Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Diritto Processuale Civile; III - Il processo esecutivo - Luiso 2016, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Riassunto del volume III di diritto processuale civile sul processo esecutivo

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

In vendita dal 29/12/2016

vadel1
vadel1 🇮🇹

3 documenti

1 / 29

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Diritto Processuale Civile; III - Il processo esecutivo - Luiso 2016 e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 1 Sommario 1. L’ESECUZIONE FORZATA NEL QUADRO DELL’ORDINAMENTO ........................................................ 2 2. L’ESECUZIONE DIRETTA E L’ESECUZIONE INDIRETTA ....................................................................... 2 3. I PRESUPPOSTI E IL CONTENUTO DELLE MISURE GIURISDIZIONALI ESECUTIVE ............................. 3 4. IL TITOLO ESECUTIVO ........................................................................................................................ 3 5. IL TITOLO ESECUTIVO IN SENSO SOSTANZIALE E IL T.E. IN SENSO DOCUMENTALE ....................... 4 6. L’EFFICACIA DEL TITOLO ESECUTIVO VERSO I TERZI ........................................................................ 5 7. LA NOTIFICAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO E DEL PRECETTO ......................................................... 5 8. STRUTTURA GENERALE DEL PROCESSO ESECUTIVO ........................................................................ 5 9. L’ESPROPRIAZIONE FORZATA ........................................................................................................... 7 10. IL PIGNORAMENTO ....................................................................................................................... 7 11. GLI EFFETTI CONSERVATIVI DEL PIGNORAMENTO ...................................................................... 9 12. LE VICENDE ANOMALE RELATIVE AL PIGNORAMENTO ............................................................. 10 13. L’INTERVENTO DEI CREDITORI .................................................................................................... 11 14. LA VENDITA E L’ASSEGNAZIONE IN GENERALE .......................................................................... 12 15. LE SINGOLE FORME DI VENDITA FORZATA ................................................................................ 13 16. GLI EFFETTI SOSTANZIALI DELLA VENDITA E DELL’ASSEGNAZIONE .......................................... 15 17. LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO ............................................................................................. 16 18. L’ESPROPRIAZIONE DEI BENI INDIVISI ........................................................................................ 18 19. L’ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO ............................................................. 18 20. L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA .......................................................................................... 20 21. L’ESECUZIONE PER CONSEGNA E RILASCIO ................................................................................ 21 22. L’ESECUZIONE PER OBBLIGHI DI FARE ........................................................................................ 21 23. L’ESECUZIONE INDIRETTA ........................................................................................................... 21 24. L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE ............................................................................................... 22 25. L’OPPOSIZONE AGLI ATTI ESECUTIVI .......................................................................................... 25 26. L’OPPOSIZIONE DI TERZO ........................................................................................................... 26 27. LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO ............................................................................ 28 28. L’ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO .................................................................................. 28 2 1. L’ESECUZIONE FORZATA NEL QUADRO DELL’ORDINAMENTO Il legislatore solitamente prevede che un comportamento qualificato come doveroso sia funzionale alla realizzazione di una situazione sostanziale protetta, le quali si suddividono in: - Situazioni finali: esse si attuano fornendo al loro titolare poteri di comportamento in relazione ad un determinato bene e facendo semplicemente obbligo a tutti gli altri soggetti dell’ordinamento di non intromettersi tra il titolare del diritto e il bene garantito; basta semplicemente che non sia loro impedito di utilizzare i poteri che l’ordinamento gli attribuisce - Situazioni strumentali: esse si attuano tramite un comportamento attivo di un altro soggetto senza il quale la situazione non è soddisfatta Accanto a questa distinzione sorge quella fra doveri primari e secondari: i doveri sono primari quando attuano lo svolgimento fisiologico della situazione sostanziale ed è previsto come obbligo primario quello di tenere un certo comportamento attivo; sono secondari quando nascono da un precedente illecito, ovvero esisteva un comportamento che andava rispettato e non lo è stato. Quando il soggetto che dovrebbe tenere il comportamento satisfattivo del diritto altrui non tiene quel comportamento commette un illecito; ai fini della tutela esecutiva è sufficiente che non sia stato tenuto quel comportamento. Occorre far sì che l’avente diritto riceva quell’utilità che gli sarebbe dovuta pervenire dall’adempimento dell’obbligato. Talvolta l’avente diritto può sostituirsi all’obbligato per adempiere al posto suo e procurarsi autonomamente quell’utilità; in altri casi però questo non è possibile e bisogna quindi fornire all’avente diritto uno strumento che gli possa fornire l’utilità che gli spetta e questo strumento è l’esecuzione forzata. Per quanto riguarda la tutela dichiarativa, essa non costituisce un presupposto necessario per l’esecuzione. 2. L’ESECUZIONE DIRETTA E L’ESECUZIONE INDIRETTA La tutela esecutiva è garantita costituzionalmente dall’art. 24 (diritto di azione e di difesa) e la corte di Strasburgo ha più volte ribadito che il diritto all’equo processo comprende anche l’esecuzione. - Esecuzione diretta: si ha tutte le volte in cui l’inerzia dell’obbligato è sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo, ovvero compie ciò che quest’ultimo avrebbe dovuto fare e fa conseguire all’avente diritto l’utilità che gli spetta secondo il diritto sostanziale. È necessario che ci sia omogeneità tra l’utilità fornita dall’ufficio esecutivo e quella che gli spetta secondo diritto sostanziale, altrimenti sarebbe un’utilità diversa che non avrebbe diritto di ottenere. Affinché ci possa essere la sostituzione è necessario che l’obbligo sia fungibile. - Esecuzione indiretta: quando si è di fronte ad obblighi infungibili si rende necessaria l’esecuzione indiretta, ovvero bisogna indurre l’obbligato ad adempiere e ciò può essere ottenuto prevedendo che l’obbligato inadempiente vada incontro a conseguenze negative per lui più onerose dell’adempimento, conseguenze sia di natura civile che penale:  Civile: sorge l’obbligo per l’inadempiente di pagare una somma di denaro per ogni ulteriore periodo di inerzia o violazione dell’obbligo di astensione  Penale: si prevede che gli ulteriori inadempimenti integrino un’ipotesi di reato (es. Germania- Inghilterra) L’esecuzione indiretta è utilizzata maggiormente per gli obblighi infungibili perché come tecnica ha degli inconvenienti: 5 Per l’individuazione dei titoli esecutivi in senso documentale occorre distinguere le ipotesi in cui questo sia una scrittura privata autenticata/titolo di credito (in questo caso il titolo esecutivo in senso documentale è rappresentato dal titolo esecutivo stesso) e quelle in cui il titolo esecutivo è rappresentato da provvedimenti giudiziali e atti pubblici (l’originale resta nelle mani del pubblico ufficiale che l’ha formato); per evitare che vi siano in giro più titoli esecutivi documentali interviene il meccanismo della spedizione in forma esecutiva, ovvero identificare la copia dell’atto che costituisce titolo esecutivo in senso documentale attraverso l’apposizione della formula riportata nell’art. 475. 6. L’EFFICACIA DEL TITOLO ESECUTIVO VERSO I TERZI Il titolo esecutivo individua nominativamente i suoi destinatari, quello che ci si chiede è se è possibile avere un processo esecutivo verso soggetti non indicati dal titolo; molte norme prevedono esplicitamente l’estensione degli effetti anche a terzi (eredi, subconduttori…) ma, appunto, estendono solamente gli effetti non prevedono la possibilità di avere un titolo esecutivo verso questi. Per trovare un principio generale di efficacia verso i terzi bisogna esaminare quelle norme che prevedono espressamente l’efficacia del titolo esecutivo verso i terzi e trarre da queste un principio generale. L’art.475 prevede che la spedizione del titolo esecutivo sia possibile anche a favore di soggetti non individuati nel titolo ma che siano successori dell’avente diritto; il titolo esecutivo dell’avente causa è utilizzabile dal dante causa quando c’è un rapporto di pregiudizialità-dipendenza e l’esistenza del primo diritto è accertata dall’esistenza dell’atto-titolo esecutivo (il rimedio contro i falsi successori di un titolo esecutivo è data dall’opposizione all’esecuzione). Sulla stessa linea funziona anche nei confronti degli eredi (l’erede è titolare di un obbligo connesso per pregiudizialità- dipendenza con quello del de cuius). L’art. 477 prevede solamente la successione a titolo universale, ma sul piano della natura delle relazioni fra l’obbligo pregiudiziale e l’obbligo dipendente le differenze fra successione universale e a titolo particolare non sono rilevanti. Il titolo esecutivo è quindi utilizzabile da o contro un terzo quando costui è titolare di un diritto o di un obbligo dipendenti da quelli contenuti nel titolo esecutivo. Quando vengono utilizzati titoli esecutivi contro o da eredi/successori vi è una non coincidenza fra titolo esecutivo in senso sostanziale e in senso documentale. 7. LA NOTIFICAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO E DEL PRECETTO Il precetto è definito come l’intimazione ad adempiere all’obbligo risultante dal titolo esecutivo in un termine non inferiore a dieci giorni; elemento essenziale è l’indicazione delle parti del processo esecutivo; dal punto di vista oggettivo il precetto costituisce l’attualizzazione del titolo esecutivo, anche se è possibile che il titolo esecutivo in senso documentale debba essere integrato da elementi estranei ad esso. Per quanto riguarda l’individuazione dei beni bisogna fare una distinzione: se al precetto segue un’esecuzione per consegna, rilascio o obblighi di fare, bisogna identificare i beni oggetto dell’esecuzione; se invece segue un’espropriazione è necessario individuare il credito tutelato ma non i beni da pignorare. Il precetto deve poi contenere la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio della parte istante. Un’eccezione all’obbligo di notificare il titolo esecutivo si ha nel caso in cui questi vengano utilizzati in originale e non in copia esecutiva, quindi il legislatore decide che la notificazione avvenga tramite trascrizione del titolo esecutivo nel precetto. La norma equipara il titolo esecutivo e il precetto a tutti gli altri atti del processo esecutivo, qualificando il precetto come un atto del processo anteriore all’inizio dell’esecuzione. Il precetto ha la funzione della domanda giudiziale, ovvero individua il diritto di cui si richiede la tutela esecutiva, ma rispetto alla citazione e al ricorso il precetto presenta una diversità, ovvero che la richiesta di intervento dell’ufficio esecutivo non è contestuale alla notifica del precetto ma avviene successivamente. Il precetto perde efficacia se entro 90 giorni dalla notifica non è iniziata l’esecuzione forzata; secondo la giurisprudenza della cassazione il termine di perenzione del precetto è fatto salvo da un pignoramento effettuato tempestivamente. 8. STRUTTURA GENERALE DEL PROCESSO ESECUTIVO 6 Lo scopo dell’esecuzione forzata è quello di procurare la soddisfazione di diritti correlati ad obblighi non adempiuti, dando per scontata l’esistenza di tali diritti ed obblighi; compiuto dell’esecuzione è far avere tali diritti ed obblighi non accertare la fondatezza del diritto sostanziale. L’ufficio esecutivo compie una ricognizione per verificare quale modalità sia meglio seguire e se deve agire, ciò che non controlla è appunto la fondatezza del diritto sostanziale da tutelare. L’ufficio esecutivo di fronte alla domanda di tutela esecutiva deve dare una risposta positiva o negativa dopo aver accertato i presupposti. Il giudice del processo dichiarativo può però rifiutare la tutela perché mancano le condizioni processuali oppure perché manca la situazione sostanziale per cui la tutela è stata richiesta, il processo di cognizione ha quindi una funzione dichiarativa e una struttura decisoria. Il processo esecutivo invece vede solo due possibili risposte alla domanda di emanazione di una misura esecutiva: l’accoglimento o il rifiuto. Vi sono differenze anche nella forma dei due processi: in quello dichiarativo la forma è sempre la stessa indipendentemente dal suo contenuto; nel processo esecutivo invece la forma varia in base alla risposta positiva o negativa: se la risposta è positiva la misura esecutiva avrà la forma prevista dalla legge, se invece risponde negativamente avrà la forma di un non-provvedimento. Per quanto riguarda le questioni di rito, il processo esecutivo non è strutturato in modo da risolvere le questioni processuali che possono sorgere al suo interno, ci sono però delle condizioni minime essenziali per poter emettere una misura esecutiva e sono le stesse necessarie a poter emettere una decisione di merito nel processo dichiarativo. Queste condizioni si trovano nel primo libro del cpc e sono scritte nell’ottica del processo dichiarativo quindi andranno applicate in maniera compatibile al processo esecutivo. Per quanto riguarda il termine ultimo per la rilevazione dei vizi è indicata la prima udienza (ovvero la prima udienza di fronte al giudice dell’esecuzione); al di là dei presupposti previsti la carenza di un presupposto processuale è rilevabile anche d’ufficio senza limiti di tempo. Se un vizio del processo viene quindi rilevato nei tempi e nei modi previsti, l’ufficio esecutivo deve rifiutare l’emanazione dell’atto che gli è stato richiesto. La differenza fra la carenza di un presupposto processuale e la nullità dei singoli atti è che se manca un presupposto si ha la nullità di tutti gli atti del processo, mentre alla nullità dei singoli atti occorre applicare gli art. 156 ss del cpc (queste norme non sono proprie del procedimento dichiarativo e possono quindi estendersi senza necessità di adattamento al procedimento esecutivo). La nullità dei singoli atti è rilevabile solo se lo prevede la legge e può essere posta a fondamento del rifiuto di provvedere solo se è rilevabile d’ufficio o se è eccepita correttamente dalla parte. L’esito dell’esame dell’ufficio esecutivo è o l’accettazione della richiesta oppure il suo rifiuto; mentre nel procedimento dichiarativo le questioni di rito sono decise, nel processo esecutivo sono DELIBATE per orientare l’azione, senza che costituiscano attività decisoria. Per l’ufficio esecutivo rileva soltanto l’esistenza del titolo esecutivo in senso documentale e non in senso sostanziale, quindi tutti i fatti modificativi ed estintivi non sono rilevabili; se l’esenzione viene eseguita in carenza di un titolo esecutivo, l’esecutivo può aprire un incidente di cognizione. Ritenere che l’ufficio esecutivo non può rilevare la carenza del titolo esecutivo in senso sostanziale significa che di fronte alla richiesta del procedente l’ufficio esecutivo deve comunque procedere ma può essere proposta l’opposizione all’esecuzione. Nonostante non ci sia bisogno di stabilire l’esistenza della situazione sostanziale non significa che non venga attuato il principio del contraddittorio; questo infatti ha senso poiché i soggetti hanno diritto di partecipare alla fase di ricognizione dei presupposti e quando i soggetti possono collaborare per raccogliere ciò che è rilevante per l’emanazione della misura giurisdizionale. Le parti possono quindi contribuire alla raccolta di ciò che è rilevante per l’emanazione della misura esecutiva. 7 All’interno del processo esecutivo bisogna stabilire quali sono le attività da compiere per impartire la tutela: in relazione a tali attività occorre garantire alle parti il diritto di interloquire su un piede di parità nei confronti del giudice; le domande alle parti sono da proporsi con ricorso da depositare in cancelleria o oralmente nel verbale di udienza. Per quanto riguarda la competenza è competente in senso verticale il tribunale per l’esecuzione forzata; orizzontalmente per l’espropriazione forzata è competente il giudice del luogo dove si trova il bene; per l’espropriazione verso terzi il luogo dove risiede il terzo debitore; per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare il giudice del luogo in cui l’obbligo dev’essere adempiuto; per la consegna e rilascio è competente il giudice del luogo dove si trovano i beni. La competenza territoriale è inderogabile dalla volontà delle parti 9. L’ESPROPRIAZIONE FORZATA È il processo con cui si tutelano esecutivamente i crediti relativi a somme di denaro e si fonda sulla regola per cui i beni del debitore rispondono all’adempimento delle obbligazioni e il creditore ha il potere di farli espropriare. La responsabilità patrimoniale è a fondamento di ogni forma di espropriazione forzata, questo in virtù della prevalenza del credito sulla proprietà che stabilisce che il creditore può far espropriare i beni del debitore e non espropriare (il creditore ha quindi un diritto processuale verso lo stato). Lo Stato ha verso il debitore un potere sostanziale di espropriare, il creditore ha verso lo Stato il diritto processuale di ottenere l’esercizio del potere di espropriazione, il creditore ha verso il debitore il diritto sostanziale di credito. Il processo di espropriazione passa attraverso tre momenti indispensabili: - Individuazione e conservazione del patrimonio attivo del debitore, oggetto dell’espropriazione forzata è il diritto che il creditore ha su quel bene e la funzione di individuare il bene e conservare quel bene è svolta dal pignoramento - Il secondo momento è costituito dalla trasformazione del diritto pignorato - Il terzo momento è costituito dalla trasformazione del ricavato (questa fase non è disponibile se non si realizza una liquidità) Se tutto è andato bene alla fine del processo di espropriazione, il diritto di credito viene soddisfatto; l’espropriazione si differenzia dall’esecuzione in forma specifica perché essa opera su due situazioni sostanziali mentre l’esecuzione in forma specifica opera su una sola situazione. 10. IL PIGNORAMENTO Il pignoramento è l’atto iniziale dell’espropriazione forzata, è l’atto con cui si individuano e si conservano i diritti del debitore, un diritto non trasferibile non è neppure pignorabile. Per raggiungere il proprio scopo il pignoramento deve adattarsi ai diversi modi con cui i diritti circolano nel nostro ordinamento, esistono quindi tre forme di pignoramento (mobiliare, immobiliare e di crediti). La norma generale del pignoramento è l’art. 492 cpc: - Il primo comma indica l’elemento comune a tutti i pignoramenti, ovvero l’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa all’esecutato di astenersi dal compiere qualunque atto. - Il secondo comma stabilisce che l’ufficiale giudiziario debba invitare il debitore a dichiarare una residenza o un domicilio nel circondario del tribunale stesso; l’onere per il debitore sussiste anche se il suo domicilio o la sua residenza si trovano nel circondario del tribunale. In sostanza la dichiarazione del debitore equivale latu sensu ad una costituzione in giudizio e la sua mancata dichiarazione equivale ad una contumacia. Le comunicazioni e le notificazioni al debitore presso la cancelleria sono 10 Di solito viene istituito un parallelismo fra la res litigiosa e la res pignorata anche se non è un parallelismo perfetto poiché gli effetti della domanda giudiziale si verificano solo a favore di colui che la propone e degli altri soggetti che intervengono nel processo proponendo altre domande poiché non sono protetti dalla domanda originaria. L’oggetto dell’espropriazione rimane sempre il diritto sul bene che aveva il debitore esecutato, questo perché altrimenti il creditore procedente, se acquistasse anche i diritti dell’acquirente del bene pignorato, avrebbe più diritti di quelli per cui aveva fatto richiesta inizialmente. Se dovessero nascere conflitti fra il terzo acquirente e il creditore procedente si applica l’art. 2914 che prevede quattro fattispecie diverse: - Alienazione immobiliare: fra l’avente causa e il creditore pignorante prevale colui che per primo ha trascritto l’atto d’acquisto o il pignoramento. - Cessione del credito: il conflitto si risolve sulla base della priorità fra il pignoramento e la notificazione della cessione al debitore ceduto; l’atto di pignoramento è un atto pubblico con data certa, quindi fra i due creditori cessionari prevale quello che ha notificato per primo la cessione oppure che ha visto per primo accettata la propria cessione con atto avente data certa. - Alienazione di universalità di mobili: nel cc non esiste un conflitto derivante dalla doppia alienazione di universalità di mobili ma l’atto d’acquisto per essere opponibile a terzi deve avere data certa - Alienazione mobiliare: conflitto fra creditore pignorante e acquirente di un bene mobile dal debitore esecutato, vengono posti due criteri per risolvere il conflitto: chi ha acquistato in buona fede il possesso è preferita all’altra; se nessuno dei due ha acquistato in buona fede allora vale il criterio dell’atto di data certa anteriore. Lo stesso principio vale per il pignoramento. Art.2915: detta una disciplina identica a quella che si ha quando un soggetto acquista un diritto sul quale grava un vincolo di indisponibilità, se il vincolo è trascritto prima della trascrizione dell’atto d’acquisto, allora prevale il vincolo, altrimenti il contrario. La trascrizione della domanda giudiziale produce un duplice effetto, uno processuale per cui la litispendenza verso i terzi si determina con riguardo al momento della trascrizione della domanda, quindi la sentenza emessa in base alla domanda trascritta prima dell’atto d’acquisto del terzo ha efficacia vincolante anche verso l’avente causa del convenuto, questo infatti non può contestare il contenuto della sentenza emessa contro il suo dante causa. Anche in caso di pignoramento il conflitto si risolve ricorrendo alla priorità delle trascrizioni. Quando oggetto del pignoramento è un credito, il terzo debitore è obbligato a non adempiere nei confronti del debitore esecutato; sul piano processuale è obbligato a corrispondere ugualmente la somma una seconda volta all’esecuzione forzata poiché il pignoramento congela il credito così com’è al momento in cui è stato effettuato e le ulteriori vicende che intervengono tra debitore e terzo non sono processualmente opponibili. Se invece i fatti estintivi del credito si sono prodotti anteriormente al pignoramento sono opponibili al debitore. 12. LE VICENDE ANOMALE RELATIVE AL PIGNORAMENTO Si ha un pignoramento congiunto quando vi è un’unica istanza di pignoramento e un solo atto di pignoramento a tutela di più creditori anche sulla base di titoli esecutivi diversi; questo comporta che le eventuali nullità inerenti al pignoramento si verificano per tutti. Non è così per le vicende dei rispettivi titoli esecutivi e dei rispettivi crediti. Art.523, unione di pignoramenti: capita quando più ufficiali giudiziari si ritrovano ad effettuare un pignoramento mobiliare; è un’ipotesi rara in cui si verifica un unico pignoramento. Art.493, pignoramento successivo: si tratta dell’ipotesi in cui un secondo creditore decide o di intervenire nello stesso processo di pignoramento iniziato da un creditore precedente oppure propone un pignoramento a sé stante sullo stesso bene su cui già pende un pignoramento; le conseguenze sono diverse. In caso di intervento nel pignoramento, il creditore successivo segue le vicende del processo in cui è intervenuto; se invece propone un pignoramento successivo e a sé stante si protegge dagli eventuali pregiudizi che potrebbe 11 ricevere dal processo innescato precedentemente da un diverso creditore sullo stesso bene. Il creditore successivo deve fare una valutazione su cosa ritenga più saggio e quale modo ritenga più efficace per ottenere la partecipazione nella distribuzione degli utili derivanti dalla vendita del bene. Da questo si può ricavare un principio, quello della litispendenza esecutiva, ovvero che non possono esserci più processi esecutivi contro lo stesso soggetto per lo stesso credito su beni diversi; se per errore questo dovesse capitare, secondo l’opinione comune prevale la vendita effettuata per prima. Si pongono problemi diversi quando sono pignorati diritti incompatibili che hanno ad oggetto lo stesso bene, però nei confronti di debitori diversi, può infatti esistere un solo diritto (non vale la priorità temporale perché ciascun pignoramento è effettuato contro un soggetto diverso). Il contrasto può risolversi con un processo di cognizione per stabilire a chi apparteneva il diritto oppure preventivamente con lo strumento dell’opposizione di terzo: il creditore effettua un’opposizione di terzo nel processo dell’altro creditore affermando che il diritto pignorato è prevalente sul diritto pignorato dell’altro. Per i processi esecutivi di beni mobili, questi devono sempre essere riuniti anche se i debitori sono diversi, una volta riuniti i processi e venduto il bene si accerterà in sede di distribuzione chi era l’effettivo proprietario. Art.483, cumulo di mezzi di espropriazione: trovano un unico limite nel caso di creditori che hanno ipoteca, pegno o privilegio speciale su beni del debitore poiché non possono pignorare altri beni dello stesso debitore se non sottopone ad esecuzione forzata anche i beni gravati da prelazione (questo serve ad impedire che il creditore pignori un altro bene mantenendo la garanzia su un bene diverso) Art.494, pagamento nelle mani dell’ufficiale giudiziario: il debitore esecutato può adempiere il pagamento nelle mani dell’ufficiale giudiziario che consegnerà la somma al creditore Art.495, conversione del pignoramento: originariamente sono stati pignorati dei beni al debitore che sostituisce ai beni pignorati una somma di denaro; il procedimento si svolge in due fasi: all’istanza di conversione del debitore segue un’ordinanza del giudice che determina la somma definitiva da versare e dà un termine al debitore per il versamento del saldo; si fissa poi un’udienza successiva al termine in questione per verificare se la somma è stata effettivamente versata. Art.496, riduzione del pignoramento: quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese dei crediti di cui all’art.495, il giudice può disporne la riduzione sentiti i creditori; questo può essere effettuato solo in caso di una pluralità di beni. Art.497, cessazione dell’efficacia del pignoramento: il precetto dev’essere seguito dal pignoramento in un termine che va dai 10 ai 90 giorni, così dopo il pignoramento deve seguire un termine minimo di 10 e massimo 90 giorni per la richiesta di liquidazione (tranne che per le somme di denaro). La cancellazione del pignoramento si effettua cancellando la trascrizione e trascrivendo un altro atto nel quale si dichiara che il pignoramento è divenuto inefficace. Chi subisce il pignoramento ha a disposizione tutta una serie di strumenti esterni al processo esecutivo anche se incidenti al processo stesso. 13. L’INTERVENTO DEI CREDITORI L’intervento dei creditori nell’espropriazione trova fondamento nel fatto che il debitore risponde con tutti i suoi beni e i creditori hanno eguali diritti di essere soddisfatti eccetto cause di prelazione: privilegi (solo rispetto alla persona del debitore), pegno e ipoteca (che invece seguono il bene anche in altri patrimoni). La riforma del 2006 ha modificato la disciplina dell’intervento, permettendolo solamente a chi fra i creditori ha un titolo esecutivo, a chi ha un credito garantito da pegno, prelazione iscritta o da sequestro o chi è titolare di un credito risultante dalle scritture contabili previste dall’art.2214 cc. Il creditore che vuole intervenire deve depositare nella cancelleria del giudice dell’esecuzione un ricorso contenete l’indicazione del credito e 12 del titolo di esso; anche le scritture contabili se l’intervento si fonda su quelle. È istituita una verificazione dei crediti per i creditori che sono legittimati ad intervenire ma non hanno un titolo esecutivo, ordinanza che viene notificata ai creditori e al debitore. All’udienza fissata il debitore riconosce tutti o una parte dei crediti e i creditori acquisiscono il diritto di essere soddisfatti. La riforma del 2006 ha ristretto la possibilità di intervento ma in fare ciò è scaduta nell’incostituzionalità poiché non consente a chi non rientra fra le categorie prescelte di munirsi di una legittimazione a partecipare alla distribuzione del ricavato, viola quindi il principio costituzionale relativo ai rapporti fra diritto sostanziale e processo. Il creditore munito di titolo esecutivo ha di fronte a sé la scelta se intervenire nel processo oppure compiere un pignoramento successivo. La differenza sta nel fatto che il creditore intervenuto ha diritto di partecipare all’espropriazione, in secondo luogo se è munito di titolo esecutivo può provocare i singoli atti di espropriazione come l’istanza di vendita, necessaria a non far estinguere il processo esecutivo. Dal momento che gli atti d’impulso necessari a far proseguire il processo possono provenire solo da creditori muniti di titolo esecutivo, all’udienza dev’esserci almeno uno di questi. La distinzione fra i due tipi di creditori vale soltanto fino a che non viene effettuata la vendita. Questa irrilevanza del titolo esecutivo dopo la vendita ha fatto propendere la dottrina per suddividere il processo esecutivo in due fasi: una di aggressione del patrimonio e una di distribuzione degli utili; la prima ha caratteristiche di diritto esecutivo e la seconda di diritto sostanziale. L’art. 632 (se l’estinzione avviene dopo la vendita la somma ricavata va consegnata al debitore) fa cadere questa divisione bifasica, lasciando intendere che l’espropriazione forzata comprende anche la distribuzione. I creditori con diritti di prelazione devono essere avvertiti quando viene pignorato il bene su cui hanno la prelazione (devono essere avvertiti però solo quelli la cui prelazione risulti da pubblici registri); per capire questa differenza bisogna distinguere i vari creditori: vi sono quelli dotati di semplice privilegio il quale non dà diritto di sequela sul bene; ci sono quelli con diritto reale di garanzia che risulta da pubblico registro e quelli in cui invece non risulta, hanno diritto di prelazione solo quelli la cui prelazione risulta da pubblico registro perché sarebbe impensabile per il creditore pignorante avvertire tutti i creditori compresi quelli di cui non può essere a conoscenza. Anche i creditori che non risultano iscritti nei pubblici registri perdono la loro prelazione con la vendita forzata, ma non è necessario avvertirli, questo perché la vendita forzata non ha effetti diversi dalla vendita di diritto comune, l’estinzione dei privilegi è un effetto della vendita in generale. Per i diritti reali di garanzia che risultano iscritti nei pubblici registri scatta l’obbligo del 498 cpc, ovvero il creditore procedente deve notificare e il giudice verificare l’avvenuta notifica. I creditori possono essere tempestivi o tardivi con riferimento a quelli chirografari, cioè non muniti di un diritto di prelazione; i creditori chirografari tempestivi sono soddisfatti in ragione percentuale del loro credito mentre quelli tardivi sono soddisfatti sul residuo. Il momento che determina la tempestività dell’intervento è dato dalla prima udienza fissata per stabilire le modalità di assegnazione o vendita. Ai creditori intervenuti tempestivamente il creditore pignorante può indicare l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili. 14. LA VENDITA E L’ASSEGNAZIONE IN GENERALE Nella seconda fase del processo il bene viene liquidato e trasformato in denaro (se il bene è già del denaro non c’è bisogno della liquidazione). Dalla fase del pignoramento alla liquidazione passa un tempo minimo di 10 giorni ad un massimo di 90 che serve a permettere al debitore di reagire al pignoramento e proporre eventuali richieste permette anche ai creditori un minimo di tempo per proporre tempestivamente l’intervento. Una volta trascorso il tempo il creditore procedente o i creditori intervenuti e muniti di titolo esecutivo possono proporre l’istanza di vendita. Per procedere alla liquidazione si può passare per la vendita 15 L’offerente all’incanto o il vincitore del bando versano il corrispettivo e il giudice pronuncia un decreto di trasferimento, unico momento in cui avviene il trasferimento effettivo del bene. Il decreto di trasferimento costituisce un titolo esecutivo per il rilascio, ovvero per ottenere la consegna del bene acquistato; se il bene esecutato è nella materiale disponibilità del custode, allora il decreto costituisce titolo esecutivo per il rilascio; se il bene si trova nel possesso di un terzo avrà valenza di titolo esecutivo se il terzo è un avente causa esecutato, altrimenti bisognerà usare i normali mezzi del diritto sostanziale. - Vendita fallita: ciascun creditore può chiedere l’assegnazione del bene immobile per la somma maggiore tra il valore del bene secondo stima da un lato e dall’altro i crediti aventi prelazione anteriore al richiedente (dev’essere avanzata almeno dieci giorni prima della data dell’incanto). Se non si provvede all’assegnazione il giudice può provvedere o con l’amministrazione giudiziaria del bene immobile oppure disponendo una nuova vendita all’incanto. 16. GLI EFFETTI SOSTANZIALI DELLA VENDITA E DELL’ASSEGNAZIONE La vendita forzata dà luogo ad un acquisto a titolo derivativo la cui misura è determinata dalla misura del diritto del dante causa. In questo modo si proteggono anche gli eventuali terzi veri proprietari del bene, in quanto essendo a titolo derivativo, l’acquisto non può infierire su di loro se è stato fatto nei confronti di un soggetto diverso (viene trasferito il diritto di proprietà e se questi non l’avevano per davvero non può essere trasferito nulla). Il diritto trasferito è il diritto così com’era al momento del pignoramento. I creditori intervenuti beneficiano degli effetti utili del pignoramento tra cui, appunto, l’effetto conservativo del momento in cui è stato effettuato. I creditori ipotecari hanno un meccanismo di protezione maggiore che distingue due categorie di terzi acquirenti di diritti sulla cosa ipotecata: i titolari diritti reali minori e quelli di diritti reali maggiori. Nel caso dei secondi il loro diritto può essere sottoposto ad esecuzione forzata perché è un diritto trasferibile sul piano del diritto sostanziale, facendo diventare i titoli esecutati; nel caso dei primi invece, non essendo diritti trasferibili sul piano sostanziale, i loro diritti si estingueranno per incompatibilità e verranno risarciti con una somma di denaro. I titolari diritti che si estinguono con l’espropriazione diventano quindi creditori privilegiati (perché hanno preferenza sui creditori ipotecari posteriori e sui creditori chirografari) iscritti (perché il loro credito deriva dalla trasformazione di un diritto che trae origine da un atto trascritto) e possono quindi intervenire nel processo esecutivo e far valere le loro ragioni sul ricavato della vendita. Esiste però un inciso nell’art. 2919 “salvo gli effetti del possesso di buona fede” il quale stabilisce che gli atti dispositivi del diritto pignorato non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e dei creditori intervenuti; un acquisto a titolo originario è prevalente rispetto a quello del creditore procedente e quindi idoneo a sottrarre il bene all’espropriazione. La buona fede nel caso dell’art. 2913 consiste nel non sapere che è il bene è pignorato; se invece lo si acquista dal terzo che è custode consiste nel non sapere che il bene è di proprietà dell’esecutato. Nel momento in cui nasce il diritto acquistato a titolo originario dall’acquirente in vendita forzata, si viene a creare una situazione di incompatibilità con quella del terzo proprietario del bene. Nell’ipotesi in cui l’esecutato non fosse titolare del diritto pignorato e trasferito, il conflitto tra il terzo, proprietario del bene, e l’acquirente in vendita forzata si risolve normalmente a favore del terzo ed eccezionalmente a favore dell’aggiudicatario. Se oggetto della vendita forzata è stata una cosa mobile, chi non ha fatto valere le proprie ragioni sulla somma ricavata dalla espropriazione, non possono farle valere nei confronti dell’acquirente di buona fede né ripetere la somma; il terzo ex proprietario non può nemmeno far valere le proprie ragioni verso l’aggiudicatario di buona fede perché l’acquisto è avvenuto a titolo originario. L’acquisto a titolo originario presuppone un titolo 16 astrattamente idoneo, la consegna del bene, la buona fede; il terzo proprietario del bene mobile pignorato deve valutare se è in grado di dimostrare o no che l’acquirente sapeva che il bene non apparteneva all’esecutato. Se il terzo ritiene di avere abbastanza prove per dimostrare la mala fede dell’acquirente in vendita forzata, può non far valere il suo diritto sul ricavato ed agire in rivendicazione nei confronti dell’acquirente. Una volta dimostrata la mala fede l’acquisto il titolo d’acquisto passa da originario a derivativo e torna così applicabile il 2919 e il terzo può così ottenere la restituzione del bene dall’aggiudicatario. Rimangono altre due possibilità per il terzo che ha perso il proprio diritto perché si è realizzato un acquisto a titolo originario da parte dell’aggiudicatario: una prima possibilità presuppone la prova della mala fede del creditore procedente che proseguito l’esecuzione nonostante sapesse che il bene pignorato non apparteneva all’esecutato, in questo caso può richiedere il risarcimento danni; una seconda possibilità è costituita dall’arricchimento senza causa nei confronti del debitore esecutato poiché questo ha pagato debiti suoi con beni altrui. Anche nell’ipotesi in cui il bene sia assegnato invece che venduto la soluzione non cambia. Quando la vendita forzata dà luogo ad acquisto a titolo derivativo chi ci rimette è l’aggiudicatario perché perde il bene in quanto l’ha acquistato da chi non aveva nulla. Vi sono infine delle differenze tra vendita di diritto comune e vendita forzata: nella vendita forzata non ha luogo la garanzia per i vizi; inoltre nella vendita forzata non può essere effettuata l’impugnazione per causa di lesione; la vendita di diritto comune poi non è estintiva del diritto reale di garanzia, anzi il titolare del diritto può perseguire il bene presso qualunque successivo acquirente. In che misura la nullità degli atti del processo può essere fatta valere dall’esecutato come motivo per chiedere la caducazione degli effetti della vendita forzata? La norma stabilisce se e quando colui che ha subito l’espropriazione possa chiedere all’aggiudicatario la restituzione del bene, allegano la nullità del processo esecutivo. Il conflitto quindi si crea fra esecutato ed acquirente. In caso di nullità del processo esecutivo i creditori non sono tenuti a restituire quanto hanno ricevuto poiché l’esecutato deve fondare la ripetizione dell’indebito su ragioni sostanziali (l’inesistenza del credito), non processuali. La nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto nei confronti dell’aggiudicatario, tutte le nullità verificatesi fino all’ordinanza di vendita non sono opponibili all’acquirente/assegnatario poiché è svincolato dagli effetti degli atti di cui non ha preso parte. Nell’udienza fissata per determinare la vendita o l’assegnazione è necessario che siano fatte valere tutte le nullità degli atti esecutivi fino a quel momento verificatesi e se sono fatte valere il giudice non può fissare la vendita/assegnazione fino a che non siano state risolte (la fase della vendita viene così ripulita da tutte le nullità formali; le nullità extraformali possono essere fatte valere in ogni fase del processo e si riproducono quindi anche in relazione agli atti compiuti posteriormente all’udienza. Se si verifica una nullità nel subprocesso di vendita dev’essere fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi; un’eccezione a questa regola si trova nel caso in cui l’acquirente abbia colluso col creditore procedente: l’esecutato dev’essere venuto a conoscenza della collusione dopo la chiusura del processo esecutivo (altrimenti doveva proporre opposizione agli atti). 17. LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO La fase distributiva non ha luogo quando non sia stato possibile procedere alla realizzazione del diritto pignorato o quando questo è stato assegnato a un creditore senza che costui abbia versato un conguaglio. La somma oggetto della distribuzione è formata da quanto proviene a titolo di prezzo o di conguaglio, rendita o provento di cose pignorate. Il primo e più rilevante problema di distribuzione del ricavato è l’ordine o graduazione dei crediti: 1. Al primo posto sono collocate le spese della procedura 17 2. Al secondo posto sono collocati i creditori di prelazione; se due crediti hanno lo stesso grado di prelazione concorrono proporzionalmente tra loro 3. Al terzo posto sono collocati i creditori chirografari tempestivi: ove la somma non sia sufficiente per tutti si opera una ripartizione proporzionale 4. Al quarto posto sono collocati i creditori chirografari tardivi, cioè quelli intervenuti dopo l’udienza in cui si determinano le modalità di vendita o di assegnazione 5. Al quinto e ultimo posto è collocato l’esecutato, nell’eventualità di un residuo. La ripartizione proporzionale si effettua sommando tutti i crediti e, fatto 100 il totale, si ricava la percentuale di ciascun credito rispetto al totale. Se c’è un solo creditore, il giudice convoca le parti e dispone il pagamento a favore del creditore di quanto gli è dovuto; se invece ci sono più creditori si procede alla formazione di un piano di riparto; nell’espropriazione mobiliare i creditori possono presentare un piano di riparto già sottoscritto e predisposto da tutti i creditori e, se non c’è opposizione del debitore, l’accordo dei creditori è vincolante per il giudice. Se manca un piano di riparto concordato, ogni creditore può chiedere che si proceda alla distribuzione della somma ricavata e il giudice, ricevuta la richiesta, prepara un piano e lo sottopone alle parti per approvarlo. Nell’espropriazione immobiliare il giudice procede d’ufficio, prepara un piano di distribuzione, lo deposita in cancelleria e fissa un’udienza; se all’udienza le parti non compaiono o comparendo non si oppongono, il piano è approvato. Nel caso di un credito contestato dal debitore la posizione degli altri creditori non pone problemi: se hanno un titolo esecutivo oppure non sono stati contestati partecipano alla distribuzione del ricavato; il creditore contestato invece vedrà disposto l’accantonamento delle somme a lui spettanti (viene disposto un piano di riparto tenendo conto anche di queste somme che vengono però accantonate per il tempo necessario affinchè i predetti creditori possano munirsi di un titolo esecutivo e in ogni caso per un periodo di tempo non superiore a tre anni -> questo presenta seri profili di incostituzionalità in relazione all’art. 24 poiché trascorsi i tre anni, se il creditore non è riuscito ad ottenere un titolo esecutivo, indipendentemente dalla motivazione, perde la somma). Può verificarsi l’eventualità che i creditori di un creditore chiedano di essere sostituiti a questo nella distribuzione con una domanda di sostituzione che si effettua nelle forme della domanda di intervento. Se nascono delle contestazioni tra sostituente e sostituto, prima si effettua il riparto delle somme e si stabiliscono le somme che spettano al sostituto, dopo di che si decide a chi debba andare quella somma. La distribuzione può avere degli effetti sostanziali così come quelli che ha la cosa giudicata? La distribuzione ha gli stessi effetti dell’adempimento spontaneo, ovvero può essere contestato in seguito al riparto, questo perché altrimenti si darebbe un effetto eccedente la sua funzione all’esecuzione forzata. Mentre il debitore può sempre contestare il risultato della distribuzione, un creditore non può farlo, potrà soltanto far valere in via surrogatoria le ragioni che il comune debitore ha verso un creditore. Nel caso sorgano delle controversie in sede di distribuzione queste, dopo la riforma, vengono risolte per interno in sede di processo esecutivo con “effetti limitati al processo esecutivo” e quindi limitati alla soddisfazione del diritto e non all’accertamento che tale soddisfazione sia secundum ius. Non si pone quindi più il dilemma fra il concorso all’opposizione e le controversie in sede di riparto poiché sono due strumenti con effetti differenti. Inoltre l’ordinanza non ha alcun effetto dichiarativo e quindi non produce effetti al di fuori del processo esecutivo. Il rango dei rispettivi crediti può formare oggetti di una controversia solo al momento della distribuzione e viene risolta oggi all’interno dello stesso processo esecutivo. Anche nel processo esecutivo vale la regola dell’interesse ad agire per cui è necessario che l’accoglimento della contestazione porti ad un risultato utile o vantaggioso per il proponente; applicando questa regola 20 20. L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA Può verificarsi in due occasioni: quando c’è l’obbligo di consegna di una cosa determinata (esecuzione per consegna nel caso di beni mobili; per rilascio in caso di immobili) oppure se si tratta di un attività che l’obbligato ha omesso di tenere (esecuzione per obblighi di fare). L’esecuzione in forma specifica non va confusa con la tutela in forma specifica: quest’ultima si contrappone alla tutela per equivalente e pone un problema di esclusivo rilievo di diritto sostanziale, ovvero se l’illecito fa sorgere obblighi strumentali diretti a eliminare la lesione, ripristinando il diritto leso nello stato quo ante. La scelta tra l’una e l’altra tutela spetta al legislatore sostanziale: in alcuni casi non è possibile effettuare la tutela in forma specifica e quindi bisogna obbligatoriamente effettuare quella per equivalente, in altri casi la scelta è lasciata al legislatore in base a valutazioni di opportunità. La differenza che intercorre tra espropriazione ed esecuzione in forma specifica è che, nel caso dell’espropriazione, i diritti in gioco sono due: il diritto di credito che è potenzialmente destinato ad essere soddisfatto con la distribuzione del ricavato e il diritto patrimoniale del debitore che è oggetto del pignoramento. Nell’esecuzione specifica il diritto in gioco è uno soltanto, ovvero quello individuato nel titolo esecutivo del quale si chiede la tutela giurisdizionale esecutiva. Un ulteriore problema riguarda l’individuazione dei diritti sostanziali tutelabili attraverso l’esecuzione in forma specifica: secondo una parte della dottrina sono tutelabili solo gli obblighi correlati a diritti assoluti; i diritti relativi avendo natura obbligatoria danno luogo, in caso di inadempimento delle obbligazioni loro contrapposte, al risarcimento del danno e non possono fondare un’esecuzione in forma specifica. La dottrina opera poi una distinzione tra situazioni finali e situazioni strumentali: la situazione finale è utile fintantoché esiste, quando si estingue viene meno l’utilità concreta che l’ordinamento garantisce. L’elemento che distingue i diritti assoluti da quelli relativi non è la struttura degli stessi ma le vicende costitutive ed estintive di tali diritti e soprattutto l’opponibilità di essi ai terzi; quindi tutti gli obblighi aventi ad oggetto una cosa determinata sono suscettibili di tutela esecutiva in forma specifica, qualunque sia la situazione sostanziale di cui tali obblighi fanno parte. La differenza fra le varie situazioni sostanziali può essere rilevante per stabilire se il diritto esiste. Un altro problema riguarda gli obblighi relativi a quantità di cose indeterminate e la suscettibilità ad esecuzione in forma specifica dei diritti che abbiano ad oggetto un genus; bisogna tenere presente che una quantità di cose individuate può diventare oggetto di un contratto in due modi diversi: se i beni acquistati sono già individuati la proprietà si trasferisce col consenso, se invece sono ancora da individuarsi la proprietà si trasferisce al momento della consegna. Un altro problema relativo all’esecuzione in forma specifica è la necessità di questa: a volte il creditore può esercitare poteri sul piano sostanziale che sono idonei a procurargli per altra via quella soddisfazione che gli sarebbe dovuta provenire dall’obbligato inadempiente. L’esecuzione forzata è quindi necessaria solo quando il titolare del diritto non può autonomamente procurarsi l’utilità che doveva procurargli l’obbligato inadempiente. Accanto all’esecuzione diretta esiste la figura dell’esecuzione indiretta con cui si cerca di ottenere l’adempimento dall’obbligato stesso, attraverso l’irrogazione di sanzioni; questo avviene in tutti i casi in cui l’obbligazione dell’obbligato è infungibile, eventualità che può verificarsi in due situazioni: perché l’obbligo è assunto intuitu personae oppure perché l’obbligato si trova in una situazione di monopolio di fatto o di diritto e quindi la prestazione potrebbe in astratto essere fornita da chiunque ma in concreto può essere data solo da un certo soggetto. 21 È previsto nel diritto sostanziale anche l’obbligo di pati (sopportare), si tratta di un comportamento di tolleranza, ovvero all’obbligato è vietato tenere un certo comportamento. 21. L’ESECUZIONE PER CONSEGNA E RILASCIO L’esecuzione per consegna e rilascio ha lo scopo di trasferire il potere di fatto sul bene, identificato nel titolo esecutivo, da colui che esercita attualmente tale potere di fatto a colui che ha diritto ad esercitarlo. La situazione possessoria che acquisisce l’avente diritto non dipende dalle modalità esecutive, ma dal titolo. L’avente diritto acquista il possesso se sul bene gli è stato riconosciuto un diritto reale, acquista la detenzione se gli è stata riconosciuta l’esistenza di un diritto personale di godimento. I titoli esecutivi che fondano l’esecuzione sono le sentenze e i provvedimenti a cui la legge riconosce efficacia esecutiva. Una particolarità dell’esecuzione per consegna o rilascio è la sua oggettività, ovvero si procede verso il detentore corpore del bene, è verso questo infatti che si producono effettivamente gli effetti dell’esecuzione; un soggetto deve assumere la qualità di parte poiché è destinatario degli effetti delle misure giurisdizionali esecutive. Per quanto riguarda il procedimento: il precetto deve per forza contenere la descrizione dei beni, che è già contenuta nel titolo esecutivo; l’unico soggetto dell’ufficio esecutivo necessariamente presente nell’esecuzione per consegna o rilascio è l’ufficiale giudiziario. Egli ricerca il bene dove si trova, gli è concesso il potere di aprire porte, vincere la resistenza dell’esecutato o di terzi… Il rilascio del bene immobile avviene con l’immissione nel possesso e l’esecutato va avvertito almeno dieci giorni prima con un preavviso del giorno e dell’ora in cui ciò avverrà. L’esecuzione può avvenire anche nei confronti di detentori che esercitano il potere di fatto sul bene in nome dell’esecutato. Le spese dell’esecuzione sono anticipate dalla parte istante e sono a carico dell’esecutato. 22. L’ESECUZIONE PER OBBLIGHI DI FARE Quest’ambito riguarda i casi in cui non è stato adempiuto un obbligo di fare o un obbligo di disfare; il vero oggetto degli obblighi di fare consiste quindi nella costruzione o distruzione di un’opera. I titoli esecutivi per obblighi di fare possono essere sentenze, verbali di conciliazione giudiziali o norme speciali; l’imputazione degli effetti è fatta oggettivamente, quindi titolo esecutivo e precetto devono essere notificati a chi esercita sul bene il potere di fatto, nonché al proprietario se è un soggetto diverso dal procedente o dall’esecutato. Il titolo esecutivo di solito individua il risultato che bisogna raggiungere con l’esecuzione e l’ordinanza. Le spese dell’esecuzione sono a carico dell’esecutato; il giudice deve scegliere le modalità di esecuzione che garantiscano il risultato ma che non siano onerose più del necessario per l’esecutato. 23. L’ESECUZIONE INDIRETTA È lo strumento utilizzato per la tutela esecutiva dei diritti correlati ad obblighi infungibili. Il primo problema da affrontare riguarda la possibilità, che una parte della dottrina vede, di avere questo tipo di tutela anche per obblighi fungibili, ma non è così. Il legislatore è caduto più volte nell’errore sistematico di vedere come oggetto dell’esecuzione non il diritto ma il provvedimento. Il legislatore ha ritenuto che è compito del giudice della cognizione concedere la misura esecutiva, l’avente diritto sarà dunque costretto a proporre una domanda di condanna in sede dichiarativa per ottenere la determinazione della sanzione pecuniaria. La misura esecutiva però anche se viene impartita dal giudice del processo dichiarativo, conserva pur sempre le sue caratteristiche fondamentali: è un provvedimento a contenuto processuale e non diviene quindi una pronuncia di merito per il solo fatto di essere contenuta nello stesso provvedimento. Quindi quella parte della sentenza con la quale si determina la misura esecutiva è un provvedimento di rito. Il controllo di legalità viene quindi effettuato ex post. 22 Trattandosi di una misura processuale l’istanza di parte non individua un ulteriore e separato oggetto del processo e la pronuncia del giudice ha una portata esclusivamente processuale: costituisce dunque un procedimento di rito. Le somme che l’avente diritto percepirà nel caso si verifichino le violazioni indicate nel provvedimento del giudice si cumulano al risarcimento danni, non si sostituiscono; inoltre la portata solo processuale della misura coercitiva fa sì che le parti non siano in grado di realizzare negozialmente gli stessi effetti. Ogni provvedimento che costituisce esercizio di giurisdizione dichiarativa e che ha efficacia di titolo esecutivo è idoneo a supportare la misura esecutiva e può essere disposta dal giudice in sede di tutela cautelare, è quindi necessario un provvedimento di condanna. La determinazione della somma avviene per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento; per quanto riguarda la misura della somma, questa viene lasciata all’arbitrio del giudice. Una volta avanzata la richiesta, questa non può non essere accolta, salvo alcune eccezioni; il giudice deve verificare che la condanna abbia ad oggetto un’astensione o un facere infungibile; il fatto di avere attribuito al giudice della cognizione il compito di concedere la misura sanzionatoria fa sì che il controllo circa la conformità al diritto della stessa è antecedente alla produzione dell’effetto. Vi sono due casi in cui l’esecuzione indiretta è esclusa nonostante si tratti di un fare infungibile o di un non fare: è inutilizzabile in materia di lavoro subordinato e parasubordinato (è probabilmente incostituzionale perché vieta in blocca l’esecuzione in diretta per tutta una serie di rapporti garantiti dall’art. 24 Cost.); la seconda ipotesi si ha quando la misura è manifestatamente iniqua. Per quanto riguarda i controlli, essendo frutto di un potere giurisdizionale dichiarativo, il controllo sui suoi presupposti è preventivo rispetto alla concessione della stessa. L’unico strumento di controllo però, potendosi ottenere una misura coercitiva solo attraverso il processo dichiarativo, rimangono i mezzi dichiarativi. Nei rapporti tra tutela e merito si realizza una situazione analoga a quella che si ha fra sentenza e mezzi di impugnazione (ovvero che le contestazioni avverso i provvedimenti cautelari sono riservate al giudizio di merito, sicchè non possono essere proposte incidentalmente in altra sede) e quindi solamente in sede di merito potrà controllarsi la conformità a diritto delle misure esecutive. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute, non vi è dunque necessità di una preventiva verifica dell’effettiva esistenza dell’illecito. Se la pronuncia che condanna al facere infungibile o al non facere è modificata nelle sedi a ciò deputate, le somme eventualmente pagate devono essere restituite. 24. L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE Ha per oggetto la contestazione del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Questa situazione presenta due profili: sussistenza della situazione sostanziale di cui si chiede tutela in via esecutiva e quello del titolo esecutivo in senso sostanziale, cioè tutelabilità esecutiva del diritto sostanziale. La mancanza del diritto alla tutela esecutiva, cioè del titolo esecutivo in senso sostanziale, prevede che l’opponente possa negare il diritto a procedere a esecuzione sostenendo che la parte istante non ha diritto alla tutela esecutiva perché il titolo esecutivo in senso sostanziale non è mai esistito o è venuto meno. Dal punto di vista processuale l’esecuzione forzata è legittima se è fondata su un valido ed efficace titolo esecutivo; l’efficacia del titolo esecutivo deve sussistere per tutto il corso dell’esecuzione, fino a che questa non sia terminata. 25 debitore esecutato, attore opponente, a dover dimostrare i fatti impeditivi, modificativi, estintivi del diritto del creditore. Spetta quindi al debitore dimostrare l’esistenza dei fatti contrari all’efficacia preclusiva che discende dall’atto/titolo esecutivo. A volte può capitare però che la contestazione dell’esecutato possa imporre al creditore l’onere della prova già in prima battuta e in questi casi il creditore può proporre una domanda riconvenzionale avente ad oggetto lo stesso diritto. Se la sentenza rigetta l’opposizione, questa afferma l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata; al contrario se nega l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata equivale al rigetto della domanda 25. L’OPPOSIZONE AGLI ATTI ESECUTIVI È lo strumento con cui si risolvono le controversie relative alla conformità degli atti del processo esecutivo alle prescrizioni normative che3 li disciplinano. Con l’opposizione agli si contesta il fatto di star procedendo in modo sbagliato, poiché uno o più atti del processo esecutivo sono nulli. Nel caso il processo si svolga senza che ve ne siano le condizioni e produca effetti ingiusti dal punto di vista sostanziale, questi possono essere rimossi anche con strumenti esterni al processo esecutivo; se invece c’è un vizio all’interno del processo questo va risolto all’interno del processo stesso. L’opposizione agli atti esecutivi si pone come un processo di cognizione che ha un oggetto processuale e non sostanziale. L’oggetto dell’opposizione sono le nullità formali ed extraformali, ovvero quei vizi attinenti ad un presupposto processuale che quindi inficiano automaticamente tutti gli atti del processo; l’opposizione dev’essere proposta entro venti giorni dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza dell’atto viziato, vi sono però delle differenze fra nullità formali ed extraformali: - Nullità formali: di regola sono rilevabili solo dalla parte interessata, dal giudice solo nei casi specificati dalla legge; la loro mancata proposizione rileva come sanatoria. - Nullità extraformali: sono rilevabili d’ufficio; gli atti del processo in questo caso sono viziati autonomamente e non per ripercussione e quindi finchè il vizio è rilevabile è possibile proporre sempre l’opposizione agli atti esecutivi. - Nullità rilevabili d’ufficio: possono essere sia formali che extraformali e se vengono rilevate dall’ufficio vanno per forza di cose prese in considerazione e l’ufficio deve rifiutarsi di emettere il provvedimento che gli viene richiesto. È legittimato a proporre l’opposizione colui che non ha compiuto l’atto e colui che non vi ha rinunciato, inoltre è necessario avere anche un interesse ad agire, ovvero dev’esserci una lesione effettiva della sua posizione giuridica. L’opposizione è proposta prima dell’inizio dell’esecuzione con citazione; per individuare il giudice di fronte al quale proporre la citazione bisogna far riferimento all’art. 617 ed è il tribunale in cui l’istante ha il domicilio. L’opposizione è proposta con ricorso che è depositato nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, l’udienza si svolge come la parallela udienza del processo di opposizione all’esecuzione. Il giudice nei casi urgenti dà provvedimenti indilazionabili e può anche sospendere il processo esecutivo. Quando l’opposizione è proposta per una nullità formale e questa è sanabile, si applica anche al processo esecutivo la disposizione generale per cui il giudice dell’esecuzione può anche anticiparne i probabili risultati e disporre che l’atto sia rinnovato oppure la nullità sanata. Se invece viene proposta opposizione per una nullità extraformale e il vizio del presupposto processuale sia sanabile il giudice può disporre la sanatoria del vizio. Una volta pronunciati i provvedimenti che fanno ancora parte del processo esecutivo, l’opposizione si autonomizza dal processo esecutivo. Si applica quindi all’opposizione agli atti quello che abbiamo visto a proposito dell’opposizione all’esecuzione in merito al significato ed alla portata di questa introduzione; la differenza sta nel fatto che il giudice dell’esecuzione non si deve porre problemi di competenza. 26 Una volta iscritta la causa a ruolo il presidente del tribunale nomina un giudica istruttore che dev’essere diverso dal giudice dell’esecuzione. La sentenza che decide dell’opposizione agli atti esecutivi è dichiarata non impugnabile, ma è sempre garantito il ricorso per cassazione. La qualificazione delle sentenza che viene in rilievo è quella che ha dato il giudice che l’ha decisa. Una sentenza di rigetto dell’opposizione accerta la validità dell’atto esecutivo, una sentenza di accoglimento dichiara l’invalidità dell’atto opposto. 26. L’OPPOSIZIONE DI TERZO Riguarda tutti quei casi in cui il bene è legittimamente acquisito al processo esecutivo ma gli effetti sostanziali non possono operare in relazione al bene pignorato perché colui che subisce l’esecuzione non ha sul bene alcun diritto alienabile. Nell’espropriazione terzo è colui al quale il creditore non ha fatto assumere il ruolo di esecutato rilevante ai sensi dell’art. 2919 cc. Il diritto del terzo può trovare la sua fattispecie costitutiva o in titolo d’acquisto originario oppure in un titolo d’acquisto derivato da un soggetto diverso dal debitore. Gli effetti del pignoramento rendono inefficaci sul piano processuale gli atti di disposizione dell’esecutato. Quando viene proposta l’opposizione di terzo bisogna tenere presente gli effetti del pignoramento poiché l’opposizione non può fondarsi su diritti derivanti da atti inopponibili al creditore procedente. All’opposizione di terzo bisogna ricondurre anche le ipotesi di conflitto tra la trascrizione di una domanda giudiziale e la trascrizione di un pignoramento; se la domanda viene trascritta preventivamente il creditore pignorante può assumere il ruolo di successore nel diritto controverso può quindi intervenire nel processo, la sentenza sarà quindi per lui vincolante. L’attore che voglia vedere riconosciuto il suo diritto anche nei confronti del creditore deve proporre per forza la sua domanda nelle forme dell’opposizione di terzo. Se viene trascritto il titolo dell’avente causa prima della domanda, si produce una sorta di autonomizzazione della posizione dell’avente causa dalle vicende che attengono al titolo del suo dante causa. L’attore che si accorge che è già stato trascritto un pignoramento deve estendere il contraddittorio al creditore procedente in modo da ottenere una pronuncia che faccia stato anche nei suoi confronti, in quanto parte del processo e non più terzo. Talvolta l’opposizione si fonda su di un’impugnativa negoziale e non su di un diritto di proprietà, questo comporta che in determinati casi il terzo può fondare la sua opposizione anche su un diritto diverso da un diritto reale (nel caso il bene è posseduto da colui che è obbligato alla restituzione). Immaginando che il debitore esecutato sia colui che è obbligato alla restituzione e che l’opponente terzo sia colui che ha consegnato il bene in attuazione del rapporto dobbiamo chiederci se è possibile per l’opponente limitarsi a dimostrare i presupposti dell’azione di restituzione oppure se l’opponente deve dimostrare anche che era proprietario del bene quando lo ha consegnato al debitore; l’esecuzione non ha un possesso idoneo ad escludere l’esperibilità dell’azione di restituzione perché non è un terzo divenuto possessore del bene nei cui confronti non si può far valere un diritto di restituzione, questo è sufficiente poiché dal punto di vista sostanziale tale diritto non si trova in contrasto con gli effetti del pignoramento in quanto il possesso del bene è sì tolto all’esecutato ma è conservato da costui e non è acquisito da alcuno che possa opporre ciò che invece può opporre il terzo. Questo è d’altronde confermato dalla norma parallela in materia di fallimento la quale menzione non solo l’azione di rivendicazione ma anche l’azione di restituzione. L’opposizione del terzo deve presentare un’ulteriore caratteristica, ovvero il terzo deve fondare la sua opposizione su di un diritto incompatibile con il diritto oggetto del pignoramento (incompatibili sono i diritti che non possono coesistere nello stesso momento). Il diritto si ritiene compatibile tutte le volte in cui ciò non comporta l’inesistenza del diritto oggetto dell’espropriazione. 27 Quando la vendita forzata determina un acquisto a titolo derivativo, l’aggiudicatario non è investito di diritti maggiori di quelli che spettavano all’esecutato. Tuttavia le azioni di restituzione che possono fondare l’opposizione di terzo non possono essere fatte valere nei confronti dell’aggiudicatario. L’opposizione di terzo ha quindi due funzioni: una generica preventiva e una più specifica, atta a consentire l’utilizzazione della più semplice e comoda azione di restituzione piuttosto che della più onerosa e gravosa azione reale che si renderebbe necessaria nei confronti dell’acquirente. Se la vendita forzata ha natura di acquisto a titolo originario l’opposizione non può essere utilizzata perché l’acquirente acquista diritti che non spettavano all’esecutato; l’unico modo in cui si può supplire a questa mancanza è che il terzo riesca a dimostrare che l’acquirente in vendita forzata era in mala fede così che l’acquisto non sarebbe più a titolo originario ma derivativo. L’obiettivo del terzo non è quello di impedire l’esecuzione forzata ma sottrarre ad essa i beni sui quali vanta un diritto incompatibile. Nel caso di esecuzione in forma specifica il terzo contesta sì il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata ma questo perché c’è un solo diritto contestabile all’interno dell’esecuzione in forma specifica; se l’esecuzione ha per oggetto due beni di cui il terzo ne rivendica uno solo, l’esecuzione andrà avanti senza problemi nei confronti dell’altro. L’opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione; essa infatti è necessariamente successiva al pignoramento in quanto prima di esso il terzo non può lamentare alcun pregiudizio. Le parti necessarie sono il creditore procedente e i creditori intervenuti con titolo esecutivo; secondo la giurisprudenza è litisconsorte necessario anche l’esecutato. All’udienza le parti possono raggiungere un accordo che può riguardare sia la prosecuzione dell’espropriazione, sia la cessazione della stessa. A seconda dei casi il giudice dell’esecuzione dispone perché l’esecuzione vada avanti oppure si estingua. Il momento finale per poter opporre l’opposizione di terzo è normalmente la vendita forzata perché dopo di essa il terzo dovrà vedersela direttamente con l’acquirente. Una volta effettuata la vendita il terzo può percorre due strade: se intende recuperare il bene presso l’acquirente dimostrando la sua mala fede, deve proporre la domanda direttamente nei confronti dell’acquirente in un ordinario processo di cognizione, al di fuori del processo esecutivo. Se invece il terzo ritiene di non aver possibilità di recuperare il bene dall’aggiudicatario e quindi di doversi accontentare del ricavato della vendita, deve proporre l’opposizione di terzo, cioè inserirsi all’interno del processo esecutivo. Nei casi diversi dall’espropriazione mobiliare l’opposizione non è proponibile una volta avvenuta la vendita forzata; nell’espropriazione mobiliare sono diversi il processo in cui si fa valere il diritto alla consegna del ricavato e il processo con cui si tenta di recuperare il bene presso l’aggiudicatario. Per quanto riguarda l’onere della prova bisogna distinguere nel caso si tratti di beni mobili o immobili: nel caso di immobili si applicano le regole di mero accertamento della proprietà (se possessore del bene immobile è l’esecutato l’onere del terzo è quello della rivendicazione; se invece possessore è l’opponente diventa sufficiente la prova di possedere secondo un titolo valido come nel mero accertamento della proprietà); se il bene pignorato è un bene mobile nei luoghi appartenenti al debitore, l’onere di dimostrare la proprietà spetta all’opponente, se il bene invece è stato pignorato al di fuori dei luoghi indicati ex lege, e il terzo ha dimostrato che il bene si trovava nel possesso suo e non in quello del debitore esecutato, spetta al creditore procedente dimostrare che il bene mobile tuttavia è di proprietà dell’esecutato. L’art. 621 pone la prova dell’affidamento, ovvero il terzo deve dimostrare a quale titolo i suoi beni mobili si trovavano nella casa del debitore.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved