma generale, poi ha fatto delle norme specifiche che riguardano i vari tipi di pignoramento. Pignoramento Un tipo di pignoramento è atto di ufficiale giudiziario, uno con collaborazione di creditore e ufficiale giudiziario e uno è svolto dal creditore, quindi, non si può dire che sia solo un atto dell’ufficiale giudiziario, è una nozione superficiale che si scontra con la realtà. Il pignoramento è definito dall’art. 492 c. 1 c.p.c. l’elemento comune a tutti i tipi di pignoramento è l’ingiunzione che secondo questo articolo è l'ufficiale giudiziario che fa questa ingiunzione. Viene ordinato al debitore di non disporre dei beni pignorati affinché il creditore con la procedura di espropriazione forzata possa soddisfarsi, su quei beni non può esercitare diritto come se fosse proprietario dalla data in cui è posto in essere l’atto di pignoramento. Il c. 2 parla dell’elezione di residenza del debitore nella circoscrizione del giudice competente per l’esecuzione forzata, ma in realtà la dottrina dice che le notificazioni viaggiano telematicamente → la vera ratio è che si informa il debitore che può partecipare al processo esecutivo, se è interessato a partecipare deve eleggere la residenza/domicilio e avrà delle facoltà che ad egli conseguono, ci sono delle istanze che può fare anche per pacificare l’espropriazione forzata e per tutelare i suoi beni, dall’altra parte può fare opposizione all’esecuzione, uno strumento forte nelle mani del debitore e che può caducare tutta la procedura. I cc. 4 e 5 impongono al debitore un obbligo di collaborazione con la procedura: prevede che se l’ufficiale giudiziario non reperisce abbastanza beni per sostenere il credito del creditore richiede al debitore di indicare altri beni pignorabili, il debitore non sempre collabora, ma la norma impone il dovere di collaborazione. È più onere che un obbligo, non è un obbligo reale perché non ci sono sanzioni. Esistono modalità 46 telematiche di ricerca dei beni pignorabili: art. 492 bis c.p.c. modificata dalla Cartabia che permette al creditore e all’ufficiale giudiziario di interagire con i dati dell’agenzia delle entrate che aiutano a capire se c’è un conto corrente o beni immobili etc. diventa più semplice l’individuazione dei beni da pignorare, il creditore prima di procedere al pignoramente deve sapere qual è la situazione del debitore, deve sapere se ha particolari possedimenti, o che genere di lavoro svolge, se è un lavoratore subordinato, prima di agire dovrebbe avere un quadro che lo orienti nell’azione espropriativa. Il creditore può anche cumulare i vari tipi di espropriazione: nulla esclude che il creditore possa fare un pignoramento mobiliare e uno immobiliare. L’espropriazione vuole che il bene sia assegnato e venduto per un credito, si può aggredire in modi diversi beni diversi, ma non si può mai aggredire lo stesso bene, se non in maniera coordinata: due creditori che aggrediscono lo stesso bene dello stesso debitore, ma a fondamento ci sono diversi titoli esecutivi ognuno ha il suo. Il pignoramento successivo va riunito al precedente così ci sarà un unico processo. Una volta che il bene è stato venduto questo bene va ridistribuito per tutti i creditori. Pignoramento mobiliare (art. 513 c.p.c.) Questa norma spiega come avviene il pignoramento mobiliare. Nel pignoramento mobiliare c’è il massimo coinvolgimento di ufficiale giudiziario, non si prevede la presenza del creditore: creditore fa istanza all’ufficiale giudiziario per procedere a pignoramento nei confronti del debitore (a cui ha notificato precedentemente il precetto e il titolo esecutivo) indicando i luoghi in cui è possibile a procedere a pignoramento mobiliare → luoghi che hanno con il debitore una relazione di appartenenza. Nel pignoramento mobiliare il legislatore non ha voluto accertare l’effettiva titolarità del diritto di proprietà dei beni pignorati: e.g. se il debitore a casa ha tre quadri da 20k che il creditore ha visto a casa del debitore, c’è quindi una relazione di appartenenza, sono beni che si suppone appartengano al debitore. L’art. 513 c.p.c. non richiede l’accertamento dell’effettiva titolarità dei beni mobili (sarebbe un accertamento molto gravoso che si espone ad attività fraudolenta). L’ufficiale giudiziario si reca nell’abitazione del debitore, nelle pertinenze e nei luoghi in cui egli svolge la sua professione (se liberi professionisti obv) e tutto quello che rinviene in questi luoghi può ritenerlo di appartenenza del debitore e può essere pignorato. Le dichiarazioni dei terzi sull’appartenenza effettiva del bene non rileva, ma le dichiarazioni del debitore rilevano? No, non rilevano. Il terzo effettivo proprietario può fare opposizione del terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) potrà dire al giudice dell’esecuzione che il bene pignorato è il suo (il pignoramento è sbagliato). Se l’unico bene pignorato era del terzo e questo se ne riappropria, il debitore se non ha nulla allora la procedura si chiude. Non tutto quello che riguarda la titolarità ha a che fare anche con l’appartenenza. Il terzo deve dimostrare la titolarità del bene che gli appartiene e che rivendica. L’ufficiale giudiziario individua i beni da pignorare, redige il verbale che viene messo a conoscenza del debitore e del creditore (istante o pignorante procedente). Artt. 514, 515 e 517 c.p.c. prevedono delle limitazioni sui beni pignorabili: ● Beni totalmente impignorabili: comprende beni essenziali alla sopravvivenza e necessari per mantenere la dignità del debitore; 47 Custodia Può essere affidata al debitore, perché non c’è il problema della circolazione del bene, valgono le trascrizioni per la circolazione dei beni immobili → le chiavi in mano non ti danno la titolarità di un bene, ma la trascrizione si. Anche quando il debitore viene nominato custode perde il possesso del bene. Il possesso del bene con il pignoramento si congela. Il bene resta nella proprietà del debitore fino alla vendita, ma il possesso si congela. Il debitore custode non ha più possesso del bene, ma detenzione. Questo è importante anche per le responsabilità che possono essere anche penali nel caso del custode, nel caso in cui non adempia il suo dovere di custodia ha delle sanzioni. È detentore nell’interesse della procedura (non chiederà le regole della nomina del custode). Art. 555 c.p.c. si occupa di pignoramento immobiliare. Pignoramento presso terzi (cose mobili o crediti del debitore detenuti da terzi) Per aversi questo atto di pignoramento non c’è il coinvolgimento dell’ufficiale giudiziario, ma c’è il coinvolgimento del terzo. È una fattispecie a formazione progressiva che parte da un momento in cui c’è un atto di pignoramento formato interamente dal creditore con le caratteristiche dell’art. 543 c.p.c. che viene notificato non solo all’esecutato, ma anche al debitor debitoris (terzo o debitore del debitore o detentore di beni dell’esecutato - e.g. datore di lavoro o istituto bancario che mantiene i soldi del soggetto su un conto corrente aperto in quell’istituto). Il creditore nell’espropriazione verso terzi ha più problemi perché non sa se ci sono crediti del debitore, fa questo atto di pignoramento e fa la notificazione sia al debitore che al terzo per chiedere l’esistenza del credito. Il conto corrente potrà esserci, ma potrebbe essere vuoto. Il terzo dovrà fare dichiarazione di esistenza, ma nel caso in cui non ci sia il credito dovrà dirlo anche in quel caso il pignoramento andrà a vuoto. L’atto di pignoramento (art. 543 c.p.c.) consiste in questo atto iniziale notificato al terzo e all’esecutato, ma si perfezionerà solo dopo che la dichiarazione del terzo sia arrivata e solo nel caso in cui questa sia positiva, altrimenti l’atto di pignoramento sarà viziato, perché si cerca di colpire un bene inesistente. Da quale momento di producono gli effetti del pignoramento? Se gli effetti si producono al perfezionarsi c’è un lungo periodo che resta scoperto; se gli effetti si pongono dalla notifica dell’atto non si sa neanche se il pignoramento è legittimo (può essere sbagliato l’atto o può essere inesistente il credito): per salvaguardare il procedente gli effetti in maniera provvisoria si hanno dalla notificazione dell’atto di pignoramento, ma gli effetti permangono solo se c’è la dichiarazione positiva del terzo, altrimenti viene tutto caducato come se non ci fosse mai stato. Fino al 2012 il sistema era gravoso, ma coerente: la dichiarazione del terzo si acquisiva sempre con la presenza di questo in un’apposita udienza in cui veniva chiamato a rendere la dichiarazione, si apriva un giudizio incidentale se c’era qualsiasi tipo di problema. Dal 2012 il legislatore ha rivisto la norma, ma continuano ad esserci problemi in vari meccanismi dell’espropriazione presso terzi. Ad oggi il terzo può non andare in udienza perché la dichiarazione può essere rilasciata in raccomandata con ricevuta di ritorno o PEC e in questa c’è la dichiarazione sull’esistenza o meno del credito. La raccomandata è indirizzata al creditore. Il terzo può fare la dichiarazione entro 10 giorni, se non la fa il giudice 50 fissa l’udienza per fare la dichiarazione che non ha fatto con le procedure semplificate, altrimenti il pignoramento non si perfeziona. Se il terzo non si presenta o se non rilascia dichiarazioni, ex art. 548 c.p.c. cpv si è voluto snellire tutto, l’esistenza di beni presso il terzo si considera non contestata ed è come se questo sia sussistente, non contestato ai fini della procedura esecutiva. RICAPITOLANDO tutti i problemi che prima venivano addossati alla cognizione, perché per qualsiasi divergenza tra quello che aveva detto il creditore e quello che diceva il terzo si apriva un giudizio incidentale di cognizione, che aveva il nome di giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, adesso tutto questo è tornato nell’esecuzione forzata che non è adeguata a fare questi controlli di tipo cognitivo. (vedi punto tre dell’ultima slide). Il terzo deve rendere la dichiarazione tramite PEC/raccomandata entro 10 giorni da quando riceve la notifica dell’atto di pignoramento, se non la rende viene fissata l’udienza, se a quell’udienza non si presenta viene fissata un’altra udienza, se non si presenta o se non rende dichiarazioni, il credito si ritiene non contestato e il problema viene superato con una fictio iuris di non contestazione del credito, solo ai fini della procedura. Se si presenta e rende una dichiarazione un po’ diversa da quella del debitore all'interno del pignoramento, c’è quindi discordanza, allora questi problemi vengono risolti con ordinanza dal giudice dell’esecuzione, questa ordinanza può essere contestata con opposizione agli atti esecutivi dell’art. 617 c.p.c. e diventa l’unico strumento per sottoporre la questione al giudice della cognizione. 9 maggio 2024 - Pignoramento presso terzi Quando si ha questa forma di pignoramento e di espropriazione è disciplinata dagli art. 543 ss c.p.c. quando il debitore esecutato unico esecutato ha debiti nei confronti dei terzi o ha cose mobili detenute dal terzo. Il terzo è coinvolto nell’espropriazione, ha un ruolo fondamentale, deve rendere una dichiarazione sull’esistenza e sull’ammontare. Fino al 2012 queste dichiarazioni dovevano sempre essere rese in udienza: il terzo era convocato in udienza, c’erano regole di competenza particolari che facilitavano la partecipazione del terzo nel processo esecutivo, a seguito della riforma del 2012 su cui poi il legislatore è tornato nel 2014 e 1025, ma anche nel 2022 e nel 2023 (disciplina sempre rimaneggiata), la dichiarazione è resa di regola fuori udienza, con raccomandata o PEC che il terzo deve inviare al creditore, ma se non viene inviata la norma prevede degli strumenti che consentono la prosecuzione del processo esecutivo. Il terzo non solo deve rendere una dichiarazione, ma non è esecutato, non è sottoposto all’esecuzione, ma diventa custode con la comunicazione del pignoramento. È evidente la questione quando c’è il pignoramento presso il datore di lavoro, che quando c’è il pignoramento di crediti presso l'istituto bancario. Viene ordinato al terzo di non dare la cifra richiesta al debitore. L’istituto bancario diventa custode e ha la responsabilità di evitare gli atti di disposizione del credito, il terzo, nel caso in cui dia i soldi richiesti dal debitore, dovrà rispondere egli stesso della cifra dal debitore prelevata. Nel caso del pignoramento presso terzi c’è l’ingiunzione rivolta al debitore e viene avvertito il terzo di non far disporre del credito pignorato. Il terzo diventa custode e garantisce la fruttuosità dell’esecuzione forzata. Se nell’atto di pignoramento presso terzo è il creditore che individua il rapporto di debito credito e dell’ammontare del credito, se vi sono discordanze tra quanto detto dal creditore e quando detto dal terzo, decide con un’istruzione e con decisione sommaria il giudice dell’esecuzione, il rimedio esperibile per questa decisione è l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c. un giudizio incidentale di 51 cognizione. Prima della riforma del 2012 questa era la prima cosa che succedeva: si apriva un giudizio incidentale di cognizione detto proprio di accertamento dell'obbligo del terzo. Nella realtà sostanziale cosa succede quando viene perfezionato il pignoramento? (non chiederà tutto) La regola è dettata dall.art. 2913 c.c. La disciplina è frammentata tra il codice di procedura e il codice civile perché è un retaggio storico. Il legislatore ha scelto lo strumento del minimo mezzo, il legislatore ha scelto l’inopponibilità, l’inefficacia relativa dell’atto compiuto perché l’atto di disposizione è inefficace solo nei confronti del creditore pignorante e degli interventori. Si chiama principio del minimo mezzo perché e.g. nel codice previgente vi era un divieto di alienazione, i beni non potevano circolare e chi contravveniva a questo divieto poneva in essere un atto nullo, nullità che poteva essere fatta valere erga omnes. È sembrato troppo gravoso imporre un divieto di circolazione: se il bene sottoposto a pignoramento circola, il creditore può far espropriare anche dal terzo proprietario, il creditore pignorante può far espropriare il bene diventato del terzo perché quel bene era sottoposto ad una disciplina di pignoramento → pignoramento contro il terzo proprietario → ipotesi di responsabilità senza debito. Quel bene su cui c’è il vincolo del pignoramento può essere espropriato dal creditore pignorante perché l’atto di vendita è inefficace, non si ha un rientro del bene nel patrimonio del debitore, ma è come se quell'atto non ci fosse stato. Si va dal terzo proprietario e si espropria il bene venduto e che era sottoposto a pignoramento. Dopo il pignoramento si può fare l’istanza di vendita, ma solo il creditore titolato che possiede quindi il titolo esecutivo. Regola del minimo mezzo L’inefficacia relativa degli atti di disposizione dei beni sottoposti a pignoramento che non sono inefficaci per la totalità degli individui, ma solo per il creditore pignorante e per gli interventori. Il vincolo nell’espropriazione è a porte aperte a differenza del sequestro che è a porte chiuse. Dell’inopponibilità relativa si giovano sia il creditore pignorante che gli interventori. Il vincolo impresso dal creditore pignorante protegge anche gli interventori a prescindere dal pignoramento successivo. L’interventore successivo è protetto dal primo pignoramento fatto dal primo pignorante ex art. 2913 c.c. Conviene intervenire in una procedura esecutiva aperta da un altro se si possiede un titolo esecutivo? Se si ha un titolo esecutivo conviene fare pignoramento successivo o no? La risposta viene dall’art. 2913 c.c., dipende dalla fattispecie concreta, la risposta si trova in questo articolo. E.g. pignoramento fatto da Tizio in data 2 Aprile, contravvenendo all’ingiunzione del pignoramento il debitore compie un atto di alienazione in data 30 Aprile, in data 2 Maggio interviene Sempronio, Sempronio interviene dopo l’alienazione. L’atto di alienazione è inopponibile a Sempronio? Sempronio si giova della data del primo pignoramento. A volte per un interventore titolato è più conveniente intervenire in un procedimento già iniziato, perché può giovarsi di una data anteriore, che in alcuni casi è 52 vengono meno. Il terzo acquista in buona fede a titolo originario, il creditore pignorante e gli intervenuti possono agire per responsabilità risarcitoria nei confronti del custode. L’ipotesi del n.4 dell’art. in esame è diversa perché il possesso non è stato trasmesso e non può essere trasmesso dopo perché il pignoramento congela il possesso. Una volta che c’è stato il pignoramento il debitore non può trasmettere il possesso di un’alienazione compiuta prima del pignoramento. Questo atto è inopponibile ai creditori. Unica eccezione è la data certa: c’è stata alienazione senza trasmissione del possesso, la detenzione è ancora nelle mani del debitore, viene compiuto il pignoramento, però l’alienazione è fatta con atto pubblico avente data certa, allora a quel punto il creditore pignorante e gli intervenuti non possono prevalere perché quell’atto è certamente precedente al pignoramento. In realtà si tratta dell’applicazione della regola dell’art. 2913 c.c.: quali sono gli atti opponibili al creditore e quali sono gli atti che sono inopponibili. Se dal punto di vista dell’art. 2913 la questione è più semplice perché il momento è il pignoramento e tutti gli atti sono inopponibili al creditore pignorante e agli interventori, in questo caso abbiamo alienazioni anteriori al pignoramento che però hanno qualche difetto, non si sono perfezionate, allora a seconda del tipo di espropriazione può ancora esserci la possibilità per il creditore pignorante e per gli intervenuti di essere tutelati rispetto al terzo che ha acquisito il diritto o rispetto al terzo cessionario del credito. Questi effetti conservativi non giovano solo il creditore procedente, ma anche gli altri intervenuti. Intervento dei creditori Artt. 498, 499, 500 c.p.c. danno la configurazione di questo istituto. Quando parliamo di intervento dei creditori bisogna partire dal fondamento: esiste una norma del codice civile art. 2741 c.c. che esprime il principio della par condicio creditorum, il principio secondo cui tutti i creditori di un debitore hanno diritto ad essere soddisfatti e siccome hanno diritto ad essere soddisfatti in uguale maniera, salvo le cause legittime di prelazione, poiché in una procedura si arriva a vendere i beni del creditore allora si deve dare la possibilità agli altri creditori di intervenire in questa procedura espropriativa, far valere le loro ragioni creditorie e soddisfare il loro credito. Nella dinamica del codice previgente, ma anche agli inizi del codice attuale, l’intervento era garantito a tutti i creditori senza aggiungere altro semplicemente descrivendo il diritto di credito, dando quindi prova di essere creditore per entrare nella procedura espropriativa. Adesso si parla di intervento a porte chiuse, prima si parlava di intervento a porte aperte. Adesso solo determinati creditori possono intervenire. Le cause legittime di prelazione rilevano nella fase di distribuzione del ricavato cioè si può immaginare un’espropriazione semplice con creditore procedente che aggredisce i beni di Caio e nella vendita forzata il bene viene aggiudicato ad un terzo, questo terzo paga 10k, c’è il credito di Caio che è 5k più 3k per le spese processuali, alla fine ci sarà la fase di distribuzione in cui il delegato alle vendite prende 8k e le dà al creditore e addirittura restano 2k che vengono restituite al debitore, procedura scolastica che non si verifica quasi mai, di solito c'è l'intervento dei creditori che quando intervengono hanno diritto ad una parte del credito. Ha diritto cioè nella fase di distribuzione (ultima fase della procedura espropriativa) è necessario capire secondo quale ordine si debbano soddisfare i creditori, le cause di prelazione danno l’ordine di soddisfazione dei crediti degli interventori e sono le ipoteche, i pegni e i privilegi. A cosa servono quindi le cause legittimi di prelazione 55 e come rilevano dal punto di vista processuale? Rilevano nella fase di distribuzione del ricavato. Di regola sono di natura sostanziale, nel processo il principio della par condicio creditorum vuole che i creditori siano soddisfatti seguendo e non violando le cause di prelazioni sostanziali. Esistono cause di prelazione processuale, ma sono limitate e sono collocate nell’art. 499 c.p.c. che descrive l’intervento e cosa succede a seguito dell’intervento e si occupa anche della cause di prelazione processuale (si formano con l’intervento), fatta eccezione per queste due cause di prelazioni processuale, tutte le altre sono sostanziali e vanno rispettate. Le prelazioni che esistono al tempo del pignoramento rappresentano la fotografia della realtà fattuale e giuridica devono essere rispettate: la distribuzione dovrà essere strutturata secondo le diverse cause di prelazione secondo l’ordine del codice civile. Categorie di creditori interventori Art. 499 c.1 c.p.c.: ● Creditori titolati, che possono anche porre in essere un processo esecutivo, a maggior ragione possono intervenire; ● Creditori sequestranti; ● Creditori con un diritto di pegno o prelazione risultante da pubblici registri (privilegi scritti o ipoteca - prelazione che per nascere deve essere iscritta); ● Creditori che hanno un credito risultante da una scrittura contabile. Può esserci un creditore titolato che è anche ipotecario, o un creditore che ha un diritto di pegno che non ha un titolo esecutivo. Può esserci un sequestrante che è anche ipotecario, l’importante è che si rientri in una delle categorie di sopra elencate per intervenire. Avere un titolo esecutivo ed intervenire dà determinate prerogative e possibilità, invece intervenire senza un titolo esecutivo apre la strada ad un altro percorso dell’istituto dell'intervento perché il diritto di questi soggetti non è né certo né liquidi né esigibile. Astrattamente potrebbe esserlo, ma non è consacrato in un titolo esecutivo, quindi, c’è all’interno dell’intervento una verificazione di questi crediti che può essere più o meno complesso. L’art. 498 c.p.c. individua delle categorie di creditori che devono essere avvisati della procedura esecutiva c’è un gruppo di creditori che devono avere informazioni sulla procedura avviata. Questi creditori possono scegliere se intervenire o meno proprio perché hanno avuto informazione della procedura espropriativa. Se non vengono avvisati non si può andare avanti. 16 maggio 2024 - Creditori interventori. I creditori hanno pari diritti di essere soddisfatti salvo le cause legittime di prelazione: pegno, ipoteche e privilegi, hanno natura sostanziale, nel processo esecutivo si applica il diritto sostanziale. Le prelazioni processuali sono contenute nell’art. 499 c.p.c. Prima si parlava di intervento a porte aperte: tutti potevano intervenire nel 56 processo esecutivo senza che fossero creditori in particolari condizioni, recentemente il legislatore ha cambiato la struttura dell’intervento che lo ha permesso solo ad alcuni tipi di interventori: creditori titolati, creditori sequestranti, creditori pignoratizi o titolari di prelazione data da ipoteca o da pubblici registri. Domanda d’esame: intervento? Questi sono i creditori che possono intervenire, l’intervento non è concesso a tutti, ma solo ad alcuni tipi di creditori. Gli avvisi che si devono fare ai creditori: sembrerebbe che da quegli avvisi sfugga il creditore titolare del pegno. Non si può chiedere al creditore pignorante di andare alla ricerca di tutti i creditori di un debitore, quindi, i creditori che sono iscritti in un pubblico registro sono individuabili. Si può notificare l’inizio dell’espropriazione forzata. È facile intercettare il creditore ipotecario perché questa è iscritta nei pubblici registri. Si avvisano i creditori iscritti nei pubblici registri perché il creditore li può individuare facilmente. Perché devono essere avvisati i creditori ipotecari? Perché la vendita forzata ha effetto purgativo dei diritti reali di garanzia, il pegno e l’ipoteca sono diritti reali di garanzia e la prerogativa è che hanno diritto di sequela, circolano quando circola il bene, non si estinguono con l’alienazione del bene ad un altro proprietario. La vendita forzata ha più o meno l’efficacia di una vendita normale tranne alcune regole specifiche: uno di questo è l’effetto purgativo dei diritti reali di garanzia, e.g. quando si fa un’asta e c’è un terzo che compra un immobile, questo lo compra libero da ipoteche. Il creditore ipotecario dovrà essere avvisato perché l’ipoteca verrà cancellata con la vendita forzata, dovrà essere avvisato per intervenire nella procedura e soddisfare il suo credito. E. g. classico: mutuo per acquisto della prima casa, dopo 10 anni il mutuo è diminuito e il soggetto non paga più perché investe in altro, il creditore 2 agisce nei confronti del soggetto consultando i registri avvisa la banca perché questa può soddisfare il suo credito, ma la banca dice che mancano soldi al mutuo quindi interviene al fianco del creditore 2. Il creditore ipotecario deve essere necessariamente informato per avere la possibilità di soddisfare il suo credito in una procedura concorsuale. Anche il pegno costituito sulla cosa mobile è diritto reale di garanzia e viene cancellato con la vendita forzata, ma non possiamo desumere che venga avvisato il creditore pignoratizio perché non c’è la registrazione. Se il pegno si costituisce regolarmente, c’è la consegna della cosa oggetto di pegno, quindi, quando si pignora la cosa oggetto di pegno non si toglie al debitore, ma al creditore, il creditore pignoratizio è quindi avvisato perché gli viene sottratto il bene del debitore anche se non c’è pubblicità prevista per il diritto di pegno. L’ufficiale giudiziario sottrae la cosa oggetto di pegno perché diventa oggetto di pignoramento. Il creditore lo sa e può decidere di intervenire e sa che la vendita forzata avrà effetto purgativo nei confronti del suo diritto reale di garanzia, quindi, se vuole soddisfare gli converrà intervenire in quella procedura iniziata da un altro creditore pignorante. Il creditore interventore interviene depositando un ricorso allegando dei documenti (dipende dal tipo di intervento) se fa un’intervento sulla base di un titolo esecutivo deve allegarlo, se fa intervento perché titolare di un diritto registrato sui registri pubblici deve allegare l'estratto in copia autentica, deve far capire quale credito ha e a quale categoria di creditori appartiene. ● Se interviene il creditore munito di titolo esecutivo, non si deve chiedere altro infatti può addirittura dare impulso al procedimento, se viene caducato il titolo del primo 57 I creditori chirografari, soprattutto i tardivi, rischiano di prendere 0 alla fine della procedura perché non c’è sempre un ordine di soddisfazione percentuale, il fatto di essere assistito da cause di prelazione significa che quel creditore viene soddisfatto per primo e bisogna vedere cosa resta alla fine e se resta qualcosa. La soddisfazione in maniera percentuale avviene tra i creditori che hanno cause di prelazione, e.g. se ci sono due creditori ipotecari, questi si dividono la somma ricavata, non è in percentuale fino alla soddisfazione del chirografario. Le spese della procedura vengono soddisfatte per prime. Nel codice previgente l’intervento era ammesso solo nella fase distributiva. A seguito del pignoramento devono essere fatti gli avvisi ex art. 498 c.p.c. devono essere avvisati i creditori per fare l’intervento. Dopo il pignoramento la procedura prosegue così: il creditore pignorante fa l’istanza per fissare l’udienza per la fissazione della vendita/assegnazione. Istanza entro 45 giorni dalla data del pignoramento, il creditore pignorante deve aspettare un termine dilatorio di 10 giorni per: 1. Permesso al debitore di chiedere la conversione del pignoramento; 2. Consentire ai creditori di fare interventi tempestivi. Dopo 10 giorni si può fare istanza per la fissazione dell’udienza nella quale il giudice deciderà se fare l’assegnazione o la vendita forzata, istanza che va fatta comunque non oltre 45 giorni dalla data del pignoramento che altrimenti perde efficacia. Fase liquidativa. Pignoramento → avvisi ai creditori → istanza per la fissazione dell'udienza per la vendita/assegnazione → si procede per una delle due strade. La differenza tra la vendita forzata e l’assegnazione è che nella vendita forzata il bene viene assegnato ad un terzo rispetto alla procedura (aggiudicatario), l’assegnazione è una “vicenda familiare” perché il bene è assegnato ad uno dei creditore. Sono due modalità di liquidazione dei beni pignorati: in una c’è sempre il coinvolgimento di un terzo estraneo alla procedura, nell’altro c’è assegnazione in favore di un creditore o procedente o intervenuti. L’assegnazione può essere satisfattiva e non satisfattiva. E.g. Creditore procedente pignora l’auto di Caio (25k) perché ha debito di 20k e poi ci sono le spese della procedura, non ci sono creditori intervenuti, il creditore fa istanza di assegnazione, il creditore si soddisfa con l'alienazione del bene pignorato, 5k sono di spese processuali → assegnazione satisfattiva. L’assegnazione è l’unica modalità di liquidazione in caso di pignoramento di crediti. Assegnazione satisfattiva: si trasferisce la titolarità del bene al creditore e questo è soddisfatto. Non viene monetizzato il bene. In altri contesti più frequenti c’è l’assegnazione non satisfattiva: un creditore prende il bene e a fronte di questo passaggio paga perché ci sono più creditori nella procedura, intanto soddisfa il proprio credito, ma poi dà una somma determinata nel contesto della procedura che corrisponde alla stima del bene e che serve a soddisfare gli altri creditori. Se nella assegnazione satisfattiva è evidente quello che fa il creditore, nell’assegnazione non satisfattiva il creditore ha interesse a farsi assegnare il bene invece che fare la vendita forzata perché quando c’è la vendita forzata si assiste ad un deprezzamento del bene, il creditore si chiede se conviene far deprezzare un bene, intanto si prende il bene per soddisfare il suo credito e 60 paga per soddisfare gli altri creditori. Il bene così non è del tutto deprezzato. Di solito si fanno 5 tentativi di vendita all’asta. L’udienza in cui il giudice dispone la vendita o l’assegnazione è il termine finale per le opposizioni all’esecuzione. È il termine finale perché il giudice vuole arrivare alla vendita senza che ci siano problemi e dubbi sul diritto a procedere all’esecuzione e sulla validità degli atti esecutivi. Il legislatore nel 2016 ha aggiunto un termine finale anche per l’opposizione all’esecuzione, dopo quest’udienza la procedura deve proseguire senza problemi, libera da problemi di natura sostanziale, ma anche formale, che attengono ai singoli atti del procedimento, c’è una particolare forma di opposizione nella fase distributiva (c.d. Opposizione distributiva) con un meccanismo differente ex art. 512 c.p.c. sfugge a questa regola perché nasce nel contesto della fase distributiva, quando i creditori si oppongono al piano di riparto fatto dal giudice. 22 maggio 2024 Il giudice dispone di norma la vendita e l’assegnazione in un’apposita udienza. È onere del creditore pignorante o degli intervenuti con un titolo esecutivo procedere a questa richiesta, entro 45 giorni, altrimenti si estingue, ciò non vuol dire che il creditore non è più nelle condizioni di rimettere in moto la procedura esecutiva, ma dovrà riniziare da capo. Art. 501 c.p.c. c’è un termine dilatorio per la reazione del debitore (riduzione o conversione del pignoramento) e l’intervento dei creditori. Alla fine 35 giorni sono quelli che restano per dare queste possibilità. L’assegnazione diversamente dalla vendita prevede che il bene sia assegnato ad un creditore, perché l’assegnatario diversamente dall’aggiudicatario è sempre un creditore. L’assegnazione può essere assegnazione-vendita o assegnazione satisfattiva, la prima non segue le regole della vendita, ma dell’assegnazione, la seconda è una modalità di estinzione del debito dell’esecutato senza la distribuzione del ricavato. Esistono vari criteri per determinare se deve esserci prima l’assegnazione o prima la vendita, di solito la vendita subentra quando è partita l’assegnazione, o viceversa quando c’è un deprezzamento esagerato. In alcuni casi l’assegnazione è coattiva, cioè imposta dalla legge, il credito viene assegnato, negli altri casi è volontaria. Il giudice e il legislatore sono rigidi nello stabilire un valore minimo di assegnazione perché non si vuole che si concluda con un prezzo sfavorevole nei confronti del debitore. Il debitore è preso alla gola e pur di tirarsi fuori dalla procedura ed esiste un valore minimo, il giudice si accerta che l’assegnazione non sia in un valore minimo definito dall’art. 506 c.1 c.p.c. Tipi di vendita Le norme sulla vendita sono complesse e sono soggette a continue modifiche. Non vedremo in dettaglio le disposizioni della vendita che sono altamente tecniche e digitali, non se ne occupa il giudice, ma nella maggior parte delle volte un avvocato o un notaio (c.d. professionista delegato). Il professionista delegato gestisce la vendita e 61 la fase distributiva e solo se sorgono problemi questo dialoga con il giudice dell’esecuzione. La vendita mobiliare è più semplice ed è preferita la modalità senza incanto, quella che avviene a mezzo commissionario: si affida ad un soggetto la vendita del bene mobile che farà una trattativa privata con gli eventuali offerenti di solito il commissionario non è detto che sia l’istituto delle vendite giudiziarie, ma in prima battuta è questo istituto. L’istituto si occupa di gestire le vendite forzate. È presente un'opzione di vendita delegata dove è centrale il ruolo del professionista delegato, ma solo per i beni mobili registrati (e.g. auto). Vendita immobiliare Nella vendita immobiliare abbiamo una vendita con o senza incanto e con il delegato dove subentra il professionista delegato, c’è anche la vendita diretta (nuovo istituto introdotto dalla Cartabia) che prevede la collaborazione del debitore: il debitore cerca di vendere il proprio bene pignorato. Se la vendita forzata non avviene perché il bene non è allettante e non si riesce a monetizzare l’unico bene pignorato, la procedura si chiude per infruttuosità della vendita. Per la vendita immobiliare è preferita la vendita senza incanto: adesso è tutto telematico, l’unica cosa da fare è pubblicare un avviso sul sito delle aste giudiziarie, lì si pubblicano gli avvisi sul bene in invendita che viene identificato, se ne fa una stima del prezzo per aggiudicarsi il bene, si fanno delle offerte scaglionate nel tempo o telematicamente tramite una procedura ad hoc o con una modalità cartacea: c’è la consegna dell’offerta in busta chiusa scritta con determinati requisiti, quindi fatta da un avvocato, si deposita in cancelleria o all’ufficio del professionista delegato. Si prendono accordi con il professionista delegato per la consegna dell'offerta in busta chiusa, si ha una sicurezza sia sulla data sia perché l’offerta in busta chiusa contiene 1/10 del prezzo del bene, quindi, si deposita l’istanza e i soldi, l'importante è che il plico non vada perso. L’offerta è presa in considerazione solo se accompagnata da 1/10 del prezzo stabilito dal giudice in base ad una stima effettuata dal consulente, la vendita senza incanto prevede che chi voglia fare un'offerta per aggiudicarsi quel bene deve innanzitutto offrire un prezzo che sia uguale al prezzo di stima, almeno al primo tentativo, e poi deve essere un’offerta seria: accompagnata già dal deposito di 1/10 del prezzo stabilito dal giudice. Se arriva un’unica offerta e il giudice vede che è stata realizzata con i requisiti previsti dalla legge e non ci sono criticità, il giudice fa giudicare il bene all’offerente: con un’ordinanza di aggiudicazione dice all’offerente di versare il restante prezzo entro un determinato termine, se l’offerente lo fa ed ottempera alle modalità di versamento del prezzo, il giudice emette un decreto di trasferimento ossia l’atto finale della fase di liquidazione (acquisto a titolo derivativo), così si consolida il trasferimento del bene. L’aggiudicatario diventa proprietario. Il debitore non può mai essere l’acquirente formale della vendita. Se c’è più di un offerente e chi fa l’offerta non lo sa fino al giorno in cui il professionista delegato apre le buste. Il professionista delegato provvede all’apertura delle buste e verifica se ci sono più offerenti contestualmente è fissata l’asta (vendita con incanto) con l’idea che se ci sono più offerenti si vede chi offre di più e chi offre di più si aggiudica il bene, in questo caso il delegato individua il minimo di rilancio all’asta, e.g. “per questo bene se ci sono più offerte e il terzo dovesse partecipare all’asta dovrà rilanciare 10k”. In quella circostanza si tiene l’asta e chi offre di più si aggiudica il bene , se la vendita senza incanto va deserta, si provvede a quella con incanto: si avvia l’asta con un prezzo di base molto più 62 proporzionale si fa tra creditori dello stesso rango: e.g. se ci sono tre creditori con diritto di prelazione che esauriscono tutta la somma ricavata, i creditori chirografari non prendono nulla. Non si divide verticalmente. In alcuni, non è sempre detto, può anche capitare che la procedura sia stata iniziata da un chirografario che alla fine non prenda nulla perché i creditori con diritto di prelazione sono sempre più forti. Dopo i creditori con prelazione ci sono i chirografari tempestivi che hanno una prelazione di carattere processuale, l’altra prelazione processuale che può esserci si può avere a norma dell'art. 499 c.p.c. quando non c’è l’estensione del pignoramento, il creditore procedente è preferito in quel caso. Questo si ha solo per i chirografari, perché i creditori con cause di prelazione restano intoccabili sia se intervengono prima, che se intervengono dopo. Se c’è un residuo, questo viene restituito all’esecutato. La distribuzione avviene in presenza di più creditori con un piano di riparto o progetto di distribuzione. Con un solo creditore questo non viene fatto. Il piano di riparto è fatta in maniera diversa se è immobiliare o mobiliare. I creditori potrebbero avere qualcosa da ridire rispetto al piano di riparto, per questo si introduce la nozione di controversie in sede distributiva o di opposizioni in sede distributiva. Quando ci sono più creditori la somma ricavata viene distribuita dal giudice secondo l’ordine suddetto. Esistono gli accantonamenti, ma durano per tre anni, in questi tre anni devono munirsi del titolo esecutivo, il c. 3 spiega le distribuzioni parziali: è possibile che gli altri creditori vengano soddisfatti e resti accantonata solo la somma ricavata. Se non si munisce del titolo esecutivo, non perde il diritto di credito, ma il diritto di essere soddisfatto in quella procedura. È possibile che gli altri creditori vengano soddisfatti e che resti bloccata solo la somma accantonata. Nel momento in cui i creditori dimostreranno di essersi muniti del titolo esecutivo, allora potranno accedere alla distribuzione non di tutta la somma ricavata, ma della somma accantonata. È possibile che la somma ricavata non venga distribuita tutta insieme, perché ci potrebbe essere la soddisfazione del credito di quei creditori il cui credito non è messo in discussione, potrebbe però rimanere accantonata la somma per la soddisfazione dei creditori senza titolo esecutivo. Se i creditori non riescono a munirsi del titolo esecutivo nei tre anni dell’accantonamento? Ci sono due soluzione: se le somme ricavate non erano sufficienti a soddisfare tutti i creditori, le somme vanno ridistribuite secondo le cause di prelazione e in maniera proporzionale, cioè si avrà un’altra fetta della torta per chi ha già avuto una parte; se invece la somma ricavata era tale da soddisfare tutti i crediti, le somme accantonate che non vanno ai creditori, tornano al debitore esecutato, in applicazione del principio della restituzione dell’eventuale residuo. Il piano di riparto deve individuare secondo quale ordine e in che misura i crediti verranno soddisfatti, l’accantonamento è un’aspettativa. Il piano di riparto è diverso tra la procedura mobiliare e immobiliare, questa differenza poggia sull’iniziativa per il piano di riparto, nella procedura mobiliare ex artt. 541 e 542 c.p.c. si può ricavare che il progetto di distribuzione può essere portato all’attenzione del giudice dell’esecuzione direttamente dai creditori, i creditori si possono mettere d’accordo e si ha distribuzione concordata. Il giudice dell’esecuzione non può entrare nelle scelte fatte dai creditori se questi sono concordi, non può entrare nel merito, non ha potere di intervenire, deve fermarsi ad un vaglio di regolarità formale. Tutto 65 ciò non si ritiene possibile nella procedura immobiliare dove è il giudice dell’esecuzione a fare il piano di riparto, senza iniziativa dei creditori ancorché concordi. Il delegato stila il piano di riparto e poi in entrambi casi viene fissata l’udienza per discutere del piano di riparto. L’udienza nella procedura mobiliare, quando l’iniziativa viene concordemente da tutti i creditori, è un’udienza semplice dove si omologa il piano presentato dai creditori, la distribuzione avviene in maniera concorde rispetto a quanto stabilito nel piano di riparto. Il piano di riparto si può formare o come atto concorde dei creditori o lo forma il giudice. RICAPITOLANDO: Quando la distribuzione è fissata il giudice all’udienza controlla questo piano (discussione del piano di riparto), se i creditori sono d’accordo, il giudice non rileva nulla sul piano formale, il giudice dispone la distribuzione perché c’è un’omologazione. Se l’iniziativa non è dei creditori, è il giudice /professionista delegato a fare il piano di riparto, quindi, viene disposta udienza, ci possono essere due scenari o più: 1) I creditori possono essere d’accordo col piano di riparto del giudice e la distribuzione avviene in maniera conforme a quanto stabilito nel piano di riparto; 2) I creditori possono non essere d’accordo con qualche cosa che è stata individuata nel progetto di ripartizione, ma in quella udienza si può formare un accordo dei creditori e si procede alla distribuzione; 3) Non si trova una via per accordarsi e anzi i creditori decidono di muovere delle contestazioni al piano di riparto, più il debitore che il creditore, la posizione del debitore è particolare, non ha una posizione attiva nella formazione del piano di riparto, non è considerato parte attiva dalla giurisprudenza e dalla dottrina, non si deve acquisire l’accordo o la volontà del debitore. Il debitore ha la possibilità di sollevare contestazioni perché nella sede distributiva potrebbe trovarsi a contestare i crediti, per diminuire l’ammontare del suo debito, può cercare di ridurre anche il numero di creditori. 66 Controversie in sede distributiva Sono disciplinate da una norma molto complessa. Nel sistema anteriore alle modifiche del 2005 e 2006, la controversia che interessava il piano di riparto veniva fatta con un'opposizione simile all’opposizione alla cognizione, la dottrina e la giurisprudenza (giudizio incidentale di cognizione) erano concordi nell’affermare che in quel caso si discuteva del diritto di credito, dell’ammontare del credito, dell’effettiva esistenza e della collocazione del creditore nel piano di riparto, se facciamo un elenco dell’oggetto delle controversie distributive sono questi gli argomenti. Nella fase distributiva si può parlare ancora di esistenza del diritto di credito perché possono esserci creditori tardivi. A seguito di una controversia in sede distributiva, chi voleva contestare il piano di riparto faceva un’opposizione sulla quale decideva il giudice della cognizione, con un'opposizione all'esecuzione tanto che si parlava di opposizione di merito e non formale, la decisione valeva nel processo esecutivo, ma anche a qualsiasi altro fine. E.g. se si contestava l’esistenza del credito la sentenza valeva in tutti i procedimenti instaurati tra le stesse parti. Il legislatore nel 2005 decide di inglobare delle parentesi cognitive all’interno dell’espropriazione forzata. Oggi quindi delle controversie in sede distributiva decide il giudice dell’esecuzione. L’oggetto delle controversie distributive qual è? Ha effetto nella procedura esecutiva, ma non dovrebbe avere effetti nella giustizia dichiarativa. Una parte della dottrina continua a ritenere che oggetto della controversia sia il diritto di credito, di cui il giudice dell’esecuzione fa un accertamento sommario. Altra parte dice che si tratta di diritto al concorso, alla fine al creditore interessa sapere se può partecipare alla distribuzione della somma ricavata e in che misura. Tutte le ordinanze del giudice dell’esecuzione sono soggette all’opposizione agli esecutivi ex art. 617 c.p.c.: un'opposizione per la quale si va dinanzi al giudice della cognizione. La questione non è pacifica, ma il legislatore ha voluto portare nel giudizio di esecuzione le controversie distributive, il giudice dell’esecuzione deciderà con un’ordinanza su queste contestazioni, quella decisione avrà effetto ai soli fini dell’esecuzione forzata, ma se non si è soddisfatti della decisione del giudice dell’esecuzione si potrà fare opposizione agli atti esecutivi per avere la possibilità di accedere alla tutela dichiarativa. L’opposizione agli atti esecutivi è formale, per vizi di forma, non di contenuto, quindi, si contesta il diritto del creditore, perché è in atto un processo di modifica del volto dell’opposizione agli atti esecutivi. Ad oggi l’opposizione agli atti esecutivi è una soluzione residuale. C’è un pasticcio normativo (da non ricordare all’esame) riguardo all’art. 512 C. 2 c.p.c. il giudice sospende (obbligatoriamente) la distribuzione del ricavato, in tutto o in parte in base a chi fa la distribuzione prima di decidere della controversia: sospende, decide la controversia e quando decide si avrà la distribuzione, non avrebbe senso sospendere in contemporanea cioè che quando decide sospende. Opposizione Artt. 615 al 622 c.p.c. La prima è un’opposizione di merito sostanziale, perché è un opposizione all’esecuzione (artt. 615 - 616 c.p.c.); la seconda contesta la validità degli atti compiuti nell’esecuzione, c.d. Opposizione 67
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